Gheddafi da Tripoli: «La scelta è tra me o Al Qaeda. L'Europa tornerà ai tempi del Barbarossa»
VIDEO: http://video.sky.it/news/politica/gheddafi_napolitano_adesso_un_paese_libero/v100206.vid
http://ilpiccolo.gelocal.it/trieste/cronaca/2015/02/14/news/prodi-da-tripoli-a-kiev-questa-europa-e-assente-su-tutto-1.10862941
L’arte della guerra
Gli incendiari gridano al fuoco
Manlio Dinucci
La guerra che divampa in Libia miete sempre più vittime non solo sulla terra ma sul mare:.molti dei disperati, che tentano la traversata del Mediterraneo, annegano. «Da sotto il mare ci chiedono dove sia finita la nostra umanità», scrive Pier Luigi Bersani. Dovrebbe anzitutto chiedersi dove sia finita la sua umanità, e con essa la sua capacità etica e politica,, quando, il 18 marzo 2011 alla vigilia della guerra Usa/Nato contro la Libia, in veste di segretario del Pd, esclamava «alla buon’ora» , sottolineando che «l’articolo 11 della Costituzione ripudia la guerra, non l’uso della forza per ragioni di giustizia».
Enrico Letta, che con Bersani si appella ora al senso umanitario , dovrebbe ricordarsi quando il 25 marzo 2011, in veste di vicesegretario del Pd, dichiarava «Guerrafondaio è chi è contro l'intervento internazionale in Libia e non certo noi che siamo costruttori di pace».,.
Una «sinistra» che nascondeva le vere ragioni – economiche, politiche e strategiche – della guerra, sostenendo per bocca di Massimo D’Alema (già esperto di «guerra umanitaria» in Jugoslavia) che «in Libia la guerra c’era già, condotta da Gheddafi contro il popolo insorto, un massacro che doveva essere fermato» (22 marzo 2011).
Sostanzialmente sulla stessa linea perfino il segretario del Prc Paolo Ferrero che, il 24 febbraio 2011 a guerra iniziata, accusava Berlusconi di aver messo «giorni per condannare le violenze di Gheddafi», sostenendo che si doveva «smontare il più in fretta possibile il regime libico». Lo stesso giorno, giovani «comunisti» del Prc, insieme a «democratici» del Pd, assaltavano a Roma l’ambasciata di Tripoli, bruciando la bandiera della repubblica libica e issando quella di re Idris (la stessa che sventola oggi a Sirte occupata dai jihadisti, come ha mostrato il Tg1 tre giorni fa).
Una «sinistra» che scavalcava la destra, spingendo alla guerra il governo Berlusconi, all’inizio restio (per ragioni di interesse) ma subito dopo cinico nello stracciare il Trattato di non-aggressione e nel partecipare all’attacco con basi e forze aeronavali.
In sette mesi, l’aviazione Usa/Nato effettuava 10mila missioni di attacco, con oltre 40mila bombe e missili, mentre venivano infiltrate in Libia forze speciali, tra cui migliaia di commandos qatariani, e allo stesso tempo finanziati e armati gruppi islamici fino a poco prima definiti terroristi. Tra cui quelli che, passati in Siria per rovesciare il governo di Damasco, hanno fondato l’Isis e quindi invaso l’Iraq.
Si è così disgregato lo Stato libico, provocando l’esodo forzato – e di conseguenza l’ecatombe nel Mediterraneo – degli immigrati africani che avevano trovato lavoro in questo paese. Provocando una guerra interna tra settori tribali e religiosi, che si combattono per il controllo dei campi petroliferi e delle città costiere, oggi in mano principalmente a formazioni aderenti all’Isis.
Il ministro degli esteri del governo Renzi, Paolo Gentiloni, dopo aver ribadito che «abbattere Gheddafi era una causa sacrosanta», lancia l’allarme perché «l'Italia è minacciata dalla situazione in Libia, a 200 miglia marine di distanza». Annuncia quindi che giovedì riferirà in Parlamento sull'eventuale partecipazione italiana a un intervento militare internazionale «in ambito Onu». In altre parole, a una seconda guerra in Libia presentata come «peacekeeping», secondo quanto già richiesto da Obama a Letta nel giugno 2013, caldeggiata dalla Pinotti e approvata da Berlusconi.
