1. Strategie non violente al servizio dell'Impero

Di Fabio Giovannini, da La Rinascita della sinistra
La parabola di Gene Sharp, dal gruppo Abele alla CIA...

2. La Cia di scorta si chiama Ned

da Latinoamerica/ Il manifesto
Ingloriosa storia e sistematici fallimenti del National Endowment for
Democracy, che dovrebbe aiutare lo sviluppo della democrazia nel mondo...

3. Il videogioco della non violenza

Da Repubblica online, 2/12/2005
Una scommessa nata dall'idea di alcuni dei protagonisti
dell'opposizione a Milosevic. "È il mezzo migliore per parlare ai
giovani"...

Vedi anche:

Russia: la grande offensiva di Soros rivela l'urgenza della realtà
energetica

di Reseau Voltaire, 24/01/2006
Il 23 gennaio l'FSB, il servizio di sicurezza russo, ha comunicato di
aver smascherato una rete di spie britanniche, che lavoravano
all'ambasciata britannica a Mosca. L'FSB ha dichiarato che gli agenti
identificati erano in contatto con organizzazioni russe che affermano
di lottare per la difesa dei Diritti Umani...

http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=7711


=== 1 ===

"La Rinascita della sinistra" , 3 marzo 2006

Strategie non violente al servizio dell'Impero

Di Fabio Giovannini

La parabola di Gene Sharp, dal gruppo Abele alla CIA. Ha messo le
teorie ecopacifiste a disposizione del pensiero neocon per abbattere i
regimi "sgraditi".


Sulla nonviolenza è in corso da tempo un dibattito intenso, nella
sinistra italiana. Pochi sanno, però, che i metodi dell'azione
nonviolenta sono stati messi da anni al servizio dell'espansionismo
americano.

Fin dagli anni 80 i movimenti pacifisti italiani hanno discusso molto
di un testo in tre volumi scritto da un professore americano, Gene
Sharp, Politica dell'azione non violenta (Gruppo Abele, 1986-1997),
vero manuale per l'azione nonviolenta, fondata sulla disobbedienza
civile, ma spinta fino al sabotaggio. Un testo tuttora consigliato
dagli ecopacifisti perché ben lontano da ogni acquisizione solo
verbale della nonviolenza, che non fa i conti con i suoi contenuti
forti, come quella meramente "buonista" utilizzata da Occhetto a
supporto della svolta che portò allo scioglimento del Pci. Bene,
proprio in quegli anni Sharp stava compiendo una svolta radicale. La
sua Albert Einstein Institution (tra i patrocinatori vi sono diversi
ex ufficiali dell'esercito USA) iniziava una collaborazione, fatta di
finanziamenti e consulenze, con istituti filo-governativi come il
National Endowment for Democracy (Ned) creato da Reagan nel 1983, il
National Democratic Institute (Ndi) presieduto da Madeleine Albright e
l'International Republican Institute (Iri), fino alla Freedom House,
nata durante la guerra fredda in funzione anticomunista e a lungo
presieduto dall'ex capo della Cia Woolsey. A portare ulteriori
sostegni economici ci pensavano le fondazioni del miliardario Soros.

Gli Usa si rendevano conto che l'esportazione della democrazia con le
bombe non sempre funziona. Il progetto, allora, era di studiare le
tecniche per ciò che è stato definito "il colpo di stato postmoderno":
come abbattere i regimi sgraditi a Washington puntando sulla società
civile. Nel mirino c'erano inizialmente i paesi del blocco sovietico e
la Cina (le prime "consulenze" di Sharp sono state per i moti di
piazza Tiananmen e per il movimento di Vaclav Havel in
Cecoslovacchia). Nel frattempo Sharp suggeriva le tecniche per
resistere a una fantomatica invasione sovietica dell'Europa in Verso
un'Europa inconquistabile (Gruppo Abele 1989, con introduzione di
Gianfranco Pasquino, ma l'edizione originale aveva una prefazione
dell'ambasciatore anticomunista George F. Kennan, sostenitore del
"contenimento" sovietico all'epoca della guerra fredda), teorizzando
la nascita di migliaia di "gruppi di resistenza" molto simili alla
nostra Gladio. Dopo la scomparsa dell'Urss, Sharp ha perfezionato le
sue tesi in un altro libro, From Dictatorship to Democracy (1993) e le
ha sperimentate sul campo nel 1999, quando i bombardamenti della Nato
non erano bastati a piegare l'ex Jugoslavia e a rovesciare Milosevic.
Allora si scelse un altro tipo di ingerenza, con l'appoggio
dell'Albert Einstein Institution: si dà vita al gruppo Otpor
(Resistenza) che alle elezioni presidenziali del 24 settembre 2000
accusa Milosevic di brogli elettorali. Ne conseguono manifestazioni e
pressioni mediatiche fino a ottenere la caduta di Milosevic.

