1) Split/Spalato 9.2.2019.: Aggressione contro quattro giocatori di pallanuoto della Stella Rossa Belgrado / Split opet pocrvenio – od stida!
2) SRP: Stav povodom izjave predsjednika uprave Uljanika / Hrvatski kapitalizam uništio je Uljanik!
Oggi a Knin la Croazia celebrerà l’Operazione militare Oluja (Tempesta) con la quale il 5 agosto del 1995 l’esercito riprese il controllo della Krajina, fascia di territorio che abbraccia il confine orientale del paese con la Bosnia Erzegovina, allora abitato in maggioranza da serbi di Croazia. Un territorio dove nel 1990 era stata autoproclamata la cosiddetta Republika Srpska di Krajina e che dal 1991 divenne roccaforte dei serbi ribelli che, con l’aiuto dell’Armata popolare jugoslava e delle unità paramilitari provenienti dalla Serbia, crearono all’interno della Croazia uno stato dentro lo stato, perpetrando crimini e la cacciata dei croati residenti.
Iniziata alle 5 del mattino del 4 agosto 1995 con il bombardamento di Knin - dove le truppe entrarono il giorno successivo - in pochi giorni i militari croati ripresero il controllo dell’intero territorio. L'azione lampo è raccontata con enfasi nel documentario "VRO Oluja " - premiato al Festival 'Eserciti e popoli' tenutosi a Bracciano: "Già il secondo giorno la maggior parte delle città era libera. In sole 84 ore, con l'impegno di 200mila soldati, più di 10 km² del territorio è stato liberato!". Nessuna menzione delle centinaia di vittime, ma anche dell’esodo di circa 200mila serbi di Croazia dei quali solo poche migliaia rientrarono a fine conflitto.
Da 24 anni Oluja viene celebrata in Croazia in pompa magna, perseguendo la retorica da vincitore e senza riferimento alle vittime civili serbe, come colpo conclusivo della vittoriosa “Domovinski rat” (Guerra patriottica”). In parallelo, in Serbia, dove si era rifugiato il maggior numero dei serbi di Croazia, si celebra una giornata di lutto. Così è accaduto ieri, con la manifestazione nazionale "Oluja è pogrom " sulla spianata del Monastero di Krušedol.
Vittime strumentalizzate
Le vittime di quell'operazione sono, di nuovo, assenti nelle dichiarazioni rilasciate il 1° agosto scorso dalla presidente croata Kolinda Grabar-Kitarović. Anzi, la presidente ha definito l’operazione Oluja una pietra miliare che ha segnato l’arrivo della pace, ribadendo inoltre che le operazioni militari dell'esercito croato in Bosnia Erzegovina hanno interrotto l’aggressione serba ed evitato una nuova Srebrenica. “Di fatto, Oluja ha salvato la Bosnia e vorrei che i nostri vicini non si dimentichino mai di chi ha dato loro una mano nei giorni più duri”, ha concluso la presidente croata, provocando immediate e dure reazioni in Bosnia.
Ad alimentare il discorso nazionalista, sulla pelle delle vittime, non è stato da meno Milorad Dodik - rappresentante serbo alla presidenza tripartita della BiH. Presente alla giornata di Krušedol, accanto al presidente Vučić e alla premier serba Brnabić, ha dichiarato: "Il secolo passato è stato il secolo della tragedia serba (...) e la libertà del popolo serbo dipende dalla costruzione di un unico stato".
A distanza di 24 anni molti si dimenticano invece ciò che ha ricordato Milorad Pupovac, deputato del Sabor e presidente del Partito democratico indipendente serbo (SDSS ), alla Tv N1 : “Non vi sono cambiamenti significativi, il problema maggiore è rimasto quello dell’assenza di procedimenti legali per i crimini di guerra e l’esodo forzato di quei giorni, la distruzione dei villaggi e il saccheggio delle proprietà, oltre che l’impedimento al ritorno. E il problema maggiore per i serbi di Croazia è il fatto che non vi sono visibili intenzioni di risolvere questi problemi”.
Infatti, solo una minima percentuale della minoranza serba è rientrata a vivere in Croazia. Nell’anno dell’ingresso del paese nell'UE, avevamo intervistato Pupovac: “Dai dati in nostro possesso risulta che sono tornate a vivere nelle loro case 136.000 persone. Questo è vero sulla carta, ma nella realtà il numero è di 70.000, quindi circa la metà, su un totale di oltre 300.000 tra profughi e sfollati, di cui la maggior parte dalla Krajina a causa dell'operazione Tempesta. Secondo il censimento del 2011, risulta che oggi in Croazia ci sono 186.000 persone della minoranza serba e cioè il 4,6 per cento sul totale della popolazione. Mentre prima della guerra erano 600.000.”
