Informazione

TRA RIBELLISMO VIRTUALE ED IMPERIALISMO REALE

La difficile chiarificazione della strategia di politica estera del PRC


Con grande sorpresa di tanti compagni, interni o meno al Partito della
Rifondazione Comunista, su "Liberazione" del 17 maggio scorso veniva
pubblicato un lungo articolo di Fausto Sorini, Coordinatore nazionale
del Dipartimento Esteri del PRC, contenente una ampia e chiara analisi
della situazione internazionale. Nell'articolo [Allegato 1], gia'
apparso sul mensile "L'Ernesto", si delinea la possibile convergenza di
interessi tra innumerevoli soggetti che, sulla scena mondiale,
frappongono ostacoli alla espansione della sfera di controllo
statunitense e del capitale monopolistico: non solo formazioni della
sinistra, partiti comunisti e movimenti di liberazione, ma anche Stati
la cui indipendenza e sovranita' venga minacciata dalla espansione degli
interessi imperialistici degli USA e dei loro alleati.

Dopo la immediata replica sulle pagine di "Liberazione" (19/5/00) da
parte di Ramon Mantovani, parlamentare e responsabile Esteri del PRC, la
questione del "nuovo internazionalismo" ha occupato la riunione di
Direzione di venerdi 30 giugno scorso. La salutare polemica tra Sorini e
Mantovani ha visto dissociarsi dalle posizioni di Mantovani (e
Bertinotti) [Allegato 2] anche i compagni Pegolo e Grassi della
segreteria nazionale.
Tutti i lavori della Direzione sono stati pubblicati su "Liberazione"
del 1 luglio c.a., ma molte questioni ci sembra siano rimaste in
sospeso. Colloquiando con i militanti medi del partito, ci sembra di
rilevare come l'approfondimento delle tematiche sia stato ancora una
volta mortificato sul nascere, e come pure i risvolti per linea e la
stessa vita interna del PRC siano sottaciuti, come chiaramente appare
dal... silenzio assoluto ristabilitosi sulle colonne di "Liberazione"
dopo le suddette "uscite".

Vorremmo fare almeno due considerazioni su questo difficile dibattito
all'interno di un partito nel quale pure alcuni di noi hanno nutrito
speranze, talvolta militando all'interno di esso.

La prima considerazione e' che, nonostante tutto, lo scambio delle idee
nel PRC non riesce a decollare ne' su queste, ne' su altre questioni
cruciali. Non e' certo solo un problema del PRC; ma il PRC sconta anche
una dinamica interna che definire strana e' un eufemismo: le
comunicazioni si tengono con difficolta' tra le varie "anime" del
partito, che e' tuttora strutturato in "cordate" talvolta fisse su
posizioni anche inconciliabili fra loro. Si pensi ad esempio all'ala
ex-quartinternazionalista da una parte ("Bandiera Rossa", REDS e
"Balkan"), che ha sostenuto la frantumazione della RFS di Jugoslavia e
tuttora appoggia il separatismo grandealbanese, ed ai compagni viceversa
attivi nella solidarieta' alla RF di Jugoslavia dall'altra, primo fra
tutti il giornalista di "Liberazione" Fulvio Grimaldi.
Stessa incompatibilita' per tutta una serie di questioni:
Russia/Cecenia, Cina, eccetera.

La comunicazione e' asfittica, "Liberazione" anziche' aiutare impedisce
una corretta informazione sulle contraddizioni interne al partito, e
cosi' la politica "interna" si fa a forza di personalismi e pettegolezzi
tra singoli. Specchio di questo malvezzo e' proprio l'articolo di
Mantovani del 19/5, che attacca Sorini usando continuamente il suo nome
ed accusandolo "ad personam" di essere "fuori dalla linea del
partito"... Partito che poi in realta' non e' nemmeno chiaro se vuole
essere tale, avendo liquidato da un pezzo il "centralismo democratico"
ed essendo sempre rimasto in sospeso nel processo di "rifondazione"!

Viceversa, l'analisi di Sorini e' "scientifica", ha il grande merito di
andare proprio nel merito dei problemi, senza polemiche politicistiche,
di fornire elementi di conoscenza che nella confusione e disinformazione
mediatica sono oscurati e che nemmeno il PRC o "Liberazione" in genere
rendono noti. Ad esempio, il PRC ha contatti con una miriade di forze
politiche e movimenti rivoluzionari, le cui posizioni pero' non solo
spesso non vengono sostenute dal partito, ma non vengono nemmeno rese
note ai militanti! E', di nuovo, il caso della Jugoslavia, dove in tutti
questi anni delegazioni ufficiali hanno fatto spola, persino ai
congressi del tanto vituperato Partito Socialista della Serbia (leggi:
"Milosevic"), SENZA MAI qui in Italia riportare sinceramente le
posizioni e le attivita' di quelle realta', agevolando cosi' la
costruzione dei pregiudizi e delle visioni preconfezionate.

