ALTRI TEMPI ... ALTRI UOMINI ... ALTRI PRESIDENTI


Fonte: resistenza_partigiana @ yahoogroups.com

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UN UOMO DELLA RESISTENZA

Scrivo queste righe il giorno 10 febbraio 2006,
il cosiddetto " Giorno del Ricordo ", istituito nell´anno 2005 dal
governo di centro destra per accontentare le frange più estremiste
delle organizzazioni degli esuli e per strumentalizzare la tragedia
delle foibe. Sulle foibe iniziarono a raccontare le loro menzogne i
nazifascisti già nel 1944, mentre per gli esuli istriani tutto ebbe
inizio con il maledetto esodo di Pola del 1947, una fuga generale
insensata provocata dalla propaganda anticomunista che già aveva
incominciato ad imperversare dopo l´inizio della cosiddetta " Guerra
Fredda ". Da parte mia io preferisco ricordare altre cose, come la
visita a Trieste di uno degli uomini migliori che l´Italia abbia mai
avuto come Presidente della Repubblica : l´onorevole Sandro Pertini.

E´ la primavera del 1983. Viene annunciata a Trieste la visita del
Presidente della Repubblica. Già alla mattina presto la piazza Unità è
piena di gente. Oltre agli striscioni portati dagli operai delle
fabbriche e le bandiere sindacali, si notano numerosissimi simboli
della Lista per Trieste, formazione politica allora fortissima ed
alcuni manifesti con scritte di contestazione. In particolare un
striscione nero portato da alcune donne colpisce la mia attenzione :
vi è scritto sopra, in lettere verdastre : " Presidente Pertini,
ricordati
delle foibe ! " Pertini arriva con l´elicottero sul Molo Audace, si
reca in Prefettura acclamato dalla folla e poi ritorna a fare un giro
della piazza a piedi. La gente, trattenuta dalle transenne lo applaude
e mille mani si tendono per toccarlo. I rappresentanti della Lista del
Melòn se ne stanno in cupo silenzio. Io sono in prima fila. Mi passa
davanti quest´ uomo magro, quasi rachitico, più piccolo di me che già
non sono un gigante e quando gli tendo la mano allunga un braccio
sottile come un fuscello e me la stringe con forza insospettata. Non me
la sono lavata per un mese. Poi il Presidente si reca sul palco
allestito davanti al Municipio dove si trova il sindaco Richetti
assieme alle massime autorità. Succede un po´ di confusione. Sembra che
le " vedove della Lista ", quelle con lo striscione sulle foibe,
vogliano parlare con lui. C´ è anche pronta una delegazione della "
Lista per Trieste ". Qualcuno comincia a fischiare ed a urlare
improperi. A questo punto Pertini dice all´orecchio del sindaco
Richetti qualcosa che nessuno sente, poi rimane zitto. Il sindaco di
Trieste dice poche parole di circostanza, e la manifestazione si
scioglie senza che il Presidente della Repubblica in visita alla città
di Trieste abbia detto una sola parola. Poi i giornali scrissero che
il protocollo della visita non prevedeva che il Presidente della
Repubblica facesse alcun discorso in piazza a Trieste, ma i bene
informati fecero sapere in giro che le parole che Pertini aveva
sussurrato nell´orecchio del sindaco Richetti erano : " Io con questi
MATTI non ci parlo ". Successivamente nella stessa giornata Sandro
Pertini si recò in visita ai cantieri navali di Monfalcone e davanti
agli operai metalmeccanici riuniti in assemblea nella mensa aziendale
fece un comizio memorabile, tanto che in seguito fu portato in giro in
trionfo dagli stessi operai, alla faccia del protocollo e dei
regolamenti, e con grande preoccupazione delle sue guardie del corpo. L´
indomani, come al solito, iniziò una lunga serie di polemiche sulle
pagine della rubrica " Segnalazioni " del quotidiano " Il Piccolo " di
Trieste. Ma questa è un´ altra storia.

Gianni Ursini

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dal sito http://www.quirinale.it

INTERVENTO DEL
PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
CARLO AZEGLIO CIAMPI
IN OCCASIONE DEL "GIORNO DEL RICORDO".

Palazzo del Quirinale, 8 febbraio 2006

Signor Presidente della Corte Costituzionale,
Signor Vice Presidente del Senato della Repubblica,
Signor Vice Presidente del Consiglio dei Ministri,
Signori Ministri,
Onorevoli Parlamentari,
Autorità,
Signore e Signori,

sono oggi qui con voi, per onorare le finalità della Legge che, con
decisione pressoché unanime del Parlamento, ha istituito il "Giorno
del Ricordo". Le cito:
"conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e
di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli
istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più
complessa vicenda del confine orientale".
E' giusto che agli anni del silenzio faccia seguito la solenne
affermazione del ricordo.
La celebrazione di quest'anno si arricchisce di un momento di grande
significato: la prima consegna a congiunti delle vittime di una
medaglia dedicata a quanti perirono in modo atroce, nelle foibe, al
termine della seconda guerra mondiale.
Il riconoscimento del supplizio patito è un atto di giustizia nei
confronti di ognuna di quelle vittime, restituisce le loro esistenze
alla realtà presente perché le custodisca nella pienezza del loro
valore, come individui e come cittadini italiani.