Rispetto al territorio della Krajina, sono in maggioranza anziani e in numero molto basso. C’è chi rientrato ha vissuto situazioni di terrore e minaccia, soprattutto nei primi anni dalla fine del conflitto. Un gran numero ha incontrato difficoltà a riprendere possesso della proprietà, e chi ci è riuscito non ha ottenuto, o solo in parte, i fondi per ricostruirla. Dopodiché c’è anche chi l’ha venduta agli occupanti, in gran parte croati di Bosnia fuggiti dalla guerra scoppiata nel 1992 e accolti nei campi profughi in Croazia, qui spostati a seguito dell’esodo dei serbi dell’agosto ‘95. Infine, dopo anni e anni di attesa e di vita all’estero, parecchi non hanno voluto rientrare in un territorio con grossi problemi infrastrutturali ed economici.
Guerra dei numeri
A distanza di 24 anni prosegue inoltre quella che possiamo definire la “guerra dei numeri”: infatti, rispetto alle vittime civili serbe durante (e dopo) l’Operazione Oluja si parla ancora di stime (non essendoci un numero ufficiale sia dei morti che degli scomparsi) che divergono di molto a seconda delle parti in causa.
Stime che permettono alle parti di proseguire da vent’anni ad aumentare o diminuire il numero delle vittime a seconda delle necessità del momento. Lo ha spiegato bene Aleksandar Sekulović, autore del capitolo "Srpso-hrvatske kotroverze – Šta je bila 'Oluja' " (Le controversie serbo-croate. Cosa è stato Oluja), della rivista del Comitato Helsinki per i diritti umani di Belgrado uscita a ottobre 2012, in cui ha analizzato metodi e motivi del "gioco" delle parti sui numeri. “In una situazione dove sarebbe necessario raccogliere finalmente dati incontrovertibili, visto che Human Rights Watch stima 116 tra le vittime civili (…) mentre il Comitato Helsinki croato ne stima molti di più, 681, e allo stesso tempo fonti serbe ne dichiarano 1205, per fermare questo brutale gioco che sia la Serbia che la Croazia fanno sulla pelle delle vittime”.
A proposito di fonti serbe, l’unica organizzazione che finora ha pubblicato, nel 2014, una lista “Vittime civili e militari serbe durante Oluja” – con nomi e cognomi, nome del padre, data di nascita, data e luogo di uccisione/sparizione di 1719 persone - è il Centro di documentazione e informazione Veritas di Belgrado.
Abbiamo elaborato solo i dati dei civili (1070) in base a sesso, data di morte ed età. Ne è emerso che: 475 sono donne, 595 uomini; nel periodo 4-8 agosto 1995 le vittime risultano 835 (376 donne e 459 uomini), rappresentando rispettivamente il 79,16% e il 77,14% sul totale dei civili in lista, dove sono inserite persone morte anche in giorni successivi a Oluja. Sempre nel periodo 4-8 agosto, il numero più alto di vittime lo si ha nella fascia di età dai sessant’anni in su (615).
Trattasi tuttavia di una fonte "di parte" e che necessita di riscontro. Ecco perché la "Mappa delle vittime delle guerre 1991-2001 sul territorio della ex Jugoslavia " presentata a Dubrovnik lo scorso 20 dicembre , è di estrema importanza. Un’iniziativa nata nell’ambito della coalizione REKOM e che si basa sulla collaborazione tra enti che da anni raccolgono dati: "Documenta - Centro per il confronto con il passato" ("Documenta – Centar za suočavanje s prošlošću"), "Fond za humanitarno pravo" (Centro per il diritto umanitario) di Belgrado e di Pristina, "Associazione per la giustizia, la responsabilità e la memoria di transizione " ("Udruženja Tranzicijska pravda, odgovornost i sjećanje") di Sarajevo. Il lavoro è complesso e richiede l’incrocio di informazioni tra questi enti, ma anche con enti governativi e altre realtà della società civile.
Crimini e processi
Un terzo punto, molto importante, è il mancato riconoscimento di giustizia alle vittime di quei giorni, e dunque il problema dei crimini di guerra rimasti di fatto impuniti.
