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MILOSEVIC, ULTIMA INTERVISTA PRIMA DELL'ARRESTO

(marzo 2001)

Di FULVIO GRIMALDI

L'appuntamento con Slobodan Milosevic ricorda quelli che ho avuto
ripetutamente con Yasser Arafat: assoluta incertezza sul luogo e sui
tempi dell'incontro fino alle 19 di venerdì sera, mentre mi accingevo a
partire per Kragujevac per intervistare i dirigenti del sindacato di
sinistra che hanno appena registrato una sorprendente, schiacciante
vittoria sul sindacato vicino al nuovo potere, nelle elezioni per il
rinnovo dei dirigenti sindacali della fabbrica automobilistica
Zastava. In quel preciso momento arriva l'ex.ministro degli esteri e
oggi vicepresidente del Partito Socialista Serbo, Zivedin Jovanovic,
del quale pure era stato annunciato l'arresto, poi smentito, insieme a
quello, effettivo, di otto alti dirigenti del partito. Vengo portato di
gran carriera alla residenza dell'ex-presidente e nel tragitto
Jovanovic esprime il timore che tutti questi arresti e una feroce
campagna contro Milosevic, allestita dal movimento giovanile del
premier Zoran Djindjic, le "Camicie Nere", insieme all'organizzazione
Otpor, rivendicata dagli USA come proprio strumento insurrezionale,
stiano cercando di fare il vuoto intorno a Milosevic, in vista
dell'arresto entro il 31 marzo, intimato da Washington pena il rifiuto
di qualsiasi finanziamento e il mantenimento delle sanzioni.
Passati per la cancellata della residenza, nella periferia di
Belgrado, attraversiamo un ampio parco, fortemente illuminato e
presidiato da militari dell'esercito e da carri armati che mi dicono
posti a difesa di Milosevic, contro un qualche colpo di mano che voglia
arrivare alla sua cattura.
Sull'uscio di un fabbricato a un piano, l'ex-presidente jugoslavo mi
viene incontro e mi saluta con cordialità. Vengo introdotto in un ampio
salone di stile neoclassico, con al centro tre divani a ferro di
cavallo. Milosevic si siede su quello centrale, con me e Jovanovic ai
due lati. Chiede di non utilizzare apparecchi di registrazione e
insiste che questa è una conversazione e non un'intervista. Ma mi
consente di pubblicarla.
Slobodan Milosevic, 60 anni, appare più giovane e più vigoroso di
quanto non risulti nelle foto o in televisione. Non da l'impressione di
un uomo sconfitto e piegato, magari impaurito. Si esprime con la stessa
spontanea e tranquilla sicurezza che lo avevano caratterizzato in altre
occasioni. Apparentemente animato da ottimismo, esprime i suoi
ringraziamenti a tutti coloro che, nel mondo, manifestano solidarietà
alla Jugoslavia, ne sostengono la sovranità e integrità e condannano
sia l'aggressione Nato, sia la richiesta di Carla del Ponte e degli USA
di consegnarlo al tribunale internazionale dell'Aja, da Milosevic
definito il "braccio illegale della Nato" e "uno strumento per
perpetuare il genocidio della Jugoslavia". A questo proposito, l'ex-
ministro Jovanovic illustra un forte scontro in corso tra il premier
serbo Zoran Djindjic, definito l'uomo dei servizi tedesco-americani, e
il presidente Vojislav Kostunica. Verterebbe sui vertici delle forze
armate, apparentemente ancora fedeli all'ex-presidente (che però ne
avrebbe sempre voluto inibire l'intervento contro il nuovo potere), che
Djindjic starebbe sostiutuendo con uomini di sua fiducia. Alla mia
prima domanda sulla possibilità di un arresto di Milosevic, sia
Jovanovic che l'ex-presidente si dicono fiduciosi in una risposta di
massa. Jovanovic parla addirittura di possibile guerra civile,
specialmente se Djindjic dovesse decidere di consegnare Milosevic nelle
mani del Tribunale dell'Aja, un tribunale squalificato non solo agli
occhi dei sostenitori del vecchio governo, ma visibilmente
inaccettabile per gran parte della popolazione che, pur schierandosi
contro colui che per dieci anni è stato presidente della Serbia e della
Jugoslavia, resta critica dei bombardamenti Nato e di quello che viene
visto come uno strumento legale per rovesciare sui serbi la
responsabilità di quanto hanno subito, in termini di smembramento,
danni e uccisioni, i popoli jugoslavi, nonché per evitare qualsiasi
richiesta di risarcimento e di bonifica dei territori contaminati dalla
chimica e dall'uranio.
