Avviare un'indagine a quelle assegnate al fascista Mori e ad altri 300
Stante la gravità e inammissibilità di quanto accaduto, si chiede con forza alla presidenza del Consiglio di sospendere temporaneamente l’applicazione della legge suddetta e di dar luogo ad una indagine accurata, non solo sulla medaglia concessa di recente a Paride Mori (per la quale esistono già, comunque, elementi più che sufficienti per imporne la revoca), ma anche a quelle concesse negli anni precedenti a persone ritenute meritevoli del riconoscimento previsto dalla legge citata e che, invece, risulterebbero assolutamente in contrasto con le norme e lo spirito della legge e della Costituzione. In ogni caso, nessun riconoscimento – né per questa legge né per altre – può essere attribuito a chi militò per la Repubblica Sociale Italiana, in nome di una presunta pacificazione. Non c’è nulla da “pacificare”; c’è solo da rispettare la storia e la Costituzione, nata dalla Resistenza.
L’ANPI svolgerà ogni azione necessaria per ottenere i risultati più sopra indicati, in nome della verità e della giustizia; considerandosi fin d’ora mobilitata, in tutti i suoi organismi, per la difesa di princìpi e valori assolutamente imprescindibili.
Vorrei sottoporre alla loro attenzione, se valga la pena di andare avanti con le medaglie, raccomandando, in ogni caso di accertarsi che le modalità (di assegnazione) siano corrette e che certe medaglie non rappresentino un insulto anche per chi le ha meriate e le merita davvero, oltreché per la nostra sensibilità democratica.
Ma quanti e chi sono stati coloro che hanno ricevuto riconoscimenti e medaglie nei primi dieci anni di applicazione della legge?
febbraio 2018
Pubblicato il: 05/02/2019 17:26
"L'esercito di liberazione jugoslavo non ha mai infoibato nessuno, non c'è nemmeno un documento che attesti questo. Quei fatti nella maggioranza dei casi sono stati frutto di vendette personali". A parlare all'Adnkronos è Alessandra Kersevan, con Claudia Cernigoi e Alessandro Sandi Volk tra gli autori del sito www.diecifebbraio.info, finito al centro delle polemiche di questi giorni sul convegno 'revisionista' del 10 febbraio che vede la partecipazione dell'Anpi di Parma (e da cui l'Anpi nazionale ha preso le distanze).
Kersevan lamenta un "clima da caccia alla streghe" e spiega: "Noi siamo semplicemente dei ricercatori che pensano che le vicende storiche vadano affrontate sulla base dei documenti e lette nel loro contesto storico, soprattutto vicende come quelle del confine orientale, piene di implicazioni politiche e culturali, e anche di pregiudizi. Negli anni il nostro gruppo ha affrontato tutti gli aspetti della questione, dalla prima guerra mondiale in poi. D'altra parte, il tema è stato al centro dei lavori di una commissione storica italo-slovena nel 1993. L'idea era dare una visione comune di quello che accadde al confine orientale tra il 1880 e il 1956 che facesse da base per i successivi rapporti diplomatici tra i due paesi. Però lo Stato italiano, che pure ha pagato per questa commissione, non ne ha mai preso in considerazione i risultati. Anzi, ha istituito il giorno del ricordo, sostenendo peraltro l'assurdità che delle foibe non si fosse mai parlato".
"L'esercito di liberazione jugoslavo non ha mai infoibato nessuno, non c'è nemmeno un documento che attesti questo - sottolinea l'esperta - Tutto quello che viene detto e spacciato come verità indiscutibile è nei fatti la propaganda preparata nel 1943 dai servizi nazifascisti e negli anni successivi nel clima da guerra fredda. D'altra parte, tra il 1946 e il 1947 sono stati fatti decine di processi, ci sono state condanne e assoluzioni, e tra i condannati ci sono stati molti italiani. Il che conferma che non è stato l'esercito di liberazione jugoslavo a ordinare questi fatti, che, invece, nella maggioranza dei casi, sono stati frutto di vendette personali. Altra cosa sono stati poi gli arresti di repubblichini e fascisti da parte degli jugoslavi". Secondo Kersevan, anche se oramai "neppure gli storici più schierati parlano più di pulizia etnica", sul fronte del numero delle vittime, "si sparano numeri a caso": "Fino a qualche anno fa si parlava di 50mila, adesso nessuno si spinge a parlare di più di 10mila infoibati. Anche se in realtà sono molti di meno".