A novembre 2012 il nostro corrispondente dalla Croazia, Drago Hedl, alla notizia dell’assoluzione in appello da parte del Tribunale dell’Aja dall’accusa di crimini di guerra dei due generali dell’esercito croato, Ante Gotovina e Mladen Markač – condannati nel 2011 in primo grado rispettivamente a 24 e 18 anni di carcere - scriveva: “Ora sono ufficialmente diventati ciò che per la maggior parte dei cittadini croati erano già prima della sentenza d'appello: eroi e non criminali. La notizia della liberazione dei due generali, ha suscitato un grande entusiasmo in Croazia. Prima di tutto per la sentenza di assoluzione, poi per la sua motivazione: non c’è stata associazione di impresa criminale, non c’è stata deportazione degli abitanti di nazionalità serba, non c’è stato eccessivo bombardamento di Knin”.
Questa sentenza ha gettato un’ombra sul forte valore politico delle parole pronunciate nell’ottobre 2010 dall’allora presidente croato Ivo Josipović, alla posa del primo monumento in memoria delle vittime civili serbe durante Oluja, nel villaggio di Varivode: “La vendetta, il saccheggio e il crimine è inammissibile e non possiamo pulire il sangue versato, né lavare la vergogna per ciò che è stato fatto. La Croazia era vittima di un’aggressione e aveva il diritto di difendersi, ma questo crimine non doveva accadere. La responsabilità dei perpetratori non deve essere messa in discussione: vanno condannati”.
In Croazia continua ad esserci chi lavora per assicurare verità e giustizia, come Documenta di Zagabria: oltre a raccogliere dati e per creare un database sulle vittime civili dei conflitti degli anni '90, offre assistenza legale ai familiari nei procedimenti per crimini o per la restituzione dei beni, e realizza percorsi di confronto con il passato.
Tra i tanti, vale citare il caso di due dei nove anziani serbi uccisi a Varivode il 28 settembre 1995, genitori di Jovo Berić che in un’intervista dell’estate del 2012 aveva sottolineato: “Hanno fatto molto di più le parole di Josipović nel far prendere coscienza pubblica dei crimini perpetrati durante e dopo Oluja, della condanna in primo grado emessa dal Tribunale dell’Aja a carico dei due generali”.
Jovo, assieme alla sorella, ha cercato giustizia per anni. I genitori Radivoje e Marija Berić erano stati uccisi di notte nelle loro case da un gruppo di soldati, ad oggi non si sa se regolari o meno. I corpi erano stati seppelliti nella fossa comune del cimitero di Knin e solo nel 2001 sono stati esumati per l’identificazione. Per l’uccisione dei nove anziani, tutti serbi di Croazia, sono stati portati a processo sei militari, poi assolti. Le indagini sono state riaperte a carico di ignoti presso il Tribunale di Šibenik e in seguito, la Corte suprema croata ha sentenziato che la Repubblica di Croazia è responsabile della morte dei nove serbi del villaggio di Varivode, dichiarando: “Due mesi dopo la fine dell’operazione Tempesta, è stato perpetrato un atto di terrorismo contro civili serbi di Varivode, con l’intento di seminare il terrore e diffondere sentimenti di insicurezza tra i cittadini”. Per questo è stato loro riconosciuto un indennizzo di 540mila Kune (74mila euro).
E sono ancora tanti coloro che ad oggi non hanno ottenuto giustizia nelle aule di un tribunale né un risarcimento in denaro oltre che il ritrovamento dei resti dei propri familiari. È Documenta, di Zagabria, a denunciare la situazione nel suo comunicato del 1° agosto scorso: “A 24 anni da Oluja la magistratura croata ha sollevato tre accuse per crimini di guerra perpetrati su serbi della Krajina, contro sette soldati dell’Esercito croato e delle forze di polizia. Solo in due processi si è arrivati alla condanna: per i crimini contro civili nel villaggio di Mandić e di Prokljan (tra il 9 e l’11 agosto 1995)". Procedimenti legali che proseguono a rilento e che in pochi casi hanno portato a una condanna.
A 24 anni di distanza almeno un gruppo di giovani croati e serbi hanno voluto manifestare insieme: nei giorni di questo anniversario hanno ricordato da un lato l'eccidio di civili a Ovčara, perpetrato dalle truppe della JNA e di paramilitari serbi alla caduta della città di Vukovar, e dall'altra le vittime di Oluja. Gettando una timida luce in un buio panorama di negazione, rimozione o addirittura revisione della storia.