Qui si innesta la nostra seconda considerazione di fondo. La "linea"
espressa da Mantovani e' massimalista a parole, debolmente riformista e
priva di prospettive nei fatti. Mantovani ripete spesso anche in
occasioni pubbliche che "il PRC ha contatti con tutte le forze
democratiche e di sinistra nei vari paesi", ma non chiarisce mai se con
qualcuna di queste forze si intenda mai arrivare ad una unita' di
intenti, ed a che pro - la collettivizzazione dei mezzi di produzione?
Non lo chiarisce perche' il "nuovo internazionalismo" di Mantovani e'
puramente virtuale, e' la fascinazione retorica per tutti i luoghi
(soprattutto virtuali e mediatici, "di moda": Chiapas, Seattle, Tebio,
eccetera) dove si esprime una moralistica ripulsa per la globalizzazione
e/o il "nuovo ordine mondiale". E' il movimentismo come infinito lavoro
di Sisifo, contro ogni ipotesi di costruzione di organizzazione reale di
forze, partiti, nazioni contro l'imperialismo. Dietro al Moloch della
"globalizzazione" - quasi un "superimperialismo" che avrebbe vinto tutte
le sue contraddizioni interne, ed al quale tenderebbero tutti gli Stati
- Mantovani nasconde il frutto avvelenato della RESA su tutti i fronti:
infatti "non c'e' opposizione che non sia globale", quindi ovunque nello
stesso tempo e su tutto il pianeta, pero'... La Cina no, Milosevic no,
Putin no, l'Islam meno che mai, gli "stalinisti" ed i "settari"
nemmeno... Insomma CHI sono gli interlocutori del PRC e della
Rivoluzione su scala mondiale? Il Vaticano? Il Comandante Marcos? I
Centri sociali del Nord Est? Ocalan?
La realta' e' che non ci sono!

Noi crediamo, diversamente da Mantovani, che l'espansione imperialistica
non sia un processo gia' concluso - nemmeno a livello
ideologico-culturale: essa viene costantemente portata avanti usando
vari "piedi di porco" che vanno dalla "globalizzazione" mercantile, al
controllo informativo ed informatico, ad ingerenze "umanitarie" di vario
tipo, compreso l'appoggio a movimenti micronazionalisti e terroristi e
comprese le bombe al DU. Ovunque essa trovi un ostacolo, li' scatta uno
dei suddetti "piedi di porco". Il fatto che Mantovani e collaboratori,
mentre incontravano esponenti dell'UCK ed attaccavano il "regime di
Milosevic", non fossero in grado di prevedere ad esempio l'imminente
aggressione militare della NATO contro la RF di Jugoslavia, dimostra che
non hanno per niente chiaro quanto lavoro concreto, proprio nelle
realta' specifiche ritenute cosi' anacronistiche, ci sia da fare per
opporsi alla suddetta espansione imperialistica

Italo Slavo

-

Per l'uso dei compagni abbiamo preparato una piccola sintesi del
dibattito sulla querelle Mantovani-Sorini. I materiali usati per questa
sintesi provengono in gran parte dalla mailing list "LINEA ROSSA"
<Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.> e dall'omonima rivista telematica:
http://www.planio.it/linearossa/somm.htm

Da quest'ultima suggeriamo anche la lettura di
"Imperialismo, “globalizzazione” e questione nazionale"
( http://www.planio.it/linearossa/lr16azzara.htm - "La contestazione e
la sistematica distruzione del leninismo e del concetto di imperialismo
sembra essere l’obiettivo delle principali proposte di rinnovamento
della sinistra “critica”", di Stefano G. Azzarà).

Suggeriamo inoltre di seguire gli articoli che appaiono su "L'Ernesto"
( http://www.egroups.com/message/crj-mailinglist/282 )
rivista vicina alle posizioni di Fausto Sorini.

---

ALLEGATO 1

http://www.planio.it/linearossa/sorini1.htm

Liberazione - il Dibattito - Mercoledì 17 maggio 2000 -


Per una alternativa al nuovo ordine mondiale. Spunti per una riflessione

Le nuove contraddizioni della politica internazionale

____________________________________di Fausto Sorini
_________________________________

L'articolo qui di seguito è stato oggetto di discussione nella riunione
della Segreteria nazionale
con il Compagno Fausto Sorini, coordinatore del dipartimento esteri. il
6 marzo 2000.

In quella sede è stata sottolineata la necessità di affrontare gli
argomenti proposti con una replica
da parte del responsabile del dipartimento esteri, compagno Ramon
Mantovani. e una successiva
discussione in Direzione nazionale. Inoltre, trovandoci in quel momento
in piena campagna
elettorale e considerata l'esigenza di concentrare su quella
l'attenzione di tutte le compagne e i
compagni. si era perciò congiuntamente convenuto di dar luogo a tali
passaggi solo dopo le
elezioni del 16 aprile 2000. Dopo la pubblicazione odierna dell'articolo
di Fausto Sonni seguirà
perciò quella di Ramon Mantovani venerdì 19 maggio.

