L'articolo che segue appare sull'ultimo numero - 1/2006 - de L'ERNESTO
(Per l'indice si veda: http://www.lernesto.it/index.aspx?m=53&did=4 )

www.resistenze.org - popoli resistenti - serbia - 11-03-06

Perché occorre ritirarsi dal Kosovo


Per affrontare e sostenere l'argomentazione e la parola d'ordine del
ritiro delle truppe italiane dal Kosovo (e dagli altri paesi dove sono
presenti...) intendo affrontare il problema da due angolature: una è
quella relativa alla situazione sul campo, verificando cioè nei fatti
e nella situazione concreta se le giustificazioni o obiettivi che si
diceva sarebbero stati raggiunti attraverso queste operazioni di
guerra, hanno effettivamente cambiato la situazione precedente che si
diceva "necessitare" di cambiamenti e come.

La seconda va vista invece, dal punto di vista "interno", cioè del
nostro paese, cosa questo ha comportato e comporta in termini
politici, civili e sociali, e quali sono le conseguenze dirette sulle
condizioni di vita dei lavoratori e i rischi dal punto di vista degli
equilibri e della convivenza internazionali del nostro paese.

Come si sa, l'aggressione alla Repubblica Federale Jugoslava del 1999,
culmina nei 78 giorni di bombardamenti da parte dei 19 paesi della
Nato, a cui l'Italia ha contribuito con 1381 missioni aeree (è bene
ricordarlo...); ma non bisogna dimenticare i precedenti otto anni
costellati di ricatti, pressioni, sanzioni, embarghi, guerre e
tragedie, che erano già stati necessari per distruggere la vecchia
Jugoslavia. L'8 giugno si arrivava al cessate il fuoco ed agli accordi
di pace di Kumanovo, che attraverso la Risoluzione 1244 del Consiglio
di Sicurezza dell'ONU, sancivano il ritiro delle forze militari
jugoslave (esercito e polizia), sostituite da forze internazionali
(KFOR) che avrebbero dovuto, da un lato garantire la cessazione delle
violenze e la salvaguardia della popolazione civile del Kosovo, e
dall'altro avviare un processo di pacificazione che doveva favorire la
ripresa della vita civile, sociale, economica e politica della regione
serba. L'avevano chiamato "intervento umanitario".

Sono stati raggiunti questi obiettivi nel Kosovo Methoija ?

Prima di tutto facciamo chiarezza sulle presunte motivazioni che
avevano "indotto" all'intervento "umanitario": genocidio, pulizia
etnica e fosse comuni per un "totale massimo" della campagna di
disinformazione strategica, raggiunto nei media di "500.000" albanesi
kosovari uccisi. Penso sia fondamentale scrivere anzi scolpire nella
memoria storica, la cifra non presunta, ma ufficiale finora sancita
dalle forze investigative di 17 paesi, coadiuvate dalla CIA, dall'FBI,
dalla Kfor, dall'Osce, dall'Unmik. ecc. ecc., a tutt'oggi il numero di
corpi identificati è di 2108 vittime appartenenti a tutte le etnie e
decedute per varie cause. A questo proposito vedere l'articolo di F.
Battistini sul Corriere della Sera del 28 novembre 2003.

Sfido chiunque a dimostrare, attraverso dati e documentazioni alla
mano, che uno solo dei diritti negati nell'attuale "Kosovo liberato" e
"democratico" ai serbi, ai rom e alle altre minoranze non albanesi che
vivevano lì da secoli, fosse negato prima del marzo '99 a qualsiasi
minoranza lì residente. Fino all'intervento della Nato erano 14 le
minoranze lì riconosciute e garantite paritariamente. Oggi quante
sono?... Una sola, le altre sono dovute scappare dalla regione o
vivere come prigionieri nelle enclavi circondati dalle forze militari
della Kfor per non essere uccisi. E anche alcune decine di migliaia di
albanesi kosovari sono dovuti scappare in Serbia in quanto
jugoslavisti e considerati traditori dalle forze secessioniste e
scioviniste dell'UCK.

