(english / italiano)

Il Tribunale Speciale della NATO

1) Goran Jelisic, imputato del Tribunale Speciale (di A. Martocchia. Recensione del libro "Uomini e non uomini", Zambon 2013)
2) Giustizia selettiva / Selective Justice (by David Harland - NYT, December 7, 2012)


=== 1 ===

GORAN JELISIC, IMPUTATO DEL TRIBUNALE SPECIALE

Ha ragione Ugo Giannangeli, che nella sua Postfazione al nuovo libro "Uomini e non uomini" (*) scrive: «Ho letto il libro di Goran Jelisic e sono rimasto allibito». "Allibito" è la parola giusta. Giustamente nella Postfazione Giannangeli parla del carattere eminentemente politico - e perciò giuridicamente obbrobrioso - del "processo" subito da Jelisic: «Non che di aberrazioni giudiziarie non ne abbia viste, ma poco sapevo del funzionamento del Tribunale dell'Aja».

Le cronache del "Tribunale penale internazionale ad hoc per i crimini commessi sul territorio della ex Jugoslavia" (TPIJ) non possono che lasciare allibito chiunque vi si avvicini per caso e senza parzialità o preconcetti. Il problema, però, è che – tolto il libro di cui stiamo parlando – tali cronache a dir poco scarseggiano. Esistono, è vero, i servizi informativi prodotti dallo stesso "Tribunale" (1) che oltre a farsi autopropaganda pubblica le trascrizioni ufficiali e una parte dei video (su YouTube) dei dibattimenti: ma il non addetto ai lavori non sa che farsene di questa mole esorbitante di materiali. Esistono poi le sintesi informative prodotte dall'IWPR (Institute for War & Peace Reporting), agenzia di stampa creata ad hoc per occupare a priori scrivanie e computer degli organi di informazione rendendo "superfluo" – cioè in pratica impedendo – il lavoro di presa diretta, scavo e analisi indipendente che invece il giornalista sarebbe tenuto a fare. La IWPR è nata in effetti per "coprire" mediaticamente in maniera totalitaria tutta la crisi jugoslava sin dai primi anni Novanta: chi li finanzia? Ma che domande: gli stessi che finanziano il "Tribunale ad hoc"! Tra questi spiccano il National Endowment for Democracy, l'Open Society Institute e la Rockefeller Family Associates (2).

Non esistono giornalisti indipendenti che abbiano seguito i lavori del TPIJ in maniera non occasionale, ed anche alcune attività di contro-informazione avviate su internet, per ovvie ragioni, non hanno retto al passare inesorabile del tempo – chi può seguire costantemente una questione per un ventennio o più su base meramente volontaria? Tantomeno tali attività hanno retto dopo alcune pesanti sconfitte subite – la più pesante fra tutte: l'assassinio di Slobodan Milosevic proprio nel carcere dell'Aia, proprio mentre avviava la sua autodifesa. (3)

Con la morte di Milosevic è venuta meno ogni attività di analisi e di critica delle attività del "Tribunale". Guardiamo al nostro paese, l'Italia, che pur essendo un paese molto provinciale aveva visto svilupparsi sin dagli anni Novanta innumerevoli attività dedicate ai fatti jugoslavi: ebbene, sul "Tribunale ad hoc" è uscito un numero assolutamente esiguo di testi analitici. Pochi gli articoli, tutti copia-e-incolla dei dispacci d'agenzia venuti dall'estero, e pochissimi anche i libri. Tra questi ultimi, cronologicamente precedenti al libro di Jelisic, dobbiamo ricordare solamente: «Imputato Milosevic. Il processo ai vinti e l'etica della guerra», di Massimo Nava (Fazi 2002), e il "nostro" «In difesa della Jugoslavia. Il j’accuse di Slobodan Milošević di fronte al “Tribunale ad hoc” dell’Aia» (Zambon, 2005). (4)
Sarebbe a questo punto importante, a venti anni dalla creazione di tale istituzione para-legale, operare una ricognizione degli studi specifici effettuati a livello accademico, delle Testi di laurea o dottorato dedicate al "Tribunale" o che usano gli Atti del "Tribunale" come fonte di ricostruzione storica dei tragici fatti jugoslavi… Sarebbe importante, ma già viene la pelle d'oca a pensare a quali sarebbero i risultati di questa ricognizione.

