Comitato contro la guerra – Milano
Questo appello nasce dalla volontà dei soggetti promotori di mobilitarsi contro la politica di aggressione, condotta dalla NATO – USA in testa, che ha già provocato una violenta rottura degli equilibri in tutto il Medio Oriente, in parte del continente africano, in Europa.
Il risultato ad oggi, sotto gli occhi di tutti, sono le guerre in corso in Iraq, Siria, Libia, Ucraina costate decine e decine di migliaia di morti ed un’emergenza umanitaria per milioni di profughi.
Stiamo assistendo alla solita commedia, il cui copione è ben noto: ancora una volta finanziamenti degli USA e, allo stesso tempo, mercenari, filonazisti, jihadisti, golpisti, consiglieri militari della NATO. Migliaia di morti civili sono il tragico risultato.
Per il momento una guerra devastante tra la NATO e la Federazione Russa è stata scongiurata, ma accuse, sanzioni (che tra l’altro si stanno ritorcendo contro i lavoratori italiani ed europei), manovre militari fatte per provocare, stanno portando il mondo su una strada molto pericolosa.
Risulta incredibile che chi ha provocato questi disastri, oggi faccia finta di volerli risolvere, così come il fatto che si discuta il possibile finanziamento per 15 miliardi di euro al governo ucraino, arrivato al potere attraverso un colpo di stato e responsabile di massacri nell’est del paese.
Infine risulta inaccettabile che non si consideri appieno come il Qatar, l’Arabia Saudita, la Turchia e gli USA abbiano dato un contributo determinante alla formazione di gruppi jihadisti, la cui massima espressione è attualmente l’ISIS.
Noi organizzazioni di diverso orientamento e differenti sensibilità, sentiamo il dovere di chiamare alla mobilitazione contro il pericolo di queste guerre, che avrebbero ripercussioni imprevedibili a livello mondiale.
Chiediamo l’impegno di quanti aderiranno a scendere in piazza prima che sia troppo tardi.
La prima vittima della guerra è la verità.
La guerra è contro i lavoratori. Non un soldo per la guerra
Per info: comitatocontrolaguerramilano@... - comitatocontrolaguerramilano.wordpress.com - cell. 3383899559
È IN CORSO LA RACCOLTA ADESIONI, ad ora sono pervenute: Rete NoWar-Roma, Forum contro la guerra - Venegono, Ass. “La Casa Rossa” - Milano, Banda Bassotti, Marx21.it, Ass. Cult. Stella Alpina - Novara, Ass. Italia-Cuba - Milano, PCdI Milano,PCdI Lombardia, PC Provincia di Milano, Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS, Comitato Altra Europa zona 8 - Milano, Ass. Un'Altra Storia, Sez. ANPI "Bassi - Viganò" - Milano, Sez. PCdI "Laika" - Milano, Giovani Comunisti– Milano, Sez. ANPI Porta Genova - Milano, PCdI Federazione di Pescara, Sez. PCdI “Gagnoni” - zona 5 Milano, Redazione di ALBAinformazione, La Scintilla – Milano, PRC “Luca Rossi” – Affori Milano, Rete disarmiamoli - nodo di vicenza, Nella Ginatempo (Sociologa e scrittrice del Movimento per la pace), Patrick Boylan (PeaceLink, Rete NoWar-Roma, Cittadini statunitensi per la pace e la giustizia), Tiziano Cardosi (Comitato No tunnel TAV Firenze), Anna Migliaccio (Comitato Centrale PCdI), Anita Fisicaro (Rete Nowar-Roma), Ugo Giannangeli (Avvocato), Maurizio Musolino (Segreteria Nazionale PCdI), Vladimiro Vaia(economista), Bianca Riva (NO TAV Valsusa), Gabriella Vaccaro,Angelo Baracca (Firenze), Nunzia Augeri (ricercatrice storica - PCdI), Paolo D'Arpini (Rete Bioregionale Italiana), Elio Rindone, Gian Piero Riboni (Comitato per Milano zona 8), Maurizio Quattrocchi (ingegnere), M.Gabriella Guidetti (Rete NoWar Roma), Claudia Berton (insegnante e scrittrice, Verona), Vincenzo Brandi (Rete No War e Comitato No Nato), Elio Varriale (Istituto della Memoria in Scena - FI), Sergio e Tecla Introini, Massimo Ponchia (Rubano - PD), Monica Zoppè (PI), Roberto Galtieri, Presidente ANPI Belgique, Elio Nocerino, Camillo Boni, Ivo Batà(Fronte Palestina Milano), Francesca Iacobucci (Fronte Palestina Milano), Maria Cristina Bandeira Santos (Fronte Palestina Milano), Jonathan Chiesa (Coord. Com. "Altra Europa con Tsipras" - zona 9), Giovanni Sarubbi (direttore www.ildialogo.org)
Il diplomatico ha detto che il portavoce del Dipartimento di Stato americano, Jen Psaki, sta travisando i fatti, quando dice che le armi nucleari americane in Europa sono "costantemente sotto il controllo degli USA e non vengono mai passate ad altri Stati".
