(2. segue)

La Bosnia di Dayton

Il 21 novembre 1995 vennero firmati gli accordi che fermarono
l'evoluzione
militare della guerra in Bosnia-Erzegovina. Questi testi sono
significativi,
in quanto promulgarono una vera e propria Costituzione per la Repubblica
di
Bosnia-Erzegovina, e ne sancirono un'amministrazione di tipo
"coloniale,"
presieduta da un Alto Rappresentante (straniero) con pieni poteri
esecutivi
negli affari civili e facolta' di destituire gli eletti. Nel nome della
"democrazia" i creditori occidentali hanno imposto una costituzione
fedele
ai propri interessi, stabilita senza un'assemblea costituente e senza
consultare la popolazione.

Le redini dell'economia bosniaca vennero affidate direttamente a
istituzioni
finanziarie straniere. Al Fondo Monetario Internazionale venne conferito
il
potere di gestire la banca centrale dello stato e di nominarne il
governatore, il quale per una disposizione esplicita "non puo' essere un
cittadino della Bosnia-Erzegovina o dei paesi limitrofi." La direzione
della
vendita e della ristrutturazione del patrimonio pubblico fu invece
affidata
alla Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERS),
istituzione
con sede a Londra che ha per scopo la promozione del "mercato"
nell'Europa
centrale e orientale nonche' nelle repubbliche ex-sovietiche,
"finalmente"
libera di mettere mano a settori strategici quali l'energia, l'acqua, i
servizi postali, le telecomunicazioni, i trasporti, eccetera.

La presenza sul campo di truppe della NATO (60.000 soldati) sanci'
ulteriormente il clima da occupazione straniera. Esse sono infatti
intervenute nel controllo delle elezioni ed hanno minacciato di
distruggere
i mezzi di informazione che avessero criticato la loro gestione. I
comandanti militari hanno in alcuni casi rovesciato addirittura le
sentenze
dei tribunali locali e si sono messi alla ricerca e all'arresto di
personalita' e dirigenti statali, accusati dal Tribunale dell'Aia.

Per quanto riguarda la ricostruzione, il suo costo e' stato stimato in
47
miliardi di dollari, cioe' una volta e mezza il debito dell'intera
Federazione nel 1991. Gli aiuti concessi invece (dei quali appena l'1,7%
e'
stato elargito alla Repubblica dei Serbi di Bosnia) bastavano a malapena
a
coprire gli interessi sul debito.

Il 1999: anno dell'Euro e del bombardamento

Nel frattempo, cresceva la tensione nella provincia autonoma del Kosovo,
facente parte del territorio della Serbia all'interno della Jugoslavia.
La
provincia e' da considerarsi di interesse strategico, in quanto ricca di
risorse minerarie, e in quanto luogo di passaggio per le materie prime
in
provenienza dal Caucaso e dirette verso l'Adriatico (il petrolio in
primo
luogo). In Kosovo si trovavano anche numerose centrali elettriche, tanto
che
solo un terzo dell'energia ivi prodotta veniva consumata localmente,
mentre
la restante parte contribuiva ad alimentare il Montenegro ed il resto
della
Serbia. Gia' nel 1989, pressata dal FMI a causa degli sperperi di denaro
pubblico da parte della classe dirigente kosovara, la presidenza
collegiale
jugoslava aveva ridotto l'autonomia della provincia sino ad allora
garantita
dalla Costituzione di Tito e Kardelj: in effetti sin dal 1966 il Kosovo
era
stato il maggior fruitore dei finanziamenti erogati per lo sviluppo
delle
aree povere del paese. Questa decisione porto' a numerose proteste ed
alla
rivolta di operai, minatori e studenti di lingua albanese, con
l'intervento
della polizia e dell'esercito.

