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Il procedimento dell'Aja contro Slobodan Milosevic:
Questioni Emergenti nel Diritto Internazionale
ICDSM : L'Aja 26/02/2005 Conferenza Internazionale

Prof. Aldo Bernardini

(Docente di diritto internazionale presso la facoltà di giurisprudenza
dell'Università di Urbino):

Il diritto internazionale capovolto: la crisi jugoslava e il caso del
Presidente Milosevic


Il contesto nel quale il Tribunale penale internazionale per i crimini
in ex Jugoslavia (ICTY) sta operando, è caratterizzato da un assoluto
e totale capovolgimento del diritto internazionale. Tra gli scopi
delle Nazioni Unite dice l'articolo 1 comma 1 della carta c'è il
"mantenere la pace e la sicurezza internazionale, ed è a questo fine:
prendere efficaci misure collettive per prevenire e rimuovere le
minacce alla pace e per reprimere gli atti di aggressione o le altre
violenze della pace, e conseguire con mezzi pacifici, ed in conformità
ai principi della giustizia e del diritto internazionale, la
composizione o la soluzione delle controversie o delle situazioni
internazionali che potrebbero portare ad una violazione della pace."

La prassi ha stabilito che questo principio non concerne con le misure
ex capitolo 7 della Carta dell'Onu (che è quello che regola le azioni
a tutela della pace N.d.R.): ma il significato delle limitazioni date
dalla Carta alle misure previste nel capitolo 7 è che queste non
possono violare a loro volta il diritto internazionale, né essere
contrarie ai principi di giustizia; sono misure puramente esecutive,
misure di polizia, per fermare e rimuovere situazioni pericolose
contemplate dall'articolo 39 (il quale recita "Il Consiglio di
Sicurezza accerta l'esistenza di una minaccia alla pace, di una
violazione della pace, o di un atto di aggressione, e fa accomodazioni
o decide quali misure debbano essere prese in conformità degli
articoli 41 e 42 per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza
internazionale" N.d.R.). Alcuni scrittori affermano anche che il
riferimento al concetto stesso di giustizia (un concetto sostanziale
che dipende da interpretazioni soggettive) consenta un approccio meno
rigido alle leggi internazionali. In realtà, il riferimento alla
giustizia è interpretato solo in virtù degli scopi delle Nazioni Unite
di cambiare il diritto internazionale. Il pilastro del sistema delle
Nazioni Unite era l'azione del Consiglio di Sicurezza che agiva in
virtù del capitolo 6 (soluzione pacifica delle controversie) facendo
raccomandazioni seguite da accordi con gli Stati stessi, agendo in
conformità alla Carta che all'articolo 24.2 specifica che il Consiglio
non può oltrepassare gli specifici attributi dalla Carta indicategli.
Ma dal 1989 1991, questo pilastro è e continua ad essere
illegittimamente distrutto. Il Diritto Internazionale subisce
costantemente delle violazioni nelle sue istanze principali. Si è
passati dalla forza del diritto al diritto della forza. Il Consiglio
di Sicurezza e i suoi organi sussidiari agiscono contro il diritto
internazionale e contro la giustizia (nella sua accezione
sostanziale). Può sembrare strano, ma è la verità.


Nelle crisi Jugoslave ad essere a rischio sono prima di tutto la
corretta definizione e il corretto approccio agli aspetti che
riguardano la sovranità e l'autodeterminazione dei popoli.
Contrariamente alle teorie più diffuse, nel sistema dell'ONU e in
generale nel diritto internazionale, l'autodeterminazione dei popoli
non può violare la sovranità dei singoli Stati, nonché con la loro
integrità territoriale. Lo Stato sovrano, soggetto al diritto
internazionale, è libero di difendere se stesso da secessioni, e
interventi di Stati stranieri nei suoi affari sono proibiti. L'unica
eccezione accettabile, e dal diritto internazionale accettata, è
quella che riguarda le lotte e le guerre di liberazione dei popoli
colonizzati o dei popoli che si trovano in situazioni simili:
illegittima occupazione straniera o, persino in condizioni di
discriminazione (apartheid) anche se ciò si verifica entro i confini
nazionali. In altre parole, solo quando una popolazione o parte di
essa, identificabile con un territorio compatto, unita in una regione,
o che costituisce la maggioranza di uno Stato, è sotto oppressione
nazionale o discriminazione, la sovranità di quello Stato appare non
rappresentativo di quel settore di popolazione: non può essere
considerato lo stato di quel popolo. Questo è il prerequisito per il
diritto all'autodeterminazione. Una norma scritta, la quale definisce
i possibili casi di autodeterminazione, è l'articolo 1.4 del primo
Protocollo del 1977 alle Convenzioni di Ginevra: " Le situazioni
trattate nel precedente paragrafo includono i conflitti armati in cui
i popoli combattono contro il dominio coloniale e un regime razzista
nell'esercizio del loro diritto all'autodeterminazione". Penso che ciò
non abbia nulla a che vedere con le secessioni interne, poiché queste
riguardano la forma dello Stato o del Governo, le relazioni
governo-popolo e così via, quindi un affare interno. In caso di
"discriminazione delle nazionalità o d'oppressione" invece, fin dagli
anni '60, il così detto diritto all'autodeterminazione è affare di
diritto internazionale, così i popoli discriminati che lottano per
cambiare la loro situazione, persino tramite la secessione, possono
essere appoggiati in varie forme di azioni, anche aiuti militari, da
Stati terzi, senza così violare la proibizione