L'evocazione delle loro sofferenze, e del dolore di quanti si videro
costretti ad allontanarsi per sempre dalle loro case in Istria, nel
Quarnaro e nella Dalmazia, ci unisce oggi nel rispetto e nella
meditazione.

Questo nostro incontro non ha valore puramente simbolico; testimonia
la presa di coscienza dell' intera comunità nazionale.

L'Italia non può e non vuole dimenticare: non perché ci anima il
risentimento, ma perché vogliamo che le tragedie del passato non si
ripetano in futuro.

La responsabilità che avvertiamo nei confronti delle giovani
generazioni ci impone di tramandare loro la consapevolezza di
avvenimenti che costituiscono parte integrante della storia della
nostra patria.

La memoria ci aiuta a guardare al passato con interezza di
sentimenti, a riconoscerci nella nostra identità, a radicarci nei
suoi valori fondanti per costruire un futuro nuovo e migliore.
L'odio e la pulizia etnica sono stati l'abominevole corollario
dell'Europa tragica del Novecento, squassata da una lotta senza
quartiere fra nazionalismi esasperati.
La Seconda guerra mondiale, scatenata da regimi dittatoriali
portatori di perverse ideologie razziste, ha distrutto la vita di
milioni di persone nel nostro continente, ha dilaniato intere
nazioni, ha rischiato di inghiottire la stessa civiltà europea.

Questa civiltà - alla quale noi italiani abbiamo dato, nel corso dei
secoli, uno straordinario contributo intellettuale e spirituale - è
fatta di umanità, rispetto per "l'altro", fede nella ragione e nel
diritto, solidarietà. Le prevaricazioni dei totalitarismi non sono
riuscite a distruggere questi principi: essi sono risorti, più forti
che mai, sulle devastazioni della guerra; hanno cementato la volontà
degli europei di perseguire, uniti, obiettivi di pace e di progresso.

L'Italia, riconciliata nel nome della democrazia, ricostruita dopo i
disastri della Seconda Guerra Mondiale anche con il contributo di
intelligenza e di lavoro degli esuli istriani, fiumani e dalmati, ha
compiuto una scelta fondamentale. Ha identificato il proprio destino
con quello di un'Europa che si è lasciata alle spalle odi e rancori,
che ha deciso di costruire il proprio futuro sulla collaborazione
fra i suoi popoli basata sulla fiducia, sulla libertà, sulla
comprensione.

In questa Europa di fratellanza e di pace, le minoranze non sono più
vittime di divisioni e di esclusione, ma sono fonte e simbolo di
rispetto e di arricchimento reciproco, di dialogo e di costruttiva
collaborazione. Animata da questo spirito, l'Italia ha rafforzato il
proprio impegno per favorire il processo di rinascita e di
riaffermazione dei diritti delle minoranze italiane in Slovenia e
Croazia, in base ai principi cui debbono attenersi tutti i Paesi
membri dell'Unione Europea.

Il nostro europeismo non nega, anzi rafforza l'amore per la patria,
radicato negli ideali del Risorgimento. Essi ci hanno trasmesso,
insieme alla ritrovata coscienza dell'unità nazionale, il sentimento
profondo di fraternità fra tutte le nazioni, libere e indipendenti.

A oltre cinquant'anni di distanza dall'inizio del progetto politico
europeo, la consapevolezza delle ragioni che lo determinarono, la
memoria dei rischi fatali corsi dai popoli europei sono necessarie
per mantenere vigile la difesa delle fondamenta del vivere civile,
del rispetto per la dignità della persona umana.

Nel ricordare il cammino percorso da allora, possiamo rivendicare
con orgoglio, dopo gli immani travagli del secolo scorso, gli
straordinari avanzamenti compiuti.

Il ricordo di quei travagli e dell'indicibile fardello di dolore che
essi hanno addossato ai popoli europei rafforza la coscienza dei
valori di civiltà in cui si sostanzia l'identità europea. Il
presente e il futuro dell'Europa si fondano sul sentimento di comune
appartenenza di tutti gli europei e sul consolidamento di un unico
spazio in cui i principi e le libertà dell'Unione Europea siano da
tutti pienamente condivisi. La volontà di popoli un tempo fieramente
avversi di vivere insieme, nell'Unione Europea, assicura un futuro
di comune progresso, nella democrazia e nella libertà.