Giuseppe Ciulla e Vittorio Romano
Lupi nella nebbia
Editore Jaca Book - 2010
Pagine 160 - € 14,00 - EAN 9788816409620
“Mafia likes fog, like wolves”. La mafia vuole la nebbia, come i lupi. Le parole di un poliziotto kosovaro sono la sintesi di un Paese in cui dieci anni di amministrazione ONU non hanno portato benessere e giustizia, ma miseria e criminalità. In cui, in nome della stabilità dei Balcani, si è legittimata una classe dirigente legata a doppio filo con la mafia, Attraverso una scrupolosa inchiesta giornalistica Giuseppe Ciulla e Vittorio Romano tracciano un bilancio a tinte fosche della gestione internazionale: l'insabbiamento dei processi per crimini di guerra, le investigazioni sulle più alte personalità politiche del Paese (tutti o quasi ex comandanti UCK) misteriosamente sparite nel passaggio di consegne dalle Nazioni Unite all'Unione Europea; i rapporti degli osservatori OCSE rimasti lettera morta che denunciano l'inerzia dell’ONU; le responsabilità degli USA. Il Kosovo è grande quanto l'Abruzzo e con 14mila soldati NATo dovrebbe essere uno dei posti più sicuri del mondo. Perché allora nel nord di Mitrovica si spara ancora? Per i magistrati il Kosovo è uno degli snodi più importanti per il traffico di armi, droga, organi ed esseri umani verso l'Occidente. Come mai quindi alle frontiere nessuno controlla i carichi dei camion? Nel cuore dei Balcani che marciano verso l'Europa il Kosovo è uno stato delle mafie, auto proclamatosi indipendente, che ci riporta a una nuova guerra fredda, Con abilità narrativa gli autori intrecciano il racconto dei volti e degli avvenimenti incontrati durante la loro inchiesta al più vasto scenario della scacchiera balcanica e delle missioni internazionali di cui il Kosovo rappresenta un tragico modello.
Lo scandalo Kosovo
di Giuseppe Ciulla e Vittorio Romano
I clan dell'attuale e dell'ex premier coinvolti in omicidi. Il traffico di organi e di droga. L'Onu sapeva e ha insabbiato. Lo dimostrano alcuni documenti ora ritrovati
Il 2 giugno per la prima volta il Kosovo invierà un suo rappresentante alla conferenza Ue-Balcani di Sarajevo, e le cancellerie occidentali sono pronte ad accoglierlo in vista dell'obiettivo finale: l'ingresso di Pristina nell'Unione europea. Quello che gli ambasciatori faranno finta di non sapere è che dopo i bombardamenti del 1999 le Nazioni Unite hanno affidato l'intero Stato alla mafia.
Le prove sono in una stanza al primo piano della procura di Pristina tra decine di faldoni con un elastico legato attorno e la scritta "closed". Sono le indagini archiviate dai magistrati Onu l'8 dicembre 2008, ventiquattro ore prima di lasciare il Kosovo nelle mani degli europei.
Nel marzo del 2009 un funzionario dell'Eulex, la missione europea che amministra il Paese, entra nella stanza e si mette a curiosare tra i fascicoli. Nelle sue mani finisce il caso hpq 215/2002, o meglio uno stralcio di quel processo che vede come unico imputato Ramush Haradinaj, l'ex premier del Kosovo e attuale leader del partito AAK. È accusato di aver assalito insieme alle sue milizie la casa di un clan rivale a colpi di Kalashnikov.
«Le prove contenute nel fascicolo sono schiaccianti», rivela il funzionario, «ci sono foto, testimonianze, bossoli e persino le tracce del sangue degli aggressori». Il 26 settembre del 2002 quel faldone è stato spedito dai giudici Onu di Pec alla Procura di Decani e lì dimenticato per sette anni. «Le Nazioni Unite », aggiunge il funzionario, «hanno insabbiato i processi contro i politici e passato solo 35 faldoni ai giudici europei». Le prove del lavoro di copertura dei crimini da parte dell'Onu sono pubblicate nel libro "Lupi nella nebbia". Ci sono i rapporti di intelligence nei quali si spiega che Haradinaj è il principale trafficante di eroina del Paese, il suo ruolo nell'omicidio di testimoni scomodi o di poliziotti che indagavano sui suoi affari, e soprattutto le prove che le Nazioni Uniti erano perfettamente a conoscenza di aver affidato il Kosovo nella mani di una delle più feroci costole della mafia albanese.
