par Marc De Miramon, vendredi, 24 avril, 2015
La «guerra mondiale contro il terrorismo» ha ucciso almeno 1,3 milioni di civili
La «guerra mondiale contro il terrorismo» ha ucciso almeno 1,3 milioni di civili. Traduciamo un articolo dal sito del quotidiano comunista francese L’Humanité . Nell’articolo si lamenta giustamente che l’informazione francofona ha ignorato questi dati impressionanti. Si può dire lo stesso per quella italiana.
Un rapporto pubblicato da un gruppo di medici insigniti del premio Nobel della pace rivela che quasi un milione di civili iracheni, 220.000 Afgani e 80.000 Pachistani sono morti, nel nome della battaglia condotta dall’Occidente contro «il terrore».
«Io credo che la percezione causata dalle perdite civili costituisca uno dei più pericolosi nemici con cui ci siamo confrontati», dichiarava nel giugno 2009 il generale statunitense Stanley McCrystal, durante il suo discorso inaugurale come comandate della Forza internazionale d’assistenza e sicurezza in Afghanistan (ISAF). Questa frase, messa in esergo al rapporto appena pubblicato dalla «Associazione internazionale dei medici per la prevenzione dalla guerra nucleare (IP-PNW), insignita del premio Nobel per la pace nel 1985, mostra l’importanza e l’impatto potenziale del lavoro effettuato da questa equipe di scienziati che tenta di stabilire un conto delle vittime civili della «guerra contro il terrorismo» in Iraq, in Afghanistan e in Pakistan.
«I fatti sono cocciuti»
Per introdurre questo lavoro globalmente ignorato dai media francofoni, l’ex-coordinatore umanitario per l’ONU in Irak Hans von Sponeck scrive: «Le forze multinazionali dirette dagli Stati Uniti in Iraq, l’ISAF in Afghanistan (…) hanno metodicamente tenuto i conti delle proprie perdite. (…). Quelli che riguardano i combattenti nemici e i civili sono (al contrario) ufficialmente ignorati. Questo, certamente, non costituisce una sorpresa. Si tratta di un’omissione deliberata.» Contare questi morti avrebbe «distrutto gli argomenti secondo i quali la liberazione di un dittatore in Iraq per mezzo della forza militare, il fatto di cacciare Al Qaida dall’Afghanistan o di eliminare reparti terroristi nelle zone tribali del Pakistan, hanno permesso di impedire che il terrorismo attentasse al suolo statunitense, di migliorare la sicurezza globale, e permesso ai diritti umani di avanzare, il tutto con dei costi “difendibili”».
Ciononostante, «i fatti sono testardi», continua. «I governi e la società civile sanno che tutte queste frasi sono assurdamente false. Le battaglie militari sono state vinte in Iraq e in Afhanistan ma a dei costi enormi per la sicurezza degli uomini e la fiducia tra le nazioni.» Certo, la responsabilità dei morti civili incombe ugualmente sugli «squadroni della morte» e sul «settarismo» che portava i germi dell’attuale guerra sciito-sunnita, sottolinea l’ex segretario della Difesa Donald Rumsfeld nelle sue memorie («Know and Unknown», Penguin Books, 2011). Ma come ricorda il dottor Robert Gould (del Centro medico dell’università della California), uno degli autori del rapporto, «la volontà dei governi di nascondere il quadro completo degli interventi militari e delle guerra non ha nulla di nuovo. Riguarda gli Stati Uniti, la storia della guerra in Vietnam è emblematica. Il costo immenso per l’insieme dell’Asia del Sud-Est, che include la morte stimata di almeno 2 milioni di Vietnamiti non combattenti, e l’impatto a lungo termine sulla salute e l’ambiente degli erbicidi come l’agente arancio, non sono ancora pienamente riconosciuti dalla maggioranza del popolo americano». E Robert Gould stabilisce un altro parallelismo tra la crudeltà dei Khmer rossi, che emergono da una Cambogia devastata dai bombardanti, e la recente destabilizzazione «post-guerra» dell’Iraq e i suoi vicini, che ha reso possibile la crescita di forza del gruppo terroristico detto «Stato islamico».