Quali sono i contenuti oggi possibili e qualificanti di una piattaforma
antimperialista mondiale,
definita non sulla base di principi astratti e reiterati, bensì tenendo
conte delle caratteristiche
determinate e dei rapporti di forza che definiscono il nuovo ordine
mondiale, dopo la fine del
mondo bipolare e il crollo del sistema sovietico? Quali sono le forze
motrici, dotate di sufficiente
forza materiale, capaci, in un prevedibile orizzonte temporale di anni o
decenni, di far avanzare
almeno parzialmente tali contenuti? Di costruire cioè alcuni elementi di
un ordine mondiale
alternativo?

Sono interrogativi grandi come il mondo. E la riflessione delle maggiori
forze comuniste,
progressiste ed antimperialiste a livello internazionale, ancora
embrionale. Proviamo, senza
alcuna pretesa di compiutezza, ad ordinare alcune idee su cui già
sembrano delinearsi
convergenze importanti e unificanti, che trascendono cioè le peculiarità
dei diversi contesti
nazionali o di area.



CONTENUTI UNIFICANTI

Sul terreno economico la globalizzazione imperialista si afferma come
privatizzazione e
appropriazione delle risorse mondiali, dei processi produttivi, dei
flussi finanziari, ad opera di
alcune centinaia di grandi imprese multinazionali che si spartiscono il
mondo, con il supporto
strategico e imprescindibile dei rispettivi Stati nazionali. Queste
imprese, pur espandendo la loro
attività in ogni angolo del pianeta, continuano ad avere una
fondamentale base territoriale e un
retroterra strategico nei paesi d'origine; il primato delle
multinazionali americane, giapponesi,
tedesche, inglesi, francesi, anche italiane (si pensi alla Fiat) sarebbe
impensabile senza il
supporto dei rispettivi Stati nazionali. Essi non solo non deperiscono,
ma acquistano un peso
crescente nell’epoca della globalizzazione capitalistica e di una
accentuata competizione
Interimperialistica per le zone di influenza, che ha ormai assunto una
dimensione planetaria.
Quelli che invece vengono destrutturati sono i poteri pubblici e le
statualità dei paesi che sono
oggetto dell’espansione imperialista (cioè la maggioranza dei paesi del
mondo) alfine di
indebolirne ogni possibilità di resistenza sovrana alla penetrazione
delle multinazionali e di
controllo sulle proprie risorse. In questo senso si è parlato
correttamente di "Stati disgreganti" e
"Stati disgregati". E’ vero invece che anche nei paesi imperialisti si
attaccano le funzioni sociali
dello Stato e i settori pubblici dell'economia vengono progressivamente
privatizzati, al fine di
sottrarre ai poteri pubblici le basi strutturali di ogni possibile
programmazione dell’economia e di
condizionamento del capitale privato. Per aprire ad esso nuove fonti di
profitto anche nel settore
dei servizi (previdenza, assicurazioni, sanità, scuola,
telecomunicazioni, trasporti). In questo
quadro, la difesa intransigente della sovranità degli Stati, delle
risorse nazionali e dei settori
pubblici dell’economia assume un carattere obbiettivo di resistenza alla
espansione e alla
penetrazione imperialistica, anche quando tale resistenza si manifesta
da parte di regimi che
esprimono prevalentemente gli interessi di borghesie nazionali e di
élite politico-militari, (penso a
paesi come l’Iraq, l’Iran, l’Algeria...). E’ proprio un esponente non
sospetto di sciovinismo come
Samir Amin, a introdurre in proposito la distinzione tra "nazionalismi
positivi" e "nazionalismi
negativi": i primi, "diretti contro i potenti del sistema, gli Stati
Uniti in particolare" (e qui Samir
Amin cita l’esempio della Cina, ma l’argomentazione si potrebbe
estendere a Cuba, Venezuela,
Libia, Jugoslavia, Bielorussia, alla stessa Russia "patriottica"; I
secondi, "invocati da stati
dirigenti ormai alle strette e che per lo più si dirigono contro altri
deboli, mai contro i potenti nella
gerarchia del sistema mondiale". E quì l'esempio citato è quello del
nazionalismo croato. "Questi
nazionalismi negativi - commenta Samir Amin - sono del tutto funzionali
alla gestione
capitalistica, mentre i primi non lo sono affatto". Nell’epoca di una
crescente interdipendenza
delle relazioni economiche internazionali, la difesa della sovranità
nazionale non può affermarsi
nel quadro di una impossibile autarchia. Essa suppone, al contrario una
fitta rete di relazioni tra
Stati sovrani, con accordi tra settori e imprese pubbliche (o miste) dei
rispettivi Paesi, volti a
costruire entità economiche integrate a livello sovranazionale, capaci
di reggere l’urto e di
esercitare un parziale elemento di contrappeso al predominio delle
multinazionali private. Penso,
per fare un esempio, ai molteplici accordi per la ricerca e lo
sfruttamento del petrolio e del gas
naturale che, a vari livelli, hanno coinvolto, imprese pubbliche o miste
di nazionalità russa, cinese,
vietnamita, algerina, cubana, irachena, iraniana, libica, kazacha,
siriana... e che hanno visto in
alcuni casi anche il coinvolgimento dell’Italia attraverso l’Eni
(ricordate la filosofia "del caso
Mattei"?). Penso alla competizione per il controllo del petrolio nella
regione caucasica, foriere di
guerre presenti e future, dove la logica imperialista delle
multinazionali che operano, con il
coinvolgimento di Stati Uniti, Israele e Turchia (stati tutt’altro che
in via di estinzione!) si scontra
con l’esigenza di altri paesi della regione, ad esempio Russia e Iran,
di mantenere il controllo sulle
proprie risorse.

