(english / italiano)

Über Alles ... e anche sopra la legge

1) Ancora liberi in Germania i colpevoli della strage sul lavoro alla ThyssenKrupp

2) Stragi naziste, il giudice condanna la Germania a risarcire ma l’Italia sta con Berlino per “paura di incidenti diplomatici”

3) Reception Refused. Reparations class action lawsuit for the German genocide carried out on the Ovaherero and the Nama threatens again to be aborted (GFP 17.1.2017)
[Sulla impunità della Germania rispetto ai crimini commessi nella ex-colonia della Namibia, oltre ai crimini di guerra in Grecia e Italia]


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La Germania arresti i colpevoli della ThyssenKrupp – Lettera aperta all’Ambasciatrice Susanne Wasum-Raine

6 dicembre 2017, MASSIMO MARNETTO

Alla Ambasciatrice Susanne Wasum-Raine (*)
Le scrivo perché mi ha colpito molto negativamente la mancanza di collaborazione della Germania, per eseguire l’arresto di  Harald Espenhahn e Gerald Priegnitz, manager condannati per l’omicidio colposo di sette operai morti dopo il rogo avvenuto tra il 6 e il 7 dicembre 2007 nella ThyssenKrupp.  I sette lavoratori – Santino Bruno, Giuseppe De Masi,   Angelo Laurino, Rocco Marzo,  Rosario Rodinò, Antonio Schiavone, Roberto Scola – sono morti per carenze accertate negli impianti di sicurezza della fabbrica. Una gravissima negligenza che ha provocato una tragedia evitabile.
Ambasciatrice Susanne Wasum-Raine
Le chiedo di comunicare al suo Governo la diffusa indignazione di molti cittadini italiani per questa forma di ostruzionismo alla giustizia, incompatibile con il reciproco rispetto che ha sempre caratterizzato i rapporti tra i nostri Paesi.
Con vigilanza democratica,
Massimo Marnetto

(*) Chi volesse scrivere, deve andare sul sito dell’Ambasciata e inserire il testo nell’apposita scheda.
     Per arrivarci facilmente, cliccare quihttps://italien.diplo.de/Vertretung/italien/it/Kontakt.html

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Torino, i parenti delle vittime Thyssen: \"Andremo in Germania a chiedere giustizia\"

A dieci anni dal rogo che uccise sette operai la ferita è ancora aperta: \"Vogliamo che i politici di Berlino ci spieghino perché i due manager tedeschi sono ancora liberi\"

4 dicembre 2017

\"Il nostro dolore non si è attenuato, le nostre famiglie sono state rovinate. Io sono morta a 49 anni insieme a mio figlio\". Lo dice Rosina Plati, la mamma di Giuseppe Demasi, 26 anni, uno dei sette operai morti alla Thyssen di Torino nella notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007, in occasione della presentazione della Settimana della sikcurezza a Palazzo Civico. Dal rogo sono trascorsi dieci anni, ma per i parenti delle vittime la ferita non si è mai cicatrizzata. Si capisce dalle lacrime di Antonio Boccuzzi, l\'unico sopravvissuto, e dal pianto dei familiari, ancora in attesa di giustizia perché i manager tedeschi dell\'azienda, Harald Espenhahn e Gerald Priegnitz, sono ancora in libertà nel loro Paese nonostante la condanna passata in giudicato. \"Presto andremo in Germania - aggiunge la signora - vogliamo che i politici ci guardino negli occhi e ci dicano 
perchè non sono ancora in galera\".
Poco distante c\'è Antonio Boccuzzi, che quella notte riuscì miracolosamente a salvarsi. \"Ricordo Giuseppe che urlava \'non voglio morire\'. Aveva soltanto 26 anni, insieme eravamo andati a vedere la macchina che poi aveva acquistato. A distanza di dieci anni non c\'è ancora giustizia, siamo ancora qui ad aspettare che i due tedeschi scontino un giorno di carcere\".