Kersevan non rileva l'inopportunità di toccare anche questi temi più controversi proprio nel giorno del ricordo, come appunto in occasione del convegno di Parma, e sottolinea: "La legge del Ricordo all'art. 1 afferma che bisogna ricordare 'le foibe e l'esodo e la più complessa vicenda del confine orientale'. Di questa più complessa vicenda nelle commemorazioni ufficiali non si parla mai e la storia comincia con il 1 maggio del '45 o all'8 settembre del '43". E poi, sottolinea, "oramai non si tratta più di un giorno. Non si è nemmeno finito di celebrare la giornata della memoria che si passa alle foibe, e c'è anche chi fa confusione tra i due temi". In ogni caso, secondo l'esperta, "un fatto va valutato indipendentemente da come lo tratta e non ci deve essere un'associazione che ne ha il monopolio. Chi dice che gli esuli siano in grado di raccontare quelle vicende in modo oggettivo?", si domanda. Quanto all'Anpi che il Comune di Roma voleva mandare nelle scuole per parlare delle foibe, secondo Kersevan "i partigiani hanno fondato la Repubblica nata dalla Resistenza, e l'Anpi non può essere trattata così come stanno facendo, Salvini in testa".
"La questione qui è che chiunque dica una cosa diversa da una verità ufficiale è considerato un reprobo - denuncia la ricercatrice - C'è un clima da caccia alla streghe, ma io sono contraria a qualsiasi legge che persegua chi scrive. La libertà si espressione non si può negare a nessuno". Nemmeno ai revisionisti del nazismo? "Io dico confutiamoli con i documenti. Le verità di Stato non ci possono essere. Non si può impedire la ricerca storica. La libertà è il primo valore che la resistenza ci ha insegnato".
"Definirci negazionisti è non solo sbagliato, ma un assurdo, dato che siamo gli unici a fare vera ricerca sul tema" scrive lo storico Sandi Volk in una lettera aperta, indirizzata al ministro degli Interni Matteo Salvini, al governatore del FVG Massimiliano Fedriga, e alla presidente nazionale dell'Anpi Carla Nespolo in merito alle polemiche sull'iniziativa "che da oltre dieci anni diverse associazioni antifasciste organizzano a Parma in occasione del Giorno del Ricordo e che quest'anno (come già in anni passati) mi vede onorato dell'invito a portarvi un mio contributo". "Personalmente mi occupo da anni di raccogliere i nomi (dato che non esiste un elenco ufficiale) delle persone alla cui memoria ogni 10 febbraio vengono assegnati i riconoscimenti" aggiunge. "Dove starebbe il negazionismo? - si chiede Volk - Nel fatto che le persone alla cui memoria è stato concesso il riconoscimento sono in tutto 354 (al 10/2/2018)? Che tra i c.d. infoibati a cui è stato concesso il riconoscimento c'è pure una persona per la quale è accertato che è morta da partigiano, uccisa dai nazisti? Che di un'altra la stessa motivazione ufficiale per la concessione del riconoscimento afferma che è stata fucilata dai nazisti? Che gran parte dei riconoscimenti sono stati concessi alla memoria di persone cadute in combattimento, o facenti parte di formazioni armate al servizio dei nazisti, o, ancora, condannate a morte dopo un processo che ne aveva accertato la responsabilità per delitti efferati, che stando alla lettera della legge dovrebbero essere escluse dalla possibilità di avere il riconoscimento? Vogliamo confrontarci su questo in maniera seria, argomentata e documentata? Non ci siamo mai tirati indietro, anzi". "Al Ministro degli Interni ho da dire solo un bel - e credo che apprezzerà - 'me ne frego' delle sue contumelie - aggiunge Volk - Perché se una volta mi facevano arrabbiare ora le considero scontate, il ripetersi di un copione, che non fa che confermare che quanto sto e stiamo facendo è giusto e sta dando risultati. Visto che di 'negazionisti' ce n'è sempre di più e sempre più autorevoli e che pian pianino la realtà sulle fandonie che vengono raccontate ogni 10 febbraio si sta facendo sempre più strada".