Sulla vera natura del "Tribunale ad hoc" scrivevamo nel 2005 (5): «La "giustizia" del "Tribunale ad hoc" è dunque quella di una parte in causa contro l'altra: il contrario esatto del super partes. Il TPIJ, analogamente al famigerato Tribunale Speciale dell'Italia fascista, è uno strumento politico totalmente sotto controllo dei vincitori, cioè degli aggressori, devastatori ed invasori della Jugoslavia.» Ci confortava nel giudizio la sincera dichiarazione di Jamie Shea, portavoce della NATO durante i bombardamenti sulla Jugoslavia della primavera del 1999: «La NATO è amica del Tribunale, è la NATO che detiene per conto del Tribunale i criminali di guerra sotto accusa… Sono i paesi della NATO che hanno procurato i fondi per istituire il Tribunale, noi siamo tra i più grandi finanziatori.» 
Più in dettaglio, del "Tribunale ad hoc" analizzavamo i meccanismi giuridici: «Noti giuristi e commentatori hanno spiegato come, nel suo funzionamento, il TPIJ violi tutti i principi del diritto internazionale. In sostanza, esso non rispetta la separazione dei poteri, né la parità fra accusa e difesa, né tantomeno la presunzione di innocenza finché non si giunge ad una condanna: la regola 92 del TPIJ stabilisce che le confessioni siano ritenute credibili, a meno che l'accusato possa provare il contrario, mentre in qualsiasi altra parte del mondo l'accusato è ritenuto innocente fino a quando non sia provata la sua colpevolezza. Il TPIJ formula i propri regolamenti e li modifica su ordine del Presidente o del Procuratore, assegnando ad essi carattere retroattivo: attraverso una procedura totalmente ridicola, il Presidente può apportare variazioni di sua propria iniziativa e ratificarle via fax ad altri giudici (regola 6). Il regolamento stesso non contempla un giudice per le indagini preliminari che investighi sulle accuse. Il "Tribunale ad hoc" utilizza testimoni anonimi, che si possono dunque sottrarre a verifiche da parte della difesa; secreta le fonti testimoniali, che possono essere anche servizi segreti di paesi coinvolti nei fatti. Esso usa la segretezza anche sui procedimenti aperti (regola 53); ricusa o rifiuta a proprio arbitrio di ascoltare gli avvocati della difesa (regola 46), allo stesso modo dei tribunali dell'Inquisizione; può rifiutare agli avvocati di consultare documentazione probatoria (regola 66); può detenere sospetti per novanta giorni prima di formulare imputazioni, con l'evidente scopo di estorcere confessioni. Dulcis in fundo, i giudici si arrogano persino il diritto, d'accordo con la "pubblica accusa", di revisionare la trascrizione del dibattimento, censurandola

La gran parte di queste pratiche illegittime è puntualmente confermata nel suo libro da Goran Jelisic, il quale porta quei casi esemplari che sono le sue esperienze dirette. Esperienze drammatiche, a fronte delle quali chiunque impazzirebbe. Jelisic invece raccoglie il suo dolore, i suoi shock, e riesce a farne un libro, a rivendicare semplicemente la umanità sua e dei suoi compagni di prigione, anche quelli di diverso colore politico-etnico. Di qui il titolo, poiché «esistono solo due nazioni: gli uomini e i non uomini» (p.87). E sulla base di questo spontaneo senso di umanità in carcere si fraternizza spesso (non sempre) anche con il nemico di ieri.

Jelisic spiega ulteriori discutibili prassi adottate dal "Tribunale". Racconta casi precisi, di testimoni "imboccati" dai giudici, o del modo in cui vengono imposti gli avvocati difensori e come questi ultimi inducano l'imputato a commettere errori dei quali pagherà poi care le conseguenze. Fa alcuni esempi di materiale probatorio grossolanamente falsificato (addirittura estratti da un film di Arnold Schwarzenegger: p.223). Jelisic racconta come gli inquirenti cercarono in tutti i modi di fagli dire che a Brcko erano stati uccisi seimila musulmani: «Ero sbalordito da tale richiesta. In seguito, ogni volta che volevano spingermi a dire qualcosa, spegnevano la telecamera. Si vedeva che avevano una bella esperienza d'interrogatori nei servizi segreti o come agenti» (p.144; p.170). Jelisic spiega che di fronte a sue "ammissioni" era sempre pronto uno sconto di pena… Alcune sue presunte vittime verranno però invece ritrovate vive e vegete (p.169; p.308). 
Un altro elemento interessante che emerge dalle memorie di Jelisic è la varietà delle posizioni e degli atteggiamenti anche nel seno di ciascuna parte etnico-politica. Così, ad esempio, anche tra i serbi di Brcko: Jelisic prigioniero non sempre trova tra i suoi ex commilitoni e preposti quell'aiuto che si sarebbe aspettato. Anche per qualche suo ex superiore evidentemente poteva essere lui, Jelisic, il capro espiatorio adatto a calmare le acque su altri versanti. L'opportunismo ha trasformato in "non uomini" anche qualcuno dei "suoi". 

