L'eroica resistenza del popolo iracheno (6)

IL MARTIRIO DI FALLUJA

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Dentro Fallujah: diario dal terrore

Dahr Jamail (trad. di C.Panzera, Associazione PeaceLink)

15 novembre 2004 - Piange mentre ci racconta la storia, la tunica che
sta indossando non riesce a nascondere il tremore del suo corpo e
ondate di dolore la invadono. ''Non posso togliermi dalla mente del suo
feto fuoriuscito dal suo corpo.'' Artica, la sorella di Muna Salim, era
incinta di sette mesi quando due missili sganciati dagli aerei di
guerra statunitensi si sono abbattute sulla loro casa a Fallujah lo
scorso primo novembre. ''Siamo sopravissute solo io e mia sorella Selma
perché quella notte eravamo dai nostri vicini,'' continua Muna incapace
di riconcilaire la sua sopravvivenza mentre otto membri della sua
famiglia sono deceduti durante i bombardamenti precedenti l'assalto di
Fallujah che si sono protatti per settimane.

Anche Khalid, uno dei suoi fratelli, è deceduto nell'attacco e ha
lasciato moglie e cinque figli.

''Non c'erano combattenti nella nostra zona, non so perché hanno
bombardato casa nostra,'' dice Muna. ''Quando è iniziatoc'erano assalti
da tutte le parti, dall'aria e dai carri armati all'interno della
città, quindi abbiamo lasciato la città dalla parte orientale e siamo
arrivate a Baghdad.''

Selma, la sorella 41enne di Muna, ha raccontato di scene terribili
all'interno della città diventata il cnetro della resistenza irachena
negli ultimi mesi. Descrive di case che sono state rase al suolo da
innumerevoli attacchi aerei, dove il fetore di corpi in decomposizione
avvolge la città nell'aria secca e polverosa.

''Le case bombardate sono crolate e hanno coperto i corpi dei morti e
nessuno può recuperarli perchè la gente ha troppa paura per guidare un
bulldozer,'' spiega agitando le mani nell'aria.

''Per la gente di Fallujah è impossibile uscire anche per la strada
per paura dei cecchini."

Entrambe le sorelle descrivono dell'esistenza notturna all'interno
della città dove i combattenti controllano molte zone, cibo e medicine
erano spesso esaurite e il continuo rimbombo delle bombe statunitensi
sono diventate una realtà quotidiana.

Anche l'acqua veniva fornita a scatti e l'elettricità una rarità. Come
molte famiglie nascoste all'interno di Fallujah facevano funzionare un
piccolo generatore quando riuscivano ad approvvigionare del carburante.

"Anche se le bombe cadevano lontano, i bicchieri cadevano dalle
mensole e si rompevano," dice Muna. "Nessuno di noi poteva dormire di
notte, dormire di notte era pericoloso."

Mentre a mezza giornata si usciva da casa per andare al mercato a
cercare del cibo, la sorella riferisce che si sentivano terrorizzate
dagli aerei statunitensi, che spesso volavano sopra la città. "I jet
volavano così spesso," dice Selma, "ma non sapevamo mai quando
avrebbero sganciato il loro carico sulla città."

Le donne descrivono scene di negozi chiusi, strade per lo più vuote e
cittadini terrorizzati che vagano per la città non sapendo cosa fare.

"Fallujah era come una città fantasma per la maggior parte del tempo,"
descrive Muna. "La maggior parte delle famiglie stavano richiuse dentro
casa per tutto il tempo, uscendo solo per andare a cercare del cibo."

I tank attaccavano le periferie della città combattevano con i
combattenti della resistenza aggiungendo caos e agitazione. Gli
elicotteri d'attacco volavano radenti sul deserto dove terrorizzavano
incrociando sopra la città e sparando missili sul centro.

Mentre raccontavano la traumatica esperienza della loro famiglia di
queste ultime settimane, dalla casa del loro zio a Baghdad, ognuna
delle due sorelle si bloccava spesso, fissando il pavimento perse nelle
immagini che stavano raccontando prima di aggiungere altre immagini. La
loro madre 65enne, Hadima, è stata uccisa durante il bombardamento,
come il fratello Khalid, che era capitano della polizia irachena. Sono
morte anche la sorella Ka'ahla e la figlia 22enne.

"La nostra situazione è simile a quella di molti altri a Fallujah, "
dice Selma, continuando la sua voce era in realtà senza emozioni. I
mesi passati vissuti nel terrore sono impressi sul suo viso.

"Così tante persone non hanno potuto lasciare la propria casa perché
non avevano un luogo dove andare e neanche un soldo."

Adhra'a, un'altra delle loro sorelle, e Samr, marito di Artica, erano
tra le vittime. Samr era dottore in teologia. Artica e Samr avevano un
figlio di quattro anni, Amorad, che è morto con i suoi fratelli e il
suo fratellino o sorellina mai nati.