Come detto da Dragan B., un ex lavoratore della Zastava di Pec
nell'intervista raccolta nel video "Kosovo 2005, viaggio
nell'apartheid in Europa" :

"...La democrazia dell'Occidente è una parola falsa e vuota, un
linguaggio che non riusciamo a capire. La democrazia l'avevamo prima,
perché ognuno aveva il proprio lavoro, la propria terra, le proprie
chiese, diritti e doveri sanciti per tutti. Oggi c'è solo distruzione,
odio, violenza, terrore, criminalità. Ecco cosa ha portato qui la
democrazia occidentale...". (1)

Dov'era il genocidio? Dove sono le fosse comuni, i massacri, la
pulizia etnica, gli stupri di massa, le persecuzioni, i diritti
negati? Domande a cui oggi, risponde solo il silenzio da parte di
tutti coloro che si sentirono arruolati nella lotta per il bene contro
il male. Dove naturalmente il bene era la Nato con le sue bombe
umanitarie, politici e mass media occidentali, persino grandi parti
del movimento pacifista, che pur con qualche distinguo ritennero
"necessario" fermare "demoni", violentatori, assassini... ovviamente
tutti rigorosamente serbi.

Oggi che le menzogne di guerra così attentamente descritte dal
giornalista tedesco J. Elsasser nel suo libro (2), oggi che la
sbornia collettiva mass mediatica ispirata dalle strategie di
disinformazione di guerra è superata, e hanno preso nel mirino nuovi
obiettivi: Iraq, Siria, Iran, Bielorussia, Corea Nord, ecc. ecc.; oggi
dove sono, cosa dicono quelle anime candide della politica (anche
pacifista) e della disinformazione, che scrivevano e declamavano in
televisione la loro indignazione contro le ingiustizie e la violenza?
Perché ora tacciono? Dove sono e cosa dicono o cosa scrivono dei
seguenti dati presi da fonti totalmente occidentali e documentati riga
per riga, numero per numero (3), che sintetizzano e inchiodano la
verità storica e le loro menzogne:

oltre 300.000 mila profughi di tutte le etnie, ma nella stragrande
maggioranza serbi e rom, scacciati dalla loro terra; più di 3.000 casi
di desaparecidos denunciati all'Onu e quasi 5.000 presunti, rapiti e
assassinati dal marzo '99 ad oggi; quasi 100.000 persone sopravvissute
alle violenze e alla pulizia etnica dei secessionisti albanesi, che
vivono in poche decine di enclave, veri e propri campi di
concentramento a cielo aperto, di fatto in un regime di apartheid in
Europa (4); centinaia di migliaia di case bruciate e distrutte; 148
monasteri e luoghi di culto ortodosso, distrutti o danneggiati dalle
forze criminali dell'UCK; il Kosovo è oggi indicato dalla stessa DEA (
Agenzia Antidroga Usa) come un narcostato nel cuore dell'Europa;
questa regione è oggi indicata da tutti gli esperti investigativi
occidentali, come il crocevia e lo snodo internazionale di tutti i
traffici criminali, dalla droga alle armi, dalla prostituzione al
traffico di organi, lo stesso ex premier albanese kosovaro B. Bukoshi
ha dichiarato al giornale tedesco Der Spiegel del 1 agosto 2004 :
"...il nostro governo si basa di fatto su strutture mafiose...". E'
una regione senza più apparati produttivi, dove la disoccupazione
degli stessi albanesi kosovari comprende i due terzi della
popolazione; una regione completamente uranizzata dai bombardamenti
umanitari e dove i dati sulle nascite di neonati malfermi o i decessi
per linfomi di Hodgins, sono assolutamente top secret, ma basta
parlare con sanitari del luogo per farsi un'idea della situazione reale.

La verità storica sotto gli occhi di tutti è una sola: l'operazione
Kosovo, ha raggiunto gli obiettivi politici, militari e geostrategici
della Nato e dell'imperialismo, ma è stato un totale fallimento per i
popoli della regione.

Il totale "silenziamento" degli sviluppi dell'illegale Tribunale
dell'Aja per l'ex Jugoslavia, dove l'ex Presidente della RFJ, S.
Milosevic è uno degli accusati, dovrebbe far riflettere. Come mai,
invece di pubblicizzare e far conoscere all'opinione pubblica
occidentale, i risultati, le prove, i fatti documentati, di questo
processo non c'è traccia nei mass media occidentali, se non rare e
limitate eccezioni che non raggiungono il grande pubblico? Il motivo
molto semplicemente è che l'ex Presidente Milosevic, sta frantumando,
azzerando e smantellando tutte le accuse e soprattutto tutto
l'impianto politico, strategico e disinformativo, su cui si fondano
accuse che non hanno neanche uno straccio di prove concrete, dove i
testimoni, spesso addirittura anonimi indicati con sigle, vengono
sistematicamente smentiti o smascherati come falsi, o peggio si
contraddicono e abbandonano l'aula. Dove i testi "eccellenti"
richiesti dalla difesa non accettano di presentarsi al contradditorio
per timore di essere accusati loro stessi di un atto criminale come
l'aggressione e la distruzione di un Paese, la Jugoslavia e dei suoi
popoli, ridotti in miseria e annichilimento. (5) Anche in questo caso
per l'imperialismo un fallimento, anche se la condanna è già stata
emessa prima del processo (6); ma Milosevic non l'hanno piegato e un
libro con gli atti della sua difesa durata giorni è appena stato
editato in Italia (7), dove ogni riga è un atto d'accusa documentato e
suffragato da fatti e documentazioni inoppugnabili, contro la Nato e
l'imperialismo, e di difesa della Jugoslavia e del popolo serbo di
fronte alla storia.

