il manifesto
03 Agosto 2006

Uranio impoverito e nafta, in Libano è crisi ambientale

Gli Usa hanno fornito a Israele almeno 100 bombe Gbu-28 all'uranio impoverito. «Provocheranno una contaminazione tossica» dice Doug Rokke, l'ex capo del team militare americano sull'uranio Colpita la centrale elettrica di Jiyyeh, nei serbatoi in fiamme 15mila tonnellate di nafta: tutte sulla spiaggia

Manlio Dinucci

La guerra in Libano sta provocando danni sanitari e ambientali che vanno ben oltre il drammatico bilancio di vittime e distruzioni e al di là dello stesso territorio libanese. Questo piccolo paese mediterraneo con una superficie di circa 10mila chilometri quadrati, equivalente a quella dell'Abruzzo, viene martellato dalle forze aeree, terrestri e navali israeliane con migliaia di tonnellate di bombe e munizioni di tutti i tipi. Comprese quelle a uranio impoverito (Du).
«La fornitura a Israele da parte degli Stati uniti di almeno 100 bombe bunker busters Gbu-28 con testate a uranio impoverito, da usare contro obiettivi in Libano, provocherà una ulteriore contaminazione tossica, radioattiva e chimica, con gravi effetti sanitari e ambientali in tutto il Medio Oriente»: a lanciare l'allarme è Doug Rokke, uno dei massimi esperti mondiali di depleted uranium che negli anni '90 ha diretto un team dell'esercito Usa incaricato di studiare gli effetti delle 320 tonnellate di munizioni Du usate nella guerra del Golfo. Per ripulire 24 carrarmati statunitensi contaminati dai proiettili Du che avevano usato, i quali emettevano significativi livelli di radiazioni fino a 50 metri di distanza, ci vollero tre mesi e, una volta riportati negli Stati uniti, ci vollero tre anni per decontaminarli. Nel giro di un decennio, nonostante avessero usato tute e maschere protettive, 30 dei cento membri del team morirono e lo stesso Rokke subì gravi danni ai polmoni e ai reni. Nel 1996 Rokke presentò un rapporto all'esercito, concludendo che «l'uranio impoverito è così pericoloso che deve essere messo immediatamente al bando quale arma da usare in combattimento». Con questo rapporto Rokke concluse anche la sua carriera nell'esercito.
Oltre alle Gbu-28 e altre bombe aeree a uranio impoverito - denuncia Rokke - le forze israeliane usano in Libano anche proiettili Du per cannoni di carrarmati. Lo ha appurato da alcune foto: una (ignorata dai grandi media) mostra un soldato israeliano che, il 14 luglio 2006 al confine col Libano, carica su un carrarmato uno dei proiettili a testata Du perforante. L'uso di questi proiettili in un territorio così piccolo, sottolinea Rokke, avrà gravi effetti sull'intera popolazione, soprattutto su donne e bambini, e anche sui soldati israeliani. Rokke conclude che «l'uso di armi all'uranio è assolutamente inaccettabile, è un crimine contro l'umanità». Esse hanno gli stessi effetti che potrebbero avere le «bombe sporche» se venissero usate in qualche attentato: usare tali armi equivale a un «atto di terrorismo».
Ai danni provocati dall'uranio impoverito si aggiungono quelli della marea nera che si sta diffondendo nel Mediterraneo in seguito al bombardamento israeliano della centrale elettrica di Jiyyeh, 30 km a sud di Beirut. Dai serbatoi in fiamme sono fuoriuscite sinora circa 15mila tonnellate di nafta, che hanno contaminato 80 km di coste libanesi minacciando anche quelle siriane. Achim Steiner, sottosegretario generale dell'Onu e direttore esecutivo dell'Unep (Programma delle Nazioni unite per l'ambiente) l'ha definita il 30 luglio «una tragedia ambientale che sta rapidamente assumendo una dimensione non solo nazionale ma regionale». Steiner si è detto anche molto preoccupato degli «impatti umanitari e ambientali provocati dagli attacchi contro altre infrastrutture, come aeroporti e porti, e dall'inquinamento che ne deriva».
Di fronte al disastro sanitario e ambientale provocato dall'attacco israeliano in Libano, che cosa fa il governo italiano? Praticamente gira la testa dall'altra parte, ignorando i prevedibili effetti a lungo termine del massiccio uso di munizioni a uranio impoverito, che colpiranno la popolazione libanese e chiunque altro si trovi nel paese, compresi i soldati italiani che venissero inviati in Libano nel quadro di una forza internazionale. Che cosa fa il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare? Si preoccupa giustamente che «il Mediterraneo, che è un mare chiuso, sia vittima di leggerezze nel ripulire le stive delle petroliere», concludendo che «è una cosa molto grave, non è tollerabile» (Pecoraro Scanio, 18 luglio). Ma ignora che l'attacco israeliano in Libano ha provocato una immensa marea nera che si sta diffondendo nel Mediterraneo, quella che l'Unep definisce una «tragedia ambientale che sta rapidamente assumendo una dimensione regionale».

