=== 1 ===
ore 15.00-15.45 in SALA CORALLO (data la breve durata si raccomanda puntualità)
Presentazione del libro di
UOMINI E NON UOMINI
La guerra in Bosnia Erzegovina nella testimonianza di un ufficiale jugoslavo
(Zambon 2013)
Intervengono:
NE' PACE NE' GIUSTIZIA NEI BALCANI
Sulla vera natura del "Tribunale ad hoc" scrivevamo nel 2005 (8): «La "giustizia" del "Tribunale ad hoc" è dunque quella di una parte in causa contro l'altra: il contrario esatto del super partes. Il TPIJ, analogamente al famigerato Tribunale Speciale dell'Italia fascista, è uno strumento politico totalmente sotto controllo dei vincitori, cioè degli aggressori, devastatori ed invasori della Jugoslavia.» Ci confortava nel giudizio la sincera dichiarazione di Jamie Shea, portavoce della NATO durante i bombardamenti sulla Jugoslavia della primavera del 1999: «La NATO è amica del Tribunale, è la NATO che detiene per conto del Tribunale i criminali di guerra sotto accusa… Sono i paesi della NATO che hanno procurato i fondi per istituire il Tribunale, noi siamo tra i più grandi finanziatori.»
La gran parte di queste pratiche è puntualmente confermata nel suo libro da Goran Jelisic, il quale porta quei casi esemplari che sono le sue esperienze dirette. Esperienze drammatiche, a fronte delle quali chiunque impazzirebbe. Jelisic invece raccoglie il suo dolore, i suoi shock, e riesce a farne un libro, a rivendicare semplicemente la umanità sua e dei suoi compagni di prigione, anche quelli di diverso colore politico-etnico. Di qui il titolo, poiché «esistono solo due nazioni: gli uomini e i non uomini» (p.87). E sulla base di questo spontaneo senso di umanità in carcere si fraternizza spesso (non sempre) anche con il nemico di ieri.
Jelisic spiega ulteriori discutibili prassi adottate dal "Tribunale". Racconta casi precisi, di testimoni "imboccati" dai giudici, o del modo in cui vengono imposti gli avvocati difensori e come questi ultimi inducano l'imputato a commettere errori dei quali pagherà poi care le conseguenze. Fa alcuni esempi di materiale probatorio grossolanamente falsificato (addirittura estratti da un film di Arnold Schwarzenegger: p.223). Jelisic racconta come gli inquirenti cercarono in tutti i modi di fagli dire che a Brcko erano stati uccisi seimila musulmani: «Ero sbalordito da tale richiesta. In seguito, ogni volta che volevano spingermi a dire qualcosa, spegnevano la telecamera. Si vedeva che avevano una bella esperienza d'interrogatori nei servizi segreti o come agenti» (p.144; p.170). Jelisic spiega che di fronte a sue "ammissioni" era sempre pronto uno sconto di pena… Alcune sue presunte vittime verranno però invece ritrovate vive e vegete (p.169; p.308).
E' particolarmente importante l'informazione che Jelisic fornisce sulla sua vicenda "italiana". Innanzitutto, dopo la condanna egli è stato arbitrariamente assegnato ad una prigione italiana nonostante garanzie affatto diverse che gli erano state date. In Italia è passato per sei prigioni diverse, e si trova adesso a Massa, dove deve terminare di scontare una condanna a 30 anni (fino al 2028). Sebbene abbia fatto domanda per ottenere tre anni di indulto, concessi a tutti i detenuti dello Stato italiano, questi gli sono stati rifiutati con la motivazione che avrebbe commesso il crimine di genocidio, reato da cui invece è stato assolto; i suoi ricorsi non ottengono nemmeno risposta. Gli sono stati negati anche i permessi che invece, nelle carceri estere, sono stati spesso concessi ad altri condannati dell'Aia. Dal 2006, anno d'inizio del lavoro di traduzione e riscrittura delle sue memorie, la curatrice del libro non ha mai ottenuto il permesso di incontrarlo.