Le due sorelle sono riuscite a lasciare la città dalla zona orientale,
facendo ben attenzione ad addentrarsi attraverso il cordone militare
statunitense che per la maggior parte circonda la città. Quando se ne
sono andate sono state testimoni dell'assalto della città da parte
degli aerei e dei tank statunitensi.

"Perché è stata bombardata la nostra famiglia?" implora Muna, le
lacrime scendono sulle sue guance, "Non ci sono mai stati combattenti
nella nostra zona."


Note:

trad. di Chiara Panzera per www.peacelink.it
Il testo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali citando la
fonte (Associazione PeaceLink) e l'autore


Articolo originale:http://www.uruknet.info/?p=7169

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Cecchini USA massacrano i civili che scappano attraverso il fiume

KATARINA KRATOVAC, Associated Press Writer - Italy.indymedia

Baghdad, Iraq, 14 novembre 04 -Nelle settimane precedenti all’inaudito
attacco militare amercano sulla sua città natale, Bilal Hussein aveva
mandato via da Falluja i suoi genitori e il fratello perché stessero
altrove a casa di parenti. Il 33enne fotografo dell’Associated Press
invece è rimasto per documentare dall’interno l’assedio.

“Tutti a Falluja sapevano che stava arrivando, ho scattato foto per
giorni, pensavo che avrei potuto continuare”.

Ma nelle ore e nei giorni che hanno seguito i pesanti bombardamenti e
il martellante fuoco d’artiglieria, l’intero quartiere del Jolan
settentrionale dove stava Hussein si è trasformato in un ammasso di
macerie e morte. Le pareti della sua casa erano crivellate dal fuoco
americano.

“La distruzione era ovunque. Ho visto gente morta sulle strade e
feriti sanguinanti a cui nessuno poteva prestare soccorso. I civili di
Falluja erano troppo terrorizzati per uscire dalle case.” “Da giorni
non ci sono medicine, né acqua, né elettricità, né cibo”.

Infine, martedì pomeriggio, le truppe USA e i resistenti iraqeni si
sono scontrati pesantemente proprio nel suo quartiere, e Hussein è
crollato. “I soldati USA hanno cominciato a far fuoco nelle case, e ho
capito che stava diventando troppo pericoloso rimanere in casa mia”.
Hussein racconta di essere entrato in panico, e ha cominciato a cercare
un modo per fuggire dalla città, attraverso l’Eufrate, che scorre sul
lato ovest della città.

“Non stavo veramente ragionando” dice. “Improvvisamente, dovevo
assolutamente andarmene da lì. Non c’era altra possibilità”. Nella
concitazione, Hussein ha lasciato indietro uno degli obiettivi della
sua fotocamera e un telefono satellitare per trasmettere le immagini.
Quell’obiettivo, marcato con il logo dell’Associated Press, sarà
scoperto due giorni dopo dai marines USA vicino al corpo di un morto in
una casa del quartiere di Jolan.

I suoi colleghi dell’A.P. nell’ufficio di Baghdad, che non sentivano
Hussein da 48 ore, si sono preoccupati ancora di più. Hussein è
fuggito correndo di casa in casa, scansando il fuoco, ed è riuscito a
raggiungere il fiume. “Avevo deciso di passarlo a nuoto... ma ho
cambiato idea quando ho visto elicotteri USA che miravano e uccidevano
la gente che tentava di attraversare il fiume.”

E’ stato testimone con orrore dello sterminio di una famiglia di
cinque persone uccise mentre guadavano il fiume per fuggire. Poi, dice
“ho aiutato a seppellire un uomo sulla riva del fiume, scavando con le
mie mani”. “Ho continuato a camminare sulla riva del fiume per due
ore, e ancora potevo vedere i cecchini USA pronti a sparare a chiunque
tentasse di nuotare. Perciò ho abbandonato l’idea di attraversare e ho
continuato a camminare per altre cinque ore attraverso i frutteti.

Ha poi incontrato una famiglia di contadini che gli hanno dato rifugio
nella loro casa per due giorni. Hussein conosceva un autista del posto
e ha mandato un messaggio ad un collega dell’A.P., Ali Ahmed, nella
vicina Ramadi. Così Ahmed ha fatto sapere all’ufficio AP di Baghdad che
Hussein era vivo, e ha poi inviato un altro messaggio a Hussein che un
pescatore della vicina Habaniyah sarebbe andato a prenderlo per
portarlo in salvo con la barca.

“Alla fine del viaggio in barca, Ali era lì che mi aspettava. Mi ha
portato a Baghdad, nel mio ufficio all’Associated Press.” Ora, seduto
al sicuro, Hussein si è potuto permettere uno stanco sorriso di
sollievo. “E’ stata una esperienza terribile, ho imparato che la vita
è una cosa preziosa” ha detto. “Sono felice di essere ancora vivo, dopo
esser stato così vicino alla morte nei giorni scorsi”.