all'intervento. Irresoluta rimane la questione se lo Stato centrale è
legalmente libero o meno, in virtù delle leggi internazionali, di
reagire con mezzi militari alla guerra di liberazione, almeno questa
lotta abbia raggiunto un riconosciuto livello o un internazionale
riconoscimento (naturalmente, non abusivo ma seguendo i requisiti su
menzionati). La legittima repressione di un'illegittima secessione
non è mai requisito per un'autentica auto-determinazione. Ma tutto ciò
è vero solo nei casi di lotta contro uno stato costituito. In
situazioni dove l'entità Statale non esiste, o è estinta, o il potere
sovrano su un territorio e sulla sua popolazione è rimosso o fatto
oggetto di rinuncia, il diritto all'auto-determinazione di un'entità
territoriale compatta e unita è pieno e illimitato e non può essere
contrastato da interventi esterni. Le differenti parti territoriali di
una regione senza costituito potere sovrano hanno lo stesso diritto di
creare e costituire il loro Stato, o comunque di determinare in un
altro modo il loro status. Quando un potere sovrano non è venuto
ancora ad esistenza, ma è coinvolto in un iter costituente, le varie
entità territoriali hanno appunto lo stesso diritto a costituire un
loro stato. Il principio dell'uti possidetis juris non è una regola
generale di diritto internazionale: storicamente, è stato molto
limitato in America Latina e in Africa durante il processo di
decolonizzazione. Occorre far menzione di un significativo precedente:
il West Virginia nella guerra civile americana. Una cosa è negare
l'esistenza del diritto all'auto determinazione di una non
discriminata popolazione in uno Stato costituito, altra cosa è imporre
su una popolazione o parte di essa la forzata integrazione in uno
Stato, il cui processo di formazione è ancora in corso. In questo caso
si assiste ad un processo autonomo e non etero diretto. Un
auto-determinazione pilotata è una contraddizione. Nelle crisi
Jugoslave la secessione di alcune repubbliche era un problema di
insurrezione locale contro lo Stato sovrano. In questa sede esaminerò
la questione da un puro punto di vista giuridico. Di sicuro non
c'erano i prerequisiti per l'autodeterminazione, cioè non si era
verificata alcuna discriminazione contro la popolazione delle
Repubbliche secessioniste. In tale situazione ogni interferenza
esterna è assolutamente proibita. Nessun dubbio che la Federazione
Jugoslava era ancora esistente, quando il riconoscimento di Slovenia,
Croazia, Bosnia-Herzegovina arrivò dalle potenze occidentali. La
caratteristica principale della Federazione Jugoslava era data dal
fatto che era un unione di popoli costitutivi che attribuivano il nome
alle repubbliche federate, più altre nazionalità e minoranze: ma non
c'era mai la stretta coincidenza tra il popolo che assegnava il nome
ad una determinata repubblica e la repubblica stessa. In altre parole,
Croazia e Serbia furono costituite dai due popoli costitutivi, mentre
la Bosnia-Herzegovina ospita tre popolazioni (Musulmana, Croata e
Serba). Questo sistema era stato stabilito dalle Costituzioni degli
Stati Federali, conformemente a quella del 1974. Questa carta nel
preambolo riconosce il diritto di secessione, ma non alle repubbliche
federate bensì ai vari popoli costituenti la nazione jugoslava, senza
in ogni caso prevederne l'iter. Era possibile che l'eventuale
secessione avvenisse in maniera trasversale in relazione alle singole
repubbliche federate: così una singola popolazione dividendosi dal
resto della nazione poteva coinvolgere più di una repubblica. Mentre
per le stesse repubbliche federate la procedura era molto più
complicata, poiché per cambiare propri confini interni, c'era bisogno
del consenso di tutte le nazioni. E' fuori di dubbio che le secessioni
delle singole repubbliche siano avvenute violando la Costituzione,
come rilevato dalla Corte costituzionale Federale Jugoslava.
L'intervento dell'esercito federale jugoslavo dopo la dichiarazione di
indipendenza della Slovenia (25 giugno 1991) fu perciò legittimo.
L'interferenza della Comunità Europea, che nella conferenza di Brioni
optò per il ritiro dell'esercito federale dalla Slovenia, accompagnato
da pressioni di ogni genere, presenta senza dubbio una violazione
della legalità internazionale. In Croazia, di fronte ai graduali passi
verso la secessione, culminata nella dichiarazione di indipendenza
(anche in questo caso il 25 giugno 1991), la maggioranza serba in
Krajina proclamò la sua repubblica e perciò fu attaccata dalle forze
di polizia croate. Anche lì l'esercito federale agì legittimamente
(luglio 1991). Le repubbliche secessioniste provocarono la paralisi
delle istituzioni federali: dopo il blocco Serbo-Montenegrino,
affrontarono col rischio della disintegrazione, e assunsero il
controllo delle istituzioni (3 ottobre), provocando la protesta delle
potenze occidentali; l'8 ottobre la Slovenia e la Croazia dichiararono
definitivamente la loro indipendenza. Sebbene per un pò di tempo
difendessero la stabilità, la sopravvivenza della repubblica Federale
Jugoslava, gli stati europei cominciarono subito (già il 2 agosto
1991) a dare il via libera alla loro vera ma illegittima politica: in
assenza di un accordo tra le repubbliche Federate, i confini
internazionali, ma anche quelli interni in Jugoslavia, furono
rispettati. La linea fu confermata in un altro meeting internazionale
e persino dal Consiglio di Sicurezza nella risoluzione numero 713 del
1991 del 25 settembre, che definì la situazione Jugoslava come un
pericolo per la pace. In modo particolare sotto la pressione di
Germania, Austria e Vaticano, il 15 gennaio 1992, Slovenia e Croazia
furono riconosciute come stati indipendenti, e Bosnia-Herzegovina e
Macedonia seguirono la stessa strada, e ci fu poi l'ammissione nelle
Nazioni Unite (22 Maggio). Questo processo fu stimolato dai Ministri
degli affari esteri degli stati aderenti all'Unione Europea, che il 16
dicembre 1991 hanno pubblicato le linee guida " per il riconoscimento