Il modello Sharp era vincente: non le semplici tecniche di azione
nonviolenta, ma ingenti finanziamenti ai gruppi di opposizione,
stretta collaborazione con gli ambasciatori americani, appoggio dei
mezzi di informazione e uso delle Ong per monitorare le elezioni
accusando i singoli regimi di frodi elettorali. Dopo il successo di
Otpor, il "modello Sharp" viene ripetuto in Georgia, portando alla
caduta di Shevardnadze, e in Ucraina alla destituzione di Kuchma. I
due colpi di stato nonviolenti hanno subito messo in allarme i
governanti bielorussi, uzbechi, kazachi e kirghizi che hanno spesso
denunciato ingerenze occidentali attraverso gruppi sostenuti da Sharp.
Il professor Sharp non si è fermato: nel 2002 ha tenuto corsi di
formazione per l'Iraqi National Council e ora nella lista dei paesi da
sovvertire ci sono Cuba e Iran. Ma c'è un caso che finora non ha dato
i risultati sperati alla "nonviolenza" di Sharp: il Venezuela. Le
lotte contro il presidente Chavez, inviso agli Usa, sono state
organizzate con la collaborazione dell'Albert Einstein Institute fin
dal 2002. Anche in Venezuela si gridò ripetutamente ai brogli
elettorali e si portarono in piazza i contestatori, ma persino gli
osservatori internazionali dovettero riconoscere che il voto si era
svolto regolarmente e Chavez siede ancora al suo posto.

Resta il fatto che il colpo di stato postmoderno spesso riesce. Quello
che mancava alla nonviolenza di Sharp per "vincere" era una cosa: i
soldi. E solo grazie ai soldi americani i metodi nonviolenti di Sharp
sono riusciti a risultare efficaci. Soldi, uso spregiudicato dei media
e appoggio logistico delle ambasciate Usa: non c'erano questi elementi
essenziali, nei primi libri di Sharp. Il teorico americano
evidentemente ha fatto i conti con la realtà.

Oggi gli Usa uniscono quindi la violenza (le guerre di invasione) con
le tecniche "nonviolente" (la destabilizzazione e il rovesciamento di
regimi sgraditi), differenziandole di volta in volta. Certo, si
potrebbe preferire un'espansione dell'imperialismo democratico Usa
senza spargimenti di sangue: ma sarebbe solo un'illusione. A
Washington si sceglie la violenza o la nonviolenza solo in virtù della
loro maggior efficacia, caso per caso.

Il colpo di stato "non violento"

1. Manifestazioni di piazza apparentemente spontanee, in realtà
accuratamente organizzate con perfezione "militare": squadre di
militanti "nonviolenti", analoghe a squadre di soldati, che si tengono
in contatto costante con i cellulari e usano Internet (posta
elettronica e blog) e messaggi sms per coordinare le manifestazioni di
piazza e diffondere le accuse di corruzione.

2. Diffusione di sondaggi elettorali sfavorevoli ai regimi che si
vuole sovvertire e operazioni di monitoraggio delle elezioni volte a
dichiarare sempre e comunque che sono stati commessi dei brogli, per
suscitare il risentimento delle popolazioni.

3. Appoggio dei grandi media internazionali, per veicolare tra l'altro
immaginifiche e rassicuranti definizioni per le rivolte ("rivoluzione
di velluto" in Cecoslovacchia, "rivoluzione delle rose" in Georgia,
"rivoluzione arancione" in Ucraina).

(fonte: http://www.resistenze.org/sito/te/pe/im/peim6c06.htm )


=== 2 ===

il manifesto
01 Marzo 2006
ANTICIPAZIONI

La Cia di scorta si chiama Ned

Ingloriosa storia e sistematici fallimenti del National Endowment for
Democracy, che dovrebbe aiutare lo sviluppo della democrazia nel
mondo. Un articolo da «Latinoamerica»
WAYNE S. SMITH*