Traduzione italiana: grizzly - Italy.indymedia

Articolo originale:
http://www.uruknet.info/?p=7192

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   italy.indymedia.org/news/2004/11/678624.php

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Sotto le macerie le leggi internazionali. Sullo scempio americano di
Fallujia parla il giurista Domenico Gallo

MARINELLA CORREGGIA, il manifesto

14 novembere 2004 - Falluja: cliniche colpite con medici e pazienti
uccisi; il maggiore ospedale occupato dalle forze Usa-irachene;
ambulanze che diventano target; case distrutte dalle bombe; feriti che
è impossibile raggiungere; acqua e luce tagliate da domenica; poco
cibo; Mezza luna rossa e Croce rossa internazionale a cui si impedisce
di recarsi in città per portare viveri, acqua, medicinali; medici e
infermieri di altre cliniche che chiedono di poter entrare in città per
sostituire i colleghi morti e feriti (una gara di solidarietà che si è
già vista in aprile a Falluja e in agosto a Najaf), ma tutto è
bloccato. Ebbene queste situazioni sono tutte violazioni «gravi» delle
4 Convenzioni di Ginevra del 1949 e dei Protocolli aggiuntivi del 1977
che vertono fra l'altro sulla protezione dei civili e dei feriti. Ma
c'è chi potrebbe obbligare Usa e Allawi a rispettare le leggi
internazionali? Nell'assordante silenzio della comunità internazionale,
statale e no, lo chiediamo a Domenico Gallo, giurista e attivista.

A chi potrebbero rivolgersi i cittadini di Falluja o altri soggetti
per esigere un corridoio umanitario, il soccorso ai feriti, la
protezione dei civili, la disponibilità di acqua e altri generi
essenziali?

Gli Stati sono tenuti a rispettare le convenzioni di Ginevra ma queste
non offrono uno strumento di tutela a cui individui e associazioni
possano appigliarsi. Politicamente parlando, a stati come Spagna,
Germania, Brasile e Algeria, membri di turno del Consiglio di
sicurezza, potrebbero essere sollecitati perché chiedano una
convocazione urgente del Consiglio stesso. Usa e Gran Bretagna
metterebbero il veto a qualunque bozza di risoluzione, ma comunque
l'iniziativa li disturberebbe. Anche l'Italia, che è connivente dal
punto di vista politico - ma non giuridico- potrebbe far pressione
sugli «alleati» con urgenza (lo hanno chiesto da alcuni deputati
italiani, ndr).

Non si possono quanto meno minacciare futuri ricorsi e azioni penali?

Un giudice americano o iracheno potrebbero incriminare i rispettivi
governanti per le azioni a Falluja. Quanto ai cittadini di quella
città, essendo parte lesa avrebbero potuto minacciare un esposto alla
Corte penale internazionale, la quale può infatti essere adita sia da
Stati che da individui: però, gli Usa l'hanno rifiutata.

E' anche importante che queste efferatezze, oltre a essere bloccate al
più presto, non cadano nel dimenticatoio. Quali strade possibili, oltre
al tribunale morale sull'Iraq, le cui sessioni si svolgono in diversi
paesi da gruppi di attivisti e giuristi ma senza alcuna ripercussione
legale?

La Corte internazionale di giustizia con sede all'Aja è accessibile
solo agli Stati; un governo iracheno che fosse dalla parte delle
vittime anziché il contrario, vi potrebbe ricorrrere. Se poi i crimini
a Falluja fossero compiute dalle truppe inglesi, o italiane, allora
individui e gruppi potrebbero ricorrere alla Corte europea dei diritti
umani. Così fecero infatti gli jugoslavi, chiedendo risarcimenti per i
danni provocati dai bombardamenti dei paesi Nato. Peraltro, il ricorso
fu giudicato inammissibile per ragioni procedurali...

Insomma, legalmente parlando niente da fare per la popolazione di
Falluja e domani per quella di altre città sotto assedio?

Purtroppo la situazione attuale è tremenda. Tuttavia, dobbiamo
richiamare di continuo le convenzioni di diritto umanitario: come
pietra dello scandalo. Stiamo perdendo i parametri. E'incredibile che
il mondo non protesti nemmeno più.


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Falluja resisti

Abdel Bari 'Atwan , Aljazira.it

Lunedì, 15 novembre 2004

Mentre le telecamere di Aljazeera vengono tenute fuori da Falluja, per
il terzo mese consecutivo, dentro si consuma l'ennesima tragedia
targata Usa. Il mondo tace, rassicurato dai "liberatori" che parlano di
1200 combattenti morti, mentre gli ospedali si affollano e le strade di
Falluja diventano tappeti di cadaveri. Oramai non resta che una città
fantasma...

