GESÙ IN CAMICIA NERA


Da Il Tempo - 26/4/2005 :
«Noi, sacerdoti fedeli del Signore e cittadini del duce»
IL SAGGIO «GESÙ IN CAMICIA NERA, GESÙ PARTIGIANO» DI ULDERICO MUNZI
di FABIO DI CHIO

PRETI e fascisti, religiosi del Signore e cittadini del duce. C’è stato
chi
la Guerra l’ha vissuta senza conflitti interiori: aderendo al potere
fascista, senza perdere se stesso, rimanendo nei panni talari, portando
un
altare di legno tra le nevi della Russia per curare le anime dei soldati
partiti per il grande freddo. Impartendo l’estrema unzione anche ai
soldati
di Mosca feriti a morte. Facendo il prete. Sono storie di vita e di
spirito
raccolte nel libro di Ulderico Munzi «Gesù in camicia nera, Gesù
partigiano - preti di guerra 1943-45», raccontate dagli stessi
protagonisti-superstiti disposti a viaggiare con Munzi nella tortuosa
storia
della seconda guerra mondiale. Come ha potuto il fascismo creare
entusiasmo
tra i sacerdoti? Lo racconta Ada Paoletti, ausiliaria nella Repubblica
sociale italiana, amica del cappellano don Leandro Sangiorgio, morto
ammazzato dai partigiani, prima preso a bastonate, con un occhio fuori
dalle
orbite per le botte, poi fucilato coi altri venti militari. «Il
fascismo -
scrive la Paoletti - ha combattuto il materialismo positivistico, ha
riportato quel rispetto per la religione che con il positivismo era
scomparso. Prima del 1922 il materialismo ateo aveva a tal punto fatto
breccia nelle coscienze che succedeva che si fermasse un treno o un
autobus
per vedere se c’erano un prete o una suora dentro». «Erano 900 i preti
nel
libro paga della Repubblica sociale italiana - scrive Munzi - su tremila
mobilitari nel conflitto». Il prete Guido Palagi aveva dedicato al
fascismo
qualche strofa entusiasta: «Frusta! bel simbolo / spiatorio/ corri a
percuotere / Montecitorio... /O virtù provvida / del manganello! / Bene
è
distruggere / questo bordello!». «I più sfrenati - continua Munzi -
gettarono le fondamenta di una chiesa nazionale scismatica. Il 14
dicembre
1944 il progetto fu esposto da don Tullio Calcagno a Mussolini sorpreso
e
riluttante: il movimento prese il nome di Crociata italica. il
distintivo
portava la scritta "Gesù Cristo re d’Italia, vince, regna, impera". Vi
aderirono centinaia di sacerdoti». Don Calcagno non vide realizzato il
suo
sogno. Perché non lo realizzò la Storia, e perché i partigiani lo
ammazzarono: la sera del 27 aprile 1945 fu condotto a Milano e
rinchiuso nei
sotterranei del palazzo di giustizia. Il 29 mattina un tribunale del
popolo
lo condannò a morte. La guerra è un’ingiustizia che non si dimentica e
non
si perdona. Dice don Gino Marchesini, 89 anni, della provincia di
Pistoia:
«Il cittadino mi spinse a fare una scelta fascista, il sacerdote a
prestare
la mia opera di assistenza spirituale a uomini che avevano fatto la mia
stessa scelta. Se la patria della resistenza e la patria della
Repubblica
sociale italiana meritavano che si combattesse e si uccidesse in loro
nome?
Certo - dice - quando una persona agisce così, la strada che sceglie è
senz’
altro corretta. Ero contrario ai badogliani che avevano provocato l’8
settembre e l’armistizio. Non eravamo noi ad aver mancato alla parola
data,
al giuramento di fedeltà al re. Noi avevamo giurato fedeltà alla patria
e
chi aveva mancato il giuramento era il Savoia: era lui lo spergiuro.
Perdonare le atrocità commesse dai partigiani? Ah, questo no! No
davvero! la
Resistenza è stata una cosa vergognosa perché ha provocato divisione,
eccidi, tante barbarie e tanta ferocia... Non doveva accadere».


( segnalato da F. Rossi sulla lista [vocedelgamadi] del Gruppo Atei
Materialisti Dialettici (GAMADI):
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