Non autarchia quindi, ma accordi sovrani ed integrati tra stati che
intendano resistere alla morsa
del nuovo ordine mondiale; e che congiuntamente intendano condurre una
battaglia comune e
convergente all’interno dei grandi organismi economici internazionali,
come il Fondo monetario, la
Banca mondiale, il WTO. Dai quali sarebbe allo stato attuale impensabile
e velleitario prescindere;
nei quali al contrario, come ha auspicato di recente Fidel Castro, una
possibile azione
convergente di grandi potenze "non allineate" come la Russia, la Cina,
l’India, insieme ai paesi del
terzo mondo (la cosìddetta cooperazione sud-sud), può introdurre
elementi di controtendenza
nell’attuale assetto mondiale, facendo leva su contraddizioni e rivalità
(emerse anche a Seattle)
che oppongono Stati Uniti, Giappone e Unione Europea, utilizzandole a
proprio vantaggio per
isolare volta a volta, a seconda del tema l'avversario principale.
Condizione necessaria anche se
non sufficiente di una strategia alternativa alla mondializzazione
imperialistica è quindi il
consolidamento e il recupero di sovranità degli Stati nazionali, in
primo luogo in campo economico,
con la difesa (o il ripristino e la qualificazione di un forte settore
pubblico. Con accordi tra questi
Stati e forme di cooperazione e/o integrazione in grado di pesare sui
processi mondiali, in ambito
politico-istituzionale e militare, si evidenziano alcune priorità: la
difesa della sovranità degli Stati,
contro ogni pretesa o diritto d'ingerenza, comunque motivato, da parte
di organismi sevranazionali
"dl parte" (Nato, G7, Unione europea...).Oggi l'insieme della comunità
Internazionale riconosce
solo all'Onu e al suo Consiglio dl Sicurezza, in casi eccezionali e in
ambiti ben delimitati, diritto di
eccepire al principio di sovranità. Sono oggi le maggiori potenze
lmperialistiche, in primo luogo -
Stati uniti e la Nato, che hanno interesse e premono per forzare tale
principio, nel nome delle
"ingerenze umanitarie" al fine di garantirsi diritti di intervento nei
conflitti e nelle controversie
internazionali, aggirando l’autorità e il sistema di veti e contrappesi
garantito dall’Onu (in
particolare il veto di Russia e Cina, in alcuni casi anche quello della
Francia), come è stato nel
caso della guerra nei Balcani; la difesa del primato dell'Onu e del suo
Consiglio di Sicurezza (il
cui ruolo và riformato, democratizzato, reso più rappresentativo ed
efficiente, ma non vanificato)
nella regolazione delle controversie internazionali, contro la pretesa
di altri organismi come la
Nato e i vertici G7/G8 di prenderne più o meno surrettiziamente il
posto, "più Onu meno Nato".
Nessuno si nasconde i limiti delle Nazioni Unite attuali, ma non
esistono allo stato attuale altre
soluzioni e istituzioni più avanzate e garanti del diritto
internazionale; - l’opposizione ad ogni
ulteriore espansione della Nato e del suo ruolo globale: piattaforma
comune - salvaguardia della
sovranità nazionale sulle proprie risorse, centralità dei poteri
pubblici in economia, accordi
regionali e internazionali di cooperazione tra stati e tra imprese
pubbliche o miste; - difesa della
sovranità politica, istituzionale e militare degli stati, in un quadro
di regole garantite dall'ONU.
Primato dell'ONU rispetto a ogni altra istituzione sovranazionale (NATO,
G7); piu'ONU, meno
NATO; no all'allargamento della NATO; - accordi bilanciati sul disarmo,
a partire dalle potenze
più armate; - multipolarismo contro unipolarismo.