Le indagini insabbiate non riguardano solo Haradinaj. Un'inchiesta coinvolge Lufti Dervishi, fedelissimo del premier Hashim Thaqi. Nel 2005 gli inquirenti Onu hanno la possibilità di interrompere un traffico di organi da centinaia di milioni di dollari: documenti riservati provano che i finanzieri dell'Onu avevano scoperto eccessive forniture di sangue ad alcune cliniche private che operavano a Pristina, in particolare alla Medicus dove Dervishi lavorava come primario. I rapporti sottolineano «l'alto numero di richieste di sangue indirizzato al Centro per le trasfusioni», la necessità di realizzare dei controlli. L'ombra del traffico di organi stava su quei documenti che chiedevano alle Nazioni Unite di proseguire le indagini. «Invece ci siamo arrivati per puro caso», spiega il procuratore europeo Francesco Mandoi: «Un cittadino turco a cui era stato asportato un rene è svenuto all'aeroporto di Pristina e ci ha rilasciato una confessione ».
Le manette scattano oltre che per Dervishi, anche per altre due persone e la clinica viene chiusa. Si innesca un terremoto politico e giudiziario. «Dalle nostre indagini il traffico è accertato in almeno cinque casi», aggiunge Mandoi. «Ne stiamo verificando altri 25. In Kosovo arrivano centinaia di disgraziati da paesi come Turchia o Kazakhstan, pronti a farsi espiantare i propri organi per poche migliaia di euro. A pagare sono ricchi uomini e donne occidentali. Avviene tutto a Pristina, con la complicità dei politici locali. Dervishi è uomo di Thaqi».
In Kosovo non c'è uomo in posizione chiave che non risponda ai clan. Un legame quasi familistico, eredità dell'Uck, l'esercito di liberazione. Durante la guerra questi uomini svolgevano attività criminali per finanziare la resistenza, adesso operano per conto degli ex capi, consolidano il potere, finanziano le campagne elettorali, comprano o uccidono avversari. Anche il sindaco di Skenderaj Sami Lustaku è un uomo di Thaqi. Secondo un rapporto Osce è «membro dell'organizzazione terroristica AKSK e coinvolto in numerose attività criminali». Il 14 novembre del 2005, alla presenza di tre poliziotti, il sindaco-soldato minaccia di morte un giudice che sta eseguendo lo sfratto di due locali. Il rapporto è un atto d'accusa durissimo verso le Nazioni Unite. Svela che Lustaku viene avvertito dagli investigatori di essere intercettato, denuncia che un commissario Onu blocca una perquisizione nella casa di Lushtaku per il rischio di «destabilizzare il Kosovo» e per paura di trovare le prove del coinvolgimento di Lushtaku in altri crimini.
Il documento sottolinea come questo «metterebbe ufficiali di alto livello dell'Onu in una brutta posizione ». «La questione che solleva più preoccupazioni », si legge, «è il fatto che l'interferenza con il lavoro dei giudici da parte di funzionari delle Nazioni Unite non è un caso isolato, piuttosto sembra essere una pratica utilizzata da lungo tempo». E cita altri due casi in cui ordini di perquisizione non sono mai stati eseguiti e in cui indagini per crimini anche più gravi rispetto a quelli imputati a Lushtaku sono state «seriamente impedite dai vertici dell'Onu ». Il documento OSCE punta l'indice contro l'ex numero due delle Nazioni Unite Steven Schook, attuale consigliere politico di Haradinaj. Secondo il rapporto, nel 2006 Schook decide che tutte le indagini che possono «destabilizzare» il Kosovo devono avere la sua autorizzazione. Non è finita. Gli investigatori europei in questi giorni stanno ascoltando le confessioni di Nazim Bllaca, un agente dei servizi segreti del premier Thaqi che si è autoaccusato dell'omicidio di 17 oppositori politici. Non dovrebbe essere complicato intuire per conto di chi ha operato il killer Bllaca.
Sarà più difficile trovare qualche ambasciatore interessato ad ascoltare la storia dei dieci anni di amministrazione Onu. Gli anni in cui trafficanti, assassini e mafiosi si sono presi il Kosovo.
Le prove sono in una stanza al primo piano della procura di Pristina tra decine di faldoni con un elastico legato attorno e la scritta "closed". Sono le indagini archiviate dai magistrati Onu l'8 dicembre 2008, ventiquattro ore prima di lasciare il Kosovo nelle mani degli europei.
Nel marzo del 2009 un funzionario dell'Eulex, la missione europea che amministra il Paese, entra nella stanza e si mette a curiosare tra i fascicoli. Nelle sue mani finisce il caso hpq 215/2002, o meglio uno stralcio di quel processo che vede come unico imputato Ramush Haradinaj, l'ex premier del Kosovo e attuale leader del partito AAK. È accusato di aver assalito insieme alle sue milizie la casa di un clan rivale a colpi di Kalashnikov.