La conversazione, dominata da Milosevic e che mi lascia poco spazio per
le domande, scivola subito su quella che, non essendovi ancora state
avvisaglie di un tentativo di cattura del capo socialista, appare come
la questione più bruciante: gli attacchi dei "terroristi" UCK in
Macedonia e Serbia del Sud. "E' in corso", dice con gravità
Milosevic, "una enorme manovra di destabilizzazione del Sud-Est
europeo. I terroristi dell'UCK vengono utilizzati dagli USA in funzione
antieuropea ed antibalcanica con il miraggio della "Grande Albania". In
stretta collaborazione con il regime turco, uno dei massimi
finanziatori degli albanesi, si stanno attivando, sotto la direzione
UCK e con la copertura politica di Rugova, tutte le minoranze albanesi
nei paesi balcanici: Serbia del Sud, l'intera Macedonia e presto anche
Bulgaria e Grecia, dove vivono forti comunità albanesi (800.000 in
Grecia). In Romania, invece, vengono istigate alla rivolta le minoranze
ungheresi. Lo scopo strategico è di mantenere in permanente subbuglio
l'intera area, contro l'interesse europeo ad una stabilizzazione, in
particolare per contrastare le tendenze anti-Nato forti in Grecia e in
crescita in Bulgaria e Romania e per assicurare ampi territorio al
controllo della criminalità narcotrafficante diretta dall'UCK.
L'approccio politico è ancora una volta inteso a sfruttare le
differenze etniche".
Chiedo al mio interlocutore se non ritenga che anche il precedente
governo jugoslavo non abbia la sua parte di responsabilità in questa
frammentazione lungo linee etniche, religiose, linguistiche, culturali
e per il controllo delle rotte delle risorse energetiche. Milosevic
risponde con fervore: "La Federazione jugoslava, con la sua convivenza
pacifica, era un modello di Unione Europea, fino a quando non sono
entrate in gioco le trame del'imperialismo tedesco ed americano Viveano
in pace popoli di diversa cultura, storia, confessione. Vivevano in
armonia da 80 anni. In Jugoslavia non si chiedeva a nessuno di che
razza o nazionalità fosse. La rottura è venuta quando da fuori si sono
istigati gruppi di potere con la promessa di grandi privilegi personali
e di elite. Quanto alla popolazione croata, per esempio, come si
sarebbe potuto convincerla della bontà di una frantumazione, quando
tantissimi croati vivevano in Bosnia, in Serbia e in Kosovo? Lo stesso
valeva per i serbi, a cui invece è poi stata negata
l'autodeterminazione, e per i musulmani. Non era nell'interesse
nazionale di nessuna di queste comunità arrivare a una divisione e
contrapposizione."
"Anche la Germania e gli USA hanno un sistema federale".