FORSE MOTRICI E SCHIERAMENTI

Su questi contenuti c'è oggi la convergenza di uno schieramento
internazionale vasto e
diversificato, che include movimenti di lotta e di liberazione, popoli e
paesi, governi e stati che
comprendono la grande maggioranza della popolazione del pianeta. Anche
se, va detto subito, ciò
non si esprime ancora e prevedibilmente cosi' sarà per un periodo non
breve in un movimento
coordinato e strutturato mondialmente. Ciò attiene principalmente alla
crisi del vecchio
internazionalismo, definitivamente consumatori con il crollo dell'URSS e
del vecchio campo
"socialista" (ma la cui crisi comincia a manifestarsi già con la
drammatica rottura tra comunisti
sovietici e cinesi negli anni 60); che ha avuto come conseguenza, tra le
altre, quella di una
tendenza delle varie componenti comuniste e antimperialiste
sopravvissute al terremoto di fine
anni 80, a rinchiudersi prevalentemente nelle rispettive realtà
nazionali, dovendo sovente far
fronte a complesse emergenze e a problemi di vera e propria
sopravvivenza. Sono stati per tutti
anni difficili e in alcune situazioni (come quella italiana) non si può
certo che l'emergenza sia
terminata. Ma si sono pure manifestati, nel corso dell'ultimo decennio,
importanti fattori di tenuta
e di ripresa di un'insieme di forze antimperialiste e tra esse le
maggiori e più' influenti forze
comuniste del mondo, che delineano un quadro difficile, ma non
disastroso né privo di prospettive.
Il fallimento del vertice di Seattle, dovuto principalmente ai contrasti
di interesse fra Stati Uniti,
Unione europea e Giappone, all'opposizione dei paesi del terzo Mondo e,
sia pure
simbolicamente, alle contestazioni dei manifestanti, ha messo in luce
che il processo di
globalizzazione imperialistica procede in modo tutt'altro che lineare e
produce contraddizioni e
controtendenze significative. I processi in atto negli ultimi anni su
scala mondiale non consentono
alcun ottimismo facilone: le ripercussioni disastrose sui rapporti di
forze mondiali seguite al crollo
dell'URSS sono tutt'altro che recuperate, come ha dimostrato anche la
guerra della NATO contro
la Yugoslavija e lo slittamento neoliberale e atlantista della gran
parte della socialdemocrazia
europea. Ma non ve dubbio che importanti segnali di tenuta, di ripresa,
di nuova accumulazione di
forze nell'ambito dello schieramento antimperialista di cui sono parte
essenziale i comunisti si
sono manifestati nelle principali aree del mondo, con una propensione
crescente a definire forme
di raccordo, su basi quantomeno regionali, della loro iniziativa.

AMERICA LATINA

In America latina è andato crescendo, attorno al forum di San Paolo il
raccordo di tutte le sinistre
del continente, la cui influenza elettorale media in tutta la regione
sfiora ormai il 30%.In
particolare si evidenziano: lo sviluppo delle forze comuniste e
rivoluzionarie in Colombia (che
incidono ormai sulla metà del territorio); la nuova situazione
dirompente creatasi in Venezuela
con la presidenza "bolivariana" di Hugo Chavez e il forte movimento
popolare e nazionale cui ha
dato impulso; la ribellione popolare in Ecuador, giunta alle soglie del
potere; la grande avanzata
del fronte delle sinistre nelle elezioni presidenziali in Uruguay dove
il candidato del Frente
Amplio, Tabarè Vazquez ha perso per un soffio il ballottaggio sfiorando
la maggioranza assoluta
dei consensi; il consolidamento di una forte sinistra sociale e politica
nel continente brasiliano,
attorno ai comunisti e al Partito del Lavoro (Pt) architrave di tutto il
coordinamento
antimperialista in America Latina è sempre Cuba e il suo partito
Comunista. In fase ormai di
ripresa dopo gli anni più difficili del "periodo special", essa conferma
la sua grande capacità,
tipica della migliore "scuola leninista", di coniugare fermezza
politico-ideologica e costruzione di
larghe alleanze su contenuti avanzati e possibili.