TOTALE STIMATO A 3 MILIONI
Assai lontano dalle cifre fino a ora ammesse, come le 110000 morti ricordate da uno dei riferimenti in materia, l’«Iraq Body Count» (IBC) che include in un database i morti civili confermati da almeno due fonti giornalistiche, il rapporto conferma la tendenza stabilita dalla rivista medica «Lancet» la quale ha stimato il numero dei morti iracheni a 655.000 tra il 2003 e il 2006. Dopo lo scatenamento della guerra da parte di George W. Bush, lo studio del IPPN ha condotto alla cifra vertiginosa di 1 milione di morti civili in Iraq, 220.000 in Afghanistan e 80.000 in Pakistan. Se si aggiunge, per ciò che riguarda l’antica Mesopotamia, il bilancio della prima guerra del Golfo (200.000 morti) e quello del crudele embargo inflitto dagli Stati Uniti (tra i 500.000 e 1,7 milioni di morti), sono circa 3 milioni di morti che sono direttamente imputabili alle politiche occidentali, il tutto in nome dei diritti dell’uomo e della democrazia.
In conclusione al rapporto, gli autori citano il relatore speciale delle Nazioni Unite dal 2004 al 2010 sulle esecuzioni extragiudiziarie, sommarie o arbitrali: secondo Philip Alston, che si esprimeva nell’ottobre 2009, le indagini sulla realtà degli attacchi dei droni erano quasi impossibili da condurre, a causa dell’assenza totale di trasparenza e il rifiuto delle autorità statunitensi di cooperare. Poi, aggiungeva, dopo aver insistito sul carattere illegale in rapporto al diritto internazionale di questi omicidi mirati, che «la posizione degli Stati Uniti era insostenibile». Tre settimane più tardi, Barack Obama riceveva il premio Nobel alla pace…
DURANTE QUESTO TEMPO, IN IRAQ, IN AFGHANISTAN, IN PAKISTAN … Il 20 aprile scorso, la «coalizione antidjihadista» diretta dagli Stati Uniti indicava in un comunicato di aver condotto in 24 ore 36 raids aerei contro le posizioni del gruppo «Stato islamico», di cui 13 nella provicincia di Al-Anbar, a ovest di Bagdad. Quanti sono i «danni collaterali» civili in questa regione, una delle più colpite dalle violenze dopo l’invasione dell’Iraq nel 2003? I comunicati militari restano sistematicamente muti su questa questione, quando più di 3200 «azioni» aeree, secondo la neolingua moderna, sono stati effettuate dal mese di agosto 2014 e la presa di Mossoul da parte dello «Stato islamico». Il 18 aprile, è un attentato suicida, «tecnica» di combattimento sconosciuta in Afghanistam prima del 11 settembre 2001, a fare 33 morti presso le frontiere pachistane. Alla fine del mese di marzo, le forze di sicurezza pachistane menzionavano 13 «jihadisti» legati ai talebani uccisi durante un attacco di droni statunitensi. Quasi 10.000 soldati americani sono ancora di stanza in Afghanistan.
traduzione di Stefano Acerbo
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ORIG.: Unworthy victims: Western wars have killed four million Muslims since 1990
Casualty figures after 10 years of the "War on Terror": Iraq, Afghanistan, Pakistan
http://www.psr.org/assets/pdfs/body-count.pdf
https://drive.google.com/file/d/0BweZqygiAb5POWh2dVlzU1F4SFk/view?pli=1
LE GUERRE DELL’OCCIDENTE HANNO UCCISO QUATTRO MILIONI DI MUSULMANI DAL 1990 AD OGGI
di Nafeez Massadeq Ahmed
Fonte: www.middleeasteye.net
all'indirizzo www.middleeasteye.net/columns/unworthy-victims-western-wars-have-killed-four-million-muslims-1990-39149394 dove c'è il testo originale in inglese con numerose note bibliografiche.
