Bassa Comasca, 26 gennaio 2018
La Digos della Questura di Milano e la Digos di Como hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per associazione con finalità di terrorismo.
Terrorismo
L’operazione prende il nome di “Talis pater”. Il provvedimento è nei confronti di due egiziani di 51 e 23 anni, padre e figlio, residenti in Provincia di Como. Tramite un provvedimento del Ministro dell’Interno è stata rimpatriata, per motivi di sicurezza personale, la cittadina marocchina 45enne moglie e madre dei due.
Abitavano a Fenegrò
La famiglia viveva a Fenegrò. In manette è finito il padre, Sayed Fayek Shebl Ahmed, classe 1966, ex Mujahideen in Bosnia. Il figlio, Saged Sayed Fayek Shebl Ahmed, è andato in Siria dal 2014 dove si trova tuttora. Rimpatriata in Marocco la moglie e madre dei due, Imrane Halima.
Il padre mandò il figlio in Siria
Il padre, 53 anni, in Italia, a Milano, dal 1996, l’anno successivo è arrivato a Como. L’uomo era partito dalla Bosnia dove era stato un Mujahideen. Il figlio maggiore, 23 anni, si trova in Siria, su di lui attualmente c’è un mandato di cattura internazionale. E’ stato proprio il padre ad indottrinarlo al fondamentalismo, quando nel 2014 aveva visto che i figli stavano diventato troppo occidentali. Ha quindi deciso di mandarlo in Siria, sotto l’ala protettrice di un suo ex commilitone della guerra in Bosnia. A quel punto Saged Sayed Fayek Shebl Ahmed è entato a far parte di un gruppo filo Al Qaeda denominato Al Zenki, dove è diventato un foreign fighter.
Finse di collaborare con le Forze dell’ordine
Nel 2015 il padre è andato in Questura, fingendo di voler collaborare con le Forze dell’ordine e denunciando il figlio in Siria e sostenendo di essere preoccupato per la situazione. Il suo reale scopo era quello di provare a togliere i sospetti su di lui. Nel frattempo il giovane in Siria, per un periodo, ha cambiato gruppo, legandosi all’Isis con il gruppo Hajat Thair Ash Sham. Dopo questa esperienza è però tornato nel gruppo d’origine. Ora si trova in Siria dove si è sposato e ha un bambino di 3 anni. Le indagini delle Forze dell’ordine sono cominciate proprio nel 2015. Dopo aver messo sotto controllo padre e madre di Saged, hanno subito capito la verità. Attraverso alcune intercettazioni telefoniche si è scoperto che il ragazzo mandava alla famiglia dei video dove era protagonista di alcune esecuzioni. Il padre poi era solito mandare 200 euro mensili al figlio.
La madre e moglie
Classe 1972, di origine marocchina, verrà rimpatriata nel pomeriggio di oggi. Le indagini hanno fatto emergere che approvava il comportamento del marito e del figlio, per questo anche lei è stata considerata un pericolo per la sicurezza dello Stato. Non potrà tornare in Italia per i prossimi 10 anni.
Gli altri figli
Non sono stati considerati implicati nella vicenda gli altri due figli della coppia, un ragazzo di 20 e una ragazza di 18 anni (nata a Como e diventata cittadina italiana di recente). I due giovani hanno sempre discusso con la famiglia per il loro fondamentalismo.
13/06/2016
L\'episodio non è stato praticamente registrato dai media europei, ancora sotto choc per i fatti di Parigi. Rappresenta tuttavia l\'ennesimo attentato riconducibile al terrorismo islamista avvenuto nel paese balcanico a partire dal 2010.
Nel giugno di quell\'anno venne fatta esplodere una bomba fuori dalla stazione di polizia di Bugojno, in Bosnia centrale. Un poliziotto, Tarik Ljubuškić, morì, e sei suoi colleghi rimasero feriti.
L\'anno dopo, a Sarajevo, Mevlid Jašarević aprì il fuoco con un kalashnikov contro l\'Ambasciata degli Stati Uniti, ferendo un poliziotto. Infine l\'anno scorso, il 27 aprile, Nerdin Ibrić ha assalito con un fucile automatico i militari della stazione di polizia di Zvornik, nella parte del paese a maggioranza serba, gridando “Allah Akbar” e uccidendo l\'agente Dragan Đurić prima di venire ucciso a sua volta.
Balcani, serbatorio di foreign fighters
La tipologia degli attentati avvenuti in Bosnia è diversa dalle stragi perpetrate dall\'autoproclamatosi “stato islamico” nelle grandi capitali europee. Ad essere colpiti sono obiettivi stranieri, oppure rappresentanti delle locali forze di sicurezza, militari o poliziotti.
I civili non sono stati finora coinvolti, il che lascia presupporre una strategia diversa dei gruppi radicali nei Balcani. Sporadicamente, singoli individui escono allo scoperto. Il ruolo principale assegnato alla regione, però, sembrerebbe essere quello di base logistica, ad esempio per il trasferimento di uomini o armi, e di serbatoio di potenziali “foreign fighters”.
Secondo il professor Vlado Azinović, docente all\'Università di Sarajevo e recentemente co-autore, con Muhamed Jusić, della ricerca “Il richiamo della guerra in Siria: il contingente bosniaco dei combattenti stranieri”, sarebbero circa 250 i bosniaci che hanno lasciato il paese per andare a combattere nel Medio Oriente, tra il 2012 e la fine del 2015.
Non si tratta di una cifra rilevante in termini assoluti, se comparata ad esempio a quella dei “foreign fighters” provenienti dalla Francia, dal Belgio, dal Regno Unito o dalla Germania. In termini relativi però, cioè riportati alla grandezza della popolazione (circa 3.800.000), non si tratta di un dato insignificante.