dei nuovi stati dell'Europa dell'est e dell'Unione Sovietica":
un'incredibile iniziativa, che invita tali Stati ad agire per ottenere
il riconoscimento. Le potenze occidentali stabilirono che la
Repubblica Federale Socialista di Jugoslavia dovesse finire, sebbene
ci fossero ancora delle istituzioni, come l'esercito e la Presidenza
Federale anche se tronca, che la stavano ancora difendendo. La
posizione della Jugoslavia e di Milosevic (Presidente della Serbia dal
1989) fu in un primo tempo quella di non accettare che il paese fosse
depennato, e poi che la Federazione dovesse sopravvivere per tutti i
popoli e le regioni che vi volevano ancora vivere (ciò fu in malafede
concepito come un piano per costruire la cosiddetta 'Grande Serbia').
In questo contesto le potenze riaffermarono il principio del rispetto
dei confini interni, specialmente in relazione alla Krajina e la
Bosnia Serba , dove i Serbi proclamarono la loro repubblica: loro non
parteciparono al referendum sull'indipendenza della Bosnia. Il punto
principale è che il processo di dissoluzione della Jugoslavia era
senza dubbio in corso, ma non era consolidato, stabilizzato,
condizione fondamentale per considerarlo effettivo. All'inizio della
cessazione dell'opposizione attiva con riguardo ai nuovi sviluppi
della situazione, dalle autorità legittime fu promulgata la
Costituzione del 1992 della parte residua della Jugoslavia e
successivamente fu deciso il ritiro dalla Bosnia e dalla Croazia. ciò
significa che le azioni delle potenze occidentali erano illecite:
furono un interferenza in affari interni dello stato, allo scopo di
aiutare gli insorti nelle loro mire separatistiche. la fattispecie di
crimine contro la pace fu escluso dallo statuto dell'ICTY non per
caso. D'altra parte la forma dei nuovi stati non era ancora stata
stabilita: il loro processo di formazione non era ancora concluso, non
avevano ancora il libero e pieno controllo su tutto il territorio che
reclamavano (fatta eccezione per Slovenia e forse Macedonia). Il
prematuro riconoscimento (e le conseguenti attività di supporto, di
condanna, sanzioni e limitazioni alle azioni costituzionali
dell'esercito Federale), furono gli elementi dell'azione illegale
condotta dagli Stati occidentali. Farò menzione del secondo protocollo
alla Convenzione di Ginevra . L'intervento in conflitti interni, il
prematuro riconoscimento di stati ancora non completamente giunti a
formazione: un giovane studioso italiano (Tancredi, Secessione p.464)
espresse molto chiaramente il capovolgimento dei criteri fondamentali
di effettività: un non esistente (a livello internazionale) diritto
alla secessione fu creato dalla volontà politica di un gruppo di Stati
stranieri mediante il riconoscimento, il quale ha dato alla questione
rilievo internazionale, attribuendo il diritto
all'auto-determinazione, sebbene non ci fossero le condizioni. " Il
riconoscimento degli stati secessionisti della Jugoslavia, costituisce
una nuova strategia, non più la passiva accettazione del fato, ma si
pilotano gli eventi". Il tutto con illegali conseguenze: la
proibizione per le autorità centrali di contrastare la secessione, la
proibizione per stati terzi dare assistenza al potere centrale, mentre
diventa legale per i secessionisti ricevere aiuto, anche militare,
dall'esterno. Bene quindi, non l'indipendenza di fatto dichiarata che
corrisponda alla reale situazione giuridica, ma una creazione
giuridica artificialmente posta in essere i cui aiuti sono decisivi
per ottenere l'indipendenza - non ancora ottenuta effettivamente.
Cosicché la Jugoslavia passò per l'aggressore (in un primo momento per
mantenere lo status quo, poi per aiutare i serbi di Croazia e di
Bosnia cui era stato negato il diritto all'autodeterminazione).
Chiaramente, se in un conflitto accadono episodi di crudeltà e financo
criminali ad opera di entrambe le parti, è naturale e piuttosto
automatico, attribuirli in toto all' "aggressore", ricorrendo alla
calunnia e amplificando i singoli casi col beneficio dei mass-media e
dei loro manipolatori. Dopo l'assoluto stravolgimento delle relazioni
tra sovranità e auto-determinazione rispettivamente di Jugoslavia e
repubbliche secessioniste, ecco che abbiamo anche la negazione
all'autodeterminazione all'interno delle stesse repubbliche
secessioniste, sebbene queste non fossero ancora definitivamente
formate. Abbiamo già ricordato che quando uno stato è coinvolto in un
processo di formazione, ogni componente etnica della popolazione (che
sia identificabile con un'entità territorialmente compatta) ha il
medesimo diritto di costituire il suo stato, o rimanere nel vecchio
stato. Ma anche a questo proposito ci sono stati dei capovolgimenti
del diritto: l'imposizione dell' uti possidetis elevò i confini
interni a confini riconosciuti a livello internazionale,
contrariamente a quanto sosteneva la Costituzione Jugoslava (che
contemplava, ripeto, la secessione ma in relazione ai popoli, mentre
la procedura per apportare modifiche ai confini delle Repubbliche era
stabilita, così come i confini stessi e le condizioni per la
convivenza tra differenti popolazioni nella stessa Repubblica, dalla
Costituzione Federale, e la loro validità finì col cessare della
Costituzione). Attraverso questo imbroglio, la repressione delle
negate auto-determinazioni dei serbi di Croazia e di Bosnia furono
considerate un affare interno delle Repubbliche (non ancora
costituite), l'aiuto a tale auto-determinazione (da parte della
Jugoslavia) invece illecito, di conseguenza persino l'intervento
armato di Stati terzi o di organizzazioni fu legittimato contro
l'assistenza Jugoslava. Assolutamente sbagliato, se non per meglio
dire vergognoso, anche dal punto di vista del diritto internazionale,
deve essere considerata la forzata formazione dall'esterno della
cosiddetta Federazione di Bosnia-Herzegovina, un' entità artificiale,
nemmeno realmente indipendente. Ma l'azione di moderazione del
Presidente Milosevic durante gli accordi di Dayton non può essere
dimenticata.