"Al Presidente della Regione FVG Fedriga - aggiunge Volk - dico che sono assolutamente d'accordo quando afferma che usare il dolore '' per alimentare divisioni e riaprire ferite che hanno lacerato il confine orientale nel secondo dopoguerra è un esercizio che la Regione non può che condannare con forza'', solo che a farlo non sono certamente gli organizzatori dell'iniziativa di Parma, ma altri. Ad esempio l'Associazione nazionale congiunti infoibati, che nell'aprile del 2016 ha indicato al sindaco di Osilia, in Sardegna, il nominativo di un cittadino osiliese che, a dire dell'associazione, sarebbe stato 'infoibato', ma che il Ministero della Difesa ha accertato essere morto in Russia". "Alla presidente dell'Anpi vorrei chiedere un minimo di coerenza - prosegue Volk - Perché non è possibile fare appelli all'antifascismo e poi considerare 'non condivisibile' quanto fanno coloro che l'impegno antifascista lo hanno pagato e lo pagano con licenziamenti, attacchi, insulti e minacce. Perché o si sta con gli antifascisti, oppure si sta con chi fa, lui si, il gioco degli amici di Casapound: i 'fascisti del terzo millennio' l'occupazione dello stabile in cui hanno la loro sede nazionale a Roma l'hanno 'regolarizzata' all'epoca del sindaco Veltroni, e sono diversi gli esponenti del PD che con Casapound hanno 'democraticamente' interloquito, anche partecipando a incontri nelle sedi dell'associazione fascista. Questi sono coloro che hanno sdoganato Casapound e simili, che hanno avuto nel Giorno del Ricordo lo strumento della ri-legittimazione ufficiale del fascismo e dei fascisti, passati e attuali. A dimostrarlo c'è proprio quanto accade ad ogni 10 febbraio, quando le varie organizzazioni fasciste fanno a gara per onorare pubblicamente e con la benedizione dello Stato (nonché con finanziamenti e sponsorizzazioni pubbliche) i ''loro'' caduti e diffondere le loro teorizzazioni".
A Trieste la Resistenza era anche internazionalista, partigiani italiani e sloveni che avevano combattuto assieme, e la memoria di questa epopea è stata trasmessa negli anni dalle canzoni del Coro Partigiano Triestino Pinko Tomažič. In più di quarant’anni di lotta politiche i punti fermi che mai mi hanno abbandonato sono stati la contrarietà alle guerre, la solidarietà internazionale, l’antifascismo ed il rispetto della memoria della Resistenza.
A metà degli anni ‘90, dopo la “caduta” del muro di Berlino e la dissoluzione della Jugoslavia scattò l’offensiva contro la Resistenza, offensiva che (prima di scagliarsi contro la Resistenza italiana, vedi i libri di Pansa) iniziò con un attacco ai militanti che operarono al confine orientale, con la montatura del “processo per le foibe”, partito da denunce di una sorta di task-force che comprendeva leghisti con un passato nel neofascismo filogolpista come il sedicente ricercatore storico Marco Pirina, indicato come consulente dall’avvocato piduista Augusto Sinagra che si attivò, assieme ad esponenti delle associazioni degli esuli e dell’ormai disciolto MSI per denunciare una serie di comandanti partigiani (italiani sloveni e croati), accusati in base a prove inesistenti di avere commesso una serie di nefandezze ed addirittura un “genocidio” (come pretese il PM che condusse l’inchiesta, il simpatizzante di Alleanza Nazionale Giuseppe Pititto). Fu in quel momento che decisi di mettermi a studiare le “foibe”, perché trovavo inaccettabile che compagni partigiani, ormai di una certa età, dovessero finire sotto giudizio (ma soprattutto trattati come “mostri in prima pagina” da una certa stampa) per fatti non avvenuti, almeno non nei termini di cui parlava l’accusa di Pititto.
Il primo atto d’accusa contro questa montatura fu “Operazione foibe a Trieste”, pubblicato nel 1997, che valse a me e alla casa editrice una richiesta di danni milionaria (350 dell’epoca) da parte del giudice Pititto (il Tribunale civile poi gli diede torto, ma per poter continuare a richiederci il risarcimento Pititto rinunciò a continuare la causa che aveva iniziato, ed alla quale sembrava tenere tanto; comunque anche il “processo per le foibe” si concluse con un nulla di fatto, grazie soprattutto al lavoro di ricostruzione storica che conducemmo come consulenti della difesa), e mi valse inoltre una serie di querele (tutte archiviate) e, dulcis in fundo, anche qualche minaccia di morte ed intimidazioni varie.