C'è un altro aspetto che non va sottovalutato e che riguarda tutta la
comunità internazionale: i pericoli dell'esplosione di nuove
conflittualità nell'area, legate alla definizione dello status
internazionale della regione, scadenza ormai delineata per giugno
2006, e indirizzata ad una indipendenza "de facto" perseguita come
obiettivo non negoziabile dalla parte albanese e rifiutata in varie
forme e modi dalla comunità serba kosovara e dal governo di Belgrado;
in questo evolversi della situazione si potrebbe determinare un
effetto domino anche per i paesi limitrofi. In quanto la
destabilizzazione dell'area balcanica toccherebbe nuovamente la Serbia
nelle sue zone meridionali, nel Sangiaccato dove ormai da anni la
situazione è in uno stato di tensione quotidiana con violenze,
minacce, attentati e dove una gran parte della popolazione serba e rom
ha deciso di andare via; e nelle valli del Presevo, Medvedja e
Bujanovac dove opera un clandestino Esercito di Liberazione PMB della
minoranza albanese che chiede l'unificazione con il Kosovo. La
Macedonia, dove, forse pochi lo sanno, in molte zone è tuttora vigente
il coprifuoco serale e dove da anni l'agguerrita minoranza albanese
tenta da anni la secessione e l'unificazione con il Kosovo e
l'Albania, anche qui mediante una formazione guerrigliera legata
all'ANA (Armata Nazionale Albanese). Il Montenegro dove nella sua zona
meridionale, dove numerosa e folta è la presenza della comunità
albanese, in cui il controllo statale è ormai di fatto impossibile, e
dove la comunità albanese, negli ultimi anni ha ottenuto numerose
agevolazioni giuridiche, economiche e politiche in una partita di
scambi di favori tra l'ex Uck e l'attuale presidente montenegrino
Djukanovic, perseguito da numerose inchieste legate alla mafia (tra
cui quella della Procura di Bari), ma sostenuto dai secessionisti
albanesi. Per arrivare poi alla Grecia, dove dall'anno scorso si è
formato un partito della minoranza albanese che rivendica il nord del
paese come territorio albanese e predica la separazione, cominciando a
fomentare disordini, violenze e tensioni sociali. E' evidente che la
posta in gioco in quest'area è notevole e che la cenere di nuove
violenze e guerre cova e potrebbe incendiare nuovamente quelle
regioni; le stesse forze internazionali presenti sul campo denunciano
l'alto rischio conflittuale, capace di far precipitare i Balcani in
nuove spirali di guerra. In questo modo verrebbero azzerati tutti i
disegni di pacificazione armata pianificati in questi anni di
occupazione da parte della Nato e si riproporrebbe uno scenario di
"instabilità regionale" con nuovi stravolgimenti di quella parte
d'Europa, probabilmente con ripercussioni anche delle strategie della
stessa Russia, da sempre molto attenta e interessata, per i suoi
stessi interessi nazionali agli equilibri balcanici.

Queste dinamiche se si realizzano, potrebbero coinvolgerci nuovamente,
in quanto membri della Nato, in nuove avventure militari... ovviamente
umanitarie.


Dal punto di vista "interno"

La violazione dell'Art. 11 della Costituzione, avvenuta con
l'aggressione alla Jugoslavia per il Kosovo, della Nato al di fuori
dell'ONU, non è stato solo un problema etico o formale, ma significa
che quando in un paese vengono disconosciuti o calpestati i suoi
ordinamenti statuali, sanciti da una lotta di liberazione nazionale
antifascista, è evidente che anche una formale volontà popolare ne
esce disconosciuta e annichilita; e con essa anche gli stessi
"diritti" in quanto lavoratori e cittadini ne escono fortemente
indeboliti, anche se non ce ne accorgiamo. Quando l'illegittimità
giuridica viene "giustificata" una volta, sarà sempre più difficile
per il futuro, imporre anche a "poteri forti" l'arretramento o la loro
fermata con le armi costituzionali; ognuno troverà le motivazioni o
giustificazioni di "necessarietà" contingente.