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Uranio impoverito, mera contabilità?

03.08.2006    scrive Nicole Corritore
Dal 3 al 6 agosto in Giappone un convegno internazionale in occasione dell'anniversario delle bombe nucleari sganciate su Hiroshima e Nagasaki. Si parlerà di uranio impoverito. Domenico Leggiero, protavoce dell'Osservatorio Militare, ci racconta perché partecipa e ci aggiorna sulla questione uranio impoverito in Italia e nei Balcani


Dal 3 al 6 agosto sarete in Giappone per partecipare al convegno internazionale nel quale si parlerà di uranio impoverito. Di cosa si tratta? 

Ogni anno, su iniziativa dell' Organizzazione mondiale sulla sicurezza nucleare, in occasione degli anniversari di Hiroshima e Nagasaki si svolgono in Giappone diversi incontri per non dimenticare la ricorrenza e cercare di capire fino a quanto è possibile un nuovo rischio nulceare mondiale. 
Quest'anno il programma del convegno internazionale, organizzato dall'ICBUW (International Coalition to Ban Uranium Weapons) è un po' particolare perché, a mio parere con grande intelligenza, si cercherà di far passare un messaggio molto netto: purtroppo ora si possono avere effetti drammatici anche senza vedere il fungo atomico. La distruzione che vi è stata allora, in tempi brevi e in maniera così eclatante, può avvenire in maniera più subdola se vengono utilizzati altri sistemi e altre forme. Una di queste è l'uranio impoverito. 

Oltre alla delegazione italiana di cui fate parte, saranno presenti altri paesi? 

A nome dell'Osservatorio Militare andiamo in quattro e siamo l'organismo con maggior presenza nei diversi dibattiti previsti sui vari temi. Sia quindi dalle esperienze vissuta dei ragazzi, dai dati raccolti, dalle perizie fatte. Siamo stati chiamati a partecipare a tutte le sessioni previste e noi risponderemo per quello che ci è possibile. 

Durante il convegno andremo a presentare i dati che abbiamo acquisito nel tempo, relativi sia ai civili sia ai militari esposti all'uranio impoverito nei Balcani e in Iraq. Si cercherà di capire perché c'è tutta questa reticenza nel parlare, se non addirittura paura di parlare, della questione. 

Sono previsti interventi di sopravvissuti, scienziati, giornalisti che si sono occupati del caso. Ad esempio verrà proiettato il video di Naomi Toyoda, nel quale si vede l'intervista fatta ad un ufficiale italiano il quale dichiara con molta determinazione che l'uranio non è mai stato utilizzato in Iraq. Poi la telecamera si sposta dalla sua faccia in direzione dei suoi piedi e per terra a 40 cm giace in terra un proiettile all'uranio impoverito... 

Tutte queste cose verranno presentate ed esaminate, verranno anche raccontate in modo diretto le esperienze dei nostri ragazzi. Sarà infatti presente Filippo Montaperto, uno dei "superstiti" della compagnia che ha portato avanti l'operazione Vulcano, la più grossa operazione di sminamento fatta nei territori balcanici. 

Sarà prezioso per noi esserci, perché è la prima occasione di scambio di dati internazionale. Ci saranno i francesi, gli inglesi, gli americani, quindi nuova documentazione da poter studiare ed acquisire. 

Presenterete dati di ricerche fatte su civili e militari. Rispetto ai civili sono gli stessi dati di cui fa menzione la relazione della Commissione parlamentare della Bosnia Erzegovina di un anno fa? 

Abbiamo personalmente acquisito dei dati che solo in parte si menzionano in quella relazione. Abbiamo avuto in realtà contatti diretti con i responsabli dei reparti di oncologia di Sarajevo e di Belgrado, con i quali abbiamo avuto modo di parlare a margine di quella relazione. Da quell'incontro è emerso che essi sono sottoposti a pressioni, a delle "forzature", per non parlare di difficoltà che sono squisitamente di stampo politico. Ci hanno fatto capire che poi d'altro canto c'è la necessità di non parlare di alcune cose per non restare in ginocchio sul piano economico. 

Mi spiego. Questi paesi sono ancora in ginocchio, vengono fuori da un conflitto, hanno necessità di risollevarsi e di reinserirsi nel circuito economico europeo. Uno dei fondamentali fattori di ripresa è il turismo e nel momento in cui dovesse passare il messaggio "Balcani = contaminazione" probabilmente sarebbe un colpo troppo duro per tutto il territorio, difficilmente assorbibile. Per cui si evita di parlarne e anche le relazioni rese pubbliche sono, diciamo così, condizionate. 

