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comunicazione - 28-07-05

Lettera aperta a Moni Ovadia


Mi chiedo spesso perché il comunismo continui ad ossessionare le menti
di tante persone che pure lo danno per morto, è questo che ho pensato
anche leggendo "Alla cieca" di Claudio Magris, il libro di cui Moni
Ovadia ha intenzione di fare lettura integrale al Mittelfest 2005.
Lettura integrale pubblica di un testo che è già dura leggere fino a
pag. 50 da soli e con calma. Un libro sostanzialmente noioso, che dice
per 335 pagine sempre la stessa cosa in modo quasi maniacale. Un libro
che ha l'unico merito – nel mondo del pensiero unico – di essere
intriso di anticomunismo, con un lessico ironicamente aggressivo o
anche violento tout court contro il PCI e i comunisti. Un libro anche
razzista, nei confronti degli jugoslavi (dei serbi, dei croati…).

Magris pensa (deve aver la memoria corta e deformante) che la storia
dei comunisti italiani e jugoslavi sia solo una storia di sangue e
orrore (con la tipica tecnica da guerra psicologica: insistenza ad
ogni pagina su rosso = sangue, bandiera rossa vello insanguinato, per
esempio, il fazzoletto rosso che strangola, la similitudine con il
macellaio di Orlec imbrattato di sangue che costringe la moglie a far
l'amore…).

Io mi sono sentita offesa, leggendo questo libro, e non capisco come
possa Moni Ovadia, che dovrebbe sapere i meccanismi dello
sputtanamento razzista o religioso o politico, dell'emarginazione,
della damnatio memoriae, non capirlo. Se Magris avesse scritto degli
ebrei o anche dei rom o dei gay un decimo di quello che scrive di
comunisti e di jugoslavi non sarebbe mai stato letto a Mittelfest.
Invece dei comunisti si può dire di tutto e di più al di là di
qualsiasi analisi documentale e di qualsiasi ragionamento logico.

Soltanto un borghese come Magris (mi si perdoni l'espressione
obsoleta, ma non ho trovato una migliore nel vocabolario dei sinonimi
e contrari) può aver trasformato il Partito in un dio, un'entità dal
mondo separata e che domina gli iscritti. Solo un borghese può pensare
che gli operai di Monfalcone fossero "mandati" dal Partito
(rigorosamente con la P maiuscola). Quelli che ho conosciuto io
avevano invece scelto di andare, e non si sentirono traditi dal
partito per il semplice fatto che si sentivano essi stessi il partito
(anche con la p minuscola, volendo). Gli operai del cantiere di
Monfalcone, di cui il Cippico non mi sembra un rappresentante, erano
classe operaia e nello stesso tempo intellettuali, se anche avessero
considerato il partito come un dio, non sarebbe stato un dio
trascendente, ma casomai immanente. Per cui non avrebbero mai detto,
come non hanno detto se non nelle ricostruzioni di "intellettuali"
tipo Magris e Pansa, che sono stati traditi "dal Partito".

Difficile immaginare per uno come Magris che un operaio potesse
proprio decidere di testa propria di andare in Jugoslavia, come
successe alla gran parte dei monfalconesi. L'immagine che dà dei
comunisti è quella presentata da sempre dalla propaganda da guerra
fredda: gente che esegue ordini. Invece le testimonianze dicono che
volevano proprio andare, e per svariati motivi, non tutti e non solo
ideali, anche concreti.

Nel libro si attribuisce continuamente al PCI la responsabilità di
aver mandato i militanti in Jugoslavia e dopo di averli lasciati
completamente soli, quando invece i documenti storici – se uno va a
guardarli e non si accontenta della propaganda da guerra fredda –
dicono che il PCI non voleva che i militanti andassero massicciamente
in Jugoslavia, e che poi comunque non li ha affatto lasciati soli e
che il trattamento riservato ad alcuni di essi nelle prigioni
jugoslave fu denunciato già nel 1953, per esempio in una serie di
articoli sul Lavoratore, il giornale comunista di Trieste.

