Bophal - Porto Marghera - Pancevo

1. BOPHAL
3 dicembre 1984 - 3 dicembre 2004:
La strage impunita della Union Carbide

2. PORTO MARGHERA
28 novembre 2002:
La Dow Chemical (ex Union Carbide) avvelena Mestre

3. PANCEVO
*** aprile 1999: la NATO intenzionalmente colpisce i serbatoi di
cloruro di vinile monomero allo scopo di sterminare la popolazione di
Pancevo e dintorni
*** novembre 2004: i media serbi ed internazionali, compresa l'agenzia
ANSA, disinformano sulla principale causa del vertiginoso aumento di
tumori a Pancevo


=== 1 ===

Da: andrea
Data: Ven 3 Dic 2004 17:14:34 Europe/Rome
Oggetto: venti anni fa : Bophal


3 dicembre 1984 : Bophal

Vedi le fotografie al sito:
http://www.magnumarchive.com/c/htm/
FramerT_MAG.aspx?Stat=Portfolio_DocThumb&V=CDocT&E=2TYRYDZY1N7J&DT=ALB

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http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2004/12_Dicembre/02/
bhopal.shtml

CRONACHE - Una nube tossica provocò una catastrofe: decine di migliaia
di morti

Bhopal vent'anni dopo. 555 dollari per il silenzio

I sopravvissuti aspettano i soldi della Union Carbide. In cambio
l'impegno di smettere di protestare

DAL NOSTRO INVIATO
[FOTO: Una donna di Bhopal, rimasta vedova dopo l'incidente della Union
Carbide (Reuters)]


