Elezioni in Iraq. Un maquillage provvisorio
 
I conti non tornano ed i mass media hanno dato il peggio di sé
 
Editoriale di Radio Città Aperta del 31.01.2005
 

Alle cinque del pomeriggio di domenica (le quindici ora italiana), si
sono chiuse le urne per le elezioni in Iraq. I primi incespicamenti
sono cominciati proprio sui dati dell’affluenza alle urne. Una
settimana prima del 30 gennaio, il presidente statunitense Bush aveva
profetizzato in una conferenza stampa che l’affluenza sarebbe stata del
72%, ed effettivamente per almeno due ore e mezzo, le agenzie
internazionali e le televisioni di domenica 30 gennaio hanno tenuto
bordone alla profezia di Bush, passando per buono il dato del 72%. Nel
primo pomeriggio il nuovo segretario di stato americano Condoleeza Rice
dichiarava che le cose stavano andando meglio del previsto. Intorno
alle 17.00 (ora italiana) la Commissione elettorale irachena doveva
smentirsi rivelando che l’affluenza era…del 60% e che quella del 72%
era una stima  (essendo una stima annunciata da Bush era diventata una
verità). Ma le agenzie di stampa e i colonnini delle televisioni
continuavano a mantenere in evidenza la dichiarazione di Condoleeza
Rice di tre ore prima secondo cui “le cose stanno andando meglio del
previsto”.
 
Ed i risultati elettorali? I primi si sapranno dopo una settimana, i
definitivi dopo dieci giorni. Motivo? La sicurezza ovviamente, lo
stesso motivo per cui la gente doveva votare candidati anonimi in
quanto non erano scritti sulle liste. Ma in Iraq c’erano osservatori
internazionali? Si, c’erano tra i 19 e i 25 funzionari delle Nazioni
Unite coordinati dal rappresentante Carlos Valenzuela integrati in una
squadra di 50 esperti internazionali delle Nazioni Unite e di altre
organizzazioni (tra cui il famigerato International Crisis Group creato
da George Soros). Ma anche i funzionari delle Nazioni Unite non si sono
sottratti alle gaffe sulla valutazione dell’affluenza al voto, infatti
per ore hanno tenuto bordone alla versione del 72%, dopodichè devono
essersi resi conto che la cosa non era gestibile.
 
 
Per le elezioni in Iraq gli aventi diritto erano circa 14.200.000 a cui
vanno aggiunti circa 1.200.00 iracheni residenti all’estero. Di questi
ultimi si sono registrati per votare meno del 25% (circa 280.000) , il
numero più alto di iracheni all’estero registratisi è in Iran, il più
basso in Francia e Turchia. Il 60% di affluenza alle urne dichiarato in
Iraq, è un dato “assai dilatato” perché se sono otto milioni gli
iracheni che sono andati a votare, ne mancherebbero - per far quadrare
il dato dichiarato- più di mezzo milione, altrimenti il dato
scenderebbe di almeno 6 punti percentuali, il che si avvicina alle più
realistiche previsioni fatte dalla IECI (la Commissione Elettorale
Indipendente Irachena) che parlavano di un 50% di affluenza.
 
Gli osservatori confermano che nelle città delle province centrali
sunnite i seggi erano deserti, ma che anche nel sud sciita o nei
quartieri sciiti di Bagdad l’affluenza non è stata così massiccia. Alle
elezioni hanno dunque partecipato praticamente solo i kurdi (che hanno
votato massicciamente) e circa la metà degli sciiti.
 
Al boicottaggio delle elezioni non avevano chiamato solo le forze che
animano la resistenza armata, ma anche coalizioni di forze politiche
interetniche ed interreligiose come l’Iraqi National Foundation
Congress composto da personalità e da una trentina di partiti; il
leader sciita Moqtada Al Sadr ed intellettuali laici che avevano
firmato la dichiarazione promossa da Mussa Al Husseini. Si tratta di
settori importanti della società irachena.
 
 
Elezioni-vetrina. A dicembre si vota di nuovo.
 
Queste elezioni sono servite per eleggere due istanze a livello
iracheno e tre a livello delle province kurde:
 
1)      l’Assemblea Nazionale di transizione composta da 275 membri che
funzionerà da parlamento fino allo svolgimento di elezioni per un
organo permanente;
 
2)      I consigli regionali delle 18 province irachene, composti da 41
membri ciascuno, tranne Bagdad che deve eleggerne 51
 
3)      L’Assemblea Nazionale del Kurdistan solo per le tre province
del Nord Iraq composta da 111 membri.
 
Una volta eletta, l’Assemblea nazionale dovrà scegliere un presidente e
due vicepresidenti che daranno vita al Consiglio di Presidenza che a
sua volta nominerà il primo Ministro e i componenti del governo.
Inoltre l’Assemblea Nazionale dovrà stendere entro il 15 agosto 2005
una Costituzione che dovrebbe essere approvata con un referendum da
tenersi entro il 15 ottobre di quest’anno. Se la Costituzione verrà
approvata, nel dicembre 2005 si terranno nuove elezioni per il governo
vero e proprio. Di fatto, queste elezioni per la maggioranza degli
iracheni sono state più una vetrina internazionale ad uso e consumo
dell’occupazione militare della coalizione guidata dagli USA che un
dato sostanziale (infatti a dicembre si dovrebbe votare di nuovo per il
governo). Gli unici che hanno preso seriamente la vicenda sono i due
partiti kurdi (PDK e UPK) che puntano al controllo totale delle tre
province del Nord, inclusa quella di Kirkuk dove i kurdi non sono
proprio maggioritari ma che è decisiva per mettere le mani sul
petrolio. In questa provincia, oltre alle minacce della Turchia,
cominciano a pesare le preoccupazioni per l’ondata di pulizia etnica
messa in opera dalle milizie kurde con l’obiettivo di “de-arabizzare”
Kirkuk e stringere la minoranza turcomanna (che ha però il sostegno
della Turchia). Se le cose dovessero precipitare in Iraq, lo spettro
della secessione kurda nel nord (con il pieno appoggio di USA e Israele
e l'aperta ostilità della Turchia) diventerebbe realtà, coronando così
il progetto di cantonizzazione dell'Iraq accarezzato da decenni dai
likudzik della Casa Bianca e di Tel Aviv. E' molto probabile che la
resistenza irachena non sia da ritenersi persuasa del risultato
elettorale e che pertanto continuerà ad attaccare le forze militari
d'occupazione ed i collaborazionisti. Le macerie lasciate da questa
guerra in Iraq non potranno essere ripulite con le operazioni di
maquillage elettorale.


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