http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/3717/1/51/

Minoranze nazionali in Slovenia: segreto di Stato

16.12.2004 - Il governo sloveno prima commissiona una ricerca e poi la
secreta. Perché? Non è ancora chiaro, probabilmente veniva sostenuto
che alle minoranze nazionali occorre garantire più diritti. Un articolo
tratto da TOL e tradotto a cura di Osservatorio sui Balcani.
Di Borut Mekina – TOL


I progetti di ricerca secretati solitamente evocano immagini di
scienziati concentrati su programmi di missili balistici o su
tecnologie legate ad armi nucleari. In Slovenia, questa segretezza,
sembra invece riguardare un programma di ricerca sulle minoranze
nazionali.Circa il 10% dei cittadini sloveni sono albanesi, bosniacchi
(mussulmani di Bosnia), croati, macedoni, montenegrini o serbi. Tutti
gruppi etnici che in passato vivevano in uno Stato comune jugoslavo,
assieme agli sloveni.

Ma ora il loro status è divenuto una questione tanto delicata che una
ricerca sul tema, preparata dal rinomato Istituto sugli studi etnici, è
stata secretata dal governo.

Il gruppo di ricercatori è rimasto sorpreso e deluso quanto gli stessi
funzionari che avevano commissionato lo studio li hanno informati che
non poteva essere pubblicato. Il rapporto di 333 pagine è stato
consegnato al governo nel dicembre del 2003 ma solo ora la questione è
divenuta di dominio pubblico.

Una questione delicata

Vera Krzisnik-Bukic a capo del gruppo di ricerca ritiene che non vi sia
alcun motivo per secretare il rapporto e le questioni di cui tratta.
“Questa ricerca non può essere e non è contro lo Stato o la società in
generale. Al contrario chiarisce la questione specifica e suggerisce
possibili soluzioni”, ha affermato.

Ma il governo non condivide il suo punto di vista.

Il responsabile dell’Ufficio nazionale sloveno sulle minoranze, Janez
Obreza, ha spiegato in una lettera rivolta al direttore dell’Istituto:
“Vorrei sottolineare che questa è una questione molto importante ed
allo stesso tempo delicata che deve essere affrontata dal governo. Il
governo inoltre deciderà se pubblicare o meno la ricerca. Sino ad
allora la ricerca verrà considerata materiale riservato in conformità a
quanto stabilito dalla legge”.

Al cuore della disputa vi è la questione di quali gruppi minoritari
debbano godere di quali diritti.

In Slovenia sono tre le minoranze nazionali che godono di una
protezione costituzionale specifica: gli italiani, gli ungheresi e, in
una certa misura, i rom.Hanno il diritto di utilizzare la propria
lingua in procedimenti ufficiali, nel campo dell’educazione, nella
pubblica amministrazione e presso le corti. Italiani ed ungheresi, nel
complesso circa 10.000, hanno anche propri rappresentanti presso il
parlamento sloveno.

Il loro alto livello di protezione contrasta notevolmente con lo status
di quelle 170.000 persone che il governo sloveno descrive come
“immigrati per motivi economici”, persone che risiedevano nella
ex-Jugoslavia e che non godono di alcun diritto collettivo.

Pressioni per migliorare la loro situazione sono recentemente arrivate
da parte della comunità internazionale. Il Commissario per i diritti
umani del Consiglio d’Europa, Alvaro Gil-Robles, ha visitato la
Slovenia lo scorso anno ed ha suggerito di ripensare la distinzione tra
minoranze etniche autoctone e non-autoctone, e cioè quella tra
minoranze etniche “nuove” ed “indigene”.

I suoi commenti sono stati una sorpresa spiacevole per coloro i quali
in Slovenia sostenevano che le modalità di protezione delle minoranze
in Slovenia dovevano essere da esempio per altri Paesi. Ciononostante
molti esperti ritennero in quell’occasione che Gil-Robles si era spinto
troppo oltre e che la sola ragione per la quale la Slovenia non ha
pubblicamente protestato per la sua dichiarazione sia legata a
gentilezza diplomatica. Pochi Paesi dell’Unione europea hanno garantito
agli immigrati recenti diritti collettivi particolari. Ma la
sensibilità causata dal violento disfarsi della Yugoslavia ha anche
contribuito a far crescere la consapevolezza su questa questione
specifica sia tra le minoranze che tra la maggioranza della popolazione.

Per quasi un anno queste comunità etniche, rappresentate da 64
associazioni, hanno avuto un loro coordinatore, Ilija Dimitrijevski.
Nell’ottobre del 2003 chiesero pubblicamente, e per la prima volta, di
avviare una revisione costituzionale a loro favore. Dimitrijevski,
macedone, disse che volevano ottenere due cose: un riconoscimento
ufficiale della loro dignità ed uno status speciale in grado di
salvaguardare i loro valori culturali.

Fahir Gutic, che rappresenta l’associazione Comunità culturale della
Bosnia, ha spiegato che “a causa del fatto che non abbiamo alcuno
status speciale, l’Associazione per la protezione degli animali riceve
più fondi di tutti noi messi assieme”.