Per la difesa dei partigiani accusati di essere degli “infoibatori” si costituì un gruppo di persone (tra cui cito Alessandra Kersevan e Sandi Volk, in quanto sotto tiro in questi giorni per la conferenza di Parma su cui tornerò più avanti), gruppo cui anni dopo Kersevan volle dare il nome di “Resistenza storica”, perché il nostro lavoro era, ed è tuttora, quello di fare ricerca storica resistendo alle manipolazioni ed agli stravolgimenti di coloro che usano la storia a scopi politici, per denigrare l’antifascismo e riabilitare la zona grigia se non addirittura il nazifascismo. Abbiamo lavorato per anni, consultando archivi, leggendo testi, intervistando testimoni, confrontandoci tra noi ed il lavoro che abbiamo fatto è visionabile online nella pagina http://www.diecifebbraio..info/ e nel catalogo della collana Resistenza Storica della Kappa Vu http://shop.kappavu.it/categoria-prodotto/storia-it-it-it/resistenza-storica/.
Su questi argomenti, dopo “Operazione foibe a Trieste”, nel 2005 ho pubblicato “Operazione foibe tra storia e mito” e nel 2019 “Operazione Plutone. Le inchieste sulle foibe triestine”. Nel frattempo, nel 2013 ho pubblicato uno studio sull’Ispettorato Speciale di PS “La Banda Collotti. Storia di un corpo di repressione al confine orientale”. Ho anche dato alle stampe, in autoproduzione, una serie di dossier dedicati alla storia del confine orientale a cavallo della Seconda guerra mondiale (tra i molti segnalo “La foiba di Basovizza”; “Il caso Norma Cossetto”, “In difesa di Ivan Motika” e “Dossier Maria Pasquinelli” sulle foibe istriane; ed ancora, sulla Resistenza locale “Partigiani di Guardiella” e “Le due resistenze di Trieste”; “Alla ricerca di Nemo”, sul lavoro dei servizi italiani e britannici e “Le violenze per Trieste italiana”, sul dopoguerra a Trieste) quasi tutti disponibili nella pagina http://www.diecifebbraio.info/.
Mi sono dilungata su tutto questo per una serie di motivi. Il primo è che sono francamente stufa di essere tacciata come incompetente da gente che non ha né arte né parte per valutare la mia preparazione storica; il secondo è che sono stufa che il mio lavoro non venga riconosciuto neppure in alcune sedi culturali para-istituzionali, come nell’ultimo “vademecum” sul Giorno del Ricordo pubblicato a cura dell’Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione di Trieste, nel quale non solo non si tengono nel minimo conto le mie ricerche ma i miei libri non compaiono neppure in bibliografia.
La cosa più grave, però è stata per me leggere il comunicato della presidente dell’Anpi Carla Nespolo, che si è “dissociata” dall’iniziativa sul Giorno del Ricordo che avrà luogo a Parma il 10 febbraio prossimo. E’ dal 2006 che il Comitato Antifascista Antimperialista e per la Memoria Storica (con l’appoggio dell’Anpi e dell’Anppia) organizza per questa ricorrenza un evento ricco di interventi storici e culturali, filmati, musica, sempre con relatori di spessore. Quest’anno tutto ciò non va più bene: i soliti vigilantes della storia, quelli che “la storia deve essere di regime”, quindi ha diritto di parola solo chi si adegua, hanno lanciato l’ennesima polemica contro l’iniziativa, accusando i relatori e gli organizzatori di fare “negazionismo” delle foibe, in base al programma che riporto:
Cosa non c’è di condivisibile nell’iniziativa di Parma, presidente Nespolo? Ha letto gli studi precisi, approfonditi, circostanziati di Sandi Volk, che ha raccolto quanti più dati possibile sulle persone che sono state “premiate” ai sensi della legge sul Ricordo, dimostrando che la maggior parte dei “premiati” erano combattenti fascisti, collaborazionisti del Reich? (qui il risultato delle ricerche di Volk: http://www.diecifebbraio.info/elenco-dei-premiati-per-il-giorno-del-ricordo/questo ). Ha letto quanto abbiamo scritto (ormai sono vent’anni) sulla “foiba” di Basovizza, che E’ UN FALSO STORICO, in quanto non vi è alcuna prova che vi si siano svolte esecuzioni di massa da parte degli Jugoslavi, ma in compenso vi è sufficiente documentazione (da noi pubblicata) che dimostra che il pozzo è stato svuotato più volte e si sono trovati resti umani per un totale di 10/15 persone, alcuni dei quali in divisa tedesca? (è tutto spiegato qui: http://www.diecifebbraio.info/2012/01/la-foiba-di-basovizza-5/letto ). Ha letto il mio studio sul caso Norma Cossetto (può anche visionare il video, si trova su Youtube), nel quale dimostro non solo che le cosiddette testimonianze (anonime) non sono attendibili ma che anche la sorella ed il cugino di Norma hanno dichiarato in più volte cose diverse e contraddittorie tra loro? (il dossier è scaricabile qui: http://www.diecifebbraio.info/2012/01/il-caso-norma-cossetto/).