A fine agosto in Croazia si sono verificati due episodi gravi di danneggiamenti e aggressioni, verbali e fisiche, verso persone appartenenti alla minoranza serba del paese. Si tratta solo degli ultimi esempi di attacchi su base etnica contro serbi in Croazia, il che mette in luce come il rispetto delle minoranze e i rapporti tra i croati e la minoranza serba sono ancora nodi irrisolti nel paese.
I fatti di agosto
Il 21 agosto nel villaggio di Uzdolje, nei pressi di Knin, una dozzina di persone a volto coperto ha fatto irruzione in un bar, gestito da serbi, che trasmetteva il preliminare di Champions League tra la Stella Rossa di Belgrado e gli svizzeri dello Young Boys. Gli uomini hanno insultato con frasi discriminatorie e razziste i presenti e li hanno aggrediti con mazze e bastoni. Il bilancio è stato di cinque feriti lievi. Venti minuti dopo, nella vicina Đevrske, la polizia ha ricevuto notizia di un altro bar preso d’assalto e danneggiato, questa volta senza feriti.
Secondo quanto riporta la stampa croata, gli autori sarebbero tutti tifosi della squadra di calcio dell’Hajduk di Spalato, città che dista un centinaio di chilometri dal luogo delle aggressioni. Sono stati identificati e ora rischiano dai sei mesi ai cinque anni di prigione.
I precedenti
I fatti della fine di agosto non sono però dei casi isolati. Proprio a Spalato, il 9 febbraio, tre giocatori della Stella Rossa di Belgrado di pallanuoto sono stati attaccati da un gruppo di uomini, mentre il 9 giugno è toccato a quattro lavoratori stagionali dell’isola di Brač, bersaglio di alcuni ultras dell’Hajduk. Due delle vittime erano serbi di Croazia.
Il 10 giugno, poi, è morto Radoje Petkovič, il politico serbo picchiato a sangue settimane prima da un veterano di guerra croato a Viškovo, nei pressi di Rijeka. A inizio estate, ancora a Spalato, un uomo serbo è stato aggredito per un tatuaggio, giudicato provocatorio: il nome della città di Knin, in caratteri cirillici.
Tensioni storiche e odio ultrà
I serbi in Croazia sono il 4% del totale della popolazione, secondo il censimento del 2011, ma non hanno mai smesso di sentirsi mal sopportati, a più di vent’anni dalla fine delle ostilità, anche a causa della narrazione profondamente nazionalista che ha caratterizzato la nascita dello stato croato. La costituzione del 1990 relega infatti i serbi a minoranza, e quindi non più uno dei popoli costituenti della Repubblica al pari dei croati, come sanciva la precedente costituzione socialista. Le tensioni politiche tra Zagabria e Belgrado negli anni si sono riverberate nei rapporti tra le due comunità, infiammati in molti casi dalle frange più nazionaliste.
Molto spesso lo sport, e il calcio in particolare, è stato il terreno in cui è sfociato l’odio etnico. A fine agosto, ad esempio, qualche giorno prima della partita di ritorno tra Stella Rossa e Young Boys, davanti allo stadio Marakana di Belgrado, è comparso anche un carro armato T-55della JNA, l’armata federale jugoslava, messo lì dalla società per “sostenere i giocatori”. In un momento in cui la tensione tra i due stati era palpabile l’episodio è stato considerato da Zagabria come una provocazione, dato che carri armati di quel tipo erano stati usati durante l’assedio della città croata di Vukovar nel 1991.
A questa provocazione, i “Bad Blue Boys”, principale gruppo del tifo organizzato della Dinamo Zagabria, ha risposto posizionando davanti allo stadio Maksimir un vecchio trattore, schernendo quindi quelle migliaia di famiglie serbe che fuggirono dalla Croazia in seguito all’operazione “Oluja” del 1995 a bordo dei veicoli agricoli.
Richiesta di uguaglianza
Il tema del rapporto tra lo stato croato e la minoranza è stato riportato all’attenzione dell’opinione pubblica durante la campagna elettorale per le elezioni europee di fine maggio grazie al Partito democratico indipendente serbo (SDSS), la forza politica che in Croazia rappresenta la minoranza serba, guidato da Milorad Pupovac. Sui manifesti elettorali del partito campeggiavano slogan come “Sapete com’è essere serbi in Croazia?”, oppure “Jednaki” (“Uguali”), scritti però in cirillico e accostati a bandiere croate. Molti hanno subito atti vandalici, sono stati strappati o coperti con scritte e simboli inneggianti agli ustascia, il movimento fascista croato durante la Seconda guerra mondiale.