Il 1999, l'anno in cui le nazioni dell'Unione Europea sono passate alla
moneta unica, sara' ricordato da tutti per la sanguinosa guerra della
NATO
alla Jugoslavia. Difatti il 6 febbraio 1999, a Rambouillet il governo
jugoslavo rifiuto' il testo di un "accordo" che gli veniva sottoposto
senza
possibilita' di negoziazione. Il testo in questione prefigurava una
struttura
statuale che assomigliava per molti versi all'amministrazione coloniale
prevista per la Bosnia dagli accordi di Dayton: una costituzione fatta
su
misura per i creditori. L'autorita' suprema per gli affari civili
avrebbe
dovuto essere affidata ad un "Capo della Missione di Implementazione"
nominato dall'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in
Europa,
in cooperazione con l'Unione Europea. Secondo la bozza di accordo, egli
avrebbe avuto il potere di stabilire direttive vincolanti per le
autorita'
civili e di polizia, sarebbe stato l'autorita' suprema di
interpretazione del
trattato, e avrebbe potuto destituire e sostituire i capi delle
istituzioni
eletti dal popolo. Inoltre, la Jugoslavia avrebbe dovuto accettare
l'occupazione militare dell'intero suo territorio da parte della NATO, e
concedere ai soldati dell'Alleanza l'immunita' completa dalle leggi
civili e
penali.

I colpi della NATO furono diretti in particolare verso le risorse
economiche, i maggiori stabilimenti produttivi, le centrali elettriche,
i
ponti e le vie di comunicazione: un paese moderno e sviluppato e' stato
fatto
regredire ad un livello da Terzo Mondo. Dei nove ponti sul Danubio,
sette
sono stati distrutti interrompendo un'importante via di comunicazione
che
collega il vasto bacino fluviale centroeuropeo con il Mar Nero. La
Zastava,
industria automobilistica di Kragujevac che occupava 36.000 lavoratori
e'
stata ripetutamente bombardata sino a ridurla in un cumulo di macerie.
Fra
il 4 ed il 18 aprile vennero colpiti ripetutamente gli stabilimenti
petrolchimici di Pancevo determinando la fuoriuscita di pericolosi
inquinanti; altri sette depositi di sostanze nocive sono stati
bombardati
nel territorio jugoslavo. Secondo fonti jugoslave, in tutto sono stati
distrutti 372 impianti industriali, con enormi conseguenze per
l'occupazione
in un paese gia' drammaticamente piegato dall'indebitamento e
dall'embargo.
Colpendo industrie chimiche, raffinerie e depositi di carburante, sono
stati
liberati nell'ambiente grossi quantitativi di terribili veleni,
destinando
le popolazioni balcaniche ad una lenta agonia, destinata a perdurare ben
oltre l'azione militare propriamente detta. L'inquinamento delle acque,
dell'aria e del suolo ha inoltre procurato danni enormi alla produzione
agricola.

Il Kosovo occupato

I bombardamenti si protrassero fino al giorno della capitolazione del
governo jugoslavo: trionfante, entro' nel Kosovo il generale britannico
Michael Jackson alla guida delle truppe della NATO. A capo
dell'amministrazione della provincia fu posto il francese Bernard
Kouchner,
inviato speciale dell'ONU, il quale da allora si e' distinto per aver
tentato
di staccare tutti i legami residui del Kosovo con lo stato jugoslavo del
quale esso fa pur ancora formalmente parte: e' stato introdotto il marco
tedesco quale moneta nazionale in luogo del dinaro; sono stati separati
il
sistema postale e le comunicazioni; e sono stati separati anche i
tribunali
e la pubblica amministrazione.

Le truppe dei paesi dell'Alleanza (45.000 soldati, di cui seimila
italiani)
si sono divise da subito il territorio della provincia: alle truppe
francesi
e' stato affidato il settore settentrionale, specializzato nella
metallurgia
non-ferrosa; la zona centrale della provincia, nella quale sono ubicate
numerose centrali elettriche ed installazioni petrolifere, e' invece
stata
affidata agli inglesi. Si racconta che appena arrivati, i Britannici
abbiano
circondato la centrale elettrica di Obilic con i loro carri armati,
adducendo motivi di sicurezza, ed assicurando cosi' a ditte inglesi
l'appalto
per la ricostruzione della stessa. I Tedeschi, i quali hanno occupato il
distretto meridionale in compagnia di Russi e Canadesi, hanno invece
potuto
prendere possesso della Balkanbelt, industria della gomma con una
tradizione
di collaborazione con la Deutsche Kontinental e fortemente indebitata
nei
confronti dei tedeschi. Quanto agli Italiani, essi hanno prontamente
piantato la loro bandiera nel distretto occidentale di Pec, al confine
con
l'Albania, prendendo sede nei locali della Zastava-Iveco, ditta che
produce
parti di camion e che e' stata al centro di un progetto pluriennale di
cooperazione internazionale.

