LACOTA VERSUS NEGAZIONISTI DELLE FOIBE. UNA STORIA NON SOLO TRIESTINA
Lettera aperta di Claudia Cernigoi, giornalista e ricercatrice storica.
È da un po’ di tempo che sono entrata a far parte di quel novero di storici che vengono sbrigativamente nonché offensivamente definiti “negazionisti delle foibe” da una minoranza piuttosto rumorosa che ha fatto della mistificazione di fatti storici il proprio cavallo di battaglia per portare avanti una politica all’insegna del nazionalismo, dell’anticomunismo, del neoirredentismo; politica oltremodo pericolosa perché sta iniziando ad incrinare i rapporti con Slovenia e Croazia.
Venerdì 14 maggio si è svolta a Trieste un’assemblea, indetta dall’Unione degli istriani, nella quale doveva venire discusso il tema del “negazionismo” in materia di foibe ed i “provvedimenti” da adottare contro questo “fenomeno”.
Più che un’assemblea, in effetti, l’iniziativa si è rivelata sostanzialmente un monologo del presidente dell’Unione degli istriani, Massimiliano Lacota, che ci ha in un certo modo ricordato il simpatico coniglietto della pubblicità delle pile che durano più a lungo (quello che continua a camminare anche dopo che tutti gli altri pupazzetti si sono fermati), che nel corso di circa due ore, tranne una brevissima relazione dell’avvocato Sardos Albertini e un breve intervento di Giorgio Rustia, ha parlato sempre lui, spaziando da un argomento all’altro con un’energia ed un brio davvero degni di nota.
Quanto scriviamo di seguito è una sintesi del corposo e variegato intervento di Lacota (le parti virgolettate sono citazioni testuali), il quale ha tra l’altro affermato di essere un “nazionalista europeista”, aggiungendo che non tutti nella sala avrebbero potuto capire questa definizione, ma “chi vuole capire capisca” e noi forse non abbiamo capito, ma ci è venuta in mente la vecchia teoria dell’Europa nazione di hitleriana memoria. Però se possiamo, con lo stesso garbo con cui lui ha condotto il proprio intervento, fare una domanda a Lacota in merito al suo patriottismo, è come mai, per dimostrare la sua coerenza nazionalista, non abbia ancora ridotto in forma italiana il proprio cognome (che evidentemente era stato slavizzato in altri tempi) riportandolo dallo slavo (sloveno o croato) Lakota all’italiano Fame.
Torniamo al corposo intervento di Lacota, per il quale il vero problema del Paese, quello per cui è necessario giungere entro l’estate all’approvazione di una legge in merito, è l’esistenza dei “negazionisti delle foibe”. Che sarebbero, se abbiamo capito bene, coloro che non hanno “interpretato nel modo corretto” il senso con cui è stata fatta la legge (la n. 92 del 2004) che ha indetto il “Giorno del ricordo” del 10 febbraio.
Dove l’articolo 1 di questa legge prevede il riconoscimento di questa giornata “al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”. E qui secondo Lacota c’è qualcuno che “interpreta faziosamente” questo punto perché si limita a fare una storia parziale, dimenticando, ad esempio, il “terrorismo slavo” degli anni 30. Queste persone egli le chiama “negazionisti”, ed il perché lo specificherà dopo: perché “è vero”, ha detto, spiegazione che effettivamente non fa una grinza, e ci ricorda il barone di Munchhausen che per impedire a se stesso di precipitare si teneva per il colletto della giacca e così rimaneva fermo nel vuoto.
Vale la pena di aprire una parentesi sulla genesi del concetto dei “negazionisti delle foibe”. Coloro i quali ci accusano di essere “negazionisti” perché non ci siamo adeguati alla vulgata generale in materia di foibe (portando fior di documenti a sostegno delle nostre tesi), personalmente li ho ribattezzato affermazionisti, parafarasando il loro modo di esprimersi, in quanto la maggior parte delle cose che noi “negheremmo” sono in realtà pure e semplici affermazioni, non suffragate da prove. Ma su questo non intendo dilungarmi perché ne ho già parlato diffusamente in altri interventi, ai quali rimando i lettori (vedi link alla fine della nota).
Torniamo a Lacota. Egli ha spiegato che i “negazionisti” sono persone che non vogliono una pacificazione, anche se, ha poi aggiunto, per gli istriani non esiste pacificazione senza giustizia, ma nel parlare di “giustizia elementare” il suo discorso si è fatto confuso, ha detto che sarebbe necessario un “tornare indietro”, ma non abbiamo capito se al 1943 del Kustenland, al 1920 del Trattato di Rapallo o a che altro. Vorremmo ricordargli che, piaccia o non piaccia, avendo l’Italia perso la guerra (che aveva iniziato inseguendo un sogno imperialista che poi si è trasformato in incubo per tutta la gente d’Europa, italiani compresi), ha poi firmato un trattato di pace che ha assegnato taluni territori ad altri Stati, e non è che su questo si possa tornare tanto facilmente indietro, a meno di iniziare un altro conflitto.