"Già, ma nessuno per ora ha cercato di mettere il dito in quei
matrimoni. Quello degli Stati Uniti, del resto, è un sistema federativo
obsoleto e che presto andrà in forte crisi perché riconosce solo
geometriche divisioni geografiche e non le diverse comunità etniche,
culturali, linguistiche, sociali. Di fatti è un sistema che non sa dare
risposta alle sacrosante richieste dei latinos, dei neri, dei nativi,
degli italiani, dei poveri. Si tratta di comunità emergenti che
vorranno essere riconosciute. Tanto che Bush ha sentito il bisogno di
rivolgersi in spagnolo agli immigrati latinos. Dovrebbe essere un
principio di riconoscimento delle comunità etniche e sociali. E' la
dimostrazione che tutti esigono un nuovo codice, una nuova formula di
convivenza. E di questi la Jugoslavia era un esempio. Anche questo
spiega perché è vista come nemica dai poteri attuali"
A Belgrado, nei giorni precedenti, si era svolto un convegno
internazionale convocato dal Forum di Belgrado, una coalizione delle
sinistre jugoslave, nel secondo anniversario della guerra. Da molti
paesi, Stati Uniti, Germania, Russia, Palestina, Iraq, Libia, Grecia,
Italia e altri paesi erano venute delegazioni ad esprimere solidarietà
a questo paese. Milosevic ne è apparso molto incoraggiato: "Gli
italiani che ci hanno visitato durante la crisi, tra i quali Cossutta e
molti politici di paesi europei, ci hanno fatti chiaramente capire che
i loro paesi non sono indipendenti. Al popolo italiano non è stato
neanche chiesto se volesse una guerra. Se ne è parlato informalmente in
Parlamento. E' la prova che la Nato non è un'alleanza tra uguali, ma
una macchina da guerra che si trascina dietro tutto l'Occidente. I
popoli vengono sopraffatti e assistono inermi alla distruzione di
ospedali, scuole, treni e autobus pieni di civili in un paese amico e
inoffensivo"
Poco prima del mio arrivo, Milosevic aveva dato un'intervista al
quotidiano israeliano Haaretz. Ne cita qualche osservazione ribattendo
all'affermazione di Kostunica secondo cui ci sarebbero similarità tra
il Kosovo e Gerusalemme, entrambi aggrediti dai musulmani: " E'
un'interpretazione aberrante e razzista. Le similarità sono altre, sono
quelle tra genocidio dei serbi e genocidio degli ebrei e, ora,
genocidio dei palestinesi. I mezzi sono differenti: non più camere a
gas, ma una scientifica satanizzazione dei nemici attraverso i media.
Si tratta di anestetizzare la sensibilità pubblica di fronte al
massacro di civili e all'embargo." Nelle parole di Milosevic si
inserisce una punta di indignazione e il suo gesticolare si fa ampio e
veloce: "Ci hanno lasciato un esercito assolutamente integro, ma hanno
fatto stragi di civili, bambini, infrastrutture: 88mila tonnellate di
esplosivo e di uranio sulle teste degli jugoslavi. Siamo l'unico popolo
che sia stato bombardato in Europa dopo la seconda guerra mondiale. E
con un'arma criminale e genocida come l'uranio. Queste sono le
analogie!"
Sottopongo a Milosevic una questione che dovrebbe risultare
inquietante: la mancata o debole solidarietà manifestatagli nel mondo
da parte della maggioranza delle sinistre, anche di quelle che si
dicono contrarie all'egemonia Nato. L'ex-presidente assume
un'espressione amareggiata e punta ancora una volta il dito sui mezzi
d'informazione che, in questa occasione, avrebbero perfezionato agli
ordini del supremo potere politico-economico-militare USA, salvo poche
eccezioni, un meccanismo quasi perfetto di narcotizzazione: "Un
meccanismo fondato sull'inganno che, dunque, ha abolito la democrazia
sostanziale in America e in Europa. Si sono vendute menzogne anziché
verità. E' incredibile: adesso non hanno più nessuno scrupolo ad
ammettere di non aver trovato tracce di una pulizia etnica fatta dai
serbi in Kosovo (mentre loro ne hanno protetto una dell'UCK), che le
foto di presunti campi di concentramento serbi erano un fotomontaggio,
che i duecentomila stupri erano secondo l'.ONU, tra tutte le parti e in
tutta la guerra, solo 300, che non si sono trovate le fosse comuni. A
che servono le istituzioni democratiche e la libertà se tu, governo,
non diffondi che bugie? Una democrazia non è possibile senza la verità.
Le istituzioni diventerebbero delle vuote quinte".
Poi Milosevic mi ha invitato a confrontare il pluralismo dei media (e
dei partiti) esistenti in Jugoslavia, perfino durante la guerra , con
la granitica omologazione della stampa in Occidente.