AFRICA

In Africa la regione più interessante è quella sub-equatoriale, dove il
nuovo Sud Africa
progressista (maggiore potenza economica, industriale e militare del
continente) sta diventando il
perno di un raccordo che comprende tutti i governi della regione,
espressione di quei movimenti
antimperialisti della regione che hanno segnato la storia passata e
recente di questi paesi.
Quattordici stati della regione si ritrovano oggi nel SADC (Southern
Africa development
community) - tra cui Angola, Repubblica Democratica del Congo,
Mozambico, Namibia, Sud
Africa, Tanzania e Zimbabwe, cui è destinato presto a collegarsi anche
il nuovo Congo
progressista (ex Zaire) di Laurent Cabila - espressione di una comunità
regionale che si propone
di fronteggiare unita i problemi posti dalla globalizzazione
capitalistica. Decisiva per tutti sarà
l'evoluzione dell'orientamento del Sud Africa, dove all'interno della
Anc - che governa con una
maggioranza assoluta del 65% - si è aperto uno scontro politico tra
tendenze moderate e neo
liberali (incarnate dal nuovo presidente della repubblica Thabo Mbeki,
succeduto a Mandela) e
l'ala sinistra dell'organizzazione, rappresentata dal Partito comunista
e dalla potente
confederazione sindacale Cosatu (2 milioni di iscritti, il più grande di
tutta l'Africa), che
esprimono circa la metà della Anc e del suo gruppo parlamentare e 1/3
dei suoi ministri. Un ruolo
importante svolge anche la Libia del colonnello Gheddafi, il cui
rinnovato protagonismo si propone
di rilanciare, insieme al Sud Africa e alle altre forze progressiste del
continente, un progetto di
unità africana, non sottomessa alle pretese del nuovo imperialismo.

L'EUROPA

L'Europa - dell'est e dell'ovest - (esclusa cioè l'area ex sovietica)
non è certo una regione del
mondo da cui sia prevedibile attendersi in tempi brevi rovesciamenti di
linea rispetto agli
orientamenti neo-liberali e atlantici prevalenti (incombono semmai
rischi di slittamento ulteriore a
destra, come segnala il caso austriaco). La guerra della NATO nei
Balcani ha visto l'allineamento
dello stesso governo delle sinistre in Francia (un posizionamento sulle
cui implicazioni non si è
riflettuto abbastanza). Ed anche eventuali accordi di governo "alla
francese" che dovessero in
futuro coinvolgere Spagna e Italia, comunque la si voglia valutare (e
non mi addentro), non
muterebbero sostanzialmente la collocazione strategica dell'Unione
europea nel nuovo ordine
mondiale e nella sua subalternità alla NATO. Una alternativa complessiva
nella collocazione del
continente non è all'ordine del giorno e la fase è quella di un lungo
periodo di ricostruzione e di
accumulazione di forze. Entro questi limiti, assistiamo in numerosi
paesi della regione ad una
tenuta o ad uno sviluppo dei maggiori partiti comunisti e di sinistra
anticapitalistica: ad es. in
Francia, Germania, Svezia, Portogallo, Grecia, Cipro, Ungheria,
Repubblica Ceca, (dove gli ultimi
sondaggi danno il partito comunista al primo posto col 23%, con uno
spettacolare raddoppio).
Anche in Spagna e in Italia, dove le recenti lezioni europee avevano
visto un crollo di Izquierda
Unida e di Rifondazione, la situazione resta problematica, ma non
necessariamente irreversibile.
In Turchia il movimento curdo continua a rappresentare una spina nel
fianco per la stabilità di quel
regime. In Romania una sinistra sociale e politica sembra ricostruirsi,
a partire da una forte
ripresa delle lotte dei minatori. Comunque la si voglia valutare, la
sinistra yugoslava al governo
del paese continua a rappresentare un importante punto di resistenza nei
Balcani ad una compiuta
normalizzazione atlantica della regione. Si tratta di operare per un
crescente raccordo
dell'iniziativa di tutte queste forze, superando "muri invisibili" e
pregiudiziali ideologiche che
ancora ostacolano una piena fluidificazione delle relazioni multi
laterali e delle azioni congiunte
tra comunisti e forze progressive dell'est e dell'ovest. L'assenza (o
quasi) di iniziative comuni e
continuative contro la guerra in Yugoslavja non solo è uno smacco grave
per queste forze, ma
segnala grosse difficoltà e resistenze a procedere con spirito unitario
verso livelli più avanzati di
unità d'azione.

REPUBBLICHE EX SOVIETICHE

Nell'area delle Repubbliche ex sovietiche e in Russia assistiamo ad una
persistente e graduale
avanzata delle forze di ispirazione comunista, socialista e
antimperialiste (incluse quelle
componenti nazional-patriottiche, antiamericane e anti-NATO, ostili alla
colonizzazione dei loro
paesi da parte occidentale e che, parafrasando Samir Amin, potremmo
definire di "Nazionalismo
positivo"). Queste forze sono maggioranza nei parlamenti di Russia,
Ucraina, Moldavia, e
compongono il blocco che sostiene il presidente Lukashenko in
Bielorussia. La Russia, grande
potenza in crisi, ma non omologata, resta un paese chiave
dell'equilibrio mondiale. Grazie
all'ampiezza del suo territorio che abbraccia due continenti, alla
ricchezza di materie prime (si
parla del 50% delle risorse del pianeta), del suo potenziale
scientifico, tecnologico e industriale
(oggi frustrato ma non dissolto) ed il suo apparato militare e nucleare,
secondo solo a quello degli
Stati Uniti. Qui, non solo la stragrande maggioranza della gente, ma
anche la gran parte dei
deputati alla "Duma" (inclusa un settore oggi vicino all'eningmatico
Putin) condivide i punti
politici e programmatici che abbiamo definito come cardini di una
piattaforma antimperialista, ed è
presumibile che prima o poi, nonostante trasformismi e doppiezze, ciò
influisca - come in parte
già avviene - sulle scelte di fondo e sulla collocazione internazionale
di quel grande paese.