BHOPAL -La tosse: per Arman, Raju e Ajju, che hanno 20 anni nel 2004, è
la colonna sonora della loro vita. La tosse dei loro padri, delle
madri, dei fratelli, delle sorelle, e dei vicini, oltre le sottili
tramezze. Notte e giorno, estate e inverno, le pareti nude di casa
riecheggiano i colpi di tosse. Non arriva e non arriverà mai quello
liberatorio, quello che riuscirà a espellere il male dai bronchi
sconquassati. Sopravvivere alla catastrofe chimica del 3 dicembre 1984
non è stato un grande affare: 240 mesi di tosse e fame e, adesso, 555
dollari e 55 centesimi a testa per smettere di protestare. Per lasciar
finalmente sbiadire sui muri la scritta «Hang Anderson», impiccate
Anderson, rinfrescata ancora ieri e riferita a Warren, l’ex
amministratore delegato della Union Carbide, la fabbrica americana di
pesticidi che ha trasformato una delle più belle e secolari città
dell’India centrale in un assordante lazzaretto di tisici inguaribili.
Venticinquemila rupie per smettere di lamentare cecità, nausee, vomiti
e fitte al petto. Per lasciare che il mondo dimentichi il nome di
Bhopal e le cifre mai precisate della strage.
Tra i sedicimila e i trentamila morti, mezzo milione di superstiti
malconci, 150 mila coi polmoni sfiniti e gli occhi cauterizzati dalla
grande ustione chimica. E nessun processo per stabilire come sia
accaduto.
Arman, Raju e Ajju, classe 1984 come la fuga di 40 tonnellate di gas,
sono amici d’infanzia, cresciuti insieme nelle strade di terra battuta
e pozzanghere di Congress Nagar, il quartiere musulmano a sud del
vecchio stabilimento. Il destino loro e del vicinato quella notte tra
il 2 e il 3 dicembre fu deciso dal vento che inseguì i fuggitivi verso
meridione, con la sua nube carica di isocianato di metile, lo
sterminatore di parassiti campestri, implacabile ingrediente di una
miscela brevettata dalla Union Carbide col marchio «Sevin».
L’efficacia collaudata sugli insetti nei laboratori della Virginia
occidentale diventò evidente, senza microscopio, ingigantita a misura
d’uomo in India. Non erano cocciniglie e pidocchi a contorcersi
nell’erba e nell’asfissia. Donne, uomini, bambini soffocavano nel loro
sangue e nel loro vomito, bruciavano senza fuoco. Minuti, ore, giorni,
mesi, anni: l’agonia si rivelò di proporzioni variabili. Proprio quanto
le stime del disastro, delle conseguenze e delle responsabilità. E
dell’impennata di tumori.
Vent’anni di congetture, che ad Arman, Raju e Ajju non interessano
granché: vogliono solamente 555 dollari e spiccioli ciascuno, al più
presto. «Perché senza quei soldi non possiamo far nulla» dice Arman, il
più loquace del terzetto, accovacciato sul pavimento di casa accanto al
padre, Feroz, venditore di farina, che dorme avvolto in una vecchia
coperta. Per i loro 1.666 dollari e rotti, i tre ragazzi hanno piani
precisi e comuni: «Prima cure mediche private e poi il business». Il
business? «Sì, un negozio. O un’altra attività, che ci permetta di
farci anche una famiglia». Con una ragazza di Bhopal? «Quelle di fuori
sono più sane - parla chiaro Arman, con un guizzo astuto negli occhi -.
Molte ragazze qui invecchiano senza un marito. A meno che siano molto
belle e molto ricche».
Una donna indiana davanti a un muro di Bhopal (Afp)
I tre amici riscuoteranno probabilmente i loro soldi prima di compiere
i 21 anni, e da quel momento nulla potranno più pretendere o
rivendicare per la loro infanzia bruciata e la loro adolescenza rubata
al calcio, al cricket, alla scuola: «Siamo cresciuti analfabeti e
deboli» apre bocca finalmente il timido Raju. Il quotidiano locale,
Sandhya Prakash , pubblica l’elenco dei convocati il giorno dopo in
tribunale, per la distribuzione degli assegni di risarcimento: le
vendite sono triplicate, come il prezzo del giornale, da due a sei
rupie. Dieci centesimi di euro ben spesi per quanti scopriranno di
poter incassare, vent’anni dopo, il corrispettivo della loro salute. O
dei loro morti: fino a un massimo di 100 mila rupie, 2.222 dollari e 22
centesimi, per un genitore o un figlio perduti. E’ la somma
riconosciuta a 3.017 vittime. Respinte altre 12 mila richieste.
Non sono pochi soldi, ma si dissolvono subito nelle mani inesperte dei
poveri, se arrivano a destinazione. E’ già successo con la prima rata,
anticipata dal governo indiano tra il 1991 e il ’96: «Molti si sono
comprati il televisore o sono stati spogliati dagli avvocati» racconta
Rachna Dhinagra, portavoce della Campagna Internazionale Giustizia per
Bhopal. Ora che la Corte Suprema indiana ha sbloccato i 327 milioni di
dollari depositati dalla Union Carbide per 566 mila vittime, si cerca
di scongiurare lo sperpero: «Stiamo organizzando gruppi di assistenza
finanziaria - annuncia Rachna -, suggeriamo di investire in azioni
delle Poste indiane, che rendono il 9 per cento, o di costruire una
casa con pannelli a energia solare».
Nata 26 anni fa a Delhi e cresciuta per 21 a Detroit, Rachna ha
abbandonato una carriera di consulente informatica in un’azienda
americana quando ha scoperto che la sua prima cliente sarebbe stata la
Dow Chemicals, il colosso che aveva assorbito la Union Carbide. E’
tornata in India e ora lavora alla Sambhavna Gynecological Clinic for
Survivors, il Day hospital fondato dallo scrittore Dominique Lapierre
con i diritti d’autore dei suoi successi: «La città della gioia», «I
mille soli» e, naturalmente, «Mezzanotte e cinque a Bhopal».
Lapierre è arrivato ieri sera, trionfalmente accolto dall’armata di
superstiti e attivisti. Le portabandiera sono due cinquantenni, Rashida
Bee e Champa Devi Shukla, che hanno brandito minacciosamente le loro
scope sotto le sedi della Dow Chemical di mezzo mondo, finché non hanno
spuntato i risarcimenti. Contente? «No, vogliamo che i dirigenti della
Dow vengano qui, in ginocchio - risponde Rashida -. Ci riusciremo.
Devono ripulire la fabbrica abbandonata». Le scorie tossiche sono
filtrate nel sottosuolo, hanno raggiunto la falda freatica, che disseta
14 comunità nel raggio di due chilometri: «Ventimila persone si stanno
avvelenando giorno dopo giorno», Rachna cita analisi e studi concordi.
La battaglia legale continua, come la tosse, come la contaminazione,
come le marce e gli scioperi della fame. Perché continua a uccidere
anche il killer, evaso a mezzanotte e cinque del 3 dicembre 1984, da un
sistema di sicurezza governato al risparmio. Un killer che, da
vent’anni, non fa differenza fra uomini e pidocchi.

Elisabetta Rosaspina


=== 2 ===

Bhopal e Porto Marghera:

elaborazione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova


Metil-isocianato è la sostanza che si sprigiona dalle ciminiere di
Bhopal e che causa 20mila morti e 500mila invalidi.

Toluene-isocianato è la sostanza contenuta nella nube sospesa sopra
Mestre e Marghera il 28 novembre di quest'anno [2002].

Ma le coincidenze sono anche altre.
E' la Union Carbide, ora Dow Chemical, a causare la strage di Bhopal.
E' la Dow Chemical la proprietaria dell'impianto esploso a Marghera,
dopo averlo acquisito dall'Enichem nel 2001.
Le vittime di Bhopal non sono ancora state risarcite dalla Dow
Chemical, la quale rifiuta a tutt'oggi di bonificare la zona inquinata,
e di disporre tutele alla popolazione malata.

Una piccola storia di una multinazionale per la quale è stato
privatizzato "un pezzettino" di Porto Marghera .