L’esercito americano, rinforzato da carriarmati, aerei ed artiglieria
pesante prosegue l’attacco contro Falluja, in mezzo ad un totale
oscuramento mediatico e di un sospetto silenzio degli arabi e del mondo
intero. Gli abitanti di Falluja chiedono alla comunità internazionale
di fermare i missili e le bombe che stanno distruggendo la loro città e
uccidendo i loro bambini. Ma non c’è anima che li aiuti.

Le truppe statunitensi riusciranno, senza ombra di dubbio, a
recuperare Falluja e a riportarla sotto l’autorità dell’esercito
d’occupazione. Ma ciò non rappresenta una vittoria sulla resistenza
irachena e sulla guerra che quest’ultima combatte per liberare il
proprio paese.

La domanda che bisogna porsi non è se l’esercito Usa riuscirà o meno
ad entrare in città, ma quanto sarà difficile questa operazione e a
quanto ammonteranno le perdite degli abitanti di Falluja, in primo
luogo, e poi dell’esercito Usa aggressore.

I difensori di Falluja cercheranno, con tutte le armi leggere a loro
disposizione, di ritardare l’avanzata Usa per il maggior tempo
possibile e di combattere strada per strada. Ma ciò non vuol dire che
la città si inginocchierà ai piedi di Iyyad Allawi, del suo governo e
delle forze d’occupazione che lo sostengono. Così come l’arresto del
presidente iracheno Saddam Hussein non ha fermato la resistenza
irachena, come vagheggiavano gli americani, allo stesso modo
l’occupazione di Falluja non diminuirà gli attacchi contro le forze
Usa, la polizia e la Guardia Nazionale che con essa collabora. Anzi
forse ad accadere sarà proprio il contrario. Gli uomini della
resistenza sanno bene che con questo attacco si vuole mettere fine alla
loro resistenza. Perciò è da escludere che resteranno ad aspettare
l’esercito Usa perché li arresti o li uccida. Probabilmente si sono
divisi i ruoli: alcuni sono rimasti nel cuore della città per
difenderla, altri sono andati all’esterno per attaccare o per ritornare
in città ad attacco compiuto, proprio come è già successo a Baghdad,
Samara e a Ramadi.

Una regola ferrea, rispettata dal mondo intero, consiste nel rifiuto
dei popoli dell’occupazione straniera e dei governi collaborazionisti.
Gli iracheni non possono rappresentare un’eccezione a questa regola e
lo dimostra la resistenza che aumenta in un tempo record che neanche il
più ottimista si sarebbe mai aspettato.

La resistenza in Iraq non è circoscritta ai volontari stranieri come
afferma Allawi e come ripetono gli americani. Si tratta di una
resistenza chiaramente irachena, i suoi uomini chiave sono figli di
questa terra. Se esistono mujahidin arabi che combattono l’occupazione
Usa, questi rappresentano una percentuale risibile e godono comunque
della guida e della protezione degli iracheni. I mujahidin arabi in
Iraq non sono né terroristi né stranieri: fanno parte di quegli arabi
che ritengono loro dovere vincere per i loro fratelli e partecipare al
loro jihad per liberare la propria terra dall’occupazione. Terroristi
sono coloro che giungono dall’altro capo del mondo per occupare una
terra che non è loro uccidendone decine di migliaia di abitanti in una
guerra illegale che si fonda sulla menzogna.

La peggiore motivazione addotta a giustificazione della strage in
corso a Falluja è che i bombardamenti e la distruzione della città
renderanno possibili le elezioni. Ma che elezioni sono queste che si
svolgeranno sui cadaveri di donne e bambini e sulle macerie di una
città fiera del suo carattere arabo e islamico?

Gli abitanti di Falluja boicotteranno le elezioni. Se qualcuno
titubava, ora spingerà per il boicottaggio dopo aver visto la sua città
tramutata in un cumulo di macerie.

Gli americani non sanno imparare dalle occupazioni passate e così
Iyyad Allawi, che fornisce loro le giustificazioni e la copertura
necessarie a che proseguano le stragi contro i suoi concittadini. La
lezione più importante che dovrebbero fare propria è che i movimenti di
resistenza hanno sempre trionfato e gli eserciti occupanti si sono
sempre ritirati sconfitti. E con essi i governi collaborazionisti.

tratto da: al-Quds al-Arabi, 10.11.04

tradotto da: M.H.

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   www.aljazira.it/index.php?option=content&task=view&id=345&Itemid


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Fallujah in Pictures

Pictures from Fallujah that probably won't be on your television
http://www.uruknet.info/?s1=1&p=7228&s2=16
The original address of this article is :
   fallujapictures.blogspot.com/