Ritengo questo uno dei tasselli attraverso cui da anni sta andando
avanti il processo di "revisionismo storico" su tutti i terreni, che
pezzo per pezzo stanno smantellando quelle radici e quell'identità
nazionale nate il 25 aprile 1945. E su questo le responsabilità della
cosiddetta "sinistra italiana" non sono certo leggere o superficiali;
e questo vale purtroppo anche per coloro che, nello stesso PRC si
avventurano su terreni quali quelli della "...Resistenza che ha
commesso anche orrori", "...la questione Foibe", le teorizzazioni
astoriche e apolitiche circa la questione non violenza, ecc. ecc.

La vicenda Kosovo ha fatto anche emergere la questione della
limitatezza della nostra indipendenza nazionale e della nostra
sovranità, in quanto l'appartenenza all'unica alleanza militare
rimasta, la Nato, comporta l'impossibilità di dire no alle avventure e
strategie militari che questa, assolutamente obsoleta storicamente e
totalmente asservita all'imperialismo USA, persegue per suoi
interessi geopolitici e geostrategici, spesso anche in contrasto con
interessi economici nazionali del nostro paese.

Per rafforzare la posizione contro la guerra è necessario legare alla
nostra realtà sociale l'aspetto materiale dei costi delle guerre. Le
guerre si fanno per gli interessi imperialisti, ma le pagano i
lavoratori ed i popoli; gli imprenditori ed il capitale internazionale
si spartiscono il bottino dei mercati conquistati, i lavoratori, oltre
a "pagare" monetariamente la guerra, avranno anche un ulteriore massa
di diseredati ed immiseriti dalle varie guerre, che busseranno alle
porte dell'occidente, per cercare un lavoro, sottoposti a ricatti e
sfruttamento bestiale, che indebolisce di fatto lo stesso movimento
dei lavoratori e le sue conquiste.

Solo in Kosovo l'Unione Europea ha speso fino ad oggi circa 4 miliardi
e 400 milioni di euro, ed il mantenimento del nostro contingente di
2800 soldati, fa parte delle spese militari delle varie finanziarie; e
queste non vengono mai tagliate, anzi di volta in volta crescono,
mentre le voci dello stato sociale vengono costantemente tagliate se
non levate del tutto. Mentre i soldi per il rinnovo del contratto di
milioni di lavoratori (quest'anno sono quasi 4 milioni i lavoratori
che lottano per il rinnovo dei loro contratti), si dice che non ci
sono e occorrono sacrifici, i soldi per le loro "guerre" cosiddette
"umanitarie" non mancano mai.

Così come va denunciato che nel perpetrare logiche e politiche di
guerra, gli stessi diritti civili e sociali di qualsiasi paese,
vengono ristretti o in casi estremi sospesi; fino ad arrivare
ipoteticamente, ma non assurdamente, a poter sospendere lo stesso
diritto di sciopero o di manifestazioni pubbliche, perché antinazionali.

Occorre far capire che dire no alla guerra significa anche lottare
concretamente per la difesa dei salari e delle conquiste economiche e
sociali dei lavoratori e dei ceti popolari.

Il nostro possibile che fare, come comunisti, movimento per la pace e
antimperialista, e per la difesa degli interessi dei lavoratori.