Bhopal a Bhopal

Bhopal, India, 3 dicembre 1984. Dalle ciminiere della Union Carbide si
sprigiona una nube di fumo impalpabile e dall'odore acre. Gli abitanti
della baraccopoli sono abituati a frequenti fughe di gas tossici,
(l'impianto di allarme è stato disattivato perché suonava in
continuazione), ma questa volta la concentrazione tossica nell'aria è
maggiore. Migliaia di volte maggiore. 20.000 vittime, mezzo milione di
invalidi.

Il responsabile dell'impianto, Warren Anderson, presidente della Union
Carbide si renderà latitante... Diciotto anni dopo la strage, la Union
Carbide non ha ancora iniziato la bonifica del territorio (2), e ha
anzi mandato la polizia contro gli ecologisti che avevano
provocatoriamente iniziato in proprio la bonifica della fabbrica.
Il governo indiano quest'anno ha chiesto una variazione del capo di
imputazione per Anderson, da "Omicidio" a "Negligenza" (1).
La Union Carbide, come risarcimento, ha offerto 470 milioni di dollari
al governo indiano, 800 dollari per ogni invalido permanente, 3.300
dollari per ogni morte causata dal disastro(2.5)...

Il 4 agosto 1999 la Dow Chemical Company annuncia la scalata alla Union
Carbide, delineando con questa acquisizione il secondo polo chimico del
mondo.
La Dow Chemical company è nota in tutto il mondo per aver inventato
"l'agente Orange"(3), un'arma chimica basata sulla diossina, usata
ufficialmente in funzione di defoliante per le operazioni militari in
Vietnam dal 1962 al 1971, arma che ha dimostrato il suo effetto
geneticamente devastante (a tutt'oggi decine di migliaia di bambini
vietnamiti nascono malformati).

Qualche utile informazione sull'agente di distruzione "Orange".
Si tratta di un'arma di distruzione di massa, in possesso della nazione
democratica e pacificatrice del mondo, gli Stati Uniti d'America! Non è
stato un "agente segreto", l'Orange, anche se per lunghi anni coloro
che ne hanno fatto uso volutamente e scientemente ne hanno nascosto gli
effetti sulle popolazioni e sull'ambiente.
Questa arma chimica di distruzione di massa è stata irrorata in modo
pesante su tutto il Vietnam, secondo la parola d'ordine "we will smoke
them out", li staneremo con il fumo, per "stanare" i combattenti
resistenti vietcong dai loro rifugi, come è stato fatto nelle grotte
afgane. Per queste operazioni, trent'anni fa gli Stati Uniti hanno
impiegato 72 milioni di litri di defolianti ed erbicidi, 100.000
tonnellate di bombe al napalm e al fosforo bianco, oltre a gas nervini
e altre armi non convenzionali. Gli agenti chimici venivano riforniti
da Monsanto, Dow Chemical, Hercules, Uniroyal, ecc.
Un medico vietnamita, Le Cao Dai, ha recentemente pubblicato un libro
"Agent Orange in the Vietnam War-Story and Consequences" nel quale
denuncia fatti e misfatti di quei veleni potenti; il peggiore di tutti
per persistenza e per i suoi effetti sull'uomo, sugli animali, e
sull'ambiente, e dunque sulla catena alimentare e sul biochimismo
cellulare, resta l'agente Orange.
La diossina 2,3,7,8-tetraclorodibenzoparadiossina(TCDD), composto
organico clorurato, risulta altamente tossica, tanto da essere
assolutamente proibita per uso agricolo come diserbante.
Per la diossina non si conoscono ne' antidoti ne' agenti decontaminanti
di sicura efficacia, data la sua struttura molecolare altamente stabile
e resistente agli acidi e agli alcali. Sono stati confermati, oltre
agli effetti immediati di tossicità o a scadenza più o meno lunga, come
il cloroacne devastante la cute, anche gli effetti cancerogeni e
mutageni. Sono stati sufficienti poche centinaia di grammi di diossina
dopo il disastro industriale per contaminare nel luglio del 1976 la
zona di Seveso-Meda in provincia di Milano. Sulla foresta vietnamita
sono stati irrorati 44 milioni di litri di agente Orange, pari a 170
chilogrammi di diossina.
Lo scopo delle irrorazioni era duplice, quello di "stanare il nemico" e
quello di inibirne i raccolti e prenderlo per fame, contro tutte le
convenzioni internazionali sul diritto bellico umanitario.
Il medico produce dati inoppugnabili, che attestano che ancora dopo
tanti anni 100.000 adolescenti, nati dopo un lungo periodo dalla fine
del conflitto, soffrono di gravi patologie, e che complessivamente un
milione di vietnamiti abbiano patito per la tossicità da diossina. Ogni
anno migliaia di bambini nascono con malformazioni e patologie, e molte
migliaia di adulti sviluppano malattie e forme tumorali dovute
all'azione dell'Agente Orange.
Ma l'Orange ha aggredito anche i militari americani presenti in
Vietnam, e i reduci veterani e le loro famiglie hanno intentato azioni
legali alle compagnie produttrici dei veleni irrorati usati nella
guerra chimica. Alla fine 70.000 danneggiati sono stati riconosciuti
dai tribunali come colpiti dall'Orange e hanno ricevuto congrui
indennizzi.
Ma chi indennizzerà il popolo del Vietnam?
Sicuramente le malformazioni e le malattie peseranno sulle teste dei
vietnamiti non si sa per quanto tempo, dato che l'azione teratogena e
mutagena può apparire anche nelle generazioni future.
E questo può bastare per capire quanto infame e ipocrita sepolcro
imbiancato sia il guerrafondaio Bush, che cerca dagli altri le armi di
distruzione di massa, che tiene celate nei suoi magazzini chimici e nei
suoi arsenali!