Siamo di nuovo al bivio: che posizione prenderanno quanti lavorano per creare una nuova sinistra e, al suo interno, l’unità dei comunisti?
(il manifesto, 17 febbraio 2015)
16 FEBBRAIO 2015
Il ministro Gentiloni prospetta l’invio di 5000 militari italiani per andare a fare una nuova guerra in Libia, dove il caos e la lotta tra le varie bande di tagliagole jihadisti (ISIS, miliziani di Misurata, Alba Libica, Ansar Al Sharia, ecc.) si è tradotta in una situazione tragica per i cittadini di quel paese, prospero e pacifico fino a 4 anni fa. Se ne discuterà anche giovedì 19 in Parlamento.
Nemmeno un accenno di autocritica troviamo nelle parole di Gentiloni. Chiediamo al ministro la cui faccia tosta sorprende persino me, che pure sono abituato alle bugie di Bush, di Blair, di Sarkozy e Hollande: ma chi ha distrutto la Libia a suon di bombe nel 2011? Chi ha attaccato un paese che stava in pace da 42 anni sotto l’intelligente guida di Muhammar Gheddafi che era riuscito a contenere i contrasti tra le varie tribù in cui il paese è diviso, che era diventato il più prospero dell’Africa (il PIL pro-capite era il più alto di tutto il continente), che ospitava 2 milioni di lavoratori immigrati, che aveva ricontrattato le licenze petrolifere con le compagnie straniere ottenendo il 90% dei proventi per lo stato libico redistribuendo i profitti tra la popolazione, che riconosceva pienamente i diritti delle donne, che aveva fornito il paese di acqua potabile riuscendo anche a raggiungere l’autosufficienza alimentare, che aveva allontanato dal paese tutte le basi militari straniere acquisendo una piena indipendenza (a differenza dell’Italia che è ricoperta di basi USA e NATO, piene anche di bombe atomiche)?
Purtroppo l’ipocrisia senza vergogna di Gentiloni, e della sua collega il ministro della difesa Pinotti, e del loro partito, il PD, che fu in prima linea a chiedere la criminale guerra del 2011 che ha distrutto la Libia riducendola nello stato attuale, non è isolata. Risulta che anche l’ineffabile Scotto, deputato di SEL, parla di “operazioni di peace-keeping”, che – per carità – non sarebbero operazioni di guerra! Ma persino in certi appelli pacifisti contro la guerra che circolano in questi giorni (ad esempio quello promosso da Del Boca e Zanotelli) si avvalorano i soliti pregiudizi su Gheddafi feroce dittatore, degno addirittura di un processo internazionale.
Questi pregiudizi furono alimentati da uno stuolo di servili giornalisti nel 2011 in preparazione e giustificazione della guerra (ne sta scrivendo SibiaLiria in un’apposita rubrica). Ricordate Al Jazeera (TV di uno stato, il Qatar, che si preparava ad attaccare la Libia) che parlava di 10.000 civili uccisi dall’aviazione di Gheddafi, notizia ripresa dall’Osservatorio dei Diritti Umani (Struttura legata ai servizi segreti britannici) poi completamente smentita? Ricordate le false foto delle “fosse comuni” e il viagra distribuito alla truppa per gli stupri di massa (nessuna donna libica ha mai fornito una sola testimonianza in tal senso)? I nostri giornalisti e i nostri guerrafondai del PD andarono a nozze con queste ignobili bugie.
Ma questi pregiudizi sono indice, anche da parte di settori pacifisti e della “sinistra radicale” , di una mentalità coloniale, per cui qualsiasi paese che non abbia istituzioni uguali a quelle dei paesi liberal-imperialisti (dagli USA ai paesi della NATO e della UE) sarebbe una sanguinaria dittatura.
La stessa demonizzazione ha colpito per gli stessi motivi la Siria, paese laico con un solido sistema di istruzione laico, che riconosce i diritti delle donne e di tutte le minoranze religiose ed anche degli atei (a differenza del nostro principale alleato, l’Arabia Saudita, dove si può essere condannati a morte per apostasia nei confronti della religione imperante, il Wahabismo, o per stregoneria, e dove una donna va in prigione se guida una macchina). Per fortuna la Siria resiste e tiene a bada le bande jihadiste di Al Nusra ed ISIS.