Bosnia, dove è facile procurarsi armi
La Bosnia Erzegovina, inoltre, ha alcune specificità, sotto il profilo del rischio terrorismo che la distinguono dalla maggior parte degli altri paesi europei. La prima è la frammentazione delle diverse forze e agenzie di sicurezza, nel contesto della complicata struttura istituzionale definita dagli accordi di Dayton.
Uroš Pena, vice capo del Direttorato per il Coordinamento delle forze di polizia del paese, ha recentemente dichiarato ai media locali che “la condivisione delle informazioni è un grosso problema. Ogni agenzia si tiene strette le migliori informazioni di cui dispone [...] Non abbiamo neppure una chiara definizione delle giurisdizioni”.
Il secondo elemento di rischio, per la Bosnia Erzegovina, è la relativa facilità con cui, a vent\'anni dalla fine della guerra, è ancora facile procurarsi armi. Quando sono stati firmati gli accordi di pace, molti hanno preferito conservare le armi, ad ogni buon conto. Queste armi possono ora finire nelle mani sbagliate nei modi più diversi, vendute sul mercato nero anche solo per aggiustare temporaneamente il bilancio familiare.
Il fatto invece che poco meno della metà della popolazione della Bosnia Erzegovina sia di fede, cultura o tradizione musulmana, l\'aspetto in genere più sottolineato dai media europei che si sono occupati del fenomeno terrorista nel paese, non rappresenta di per sé un elemento di rischio.
La comunità islamica locale (Islamska Zajdenica, IZ) ha sempre denunciato con forza il terrorismo e la violenza, invitando i propri fedeli a tenersi distanti dai gruppi radicali che cercano di sovvertire le regole su cui da secoli si fonda l\'Islam in questa regione.
Alle origini dei mujaheddini in Bosnia
Questi gruppi, secondo il giornalista Esad Hećimović, autore di “Garibi - Mujaheddini in Bosnia Erzegovina tra il 1992 e il 1999”, hanno cominciato a manifestare la propria presenza nel paese a partire dal 1992, anno di inizio della guerra in Bosnia. Alcune centinaia di combattenti (un numero verisimile è quello di 800 combattenti, secondo Hećimović), provenienti da paesi arabi o dall\'Afghanistan, si unirono alla brigata “El mujahid” dell\'Armija BiH, Esercito della Bosnia Erzegovina, o a formazioni minori, combattendo dalla parte dei bosniaco musulmani.
Dopo la guerra, la loro influenza continuò in modi diversi, attraverso il lavoro di predicatori, l\'assistenza finanziaria o la creazione di un sistema alternativo di welfare.
Oggi, venti anni dopo la fine della guerra, è difficile valutare la diffusione e influenza dei gruppi radicali. Data la conformazione del paese, si tratta di una presenza localizzata soprattutto in villaggi isolati, in zone montuose o rurali, dove questi gruppi conducono una sorta di vita sociale e religiosa parallela. Non tutti sono naturalmente legati alle reti del terrorismo internazionale, né tutti credono nell\'uso della violenza per la lotta politica o religiosa.
La comunità islamica ha però cercato recentemente di ricondurre le 64 comunità ribelli censite all\'interno della propria giurisdizione. Il difficile percorso non ha però sortito grandi risultati. Al termine dei colloqui, solo 14, delle 38 che hanno partecipato al processo, hanno accettato di (ri)entrare a far parte della comunità ufficiale.
Andrea Oskari Rossini nel corso degli anni \'90 ha lavorato in diversi progetti di assistenza ai profughi dell\'ex Jugoslavia in Italia e poi in programmi di cooperazione comunitaria e decentrata nei Balcani. Giornalista professionista e documentarista, lavora con Osservatorio Balcani e Caucaso dal 2002.
Quest\'articolo è frutto di una collaborazione editoriale tra l\'Istituto Affari Internazionali e Osservatorio Balcani e Caucaso.
ATLANTIC INITIATIVE: http://www.atlanticinitiative.org
Quatorze ans après sa mort, l’ancien Président bosniaque fait un retour en force sur les écrans. Plusieurs films et séries documentaires turques reviennent sur le parcours du « père de l’indépendance » de la Bosnie-Herzégovine, présenté comme le « dernier rempart de l’islam dans les Balkans ». Une approche hagiographique qui, bien sûr, provoque de vives réactions en Republika Sprska...
https://www.courrierdesbalkans.fr/Bosnie-Herzegovine-Alija-Izetbegovic-dernier-rempart-de-l-islam
Les départs de combattants islamistes vers la Syrie ou l’Irak ont pris fin en 2016, affirment les autorités de Bosnie-Herzégovine. En revanche, les retours au pays ont augmenté....
https://www.courrierdesbalkans.fr/Bosnie-Herzegovine-condamnations-Syrie-Irak
Recensione di La porta d’ingresso dell’Islam, di Jean Toschi Marazzani Visconti, Editore Zambon 2016
http://www.linterferenza.info/esteri/la-porta-dingresso-della-jihad-made-in-usa/
Plus de 80 enfants originaires de Bosnie-Herzégovine se trouveraient actuellement sur les territoires contrôlés par les forces de l’organisation de l’État islamique. Certains d’entre eux auraient même été intégrés à des unités combattantes. C’est ce que révèle une étude de l’ONG Atlantic Initiative...
En Bosnie-Herzégovine, de plus en plus de femmes acceptent de devenir la deuxième femme d’hommes originaires de pays arabes. Des unions « basées sur l’amour et le respect », disent-elles, mais qui sont illégaux, autant aux yeux de la communauté islamique locale, qu’à ceux de la loi bosnienne...
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