La Dow Chemical è anche una tra le aziende protagoniste
dell'occultamento delle risultanze sperimentali della cancerogenicità
del cloruro di vinile monomero (la sostanza responsabile delle morti a
Porto Marghera).
Questo viene evidenziato da uno studio della rivista "Zadig,
epidemologia e prevenzione", che cita testualmente documenti interni
alla società.
"La Dow si considerava anche «moralmente impegnata ad accertarsi che le
informazioni fornite dalle aziende europee rimanessero all’interno
della società, fino a quando non fosse stata data un’autorizzazione
formale a diffonderle». Per ottenere questo risultato la società aveva
ordinato che nessuno discutesse le ricerche europee, «nemmeno
all’interno della società», a meno che a farlo non fossero persone che
«avevano bisogno di sapere». E anche in questo caso, tale discussione
avrebbe dovuto ottenere un’autorizzazione"(3.5)
Nel 2001 la fusione tra i due imperi economici della chimica è
completa, ma la Dow Chemical -prevedibilmente- rifiuta di riconoscere
alle vittime di Bhopal i danni prodotti dalla assorbita Union
Carbide(4).
Il 9 febbraio 2001 Enichem (controllata di Eni) vende la sua divisione
Poliuretani alla Dow Chemical: è scoccata l'ora dell'ingresso di Dow
Chemical al petrolchimico di Porto Marghera (5); un simile ingresso con
cessione sarà invece impedito a Ravenna da mobilitazioni popolari nel
corso del 2001, a causa del tipo di produzione proposto dalla Dow
Chemical in quel sito; si trattava dell'impianto per la produzione di
glifosato, usato come diserbante nelle coltivazioni di prodotti
geneticamente modificati, resistenti perciò all'azione del glifosato
(6).

Bhopal e Marghera

Il nostro percorso è quasi concluso.
Riassumiamo: nel 1984 la Union Carbide con nubi di metil-isocianato
(2.5) inonda la baraccopoli di Bhopal, il suo massimo dirigente si dà
alla macchia, qualche anno dopo la Dow Chemical la assorbe, la stessa
multinazionale nega i risarcimenti agli indiani, e acquisisce nello
stesso periodo successivamente una fabbrica di Marghera.
E qui la storia si chiude con "l'incidente" del 28 novembre 2002,
quando una nube di toluene-isocianato (7) si diffonde nell'aria di
Marghera ed appesta i polmoni dei suoi abitanti. 4 feriti fra i
lavoratori nell'impianto.

Bhopal a Venezia

Ma la storia ha anche un suo tragico paradosso. Alla Fondazione Querini
Stampalia si è appena conclusa la mostra fotografica Bhopal a Venezia,
organizzata nella città lagunare da Greenpeace, con l'obiettivo
dichiarato di portare l'attenzione in città sulla pericolosità degli
impianti chimici, soprattutto quelli in via di dismissione.
Inutile dire che nel 90% degli articoli che riguardano l'esplosione del
28 novembre non troverete nessun riferimento alla storia della Dow
Chemical e della Union Carbide a Bhopal. A volte un semplice cambio
d'abito aiuta...

PS: la Dow Plastic, settore plastico della Dow Chemical, ha ricevuto
riconoscimenti internazionali per il suo aiuto al piano VNAH
(Assistenza agli handicappati vietnamiti). Qualcuno si era
probabilmente dimenticato che quegli handicaps erano stati provocati da
alcune delle invenzioni belliche della stessa multinazionale, che ora
andava fiera di tanto generoso aiuto…vampirizzazioni..!
(http://www.modplas.com/humanitarian_1102