"Ma voi alcuni dei media d'opposizione li avete chiusi." A questo punto
si inserisce nella conversazione il vicepresidente del PSS, Jovanovic:
"Per brevissimo tempo, quando in piena aggressione incitavano il popolo
a liberarsi con la violenza del governo ed era stato provato che
venivano diretti e finanziati dalla CIA. Agivano da quinta colonna e
istigavano alla sovversione violenta. Qualsiasi governo avrebbe reagito
in quel modo. Anzi, da noi, pure in guerra, non c'era neanche la
censura e a Belgrado 4 quotidiani su 6 ci attaccavano
sistematicamente".
"Presidente. Una domanda che molti dei suoi denigratori considereranno
provocatoria. Cuba, col suo partito unico resiste da oltre 40 anni. Non
c'è stato da voi un eccesso di democrazia, visto che l'opposizione se
la sono potuta comprare gli americani?"
"E chi lo può dire. Io alla democrazia ci tengo. Se non è democrazia il
fatto che ci fossero i partiti d'opposizione e il 95% dei mezzi
d'informazione erano in mano loro... Non hanno mai subito censure. In
Kosovo c'erano 20 giornali albanesi che tuonavano contro il governo.
Non sono mai stati chiusi. Da noi non c'è mai stato un priginiero
politico e ora questi concedono l'amnistia a terroristi, tagliagole,
infanticidi. E così che si difene il Sud della Serbia aggredito? Da noi
tutti potevanol avere il passaporto, Rugova teneva conferene stampa al
centro di Belgrado attaccandomi a morte. Mai nessuna vessazione,
nessuno ucciso. Eppure mi hanno accusato di omicidi quando in 12 anni
nessun oppositore è stato ucciso. Sono stati invece uccisi i miei
migliori amici. Se potessero mi darebbero anche la responsabilità
dell'uccisione di Moro o di Kennedy. Ma le bugie hanno le gambe corte.
Mi hanno accusato di crimini di guerra e il giorno prima hanno lanciato
le foto satellitari delle fosse comuni. C'è stata una rivolta di 22
mesi in Kosovo, e non hanno trovato che una fossa comune, piena di
serbi. Questo tribunale dell'Aja e le sue bugie non sono che una parte
del meccanismo di genocidio del popolo serbo, mascherato con una
spruzzata di croati e musulmani. Del resto, la Del Ponte era coinvolta,
nella Commissione Europea, in un gravissimo scandalo. Poi l'hanno
fatta procuratore all'Aja".
Sottopongo a Milosevic l'osservazione di molti, secondo cui lui sarebbe
stato a un certo punto "l'uomo degli americani". L'ex-presidente
respinge con veemenza la definizione: "Mai. Semmai ho trattato con gli
americani finchè appariva che volessero salvaguardare l'unità della
Jugoslavia, o almeno di quanto rimaneva dopo le secessioni di Croazia
e Bosnia. Del resto i continui ricatti e strangolamenti del FMI, cui
ci siamo dovuti piegare fino a un certo punto per le condizioni
terribili in cui le secessioni e le sanzioni avevano gettato il nostro
paese, raccontano un'altra storia. Gli USA devono rendersi conto che
non è possibile avere la democrazia in casa propria e sottomettere
altri popoli. E' una contraddizione in termini. Posso capire che gli
Stati Uniti, il paese oggi più potente e ricco, abbia l'aspirazione a
fare da leader della squadra. Ma due anni fa ho detto a Holbrooke
(inviato di Clinton.Ndr.), quando ci minacciava: avete sbagliato
millennio, non il secolo. Potevate essere i capisquadra lanciando un
grande progresso per il benessere, la diffusione delle tecnologie,
della giustizia, della democrazia. La vostra ossessione di dominio e di
profitti vi porta invece a uccidere gente e piccole nazioni, come
Giulio Cesare 2000 anni fa. Il vostro è un comportamento cesarista:
comico se non fosse tragico. Per voi esiste solo la vostra economia di
mercato che produce, accanto a straordinari profitti per pochi,
diseguaglianze e sfruttamento. La vostra massima legge nella conquista
del mondo è abbassare il costo del lavoro. Siete portatori di un nuovo
schiavismo."