L’SDSS ha poi preso il 2,66% dei voti, un buon risultato ma non abbastanza per superare lo sbarramento del 5%, soglia alzata dal precedente 3% proprio dall’HDZ. Grazie però alla campagna di comunicazione originale e coraggiosa la richiesta di uguaglianza da parte della minoranza serba ha avuto una grande risonanza.
Le reazioni della politica
Il premier croato Andrej Plenković, dell’Unione Democratica Croata (HDZ), ha subito condannato i fatti di Knin, mentre meno limpida è stata la presidente della repubblica Kolinda Grabar-Kitarović, che si è riservata di commentare gli episodi nel dettaglio solo dopo il resoconto della polizia. Grabar-Kitarović ha però sostenuto che non per forza un episodio che veda coinvolti serbi e croati debba essere definito come “motivato etnicamente”.
Il leader del Partito socialdemocratico (SDP) Davor Bernardić, all’opposizione, ha rimarcato il susseguirsi di attacchi a sfondo etnico durante l’attuale governo. Un esecutivo che, secondo Bernardić, “Tollera l’uso del saluto ustascia Per la patria, pronti!”.
Pupovac stesso, che sostiene il governo, ha duramente criticato i tentativi di riabilitare l’ideologia ustascia, nonostante abbia ammesso che con l’arrivo di Plenković “alcuni trend negativi” siano stati bloccati temporaneamente. Ora però, secondo Pupovac, la Croazia si sta trasformando “in un fattore di instabilità nella regione”. Dichiarazioni che hanno mandato su tutte le furie il premier, che ha rivendicato i passi fatti per ridurre la polarizzazione delle società croata, invitando Pupovac a non contribuire ad alimentare le tensioni.
In un momento in cui la Croazia si appresta a entrare nello spazio Schengen e ad assumere la presidenza semestrale di turno al Consiglio dell’Unione, i casi di discriminazione e violenza verso la minoranza serba non sono un problema di poco conto, che lo stato dovrà dimostrare di affrontare con ben altra fermezza.
Una serie di attacchi contro membri della minoranza serba di Croazia destano preoccupazione. Sia l'opposizione che il partito della minoranza serba che appoggia il governo Plenković temono la situazione degeneri
A che punto è la convivenza tra croati e serbi in Croazia? I fatti degli ultimi giorni, che hanno registrato una serie di attacchi a membri della minoranza serba in diverse località del paese, fanno pensare che l’ultimo stato membro dell’Unione europea non sia ancora riuscito ad instaurare un modus vivendi stabile e sereno tra le due comunità e questo, a quasi trent’anni dalla fine delle ostilità con la Serbia. Al contrario, il leader del Partito serbo democratico indipendente (SDSS), Milorad Pupovac, parla di un paese, la Croazia, che si sta trasformando "in un fattore di instabilità per la regione" e nel quale la tolleranza inter-etnica «non è buona». La reazione sdegnata del Primo ministro Andrej Plenković alle parole di Pupovac non cambia la realtà delle cose: a pochi mesi dall’assunzione del semestre di presidenza europeo, la Croazia mostra di avere un problema con la minoranza serba.
Attacchi a Knin
L’ultima ondata di tensioni con la comunità serba è iniziata circa una settimana fa, lo scorso 21 agosto, quando in due villaggi nei pressi di Knin sono stati registrati due violenti attacchi. A Đevrske, due persone di età compresa tra i 25 e i 28 anni hanno insultato (usando dispregiativi etnici) i gestori di un bar in cui si stava guardando la partita di Champions League tra la Stella Rossa di Belgrado e gli svizzeri della Young Boys.
In contemporanea, nella vicina Uzdolje, una dozzina di persone sono entrate a volto coperto in un altro bar e, armati di mazze e un machete, hanno preso d’assalto il locale. Cinque persone sono rimaste lievemente ferite, tra cui un bambino di nove anni. Se i due assalitori di Đevrske sono stati immediatamente riconosciuti ed arrestati, per il caso di Uzdolje c’è voluto più tempo. Ma mercoledì 28 agosto, otto persone sono finite in manette con l’accusa di violenza armata (tutti ultrà dell’Hajduk di Spalato). Secondo quanto riportato dalla stampa croata, rischiano dai sei mesi ai cinque anni di prigione.