Per riprendere una riflessione su queste vergogne, poco dibattute e quasi per nulla denunciate anche nei settori della sinistra più coerente e cosciente, la prossima occasione utile si presenterà a Roma, Lunedì 8 dicembre 2014 nell'ambito della Fiera della piccola editoria "Più Libri Più Liberi" (Palazzo dei Congressi dell'EUR, alle ore 15.00 in Sala Corallo). Lì, il libro di Goran Jelisic sarà presentato dal prefattore Aldo Bernardini (emerito di Diritto Internazionale all'Università di Teramo) e dalla curatrice Jean Toschi Marazzani Visconti (scrittrice e saggista).
https://www.cnj.it/documentazione/kosova.htm#eulex2012
A cura di Jean Toschi Marazzani Visconti
Prefazione di Aldo Bernardini, docente di Diritto Internazionale, Università di Teramo
Postfazione dell’Avv. Ugo Giannangeli
Francoforte: Zambon 2013
Formato: 130x210 Pagg. 320 - prezzo 15,00 € - ISBN 978-88-87826-91-3
La scheda del libro: https://www.cnj.it/documentazione/SchedeLibri/scheda-jelisic.pdf
L’avvocato inglese Maria Bamieh è molto decisa e le sue accuse determinate, precise. Quindi, o la donna soffre di qualche disturbo che la fa sentire vittima, o un bel pezzo di uffici giudiziari di Eulex in Kosovo dovrebbero essere trasferiti semplicemente in carcere. O clinica o galera. Quando?
L’alternativa è drammatica e seppellisce comunque la credibilità residua della missione giudiziaria europea in Kosovo: o clinica psichiatrica o prigione. Il sito inglese ‘dailymail.co.uk’ ovviamente dà attenzione e credito alla denunci fatta dalla sua concittadina. Con un disegno kosoro di fattura anglosassone meritevole di attenzione: «Quindici anni dopo il conflitto, il Kosovo rimane una regione senza legge, con gangster, politici corrotti e criminali di guerra che minacciano l’integrità delle frontiere dell’UE». Traduzione dall’inglese, sia chiaro, pur se il Kosovo è prodotto americano.
Riassunto dei fatti: l’avvocato inglese Maria Bamieh è stata per sei anni inquirente con Eulex in Kosovo. Dava la caccia ai corrotti e se li è scoperti in casa (dice lei). Avvia un’indagine sui suoi stessi colleghi. Allontanati dal lavoro? No, loro restano inquirenti e giudici. Lei, la denunciante, è invece allontanata dall’incarico e da Eulex. Dicono sia perché ora è testimone di un eventuale crimine. Nel frattempo, in attesa dell’inchiesta ‘severissima’ promessa da Lady Pesch, il discredito sull’intera missione internazionale Ue in quella terra decisamente problematica, dilaga e seppellisce.
L’avvocata messa da parte ha tempo da vendere e qualche conto da saldare. In più sa come e dove colpire. E’ il suo mestiere. In tempi di crisi l’argomento ‘soldi’ è decisivo. «In questa missione la maggior del personale è di fatto part-time, ma ottiene uno stipendio a tempo pieno. Scompaiono il giovedì o venerdì mattina, volano a casa e riappaiono nel pomeriggio di lunedì o martedì mattina». Decisamente pelandroni i Signori Giudici Eulex. Fanno come i parlamentari in Italia. Nel frattempo l’Unione europea ha investito nella missione 750 milioni di fondi di fondi comunitaria. Tanti euro.
C’è già un’indagine ufficiale dell’Unione europea sulla vicenda, ma procede lenta. Forse perché lavorano tre giorni la settimana? Interessante come sono nato i sospetti della signora Bamieh. Un alto funzionario del ministero della salute del Kosovo finisce in carcere per corruzione. Tangenti chieste ad aziende farmaceutiche. S’è visto ben di peggio. Ad Ilir Tolaj, il detenuto, qualcuno fa arrivare in carcere un telefono: per passare il tempo. La guastafeste britannica se ne accorge e fa intercettare le telefonate del detenuto. E ne escono fuori delle belle. Anzi, delle brutte, bruttissime.
Tolaj riceveva chiamate di presunti intermediari del giudice italiano Francesco Florit e del procuratore capo, la cecoslovacca Jaroslava Novotna. Magistrati comprensivi pronti ad aiutare, dicono gli intermediari, lasciando intendere di un dovere di gratitudine concreta. Intermediari di corruzione o millantatori del nome di due integerrimi magistrati? Non lo sappiamo. Altri banditi ‘confessano’ alla avvocata british la richiesta di 300mila euro da parte dell’italiano. Prove decisive, per quanto noto ancora nessuna. Di certo soltanto la marea di fango su persone e sulle istituzioni.
Published: 22:05 GMT, 22 November 2014 | Updated: 14:41 GMT, 23 November 2014
When British lawyer Maria Bamieh was given the chance to help rebuild war-torn Kosovo with an elite EU anti-crime and corruption unit three years ago she jumped at the chance.
Fifteen years after the conflict, Kosovo remains a lawless region, with gangsters, corrupt politicians and war criminals threatening the integrity of the EU borders.