Chiedo a Milosevic se non abbia registrato, nei mesi dopo la sconfitta
e la pulizia etnica dell'UCK contro le minoranze in Kosovo ,
riconosciuta se non condannata da tutto il mondo, un mutamento
dell'opinione pubblica interna ed internazionale. "Per fortuna",
risponde Milosevic, mentre sul tavolino si ammonticchiano caffè,
bibite, tè portati da un militante del partito, "non siamo in Uganda ma
in Europa, dove, nonostante la marcia blindata della stampa, si stanno
aprendo spiragli alla presa di coscienza. Lo noto soprattutto tra gli
albanesi che, in numero enorme, sono fuggiti dal Kosovo in Serbia.
Holbrooke mi disse chiaro e tondo: "Non ce ne importa niente degli
albanesi". Ebbene, a noi serbi, gli albanesi stanno a cuore, sono
nostri cittadini. Gli ho anche posto una domanda cui non ha risposto:
quali interessi mai potete avere voi, USA, a un'alleanza con terroristi
e trafficanti di armi, droga, organi, che a un certo punto non saprete
più controllare?"
Faccio a Milosevic l'obiezione che tante volte è stata sollevata in
Occidente: l'abolizione dell'autonomia del Kosovo. La risposta è
tecnica. Non ci sarebbe mai stata una tale abolizione. Nel 1989, dopo
numerosi pogrom antiserbi, al Kosovo si sarebbe tolta la facoltà di
paralizzare la federazione con un diritto di veto che una provincia
poteva imporre alle altre provincie autonome, alle repubbliche e,
addirittura, all'intera federazione. Nel discorso che Milosevic tenne a
Kosovo Polje, giudicato di un nazionalismo esasperato, l'allora
presidente avrebbe invece sollecitato all'uguaglianza e al rispetto
tra tutti i popoli della federazione. E mi cita le parole testuali del
discorso.

Alla conversazione non può sfuggire l'antefatto principale della
guerra: Rambouillet e un accordo che prevedeva, come ammesso dallo
stesso Dini più tardi, l'occupazione dell'intera Jugoslavia da parte
delle forze Nato, a la loro sottrazione alla giurisdizione della
magistratura federale. Racconta Milosevic: "Durante i negoziati di
Rambouillet, il generale Wesley Clark è andato ripetutamente con
Hashim Thaci, leader dell'UCK, nei ristoranti parigini. Eppure tutti
sapevano che Thaci aveva per ufficiali pagatori i narcotrafficanti
albanesi. Cosa ne poteva venire di positivo al popolo americano? Di
intese con la mafia si può avvantaggiare solo un profitto economico
senza scrupoli. Ma quell'intesa continua a funzionare e a produrre
disastri nei Balcani".
Milosevic, sul quale di lì a poco si abbatterà la resa dei conti
finale, non da l'impressione di un uomo braccato, in cerca di una
qualsiasi via d'uscita per sé e per la famiglia. Anzi, del suo destino
personale non parla mai. Crede nella possibilità di una resistenza che
si svilupperà e che trarrà impulso dalle sempre più disastrose
condizioni della popolazione. In effetti, la Belgrado di oggi, tuttora
sottoposta ad embargo, salvo per il petrolio, appare più spenta, cupa,
desolata di quella del tempo di guerra e del dopoguerra. L'inflazione
galoppa al 100%. Secondo dati dei ricercatori scientifici, taciuti o
minimizzati dalle autorità, le patologie da contaminazione chimica e
radioattiva dilagano. A Pancevo, l'Istituto dell'Igiene del Lavoro
denuncia un buon 80% della popolazione adulta affetta da tumori,
linfomi e malattie connesse all'inquinamento.