E' particolarmente importante l'informazione che Jelisic fornisce sulla sua vicenda "italiana". Innanzitutto, dopo la condanna egli è stato arbitrariamente assegnato ad una prigione italiana nonostante garanzie affatto diverse che gli erano state date. In Italia è passato per sei prigioni diverse, e si trova adesso a Massa, dove deve terminare di scontare una condanna a 30 anni (fino al 2028). Sebbene abbia fatto domanda per ottenere tre anni di indulto, concessi a tutti i detenuti dello Stato italiano, questi gli sono stati rifiutati con la motivazione che avrebbe commesso il crimine di genocidio, reato da cui invece è stato assolto; i suoi ricorsi non ottengono nemmeno risposta. Gli sono stati negati anche i permessi che invece, nelle carceri estere, sono stati spesso concessi ad altri condannati dell'Aia. Dal 2006, anno d'inizio del lavoro di traduzione e riscrittura delle sue memorie, la curatrice del libro non ha mai ottenuto il permesso di incontrarlo. 

Sulla morte di Milosevic, che a noi risulta essere stato ucciso tramite somministrazione a sua insaputa di dosi da cavallo di Rifampicina nei pasti mensa, Jelisic espone una sua tesi un po' diversa (p.137) ma che comunque evidenzia quantomeno arbitrii e deficit di controlli nella prigione dell'Aia ("In carcere non si può morire altro che per omicidio", ha scritto giustamente Miriam Pellegrini Ferri). Jelisic opportunamente ricorda altre persone uccise o morte nel carcere del "Tribunale" o nelle operazioni per la loro cattura. L'elenco negli anni è diventato terribilmente lungo: Djordje Djukic, Simo Drljaca, Dragan Gagovic, Janko Janjic, Slavko Dokmanovic e Milan Babic (due strani suicidi nelle celle dell'Aia), Milan Kovacevic, Dragomir Abazovic. Sarà un caso, ma in questo elenco sono tutti serbi. Certamente la disparità di trattamento tra prigionieri delle diverse parti politiche è un dato acclarato; scriviamo "politiche" e non "nazionali" poiché in realtà anche alcuni serbi legati ai servizi segreti occidentali hanno goduto di trattamenti di favore: è il caso di Milorad Ulemek "Legija", di Momčilo Perišić e della strana coppia Stanisic-Simatovic, che hanno reso in passato i loro servigi al "Tribunale ad hoc" testimoniando contro Milosevic, per poi usufruire di assoluzioni o sconti di pena. 

I proscioglimenti "eccellenti" hanno riguardato tutti i personaggi di spicco, veri responsabili politico-militari, appartenenti alle parti e ai partiti secessionisti croati, musulmani e albanesi. Ramush Haradinaj e Hasim Thaci sono oggi i veri padroni della repubblichetta del Kosovo. Nel novembre 2012 la corte dell’Aja ha scagionato persino i generali croati Ante Gotovina e Mladen Markac, pianificatori della pulizia etnica delle Krajine. Il boia Nasir Oric, comandante delle milizie musulmane che a ripetizione fecero strage di serbi nei dintorni di Srebrenica tra il 1992 e il 1994, è stato completamente assolto (sic) nel 2008 quando era già libero avendo scontato solo una pena ridicola nel carcere dell'Aia. 