Un altro aspetto dello stravolgimento del diritto internazionale: la
negazione della continuità della Repubblica Federale del 1992 rispetto
alla Repubblica Socialista e l'affermazione che questo era ormai
un'altro Stato, visto il venir meno dei membri originali e perciò
delle caratteristiche originali dello stato membro, bisognava pertanto
rifare la procedura di adesione. E' sufficiente affermare che, al
contrario, si era di fronte semplicemente ad un caso di
rimpicciolimento , non di una radicale modifica o sostituzione del
vecchi sub strato sociale: non si trattava di smembramento, ma di una
serie di secessioni di alcune repubbliche: secessioni che avevano
visto l'opposizione attiva e legittima dello stato centrale, anche se
stava progressivamente perdendo il suo controllo di fatto sul suo
territorio, fino a quando sospese o rinunciò alla sovranità sui vari
territori, ma non, almeno all'inizio, per il beneficio delle
Repubbliche secessioniste. Inoltre non ci fu una contro-rivoluzione
socio-economica, come nelle altre Repubbliche. Ma la cosa più
sorprendente fu il diverso trattamento riservato alla Russia,
considerata come entità avente continuità con l'Unione Sovietica anche
per quanto riguarda il seggio presso permanente presso il Consiglio di
Sicurezza. Forse avrebbe dovuto svilupparsi un lavoro teorico maggiore
per quanto riguarda lo smembramento dell'URSS, dove nessuna attività
di opposizione contro le secessioni fu mossa nel '91, mentre la Russia
era attiva nel processo di estinzione della forma dello Stato
precedente. Un fatto importante che non deve essere dimenticato sulla
Jugoslavia "residuale": le Costituzioni di Serbia e di Jugoslavia
(1990 e 1992) grazie all'attivo impegno politico del Presidente
Slobodan Milosevic, non erano nazionalistiche, dando eguale diritto di
cittadinanza ad ogni abitante, a differenza di quella croata, che
sancisce la Croazia come stato dei croati, mentre gli altri gruppi
sono considerati minoranze.