Tornando ai “negazionisti”, il problema espresso da Lacota è che ogniqualvolta ci si avvicina alla data del 10 febbraio in varie parti d’Italia si vogliono fare manifestazioni nello spirito della legge (l’articolo 2 recita: “sono previste iniziative per diffondere la conoscenza dei tragici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado. È altresì favorita, da parte di istituzioni ed enti, la realizzazione di studi, convegni, incontri e dibattiti in modo da conservare la memoria di quelle vicende”). Ed in questo ambito, purtroppo, loro come associazioni degli esuli non hanno abbastanza persone da mandare in giro a parlare dell’argomento, non sono più di una trentina ad essere disponibili e pertanto quest’anno hanno dovuto dire di no a 295 inviti. E del resto c’è il problema di chi far parlare: le associazioni combattentistiche e patriottiche spesso “non sono attendibili”, “forzano i numeri” e “non sono preparate” e poi ci sono i memorialisti che si limitano a parlare di com’era bella la loro casetta, ma non sono i più adatti a far conoscere la storia ai giovani. Per queste carenze le istituzioni, sia scolastiche che amministrative, devono ricorrere ad altri, ad esempio gli storici Pupo e Spazzali (che sembra vadano bene), ma poi sono impegnati anche i Kersevan, Volk e Cernigoi (e qui ci domandiamo come una persona che pronuncia correttamente Kerševan al modo sloveno con la š, si impappini invece su Volk, storpiandone il cognome in Folk alla tedesca, ma questi sono i misteri di Lacota e non possiamo comprenderli a fondo), che girano l’Italia e sono preparatissimi sulla storia e sulle malefatte del fascismo, ma finiscono col raccontare che “gli infoibati se la sono cercata”, perché gli infoibati “erano tutti fascisti”. Tralasciando che se loro sono in trenta e noi siamo in tre non riusciamo a capire come mai loro non ce la fanno a coprire tutto il territorio nazionale ma noi costituiamo un “pericolo” per il Paese, diciamo che Lacota, dissertato in lungo e in largo nel ripetere questi concetti, ha continuato a sventolare a mo’ di esempio una copia degli atti del convegno “Foibe. Revisionismo di stato e amnesie della Repubblica” (svoltosi a Sesto San Giovanni nel 2008), facendoci in tal modo una pubblicità che raramente abbiamo visto, ma nel contempo rivelando, nel suo commentare gli interventi raccolti, quale è la sua metodologia di studio.
Prendendo ad esempio il capitolo che tratta dei “riconoscimenti” ai parenti degli “infoibati”, Lacota, dopo avere preso atto che è specificato che l’elenco è incompleto, e comprende praticamente solo poliziotti, militari squadristi e via di seguito, ne conclude che Volk ha fatto una “accurata selezione” per dire che gli infoibati erano tutti fascisti.
In realtà, se Lacota non attribuisse agli altri le proprie metodologie di lavoro, avrebbe potuto leggere per intero l’intervento ed avrebbe visto che l’elenco è incompleto non per volontà dei ricercatori, ma perché i nomi non vengono resi pubblici, quindi la ricerca di essi è una cosa piuttosto difficile. E per quanto concerne le qualifiche, i dati sono tratti da elenchi di caduti della RSI e dall’Albo d’Oro redatto dal recentemente scomparso Luigi Papo, fonti sicuramente non legate ideologicamente ai “negazionisti delle foibe”.
Nell’insieme Lacota ha emesso delle lodi sperticate nei confronti di coloro che vorrebbe ridurre al silenzio (anche se ha specificato più volte che non intende impedirci di parlare in senso assoluto, perché lui non è “fazioso”), affermando che noi non siamo ad esempio “come i Codarin di turno” ma sappiamo sistemare i pezzi di storia “in modo astuto”, in modo da “cambiare il senso della storia” omettendo certi dati e non approfondendone altri e così alla fine riescono a convincere chi li ascolta che “tutti i fascisti si meritavano di finire nelle foibe”.