Il mese scorso la PSR (Physicians for Social Responsibility) di Washington ha pubblicato uno studio secondo il quale dieci anni di guerra al terrore dal 9/11 ad oggi sono costati la vita a circa 1,3 milioni di persone, forse anche 2 milioni. Il rapporto di 97 pagine del gruppo di medici premi Nobel per la Pace è il primo che cerca di calcolare il numero delle vittime civili degli interventi statunitensi in Iraq, Afghanistan e Pakistan nel quadro delle operazioni contro il terrorismo.
Il rapporto PSR è stato realizzato da un team interdisciplinare di esperti in salute pubblica, tra cui il dr. Robert Gould, direttore del Centro Medico di educazione e ricerca medica dell’Università della California, e il prof. Tim Takaro della Facoltà di Scienze Mediche della Simon Fraser University. Eppure, è stato praticamente oscurato dai canali anglofoni d’informazione, nonostante sia stato il primo sforzo di un’organizzazione internazionale di medici della sanità pubblica nel produrre un calcolo scientificamente provato del numero delle persone uccise nella guerra al Terrore condotta da USA e UK.
Attenti allo scarto fra cifre ufficiali e cifre reali
Il dr. Hans von Sponeck, ex vice segretario generale delle Nazioni Unite, descrive il rapporto PSR come un contributo importante nel coprire il divario che esiste tra il numero reale delle vittime civili della guerra in Iraq, Afganistan e Pakistan e le cifre fittizie, manipolate e talvolta anche fraudolente che vengono fatte circolare. Il rapporto fa una revisione critica delle stime precedenti delle vittime civili della guerra al terrore ed esprime una forte critica della cifra più citata dai maggiori canali d’informazione, come il IBC (Iraq-Body-Count/Conta dei morti in Iraq) di 110.000 persone decedute. Si tratta di una cifra desunta mettendo insieme le varie notizie di stampa sulle uccisioni di civili; tuttavia il rapporto PSR individua gravi lacune e problemi di metodo in tale approccio. Ad esempio, a Najaf sono stati seppelliti 40.000 corpi fin dall’inizio della Guerra: l’IBC registra solo 1.354 morti nello stesso periodo. E un esempio che mostra chiaramente quale sia il divario tra le cifre dell’IBC e quelle reali in questo caso specifico di un fattore 1:30.
Divari di questo genere pullulano nel database di IBC. In un altro caso, IBC registrava solo tre attacchi aerei nel 2005, quando invece il numero reale degli attacchi aerei era salito a 120 in quell’anno. Ancora una volta un divario, e questa volta di un fattore 1:40. Secondo lo studio PSR, il tanto contestato rapporto Lancet che ha stimato 655.000 morti iracheni fino al 2006 (e oltre un milione fino ad oggi per estrapolazione) era probabilmente molto più accurato dei dati forniti da IBC. Infatti, il rapporto PSR confermava un consenso virtuale tra epidemiologi sull’affidabilità dello studio Lancet. Nonostante le critiche siano legittime, la metodologia statistica applicata segue lo standard universalmente accettato per determinare le morti nelle zone di conflitto utilizzato dalle agenzie internazionali e dai governi.
Negazione politicizzata
Il PSR ha anche rivisto la metodologia di altri studi che indicavano cifre più basse, come il documento pubblicato dal New England Journal of Medicine, che mostrava diversi gravi limiti. Il documento ignorava le aree colpite da maggiore violenza, come Baghdad, Anbar e Ninive, basandosi su dati inesatti di IBC ed estrapolando quelli di queste aree. Inoltre, indicava restrizioni politicamente motivate nella raccolta e nell’analisi dei dati: le interviste erano state condotte dal Ministero della Salute Iracheno, che era completamente dipendente dal nuovo potere occupante" e si era rifiutato di fornire i dati esatti dei morti iracheni su sollecitazione degli Stati Uniti.