Ultime notizie sulla Dow Chemical

La multinazionale Dow Chemical fa causa alle sue vittime: questa
incredibile vicenda viene denunciata da Greenpeace e sta accadendo in
India. La Dow, che nel 2001 si è fusa con la Union Carbide, ha chiesto
10 mila dollari ai sopravvissuti della tragedia di Bhopal. Questi si
sarebbero resi colpevoli di aver interrotto il lavoro della Compagnia a
Bombay, avendo promosso una manifestazione di due ore davanti alla sua
sede.
Si tratta dell'ultimo tassello di una tragedia che da 18 anni colpisce
gli abitanti di Bhopal, dopo la catastrofe ambientale avvenuta nella
notte fra il 2 e il 3 dicembre del 1984, per l'esplosione della
industria della fabbrica di pesticidi, dovuta ai tagli sulle misure di
sicurezza: dopo la fuoriuscita di 40 mila tonnellate di gas letali, tra
cui isocianato di metile e acido cianidrico, il bilancio fu di 8 mila
morti nei primi tre giorni, con mezzo milione di persone seriamente
intossicate.
Nel corso degli anni si calcola che siano deceduti almeno 20 mila
abitanti, e che ancora oggi ne muoia uno al giorno per le conseguenze
di quel disastro. Il numero immediato delle vittime fu altissimo, ma le
conseguenze della tragedia furono sicuramente peggiori.
A tutt'oggi l'area del disastro non è stata bonificata e l'impianto è
rimasto nelle condizioni di 18 anni fa, con i prodotto letali ancora
stoccati in bidoni che fanno fuoriuscire il loro contenuto tossico. Di
conseguenza vengono inquinate le falde acquifere e i campi coltivati:
altissimo è ancora adesso il numero di tumori, aborti, e malformazioni
neonatali.
Per indennizzare le vittime è stato stipulato un accordo vergognoso fra
il governo Indiano e la Compagnia, su una base di 473 milioni di
dollari, pari ad una media di 400 dollari per persona deceduta. Si
tratta di briciole, considerando il fatturato annuo pari a 26 miliardi
di dollari.
della Dow Chemical, che ha acquisito la Union Carbide con tutte le sue
attività e benefici, ma che deve accollarsi anche le passività e le
responsabilità del disastro.
Chiaramente gli abitanti di Bhopal si sono dichiarati insoddisfatti.
Pertanto il 2 dicembre scorso, nell'anniversario della catastrofe,
alcune centinaia di donne hanno sfilato sotto la sede della Dow
Chemical, a Bombay, chiedendo alla multinazionale americana di non
ignorare le sue responsabilità.
Le donne hanno consegnato campioni di terra e acqua inquinata,
prelevati dai dintorni della fabbrica dismessa e abbandonata; le donne
avevano in mano le Jhadoo, le scope tradizionali simbolo del potere
femminile, che volevano ricordare alla Dow la necessità di una bonifica
del territorio.
Tra le altre richieste, indennizzi più elevati, ma soprattutto
l'estradizione dagli Stati Uniti di quel Warren Anderson, a quel tempo
amministratore delegato della Union Carbide tuttora ricercato
dall'Interpol.
Le donne venivano ricevute da un funzionario della Dow, che le
rassicurava di far presenti le loro rivendicazioni alle "alte sfere"
della multinazionale. La risposta di queste "alte sfere" è stata la
richiesta di 10 mila dollari di danni per "perdita di lavoro".


(2.5) http://www.panna.org
(3) http://www.corpwatchindia.org/issues/PRT.jsp?articleid=64
(3.5) http://www.zadig.it/
(4) http://www.corpwatchindia.org/action/PRTA.jsp?articleid=1143
(5)
http://www.eni.it/italiano/notizie/comunicati/comunicati01/cs_09_02.html
(6) http://contropiani2000.org/bsf/cs/kontroverso_glisolfato.htm%c3%b9
(7)
http://www.repubblica.it/online/cronaca/marghera/marghera/marghera.html
(8) http://www.greenpeace.it/bhopal/