A prescindere dal fatto che non è sicuramente colpa di chi fa ricerca storica se il risultato della ricerca è una cosa piuttosto che un’altra e quindi non si può attribuire ai ricercatori la responsabilità del fatto che la maggior parte degli “infoibati” era fascista o appartenente a forze collaborazioniste, ribadiamo che non è che chi è arrivato a questa conclusione affermi automaticamente anche che “è bene che siano finiti nelle foibe”. Questa è una conclusione a cui arriva Lacota e che nessuno di coloro che lui definisce “negazionisti” ha mai detto, scritto o lasciato intendere; che egli insista nell’attribuire queste intenzioni alle persone di cui parla è non solo falsificante ed offensivo, ma anche calunnioso, e di questo potrebbe dover venire chiamato a rispondere un domani davanti a qualche magistrato.
Lacota ha poi difeso lo scrittore Boris Pahor dagli attacchi che gli ha lanciato Renzo Codarin (col quale Lacota sembra avere il dente avvelenato, dato che già prima gli aveva dedicato una frecciata), perché “il vero pericolo” non è Pahor, ma altri, ed agitando il libro del convegno di Sesto San Giovanni, ha aggiunto che chi attacca Boris Pahor lo fa perché non ha il coraggio di attaccare coloro che non vogliono riconoscere il “genocidio” che è stato fatto nei loro confronti dalla Jugoslavia. Dopo un breve accenno al fatto che loro (non si comprende se intende l’Unione degli istriani o gli istriani in generale) sono stati “purtroppo” troppo “tolleranti”, e sarebbero stati probabilmente “più rispettati” se fossero stati “meno buoni”, ha chiarito il senso delle loro richieste contro i “negazionisti”. Non impedire loro di parlare, in fin dei conti in Italia c’è la libertà di espressione (“fin troppa libertà di stampa”, ha anche detto in un altro punto), né pretendere di arrivare ad una “verità di stato” a cui tutti devono adeguarsi, ma semplicemente “mettere in guardia” gli organismi che invitano queste persone e fare in modo che non parlino come relatori ufficiali nelle scuole o in sedi istituzionali. Finché vogliono parlare nei loro “ghetti” facciano pure: ma invitare ad una manifestazione per il 10 febbraio uno di costoro sarebbe come invitare alla Risiera lo storico Nolte, una cosa inaccettabile, perché vilipende la memoria.
Dal punto di vista “legale” l’avvocato Sardos Albertini è riuscito a prendere brevemente la parola nel fiume in piena del discorso di Lacota, ed ha detto un paio di cose che ci hanno fatto ricredere sull’opinione che avevamo di lui come avvocato. Sostanzialmente la sua proposta è di denunciare alla magistratura contabile le istituzioni che invitano i “negazionisti” per verificare che non si sia commesso un danno erariale (?) e che i discendenti degli “infoibati” querelino chi dice di un “infoibato” che “gli stava bene”, perché devono dire “questa persona mi ingiuria” e lede i loro diritti personali e portarli davanti al giudice.
Come detto più sopra, lo ripetiamo anche all’avvocato Sardos Albertini: dato che nessuno di noi ha mai affermato cose del genere, diffidiamo chiunque dal denunciarci su queste basi perché altrimenti saremo costretti a ricorrere noi alle vie legali per diffamazione e calunnia. E che si danneggi di più l’erario invitando a parlare chi parla di storia con cognizione di causa piuttosto che un Pirina che persiste nel moltiplicare i numeri degli “infoibati” duplicando e triplicando i morti, è cosa che ci pare quantomeno peregrina.
Lacota ha poi dissertato a lungo sulle leggi che in Europa proibiscono di negare la Shoah o il genocidio del popolo armeno, aggiungendo che chi invece fa dei convegni “negazionisti” come quello di Sesto San Giovanni non hanno “rischiato niente”, mentre una cosa del genere sarebbe proibita in Europa.
In effetti in alcuni stati europei è proibito negare la Shoah o il genocidio armeno, ma in nessun paese democratico ci consta che sia reato dire la verità, anche se questa verità non vuole essere accettata da una parte politica. Piaccia o non piaccia a Lacota, tutto quello che noi diciamo corrisponde al vero (al contrario della gran parte delle cose che dicono gli affermazionisti), sono fatti documentati e possiamo provare quello che diciamo di fronte a qualsiasi tribunale: se le sue parole non sono solo tentativi di minaccia o di intimidazione, ci denunci pure, e poi vedremo cosa decideranno i magistrati.