«Le prove contenute nel fascicolo sono schiaccianti», rivela il funzionario, «ci sono foto, testimonianze, bossoli e persino le tracce del sangue degli aggressori». Il 26 settembre del 2002 quel faldone è stato spedito dai giudici Onu di Pec alla Procura di Decani e lì dimenticato per sette anni. «Le Nazioni Unite », aggiunge il funzionario, «hanno insabbiato i processi contro i politici e passato solo 35 faldoni ai giudici europei». Le prove del lavoro di copertura dei crimini da parte dell'Onu sono pubblicate nel libro "Lupi nella nebbia". Ci sono i rapporti di intelligence nei quali si spiega che Haradinaj è il principale trafficante di eroina del Paese, il suo ruolo nell'omicidio di testimoni scomodi o di poliziotti che indagavano sui suoi affari, e soprattutto le prove che le Nazioni Uniti erano perfettamente a conoscenza di aver affidato il Kosovo nella mani di una delle più feroci costole della mafia albanese.
Le indagini insabbiate non riguardano solo Haradinaj. Un'inchiesta coinvolge Lufti Dervishi, fedelissimo del premier Hashim Thaqi. Nel 2005 gli inquirenti Onu hanno la possibilità di interrompere un traffico di organi da centinaia di milioni di dollari: documenti riservati provano che i finanzieri dell'Onu avevano scoperto eccessive forniture di sangue ad alcune cliniche private che operavano a Pristina, in particolare alla Medicus dove Dervishi lavorava come primario. I rapporti sottolineano «l'alto numero di richieste di sangue indirizzato al Centro per le trasfusioni», la necessità di realizzare dei controlli. L'ombra del traffico di organi stava su quei documenti che chiedevano alle Nazioni Unite di proseguire le indagini. «Invece ci siamo arrivati per puro caso», spiega il procuratore europeo Francesco Mandoi: «Un cittadino turco a cui era stato asportato un rene è svenuto all'aeroporto di Pristina e ci ha rilasciato una confessione ».
Le manette scattano oltre che per Dervishi, anche per altre due persone e la clinica viene chiusa. Si innesca un terremoto politico e giudiziario. «Dalle nostre indagini il traffico è accertato in almeno cinque casi», aggiunge Mandoi. «Ne stiamo verificando altri 25. In Kosovo arrivano centinaia di disgraziati da paesi come Turchia o Kazakhstan, pronti a farsi espiantare i propri organi per poche migliaia di euro. A pagare sono ricchi uomini e donne occidentali. Avviene tutto a Pristina, con la complicità dei politici locali. Dervishi è uomo di Thaqi».
In Kosovo non c'è uomo in posizione chiave che non risponda ai clan. Un legame quasi familistico, eredità dell'Uck, l'esercito di liberazione. Durante la guerra questi uomini svolgevano attività criminali per finanziare la resistenza, adesso operano per conto degli ex capi, consolidano il potere, finanziano le campagne elettorali, comprano o uccidono avversari. Anche il sindaco di Skenderaj Sami Lustaku è un uomo di Thaqi. Secondo un rapporto Osce è «membro dell'organizzazione terroristica AKSK e coinvolto in numerose attività criminali». Il 14 novembre del 2005, alla presenza di tre poliziotti, il sindaco-soldato minaccia di morte un giudice che sta eseguendo lo sfratto di due locali. Il rapporto è un atto d'accusa durissimo verso le Nazioni Unite. Svela che Lustaku viene avvertito dagli investigatori di essere intercettato, denuncia che un commissario Onu blocca una perquisizione nella casa di Lushtaku per il rischio di «destabilizzare il Kosovo» e per paura di trovare le prove del coinvolgimento di Lushtaku in altri crimini.
Il documento sottolinea come questo «metterebbe ufficiali di alto livello dell'Onu in una brutta posizione ». «La questione che solleva più preoccupazioni », si legge, «è il fatto che l'interferenza con il lavoro dei giudici da parte di funzionari delle Nazioni Unite non è un caso isolato, piuttosto sembra essere una pratica utilizzata da lungo tempo». E cita altri due casi in cui ordini di perquisizione non sono mai stati eseguiti e in cui indagini per crimini anche più gravi rispetto a quelli imputati a Lushtaku sono state «seriamente impedite dai vertici dell'Onu ». Il documento OSCE punta l'indice contro l'ex numero due delle Nazioni Unite Steven Schook, attuale consigliere politico di Haradinaj. Secondo il rapporto, nel 2006 Schook decide che tutte le indagini che possono «destabilizzare» il Kosovo devono avere la sua autorizzazione. Non è finita. Gli investigatori europei in questi giorni stanno ascoltando le confessioni di Nazim Bllaca, un agente dei servizi segreti del premier Thaqi che si è autoaccusato dell'omicidio di 17 oppositori politici. Non dovrebbe essere complicato intuire per conto di chi ha operato il killer Bllaca.
Sarà più difficile trovare qualche ambasciatore interessato ad ascoltare la storia dei dieci anni di amministrazione Onu. Gli anni in cui trafficanti, assassini e mafiosi si sono presi il Kosovo.
(04 maggio 2010)