Il Ned (National Endowment for Democracy) è un ente che ha visto la
luce nel 1983, grazie al presidente Ronald Reagan e al Congresso degli
Stati uniti, con la finalità di offrire sostegno a quelle istituzioni
estere che il governo federale, per la sua posizione ufficiale, non
poteva aiutare, ad esempio i partiti politici di opposizione. In
apparenza, il Ned è una fondazione privata, non governativa e senza
scopo di lucro, e perciò sostiene questo tipo di istituzioni estere
con il sotterfugio di fornire fondi privati e non governativi. In
realtà si tratta di una finzione, poiché il Ned, malgrado sia a prima
vista un ente privato, riceve un finanziamento annuale dal Congresso.
La finzione ha una sua particolare importanza, naturalmente, perché
nella maggior parte dei paesi, e anche negli Stati uniti, esistono
leggi severe che controllano le attività dei cittadini che ricevono
finanziamenti da un governo straniero. Negli Usa, tanto per fare un
esempio, ogni individuo o ente «soggetto a controllo estero» deve
essere registrato presso il dipartimento di giustizia, e inviare ogni
sei mesi una relazione sulle proprie attività, comprese quelle
finanziarie.

Ormai da molti anni il governo degli Stati uniti predispone in tutto
il mondo interventi che hanno lo scopo di influenzare certi elementi
delle diverse società civili, ad esempio la stampa, i partiti
politici, le unioni sindacali e così via, per spingerli in una
determinata direzione, sia essa a favore delle scelte politiche
sostenute dagli Stati uniti oppure a sostegno dell'opposizione ai
governi di quei paesi, quando non al loro rovesciamento. Fino a
qualche tempo fa, come è noto, il ruolo chiave in questo senso era
giocato dalla Cia e dall'Agenzia Usa per lo sviluppo internazionale
(Usaid, Agency for International Development). Nel 1983 queste
istituzioni confluirono nel Ned. Da allora, Usaid opera come canale
trasparente: quando un'istituzione riceve finanziamenti da Usaid, si
sa che essi provengano dal governo Usa. Il Ned, come già detto, opera
in un mondo immaginifico e pieno d'ombre, continuando peraltro a
dichiararsi una fondazione privata che elargisce denaro privato,
sebbene nessuna delle due affermazioni sia vera.


Decisioni sconclusionate

La fondazione ha un suo consiglio, che a volte prende decisioni
sconclusionate. In alcune occasioni ha sostenuto cause che
contrastavano apertamente con le politiche statunitensi, finendo col
compromettere gli obiettivi Usa e provocando confusione tra gli
osservatori stranieri, perfettamente consapevoli che il Ned è, a tutti
gli effetti, un'agenzia del governo Usa.

Ne è esempio un episodio avvenuto a Panama durante le elezioni del
1984, quando il Ned decise di finanziare un candidato sostenuto dai
militari, Nicolás Ardito Barletta, in aperta contrapposizione con la
politica governativa statunitense. Non solo gli osservatori panamensi,
ma perfino i funzionari dell'ambasciata Usa a Panama non riuscivano
più a capire chi comandasse.

Una delle iniziative più bizzarre del Ned si è avuta a metà degli anni
Ottanta, quando il maggiore sindacato Usa, l'Afl Cio, uno dei
principali beneficiari del Ned, approvò un finanziamento di 1,5
milioni di dollari per la «difesa della democrazia» in Francia. Agli
occhi della maggior parte degli osservatori, la democrazia in Francia
non appariva affatto in pericolo, ma il direttore dell'Afl Cio di
Parigi, responsabile all'epoca delle relazioni internazionali,
affermò: «la Francia... è minacciata dall'apparato comunista. Il
pericolo è chiaro e attuale se ci proiettiamo nei prossimi dieci anni».

Considerato il tipo di mentalità, non sorprende che uno dei gruppi
francesi che ha ricevuto il finanziamento del Ned sia stato l'Union
Nationale Interuniversitaire, un sindacato interuniversitario da molti
considerato un vivaio dell'estremismo di destra e sospettato di legami
con il terrorismo. Quando le attività francesi del Ned vennero rese
pubbliche da un quotidiano locale, il governo Usa si dissociò
dall'intera operazione. Ciò nondimeno, l'episodio evidenzia
chiaramente il rischio di consentire al Ned di perseguire la sua
soggettiva politica estera con i soldi dei contribuenti.