=== 3 ===

http://www.ansa.it/balcani/serbiamontenegro/20041130175933176674.html

AMBIENTE:SERBIA; ISPEZIONI PANCEVO, CORAGGIOSI CERCANSI/ANSA

(di Beatrice Ottaviano) (ANSA) - BELGRADO, 30 NOV - Apparentemente e'
una cittadina come tante, con il vantaggio di ospitare fabbriche
funzionanti in un paese, la Serbia, dove la disoccupazione si avvicina
al 50% della forza lavoro. Ma Pancevo, una decina di chilometri a est
di Belgrado, e' un vero e proprio 'pozzo dei veleni' che detiene il
poco invidiabile record nazionale di decessi per cancro e leucemia. La
situazione e' talmente grave che da tre anni a questa parte non si
trova nessuno, nonostante offerte di stipendio allettanti, che voglia
prendere il posto di ispettore per l'ambiente. Pancevo ha cominciato a
monitorare solo recentemente, da un paio d'anni, la portata del
disastro, grazie a un programma di aiuti varato dal ministero italiano
per l'ambiente in collaborazione con le province di Venezia e di
Ravenna. I dati sono piu' che allarmanti: solo nell'ultimo fine
settimana i livelli atmosferici di benzene, toluolo e diossido di
carbonio (sostanze tutte altamente cancerogene) superavano di oltre 100
volte la soglia di rischio, senza voler tenere conto di altre sostanze
inquinanti come il diossido di zolfo. ''La casistica sanitaria e'
catastrofica - dice la dottoressa Sonja Dietrov, dell'ospedale locale -
a Belgrado, il centro oncologico ha addirittura battezzato col nome di
'Pancevac' un tipo di cancro ai polmoni. Solo oggi ho personalmente
diagnosticato dieci tumori. La nostra cittadina conta in tutto 140.000
abitanti''. Al primo posto, sottolinea il medico, e' il carcinoma
mammario, seguito dai tumori dell'apparato respiratorio e dalla
leucemia infantile: ''Qui si registra fra l'altro il numero piu' alto
di gravidanze problematiche del Paese'', sottolinea Dietrov. Ma se si
cercano dati precisi e statistiche ufficiali sui decessi, ci si scontra
con un impenetrabile muro di gomma. Il problema di Pancevo nasce da una
concentrazione particolarmente alta di industrie pertrolchimiche - la
cittadina ospita tra l'altro la piu' grande raffineria di petrolio
della Serbia - e di fertilizzanti. Le fabbriche, gia' obsolete, sono
state gravemente danneggiate dai bombardamenti della Nato contro la
Jugoslavia della primavera del 1999, e alcuni impianti sono stati
riattivati in fretta e furia con soluzioni a dir poco provvisorie.
''Sistemi di filtraggio non ce ne sono o non funzionano - dice all'Ansa
Shimon Banciov, uno dei pochi coraggiosi che effettuano i monitoraggi
nell'area - e d'altro canto sono troppo costosi, stando ai direttori
delle aziende''. A un primo sguardo, il centro non sembra
particolarmente inquinato, se si eccettua qualche pennacchio di fumo
dalle ciminiere ''Ma non e' quello che si vede a essere davvero
pericoloso - sottolinea Slavica Jovanovic, giornalista di radio Pancevo
- le sostanze piu' letali sono invisibili e inodori. E le autorita'
locali mentono su tutta la linea. Figurarsi che i dati ufficiali
mettono al primo posto tra i fattori di inquinamento il traffico: ma
Pancevo non e' una metropoli''. ''Questo fine settimana e' stato
particolarmente disastroso - prosegue Jovanovic - e gli enti per la
salute pubblica hanno sfoggiato la consueta ipocrisia: hanno
consigliato ai cittadini di rimanere chiusi in casa con le finestre
sbarrate. La miglior cosa da fare forse era una evacuazione di massa''.
Tra le iniziative rese possibili dall'aiuto italiano, c'e' il
monitoraggio di quello che i cittadini di Pancevo considerano il cuore
del pozzo dei veleni, Vojlovica, un quartiere a sud all'incrocio fra
tre grandi complessi chimici e petrolchimici. ''Quella zona e' anche la
piu' coltivata dagli agricoltori locali - prosegue Jovanovic - per cui
i prodotti che troviamo al mercato contengono tutti la loro brava dose
di sostanze cancerogene. I contadini hanno imparato a mentire quando si
chiede loro dove abbiano i campi''. A Vojlovica, annuncia Banciov,
verra' piazzata una nuova unita' di misurazione appena arrivata
dall'Italia: ''Ho quasi paura all'idea di leggere i dati che ne
verranno fuori. Vorrei raccontarvi quello che potrebbe sembrare un
aneddoto: dato che non abbiamo nostri esperti, abbiamo mandato i dati
di un campione dell'aria di Pancevo a Chicago. Il dottor Martin Eugin,
che ha ricevuto le cifre, ci ha chiesto per tre volte conferma. Ci ha
detto che se le quantita' sono queste, e nessuna immediata misura
verra' presa, siamo di fronte a un reato penale, quello di strage''.
(ANSA). OT 30/11/2004 17:59

VEDI ANCHE:
Pancevo: Come si vive in una città in cui i cittadini possono solo
sognare l’aria pulita / Dieci diagnosi di cancro solo in un giorno a
Pancevo
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3973

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SEE THE ORIGINAL TEXT AT:
http://globalresearch.ca/articles/CHO404B.html

La NATO ha volutamente causato una catastrofe ambientale in Jugoslavia

di Michael Chossudovsky

Con questa sua relazione, pubblicata per la prima volta nel 2000,
Michael Chossudovsky ha fornito un documento definitivo e la prova
fotografica che, contrariamente a quanto dichiarato da vari osservatori
internazionali, la catastrofe ambientale del petrolchimico di Pancevo
non fu un "danno collaterale" (ovvero un incidente di guerra),
tantomeno un caso di negligenza criminale (intesa come il risultato di
un’indifferenza criminale per le conseguenze).
La prova è schiacciante. La NATO fece saltare in aria, intenzionalmente
e meticolosamente, container di sostanze chimiche tossiche con
l’obiettivo di creare un inferno ecologico.


