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> Da: "Opera Nomadi" <operanomadi @ tiscalinet.it>
> Data: Gio 20 Gen 2005 19:11:01 Europe/Rome
>
> Oggetto: iniziative giornata memoria Opera Nomadi inviti

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Opera Nomadi

Porrajmos lo sterminio dimenticato dei Rom e dei Sinti

Gennaio 2005

Altre iniziative A ROMA:

(...)

25 gennaio ore 11:30
c/o Scuola M.S. "F. Parri"
(Via Olcese 28, zona Tor Tre Teste)

26 gennaio ore 16:00
c/o Biblioteca Comunale Ostiense
(Via Ostiense 113a)

27 gennaio ore 18:00
Fiaccolata
(vedi sotto)

Le manifestazioni prevedono, oltre alla testimonianza e all’intervento
di testimoni e studiosi, la presentazione del libro:

“Il Porrajmos dimenticato, la persecuzione dei Rom e dei Sinti in
Europa"

Realizzato dall’Opera Nomadi con il contributo dell'Unione Comunità
Ebraiche Italiane (Fondo legge 249/2000) e la proiezione del DVD
allegato al libro

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OperaNomadi Sezione Lazio
Ente Morale (DPR 347-26.3.1970)

in collaborazione con
COMUNITA’ EBRAICA di Roma
ANPI

27 Gennaio 2005
GIORNATA della MEMORIA
60° della Liberazione

Ore 18.00 Fiaccolata
da Piazza Santa Maria Maggiore a Via degli Zingari
davanti alla Lapide commemorativa del Porrajmos (sterminio) dei Rom e
Sinti

Presiederanno:

On. le Raffaela Milano
Assessora Politiche Sociali e Sanitarie

comandante
Massimo Rendina
Presidente ANPI

Ahmet Sejdic
Partigiano jugoslavo
rom

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Il Porrajmos dimenticato

Le persecuzioni di Rom e Sinti in Europa

Edizione Opera Nomadi
Con il contributo
dell'Unione comunita Ebraiche Italiane
Fondo Legge 249/2000

a cura di:

Giorgio Bezzeccht Maurizio Pagani, Erika Rossi, Francesco Scarpelli,
Tommaso Vitale,
con la collaborazione di Michele Sasso

ricerca fotografica e coordinamento redazionale:

Francesco Scarpelli progetto grafico e art direction:

Antonio Boni progettazione multimediale DVD:

Mala (www.malasystem.com)


ringraziamenti:

Gloria Arbih, Giovanna Boursier,
Fabio Lossani, Roberta Migliavacca,
Marcelllo Pezzetti, Cedec di Milano,
Drop Out Officina dell'Immagine,
Alberto Melis
Prefazione

Zingari? Rom, Sin ti, Kalè.

La persecuzione da parte delle dittature nazifasciste del XX secolo non
è che un capitolo della lunga storia di pregiudizi e malversazioni che
il popolo Rom, che chiamiamo zingaro, ha subito e subisce, al punto che
molti ancora oggi sono restii a dichiarare la loro identità di fronte a
un Gagiò, un estraneo.