Sin dall'inizio, Cuba è stata l'obiettivo principale delle attività
del Ned in America Latina. Durante gli anni Ottanta e anche oltre, uno
dei principali destinatari della sua generosità era la Canf,
Fondazione Nazionale dei Cubanoamericani, guidata dal famigerato Jorge
Mas Canosa, uomo di destra votato al rovesciamento del regime di
Castro. Mas Canosa è noto come amico stretto di Félix Rodríguez,
funzionario e veterano della Cia nonché coordinatore delle spedizioni
aeree dal Salvador verso la rete illegale dei rifornimenti ai contras
di Oliver North. Altra figura chiave in questo quadro è Luis Posada
Carriles, accusato di essere uno degli ideatori dell'attentato a un
aereo di linea cubano che nel 1976 provocò 73 vittime. In
un'intervista rilasciata nel 1998 al New York Times, riconobbe di aver
preso parte a numerosi attentati contro alberghi turistici dell'Avana,
che causarono la morte di almeno un turista e il ferimento di molte
altre persone. Il denaro per finanziare l'operazione, disse, veniva da
alcuni dirigenti della Canf.

Oggi il Ned non finanzia più la Canf, che dopo la morte di Jorge Mas
Canosa ha in qualche modo moderato il proprio atteggiamento. Tuttavia
è ancora molto impegnato nel progetto di rovesciare il regime cubano.
Nel 1999 ha creato il Movimento mondiale per la democrazia, che ha
immediatamente etichettato Cuba come uno dei governi più repressivi
del mondo. Freedom House, una delle organizzazioni a cui il Ned
destina molti dei suoi finanziamenti, descrive Cuba come uno tra gli
undici «regimi più repressivi» del mondo. In realtà, una
classificazione più obiettiva dei regimi repressivi è apparsa sulla
rivista Parade il 13 febbraio 2005, e non include Cuba neanche tra i
primi dieci. Vi compaiono, invece, l'Arabia saudita e il Pakistan,
entrambi stretti alleati degli Usa. A voler essere coerenti, il Ned
dovrebbe impegnarsi anche per rovesciare quei governi. Sì, per far
cadere gli amici del presidente Bush che occupano la casa reale saudita.


Un governo repressivo

Comunque, a prescindere dal fatto che il governo cubano sia repressivo
come o più di quelli degli alleati statunitensi, resta il fatto che si
tratta di un governo repressivo. A Cuba c'è poco spazio per la libertà
di espressione e di riunione, e ci si può ritrovare in carcere per la
più arbitraria delle ragioni. Ed è naturale che gli Stati uniti
vogliano spingere l'isola verso una maggiore apertura sociale. Il
punto è che le politiche adottate dall'amministrazione Bush, e poi
seguite dal Ned, sono profondamente sbagliate, totalmente
controproducenti e portano solo a ulteriori restrizioni.

Ironicamente, le cose avevano iniziato a muoversi nella direzione
giusta. Nel 2002 e fino al 2003 abbiamo assistito a un'incoraggiante
tendenza verso una maggiore tolleranza dei dissidenti a Cuba. L'ex
presidente Jimmy Carter ne ha incontrati alcuni durante un suo viaggio
sull'isola nel 2002, così come hanno fatto altri leader internazionali
e molti visitatori americani. Qualcuno dei dissidenti più noti ha
avuto anche il permesso di recarsi in viaggio all'estero. Il governo
può non aver apprezzato il Progetto Varela, che chiedeva un referendum
per maggiori libertà politiche e riforme economiche, ma non ha
imprigionato coloro che lo hanno proposto. E quando Carter nel 2002,
nel suo discorso alla nazione cubana, si è richiamato a questo
progetto, non solo è stato trasmesso in diretta dalla televisione
nazionale, ma le sue parole sono state riportate parola per parola
dalla stampa cubana.

Cosa non ha funzionato? Perché quell'improvviso cambiamento del 2003?
Perché quell'imprevisto arresto di almeno 75 dissidenti? Gran parte
della faccenda è stata una reazione alle provocazioni crescenti da
parte dell'amministrazione Bush, che continuava a chiedere un
cambiamento di regime e a dire che l'appoggio ai dissidenti sarebbe
stato uno dei modi migliori per mettere fine all'epoca di Castro, un
appoggio che in gran parte sarebbe stato fornito tramite Usaid e Ned.
Non sorprende che il governo cubano abbia interpretato questo appoggio
come una provocazione, sovversiva nella sua natura. E, a dirla tutta,
quale sarebbe la reazione del ministro della giustizia Usa e del
direttore della sicurezza nazionale se il capo dell'ufficio per gli
interessi cubani a Washington decidesse di fornire assistenza
materiale a gruppi di americani scontenti, dichiarando che il suo
scopo è quello di provocare la caduta del governo americano e di
sostituirlo con un nuovo sistema socialista? Verrebbe istantaneamente
dichiarato persona non grata.