La notizia più recente è la liberazione dell'ex presidente della autoproclamata "Repubblica croata di Erzeg-Bosnia" Dario Kordic. In custodia dal 1997 e condannato a 25 anni nel 2004, Kordic ha scontato la pena a Graz, cioè in un paese (l'Austria) che ha in tutti i modi sostenuto il separatismo e nazionalismo croato. Mandante della strage di Ahmici, un villaggio a forte componente musulmana presso Vitez, dove un centinaio di non-croati furono liquidati il 16 aprile del 1993, Kordic è dunque potuto rientrare a Zagabria tra i festeggiamenti di rappresentanti politici e della chiesa cattolica. (6)

Per alcune delle assoluzioni di cui sopra un anno fa scoppiò uno scandalo, presto silenziato, attorno alla figura di Theodor Meron, "presidente" del "Tribunale", cittadino statunitense, già consigliere giuridico del governo israeliano e ambasciatore israeliano in Canada e alle Nazioni Unite. Il giudice danese Harhoff accusò Meron di avere "effettuato pressioni sui suoi colleghi" per compiacere l'establishment militare americano e israeliano. (7)

Negli anni successivi all'assassinio di Milosevic sono stati chiusi i "processi" che erano già aperti, come questo di Jelisic, e sono stati catturati gli ultimi ricercati. Jelisic è prigioniero in Italia da più di dieci anni, e da alcuni anni sono oramai in corso i procedimenti "eccellenti" contro Karadzic e Mladic – procedimenti che nessuno segue, né in Italia né all'estero, benché gli elementi interessanti siano moltissimi sotto il profilo della ricostruzione storica, mentre gli elementi di critica giuridica sono perfettamente analoghi a quelli già palesati nei casi precedenti… Il libro di Jelisic con grande umanità espone i fatti che sono capitati all'autore (8), ma certamente non è un singolo condannato a potersi fare carico di mettere in questione i meccanismi complessivi di funzionamento e le logiche del "Tribunale". Jelisic quasi candidamente ci "colpisce allo stomaco" rimproverandoci la nostra disattenzione su questa problematica, e ridestandoci. Ha ragione: a questo punto sarebbe veramente necessario che qualcuno stilasse un corposo bilancio critico di tanti anni di attività di questa struttura para-legale, "utile" solamente ad assolvere a priori tutti i responsabili occidentali, per i quali è stato sempre dichiarato il non luogo a procedere, e a prosciogliere dalle accuse tutti quelli che tra i criminali locali sono amici o agenti dell’Occidente. 


Andrea Martocchia
(segretario, Coord. Naz. per la Jugoslavia ONLUS - www.cnj.it)


(*) Goran Jelisic: UOMINI E NON UOMINI. La guerra in Bosnia Erzegovina nella testimonianza di un ufficiale jugoslavo
A cura di Jean Toschi Marazzani Visconti
Prefazione di Aldo Bernardini, docente di Diritto Internazionale, Università di Teramo
Postfazione dell’Avv. Ugo Giannangeli
Francoforte: Zambon 2013
Formato: 130x210 Pagg. 320 - prezzo 15,00 € - ISBN 978-88-87826-91-3

NOTE
(3) Da segnalare il grande lavoro svolto per anni da Andy Wilcoxson con il sito http://www.slobodan-milosevic.org . Il "processo" a Milosevic fu seguito bene dalle sezioni del Comitato internazionale di diversa sorte nei diversi paesi, tra cui l'Italia: http://it.groups.yahoo.com/group/icdsm-italia/
(4) https://www.cnj.it/documentazione/autodifesa04.htm . Online si accede ai due materiali più preziosi pubblicati nel testo: il nostro saggio «Processo Milošević: un “processo alle intenzioni”», unica dettagliata analisi e denuncia del funzionamento del "Tribunale" che sia apparsa finora in lingua italiana, e il testo integrale del Discorso di avvio della Autodifesa di Slobodan Milošević (31 agosto-2 settembre 2004)
(5) In «Processo Milošević: un “processo alle intenzioni”», cit. (https://www.cnj.it/MILOS/testi.htm#intenzioni).
Harhoff è stato ovviamente subito silurato con un pretesto relativo al "processo" Seselj: https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/7756
(8) In occasione di una riedizione, raccomandiamo la stesura di un Indice dei Nomi ed un corredo critico, in modo che ad ogni circostanza o nome si possa associare una pagina delle trascrizioni degli Atti ufficiali del dibattimento.