All’inizio della guerra, la NATO aveva dato rassicurazioni all’opinione
pubblica mondiale riguardo alla “precisione nel colpire gli obiettivi”
e all’uso di armi sofisticate, allo scopo di evitare “danni
collaterali”, rischi ambientali inclusi:

“Facciamo tutto il possibile per evitare inutili danni collaterali.
Abbiamo preso la cosa molto sul serio, lavorato sodo, investito molto
tempo per pianificare le missioni.” (1)

Nel complesso petrolchimico di Pancevo, alla periferia di Belgrado,
invece, è successo proprio il contrario. La sorveglianza aerea e
l’utilizzo di immagini termiche satellitari non sono state utilizzate
soltanto per bloccare l’industria petrolchimica jugoslava, ma anche,
appositamente, per generare un disastro ambientale.

I raid aerei sul complesso di Pancevo iniziarono il 4 aprile 1999 e
continuarono inesorabilmente fino al 7 giugno. Del complesso di Pancevo
faveva parte anche una raffineria petrolifera (costruita con supporto
tecnico della Texaco) e un impianto per produrre un fertilizzante
agricolo chimico. L’impianto petrolchimico venne completamente
bombardato (41 bombe e 7 attacchi missilistici). Le aree bombardate si
trovavano a meno di 200 metri da abitazioni civili.

All’inizio del conflitto, gli operai dell’impianto furono coinvolti
nella rimozione dei materiali tossici, svuotando molti grandi serbatoi
e container di sostanze chimiche, soprattutto proprio al fine di
evitare i rischi di “danni collaterali”. Poco a poco capirono che la
Nato li stava osservando attraverso i sistemi di sorveglianza aerea e
da satellite. Le immagini termiche permisero agli strateghi militari
della NATO di sapere quali container erano stati svuotati e quali
rimasti pieni.

Tutti i manufatti nell’impianto di Pancevo, compresi i container pieni
di sostanze chimiche, emettono raggi infrarossi. I misuratori termici
possono captare, da una spia satellitare o da un aereo, i raggi
infrarossi emessi da qualsiasi oggetto collocato situato all’interno
dell’impianto petrolchimico e trasformare le letture in un video ad
alta risoluzione o in una foto.

I misuratori termici possono captare differenze di temperatura di 0,1
gradi, consentendo agli strateghi della NATO di “classificare” e
distinguere facilmente i container pieni da quelli vuoti. Gli aerei da
guerra NATO possedevano diversi sistemi avanzati come sensori
infrarossi e elettro–ottici. Le immagini satellitari termiche furono
trasmesse dal Centro aereo di operazioni combinate (CAOC) di Vicenza,
Italia, dove furono decisi gli attacchi dei bombardieri. Vennero anche
utilizzati altri sistemi di sorveglianza avanzata compresi i piccoli
aerei senza pilota (UAV), e aerei spia d’alta quota U2.
Secondo quanto riferito da un portavoce del Pentagono, l’U2 “scatta la
foto da un’ altitudine molto elevata, la rinvia in America dove viene
analizzata”. Da là “le coordinate esatte dell’obiettivo” vengono
passate al CAOC di Vicenza che poi le “trasmette ai piloti". (2)

Gli strateghi NATO possedevano inoltre informazioni dettagliate sulla
disposizione dell’impianto, pensato e realizzato da una multinazionale
edile americana, la Foster Wheeler (un’impresa specializzata nella
costruzione di impianti petrolchimici). La NATO sapeva benissimo dove
stavano le cose. Con crudele ironia, un investimento statunitense in
Jugoslavia (finanziato con denaro prestato dalla World Bank) è stato
bombardato dallo zio Sam. I piloti in cabina sapevano di distruggere un
impianto “made in America”?

Molti container erano stati svuotati. Usando i rilevatori termici la
NATO era in grado di identificare quali serbatoi erano ancora pieni di
sostanze chimiche tossiche. Tra questi liquidi nocivi c’erano serbatoi
di etilene-dicloride (EDC), etilene, cloro, cloro-idrogeno, propilene,
e cloruro di vinile monomero (VCM). Come ben dimostrato dagli
ambientalisti, il cloruro di vinile monomero (CVM) usato per produrre
materie plastiche (es. resina PVC) è una pericolosa sostanza inquinante
e cancerogena. Può anche provocare danni al cervello e al fegato, oltre
che ai feti con gravi deficienze alla nascita.

Se l’unico intento della NATO fosse stato quello di chiudere
l’impianto, senza rischi ambientali “collaterali”, essa avrebbe potuto
farlo bombardando le attrezzature e i macchinari. Perché colpire con
tanta precisione anche i serbatoi con i liquidi tossici?