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Rogo Thyssen, persa una carta in Germania: e i manager tedeschi condannati restano liberi

Per i tedeschi manca un documento per arrestare i due supermanager condannati per i 7 morti di Torino. Ma Via Arenula: “Spedito a giugno”. E c’è la prova della ricezione

di Andrea Giambartolomei | 28 ottobre 2017

Manca solo un documento. Per questo la giustizia tedesca non ha ancora deciso se arrestare Harald Espenhahn e Gerald Priegnitz, ex componenti del Cda della ThyssenKrupp Acciai Speciali, condannati a nove anni e otto mesi il primo e sei anni e dieci mesi il secondo per l’omicidio colposo di sette operai morti dopo il rogo del 6 dicembre 2007 a Torino.

L’Italia ha inviato quel documento in Germania, ma è andato perso. Questo è quanto il Fatto Quotidiano ha appreso dalla Procura generale di Essen(Renania settentrionale-Vestfalia), città in cui ha sede il colosso dell’acciaio ha la sua sede. “Non si può ancora decidere se eseguire in Germania la sentenza italiana contro Espenhahn e Priegnitz – risponde Anette Milk, procuratore e portavoce –. La procedura è in corso. Stiamo ancora aspettando un documento che è stato chiesto alle autorità italiane”. E questo è il problema: “Ci hanno informato che ci hanno già mandato i documenti mesi fa, ma sfortunatamente non sono mai arrivati ai nostri uffici”.

La Procura generale di Essen spiega che stanno cercando di risolvere e hanno richiesto una copia dell’atto mancante. Poi, una volta ricevuto, sarà possibile decidere se e come arrestare i due manager. In base agli accordi bilaterali, Espenhahn e Priegnitz potranno scontare la condanna nel loro Paese per una durata massima di cinque anni, come previsto dal codice penale tedesco per l’omicidio colposo. Dal ministero della Giustizia italiano, invece, dicono di non aver ricevuto ulteriori richieste. L’ultima risale all’8 maggio, quasi un anno dopo la condanna definitiva datata 13 maggio 2016. La Germania chiedeva chiarimenti sulla presenza dei due imputati al processo: se condannati in contumacia, il loro arresto sarebbe stato più difficile. Il dato, in realtà, era riportato nella sentenza che li indica come “presenti”. Da via Arenula hanno inoltrato la richiesta alla Procura generale di Torino, dove il sostituto pg Vittorio Corsi, poco prima del suo pensionamento, ha firmato un ultimo atto, spiegando che i due presero regolarmente parte al processo di primo grado e furono sottoposti all’esame dibattimentale il 4 novembre 2009, mentre per i due processi di appello non si sono mai presentati e sono stati rappresentati da avvocati di fiducia. Ma insomma, per l’Italia non erano contumaci.

La risposta è stata mandata via mail a Essen il 1° giugno scorso, con tanto di foto dei due imputati in aula: c’è anche l’avviso di ricezione della mail dall’account dell’indirizzo di Essen, dove evidentemente l’hanno persa.

A differenza dei manager italiani che sono entrati in carcere il giorno dopo il verdetto della Cassazione, i due tedeschi sono liberi (e dal curriculum su Linkedin risulta che Gerald Priegnitz è tuttora Cfo, direttore finanziario, della ThyssenKrupp Global Shared Services).

Il 12 ottobre scorso a Lussemburgo è intervenuto direttamente anche il ministro Orlando che, durante il Consiglio dell’Unione europea dedicato alla giustizia, ha chiesto all’omologo tedesco Heiko Maas un suo interessamento per l’esecuzione della condanna: “Alla luce dell’eccellente cooperazione giudiziaria tra Italia e Germania il ministero federale di giustizia ha offerto il suo supporto per migliorare la comunicazione tra le autorità giudiziarie tra i due Stati se necessario”, ha risposto al Fatto un portavoce di Maas.

È possibile che le autorità tedesche aspettassero soltanto l’esito dell’ultimo ricorso straordinario in Cassazione: il 19 ottobre scorso i giudici l’hanno respinto perché le condanne inflitte erano “conformi a legge e adeguatamente giustificate”. Un’ulteriore conferma della loro colpevolezza che solo la Germania fatica a riconoscere.