Con la caduta del campo socialista e progressista formatosi nel corso
del secondo Novecento, al di là dei giudizi nello specifico, tranne i
paladini (a volte inconsci) del liberismo e dell'imperialismo (a volte
umanitario e ammantato di socialdemocrazia), si sarebbe dovuto ormai
aver compreso sia politicamente che storicamente, quale peso e ruolo
di deterrenza sui destini dei popoli e di ogni paese "renitente" al
nuovo ordine mondiale, aveva quella contrapposizione e quel
bilanciamento. E per quantificare materialmente quanto tragico sia
stato il prezzo pagato dai popoli: sia dal punto di vista economico,
sociale, di sviluppo, che in termini di vite umane sacrificate nelle
ormai centinaia di guerre, fatte scatenare dalle politiche
imperialiste di rapina e assoggettamento, basta semplicemente scorrere
una cronaca internazionale di questi ultimi quindici anni. Attraverso
la concezione di "guerra infinita", sulle macerie del muro di Berlino,
dal punto di vista economico si è dispiegata da parte
dell'imperialismo, una vera e propria corsa ai territori di conquista,
utilizzando la disponibilità e gli interessi delle varie "borghesie
compradore" e fomentando e gestendo divisioni, odi o contraddizioni
locali. Questo permette poi attraverso ricatti, pressioni e
imposizioni, anche l'intervento militare in quelle situazioni che
oppongono "resistenza" sotto qualsiasi forma e orientamento, ma che di
fatto sono un ostacolo al controllo e all'assoggettamento al dominio
imperialistico, dei suoi obiettivi ed interessi. Ecco perché qualsiasi
popolo o paese, al di là del tipo di leadership abbia, se cerca di
portare avanti un proprio modello di sviluppo, un proprio percorso di
trasformazione sociale che non è interno e subalterno alle strategie
imperialiste predeterminate, è già un ostacolo, è potenzialmente un
nemico, e davanti a lui si erge una spaventosa e all'apparenza
invincibile macchina da guerra, dove l'imperialismo USA la fa da
padrone ed i vari sub imperialismi europei si arrabattano nella
ricerca degli avanzi per ritagliarsi un ruolo.
Io penso che da questa sintetica e schematica lettura, si possa e si
debba necessariamente partire, sia per comprendere quale disparità di
forze ci sia in campo (e questo non dobbiamo mai scordarlo, per non
fare i grilli parlanti o i liberi pensatori fuori dalla realtà del
mondo); sia per comprendere quali tipi di alleanze, mediazioni,
programmi a breve termine sia possibile e realistico fare (nei terreni
sociali, politici ed economici). Soprattutto io credo, per definire
cosa sia necessario fare, per contribuire ad un processo
internazionale di ricostruzione di un campo di forze comuniste da un
lato e antimperialiste dall'altro; non perché siano in antitesi, ma
semplicemente penso che hanno passaggi, dialettiche e strategie
differenti, pur ritenendo necessario e fondamentale che i comunisti
siano interni e motore, di qualsiasi processo dove vivono forme di
antimperialismo.

Questo seppur faticosamente e tra grandi difficoltà nel contesto
internazionale sta crescendo e avvenendo, essendone testimone diretto
in varie assisi internazionali in questi ultimi anni.

Concretamente, alcuni indirizzi possibili di lavoro:

- Riaffermazione e difesa della Costituzione nata della Resistenza
antifascista e dalla lotta di liberazione nazionale, fondata sul
ripudio della guerra come strumento di soluzione dei conflitti.

- Riapertura di una forte e larga campagna per l'uscita dell'Italia
dalla Nato e delle basi straniere dal nostro territorio, non in una
lettura solo strettamente ideologica, ma fondata sulla base degli
interessi nazionali dei lavoratori e dei ceti popolari, e della lotta
per la pace.

- Riproporre e mantenere costante una campagna contro gli embarghi e
le sanzioni, armi e strumenti di ricatto e annichilimento in primis
dei popoli.

- Chiedere ai candidati comunisti o schierati nella lotta per pace
contro le logiche di guerra, una dichiarazione di intenti, dove si
prende un solenne e pubblico impegno, di rispettare nel loro mandato
una ferma e irresoluta posizione contraria a qualsiasi politica di
guerra del futuro governo, comunque sia camuffata o giustificata (noi
non dimentichiamo che la guerra in Kosovo e l'aggressione alla
Jugoslavia è avvenuta da parte di un governo cosiddetto di centro
sinistra, e un certo signor D'Alema, ancora solo pochi mesi fa in TV
ha ribadito la sua convinzione della giustezza di quella infame
scelta...).

E inoltre prendano l'impegno di sostenere e portare avanti le parole
d'ordine del ritiro dei militari italiani dalle zone di guerra e
dell'uscita dell'Italia dalla Nato.

Sottoscrivendo il concetto basilare che se una guerra viene fatta
senza essere aggrediti, è sempre una guerra d'aggressione e non
difensiva, quindi anticostituzionale.
A noi poi l'impegno di pubblicizzarne i firmatari, come candidati da
sostenere da parte di tutte le realtà di lotta per la pace ed
antimperialiste.