Altri elementi sullo a proposito dello stravolgimento: l'aggressione
del 1999,la cosiddetta guerra del Kosovo. In questa non prenderò in
considerazione i fatti come il presunto genocidio e il restringimento
dell'autonomia regionale avvenuta nel 1989-90, che fu una decisione
della Federazione e non di Milosevic. E' sufficiente riportare
l'intervista al generale Heinz Loquai del contingente tedesco presso
l'Osce: "Circa il genocidio, non solo "pianificato" ma "perpetrato"
dal governo Jugoslavo, sia i parlamentari del Bundestag sia il Governo
tedesco hanno dato il via libera a delle esagerazioni enormi.Ciò che
le armi di distruzione di massa irachene rappresentano per Bush, la
cosiddetta catastrofe umanitaria in Kosovo fu per la Germania la
giustificazione per la guerra".Egli afferma pure che, il giorno prima
dell'aggressione, esperti del ministero della difesa tedesco
affermarono che "non era in corso nessuna pulizia etnica". E ancora:
in Kosovo "c'era una guerra civile. La NATO è intervenuta
unilateralmente contro una parte, la Jugoslavia: la guerra ha
provocato una reale catastrofe umanitaria: 70000 rifugiati dal Kosovo
nei vicini paesi all'inizio del conflitto, 800000 alla fine". In
questo severo resoconto dei fatti troviamo ancora il capovolgimento
del diritto internazionale. L'intervento umanitario - consentito dal
diritto internazionale- è un'invenzione frutto della nuova epoca
caratterizzata dal dominio imperialista. L'intervento in una guerra
civile, o in un conflitto interno, i quali sono tipici affari interni
di uno stato, è a livello di principio proibito (e mancava pure
l'autorizzazione del consiglio di sicurezza che comunque non avrebbe
lasciato la questione priva di dubbi). A tal proposito c'è una regola
internazionale che conferma questa tesi, si tratta dell'art 3 del
secondo Protocollo del 1977 alle convenzioni di Ginevra del 1949,
relativamente alla protezione delle vittime in conflitti non
internazionali: "Nessun articolo di questo Protocollo può essere
invocato per influire sulla sovranità degli Stati sulla responsabilità
dei governi, sia direttamente che indirettamente, per nessuna
ragione". Questo Protocollo è in vigore dal 7 dicembre 1978 ed è stato
ratificato dalla Jugoslavia e poi dagli USA, Italia, Germania, Gran
Bretagna. Si può stabilire un'importante analogia con la questione
cecena. Fu un'aggressione, per il piacere dei gruppi criminali e
terroristi: ora il Kosovo è illegalmente separato dalla Jugoslavia
(Serbia), sono in corso pulizie etniche contro i Serbi e le altre
minoranze etniche: nessuno pagherà delle "corti internazionali" per i
crimini di aggressione (da parte della NATO) e altri criminali di
guerra occidentali, e per i crimini perpetrati dai gruppi al potere
oggi in Kosovo.