Difficile sintetizzare l’immane intervento di Lacota, fatto di incisi e divagazioni su fatti personali (ha ribadito più volte quanti viaggi ha fatto all’estero per incontrarsi con quello o quell’altro e quanti contatti ha in Slovenia e in Croazia e tra gli esuli d’Europa, e le iniziative che ha in programma con l’uno o l’altro…), ma volendo riassumere tutta la sua tirata possiamo dire che quello che abbiamo capito (se abbiamo capito male chiediamo scusa e aspettiamo chiarimenti) è che i “negazionisti” sono pochi ma preparati ed abilissimi, però pericolosi e pronti a partire di nuovo per le loro conferenze, quindi è necessario muoversi più in fretta possibile (perché non si sa se questo governo durerà a lungo) ed approvare quanto prima una legge che impedisca loro di parlare in sedi istituzionali e scuole; e nel frattempo mettersi a sporgere denunce e querele a raffica contro di loro; ed infine che si istituisca un “albo” di persone “autorizzate” a parlare il 10 febbraio, che dimostrino di essere preparate e che si facciano dei corsi per formarle. Già, ma chi sarebbe titolato a decidere la preparazione di queste persone, ed in base a quali criteri, e chi terrebbe questi corsi e in base a quali qualifiche?
Lacota ne ha avute anche per lo storico Giuseppe Parlato che si è dichiarato contrario ad iniziative come queste, dicendo che certe persone che si dichiarano “amici degli esuli” in realtà “fanno più danni che guadagni”, come diceva sua nonna; e poi ha attaccato anche Giovanardi che nonostante quello che dice, in realtà non ha fatto nulla di concreto per loro. Ed infine ha lanciato un appello a Stelio Spadaro, che si faccia promotore presso la “sinistra” in Parlamento per poter giungere all’approvazione della legge contro i “negazionisti”.
Un ultimo accenno agli attacchi di Lacota contro il professor Jože Pirjevec, colpevole di avere scritto un libro dal titolo “Foibe. Una storia italiana”, che è stato donato dal vicepresidente uscente della Regione Piemonte agli studenti (atto questo definito “sciagurato” da Lacota), dove il titolo viene considerato “abbastanza deridente”, perché definire le foibe “una storia italiana”, secondo lui è come dire che sono state “una delle tante stupidaggini” d’Italia e quindi significa voler sminuirne la tragedia. Dal canto suo Giorgio Rustia ha poi accusato Pirjevec di essere rimasto Giuseppe Pierazzi fino al 1974, e di essersi fatto cambiare il nome solo quando “non aveva più paura dei titini”. Questi appunti tanto per dare un’idea della levatura culturale degli interventi.
Infine alcune riflessioni nostre. La prima è che davvero certe persone sono alla frutta, se intendono mobilitare un governo in un momento politico e socio-economico come il presente, solo per impedire a quattro o cinque persone di parlare di storia; che tra di loro (la Federesuli ed i partiti del PdL) vi sono screzi piuttosto pesanti, almeno stando alla quantità di stoccate lanciate da Lacota ad esponenti di queste aree; poi ci ha colpito che Lacota abbia voluto ribadire il fatto di avere appoggi e godere di credibilità a livello internazionale; che oltre alle proposte di tipo legale (proporre leggi e sporgere denuncie) Lacota si è espresso anche su altri livelli, dalla discutibile scelta di non riconoscere i titoli di studio a Volk e Kersevan, mettendo anche in dubbio la loro competenza storica, a quando ha condannato certe iniziative di estrema destra che esagerano i numeri, ma giustificandole come “reazioni” in “risposta ai negazionisti”; infine quando ha parlato delle contestazioni alle nostre iniziative, dicendo che spesso Kersevan, Volk e Cernigoi “hanno “difficoltà nel tenere queste manifestazioni”, bufala questa che abbiamo più volte smentito, ma che detta così sembra un’altra affermazione del genere chi ha da capire capisca, come la precedente battuta sul nazionalismo europeista.
Nell’insieme il comizio lacotiano ci è parso vagamente intimidatorio nei nostri confronti: naturalmente possiamo sbagliarci (lo speriamo e in tal caso chiediamo scusa per la sfiducia al relatore),e la nostra impressione sbagliata può semplicemente derivare dal fatto che negli ultimi mesi siamo stati bersaglio di svariati attacchi, spesso piuttosto espliciti, come più volte scritto su queste pagine, e dalla consapevolezza che esistono persone che quando non hanno più la forza della ragione ricorrono alla ragione della forza.
Preso atto comunque che l’ambiente dell’Unione degli istriani non ha storici preparati a sufficienza da mandare in giro per parlare del Giorno del ricordo, pensiamo sia a questo punto un nostro dovere morale di rimboccarci le maniche e provvedere ad integrare le loro carenze. Quindi nei prossimi mesi ci aspetta un grosso lavoro, per il quale chiediamo la collaborazione di tutti coloro che sono interessati alla diffusione della verità storica.