"In realtà le cosiddette "missioni nucleari congiunte" della NATO prevedono la partecipazione dei paesi non nucleari dell'alleanza alla pianificazione nucleare e all'addestramento delle truppe all'uso delle armi nucleari che viene effettuato adoperando aerei, equipaggi, infrastruttura aeroportuale e servizi di terra degli Stati in questione", — ha spiegato Lukashevich, precisando che le ultime esercitazioni di questo tipo, Steadfast Noon, sono state svolte in autunno dell'anno scorso in Italia.
Lukashevich ha fatto ricordare che l'Articolo 1 del Trattato di non proliferazione proibisce agli Stati nucleari di passare a chiunque, in modo diretto o indiretto, il controllo degli armamenti e degli altri congegni nucleari esplosivi, mentre l'Articolo 2 impone ai paesi non nucleari il divieto di assumere tale controllo esplicitamente o in modo indiretto, da chiunque sia ceduto.
En francais: Le boom de l’industrie de guerre
Par Manlio Dinucci, Il Manifesto / Mondialisation.ca, 17 mars 2015
http://www.mondialisation.ca/le-boom-de-lindustrie-de-guerre/5437240
L’Italia – il cui export militare è cresciuto di oltre il 30% in cinque anni e aumenterà ulteriormente grazie alla riconversione di Finmeccanica [ http://www.ilmanifesto.info/renzi-gioca-alla-battaglia-navale/ ]dal civile al militare – è quindi l’ottavo esportatore mondiale di armamenti, che fornisce soprattutto a Emirati Arabi Uniti, India e Turchia.
Principali importatori mondiali sono India, Arabia Saudita, Cina, Emirati Arabi Uniti, Pakistan, Australia, Turchia, Stati Uniti (che importano armamenti tedeschi, britannici e canadesi). In forte aumento l’import militare delle monarchie del Golfo (71% in cinque anni), e in generale del Medioriente (54%), e quello dell’Africa (45%).
Nessuno conosce però il reale volume e valore dei trasferimenti internazionali di armi, diversi dei quali avvengono in base a transazioni politiche. Il tutto sotto il paravento del Trattato sul commercio di armamenti, varato solennemente dall’Onu due anni fa.
Questa è solo la punta dell’iceberg della produzione di armamenti, per la maggior parte destinata alle forze armate degli stessi paesi produttori.
In testa gli Stati Uniti, che stanziano (stando alle sole cifre del budget del Pentagono) circa 95 miliardi di dollari annui per l’acquisto di armamenti: una enorme quantità di denaro pubblico che, riversata nelle casse delle maggiori industrie belliche Usa (Lockheed-Martin. Boeing, Raytheon, Northrop Grumman, General Dynamics, United Technologies), permette loro di collocarsi al primi posti su scala mondiale.
Poiché il business delle armi aumenta man mano che crescono le tensioni e le guerre, l’esplosione della crisi ucraina e il conseguente confronto Nato-Russia hanno rappresentato una fortuna per i grossi azionisti delle industrie belliche statunitensi ed europee.
Nell’esercitazione Nato che si svolge questo mese in Polonia, gli Usa schiereranno una batteria di missili Patriot «quale deterrente all’aggressione sul fianco orientale». In realtà soprattutto perché la Polonia deve decidere entro l’anno se acquistare i missili Patriot, prodotti dalla statunitense Raytheon, o quelli analoghi del consorzio franco-italiano Eurosam: un affare da 8 miliardi di dollari, nel quadro di uno stanziamento di 42 miliardi (quasi 40 miliardi di euro) deciso da Varsavia per potenziare le sue forze armate. La Polonia intende anche acquistare tre nuovi sottomarini da attacco, armandoli di missili da crociera (a duplice capacità convenzionale e nucleare) forniti dalla Raytheon o dalla francese Dcns.