Su una possibile risposta di lotta ai vincitori delle elezioni
presidenziali, Milosevic dice:"Quella che conta, nella vita delle
nazioni, è resistere. Il complotto antijugoslavo sta diventando
visibile. Guardate ai fatti semplici della storia. Nell'ottobre del
1997 c'è il vertice sudeuropeo a Creta. C'eravamo tutti e tra tutti si
era stabilito un ottimo accordo. Avevo anche suggerito un'area di
libero scambio sudeuropea, senza dogane. In un'economia di mercato, pur
con le nostre irrinunciabili salvaguardie dei lavoratori (la legge che
garantiva ai lavoratori delle industrie privatizzate il 60% delle
quote. Ndr), ogni paese avrebbe avuto spazi più ampi di manovra,
mercati più vasti. Un'ottima soluzione anche prima di un ingresso
nell'UE. Per gli americani era una minaccia. Anche Fatos Nano, il
premier albanese, era d'accordo per l'apertura delle frontiere alle
persone, alle merci, alla normalizzazione. Mi disse: il Kosovo è un
problema interno della Jugoslavia, non negoziabile. Nel sud-est le cose
si sarebbero potute risolvere in pace e cooperazione. E' stato un forte
segnale d'allarme per i destabilizzatori e un mese dopo il ministro
degli esteri francese, Hubert Vedrine, espresse gravi preoccupazioni
per la sorte del Kosovo. Perché, se non era preoccupato neppure Fatos
Nano? E subito dopo la Germania si mette ad organizzare e armare i
gruppi criminali. Nel 1988 iniziano a sparare a poliziotti, forestali,
magistrati, postini, bombe nei caffè, nei mercati. Abbiamo reagito come
tutti avrebbero fatto. Alla fine del '98 l'UCK era finito. In TV si
vedevano camionate di armi UCK consegnate alla polizia. Ma arriva
Holbrooke e insiste sulla spedizione di personale armato. Rifiutai
ovviamente e ci accordammo sulla missione di osservatori dell'OSCE,
solo civili. Appena Holbrooke ametteva che il problema era risolto, il
giorno dopo lo riapriva: erano arrivate nuove istruzioni da Washington.
Ma in Kosovo tutto restava calmo, alla presenza di 2000 osservatori
Osce, centinaia di membri della Croce Rossa, giornalisti, diplomatici.
Poi il criminale William Walker (capo dell''OSCE. Ndr) si inventò la
strage di Racak, successivamente smentita da tutti gli investigatori.
Fu il pretesto per Rambouillet e per l'aggressione. Quando il nostro
giurista Radko Markovic definì il diktat "spazzatura", James O'Brian,
assistente della Albright, si inalberò: "Come può dirci questo? Non si
rende conto che il testo è stato preparato da colui che ha elaborato il
testo per l'indipendenza tibetana?" Ho detto tutto."
Chiedo a Milosevic se anche la distruzione della Jugoslavia faccia
parte del processo di globalizzazione. "La distruzione del mio paese è
la dimostrazione che non esiste la globalizzazione, ma solo un nuovo
colonialismo. Se si trattasse di vera globalizzazione, cercherebbe
l'integrazione, su basi di parità, di popoli, culture, religioni. Si
sarebbe preservata la Jugoslavia, che aveva messo in atto la formula
migliore. Se le nazioni, gli stati, i popoli fossero trattati da
soggetti pari, non conquistati, stuprati, se il mondo non dovesse
appartenere a una minoranza ricca, che deve diventare più ricca mentre
i poveri diventano più poveri, si avrebbe la giusta globalizzazione.
Non si è ma vista una colonia svilupparsi e conquistare la felicità. Se
si perdono l'indipendenza e la libertà, tutte le altre battaglie sono
perse. Gli schiavi non prosperano".
"Eppure a condurre la guerra sono stati i governi di sinistra,
socialdemocratici, europei".
"La disinformazione e manipolazione sono purtroppo penetrati anche
nelle sinistre, dato che oggi in Europa abbiamo solo sinistre false.