Ma Magris fa letteratura non storia. Cioè vuole che gli si creda come
alla verità, se poi gli si dimostra che non è vero, magari ti dice che
lui non voleva fare storia, ma letteratura. Come il regista Negrin
che ha voluto raccontare la "verità" ma non la "realtà" delle foibe.
Come tutti gli opportunisti intellettuali di sempre. Non si preoccupa
di andare a vedere come stanno le cose. Ripete semplicemente quello
che la propaganda ha detto in questi anni. Con la suggestione delle
parola artistica: "quel giorno a Trieste sotto la pioggia, mentre
risalivo via Madonnina andando alla sede del Partito e alla voragine
della mia vita"...

A Magris, come a tutti i piccolo borghesi (termine obsoleto anche
questo) di tutte le epoche, dà fastidio sostanzialmente che la gente
si organizzi. Trasforma il suo Cippico in un eroe che si erge
solitario e orgoglioso dalle urne infuocate come Farinata, lo
trasforma in uno sconfitto che recrimina sul dio-partito.

La sua efficacia letteraria, prof. Magris, è una efficacia puramente
propagandistica, lei non può rappresentare artisticamente Cippico,
perché non fa parte della sua stessa classe, né ha l'umiltà per
mettersi nei suoi panni. Di questo, se lei fosse un po' più umile,
avrebbe dovuto avere consapevolezza nell'atto di accingersi a scrivere
un libro del genere. Invece, nel mentre rende Cippico o anche
Jorgensen protagonisti, riesce solo a trattarli come eroi tragici. Lei
vede la storia come un ciclo continuo di sofferenze e ingiustizie
senza senso.

Immagini invece se non ci fossero stati quelli come gli operai di
Monfalcone, se non ci fossero stati quelli come Jorgensen, se il mondo
fosse fatto solo di gente come lei, che quando c'era ancora un
movimento comunista forte, erano "vicini" ai comunisti (certo, sempre
indipendenti, perché quelli che si schierano categoricamente sono gli
scemi, che non sanno che bisogna tenere sempre un piede un po' fuori
come via di fuga, appena scappano i buoi) e ora ci tartassano la testa
con le loro elucubrazioni da crociati del "pentitevi".

Con questo testo Magris si affianca alla schiera di tutti coloro che
praticano da anni un vero e proprio bojkot psicologico nei confronti
dei comunisti. Da comunista io mi sento moralmente e psicologicamente
come Cippico, solo che i "picchiatori", con le parole e con i gesti
martellanti, in questa grande Goli Otok che è diventato il mondo dopo
il trionfo dell'Occidente, siete voi e tutta la schiera di pentiti che
in questi anni si preoccupano solo di decretare la propria distanza
dal movimento comunista così come si è nel Novecento concretizzato. E
non mi si dica che qui c'è un ragionamento per salvare il comunismo
ideale separandolo da quello "reale", e che è necessario che
ragioniamo sul nostro passato ecc. Io sono stata iscritta al PCI dal
1967 e mi ricordo solo di pentimenti e di prese di distanza dall'URSS
e di studi che hanno rianalizzato la nostra storia, anche ai limiti
del masochismo. I libri come questo di Magris per me non sono altro
che il prodotto di un kapò intellettuale nel grande Lager del pensiero
unico.

Rifletta anche Ovadia, che ha deciso di spendere una parte dei soldi e
dell'immagine di Mittelfest "Alla cieca". Non sente offensiva la
similitudine che viene fatta da Magris a ogni piè sospinto fra Dachau
e Goli Otok? Non le sembra un pò maniacale il tutto? Quale il senso di
insistere ancora su questa vicenda (Magris ne aveva già scritto, e
tanti ne hanno scritto) quando nel mondo oggi gli oppressori sono ben
altri. Quando sono Guantanamo, Abu Ghraib i campi di concentramento.

Quando è altro il potere criminale che ci domina tutti. Corpi e menti.


Alessandra Kersevan, Udine