Maggio 2010
Lettera aperta di Claudia Cernigoi, giornalista e ricercatrice storica.
È da un po’ di tempo che sono entrata a far parte di quel novero di storici che vengono sbrigativamente nonché offensivamente definiti “negazionisti delle foibe” da una minoranza piuttosto rumorosa che ha fatto della mistificazione di fatti storici il proprio cavallo di battaglia per portare avanti una politica all’insegna del nazionalismo, dell’anticomunismo, del neoirredentismo; politica oltremodo pericolosa perché sta iniziando ad incrinare i rapporti con Slovenia e Croazia.
Venerdì 14 maggio si è svolta a Trieste un’assemblea, indetta dall’Unione degli istriani, nella quale doveva venire discusso il tema del “negazionismo” in materia di foibe ed i “provvedimenti” da adottare contro questo “fenomeno”.
Più che un’assemblea, in effetti, l’iniziativa si è rivelata sostanzialmente un monologo del presidente dell’Unione degli istriani, Massimiliano Lacota, che ci ha in un certo modo ricordato il simpatico coniglietto della pubblicità delle pile che durano più a lungo (quello che continua a camminare anche dopo che tutti gli altri pupazzetti si sono fermati), che nel corso di circa due ore, tranne una brevissima relazione dell’avvocato Sardos Albertini e un breve intervento di Giorgio Rustia, ha parlato sempre lui, spaziando da un argomento all’altro con un’energia ed un brio davvero degni di nota.
Quanto scriviamo di seguito è una sintesi del corposo e variegato intervento di Lacota (le parti virgolettate sono citazioni testuali), il quale ha tra l’altro affermato di essere un “nazionalista europeista”, aggiungendo che non tutti nella sala avrebbero potuto capire questa definizione, ma “chi vuole capire capisca” e noi forse non abbiamo capito, ma ci è venuta in mente la vecchia teoria dell’Europa nazione di hitleriana memoria. Però se possiamo, con lo stesso garbo con cui lui ha condotto il proprio intervento, fare una domanda a Lacota in merito al suo patriottismo, è come mai, per dimostrare la sua coerenza nazionalista, non abbia ancora ridotto in forma italiana il proprio cognome (che evidentemente era stato slavizzato in altri tempi) riportandolo dallo slavo (sloveno o croato) Lakota all’italiano Fame.
Torniamo al corposo intervento di Lacota, per il quale il vero problema del Paese, quello per cui è necessario giungere entro l’estate all’approvazione di una legge in merito, è l’esistenza dei “negazionisti delle foibe”. Che sarebbero, se abbiamo capito bene, coloro che non hanno “interpretato nel modo corretto” il senso con cui è stata fatta la legge (la n. 92 del 2004) che ha indetto il “Giorno del ricordo” del 10 febbraio.
Dove l’articolo 1 di questa legge prevede il riconoscimento di questa giornata “al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”. E qui secondo Lacota c’è qualcuno che “interpreta faziosamente” questo punto perché si limita a fare una storia parziale, dimenticando, ad esempio, il “terrorismo slavo” degli anni 30. Queste persone egli le chiama “negazionisti”, ed il perché lo specificherà dopo: perché “è vero”, ha detto, spiegazione che effettivamente non fa una grinza, e ci ricorda il barone di Munchhausen che per impedire a se stesso di precipitare si teneva per il colletto della giacca e così rimaneva fermo nel vuoto.
Vale la pena di aprire una parentesi sulla genesi del concetto dei “negazionisti delle foibe”. Coloro i quali ci accusano di essere “negazionisti” perché non ci siamo adeguati alla vulgata generale in materia di foibe (portando fior di documenti a sostegno delle nostre tesi), personalmente li ho ribattezzato affermazionisti, parafarasando il loro modo di esprimersi, in quanto la maggior parte delle cose che noi “negheremmo” sono in realtà pure e semplici affermazioni, non suffragate da prove. Ma su questo non intendo dilungarmi perché ne ho già parlato diffusamente in altri interventi, ai quali rimando i lettori (vedi link alla fine della nota).
Torniamo a Lacota. Egli ha spiegato che i “negazionisti” sono persone che non vogliono una pacificazione, anche se, ha poi aggiunto, per gli istriani non esiste pacificazione senza giustizia, ma nel parlare di “giustizia elementare” il suo discorso si è fatto confuso, ha detto che sarebbe necessario un “tornare indietro”, ma non abbiamo capito se al 1943 del Kustenland, al 1920 del Trattato di Rapallo o a che altro. Vorremmo ricordargli che, piaccia o non piaccia, avendo l’Italia perso la guerra (che aveva iniziato inseguendo un sogno imperialista che poi si è trasformato in incubo per tutta la gente d’Europa, italiani compresi), ha poi firmato un trattato di pace che ha assegnato taluni territori ad altri Stati, e non è che su questo si possa tornare tanto facilmente indietro, a meno di iniziare un altro conflitto.