Le "bombe intelligenti” non erano stupide: andavano dove gli era stato
comandato. La NATO ha selezionato scrupolosamente i container, le
cisterne e i serbatoi cha contenevano ancora sostanze tossiche. Secondo
il direttore dell’impianto petrolchimico, la NATO non ha colpito
nemmeno un solo container vuoto: “Non è stato un caso, ha scelto di
colpire quelli pieni e le sostanze chimiche si sono riversate nel
canale che sfocia nel Danubio”. Inoltre, secondo il direttore
dell’impianto, le fuoriuscite di etilene–dicloride (EDC) hanno
contaminato 10 ettari di terreno nelle vicinanze dell’impianto (3)

Quando le bombe intelligenti colpirono i loro venefici obiettivi a
Pancevo, liquidi e vapori tossici si diffusero nell’aria, nell’acqua e
nel terreno. I container furono fatti esplodere o perforati
intenzionalmente. Nel complesso petrolchimico il terreno è ancora
imbevuto di etilene-dicloride tossico.
Secondo una relazione del Centro Ambientale Regionale per l’Europa
Centrale e Orientale (REC):

“Nel Danubio sono state riversate più di mille tonnellate di
etilene-dicloride provenienti dal complesso petrolchimico di Pancevo
(attraverso il canale che collega l’impianto al fiume). Più di mille
tonnellate di natrium idrossido fuoriuscirono dal complesso
petrolchimico di Pancevo . Circa 1.000 tonnellate di idrogeno-cloro
confluirono nel Danubio”. (4)

Otto tonnellate di mercurio si riversarono nel terreno. Anche
l’impianto per il trattamento delle acque venne bombardato,
contribuendo così ad aggravare l’impatto ecologico. (5)

Gli strateghi militari NATO sapevano con precisione cosa stavano
facendo e quali ne sarebbero state le conseguenze. Il 4 aprile, nella
raffineria vicina, due missili NATO colpirono le stanze di controllo
uccidendo tre membri dello staff. L’impianto si incendiò riducendosi a
un ammasso di macerie tossiche. Lo scopo era provocare un disastro
ambientale. La NATO si aspettava che, bombardando senza pietà Pancevo e
atre zone abitate da civili, il risultato sarebbe stato di intimidire
Belgrado forzandola ad accettare l’Accordo di Rambouillet, compresa la
famigerata Military Appendix [l'"Allegato B" del testo proposto dalla
delegazione statunitense] che, essenzialmente, garantiva alla NATO il
diritto di occupare tutta la Jugoslavia.

A seguito dei bombardamenti, i Verdi tedeschi e gli esperti del
Programma Ambientale delle Nazioni Unite (UNEP), oltre ad altri gruppi,
visitarono l’impianto di Pancevo. La relazione dell'UNEP tralascia gli
effetti ambientali causati dai bombardamenti, mentre sottolinea, nelle
sue conclusioni principali, che Pancevo e altri impianti petrolchimici
del paese erano già a rischio ecologico, ancor prima dei bombardamenti,
a causa del basso livello degli standard ambientali. (6)
La relazione UNEP usa attentamente le parole per fungere da copertura.
Copre la NATO, minimizza la serietà della catastrofe ambientale, mentre
biasima (senza fornire prove) le autorità jugoslave. Il sostegno tacito
dell'UNEP alla legittimità dell’alleanza militare occidentale arriva a
fargli formulare risultati che contraddicono quelli di altri studi
scientifici, compresi quelli del Regional Environment Center per
l’Europa Centro-orientale (REC), realizzati per la Commissione Europea.
(4).

La complicità dell'UNEP, un’agenzia specializzata dell’ONU che ancora
si ritiene mantenga un minimo di integrità, è un ennesimo sintomo del
deterioramento del sistema delle Nazioni Unite che sta svolgendo un
fondamentale ruolo nel fornire copertura ai crimini di guerra della
NATO.

[ FOTO: 1. Una "bomba intelligente" ha colpito questo container con
precisione assoluta 2. Il container sulla destra e' stato bersagliato
dalla NATO perche' era pieno di VCM, altamente cancerogeno. (Vedi alla
URL:
http://globalresearch.ca/articles/CHO404B.html) ]

Note

(1) Dichiarazione del Generale Chrles Wald del Pentagono, Dipartimento
Difesa, Conferenza Stampa, Washington, 12 Aprile 1999.
(2) Dipartimento Difesa, Conferenza Stampa, Washington, 14 maggio 1999.
(3) Intervista realizzata dall’autore a Pancevo, Marzo 2000
(4) Si veda la relazione del REC intitolata “Valutazione dell’impatto
ambientale delle attività militari durante il conflitto in Jugoslavia”:
http://www.rec.org/REC/Announcements/yugo/background.html
(5) Intervista realizzata dall’autore a Pancevo, Marzo 2000
(6) Relazione UNEP dal titolo “Conflitto in Kosovo: Conseguenze per
l’ambiente e la popolazione”, realizzata per la Commissione Europea:

www.grid.unep.ch/btf/final/index.htmlhttp://www.grid.unep.ch/btf/final/
index.htm

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