L’iniziativa di Parma, scrive la presidente Nespolo, offre pretesto per le polemiche. E noi non vogliamo polemiche, ovviamente. Per non dare adito a polemiche, accettiamo che ci si dica che i partigiani erano tutti criminali, che ammazzavano rubavano e violentavano civili; che quando c’era LVI i treni andavano in orario e se abbiamo le pensioni e la tredicesima è per merito del fascismo. Accettiamo che il ministro Selfini chiuda i porti e faccia il braccio di ferro con l’Europa usando vite umane come ostaggi sequestrati su una nave per settimane: mica vogliamo fare polemiche, vero?
Ma non hanno forse scatenato polemiche gli antifascisti, quando si sono messi contro il regime di Mussolini? quando hanno continuato a pubblicare i propri giornali, fino a finire in galera? e non era polemico, Gramsci, nel suo insistere nello scrivere contro il fascismo? e Matteotti, nel suo intervento alla Camera, l’ultimo prima di essere assassinato, quante polemiche avrà scatenato? e non parliamo delle polemiche contro i partigiani armati, cui si addebitavano le responsabilità delle rappresaglie dopo le azioni armate (vedi via Rasella e le Fosse Ardeatine): altro che polemiche, hanno suscitato i partigiani durante la Resistenza. Si fossero conformati a quello che voleva il regime, non ci sarebbero state polemiche, vero Presidente Nespolo?
Ma noi non ci conformiamo. Siamo stanchi di veder offendere la lotta di liberazione ed i suoi militanti, che hanno sacrificato le proprie vita per un mondo libero. Siamo stanchi di essere discriminati, offesi, calunniati, minacciati, per le cose che scriviamo. Ma è la mancanza di solidarietà da parte di chi dovrebbe, in teoria, stare dalla nostra parte, che è la parte della verità e della giustizia, dell’antifascismo e della democrazia, quello che più ci fa star male. Non ce l’aspettavamo davvero, questa censura da parte dell’Anpi nazionale, ma ne prendiamo atto. Noi continueremo la nostra lotta di resistenza storica e culturale, non vogliamo finire in quella “zona grigia” che mette sullo stesso piano i crimini nazifascisti e le azioni partigiane e che sembra la nuova frontiera dell’Anpi nazionale, preoccupata di fronte alle “polemiche” scatenate dalla ricerca storica e non dallo squadrismo che vuole impedire agli antifascisti di parlare.
Poi ciascuno si prenderà le proprie responsabilità. Noi restiamo qui.
Claudia Cernigoi, 6 febbraio 2019
Giorno del ricordo. I mancati conti col nostro passato fascista e l'assenza di una ridefinizione della complessità storica, fanno sì che le foibe vengano presentate come «pulizia etnica» o come violenza perpetrata contro gli italiani in quanto tali
su Il Manifesto del 06.02.2019
Sono collocati da tempo al centro del dibattito in Italia, e non solo, l’uso politico della storia, la formulazione di leggi memoriali ad hoc e il tema, già discusso in Parlamento, di una codificazione normativa. Codificazione che si proporrebbe di sanzionare giuridicamente veri o presunti «negazionisti», determinando una torsione del senso del passato schiacciata sulla misura minuta del quotidiano. Un processo di questa natura comporta una semplificazione dei termini della complessità storica che, in ultima istanza, pone una questione di grande rilievo sul piano della memoria e dell’identità stessa della nostra società.