In particolare, il PSR ha analizzato le rivendicazioni fatte da Michael Spaget, John Sloboda ed altri a fronte dell’accusa di potenziale fraudolenza dei metodi di raccolta dei dati utilizzati dallo studio. Tali rivendicazioni sono risultate del tutto inconsistenti. Le poche critiche giustificate, conclude il rapporto PSR, non discutono i risultati dello studio Lancet nel loro insieme. Queste cifre rappresentano ancora i dati più veritieri attualmente disponibili. I risultati del Lancet sono anche confermati dai dati di un nuovo studio di PLOS Medicine, che indica 500.000 morti civili nella guerra. In generale, PSR conclude che il numero più vicino alla realtà dei civili morti in Iraq dal 2003 a oggi è di circa 1 milione. A questi, lo studio PSR aggiunge circa 220.000 in Afganistan e 80.000 in Pakistan, uccisi direttamente o indirettamente nella Guerra al Terrore condotta dagli USA: una cifra prudente sarebbe 1,3 milioni di persone, ma la cifra reale potrebbe anche raggiungere i 2 milioni.
Tuttavia, anche lo studio PSR presenta dei limiti. In primo luogo, la guerra al terrore lanciata dopo il 9/11 non era una cosa nuova, ma l’estensione di politiche interventiste precedenti sia in Iraq sia in Afganistan. In secondo luogo, il numero piuttosto contenuto delle vittime civili afgane mostrato dal PSR, indica che questo ha probabilmente sottovalutato il prezzo umano degli scontri in Afganistan.
Iraq
La guerra in Iraq non è iniziata nel 2003, ma nel 1991 con la prima Guerra del Golfo, seguita poi dal regime sanzionatorio delle Nazioni Unite. Un precedente rapporto di Beth Daponte, allora demografa dell’ufficio censimenti del governo americano, mostrava che le morti irachene causate direttamente e indirettamente dall’impatto della prima Guerra del Golfo, fossero intorno alle 200,000, di cui la maggior parte civili. Nel frattempo, quel suo studio fu fatto sparire dalla circolazione.
Dopo che le forze guidate dagli Stati Uniti si ritirarono, la guerra in Iraq proseguì in ogni caso sul fronte economico, con il regime di sanzioni imposte dalle N.U. su sollecitazione di USA e U.K., con il pretesto di dover negare a Saddam Hussein i beni e le materie prime necessarie per poter costruire armi di distruzione di massa. Molti prodotti inclusi nella lista delle materie negate comprendevano anche beni di prima necessità di uso quotidiano. Cifre fornite dalle Nazioni Unite hanno mostrato che 1,7 milioni di civili iracheni sono morti come conseguenza del regime sanzionatorio importo dall’Occidente, e metà di questi erano bambini. Queste eliminazioni di massa appaiono come intenzionali. Tra i prodotti inclusi nella lista delle sanzioni delle N.U. c’erano prodotti chimici e attrezzature essenziali per la depurazione delle risorse idriche nazionali. Un documento segreto dell’agenzia d’intelligence del Ministero della Difesa statunitense, scoperto dal prof. Thomas Nagy della School of Business della George Washington University, indicava chiaramente le intenzioni di genocidio del popolo iracheno.
In un suo documento per l’Associazione degli Studiosi di Genocidi della University of Manitoba, il prof. Nagi spiegava che il documento DIA conteneva dettagli minuziosi di un metodo praticamente infallibile per far degradare il sistema idrico di un’intera nazione nel giro di una decina di anni. La politica sanzionatoria avrebbe creato le condizioni per la diffusione delle malattie, comprese vere e proprie epidemie su vasta scala, causando di conseguenza l’eliminazione di una vasta porzione della popolazione Irachena. Questo significa che solo in Iraq, la guerra condotta dagli USA dal 1991 al 2003 ha ucciso 1,9 milioni di iracheni; poi, dal 2003 ad oggi, un altro milione circa. In totale, circa 3 milioni di iracheni morti nel giro di due decenni.
Afganistan
In Afganistan, la stima del rapporto PSR delle morti totali potrebbe anche essere molto prudente.