Ritenendo che solo in questo modo, un governo che pretende di voler
essere di cambiamento e intende essere diverso dalle politiche
aggressive e antipopolari del centro destra, potrà costruire una
politica estera fondata su un ruolo di equilibrio nello scenario delle
contraddizioni e conflittualità internazionali, fondata e imperniata
su strategie di pace, collaborazione e sviluppo paritario tra i paesi
ed i popoli.

Il resto sono solo chiacchiere e solite trite promesse elettorali.

- La necessità di un processo di ricostruzione di un vasto e forte
movimento antimperialista, fondato sul rafforzamento e propugnamento
di politiche e strategie di sostegno e difesa delle aspirazioni di
emancipazione e sviluppo dei popoli; di difesa delle sovranità e
integrità territoriali dei paesi; delle indipendenze nazionali di
ciascun paese; e della non ingerenza come pietre miliari delle
relazioni tra popoli e nazioni. Il tutto fondato su una concezione di
diritto internazionale legato agli obiettivi di sviluppo,
emancipazione e difesa dei popoli.

- Nello specifico un appello lo rivolgo sia alla rivista che ospita
questo articolo, L'Ernesto, sia alle altre realtà informative e di
solidarietà, del movimento, ed è quello di sostenere la Campagna
Kosovo Metohija che in anteprima annuncio tramite questa occasione, e
che sarà lanciata a livello nazionale dal Forum Belgrado Italia e SOS
Yugoslavia, concordata e decisa nell'ultima riunione fatta in Dicembre
a Belgrado, a cui ero presente, con esponenti politici, giornalisti,
accademici, militanti della Serbia e dalle comunità delle enclavi
serbe nel Kosovo. Una campagna tesa ad informare e solidarizzare con
gli oppressi e i dimenticati di questa realtà, in concomitanza con il
dibattito dei prossimi mesi per la definizione statutaria della
regione serba.

Un obiettivo concreto che viene proposto all'interno di questa
campagna è quello di chiedere al movimento per la pace ed
antimperialista, e al maggior numero di esponenti istituzionali
coerenti con la lotta per la pace e contro le logiche di guerra, di
sostenere nelle istanze istituzionali e come battaglia politica,
l'applicazione della Risoluzione 1244 dell'ONU, che sancisce la
sovranità federale della Serbia Montenegro sulla regione, la presenza
della polizia e dell'esercito serbo a garanzia e protezione della
legalità costituzionale di tutte le etnie e il diritto al ritorno
delle centinaia di migliaia di profughi di tutte le minoranze
costrette a fuggire.

Per chiunque si ritiene impegnato a difendere gli interessi dei
popoli, questa pacifica parola d'ordine, che fa fede al semplice
rispetto del Diritto Internazionale, può essere unificante e
costruttiva di politiche di pace e rispetto dei diritti dei popoli.
Oltrechè suonare come risarcimento morale e politico per non essere
stati capaci, noi tutti, di impedire la guerra di aggressione e
distruzione della Jugoslavia.


Per ulteriori informazioni, articoli, materiali, libri riguardanti il
Kosovo, vedere sul sito www.resistenze.org, che raccoglie molta
documentazione e indicazioni di altri siti. Comprendente,oltre le
attività di informazione tra cui il Forum di Belgrado Italia, quelle
di solidarietà, tra cui il Progetto SOS Kosovo Metohija di SOS Yugoslavia.

Oppure contattare il 338/1755563.


NOTE:

1) "Kosovo 2005, viaggio nell'apartheid in Europa", Video di SOS
Yugoslavia

2) J. Elsasser, "Menzogne di guerra", La Città del sole Ed.

3) Vedere sul sito www.resistenze.org e sul sito del CNJ, la mole di
articoli e documentazioni di tutti questi anni.

4) Idem, "Kosovo 2005..."

5) Vedere sul sito www.resistenze.org, nel periodico Tribunale Aja
Notizie alcune traduzioni di udienze significative e documentazioni
internazionali circa il Tribunale e i riferimenti di altri siti che
seguono le vicende del processo.

6) Vedere "Jugoslavia 2001, atti fatti e misfatti", Manes ed. dove è
documentato prima che accadesse, che già prima di essere rapito dalla
Nato, Milosevic era cosciente che non sarebbe mai più stato libero.

7) S. Milosevic, "In difesa della Jugoslavia", Zambon ed. (curato da
Icdsm Italia)


Febbraio 2006,

Enrico Vigna, Portavoce del Forum di Belgrado Italia e dei Nuovi
Partigiani della Pace.