Ancora oggi, in Europa, gli zingari sono considerati un problematico
«corpo estraneo», dalle istituzioni prima ancora che dagli abitanti. A
dispetto di molte realtà sono definiti nomadi, la cui presenza va
rieducata, se non scoraggiata. In certi Land tedeschi vigono ancora
norme naziste che vietano la circolazione e la sosta di carovane e
roulotte zingaresche. In Italia, decine di interrogazioni parlamentari,
centinaia di interventi da parte delle amministrazioni o dei singoli
esponenti politici e istituzionali segnalano la persistenza di tutti i
pregiudizi più scontati. Sono sporchi e portano malattie,' sono furbi e
vagabondi, rubano le auto e svaligiano gli appartamenti. Nel 2000 il
sindaco di Cernusco sul Naviglio, vicino a Milano, cercava volontari,
che avrebbe pagato 2.500 Euro tratti dal bilancio comunale, per
spargere liquame su di un 'area dove alcuni rom avevano fermato le
proprie roulotte. Secondo il sindaco era un «atto di giustizia» per
risarcire i «danni» recati al benessere dei «cittadini».
Salvo eccezioni non si può dire che l'ostilità sia minore nella
società, fra la gente comune. A Roma, per dire di un imbroglione, si
dice che <fa lo zingaro», e «zingaro» è il colera in alcune zone della
Puglia e della Basilicata. Per non parlare dello spauracchio che li
dipinge come rapitori di bambini. Quello dello zingaro, insomma, è
ancora un cliché al negativo che si riflette nella rappresentazione dei
mezzi di comunicazione come nélle politiche amministrative.' non
concittadini, ma estranei, il cui contatto risulta pericoloso per gli
individui e per la società ospitante.
Chi studia la realtà sociale europea, segnala che sono proprio gli
zingari, oggi, i più esposti al rischio di esclusione, di
comportamenti e azioni xenofobe, razziste e persecutorie. Tutto ciò
mentre, senza rinunciare alla loro identità, si sono aperti alla
cultura dominante, la nostra, come mai era accaduto prima. In primo
luogo perché oggi possono frequentare le nostre scuole, e poi perché
anche loro condividono con noi l'immaginario prodotto dalla TV
I tempi sarebbero maturi, per tentare di comporre una dicotomia
lacerante, che accompagna questo popolo da quando è giunto in Europa, e
che ha
raggiunto il suo tragico culmine nella prima metà del novecento ma se a
farla da padrone restano diffidenze pregiudiziali e politiche sociali
emarginanti, talvolta conflittuali con gli stessi principi del moderno
Stato di diritto, risulta impossibile giungere a un maggiore livello di
integrazione sociale. Favorire questa integrazione tramite la
conoscenza e la comprensione delle radici storiche e sociali che hanno
prodotto la situazione di oggi, è proprio lo scopo di questo lavoro,
che ci ha impegnati per quasi due anni, e che intende fornire strumenti
di indagine e di approfondimento sulla storia degli zingari e delle
loro secolari tragedie.
Un libro dunque, corredato da una ricca bibliografia, che ricostruisce
il percorso degli zingari europei seguendo un 'ottica
interdisciplinare, e che si chiude con l'intervento di Tommaso Vitale,
docente di Sociologia all 'Università Bicocca di Milano, sulla
condizione odierna a Milano e in Italia. Un DVD-Rom multimediale,
ancora, che segue l'impostazione del libro e raccoglie, oltre a un
documentario sulla persecuzione in Italia (Porrajmos, una persecuzione
dimenticata), interviste e testimonianze video rilasciate da
sopravvissuti, e numerosi documenti storici e fotografici, offerti a
insegnanti e studenti per preparare lezioni e avviare ricerche, tesi e
dossier. Per cominciare a conoscere. Per non dimenticare.
Per ricordare che la nostra civiltà, a sessant'anni dal Porrajmos
(1ermine che, come Shoah per gli ebrei, indica lo sterminio o, in senso
letterale, distruzione, divora mento), ha il dovere di sorvegliare, di
non dimenticare le proprie responsabilità, e soprattutto di avere ben
presente che esiste un universo umano degno di rispetto anche dietro
all'espressione «zingaro».
Un 'espressione che alla fine, con l'ironia di chi viaggia e conosce,
loro stessi hanno imparato ad accettare, anche se preferiscono
chiamarsi Sinti, che contiene la radice fonetica della più antica
provenienza, o Kalè, in Spagna, che ancora risuona di India.
E soprattutto Rom, che non vuol dire nomade, ma uomo libero.