Legalità, imperatività delle norme di legge è prima di tutto
l'affermazione della definizione dei crimini e delle sanzioni, delle
procedure giuridiche , dei modi e dei mezzi per creare nuove regole e
organi. Questo è particolarmente vero nel caso di norme internazionali
e decisioni riguardanti l'individuo e non le attività tra stati.Le
questioni sui diritti umani, stanno emergendo almeno nel sistema delle
Nazioni Unite, non passare inosservate. Per quanto riguarda il
cosiddetto delicta contra gentium , si deve assicurare che i diritti
individuali sanciti dalle leggi internazionali siano rispettati (anzi,
aggiungerei bisogna garantire anche il corretto adempimento da parte
dello stato).

Sottolineerei un punto che solitamente viene tralasciato: nella
legislazione delle Nazioni Unite l'accettazione di obblighi
internazionali da parte degli Stati è espressamente vincolato al
rispetto dei dettati costituzionali interni. E questo è un principio
fondamentale, come ha affermato un grande studioso austriaco di
diritto internazionale, Alfred Verdross: l'ONU non ha sovranità
direttamente sugli individui. In quest'ambito che bisogna rispettare
la sovranità degli Stati, cosicché la diretta azione dell'Onu sugli
individui, senza passare attraverso la struttura legislativa dello
Stato, è esclusa. Ciò è essenziale, ragione strutturale perché
un'iniziativa come l'ICTY è da respingere come totalmente illegale. Ma
siamo in una fase storica dove la legge della forza prevale sulla
forza del diritto. Il quale è, come vuole la vulgata, la base legale
per la creazione da parte del Consiglio di sicurezza di tal
straordinario, anzi meglio dire senza precedenti organo come l'ICTY
(nonché il tribunale del Rwanda). Prima di tutto, il suo potere
discrezionale sconfinato nel definire le minacce o i pericoli per la
pace (non si parla di pace internazionale come invece si legge nella
norma) ai sensi dell'articolo 39 della Carta, è il risultato di
un'accezione erronea sfortunatamente corroborata da prassi fuorvianti
e dalla acquiescenza degli stati. In secondo luogo, alla base della
determinazione di questo strumento c'è l'affermazione che il Consiglio
di Sicurezza abbia possibilità illimitate nell'adottare ogni sorta di
misura che ritiene utile e necessaria. Ciò è stato confermato anche in
anni recenti, dalla prassi illegale, ma ciò è profondamente falso. Gli
articoli 41 e 42della Carta prevedono due tipi di misure
(rispettivamente con e senza l'uso della forza), senza dubbio in
maniera esemplificativa, in modo da limitare le tipologie connesse con
funzione di auto tutela, in cui è proibita l'azione individuale degli
stati, e dove ci si debba affidare all'azione collettivamente decisa.
Attività del genere lo stato leso poteva mettere in opera,
conformemente al vecchio diritto internazionale, che includeva tra le
contromisure, rappresaglie,auto-tutela e così via. Ciò ora è
rimpiazzato dalle iniziative collettive sempre dello stesso tipo. Con
ciò si vorrebbe impedire l'auto tutela individuale per favorire quella
collettiva, rimuovendo situazioni (reali o imminenti) minacciose per
la pace, senza imporre soluzioni (previste dal capitolo 6 ma solo
sotto forma di raccomandazioni). In questo senso, è una pura funzione
esecutiva. Perciò nessun potere di modifica dell'esistente ordine
legale, o di creazione di regole e di organi o di leggi è attribuito
all'ONU e in particolare al Consiglio di Sicurezza in base al capitolo
7 (non è prevista nessuna funzione giuridica interstatale, tanto meno
sugli individui). L'istituzione dei cosiddetti tribunali con lo scopo
di giudicare i crimini perpetrati da individui è secondo me una
questione che desta qualche dubbio. Il minimo requisito per un organo
del genere dovrebbe essere che alla base ci sia un accordo tra gli
stati, un accordo direi, che rientri nel quadro delle regole delle
Nazioni Unite, che rispetti le istanze costituzionali dei paesi
coinvolti e i principi fondamentali dei diritti umani. La convenzione
sul genocidio del 1948, ovviamente accettata dagli Stati, prevede la
costituzione di un tribunale, che non è mai stato costituito, la cui
giurisdizione abbia l'esplicito consenso degli stati. Altri successive
corti internazionali sono state istituite a seguito di accordi
internazionali. La creazione dell'ICTY (e del tribunale del Rwanda) ad
opera del Consiglio di Sicurezza è inammissibile da un punto di vista
strettamente giuridico. L'opposta opinione, che corrisponde con quella
dell'ICTY stesso, si basa sull'interpretazione degli articoli 39, 41,
42 tendente a dare ampio potere discrezionale al Consiglio di
Sicurezza. Accettare questa dottrina equivale ad accettare una
dittatura mondiale del Consiglio di Sicurezza su individui e
Stati.Siamo consapevoli di essere già sulla buona strada: le
risoluzioni del Consiglio di Sicurezza lo testimoniano; lo stesso si
dica della risoluzione 827 che da vita all'ICTY. Questo è un puro atto
di giustizia dei vincitori, espressione del diritto della forza contro
la forza del diritto. Sono i principi del Fuhrer espressi a livello
planetario.Come tale istituzione può essere inclusa nella carta
dell'ONU?La risoluzione 827 non è né una decisione collettiva che non
implica la forza né una misura che la prevede ex.articolo 42.Non è, in
generale, un mezzo collettivo di autotutela atto a impedire
l'autotutela individuale ad opera degli stati stessi: avete mai visto
un istituzione come un tribunale usata come contromisura o come