Tornando ai “negazionisti”, il problema espresso da Lacota è che ogniqualvolta ci si avvicina alla data del 10 febbraio in varie parti d’Italia si vogliono fare manifestazioni nello spirito della legge (l’articolo 2 recita: “sono previste iniziative per diffondere la conoscenza dei tragici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado. È altresì favorita, da parte di istituzioni ed enti, la realizzazione di studi, convegni, incontri e dibattiti in modo da conservare la memoria di quelle vicende”). Ed in questo ambito, purtroppo, loro come associazioni degli esuli non hanno abbastanza persone da mandare in giro a parlare dell’argomento, non sono più di una trentina ad essere disponibili e pertanto quest’anno hanno dovuto dire di no a 295 inviti. E del resto c’è il problema di chi far parlare: le associazioni combattentistiche e patriottiche spesso “non sono attendibili”, “forzano i numeri” e “non sono preparate” e poi ci sono i memorialisti che si limitano a parlare di com’era bella la loro casetta, ma non sono i più adatti a far conoscere la storia ai giovani. Per queste carenze le istituzioni, sia scolastiche che amministrative, devono ricorrere ad altri, ad esempio gli storici Pupo e Spazzali (che sembra vadano bene), ma poi sono impegnati anche i Kersevan, Volk e Cernigoi (e qui ci domandiamo come una persona che pronuncia correttamente Kerševan al modo sloveno con la š, si impappini invece su Volk, storpiandone il cognome in Folk alla tedesca, ma questi sono i misteri di Lacota e non possiamo comprenderli a fondo), che girano l’Italia e sono preparatissimi sulla storia e sulle malefatte del fascismo, ma finiscono col raccontare che “gli infoibati se la sono cercata”, perché gli infoibati “erano tutti fascisti”. Tralasciando che se loro sono in trenta e noi siamo in tre non riusciamo a capire come mai loro non ce la fanno a coprire tutto il territorio nazionale ma noi costituiamo un “pericolo” per il Paese, diciamo che Lacota, dissertato in lungo e in largo nel ripetere questi concetti, ha continuato a sventolare a mo’ di esempio una copia degli atti del convegno “Foibe. Revisionismo di stato e amnesie della Repubblica” (svoltosi a Sesto San Giovanni nel 2008), facendoci in tal modo una pubblicità che raramente abbiamo visto, ma nel contempo rivelando, nel suo commentare gli interventi raccolti, quale è la sua metodologia di studio.
Prendendo ad esempio il capitolo che tratta dei “riconoscimenti” ai parenti degli “infoibati”, Lacota, dopo avere preso atto che è specificato che l’elenco è incompleto, e comprende praticamente solo poliziotti, militari squadristi e via di seguito, ne conclude che Volk ha fatto una “accurata selezione” per dire che gli infoibati erano tutti fascisti.
In realtà, se Lacota non attribuisse agli altri le proprie metodologie di lavoro, avrebbe potuto leggere per intero l’intervento ed avrebbe visto che l’elenco è incompleto non per volontà dei ricercatori, ma perché i nomi non vengono resi pubblici, quindi la ricerca di essi è una cosa piuttosto difficile. E per quanto concerne le qualifiche, i dati sono tratti da elenchi di caduti della RSI e dall’Albo d’Oro redatto dal recentemente scomparso Luigi Papo, fonti sicuramente non legate ideologicamente ai “negazionisti delle foibe”.
Nell’insieme Lacota ha emesso delle lodi sperticate nei confronti di coloro che vorrebbe ridurre al silenzio (anche se ha specificato più volte che non intende impedirci di parlare in senso assoluto, perché lui non è “fazioso”), affermando che noi non siamo ad esempio “come i Codarin di turno” ma sappiamo sistemare i pezzi di storia “in modo astuto”, in modo da “cambiare il senso della storia” omettendo certi dati e non approfondendone altri e così alla fine riescono a convincere chi li ascolta che “tutti i fascisti si meritavano di finire nelle foibe”.