Francesco Scarpelli, Frika Rossi

Introduzione

Una delle difficoltà nelle quali ci siamo imbattuti in avvio di lavoro,
è stata la distinzione fra storia e memoria: la prima quale
ricostruzione dei fatti accaduti, che ormai appartengono al passato la
seconda come fenomeno in continuo divenire che appartiene al presente.
E’ il tempo presente, ormai si sa, a scandire il trascorrere dell
'esperienza colletti-va del popolo Rom, che non ha forma scritta per
trasmettere la propria parola (ma ben più impellenti problemi legati
alla sopravvivenza quotidiana), messa così da parte o più facilmente
ignorata dalla civiltà della scrittura. La scarsità delle fonti
disponibili in Italia, invece, continua a costituire un limite per la
ricerca storica sul Porrajmos, licenziando in modo sommario e
superficiale riletture assolutorie o revisionistiche degli eventi, tese
a minimizzare anche in questo ambito il peso del fascismo sulla storia
nazionale, le deportazioni, le stragi, il genocidio.
L'assenza nel nostro Paese, negli anni che precedettero la guerra e poi
durante il secondo conflitto mondiale, di un 'esplicita legislazione
razziale relativa agli zingari, non deve trarre in inganno.
In realtà già gli scritti sugli zingari degli scienziati Renato Semizzi
e Guido Landra, consulenti di Mussolini ed estensori delle Leggi
razziali, segnarono, fra il 1938 e il 1940 una prima svolta
significativa e poi un cambio di rotta repentino nella politica del
Regime. Inoltre l'ampia discrezionalità nell'applicazione estensiva di
alcune norme antiebraiche e il ricorso a disposizioni prefettizie in
materia d'ordine pubblico consentirono l'invio al confino e
l'internamento nei campi di prigionia dei rom sul territorio nazionale
o la deportazione verso lager nazisti, segnando una continuità di
sostanza con quanto di più cruento ed efferato andava avvenendo ad
opera dei tedeschi nei territori dell'Europa Orientale. I mm stranieri,
insieme a saltibanchi e girovaghi, vennero a trovarsi nel mirino della
polizia fascista già dal 1926, respinti oltre frontiera benché
provvisti di regolare passaporto. Nel 1938 ebbero inizio nelle regioni
del Nord Est vari rastrellamenti e deportazioni in massa di famiglie
rom verso il meridionale e le isole. La repressione mostrò ben presto,
dal 1941, in conseguenza dell'occupazione nazifascista dei territori
jugoslavi, il suo aspetto più cruento ad opera dei nazionalisti
ustascha di Ante Pavelic, che, in più occasioni, tra il 1929 e il 1941,
avevano trovato protezione e rifugio in Italia, per volere dello stesso
Mussolini.
In seguito alle prime disposizioni d'internamento inviate dal Capo
della Polizia di allora, Arturo Bocchini, ai Prefetti del Regno e al
Questore di Roma con Circolare dell'li settembre 1940, zingari
stranieri e italiani furono arrestati e trasferiti nei campi
provinciali allestiti dal Ministero dell’Interno a Bolzano, Berra,
Boiano, Agnone, Tossicia, Ferramonti, Unchiaturo e nelle isole, tra cui
la Sardegna, la Sicilia e le Tremiti, in regime di internamento libero,
in cui i rom
si dispersero, sprovvisti di ogni mezzo di sussistenza.
Nel 1941, con Circolare 27Aprile, il Ministero emise quindi un ordine
esplicito finalizzato all'internamento degli zingari italiani, che
andarono ad aggiungersi, in molti casi in luoghi destinati
esclusivamente a loro, agli oltre cinquanta campi destinati
all'internamento civile. Ad Agnone, nei pressi di Campobasso, vennero
così a trovarsi zingari jugoslavi a cui si aggiunsero dal luglio 41
cinquantotto rom provenienti dal campo di Boiano (rinchiusi nei quattro
capannoni di un ex tabacchificio), in condizione di estrema indigenza e
di pessima igiene. A Tossicia vennero rinchiusi 118 rom sloveni, che
trovarono scampo con la fuga, dopo l'otto settembre del 1943, unendosi
in Emilia, Liguria e Piemonte, anche alle milizie partigiane, nelle cui
fila combatterono alcuni rom e sin ti insigniti della medaglia d'oro
per la Resistenza.
I documenti disponibili non possono raccontare tutto, specie quando
sono trascritti solo da altri, perché trascurano la dimensione orale e
sociale delle testimonianze raccolte tra i sopravvissuti, e che invece
ci portano a rifiettere su una condizione dei rom molto più critica e
pericolosa, conseguenza dell'adesione del Regime a una più ampia
politica razziale estesa anche agli zingari. Tranne che in studi più
recenti, «la memoria custodita nelle comunità rom» è stata di fatto