Il comportamento dell'amministrazione internazionale del Kosovo ha
presto
rivelato la sua vera faccia: i suoi atti, giorno dopo giorno, sono stati
sempre piu' espliciti; inoltre il resto della Serbia rimane sotto un
rigido
embargo. La mancanza cronica di medicinali e pezzi di ricambio e'
esemplare.
Le accuse che sono state fatte ai nuovi colonizzatori sono molteplici.
Si
parla per esempio della chiusura forzata di alcuni stabilimenti
industriali,
passati direttamente sotto il controllo dei militari, nell'ambito della
competizione fra Francia e Inghilterra per il controllo della societa'
mineraria Trepca (piombo, zinco, cadmio, oro e argento): uno dei
principali
volani dell'economia jugoslava, considerato dal New York Times "il piu'
prezioso bene immobiliare dei Balcani." Nel novembre 1999, in un
impianto
produttivo della Trepca di Kosovska Mitrovica il generale francese
Ponset si
e' autosostituito al direttore, cacciandone via gli operai serbi,
sostituendoli con albanesi, e sospendendone i rappresentanti di
nazionalita'
greca facenti capo a Militineos, l'azionista miliardario che era entrato
in
competizione con la francese SCMM al momento della privatizzazione della
societa'. Nell'agosto del 2000, con il pretesto di preservare
l'inquinamento
atmosferico il capo della missione dell'ONU Kouchner, francese, ha
ordinato
ai soldati dell'Alleanza di evacuare industria della Trepca di Kosovska
Mitrovica, e di chiudere simultaneamente l'emittente radiofonica "Radio
S",
che aveva espresso pareri critici dell'operato della NATO. Dopo aver
preso
il complesso minerario, la NATO lo ha affidato ad un consorzio privato
chiamato "ITT Kosovo," controllato da industrie del settore francesi,
statunitensi e svedesi.

Nel distretto di Pristina, invece, il 14 luglio 1999 le truppe inglesi
hanno
fatto irruzione nella miniera "Kisnica," sempre facente capo alla
Trepca,
sostituendone il direttore con uno di loro scelta e rimandando a casa
400
dipendenti. Persino le organizzazioni umanitarie sarebbero servite da
copertura per calcoli di interesse. Ad esempio, secondo fonti
governative
jugoslave, l'agenzia umanitaria "Viva" sarebbe intervenuta con un carico
di
cloro a Mitrovica e Pec, salvando la vita, bisogna pur dirlo, a 200.000
persone. Ma il vero scopo era molto differente da quello dichiarato:
trovarsi in una posizione di vantaggio per ottenere i contratti di
assistenza tecnica per la rete idrica.

Conclusioni

In un mondo afflitto da guerre e conflitti etnici e che produce ogni
anno
profughi e rifugiati a milioni senza che nessuno se ne scandalizzi,
perche'
mai le potenze mondiali hanno canalizzato cosi' tanta attenzione verso i
Balcani? Per chi esamina la situazione oltre il comune livello di
superficialita', diventa poco credibile l'affermazione corrente che
attribuisce alla "comunita' internazionale" l'intenzione di
salvaguardare i
diritti umani ed aiutare le popolazioni in difficolta'. L'esame dei dati
storici ed economici indica una continuita' di azione, ad opera delle
potenze
creditrici, che ha progressivamente distrutto l'economia di quello che
poteva considerarsi un paese industrializzato e con un buon tenore di
vita,
facendolo piombare nell'abisso. La legge 101-513 del Congresso
statunitense,
il lungo embargo degli anni 1992-95, i bombardamenti del 1999, e le
modalita'
con le quali sono stati gestiti gli affari nelle due amministrazioni
neocoloniali (Bosnia-Erzegovina e Kosovo) tradiscono l'esistenza di
motivazioni e di interessi piu' profondi, le cui radici probabilmente
non
sono da ricercarsi esclusivamente nella regione balcanica.