Blair, Schoreder, Jospin, D'Alema sono forse di sinistra? Perché Kohl è
stata rimosso con il solito sistema degli scandali? Perché rifiutava
di sottomettere la Germania totalmente al controllo USA. Questi qua,
invece, sono disposti a fare da sciuscià. Gli USA sono penetrati nelle
loro strutture politiche e dunque mediatiche. Sono state
paradossalmente le sinistre a bombardarci. Con i greci di Mitsotakis,
per esempio, c'era un'intesa più rispettosa che con l'amerikano
Papandreu. Quanto agli italiani, ho poco da dire. Non si sono molto
adoperati per avere un dialogo con noi. Sono rimasti nell'ombra"
Chiedo a Milosevic giudizi su paesi e personaggi in qualche misura
all'orizzonte della crisi jugoslava. "La Cina? Ci sostiene
discretamente e indirettamente, ma si occupa dei fatti suoi. I cinesi
sono calmi e pazienti. Dicono di aver bisogno di cent'anni per
competere con le potenze imperiali. La Russia è stata distrutta
dall'amerikano Gorbaciov. Ingenui i russi se pensavano che la
devastazione si sarebbe fermata ai loro confini. Ora, forse, c'è
qualche segnale di ripresa. Ramsey Clark, l'ex-ministro statunitense
della giustizia e leader dei diritti civili, è un grande combattente
per la pace. Quando iniziò la guerra Iraq-Iran, la crisi degli ostaggi,
Clark chiese a Kissinger cosa si aspettasse da quella guerra. La
risposta fu "che si uccidano a vicenda". La storia si ripete: guerra
tra slavi e tra slavi e musulmani perché si indeboliscano, si uccidano,
sgomberino il campo. Basta guardare al Kosovo, alla Cecenia, al
Daghestan, alla Macedonia. Ora gli USA si sentono minacciati da Putin
(sul nome del presidente russo Milosevic alza dubbiose sopracciglia.
Ndr), dalla Moldavia, dalla Bielorussia, dall'Ucraina. Li considerano
tutti minacce all'Occidente solo perché hanno iniziato a muoversi verso
sinistra e a curare con maggiore responsabilità i propri interessi.
Molte cose stanno cambiando. La gente si sveglia dall'ipnosi che gli
aveva fatto credere che il suo futuro dipendesse da FMI e Banca
Mondiale. Hanno rubato alla Russia centinaia di miliardi e poi
vorrebbero negoziare crediti a tassi d'interesse da strozzino. Questa
Russia ha un potenziale enorme. Deve liberarsi delle mafie nutrite
dall'Occidente che ne governano l'economia. Putin se ne rende conto e
questo spiega tutte le sue recenti iniziative internazionali. La
Russia deve mandare al diavolo il Fondo Monetario i cui schemi servono
solo a distruggere quel paese".
"Certa sinistra europea l'ha accusata per le privatizzazioni".
Nella nostra costituzione tutte le proprietà sono garantite: statali,
sociali, cooperative, private. Il grado di privatizzazione dipende
dallo sviluppo dell'economia, dalle condizioni imposte dagli organismi
internazionali (che alla fine abbiamo rifiutato), dall'indebitamento e
dalla protezione sociale. Noi abbiamo cercato un equilibrio ottimale
nelle circostanze date. Abbiamo respinto una privatizzazione totale,
soprattutto dei settori strategici, per mantenerne il controllo
pubblico. Abbiamo assicurato ai nostri operai il 60% delle aziende
privatizzate e limitato al 40% i capitali nazionali o stranieri.
Nessuno in Europa lo ha fatto. Abbiamo dato molta terra ai contadini. I
10 ettari della precedente legge erano troppo pochi per una famiglia
nell'economia moderna. Ora gli ettari che si possono possedere sono
160. Non è certo un latifondo.
Quanto alla Telekom, la mediazione di un miliardo e mezzo di un prezzo
che per noi era conveniente, per gli italiani costoso, è andata per
metà a intermediari cechi. Noi non abbiamo visto un dinaro in termini
di mazzette. Quella somma ci occorreva per ricostruire un'economia
devastata dalle sanzioni che avevano determinato nel 1993 un'inflazione
del 350mila per cento. Entro il 1994 eravamo riusciti a ridurre
l'inflazione a zero. Il dinaro rimase stabile, l'inflazione sotto
controllo fino al l999. Eravamo in miseria, ma sani, e tra il 1994 e il
1998 il nostro PIL aumentò tra il 4 e l'8 per cento, più che in tutti i
paesi vicini, per quanto foraggiati. Ecco un'altra minaccia jugoslava:
non c'è un serbo che lavori in altri paesi, mentre qui vengono a
lavorare migliaia di rumeni e bulgari. Ne sono fiero. Come sono fiero
della ricostruzione che in poco più di un anno questo paese ha saputo
fare. Oggi ci sono i black-out continui, allora neanche uno.