rappresaglia da uno stato leso?Secondo la corretta interpretazione,il
consiglio di sicurezza non ha tale potere:le istituzioni di un organo
di questo tipo non è una misura esecutiva, ma normativa che implica il
potere legislativo e potere giudiziario persino sugli individui,
poteri mai conferiti al consiglio di sicurezza.Un fondamentale saggio
di Gaetano Arangio-Ruiz, (''on the security counsil's law making'' ex
membro della commissione diritto internazionale presso le nazioni
unite nonché uno dei maggiori studiosi della dottrina sostiene: ''Si
ha l'impressione che i giuristi internazionali tendano ad essere
soddisfatti senza mostrare un minimo di senso critico, facendo solo
qualche proposta marginale circa la procedura volta a far si che le
azioni del Consiglio di Sicurezza siano meno problematiche, ma
politicamente più gradite... non si nota, in dottrina, nessuna
trattazione a proposito dei problemi che si pongono circa
l'interpretazione e l'applicazione della Carta . Questa per mezzo
secolo sono sempre state in balia di svariate letture... si percepiva,
in quel tempo, nell' approccio alla materia, un' atteggiamento
rinunciatario da parte dei giuristi in ossequio al potere politico e
al 'realismo' ". Le conclusioni di Arangio-Ruiz sull'ICTY sono
perentorie: "Chiaramente, l'istituzione di un tribunale con le
funzioni cui sono state date all'ICTY, rappresentano un duro impatto
ai diritti e agli obblighi degli Stati, la cui sovranità e
giurisdizione penale potrebbero risultare danneggiate
dall'espletamento di tali funzioni. Due possibilità -data
l'impraticabilità del trattato- erano così aperte circa la questione
del Consiglio. Una era quella di avviare un'azione militare nei
territori coinvolti, aprendo in questo modo la possibilità di formare
una corte penale nel contesto delle operazioni militari svolte
dall'Onu, operando nell'ambito degli articoli 42 e 51; la seconda
strada era quella di creare una corte penale come forma isolata
riguardante solo gli stati in gioco. Prerogativa questa che avrebbe
permesso di agire al di fuori di qualsiasi operazione militare
vincolata ai dettami della Carta e del diritto internazionale. Non
potendo, o non volendo seguire la prima opzione, e traviato da esperti
in legge, il consiglio scelse la seconda. Così facendo il Consigli non
intraprese una legittima azione di "peace-enforcement" prevista dal
capitolo 7, ma si attribuì un potere legislativo, che viola il
capitolo 7 dal momento che questo non prescrive una tale funzione. In
questo modo l'Onu ha ignorato la distinzione di importanza capitale
fatta dalla Carta tra peace-enforcement e il potere di creare,
modificare e rinforzare le leggi, quest'ultime non sono attribuite
agli organi delle Nazioni Unite da nessuna parte". Io aggiungerei
questo- nemo dat quod non habet- il Consiglio di Sicurezza non può
istituire un organo sussidiario ex art. 29 e attribuirgli poteri che
lui stesso non possiede. Così ICTY è un puro strumento di natura
politica. Ho lasciato da parte ogni sorta di commento circa il suo
Statuto, sulla suo specifico modo di procedere, sull'infame rifiuto di
giudicare i crimini della NATO (bombe, uranio impoverito ecc.), il
vergognoso rapimento di Slobodan Milosevic, la violazione dello Stato
e dell'immunità che spetta ai suoi organi (come previsto dalla
decisione della corte Internazionale di giustizia il 14 Febbraio 2002:
caso riguardante l'autorizzazione all'arresto del 11 aprile 2000 -
Repubblica Democratica del Congo contro Belgio) e così via, per non
parlare dei capi di accusa contro Slobodan Milosevic contrari ad ogni
principio di diritto penale. Quello contro Milosevic è un processo
politico: il crimine dell'ex Presidente è stato quello di non
accettare il diktat delle potenze occidentali. I processi, quasi tutti
contro personalità di nazionalità Serba (non si sono visti i leader
delle altre Repubbliche come Tudjman o Itzebegovic e nemmeno i leader
odierni albanesi), sono un avvertimento per tutti coloro che non si
sottomettono al nuovo ordine mondiale: hanno bisogno di abbellire
delle vere e proprie aggressioni, per poi condannare presunti crimini
commessi da presunti mostri. La risoluzione 36/103 del 9 Dicembre 1981
dell'Assemblea Generale (dichiarazione di ammissibilità
dell'intervento e di interferenza in affari interni agli stati)
afferma: " Il dovere di ogni Stato di astenersi dal promuovere
campagne diffamatorie o di propaganda ostile con lo scopo di
intervenire o interferire negli affari interni" nonché " il dovere per
ogni Stato di evitare ogni strumentalizzazione e distorsione di
questioni riguardanti i diritti umani come mezzo per interferire in
affari interni, per far pressione sugli altri stati, o per seminare
distruzione e disordine tra stati o gruppi di Stati". Notate una certa
somiglianza con l'atteggiamento delle potenze occidentali e dei media?
Mai prima d'ora la differenza di atteggiamento tra le due parti era
stata così evidente: uno Stato che rifiuta financo di accettare
l'adesione alla convenzione del 1998 di Roma che istituiva la Corte
Penale Internazionale con i suoi alleati che appoggiano un processo
farsa contro le vittime dell'aggressione, e i leader che tentano di
difendere la propria patria. Tale mancanza di legalità è equivalente
ad una violenza sconfinata. Non c'è da stupirsi se la violenza e il
terrorismo (vero o presunto) si stia spargendo su tutto il pianeta, se
i più elementari principi di legalità vengono violati dall'Onu stesso.