La caduta della Cortina di Ferro e la riunificazione della Germania
hanno
aperto la corsa di imprese e capitali verso l'Oriente, considerato la
nuova
terra di conquista. E' significativo ricordare il discorso di Clinton,
tenuto
nel 1994 dinanzi alla Porta di Brandeburgo: la Germania sarebbe oramai
diventata il partner privilegiato dell'America, per realizzare la
penetrazione militare, politica ed economica verso Est. Alle lentezze
dell'Unione Europea nell'assorbire gli stati orientali, si e'
contrapposta la
celerita' della NATO, la quale ha gia' fatto tre nuovi membri fra i
paesi
dell'ex-Patto di Varsavia, con l'ingresso della Polonia, della
Repubblica
Ceca e dell'Ungheria avvenuto proprio in concomitanza con i primi
bombardamenti su Belgrado. Il 18 novembre 1999, al vertice dell'OSCE
tenutosi a Istanbul e' stato varato un "piano di stabilita'" per i
Balcani,
caratterizzato dalla designazione di "corridoi economici" destinati al
trasporto di merci e materie prime. L'interesse della NATO per i Balcani
e'
condizionato infine dalla vicinanza delle maggiori riserve petrolifere
mondiali: da quelle "tradizionali" della penisola arabica a quelle del
Mar
Caspio, "liberatesi" con l'indipendenza di numerose Repubbliche
ex-Sovietiche.

La Federazione Jugoslava fondata da Tito si iscriveva in un modello di
convivenza multietnica che simboleggiava la stessa Europa, fatta di
miriadi
di popolazioni e minoranze sparse qua e la', e di stati di dimensioni
ridotte, al di fuori di ogni razionale suddivisione del territorio
all'interno di uno schema "risorgimentale" di stato-nazione. La sua
posizione geografica, inoltre, ne faceva la porta verso l'Oriente:
importante zona di passaggio e di incontro; centro di smistamento per
merci
e culture. La sua distruzione ha avuto come effetto politico maggiore
quello
di destabilizzare il Vecchio Continente e costringerlo ad accettare la
"protezione" degli Stati Uniti. L'arroganza dell'imperialismo USA, non
solo
nei confronti di un piccolo stato di 10 milioni di abitanti gia' in
preda a
gravi difficolta' economiche e dotato di una forza militare nettamente
inferiore, ma anche nei confronti dei propri Alleati, deve essere vista
come
una minaccia per la pace e per i popoli. La nascita di un nuovo Impero
in
Europa potra' essere soltanto una tragedia per noi, per cui e'
sorprendente la
facilita' con cui questa prospettiva e' stata accettata dai nostri
tirapiedi
governativi e dalle opinioni pubbliche.

Franco
Marenco

(settembre
2000)

Bibliografia

International Action Center, "NATO in the Balkans -- Voices of
opposition,"
New York 1998.

Michel Chossudovsky, "La globalizzazione della poverta'," Edizioni
Gruppo
Abele, 1998.

Michel Collon, "Poker Menteur," Editions EPO, Bruxelles 1998.


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Questo articolo e' di prossima pubblicazione sul numero di novembre 2000
della rivista comunista l'Ernesto, direttore Fosco Giannini.

L'impegno editoriale de l'ernesto si fa via via sempre piu' vasto e
articolato;

* si ampliano i campi di ricerca: sul piano dell'analisi di classe
(capitale, lavoro, composizione e scomposizione delle forze
sociali),
sulla questione sindacale, sul partito comunista e sulla sua forma
organizzata, sulle questioni teoriche, sul dibattito che si
sviluppa
tra i comunisti e le forze di sinistra nel mondo, sulle nuove
dinamiche
internazionali;
* si allargano e si rafforzano i rapporti di collaborazione e
interscambio con altre riviste, in Italia e all'estero, si fa piu'
vasta
l'area dei nostri collaboratori (intellettuali, dirigenti comunisti
e
di sinistra, esponenti sindacali, italiani e stranieri;
* il ruolo crescente della rivista ha suscitato attese che percepiamo
e
constatiamo, alle quali vogliamo rispondere, sin dai prossimi
numeri,
con un innalzamento del livello di ricerca politica e teorica e con
una
migliore e piu' razionale veste grafica;
* tutto cio' ci spinge a chiedre ai nostri lettori, ai nostri
abbonati uno
sforzo ulteriore: al piu' presto abbonatevi, rinnovate
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procurate nuovi abbonati e lettori subito.

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