NICOLA CALIPARI ED IL KOSOVO


Fonte: LA NEWSLETTER DI MISTERI D'ITALIA
Anno 6 - n. 98 (speciale Iraq/Sgrena/Calipari) 11 marzo 2005
http://www.misteriditalia.com

IO HO PERSO UN AMICO

di Sandro Provvisionato

Di Nicola Calipari è stato scritto molto, moltissimo. La retorica
ormai inevitabile, in questo Paese senza più certezze, non è riuscita
ad evitare un termine ormai tristemente inflazionato: EROE.

Chiunque muoia in circostanze drammatiche, come per incanto, diventa
un eroe: un poliziotto durante una rapina, una vittima della mafia o
del terrorismo, un ostaggio caduto nelle mani più insaguinate.

Io non so se Nicola (permettetemi di chiamarlo così, perché lo
conoscevo da tempo) sia stato un eroe. So solo che è morta una delle
persone più belle che abbia mai conosciuto nella mia lunga carriera di
giornalista. Un uomo semplice, schivo, che non amava i riflettori, ma
soprattutto un uomo competente che adorava il suo lavoro.

Conobbi Nicola all'inizio del 2000 quando era al vertice dello SCO, Il
servizio centrale operativo della polizia. Dopo la guerra del Kosovo,
la "guerra umanitaria" ella NATO scatenata - con il pieno avallo del
governo di centro-sinistra, guidato da Massimo D'Alema - per
"liberare" la provincia serba, oggi finita nelle mani di un criminale
di guerra, grande trafficante di droga, avevo deciso di scrivere un
libro che però non raccontasse la mia esperienza di inviato di guerra,
ma la realtà di un paese vocato a diventare uno narcostato, una
Colombia infilata come un cuneo nei Balcani.

La storia di questi anni sembra aver dato ragione a quel libro (uscì
sempre nel 2000 con il titolo: UCK, l'armata dell'ombra. Una guerra
tra mafia, politica e terrorismo). E Nicola in quel libro ebbe un
ruolo determinante: non volle essere citato, Nicola, ma tutte o quasi
le notizie sui narcotrafficanti albanesi del Kosovo vennero da lui, da
Nicola che proprio sulle filiere del traffico della droga era un vero
esperto.

Tovai in lui sensibilità e competenza, ma soprattutto una grande
diponibilità a ragionare.

Alla mia domanda: perché la NATO ha fatto una guerra per questa banda
di criminali e trafficanti che è l'UCK? Lui mi rispose: "Me lo sto
chiedendo dall'inizio della guerra".

Il nostro rapporto è continuato negli anni. Nei momenti di dubbio su
fatti che via via accadevano lo chiamavo. E lui aveva sempre un modo
di interpretare gli avvenimenti originale ed intelligente, mai banale,
mai scontato. Sapeva analizzare gli accadimenti con una lucidità che
legava un fatto ad un altro, fino a tessere una tela degna del
migliore di quelli che oggi è di moda chiamare con disprezzo "dietrologi".

Scherzavamo spesso su questo termine. Gli dicevo: "Lo dicono a me, ma
guarda che il vero dietrologo sei tu...". Lui rideva e ripeteva
sempre: "Ma se non vai dietro a quello che succede hai solo una
visione frontale che ti dà solo un'immagine parziale della realtà".

Lo avevo sentito un paio di settimane prima della sua morte. Gli avevo
esposto dubbi su un'operazione condotta lo scorso anno dal SISMI (e
quindi da lui) in Libano: un attentato sventato all'ambasciata
italiana di Beirut con l'appoggio dei servizi segreti siriani (vedi la
Newsletter n.93). Si era un po' innervosito della mia insinuazione, ma
poi, come sempre, aveva riso e mi aveva detto: "Lo sai che il dubbio
che i siriani ci abbiano tirato un bidone è venuto anche me...".

Ci eravamo ripromessi di vederci per parlarne meglio. Non c'è stato tempo.

Ciao, Nicola.