La violenza dei fatti di Knin ha inevitabilmente scatenato un dibattito politico sul caso. Davor Bernardić, il leader del Partito socialdemocratico (SDP), all’opposizione, ha dichiarato che "purtroppo, questi sono solo alcuni degli attacchi contro i serbi di Croazia registrati sotto questo governo". "La cosa non mi stupisce - ha proseguito Bernardić - perché siamo di fronte ad un esecutivo che tollera l’uso del saluto ustascia Per la patria, pronti!".
Intervenendo all’indomani degli attacchi, il premier Andrej Plenković ha espresso una ferma condanna, augurandosi un’inchiesta rapida. Plenković ha anche sottolineato come il proprio esecutivo sia sostenuto dalle minoranze nazionali, a dimostrazione - dice - dell’attenzione che porta a queste tematiche. Meno chiara, la capo di Stato Kolinda Grabar-Kitarović (candidata alle presidenziali di fine anno) ha detto: "Condanno ogni violenza, ma commenterò l’incidente di Knin dopo che avrò ricevuto una relazione dettagliata della polizia".
Violenza a Fiume?
Il dibattito attorno ai fatti di Knin non si era ancora spento che ecco un nuovo caso venire a turbare le relazioni tra serbi e croati. A Viškovo, nei pressi di Fiume, la lite tra un 70enne serbo e un 42enne croato per delle questioni di parcheggio si sarebbe trasformata, sabato 24 agosto, in una violenza fisica su base etnica. Il condizionale, però, è d’obbligo in questo caso perché, stando a quanto riporta la stampa croata, Matko Škalamere, un impiegato del soccorso alpino croato, assicura di non aver mai toccato l’anziano vicino di casa, tantomeno di averlo insultato perché serbo. E questo mercoledì, il tribunale di Fiume, sentiti tutti i testimoni, ha deciso di rimettere in libertà Škalamere, inizialmente sottoposto a un fermo di trenta giorni. Il caso potrebbe dunque ritenersi chiuso, se non fosse che l’Armada, il gruppo che riunisce gli ultrà di Fiume, ha organizzato mercoledì sera una manifestazione di sostegno a Škalamere, allungando così ulteriormente una vicenda forse durata già troppo.
Queste vicende mostrano dunque bene quale sia lo stato dei rapporti tra serbi e croati in Croazia e quanto poco basti a fare di un battibecco tra vicini una questione nazionale, destinata a finire in prima pagina dei maggiori quotidiani. Dopo che nel febbraio scorso tre giocatori della squadra di pallanuoto belgradese Stella Rossa erano stati attaccati a Spalato (con uno di loro che si era gettato in acqua per fuggire agli assalitori) e dopo che ad inizio estate un altro serbo era stato aggredito nella città dalmata perché aveva su di sé "un tatuaggio provocatorio" (la menzione di Knin in cirillico e una citazione dell’imperatore serbo Lazar), quest’estate pare non sia passata settimana senza che si parlasse di minacce o attacchi ai serbi, o semplicemente senza che fosse questione, sulla stampa, dello stato della minoranza serba, che si vede malvista, se non apertamente presa di mira.
Nuove tensioni
È probabilmente a questo stato delle cose che pensava Milorad Pupovac durante la sua intervista al portale bosniaco Radiosarajevo.ba sabato scorso. Il presidente del Partito serbo democratico indipendente (SDSS), che pur sostiene con il suo voto il governo conservatore di Zagabria, ha dichiarato che nonostante alcuni trend negativi siano stati fermati "temporaneamente" con l’arrivo di Andrej Plenković al governo, "negli ultimi due o tre mesi, notiamo un crescente numero di atti di violenza nei confronti di persone, delle loro proprietà o del loro background etnico".
È per questo, spiega Pupovac, che "la Croazia sta diventando un fattore di instabilità nella regione", dati i continui tentativi di riabilitare l’ideologia ustascia. Queste affermazioni hanno fatto saltare sulla sedia il Primo ministro, che ha indetto una riunione urgente dell’HDZ e ha dichiarato che considera "inappropriate e inammissibili le frasi del nostro alleato, che suggeriscono che la Croazia sia un fattore di instabilità e la comparano allo Stato indipendente di Croazia (NDH)".
"Tutto quello che abbiamo fatto negli ultimi tre anni aveva come obiettivo la riduzione della polarizzazione della società croata", ha proseguito Plenković che ha chiesto a Pupovac di non contribuire a dividere ulteriormente la società croata.