Dimitrijevski suggerisce che i nomi di tutte le minoranze nazionali
vengano elencati nella Costituzione slovena.

Migranti economici o minoranze nazionali?

Vi sono alcune indicazioni secondo le quali il rapporto commissionato
dal governo sarebbe stato secretato poiché sosteneva che la Slovenia,
in adempimento al diritto internazionale, avrebbe dovuto riconoscere
questi gruppi come minoranze e garantire i conseguenti diritti.

Krzisnik-Bukic ha dichiarato pubblicamente che a suo avviso questi
gruppi sono oggetto di discriminazioni ed hanno bisogno di una
protezione collettiva.

Alcuni sondaggi realizzati presso queste comunità minoritarie mostrano
che il 9.6% dei cosiddetti “immigrati economici” originari delle altre
Repubbliche della ex-Yugoslavia dichiarano di subire spesso
l’intolleranza etnica, il 36,3% solo saltuariamente. Queste cifre
possono essere facilmente comparate con i pregiudizi e le xenofobia
riscontrate dagli immigrati in altre parti d’Europa, ma ciononostante
vi è una differenza importante.

Le minoranze slovene sono nel Paese o dal 1878, quando l’Impero
austro-ungarico si espanse inglobando la Bosnia, oppure arrivarono in
seguito alla Seconda guerra mondiale quando la gente della regione
iniziò a vivere assieme all’interno della cornice di un unico Stato.

In altre parole, non sono immigrati nel vero senso della parola, dato
che la maggior parte di loro non ha mai superato una frontiera
internazionale per stabilirsi in Slovenia.

Un recente rapporto dell’Ufficio statistico sloveno mostra come la
immigrazione in Slovenia dalle altre Repubbliche della ex-Yugoslavia ha
iniziato a crescere solo dopo la Seconda guerra mondiale. Il picco è
stato raggiunto tra il 1978 ed il 1982, per poi progressivamente
decrescere durante la crisi economica degli anni ’80.Tra il 1954 ed il
2000 circa 360.000 persone si trasferirono in Slovenia, 160.000 in modo
permanente. Questa migrazione letteralmente cambiò la struttura di
questo Paese di due milioni di abitanti. Il primo censimento risalente
al 1953 individuava un 3% della popolazione di non-sloveni; nel 2002
l’83% degli abitanti della Slovenia si dichiarò “sloveno” mentre molti
decisero di non dichiarare alcuna identità etnica.

Questo cambiamento demografico emerge anche chiaramente dai sondaggi.

Già nel 1970, prima della grande ondata di migrazione interna alla
Yugoslavia, il 42.5% degli intervistati di un sondaggio dichiarava di
non vedere di buon occhio che persone da altre parti della Yugoslavia
si trasferissero in Slovenia per lavorare. Nel 1986 circa il 60% degli
intervistati di un altro sondaggio dichiarava che la migrazione interna
doveva essere bloccata o perlomeno limitata. Questa forte
insoddisfazione popolare è stato anche uno degli argomenti principali a
favore di una Slovenia indipendente nel 1991.

L’opinione di Krzisnik-Bukic che a queste cosiddette “nuove minoranze”
vadano garantiti determinati diritti collettivi è oggetto di disputa
all’interno dello stesso Istituto nel quale lavora.

Il direttore dell’Istituto, Mitja Zagar, che desidera lo studio venga
pubblicato il prima possibile, ha cautamente notato come gli esperti
siano ancora divisi sulla questione. Un altro ricercatore, Miran Komac,
afferma che è in pratica impossibile introdurre nuovi diritti
collettivi ma aggiunge poi che spetta al governo considerare queste
richieste nel contesto della protezione culturale, per evitare tensioni
etniche.

Ljubo Bavcon, un rinomato esperto di diritti umani che ha rivelato
l’esistenza della ricerca secretata, non si sbilancia a favore o contro
le conclusioni di quest’ultima. Ma ha tenuto ad affermare che “è
inconcepibile che questa ricerca venga tenuta segreta. Ritengo questo
sia un grosso abuso della legge”.

Ha aggiunto che questo gruppo di 170.000 persone ha il diritto di
preservare la propria identità culturale e che la Slovenia “ora deve
decidere se seguire una politica di assimilazione o di integrazione”.

In conclusione l’intera vicenda potrebbe dipendere dalla politica o,
più precisamente, dalle negoziazioni in atto tra il governo ed i
rappresentanti di queste minoranze.I diversi gruppi sono riusciti a
superare le conseguenze più amare lasciate dalla guerra nella
ex-Yugoslavia che li ha divisi e sta trovando un linguaggio comune.

Ma il nuovo governo di centro-destra in Slovenia ha costruito la
propria popolarità, tra le altre cose, sul suo pugno duro rispetto a
coloro i quali arrivarono in Slovenia ai tempi della Yugoslavia.

Arrivare ad un compromesso implicherà negoziazioni molto delicate, il
cui esito è del tutto incerto.


Vedi anche:
Slovenia: cancellati, vergognoso silenzio della Commissione europea
http://www.osservatoriobalcani.org/article/view/3000
Slovenia: scheletri nell'armadio
http://www.osservatoriobalcani.org/article/view/2892