But Bamieh could hardly have known she would soon be demanding a corruption investigation into her own colleagues – or that she would then be escorted out of her office after becoming a whistleblower, and abruptly suspended.
Today, six years after taking the job, the 55-year-old says the investigations unit, known as Eulex, failed to pursue her allegations thoroughly and instead chose to ‘punish’ her for speaking out.
‘I have been subject to a campaign of victimisation and my career with Eulex is over. I may well not work again,’ she told The Mail on Sunday.
‘More to the point this affair raises wider questions about what Eulex has achieved over the six years of its existence and at what cost to the EU and the British taxpayer.
'Our money is going into this mission and most of the staff work part-time but get a full-time salary. They disappear on Thursday or Friday morning, fly home and reappear on Monday afternoon or Tuesday morning.’
Her worrying story has not only rocked the anti-corruption unit, which has so far swallowed £750million of EU money, but could – if her allegations stick – envelop the EU in a major corruption scandal.
There is already an official EU investigation into the affair. Ms Bamieh’s concerns reached a head during an investigation into a senior civil servant at the Kosovan health ministry.
The man, Ilir Tolaj, had been arrested and held in prison amid allegations he had demanded bribes from pharmaceutical companies in return for official contracts. He had also smuggled a phone into his cell.
‘I got a court order to intercept his calls because he was not entitled to have that phone,’ says Ms Bamieh. ‘We monitored the calls.’ And the results, gathered in May and June 2012, were disturbing.
It became clear Tolaj was taking calls from people claiming to be intermediaries or go-betweens between Italian judge Francesco Florit, who was seconded to Eulex, and Bamieh’s boss, the Czech chief prosecutor Jaroslava Novotna.
The intermediaries told Tolaj that the Italian judge would ‘do everything to help because he thinks that man [Tolaj] deserves to be helped.’
Bamieh was alarmed to find she was herself the subject of these illegal discussions. It was claimed, for example, that the Italian judge, had described Bamieh as ‘very difficult’ and that Florit had suggested he would get Bamieh replaced.
Another of the middlemen told Tolaj he would hold a meeting with Bamieh’s boss, her ‘chief… the Czech lady’. In one call, Tolaj offers the observation that, ‘I will analyse and see whether I can afford it or not’. The implication was all too clear: two senior colleagues in Eulex could well be compromised, wittingly or otherwise. Florit and Novotna have denied any wrongdoing to The Mail on Sunday.
Ms Bamieh continued: ‘I could not investigate or prosecute Novotna or Florit because I cannot be a prosecutor and witness.’
Eventually, she says, despite the concerns she had raised, she realised there was no proper investigation.
Her suspicions grew stronger when she was approached by two men convicted of a 2009 bomb attack in the Kosovan capital Pristina amid allegations of a feud between a gangster and a police officer for the hand of a pop singer. It resulted in a fatal explosion.
The two convicted men, it seemed, had made their own approaches to the Italian judge. She said: ‘They told me they had paid money to Florit... and one of the family made a statement how he went to Albania with his lawyer to do negotiations with Florit and they were told that €300,000 was only enough for one of them to be cleared.
But when I reported this all that happened was that I got punished. I began to be subject to a series of investigations for trivial offences such as car parking. In reality no one got investigated.’
Eventually she went on Kosovan television to outline her claims.
Kosovo broke away from Yugoslavia in 1999 and became a UN protectorate after its bloody war, which pitched the Serb minority against the majority ethnic Albanians. In 2008 the ethnic Albanian-led parliament declared unilateral independence and the UN unit was replaced by Eulex that same year.
Ms Bamieh claims she asked for protection because of her role as a whistleblower but when Eulux was downsized she was made redundant.
Although reinstated on appeal, she was suspended and escorted out of the Eulex headquarters last month after repeating her allegations.
Eulex accused her of leaking documents to the press, a charge Bamieh denies. Now back in London, the mother of one said: ‘I only went to the press after the story came out to clear my name.’
Eulex has announced a fresh investigation but in a sign of Brussels impatience with the unit the EU’s new foreign policy chief Federica Mogherini has despatched a lawyer to oversee the investigation.
‘For God’s sake, they need to call a lawyer to say how an anti-corruption unit should deal with corruption!’ she said. ‘They are meant to be a rule of law mission.’
Richard Howitt, Labour MEP for East of England, said he had met senior EU officials about the case. ‘These allegations are credible and very serious,’ he said. ‘The EU has to have zero tolerance to corruption. It is clear the existing investigation is inadequate. It appears it could be a cover-up. Maria Bamieh has been let down badly.’