Sei mesi dopo la campagna di bombardamenti successiva al 2001, il giornalista del Guardian Jonathan Steele rivelò che rimasero uccisi un numero tra i 1.300 e gli 8.000 afgani, ed altri 50.000 morirono come conseguenza indiretta della guerra. Nel suo libro La conta dei morti: la mortalità che si sarebbe potuta evitare nel mondo dal 1950 ad oggi (Body count: global avoidable mortality since 1950) del 2007, il prof. Gideon Polya applicò la stessa metodologia utilizzata dal Guardian per i dati della Divisione Demografica delle Nazioni Unite sulla mortalità annuale per calcolare cifre plausibili delle morti in eccesso/evitabili. Biochimico in pensione della La Trobe University di Melbourne, Polya concluse che il totale delle uccisioni evitabili in Afganistan dal 2001 causate dalle privazioni imposte, ammontavano a circa 3 milioni di persone, di cui 900.000 bambini sotto i cinque anni. Benché i risultati del prof. Polya non siano stati pubblicati in giornali accademici, il suo studio del 2007 Body Count è stato raccomandato dalla sociologa prof. Jacqueline Carrigan della California State University e definito un profilo ad alto contenuto di dati sulla situazione della mortalità infantile nel mondo, in una rivista pubblicata dal Routledge journal - Socialism and Democracy.
Come per l’Iraq, in Afganistan gli interventi statunitensi sono iniziati molto prima del 9/11, sotto forma di sostegno militare, logistico e finanziario segreto ai Talebani dal 1992 in poi. Questo supporto da parte degli Stati Uniti ha dato un forte impulso alla belligeranza talebana consentendogli di conquistare il 90% del territorio afgano. In un rapporto del 2001 della National Academy of Sciences su migrazioni forzate e mortalità, l’illustre epidemiologo Steven Hansch, direttore di Relief International, osservò che la mortalità evitabile totale in Afganistan causata dagli impatti indiretti della guerra nel corso degli anni ‘90 potrebbe attestarsi ovunque tra i 200.000 e i 2 milioni di morti.
Anche l’Unione Sovietica, naturalmente, ne fu responsabile, per il suo ruolo nella distruzione intenzionale delle infrastrutture civili afgane, causando indirettamente moltissime morti. Tutto questo suggerisce che, nel complesso, il numero totale di morti afgane conseguenza diretta e indiretta dell’intervento statunitense nel paese a partire dai primi anni ‘90 fino ad oggi, potrebbe raggiungere i 3,5 milioni.
Per concludere
Secondo i dati qui considerati, il numero totale di gente morta a causa degli interventi militari degli Stati Uniti in Iraq e in Afganistan dal 1990 sia per uccisione diretta o per le conseguenze a lungo termine delle privazioni imposte si aggira intorno ai 4 milioni (2 milioni in Iraq dal 1991 al 2003, più 2 milioni nella guerra al terrore) e potrebbe anche raggiungere i 6/8 milioni contabilizzando anche le stime superiori delle morti evitabili in Afganistan. Sono cifre che probabilmente superano la realtà, ma questo non lo sapremo mai con certezza. Le forze armate degli Stati Uniti e del Regno Unito, per una questione di politica, si rifiutano di tenere traccia del numero di vittime civili nelle operazioni militari, considerate solo degli inconvenienti irrilevanti.
A causa della grave mancanza di dati certi in Iraq, della quasi totale assenza di informazioni per l'Afganistan e dell’indifferenza dei governi occidentali riguardo alle morti civili, è letteralmente impossibile determinare la reale portata delle perdite di vite umane. In assenza anche della possibilità di conferme certe, queste cifre forniscono stime plausibili sulla base di metodologie statistiche standard, in mancanza di prove certe disponibili. Pur non fornendo un dato preciso, danno una chiara indicazione della portata della distruzione in queste aree.
Gran parte di queste morti viene giustificata nel contesto della lotta contro la tirannia e il terrorismo. Tuttavia, a causa del silenzio dei maggiori mezzi d’informazione, la maggior parte delle persone non ha idea della reale portata distruttiva della guerra al terrore protratta negli anni da USA e UK in Iraq e Afganistan.