Sul carattere illegittimo, servile e fazioso del "Tribunale ad hoc" si veda altra documentazione raccolta al nostro sito: 
https://www.cnj.it/MILOS/testi.htm



=== 2 ===


Giustizia selettiva

di David Harlan   New York Times, 7 dicembre, 2012

Pessimo essere un Serbo vittima di un qualsiasi crimine nella ex Jugoslavia. I Serbi sono stati costretti a partire dalle loro case  e hanno subito una pulizia etnica dalle guerre nei Balcani molto più di qualsiasi altra comunità. E più Serbi rimangono etnicamente spostati ancora oggi. Non si è tenuto conto di quasi nessuno e sembra che non succederà. Il tribunale per i crimini di guerra delle Nazioni Unite all’Aja ha prosciolto  dall’accusa di crimini di guerra Ramush Haradinaj, ex primo ministro del Kosovo. Il mese scorso la corte dell’Aja ha scagionato due generali croati.  Prosciolti in appello, i generali che hanno guidato la Croazia alla vittoria sui Serbi. Nell’insieme, quasi tutti gli amici dell’Occidente sono stati prosciolti; quasi tutti i Serbi sono stati giudicati colpevoli. Questi risultati non riflettono l’equilibrio dei crimini commessi sul terreno. Non nutro simpatia per i Serbi che sono stati imprigionati. Al contrario. Ho vissuto l’assedio di Sarajevo. Sono stato testimone al processo per i casi dell’ex presidente Serbo, Slobodan Milošević, per il presidente dei Serbi bosniaci in tempo di guerra, Radovan Karadzić, e, più recentemente, del comandante militare Serbo bosniaco, Ratko Mladić, accusato di aver ordinato il massacro di Srebrenica. I Serbi hanno commesso molti dei peggiori crimini di guerra, ma non erano per niente i soli, e non è giusto, o utile, che ne abbiano l’unica responsabilità.

Imprigionare solo i Serbi è semplicemente senza senso in termini di giustizia, in termini di realtà, o in termini di politica. I leader Croati furono conniventi del disgregamento della Jugoslavia e hanno contribuito abbondantemente agli orrori in Bosnia-Erzegovina. Sono stato io stesso testimone della indiscriminata furia dell’assalto Croato alla bella città di Mostar. Ho vissuto in una cittadina della Bosnia dove le teste decapitate dei Musulmani catturati erano esposte nella piazza del mercato. Ho visto io stesso decine e decine di migliaia di rifugiati civili Serbi fuggire dalla Croazia all’alba dell’offensiva Croata del 1995 che terminò la guerra. Se i generali prosciolti non erano responsabili della pulizia etnica, qualcuno lo era, qualcuno che presumibilmente sarà lasciato libero. Nemmeno lo erano solo i Serbi e i Croati, anche se devono portare sulle spalle  un grosso peso del giudizio della storia. La leadership Musulmana Bosniaca ha profondi e compromettenti legami con il movimento internazionale dei Jihadisti e hanno ospitato almeno tre persone che hanno giocato ruoli chiave negli attacchi agli Stati Uniti dell’11 settembre. Sono stato testimone di attacchi di elementi stranieri dei mujaheddin contro civili Croati nella valle di Lavska. E le autorità Albanesi Kosovare meritano una speciale  menzione, per aver impiegato la pulizia etnica, nella sua forma più estrema, per potersi sbarazzare interamente delle popolazioni Serbe e Rom. Gli antichi monasteri cristiani ortodossi sono, ora, quasi il solo ricordo di una popolazione non albanese, una volta fiorente. Questi monasteri sono stati oggetto di numerosi violenti attacchi. Diversi sono stati distrutti; altri sono sotto continua minaccia. Haradinaj è stato dichiarato innocente delle accuse contro di lui, ma rimane il fatto che centinaia di migliaia di Serbi, per la maggior parte anziani, donne e bambini, furono etnicamente cacciati dal Kosovo dagli Albanesi Kosovari. Quanto è successo al tribunale è lontano dalla giustizia, e sarà interpretato dagli osservatori nei Balcani e oltre come la continuazione della guerra con mezzi legali contro gli Stati Uniti,  la Germania e le altre potenze occidentali da una parte, e i Serbi dall’altra. Questo amplificherà i peggiori istinti politici nella gente della ex Jugoslavia: il complesso di persecuzione dei Serbi; il trionfalismo dei Croati; il senso di vittimismo dei Musulmani Bosniaci; la rivendicazione dei Kosovari Albanesi per la ricerca della purezza razziale. Ognuno di questi tratti ha delle basi di verità, e ognuna è stata esagerata e manipolata dai politici di ogni parte. La mancanza di un riconoscimento legale canalizzerà una volta ancora le lagnanze nel processo politico, depositando molte munizioni per futuri round conflittuali. E’ l’opposto di quanto il tribunale per i crimini di guerra nella ex Jugoslavia era stato creato per ottenere.