Stesso business in Ucraina: Washington ha annunciato una nuova fornitura a Kiev, da 75 milioni di dollari, di materiali militari «non-letali», tra cui centinaia di blindati «non-armati» che possono essere facilmente armati con sistemi prodotti in Ucraina o importati. Poroshenko ha annunciato, il 13 marzo, che il governo di Kiev ha firmato contratti per importare «armi letali» da 11 paesi dell’Unione europea, tra cui certamente l’Italia. In piena attività anche le industrie belliche russa e cinese.
Per controbilanciare la forza navale Usa, che dispone di circa 300 navi da guerra comprese 10 portaerei, la Russia sta costruendo simultaneamente quattro sottomarini nucleari e la Cina si sta dotando di una seconda portaerei prodotta nazionalmente. Così il mondo fabbrica gli strumenti della sua distruzione.
Manlio Dinucci, su Il Manifesto del 24.3.2015
Washington ce l’ha messa tutta per impedire che i suoi alleati entrassero nella Banca d'investimenti per le infrastrutture asiatiche (Aiib), creata dalla Cina, ma non ce l’ha fatta: Gran Bretagna, Germania, Francia e Italia (4 dei membri del G7) hanno aderito e altri, compresa l’Australia, seguiranno.
A preoccupare Washington è il progetto complessivo in cui rientra l’Aiib. Esso ha come epicentro l’Organizzazione di Shanghai per la cooperazione (Sco): nata nel 2001 dall’accordo strategico cino-russo per controbilanciare la penetrazione Usa in Asia Centrale, si è estesa all’ambito economico, energetico, culturale e ad altri. Ai sei membri (Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan) si sono aggiunti, per ora in veste di osservatori, India, Iran, Pakistan, Mongolia e Afghanistan e, come partner di dialogo, Bielorussia, Sri Lanka e Turchia. La Sco, che comprende un terzo della popolazione mondiale e salirà a circa la metà quando ne faranno parte gli attuali paesi osservatori, dispone di risorse e capacità lavorative tali da farne la maggiore area economica integrata del mondo.
La Sco è collegata al Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), che ha deciso di creare una propria Banca per lo sviluppo e un proprio Fondo di riserva. Questi organismi finanziari e la Banca asiatica possono col tempo soppiantare in gran parte la Banca mondiale e il Fmi che, per 70 anni, hanno permesso agli Usa e alle maggiori potenze occidentali di dominare l’economia mondiale attraverso i prestiti-capestro ai paesi indebitati e altri strumenti finanziari.
I nuovi organismi possono allo stesso tempo realizzare la dedollarizzazione degli scambi commerciali, togliendo agli Stati uniti la capacità di scaricare il loro debito su altri paesi stampando carta moneta usata cone valuta internazionale dominante, anche se la convertibilità del dollaro in oro, stabilita nel 1944 a Bretton Woods, ha avuto fine nel 1971. Più affidabili come valuta internazionale sono altre monete, come il renminbi cinese: Londra sta per diventare la base per lo sviluppo di strumenti finanziari denominati in renminbi.
Non potendo contrastare con strumenti economici tale processo, che accelera il declino degli Stati uniti restati finora la maggiore potenza economica mondiale, Washington getta la spada sul piatto della bilancia. Rientra in tale strategia il putsch di piazza Maidan che, creando un nuovo confronto con la Russia, ha permesso agli Usa di rafforzare ulteriormente la Nato, principale strumento della loro influenza in Europa.
Nella stessa strategia rientra il crescente spostamento di forze militari Usa nella regione Asia/Pacifico in funzione anticinese. Emblematica la strategia per «la potenza marittima del 21° secolo», appena pubblicata dalla U.S. Navy. Essa sottolinea che l’importanza economica di questa regione, dove è in corso «l’espansione navale» della Cina, «impone di fare crescente affidamento sulle forze navali per proteggere gli interessi statunitensi», tanto che «nel 2020 sarà concentrato nella regione circa il 60% delle forze navali e aeree della U.S. Navy».
Le potenze europee, mentre aderiscono per interesse economico alla Banca asiatica creata dalla Cina, collaborano alla strategia Usa per impedire con la forza militare che la Cina, insieme alla Russia, sovverta l’attuale «ordine economico» mondiale. Il gruppo franco-tedesco-spagnolo Airbus creerà una rete satellitare militare sulla regione Asia-Pacifico. E la Francia, che ha scavalcato la Gran Bretagna quale più stretto alleato Usa, ha inviato nel Golfo la nave ammiraglia Charles de Gaulle, ponendola sotto comando Usa.