L'ASIA

L'Asia che include gran parte del territorio dell'ex Urss, è il
continente in cui gioca la sfida per
l'egemonia mondiale nel 21° secolo e, a tutt'oggi, il meno omologato al
"nuovo ordine". Su ciò
concordano - da Kissinger a Brezinskj - tutte le teste d'uovo della
politica globale degli Stati
Uniti. In Asia, sono le tre maggiori potenze non omologate - Russia,
Cina e India - che
comprendono circa metà della popolazione del pianeta e oltre un quinto
della ricchezza prodotta
sul pianeta, con prospettive di giungere a circa un terzo nei prossimi
vent'anni, secondo stime
della Banca mondiale. Grandi paesi non omologati sul piano economico,
perché il modello
neoliberale non vi è organicamente imposto: anche in India, dove pur
essendo assai forte e
penetrante la pressione in questo senso, con il consenso del nuovo
governo della destra Indù,
permane un'importante settore pubblico dell'economia, i cui tentativi di
smantellamento
incontrano resistenze fortissime. Il che è ancora più vero per la
Russia, in cui vi è anzi un revival
di "statalismo" per non parlare della Cina, dove il settore pubblico
resta dominante. Grandi paesi
non omologati sul piano politico e militare, dove si va da collocazioni
di non allineamento a
posizionamenti di aperta ostilità agli Stati Uniti e alla NATO, tutti e
tre i paesi hanno condannato
la guerra contro la yugoslavja, si oppongono all'espansione a est della
NATO, all'egemonismo
americano e atlantico e portano avanti programmi di modernizzazione del
proprio armamento
convenzionale e nucleare il cui obbiettivo di contrappeso alla NATO è
evidente. Ciò è vero
soprattutto per Russia e Cina che hanno siglato negli ultimi anni
diversi trattati di partnership
strategica in campo economico, politico e anche militare, in cui la
componente anti-americana,
anti-egemonista e anti-NATO non è stata dissimulata (ivi compreso
un'accordo di cooperazione
comprendente Cina, Russia, Kazakhistan, Kirghizistan, e
Tadzhikistan).Non è un caso se nel
comunicato congiunto seguito all'incontro di Pechino del dicembre scorso
tra Elzin e Jang Zemin,
vengono citati una serie di punti caldi di divergenza con l'attuale
politica degli Stati Uniti e della
NATO: - sostegno ad un assetto mondiale, democratico e bilanciato,
contro ogni forma di
egemonismo e unipolarismo o pretesa di imporre singoli modelli
culturali, sistemi di valori o
ideologie; - rafforzamenti dell'ONU e della sua centralità nelle
relazioni internazionali, rifiuto
dell'espansione della NATO e del suo ruolo globale; - difesa della
sovranità nazionale degli Stati,
eguale status per ogni stato, rifiuto di ogni interferenza degli affari
interni. Rifiuto del principio
"dell'ingerenza umanitaria", e del criterio per cui "i diritti umani
sono più importati della
sovranità"; - mantenimento del Trattato Abm, come da mozione congiunta
approvata
dall'assemblea dell'ONU, su proposta di Cina, Russia, e Bielorussia; -
opposizione al progetto
americano di un nuovo sistema di difesa antimissile che gli USA
vorrebbero dispiegare nella
regione asiatica del pacifico; - condanna della non ratifica da parte
USA del Trattato sulla non
proliferazione nucleare; - opposizione ad ogni sistema di armamento
nello spazio, avvio di una
Conferenza Internazionale sul disarmo bilanciato, con una agenda
precisa; - sostegno reciproco
per l'ingresso di Russia e Cina nel WTO, con condizioni che assicurino
ad ogni paese eguale
status nel sistema mondiale di commercio estero, e tenendo conto dei
livelli di sviluppo dei diversi
paesi, soprattutto più poveri; - rifiuto di ogni separatismo etnico; -
ritiro delle sanzioni all'Iraq,
affermazione del principio per cui la questione irachena può essere
risolta solo dall'ONU e con
mezzi pacifici; - condanna delle tendenze alla separazione del Kossovo
dalla Repubblica
Federale Jugoslava, richiesta di attuazione piena della risoluzione 1244
dell'ONU che riafferma la
piena sovranità e integrità territoriale della Jugoslavija; - sostegno
russo alla riunificazione di
Taiwan alla Cina, sostegno cinese a Mosca sulla questione cecena,
riconosciuta come affare
interno.