Da un quindicennio attorno al Giorno del ricordo si consuma un conflitto storico-memoriale che in alcuni casi ha finito per esorbitare nella dimensione politico-diplomatica (basti pensare all’aspra polemica tra il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e l’allora Presidente del consiglio croato Stipe Mesic e lo scrittore italo-sloveno Boris Pahor)..
Questo conflitto è caratterizzato da un non detto pubblico relativo all’eredità fascista dell’Italia post-bellica che impedisce, di fatto, una completa ricostruzione ed un compiuto conferimento del senso della storia consumatasi sul nostro confine orientale e sfociata nelle violenze subite dagli italiani in quelle terre prima nel 1943, dopo lo sbando dell’8 settembre, e poi nel 1945.
Quanti conoscono in Italia il generale Mario Roatta e le misure di repressione di civili e partigiani jugoslavi riassunte nella sua «Circolare 3 C»? quanto l’opinione pubblica viene resa edotta della condotta del «governatore del Montenegro» Alessandro Pirzio Biroli, del generale Mario Robotti, per il quale in Jugoslavia «si ammazza troppo poco», o del generale Gastone Gambara che nel 1942 scriveva «logico e opportuno che campo di internamento non significhi campo di ingrassamento»?
Quanti sanno che delle migliaia di «presunti» criminali di guerra italianiinseriti nelle liste delle Nazioni Unite alla fine del conflitto nessuno venne processato in Italia o all’estero? Il mito degli «italiani brava gente» ha ragion d’essere di fronte alla consolidata storiografia che ormai da decenni ha ricostruito documentalmente i crimini di guerra del regio esercito e delle formazioni fasciste?
Fu Mussolini stesso, d’altro canto, il 22 settembre 1920 a Pola, ad anticipare ciò che sarebbe accaduto «di fronte ad una razza come la slava, inferiore e barbara non si deve seguire la politica che da lo zuccherino, ma quella del bastone […]credo che si possano più facilmente sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani».
I mancati conti col nostro passato fascista, dunque, impediscono di dare compiuta attuazione alle stesse disposizioni del Giorno del ricordo che si propone da un lato di «conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe e dell’esodo» e contestualmente di affrontare «la più complessa vicenda del confine orientale». Senza una ridefinizione della complessità storica le foibe vengono presentate come «pulizia etnica» o come violenza perpetrata contro gli italiani in quanto tali.
In realtà l’Esercito Popolare di Liberazione comandato da Josif Broz Tito combatté contro tutti gli eserciti di occupazione e contro tutti i loro collaborazionisti, indipendentemente dalla loro nazionalità: gli ustascia croati, i cetnici serbi, i domobranci sloveni, i nazisti tedeschi ed i fascisti italiani. E sostenne quella lotta di liberazione con al fianco migliaia di soldati italiani unitisi alle formazioni partigiane dopo l’armistizio. Contestualmente un gran numero di jugoslavi deportati in Italia nei campi di internamento dopo l’8 settembre si unirono ai partigiani italiani nella Lotta di Liberazione Nazionale da cui è nata la Costituzione della Repubblica.
L’uso strumentale delle drammatiche vicende del confine orientale e delle foibe ha trovato espressione, nella cronaca politica, negli scomposti attacchi del ministro dell’Interno all’Anpi e nel paradossale voto della commissione Cultura della Camera che, indice del grado di erosione democratica del nostro tempo, vorrebbe impedire all’associazione dei partigiani, che il Parlamento riaprirono dopo il terrore del ventennio fascista, di parlare nelle scuole pubbliche del confine italo-jugoslavo durante la seconda guerra mondiale.
Di quella storia invece è indispensabile parlare. Rosario Bentivegna, comandante dei Gap a Roma e combattente in Jugoslavia, insisteva sempre nel dire «più ancora di ciò che abbiamo fatto noi partigiani si deve parlare di ciò che è stato il fascismo. Solo così sarà possibile seppellirlo per sempre».