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ThyssenKrupp, la giustizia latitante

21 ottobre 2017, VINCENZO FRENDA

Il 6 dicembre prossimo saranno i 10 anni dalla strage della ThyssenKrupp di Torino, in cui morirono 7 operai arsi vivi dall’esplosione della linea 5 dell’acciaieria. Eppure ancora alcuni dei responsabili sono a piede libero. Si tratta dei due manager tedeschi: l’amministratore delegato Harald Espenhahn condannato a 9 anni e 8 mesi e il membro del cda Gerald Priegnitz condannato a 6 anni e 10 mesi.. Tutti in via definitiva. Colpevoli di omicidio colposo plurimo, incendio colposo e omissione dolosa di cautele per la prevenzione degli infortuni. L’acciaieria di Torino doveva chiudere così si smise tempo prima di investire in manutenzione e sicurezza, questa “colpa imponente” ha causato la morte degli operai.

Per arrivare a questa verità definitiva ci sono voluti 9 anni e 5 processi, eppure solo i condannati italiani stanno scontando le pene.  I tedeschi no, perché la loro condanna non è stata ancora recepita dalla giustizia tedesca che potrebbe anche ricalcolarla riducendola, visto che in Germania per lo stesso reato sono previste pene più miti. Ma non basta. I due manager tedeschi insieme al dirigente Daniele Moroni hanno provato a chiedere un nuovo sconto alla giustizia italiana. Un ricorso alla cassazione per avere un ricalcolo della pena rispedito al mittente dalla corte suprema. Un tentativo andato fallito che ha però garantito ai condannati tedeschi altro tempo in libertà.

Il ministro della giustizia Orlando ha sollecitato più volte i tedeschi ad applicare la condanna come previsto dai trattati, finora invano. Un nuovo sfregio alla memoria delle vittime; Graziella Rondinò madre di Rosario, morto ad appena 26 anni non si dà pace: “Le pene sono basse, almeno che non ci siano sconti per gli assassini. Avrebbero dovuto dare loro l’ergastolo, prendere la chiave della cella e buttarla via. Ora speriamo che la Germania si sbrighi a rendere esecutiva la sentenza. Non vogliamo aspettare altri dieci anni”.

Tanti, troppi anni passati per avere giustizia e le pene forse non sono quelle che i parenti delle vittime si aspettavano, ma questo processo mantiene intatta la sua importanza, perché infligge le pene più severe mai date per un incidente sul lavoro e dà un segnale forte a quei capitani d’industria che finora hanno pensato di poter derogare sui diritti dei lavoratori e sostanzialmente sulla loro salute, in virtù di una impunità garantita dal denaro scrivendo, come per il caso della Thyssen di Torino, pagine nerissime nella storia industriale non solo italiana.

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ThyssenKrupp. Corte di cassazione conferma le condanne ai manager, ma i colpevoli sono liberi in Germania

\"Questa è la realtà della Unione Europea, un sistema autoritario e truffaldino di diseguali\"


di Giorgio Cremaschi
20/10/2017 


Nella notte tra il 5 e il 6 dicembre del 2007 un terribile incendio distrusse lo stabilimento ThyssenKrupp di Torino condannando ad una morte orribile 7 operai. 

Grazie al lavoro instancabile e minuzioso del procuratore Guariniello i colpevoli di quella strage furono individuati, incriminati, condannati. E, caso raro per gli omicidi sul lavoro, le sentenze, pur attenuate, hanno retto fino alla Corte di Cassazione. Che pochi giorni fa ha voluto anche sottolineare la gravità del non rispetto delle norme di sicurezza, che proprio per la sua dimensione assegna la responsabilità della strage ai manager aziendali. Di essi quelli italiani stanno già scontando la pena, ma i due principali responsabili - l\'amministratore delegato Harald Espenhahn (condannato a nove anni di reclusione) e il direttore generale Gerald Priegnitz (condannato a sei anni) - sono liberi in Germania. 