A prescindere dal fatto che non è sicuramente colpa di chi fa ricerca storica se il risultato della ricerca è una cosa piuttosto che un’altra e quindi non si può attribuire ai ricercatori la responsabilità del fatto che la maggior parte degli “infoibati” era fascista o appartenente a forze collaborazioniste, ribadiamo che non è che chi è arrivato a questa conclusione affermi automaticamente anche che “è bene che siano finiti nelle foibe”. Questa è una conclusione a cui arriva Lacota e che nessuno di coloro che lui definisce “negazionisti” ha mai detto, scritto o lasciato intendere; che egli insista nell’attribuire queste intenzioni alle persone di cui parla è non solo falsificante ed offensivo, ma anche calunnioso, e di questo potrebbe dover venire chiamato a rispondere un domani davanti a qualche magistrato.
Lacota ha poi difeso lo scrittore Boris Pahor dagli attacchi che gli ha lanciato Renzo Codarin (col quale Lacota sembra avere il dente avvelenato, dato che già prima gli aveva dedicato una frecciata), perché “il vero pericolo” non è Pahor, ma altri, ed agitando il libro del convegno di Sesto San Giovanni, ha aggiunto che chi attacca Boris Pahor lo fa perché non ha il coraggio di attaccare coloro che non vogliono riconoscere il “genocidio” che è stato fatto nei loro confronti dalla Jugoslavia. Dopo un breve accenno al fatto che loro (non si comprende se intende l’Unione degli istriani o gli istriani in generale) sono stati “purtroppo” troppo “tolleranti”, e sarebbero stati probabilmente “più rispettati” se fossero stati “meno buoni”, ha chiarito il senso delle loro richieste contro i “negazionisti”. Non impedire loro di parlare, in fin dei conti in Italia c’è la libertà di espressione (“fin troppa libertà di stampa”, ha anche detto in un altro punto), né pretendere di arrivare ad una “verità di stato” a cui tutti devono adeguarsi, ma semplicemente “mettere in guardia” gli organismi che invitano queste persone e fare in modo che non parlino come relatori ufficiali nelle scuole o in sedi istituzionali. Finché vogliono parlare nei loro “ghetti” facciano pure: ma invitare ad una manifestazione per il 10 febbraio uno di costoro sarebbe come invitare alla Risiera lo storico Nolte, una cosa inaccettabile, perché vilipende la memoria.
Dal punto di vista “legale” l’avvocato Sardos Albertini è riuscito a prendere brevemente la parola nel fiume in piena del discorso di Lacota, ed ha detto un paio di cose che ci hanno fatto ricredere sull’opinione che avevamo di lui come avvocato. Sostanzialmente la sua proposta è di denunciare alla magistratura contabile le istituzioni che invitano i “negazionisti” per verificare che non si sia commesso un danno erariale (?) e che i discendenti degli “infoibati” querelino chi dice di un “infoibato” che “gli stava bene”, perché devono dire “questa persona mi ingiuria” e lede i loro diritti personali e portarli davanti al giudice.
Come detto più sopra, lo ripetiamo anche all’avvocato Sardos Albertini: dato che nessuno di noi ha mai affermato cose del genere, diffidiamo chiunque dal denunciarci su queste basi perché altrimenti saremo costretti a ricorrere noi alle vie legali per diffamazione e calunnia. E che si danneggi di più l’erario invitando a parlare chi parla di storia con cognizione di causa piuttosto che un Pirina che persiste nel moltiplicare i numeri degli “infoibati” duplicando e triplicando i morti, è cosa che ci pare quantomeno peregrina.
Lacota ha poi dissertato a lungo sulle leggi che in Europa proibiscono di negare la Shoah o il genocidio del popolo armeno, aggiungendo che chi invece fa dei convegni “negazionisti” come quello di Sesto San Giovanni non hanno “rischiato niente”, mentre una cosa del genere sarebbe proibita in Europa.
In effetti in alcuni stati europei è proibito negare la Shoah o il genocidio armeno, ma in nessun paese democratico ci consta che sia reato dire la verità, anche se questa verità non vuole essere accettata da una parte politica. Piaccia o non piaccia a Lacota, tutto quello che noi diciamo corrisponde al vero (al contrario della gran parte delle cose che dicono gli affermazionisti), sono fatti documentati e possiamo provare quello che diciamo di fronte a qualsiasi tribunale: se le sue parole non sono solo tentativi di minaccia o di intimidazione, ci denunci pure, e poi vedremo cosa decideranno i magistrati.