ignorata, tralasciando di indagare i racconti dei perseguitati e di
incrociarli con i dati riscontrabili negli archivi statali, comunali,
delle questure e dei giornali dell’epoca, rimuovendo e tacendo un vuoto
storico e una forte responsabilità sociale. I piani di sterminio del
popolo rom vennero attuati non solo nei territori annessi dal dominio
nazista ma anche dai governi collaborazionisti, in particolare in
Romania e Jugoslavia, che furono, con la Polonia, tra i principali
teatri di questa efferata persecuzione. Molto si è scritto sul «campo
zingari per famiglie» il famigerato Zigeunerlager di Auschwitz
-Birkenau e sugli esperimenti condotti su cavie umane dal Dottor
Mengele e dai suoi collaboratori, i cui crimini sono rimasti largamente
impuniti. Poco o nulla si conosce, invece, della tragedia del campo di
Jasenovac, in Croazia, attivo dal novembre 1941 al 25 Aprile 1945 nella
regione di Lonja, presso la linea ferroviaria Zagabria - Belgrado, che
rappresenta l'altro luogo simbolo dei crimini commessi contro il popolo
rom dagli ustasha collaborazionisti. La persecuzione di rom e sinti in
territorio croato è già attiva nel luglio 41, prima con la schedatura
delle famiglie ad opera dei comuni, delle polizie locali e delle
prefetture, poi con i primi trasporti (29 aprile 41 da Zagabria – 300),
persone, e nel 42 la deportazione verso i luoghi di internamento
diventa di massa. Jasenovac, istituito sotto il nome di «comando dei
campi di raccolta e di lavoro», prevedeva la gestione di cinque
sottocampi: uno di questi Stara Gradisca, denominato il mattonificio,
per lungo tempo rappresentò la parte più spietata dell'internamento in
quanto «campo della morte principale», desti-
nato alla liquidazione di persone pericolose e sgradite per l'ordine
pubblico e la sicurezza.' ebrei, serbi, antifascisti croati ma
soprattutto zingari. il numero delle vittime di Jasenovac, stimato
dalla Commissione di Stato dcll'ex Jugoslavia si attesta fra le
seicento e le ottocentomila unità, una cifra non precisa, in quanto gia
nell'aprile del 1945 gli ustasha avevano eliminato quasi ogni traccia
dei loro crimini, distruggendo elenchi di vittime, riesumando cadaveri
per bruciarli e distruggendo gli edifici del campo. In Serbia l'armata
tedesca della Wehrmacht perseguitò e uccise in modo sistematico la
popolazione rom. Non c'è dunque modo di conoscere l'esatto numero di
quanti morirono nei campi di concentramento, o di fame e di freddo in
tutta Europa. Interi gruppi sparirono da zone di antico insediamento,
come l'Olanda, insieme alla generazione degli anziani, depositari del
sapere e delle tradizioni. Non solo i limiti della precisione
statistica e lo stato di guerra generalizzato, ma la stessa struttura
sociale dei gruppi e il loro prudente mimetismo, che rendeva parziale
il censimento anagrafico dei nuclei familiari, la forte dispersione
territoriale, le sommarie registrazioni degli internati e la
distruzione dei documenti rendono arduo anche un calcolo
approssimativo. I fatti che col trascorrere del tempo sono emersi dalle
testimonianze e dai documenti ritrovati, hanno riproposto la
comparazione di un destino comune fra ebrei e zingari: che cioè
quest'ultimi, fatte salve le distinzioni, siano stati perseguitati, al
pari dei primi, in quanto biologicamente esistenti e non, come
sostenuto fin dall'immediato dopoguerra, per la loro presunta
asocialità. Senza contare che anche per sinti e rom vale ciò che
qualcuno ha sostenuto ovvero: «non è … verosimile il ritrovamento di un
ordine scritto da Hitler circa lo sterminio degli ebrei europei...
quanto maggiore è il crimine, tanto minore è la possibilità che se ne
trovino prove scritte al livello più alto di un Governo...». Oblio
degli eventi e obbligo morale di dichiararsi a favore della memoria
scadono, oggigiorno, talvolta, nel pericolo di un facile conformismo,
una banalizzazione del male tale da esorcizzare e liquidare la
questione della colpa e delle responsabilità che rimangono in molti
casi ancora aperte.
A sessant'anni dalla liberazione di Auschwitz, occorrerebbe che la
società tutta si interrogasse sulle vicende di quel passato e al
rapporto tra i popoli europei e quello zingaro, e su quanto
insidiosamente le ideologie di ieri si nascondano in molte critiche e
pregiudizi dell'oggi.

Maurizio Pagani,
Vicepresidente Opera Nomadi Milano Coordinatore del Progetto

Giorgio Bezzecchi,
Ricercatore e Segretario Nazionale Opera Nomadi