Uno degli aspetti ancora più cruciali del giro di vite è stato l'avvio
della strategia Usa degli attacchi preventivi e l'inizio della guerra
in Iraq. Ai cubani è sembrato che gli Stati uniti avessero chiaramente
deciso di attuare una politica di azioni militari contro ogni stato
ritenuto una possibile minaccia nei loro confronti, ignorando
organizzazioni e leggi internazionali. È tempo, hanno concluso i
cubani, di chiudere i boccaporti. «Chi lo sa?, mi ha detto un cubano,
la prossima volta potrebbe toccare a noi».

Anche in quest'ottica, il giro di vite e l'arresto dei dissidenti sono
stati una reazione esagerata da parte cubana. Hanno indebolito il
sostegno all'isola da parte dell'Unione europea e di altri paesi, cosa
di cui Cuba proprio non aveva bisogno, soprattutto se teme qualche
tipo di incursione militare da parte degli Stati uniti.


Attività controproducenti

Il punto è che se il giro di vite cubano non ha fatto gli interessi
dell'isola, la politica statunitense - e le attività del Ned - sono
state decisamente controproducenti per gli interessi Usa. Il modo
migliore per portare Cuba verso una maggiore apertura sociale è di
ridurre le tensioni, aumentare il dialogo e allargare i contatti. La
vecchia strategia dell'embargo, delle pressioni e delle operazioni per
rovesciare il regime non ha funzionato, malgrado sia in piedi da
tempo, e i trucchi ancor più aggressivi dell'amministrazione Bush e
del Ned non funzioneranno oggi. Anzi, sono riusciti soltanto a
capovolgere la tendenza verso una maggiore tolleranza dei dissidenti e
a spedire in carcere tanta brava gente. Esattamente il contrario
dell'obiettivo cui dovrebbero mirare gli Stati uniti.

Stessa sorte sembra investire il Venezuela, l'altro stato dell'America
Latina nel quale il Ned ha le maggiori implicazioni. Nelle
dichiarazioni pubbliche relative alle sue attività in questo paese,
l'organizzazione ricorda il sostegno offerto a vari gruppi locali
impegnati per la democrazia. Di fatto, tuttavia, molti di coloro che
hanno sostenuto il fallito colpo di stato dell'12 e 13 aprile 2003,
che mirava a rovesciare il presidente Chávez, ricevevano sovvenzioni
proprio dal Ned. Ciò non significa necessariamente che dietro il
complotto ci fosse la fondazione Usa. I legami con le persone che
parteciparono al golpe, però, hanno inevitabilmente suscitato questo
sospetto nel governo venezuelano, che spesso ha accusato l'ambasciata
americana di aver avuto un ruolo diretto nell'incoraggiarlo.

Più recentemente, il Ned ha finanziato diversi gruppi venezuelani
coinvolti nell'organizzazione del referendum revocatorio dell'agosto
2004; gli oppositori del governo, e apparentemente anche gli Usa,
credevano che la consultazione avrebbe messo fine alla presidenza di
Chávez. Invece così non è stato, e Chávez ha vinto anche facilmente. I
fatti mostrano ancora una volta, e con chiarezza, che mentre gli Stati
uniti si oppongono a Chávez, e mentre il Ned agisce contro di lui
nella convinzione che rappresenti un pericolo per il sistema
democratico, egli viene democraticamente eletto dal popolo del
Venezuela, vince il referendum revocatorio, e ora, secondo gli ultimi
sondaggi, è sostenuto da circa il 70% dei suoi cittadini, quando solo
il 39% degli americani approva l'operato di George Bush.

È tempo ormai che gli Stati uniti lascino perdere i metodi da guerra
fredda che ancora praticano nei confronti di Cuba e del Venezuela.
Piuttosto che cercare di rovesciarne i governi, potrebbero ottenere di
più avviando con questi paesi un dialogo costruttivo e ragionevole. Il
Ned è un passo indietro verso la Guerra fredda, e le sue attività
minano la volontà stessa degli Stati uniti di contare su una
leadership illuminata ed efficiente. Come dice il vecchio adagio,
sarebbe ora di consegnare il Ned alla pattumiera della storia.


* Capo dell'Ufficio di interessi degli Usa a l'Avana durante la
presidenza Carter e ora membro senior del Center for International
Policy di Washington e professore associato presso la Johns Hopkins
University di Baltimora.