"Presidente, l'accusano spesso di aver accumulato tesori in banche
estere, anche se alcuni sospettano che si trattava di conti che
servivano ad aggirare l'embargo e nutrire la popolazione".
"Già, due anni fa Holbrooke mi annuncia:"La Svizzera ha congelato i
suoi conti". Gli risposi che gli avrei subito firmato la donazione di
tutti i miei fondi svizzeri. Del resto la massima autorità finanziaria
svizzera ha dichiarato di non aver trovato traccia di miei averi in
quel paese. L'unico conto che possiedo è qui in una banca e serve a
ricevere il mio stipendio. Ora si parla di Cipro, ma anche lì non hanno
trovato niente e hanno fatto arrabbiare molto i ciprioti".
"Presidente, nutre fiducia nel futuro? Le circostanze sembrano a lei
molto sfavorevoli. Si parla di un arresto imminente. Lo hanno chiesto
gli USA."
"Credo di poter nutrire fiducia. Tutto dipende dalla linea politica del
nuovo governo, da chi vi prevarrà e da come reagirà il popolo quando
capirà di essere stato ingannato e impoverito. Il gruppo dirigente è
molto diviso. Kostunica è meglio degli altri, pare voglia difendere gli
interessi nazionali, ma è debole e non ha la maggioranza nella
coalizione. Vedremo cosa ne verrà fuori. Noi intanto lavoriamo al
rafforzamento del partito, nostra unica difesa, e alla presa di
coscienza della gente. Sentiamo che il nostro punto di vista si sta
diffondendo tra operai, contadini, clero. Siamo invalidati dalla quasi
totale mancanza di mezzi d'informazione. Abbiamo un solo quotidiano.
Tutti i media sono controllati dalla DOS, altro che democrazia. Una
volta un giornalista in TV ha preso a criticare questa blindatura
dell'informazione. Hanno immediatamente interrotto le trasmissioni. Con
noi non era mai successo".
Milosevic mi congeda con calore. "Grazie per l'informazione corretta".
E aggiunge con forza: "Never give up", forse in inglese perché suocera
intenda: arrendersi mai. Poi mi richiama per una citazione di Madeleine
Albright, la segretaria di stato di Clinton, riferitagli dal
giornalista del New York Times, Steve Erlander. Esclamò Albright: "Ma
come, Milosevic ha accettato il risultato delle elezioni? E' il colmo,
non è possibile! Lo avevamo incriminato apposta di tutti quei delitti,
per dieci ergastoli, onde non rinunciasse a nessun costo al potere. E
adesso questo se ne va... Non è una vittoria, questa". Poi, con un
sorriso amaro, mormora una raccomandazione: "Non è vero che avessimo
saputo del bombardamento della nostra televisione. Hanno incarcerato
Dragoljub Milanovic, l'ex-direttore, per questo. Proprio lui che era
rimasto fino a pochi minuti prima delle bombe. Come se uno potesse
sapere il minuto secondo del botto. E' una delle tante infamie di Carla
del Ponte per coprire il crimine del bombardamento sui giornalisti.
Non dovevano esserci? E lei in guerra non terrebbe presidiato il mezzo
di comunicazione più immediato per avvertire le popolazioni, chiamare
soccorsi, provvedere a mantenere operativo il sistema di comunicazione
d'emergenza? Quei ragazzi erano tutti volontari. Li ha uccisi la Nato.
Come ha fatto uccidere tutti i miei più cari e validi collaboratori
facendo passare gli omicidi come guerre di mafia".
E qui Slobodan Milosevic abbassa gli occhi. Adesso pare un po' piegato.

Fulvio Grimaldi

Fonte: http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/878

Una versione abbreviata della seguente intervista e' stata pubblicata
sul "Corriere della Sera" dell'1/4/2001


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IN DIFESA DELLA JUGOSLAVIA
Il j'accuse di Slobodan Milosevic
di fronte al "Tribunale ad hoc" dell'Aia"
(Ed. Zambon 2005, 10 euro)

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