Mercoledì, il leader dell’SDSS ha chiuso il battibecco annunciando di non voler fare ulteriori commenti, ma intanto altri fatti sono purtroppo venuti a turbare le relazioni serbo-croate. A Belgrado, la celebre squadra di calcio Stella Rossa ha deciso di piazzare un carro armato davanti al proprio stadio, al fine di sostenere i giocatori, impegnati nella gara di ritorno contro gli svizzeri della Young Boys.
Il mezzo in questione è un T–55 sovietico, di quelli che aveva in dotazione l’armata federale jugoslava (Jna) e che furono usati anche durante le guerre degli anni Novanta. Inutile dire che per la stampa croata, il T–55 suona come una provocazione, legata all’assedio di Vukovar. Jutarnji List, ad esempio, ha ricordato come, appena due anni fa, i tifosi della squadra di basket Stella Rossa avevano già sventolato uno striscione con la scritta «Vukovar» mentre dagli spalti campeggiava proprio il disegno di un carro armato.
Un gesto puramente «sportivo» rispondono dalla Stella Rossa di Belgrado, con tanto di intervento del ministro dell’Interno serbo Nebojša Stefanović che ha assicurato che non ci sono gli estremi per la rimozione del mezzo che "non ha più niente di esplosivo".
Intanto, però, per la minoranza serba che vive in Croazia, l’iniziativa della squadra di calcio belgradese non aiuta di certo. In un susseguirsi di attacchi e provocazioni etniche, spesso firmate da tifosi di calcio, la politica croata avanza a scossoni, cercando di tenere la barra al centro mentre cresce nuovamente il peso dell’estrema destra. Allo storico croato Hrvoje Klasić, un gruppo che si è firmato «gli ustascia» ha appena scritto in una lettera: "Verremo al tuo funerale in camicia nera e grideremo Per la Patria, pronti!". La situazione è ormai più che seria nell’ultimo stato membro dell’Unione.
https://www.german-foreign-policy.com/news/detail/8112/
ZAGREB/BERLIN(Own report) - Serious accusations are being made concerning racist attacks, official commemorations honoring Nazi collaborators and excessive police brutality against refugees are accompanying Croatia's preparations for taking over the Presidency of the EU Council on January 1, 2020. Chancellor Angela Merkel visited Zagreb, yesterday, for consultations with Prime Minister Andrej Plenković about the duties he must assume in the context of Croatia's council presidency. The Croat government will also seek to ward off refugees more efficiently. For years, Croatia's border police have been using brute force to deport large numbers of refugees to Bosnia Herzegovina, in violation of international law. In addition, the Council of Europe has certified that the country is experiencing an increase in racism and glorification of the fascist Ustaša regime. One of the popular commemoration ceremonies honoring Croat Nazi collaborators is celebrated under the "patronage" of Croatia's parliament in Zagreb.
Merkel in Zagreb
Yesterday, German Chancellor Angela Merkel discussed Croatia's EU Council presidency with Prime Minister Andrej Plenković, which his country assumes on January 1, 2020. Berlin will "wholeheartedly and fully support the agenda of Croatia's presidency," the chancellor proclaimed. We are pursuing "the same priorities" and will continue "to maintain very close contact."[1] Besides regulating Britain's exit from the EU, the priorities will also include the adoption of an EU budget, and the launching of admission negotiations with Albania and North Macedonia - against France's opposition. Paris had recently blocked the initiation of negotiations.