Tratto dal n. 93 di Latinoamerica, in vendita
in tutte le librerie Feltrinelli o online
presso www.giannimina-latinoamerica.it


=== 3 ===

Una scommessa nata dall'idea di alcuni dei protagonisti
dell'opposizione a Milosevic. "È il mezzo migliore per parlare ai
giovani". E divertirsi

Il videogioco della non violenza
"Vinci se torna la democrazia"

di GAIA GIULIANI

Ivan Marosevic è uno che la guerra l'ha vista da vicino. Adesso ci
vuole giocare. Ma a modo suo. Quando era studente universitario
nell'ex Jugoslavia, fondò con colleghi e adolescenti del suo paese il
gruppo Otpor (Resistenza). Finalità: la rimozione dal potere di
Slobodan Milosevic. Otpor ci riuscì contribuendo ad organizzare quella
gigantesca manifestazione dell'ottobre del 2000 davanti al parlamento
di Belgrado che portò alla destituzione del dittatore.
Il loro metodo era la "rivoluzione di velluto", sull'esempio di quella
indolore di Alexander Dubcek nell'ex Cecoslovacchia. Tappezzarono
Belgrado di scritte con lo spray. La più famosa diceva: "Slobo, salva
la Serbia: ammazzati". Organizzarono concerti rock, fecero
volantinaggi a tappeto. Cominciarono in poche centinaia, ma presto il
numero dei loro affiliati toccò cifre a quattro zeri. Dopo aver
tentato, fallendo, di entrare nel governo serbo nelle elezioni del
2004, si sono sciolti. Ma il loro spirito sopravvive con Marosevic,
che è diventato membro dell'Icnc (International Centre of Nonviolent
Conflict), un'associazione no profit che si occupa di insegnare
strategie di rivolta non violente nei paesi in cui la democrazia è
ancora un sogno.

Insieme hanno realizzato un progetto rivoluzionario: un videogioco. Si
chiama "A force more powerful", e insegna a sviluppare proprio quelle
pratiche "morbide" usate da Otpor - scioperi, manifestazioni di massa,
disobbedienza civile - contro regimi antidemocratici ed eventuali
conflitti. "L'ho fatto perché oggi i ragazzi crescono nutrendosi di
videogiochi", ha dichiarato Marosevic recentemente, "e sembra che
prendano il mezzo molto seriamente". In effetti le percentuali di
giocatori sono altissime (vedi scheda), e sono partite anche molte
crociate da parte di associazioni di genitori italiane e non,
preoccupate per l'impatto della violenza dei giochi sugli adolescenti.

Nel caso di "A force more powerful", la violenza che preoccupa di più
è quella delle dittature e delle bombe. "Molti dei ragazzi che hanno
aderito a Otpor, quando è iniziata la guerra avevano solo 10 anni",
continua Marosevic. "Nel 2000 erano diventati maggiorenni, e avevano
vissuto l'infanzia sotto un regime liberticida. Sono stati tra i
membri più attivi nelle proteste. Tra i più convinti che la violenza
generasse solo altra violenza".

E il gioco è stato studiato proprio per loro, e per gli attivisti dei
dritti civili.Tre anni di lavoro, la possibilità di utilizzarlo anche
se non si è super esperti di computer. Gli scenari possibili sono
parecchi e ispirati alla storia recente, per simulare il più possibile
le reali condizioni di paesi in cerca di democrazia. I giocatori hanno
anche la possibilità di crearne di propri, con un grado di
approssimazione altissimo tanto da poter strutturare verosimilmente
anche il territorio di appartenenza. Le simulazioni prevedono
variabili come la difesa delle minoranze etniche e religiose, la
costruzione di alleanze tra i vari gruppi, la ricerca di fondi. E se
le azioni dovessero fallire in una prima istanza, è sempre possibile
esercitarsi in nuovi tentativi.

Il gioco sarà messo in commercio all'inizio dell'anno prossimo ad un
prezzo che si aggirerà intorno ai venti dollari: "Per chi non potrà
permetterselo - in molti casi si tratta di cittadini di paesi in via
di sviluppo - la distribuzione sarà gratuita e corredata da manuali di
approfondimento", spiega Marosevic.

Un mondo diverso è possibile? Sigfrido Ranucci di Rai news 24, autore
dello scoop sulle armi al fosforo usate dagli americani a Falluja, ha
dichiarato recentemente che siamo abituati a vedere la guerra come se
fosse un gigantesco videogioco. Giochiamoci per farla diventare pacifica.

(2 dicembre 2005)

Fonte: Repubblica online - www.repubblica.it