 

(Una versione di questo articolo è apparso anche sul The International Herald Tribune dell’8 Dicembre 2012)

 

Traduzione a cura di JeanTMV per il Forum Belgrado Italia

 

SELECTIVE JUSTICE

By DAVID HARLAND

NYT, December 7, 2012

TOO bad if you were a Serb victim of any crime in the former Yugoslavia. More Serbs were displaced abd ethnically cleansed by the wars in the Balkans than any other community. And more Serbs remain ethnically displaced to this day. Almost no one has been held to account, and it appears that no one will be. The United Nations war crimes tribunal in The Hague has acquitted Ramush Haradinaj, Kosovo`s former prime minister, of war crimes. Last month, hague-court overturns convictions of 2 croatian-generals. It acquitted on appeal, the generals who led Croatia to victory over the Serbs. Altogether, almost all of the West`s friends have been acquitted; almost all of the Serbs have been found guilty. These results do not reflect the balance of crimes committed on the ground. I have no sympathy with the Serbs who have been convicted. On the contrary. I lived through the siege of Sarajevo. I served as a witness for the prosecution in the cases against the former Serbian president, Slobodan Milosevic, the wartime leader of the Bosnian Serbs, Radovan Karadzic, and, most recently, the Bosnian Serb military commander, Ratko Mladic, who is accused of ordering the massacre at Srebrenica. The Serbs committed many of the war`s worst crimes, but were not at all alone, and it is not right, or useful, for them to carry the sole responsibility. Convicting only Serbs simply doesn`t make sense in terms of justice, in terms of reality, or in terms of politics. The Croatian leaders connived in the carve-up of Yugoslavia, and contributed mightily to the horrors on Bosnia and Herzegovina. I witnessed for myself the indiscriminate fury of the Croatian assault on the beautiful city of Mostar. I lived in a town in Bosnia where the decapitated heads of captured Muslims were displayed in the marketplace. I saw for myself tens and tens of thousands of Serb civilian refugees fleeing Croatia in the wake of the 1995 Croatian offensive that ended the war. If the acquitted generals were not responsible for this ethnic cleansing, then somebody was, somebody who will presumably go free. Nor were the Serbs and Croats alone, though they must shoulder most of the judgment of history. The Bosnian Muslim leadership had deeply compromising links to the international jihadists movement, and hosted at least three people who went on to play key roles in the 9/11 attacks on the United States. I witnessed attacks by foreign mujahedeen elements against Croat civilians in the Lasva Valley. And the Kosovar Albanian authorities deserve a special mention, having taken ethnic cleansing to its most extreme form of ridding themselves almost entirely of the Serb and Roma populations. Kosovo’s ancient Christian Orthodox monasteries are now almost the only reminder of a once-flourishing non-Albanian population. These monasteries have been the object of numerous violent attacks. Several have been destroyed; others remain under threat. Haradinaj has been cleared of the charges brought against him, but the fact remains that hundreds of thousands of Serbs, mostly the elderly, women and children, were ethnically cleansed from Kosovo by the Kosovar Albanians. What has happened at the tribunal is far from justice, and will be interpreted by observers in the Balkans and beyond as the continuation of war by legal means, with the United States, Germany and other Western powers on one side, and the Serbs on the other. This will amplify the worst political instincts of the peoples of the former Yugoslavia: the persecution complex of the Serbs; the triumphalism of the Croats; the sense of victimization of the Bosnian Muslims; the vindication of the Kosovar Albanian quest for racial purity. Each of these traits has some basis in truth, and each has been exaggerated and manipulated by politicians on all sides. The lack of legal reckoning will once again channel grievances into the political process, laying up plenty of ammunition for further rounds of conflict. It is the opposite of what the war crimes tribunal for the former Yugoslavia was created to achieve.

A version of this op-ed appeared in print on December 8, 2012, in The International Herald Tribune