Praise for the Ustaša
Last year, the European Commission against Racism and Intolerance (ECRI) has issued a damning report on Croatia, the country assuming the presidency of the EU Council on January 1, 2020. According to the commission's report published May 15, 2018, "racist and intolerant hate speech" is escalating in Croatian public discourse. The anti-racism commission names "Serbs, LGBT persons and Roma" as the "main targets."[3] Television channels were also found to contain racist comments, for example, Zagreb’s Z1 TV channel, warned that children, who walk near the Serbian Orthodox Cathedral in Zagreb could become "victims of Četnikslaughter." In fact, the Serbian Orthodox Church in Croatia suffered 20 incidents of vandalism in 2016 alone. Already in 2014, Croat national chauvinists assaulted a cafe in Vukovar, a border town with a large Serbian minority population and the café owners sustained serious injuries. The ECRI also reported that there is a growing rise of Croat nationalism, "particularly among the youth," which primarily takes the form of "praising the fascist Ustaša regime." Croatia's national soccer team aroused international attention during the 2018 World Cup Championships, when they bellowed out songs with Ustaša lyrics.[4]
With the Parliament's "Patronage"
References to the Ustaša are anything but incidental. During the preparations for Croatia's secession from Yugoslavia - and especially during the war of secession in the first half of the 1990s - for many separatists, the former Ustaša fascism had played an important role, as a major ideological point of reference. This was especially promoted by Franjo Tuđman, Croatia's president at the time, who was enjoying active support from the Federal Republic of Germany for Croatia's attempts to secede from Yugoslavia. (german-foreign-policy.com reported.[5]) Veneration of the Ustaša has since lived on in segments of Croatia's population. For example in Bleiburg (Austria) close to the Slovenian border, a large commemoration ceremony is annually held in honor of the Croatian Nazi collaborators, numbering in the five-digits, who had been executed by Yugoslav partisans for their crimes during their collaboration with the Nazis. The Bleiburg Ustaša commemoration has been under the patronage of the Croatian Conference of Bishops since 2003, and now, under the "patronage" of the Croatian parliament as well. Last year, for example, a denier of the mass murders carried out at the Ustaša's Jasenovac Concentration Camp, and a speaker at a meeting of the NPD (the neo-Nazi National Democratic Party of Germany) were among the participants. The ceremony is regularly visited by high-ranking politicians, including ruling Croatia's HDZ party ministers. Last year, Prime Minister Plenković excused his absence, explaining that on that particular day, he would be welcoming a very prominent politician at his party's election campaign rally - Chancellor Merkel.
Banned Concerts
Merkel's May 18 appearance in Croatia's EU election campaign created a stir. The 29-year-old HDZ top candidate, Karlo Ressler, praised the Bleiburg Ustaša commemoration in the German chancellor's presence at the rally. The HDZ - which, in the framework of the European People's Party (EPP), closely cooperates with the CDU - also intoned Croatia's popular song "Lijepa li si". Prime Minster Plenković enthusiastically and Chancellor Merkel politely clapped to the rhythm. "Lijepa li si" was composed by Marko Perković (artist's name "Thompson"), a highly popular singer in Croatia, who repeatedly sings praises to the Ustaša. Therefore, his concerts at times were banned in other countries - including Germany. "Lijepa li si" is a national chauvinist anthem that also claims Herceg-Bosna as part of Croatia. The region is part of neighboring Bosnia-Herzegovina. After Merkel clapped in rhythm, letters of protest arrived in Germany's Sarajevo embassy. As an excuse, Berlin explained that Merkel, who does not have command of the Croatian language, had simply no idea of the song’s national chauvinist contents.
"A Bit of Violence"
Croatia, known for its racist and national chauvinist outbursts, is planning to make the warding off of refugees one of its priorities during its EU Council Presidency. Since quite some time, the country has been under heavy criticism, because, since 2016, its forces of repression have been carrying out illegal summary collective expulsions to Bosnia-Herzegovina, often with brute force. Human Rights Watch has documented that numerous refugees, including children, have been beaten and kicked by Croatian border guards. Some had been forced to run the gauntlet between lines of Croatian police officers. The deportations, which are in violation of international law, are often carried out "in remote border areas," and refugees were "at times, forced to cross freezing streams," Human Rights Watch reports.[6] An incident is currently under investigation, in which a refugee suffered a serious gunshot wound from the weapon of a Croatian police officer.[7] Asked about police violence at the border, Croatia’s President Kolinda Grabar-Kitarović declared in an interview last July, "of course there is a bit of violence, when you expel someone." However, "the minister of the interior, the chief of police and the local police" had assured her "that they did not use too much violence."[8]
[1] Pressekonferenz von Bundeskanzlerin Merkel und dem kroatischen Ministerpräsidenten Andrej Plenković in Zagreb. 20.11.2019.
[2] See also Collateral Damages in the Power Struggle.
[3] ECRI Report on Croatia (fifth monitoring cycle). Strasbourg. Adopted on 21 March 2018. Published on 15 May 2018.
[4], [5] See also Palatable Slogans.
[6] EU: Push-Backs an kroatischer Grenze beenden. hrw.org 08.11.2019.
[7] Polizeischuss verletzt Migrant. zdf.de 17.11.2019.
[8] Andrea Beer: "Natürlich gibt es Gewalt, wenn man Menschen abschiebt". ard-wien.de 12.07.2019.