Attenzione non si tratta di ritardi o sviste, perché, già nel 2016, dopo la prima conferma delle condanne, la magistratura italiana aveva spiccato un mandato di cattura europeo per i due manager. Mandato di cattura che le autorità tedesche hanno semplicemente ignorato. Ora il ministro Orlando dice che chiederà la consegna dei colpevoli al suo collega di Germania.

Buffonate.

La verità è che il governo dovrebbe fare una campagna contro l\'impunità dei manager tedeschi e far valere con tutti i mezzi le regole di giustizia europee.

Che però come al solito valgono solo per i paesi deboli e con una classe politica asservita e mai, mai per la Germania. Questa è la realtà della Unione Europea, un sistema autoritario e truffaldino di diseguali, ove se sei manager tedesco sei automaticamente immune dalla giustizia di uno dei paesi che in Germania chiamano PIGS.

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Rogo Thyssen, manager tedeschi condannati ancora liberi: lettera di Orlando al ministro Maas

L’ex ad Harald Espenhahn e l’ex consigliere Gerald Priegnitz, sono stati condannati in via definitiva il 13 maggio 2016 per omicidio colposo plurimo al termine del processo per il rogo allo stabilimento di Torino in cui, tra il 5 e il 6 dicembre 2007, morirono sette operai

di F. Q. | 12 ottobre 2017

L’ex ad della ThyssenKrupp Acciai Speciali Harald Espenhahn e l’ex consigliere Gerald Priegnitzcondannati in via definitiva il 13 maggio 2016 per omicidio colposo plurimo al termine del processo per il rogo allo stabilimento di Torino in cui, tra il 5 e il 6 dicembre 2007, morirono sette operai, sono ancora liberi. A cinque mesi dalla polemica sulla traduzione della sentenza il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha chiesto al suo omologo tedesco che la Germania dia esecuzione al verdetto.

Per Espenhahn, condannato a nove anni di reclusione, e Priegnitz, condannato a sei anni, è stata chiesta l’estradizione in Italia, ma questa è stata dichiarata non ammissibile in quanto sono entrambi di cittadinanza tedesca. Nei primi mesi del 2017 l’Italia ha quindi chiesto all’autorità giudiziaria tedesca di riconoscere la sentenza ed eseguire in Germania la relativa pena a carico delle due persone coinvolte. Richiesta ora rinnovata da Orlando che a margine della riunione del Consiglio GAI in corso a Lussemburgo, ha incontrato il suo omologo tedesco Heiko Maas, che si è impegnato a svolgere nel più breve tempo possibile un approfondimento sulla questione, al fine di poter dare riscontro alla richiesta italiana. Al termine del colloquio, il Guardasigilli gli ha consegnato una lettera che riepiloga i principali passaggi della vicenda.

Gli imputati condannati invece stanno tutti scontando la pena. La sentenza della Cassazione (qui le motivazioni) è arrivata il 13 maggio 2016, un venerdì sera, e il sabato mattina gli italiani si erano consegnati alle forze dell’ordine per poi andare in carcere a Terni e a Torino. Lunedì 16 maggio, rientrati nei loro uffici, il sostituto procuratore generale Vittorio Corsi e il procuratore generale Francesco Saluzzo avevano emesso un mandato di arresto europeo per Espenhahn e Priegnitz e il 25 maggio erano state diramate le ricerche dei due condannati, localizzati in Germania.

Lì era stata consegnata la documentazione per l’arresto, ma il 4 agosto la procura generale di Hamm aveva comunicato al ministero della Giustizia il rifiuto della consegna: in base alle norme sul mandato di arresto europeo un’autorità giudiziaria può rifiutare di eseguire il mandato contro i suoi cittadini per eseguirla “conformemente al suo diritto interno”. In Germania, in base ai codici, Espenhahn e Priegnitz non sconteranno le pene stabilite dai giudici italiani, rispettivamente nove anni e otto mesi il primo e sei anni e tre mesi il secondo. La detenzione potrà durare fino a un massimo di cinque anni, pena massima prevista dal codice penale tedesco per l’omicidio colposo.