Difficile sintetizzare l’immane intervento di Lacota, fatto di incisi e divagazioni su fatti personali (ha ribadito più volte quanti viaggi ha fatto all’estero per incontrarsi con quello o quell’altro e quanti contatti ha in Slovenia e in Croazia e tra gli esuli d’Europa, e le iniziative che ha in programma con l’uno o l’altro…), ma volendo riassumere tutta la sua tirata possiamo dire che quello che abbiamo capito (se abbiamo capito male chiediamo scusa e aspettiamo chiarimenti) è che i “negazionisti” sono pochi ma preparati ed abilissimi, però pericolosi e pronti a partire di nuovo per le loro conferenze, quindi è necessario muoversi più in fretta possibile (perché non si sa se questo governo durerà a lungo) ed approvare quanto prima una legge che impedisca loro di parlare in sedi istituzionali e scuole; e nel frattempo mettersi a sporgere denunce e querele a raffica contro di loro; ed infine che si istituisca un “albo” di persone “autorizzate” a parlare il 10 febbraio, che dimostrino di essere preparate e che si facciano dei corsi per formarle. Già, ma chi sarebbe titolato a decidere la preparazione di queste persone, ed in base a quali criteri, e chi terrebbe questi corsi e in base a quali qualifiche?
Lacota ne ha avute anche per lo storico Giuseppe Parlato che si è dichiarato contrario ad iniziative come queste, dicendo che certe persone che si dichiarano “amici degli esuli” in realtà “fanno più danni che guadagni”, come diceva sua nonna; e poi ha attaccato anche Giovanardi che nonostante quello che dice, in realtà non ha fatto nulla di concreto per loro. Ed infine ha lanciato un appello a Stelio Spadaro, che si faccia promotore presso la “sinistra” in Parlamento per poter giungere all’approvazione della legge contro i “negazionisti”.
Un ultimo accenno agli attacchi di Lacota contro il professor Jože Pirjevec, colpevole di avere scritto un libro dal titolo “Foibe. Una storia italiana”, che è stato donato dal vicepresidente uscente della Regione Piemonte agli studenti (atto questo definito “sciagurato” da Lacota), dove il titolo viene considerato “abbastanza deridente”, perché definire le foibe “una storia italiana”, secondo lui è come dire che sono state “una delle tante stupidaggini” d’Italia e quindi significa voler sminuirne la tragedia. Dal canto suo Giorgio Rustia ha poi accusato Pirjevec di essere rimasto Giuseppe Pierazzi fino al 1974, e di essersi fatto cambiare il nome solo quando “non aveva più paura dei titini”. Questi appunti tanto per dare un’idea della levatura culturale degli interventi.
Infine alcune riflessioni nostre. La prima è che davvero certe persone sono alla frutta, se intendono mobilitare un governo in un momento politico e socio-economico come il presente, solo per impedire a quattro o cinque persone di parlare di storia; che tra di loro (la Federesuli ed i partiti del PdL) vi sono screzi piuttosto pesanti, almeno stando alla quantità di stoccate lanciate da Lacota ad esponenti di queste aree; poi ci ha colpito che Lacota abbia voluto ribadire il fatto di avere appoggi e godere di credibilità a livello internazionale; che oltre alle proposte di tipo legale (proporre leggi e sporgere denuncie) Lacota si è espresso anche su altri livelli, dalla discutibile scelta di non riconoscere i titoli di studio a Volk e Kersevan, mettendo anche in dubbio la loro competenza storica, a quando ha condannato certe iniziative di estrema destra che esagerano i numeri, ma giustificandole come “reazioni” in “risposta ai negazionisti”; infine quando ha parlato delle contestazioni alle nostre iniziative, dicendo che spesso Kersevan, Volk e Cernigoi “hanno “difficoltà nel tenere queste manifestazioni”, bufala questa che abbiamo più volte smentito, ma che detta così sembra un’altra affermazione del genere chi ha da capire capisca, come la precedente battuta sul nazionalismo europeista.
Nell’insieme il comizio lacotiano ci è parso vagamente intimidatorio nei nostri confronti: naturalmente possiamo sbagliarci (lo speriamo e in tal caso chiediamo scusa per la sfiducia al relatore),e la nostra impressione sbagliata può semplicemente derivare dal fatto che negli ultimi mesi siamo stati bersaglio di svariati attacchi, spesso piuttosto espliciti, come più volte scritto su queste pagine, e dalla consapevolezza che esistono persone che quando non hanno più la forza della ragione ricorrono alla ragione della forza.
Preso atto comunque che l’ambiente dell’Unione degli istriani non ha storici preparati a sufficienza da mandare in giro per parlare del Giorno del ricordo, pensiamo sia a questo punto un nostro dovere morale di rimboccarci le maniche e provvedere ad integrare le loro carenze. Quindi nei prossimi mesi ci aspetta un grosso lavoro, per il quale chiediamo la collaborazione di tutti coloro che sono interessati alla diffusione della verità storica.
Maggio 2010