Noi abbiamo notato la differenza che c'era nell'approccio e dunque di conseguenza nei dati, per cui abbiamo preferito recarci sul posto per una verifica sul campo. Le cifre sono decisamente preoccupanti. 

Ma non essendo stati riavviati i registri tumori, è anche impossibile dire con concertezza se questi dati di incidenza tumorale siano correlabili all'esposizione all'uranio impoverito rimasto sul territorio dopo i bombardamenti NATO... 

Ciò non toglie che i dati che abbiamo raccolto "dal basso" sono ben più preoccupanti di quelli presentati pubblicamente in quella relazione. Ma l'aspetto più pericoloso, sul quale bisogno agire di concerto per fermare il fenomeno, è l'atteggiamento della comunità internazionale, che ha lasciato tutti questi territori completamente isolati ad affrontare il problema... li ha lasciati a leccarsi da soli le ferite dopo che gli è passato addosso un treno... 

Confermi quindi che anche a livello di Commissione Europa non si è mosso nulla? 

Assolutamente nulla. Dirò di più. Nel frattempo da noi è cambiato un governo, ed è la seconda volta che cambia da quando stiamo affrontando il caso uranio, eppure se non si apprendesse per forza di cose dai giornali dell'esistenza del problema e dovessimo prenderne coscienza grazie alla reazione e all'approccio al problema, devo dire che è decisamente così. Sconfortante. 

Eppure l'attuale sottosegretario alla Difesa Lorenzo Forcieri, il quale nella precedente legislatura è stato vice presidente della Commissione del Senato d'inchiesta sull'uranio impoverito, ha già dichiarato che c'è la forte volontà di istituire a breve un'altra commissione di indagine... 

Di poche persone mi sono fidato durante e dopo il lavoro di quella Commissione. L'onorevole Forcieri, così come Malabarba, De Zulueta e qualcun'altro che attualmente è all'opposizione, sono stati tra i pochissimi che hanno avuto la mia fiducia. Se Forcieri fa queste dichiarazioni non ho motivo di dubitare. Il dramma sostanziale è che Forcieri è sottosegretario alla Difesa e, con tutto rispetto, una parola di attenzione e comprensione per i parenti dei militari da parte dell'attuale Ministro non c'è mai stata. 

Ricordo che abbiamo nella finanziaria degli stanziamenti per circa 10 milioni di euro dedicati alla "prima necessità" del caso uranio. Per rendere operativi questi soldi c'era la necessità di un decreto attuativo che per legge doveva essere fatto nei novanta giorni successivi. Il 23 dicembre scorso è passata la finanziaria, entro il 22 marzo 2006 doveva essere emesso il decreto ma ad oggi non si hanno notizie. C'è un Comitato, dislocato presso il ministero degli Interni, composto da tanti ufficiali di Stato Maggiore che prendono anche il foglio di viaggio, la missione per poter partecipare a questi lavori con relativa indennità e non hanno prodotto uno straccio di decreto... 
E' questa la sostanza. Tutto il resto sono chiacchiere. 

Contemporaneamente ci sono famiglie di militari che versano in situazioni critiche e ci siamo trovati a dover intervenire per fermare gesti inconsulti di alcuni padri di ragazzi deceduti, o di alcuni ancora in vita e per cercare di "tenerli buoni"... ma reazioni concrete non ce n'è. 

D'altra parte è notizia di pochi giorni fa che Romano Prodi ha stanziato 300.000 Euro per il Comitato scientifico del progetto SIGNUM (ndr: Studio dell'impatto genotossico nelle unità militari) che, per la stessa ammissione del suo responsabile, il Prof. Sergio Amadori, audito in Commissione d'inchiesta il 13 luglio 2005 ammette candidamente che non può far nulla perché non ha dati, non ha strumenti, non ha disponibilità, non ha numeri, non ha modelli da sottoporre a studio. 

La stampa italiana non riporta notizia del caso e nemmeno del convegno internazionale. L'attenzione eccetto in caso di un nuovo decesso di un militare, pare essere sempre più scarsa... 

Ormai nemmeno in caso di decesso. La notizia si è relegata ad un semplice aggiornamento di dati mortuari. Al di là di questo, almeno prima si raccontava qualcosa sul ragazzo deceduto, chi era, cosa aveva fatto. Ora esce il piccolo comunicato Ansa che in due righe chiude con "è morto un nuovo ragazzo di uranio" e poi stop. La stampa è arrivata a fare contabilità pura o addiritttura la notizia non viene più nemmeno ripresa dai giornali. Il dramma è che non c'è più notizia sui morti per uranio impoverito.