Ci saremmo aspettati che Gentiloni avesse chiesto scusa a tutti i Libici per i crimini commessi nel 2011, invece si parla di fare una nuova guerra violando ancora una volta la Costituzione. Diceva il grande Giacomo Leopardi che l’Italia era un paese di fango. Con governanti e “sinistre radicali” come le nostre il giudizio forse non può cambiare.
Vincenzo Brandi
16 Febbraio 2015
di Diego Angelo Bertozzi per Marx21.it
L’articolo 87 della nostra Costituzione è ancora fresco di modifica nell’ambito della riforma costituzionale approvata dalla Camera dei Deputati, che già l’Italia del governo Renzi si prepara alla avventura bellica che metterà fine allo spirito pacifista della nostra Carta fondamentale, relegando il già bistrattato articolo 11 tra i rottami del “secolo breve”. Basterà una semplice maggioranza, frutto di una legge elettorale che concede la maggioranza assoluta dei seggi ad una minoranza del Paese, per dichiarare guerra.
Ma meglio agire d’anticipo e lanciare subito il messaggio: nella nuova spartizione “neocoloniale” del mondo ci siamo pure noi, senza più tentennamenti e mal di pancia di sorta. E più velocemente senza lacci e laccioli del processo democratico con le sue interminabili discussioni, le sue trattative e i suoi compromessi. Ed ecco quindi la Libia, la nostra “quarta sponda” sulle cui macerie cresce la minaccia dell’Isis. Il dovere ci chiama: per l’ennesima volta la difesa della civiltà ci chiama. Che la stessa civiltà da difendere sia la prima responsabile della distruzione dello Stato libico e dell’avanzare del nuovo nemico pubblico, poco importa. Ricordarlo è semplice disfattismo, quando non dimostrazione della alleanza tra residui del comunismo e estremisti islamici in nome della lotta all’occidente capitalista.
Mentre suonano i tamburi di guerra - A Tripoli, a Tripoli! - a generare più sconcerto è ancora una volta la dimostrazione di subalternità di una parte - quella maggioritaria - della sinistra italiana. A dichiararsi favorevole ad un intervento di “Peace keeping” in Libia è Sinistra, Ecologia e Libertà, allo stesso modo con il quale nel 2011 approvò l’idea di una “no fly zone” che presto si rivelò per quel che era in realtà: una campagna di bombardamenti senza quartiere sulla Libia in appoggio alle milizie - anche quelle dell’estremismo islamico - che combattevano contro Gheddafi. Ancora una volta la logica dell’interventismo umanitario trova una sinistra culturalmente e politicamente disarmata pronta ad accodarsi.
A stupire e sconcertare è l’assoluta leggerezza (o furbizia?) con la quale si utilizzano specifiche definizioni come quella di “Peace keeping” che ha contorni ben precisi: operazione, sotto mandato Onu, che ha il compito di vigilare su un processo di pace già in essere fra i contendenti sul terreno. Un quadro diametralmente opposto a quello libico nel quale la guerra civile, con interventi di combattenti stranieri, è in pieno svolgimento con un portato terrificante di violenza. Un intervento in Libia non potrà essere altro che una guerra vera e propria con bombardamenti massicci che coinvolgeranno le popolazioni dei centri urbani. Sarà una “guerra coloniale” a tutti gli effetti, con lo spiegamento di truppe di terra che dovranno affrontare tutte le insidie di una guerriglia diffusa, col suo portato di torture e oppressione, in confronto al quale il precedente della Somalia rischia di essere stato una passeggiata. Altro che Libano! Le parole del generale Carlo Jean non lasciano dubbi a proposito: “Neanche se inviassimo diecimila o centomila uomini la situazione si tranquillizzerebbe, dal momento che sul territorio ci sono un milione di armati divisi in 1500 gruppi che tentano di ottenere profitti per prendere il potere politico. Di conseguenza il problema non è di fare un peace keeping, ma un peace enforcement: avere una forza tale da riuscire a imporre la pace alle varie milizie disarmandole. Un risultato tutt’altro che semplice.”
E a condurre questa missione saranno gli stessi Paesi responsabili del disastro in corso. La sinistra gli presterà ancora soccorso?