A questo punto il ministero di via Arenula aveva chiesto di seguire le procedure previste da un’altra decisione quadro dell’Unione europea. Così, una volta arrivate le motivazioni della sentenza della Cassazione, il ministero aveva fatto tradurre le sentenze e il 13 marzo le aveva inviate in Germania. La procura generale di Hamm aveva informato il ministero di aver convalidato il “certificato” (o meglio, di aver proceduto alla “delibazione”). Ma da allora nulla più è successo..


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Stragi naziste, il giudice condanna la Germania a risarcire ma l’Italia sta con Berlino. “Paura di incidenti diplomatici”

Il giudice: “La Repubblica federale è erede del Terzo Reich”. Ma la Farnesina è al fianco dei tedeschi. Il motivo? Evitare un caos diplomatico. Ma anche il timore che altri Stati se la prendano con noi per le stragi fasciste nella ex Jugoslavia o in Grecia. Gli esperti di diritto al fatto.it: “In realtà le soluzioni ci sono, ma manca la volontà politica”. Come gli ex SS condannati ma mai in carcere

di Ilaria Lonigro | 3 dicembre 2017

Contro le vittime dei nazisti, a fianco della Germania. E’ la posizione dello Stato italiano nel processoper la strage di Limmari del 1943, per la quale il tribunale di Sulmona, il 2 novembre, ha condannato la Germania, come erede del Terzo Reich, a risarcire il Comune di Roccaraso e i discendenti delle 128 vittime per danno “non patrimoniale”. Una sentenza storica, perché apre la strada ai risarcimenti anche per le altre numerose stragi naziste in Italia, da Sant’Anna di StazzemaMontesole. Ma che rischia di rimanere lettera morta, perché la Germania si rifiuta di riconoscere il processo. E dove trova sostegno? Nel ministero degli Esteri italiano secondo il quale questi risarcimenti sono inammissibili: violano la sentenza dell’Aja del 2012, che, relativa a un caso simile – Italia contro Germania in tema di risarcimenti per crimini di guerra -, aveva stabilito che gli Stati sono immunidalla giurisdizione di altri Paesi. Eppure, l’Italia dovrebbe sostenere gli eredi delle vittime: la Corte Costituzionale, con una sentenza del 2014 condivisa anche dalla Cassazione, dice che l’immunità degli Stati non vale, se i diritti umani fondamentali sono stati violati. E nel 1943, a Limmari, lo furono. Così finisce come con le condanne definitive nei confronti degli ex soldati delle Ss e della Wehrmacht individuati e processati dalle procure militari italiane per molte delle stragi avvenute tra il 1943 e il 1945, durante la ritirata tedesca che lasciò una scia di sangue dall’Abruzzo al Piemonte“E’ una questione di volontà politica” disse mesi fa al fatto.it Marco De Paolis, procuratore militare che portò a processo tra gli altri i responsabili degli eccidi di Sant’Anna di Stazzema e di Marzabotto. “Tutta una questione di volontà politica” ripetono ora vari esperti di diritto internazionale parlando del risarcimento ai familiari delle vittime di Limmari.


Nel paesino abruzzese sopravvisse solo una bambina
In quel paesino sull’Appennino abruzzese, tra il 16 e il 21 novembre 1943, i paracadutisti tedeschi, sotto il controllo del Federmaresciallo Albert Kesselring, uccisero 128 civili: donne, anziani, alcuni invalidi e bruciati vivi, e bambini, tra cui Giancarlo Iarussi, che aveva meno di 100 giorni. Erano paesani e sfollati che si erano rifugiati lì, pensando di essere al sicuro tra i boschi di Limmari, che, per una tragica ironia della sorte, nel dialetto locale significa Valle della Vita. A seppellire i corpi, abbandonati per mesi, ci pensò la neve. Si salvò solo Virginia Macerelli, di 7 anni: il corpo della madre le fece da scudo, proteggendola dai colpi delle mitragliatrici. Nel 2013 è stata ricevuta al Quirinale dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