Traduz. di Pacifico Scamardella (Forum Belgrado Italia)
Fonte: http://www.resistenze.org/sito/os/ta/osta5i01.htm


--- In [icdsm-italia] "icdsm-italia" ha scritto:

[Tutti gli interventi della Conferenza Internazionale tenutasi all'Aia
lo scorso 26 febbraio sono in linea sul sito dell'ICDSM: di seguito i
link in dettaglio.]

---------- Initial Header -----------

From : "Vladimir Krsljanin"
Date : Thu, 23 Jun 2005 21:50:42 +0200
Subject : Hague vs. International Law (confrerence proceedings)


**************************************************************
INTERNATIONAL COMMITTEE TO DEFEND SLOBODAN MILOSEVIC
ICDSM Sofia-New York-Moscow www.icdsm.org
**************************************************************
Velko Valkanov, Ramsey Clark, Alexander Zinoviev (Co-Chairmen),
Klaus Hartmann (Chairman of the Board), Vladimir Krsljanin (Secretary),
Christopher Black (Chair, Legal Committee), Tiphaine Dickson (Legal
Spokesperson)
**************************************************************
23 June 2005 Special Circular
**************************************************************

THE HAGUE PROCEEDINGS AGAINST SLOBODAN MILOSEVIC: EMERGING ISSUES IN
INTERNATIONAL LAW

International Conference held at The Hague on 26 February 2005

http://www.icdsm.org/COH1.htm

All the papers and speeches now online:

Ramsey Clark: Keynote Address
http://www.icdsm.org/COH/Clark.htm

Professor Hans Koechler: Global Justice or Global revenge?
International Criminal Justice and the Role of the United Nations
Security Council
http://www.icdsm.org/COH/Koechler.htm

Tiphaine Dickson: Beyond the Star Chamber: Shutting Down the Milosevic
Defense at The Hague
http://www.icdsm.org/COH/Dickson.htm

Dr Alexander Mezhyaev: The ICTY Case Against Slobodan Milosevic: Some
Questions of the International Law
http://www.icdsm.org/COH/Mezyaev.htm

Professor Velko Valkanov: The Rotten Foundations of the Hague Tribunal
http://www.icdsm.org/COH/Valkanov.htm

Dr John Laughland: The Hague: Contravening the Principles of Nuremberg
http://www.icdsm.org/COH/Laughland.htm

Professor Aldo Bernardini: International Law Turned Upside Down:
Yugoslavia
Crisis and President Milosevic's Case
http://www.icdsm.org/COH/Bernardini.htm

Professor Bhim Singh: Milosevic Trial a Trash!
http://www.icdsm.org/COH/Singh.htm

Christopher Black: Lawyer's Experience with ad-hoc Tribunals
http://www.icdsm.org/COH/Black.htm

*************************************************************

(...)

SLOBODA urgently needs your donation.
Please find the detailed instructions at:
http://www.sloboda.org.yu/pomoc.htm

To join or help this struggle, visit:
http://www.sloboda.org.yu/ (Sloboda/Freedom association)
http://www.icdsm.org/ (the international committee to defend Slobodan
Milosevic)
http://www.free-slobo.de/ (German section of ICDSM)
http://www.free-slobo-uk.org/ (CDSM UK)
http://www.icdsm-us.org/ (US section of ICDSM)
http://www.icdsmireland.org/ (ICDSM Ireland)
http://www.pasti.org/milodif.htm (ICDSM Italy)
http://www.wpc-in.org/ (world peace council)
http://www.geocities.com/b_antinato/ (Balkan antiNATO center)

--- Fine messaggio inoltrato ---