Il giudice: “Germania colpevole, successore del Terzo Reich”
Chissà cosa avrà pensato Virginia quando, nella causa intentata contro la Germania da lei e dagli altri eredi delle vittime – rappresentati dagli avvocati Lucio OlivieriMonica Oddis e Claudia Di Padova – la Farnesina si è costituita in difesa di Berlino. Il ministero non voleva “incorrere in una violazione del diritto internazionale”, perché l’Italia, ricorda ancora il vertice della diplomazia italiana, ha rinunciato a ogni pretesa nei confronti della Germania nel 1947, con il Trattato di Pace di Parigi. E poi c’è la sentenza della Corte internazionale di giustizia dell’Aja. Ma, forte della sentenza della Corte Costituzionale e di quella della Cassazione, il giudice Giovanna Bilò, del tribunale di Sulmona, il 2 novembre ha condannato in contumacia la Germania, “quale successore del Terzo Reich”, come “responsabile dell’uccisione” con “modalità efferate” dei 128 civili. In più, ha obbligato Berlino a corrispondere al Comune di Roccaraso 800mila euro di “danno non patrimoniale”.

Il governo impedisce i risarcimenti.. Nonostante la Consulta
Peccato che né il Comune né gli eredi vedranno mai questi soldi. “Il governo deve dare applicazione alle sentenze – dice a ilfattoquotidiano.it Dino Rinoldi, docente di Diritto internazionale alla Cattolica di Milano – Invece, in questo caso, non consente di sequestrareconfiscare e vendere all’asta un immobile che appartiene alla Germania. Gli eredi difficilmente riusciranno a trovare un risarcimento. Quello che mi colpisce di più è il comportamento del governo italiano, che non appoggia quello che è il risultato della Corte Costituzionale e della Cassazione. Il governo teme, un domani, trattamenti spiacevoli in Germania. Tutela se stesso: non vuole, un domani, altrove, essere portato in giudizio”.

Stragi fasciste all’estero: la coda di paglia degli italiani
Tra i motivi che frenano il governo italiano probabilmente c’è il timore che un domani Paesi come l’Etiopia, la Slovenia o la Grecia vengano a chiederci il conto per le stragi fasciste, a dispetto del falso mito degli “italiani brava gente”, di un esercito che al contrario di quello tedesco ha sempre rispettato e solidarizzato con le popolazioni invase. In quel caso i risarcimenti complessivamente ci costerebbero diverse centinaia di milioni di euro. “Su questo il nostro Paese è rimasto sempre in silenzio – dice Bernardo Cortese, professore di diritto dell’Unione europea all’università di Padova – Non è da escludere che ci sia anche questo, nella somma delle ragioni che portano il nostro ministero a non muoversi contro la Germania. Ci sono tante cose che spiegano le nostre reticenze. Ovviamente non siamo solo dalla parte delle vittime”. 

Gli esperti di diritto: “Berlino e Roma sbagliano: le vittime vanno risarcite”
Non solo poche le voci autorevoli del diritto internazionale contro la posizione del governo italiano con le vittime degli eccidi. “Gli Stati non possono giocare con dei diritti sacrosanti delle vittime delle stragi – sostiene Tullio Scovazzi, professore di Diritto internazionale all’università Milano Bicocca – Qui c’è un evidente diniego di giustizia. Le vittime di gravi crimini hanno diritto a ottenere un risarcimento, indipendentemente dalla posizione degli Stati. Se l’Italia vuole sostenere le ragioni della Germania, allora si deve sostituire alla Germania e pagare gli addebiti, poi chiedere eventualmente una rifusione da parte della Germania”. Secondo Scovazzi la sentenza dell’Aja sull’immunità degli Stati, dietro cui la Germania si para per schivare i processi, è scorretta. “La Corte internazionale di giustizia – spiega Scovazzi – ha dato ragione alla Germania con un&nbs

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