NUOVI EQUILIBRI INTERNAZIONALI

Il consolidamento in Russia, Cina e India delle tendenze più determinate
a resistere ad una
integrazione subalterna nel nuovo ordine mondiale avrebbe un impatto
enorme sugli equilibri
internazionali, presenti e futuri. E peserebbe innanzitutto, come in
parte già avviene,
sull'orientamento e sulla collocazione dei paesi circostanti,
incoraggiandovi le tendenze meno
omologanti. Penso ad alcuni paesi arabi (Iran, Iraq, Siria, Palestina
…), al Nepal, alla Mongolia, alle
Repubbliche asiatiche dell'ex URSS, alle dinamiche nella penisola
coreana. Penso all'Indocina,
dove già il Vietnam, legato fortemente a Laos e Cambogia, svolge un
ruolo di potenza
subregionale e influisce sulla dialettica interna ai paesi dell'Asia.
Penso alla situazione sociale e
politica esplosiva in paesi come le filippine e l'Indonesia, dove sono
cresciuti forti i movimenti di
massa, sull'onda della crisi asiatica. Penso al segnale incoraggiante e
fortemente simbolico che
viene dal Giappone (paese chiave dell'equilibrio regionale, emblema del
capitalismo più
sviluppato), dove il Partito comunista ha visto negli ultimi due anni
straordinari exploit elettorali
che lo hanno portato ai suoi massimi storici (16% su scala nazionale,
oltre il 20% a Tokyo), con
un forte impulso alle lotte sociali, sindacali e alla mobilitazione
contro alla presenza delle basi
militari USA sul territorio nazionale. Come si vede, il quadro sia pure
sommario e incompleto delle
principali forze che a livello mondiale sono riconducibili, a livelli
diversi, dentro dinamiche di tipo
oggettivamente "antimperialista", antagoniste o contraddittorie rispetto
al nuovo ordine mondiale,
è assai vasto e diversificato. Compito dei comunisti e delle forze
rivoluzionarie è quello di operare
con pazienza e spirito di unità (respingendo ogni tentativo, comunque
motivato, di introdurre
artificiose divisioni o contrapposizioni tra queste forze) alla
costruzione di forme sempre più
efficaci di raccordo e iniziativa comune o convergente, a partire dai
rispettivi contesti regionali.
Nella prospettiva, oggi ancora immatura, ma non eludibile, di un loro
collegamento su scala
globale. Per la costruzione di un "Forum" internazionale di tutte le
forze comuniste, rivoluzionarie
e antimperialiste - a sinistra dell'internazionale socialista, ma capace
di operare sulle sue interne
contraddizioni - che sappia aprire ai popoli del mondo le frontiere di
un nuovo internazionalismo al
passo coi tempi.



Si ringrazia la compagna Patrizia Bezeredy, che ha trascritto il testo
da un paio di fotocopie, tra l'altro quasi illeggibili,
forniteci dal compagno Stefano Ghio di Rosso Operaio che lavora in
Segreteria Prc di Genova. Grazie ad entrambi i
compagni.

Linea Rosa genovese (mercoledì, 19 luglio 2000)

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ALLEGATO 2

Una discussione non ordinaria


La discussione che ci accingiamo a fare non è ordinaria, non è, cioè, la
classica discussione di
approfondimento motivata dalla necessità di sviluppare la linea e
l’iniziativa del partito. Essa
prende le mosse da un preciso fatto politico, da un articolo che il
compagno Fausto Sorini,
coordinatore del dipartimento che dirigo, ha chiesto di pubblicare su
Liberazione. La segreteria ha
valutato necessario che io rispondessi, visto che l’articolo conteneva
serissime divergenze di
analisi e di proposta con la linea di politica internazionale fin qui
seguita, ed ha, altresì, deciso di
dedicare una riunione della Direzione al fine di giungere ad un
chiarimento politico sulla base di un
documento da sottoporre al voto. *** A questo serve il documento
proposto alla discussione e,
come si può ben vedere, esso si colloca in una linea di continuità con
l’elaborazione e la pratica
fin qui sviluppata dal nostro partito, ed in particolare con il
documento della Direzione del giugno
’97 e con il documento approvato dal nostro ultimo congresso. Nella
relazione, ovviamente, mi
soffermerò soprattutto sui punti più controversi della nostra
discussione. Vi è innanzitutto, nel
documento che dobbiamo discutere, una precisa tesi: siamo di fronte ad
un nuovo capitalismo.
Non siamo, in altre parole, davanti ad una semplice espansione del
capitalismo come l’abbiamo
conosciuto fino ad ora. Si tratta di un’affermazione molto impegnativa,
soprattutto dal punto di
vista delle conseguenze politiche che dobbiamo trarne. Vi sono, tra le
altre, tre cose molto
importanti che ci portano a parlare di “nuovo capitalismo”. La
dimensione del capitale finanziario e
la sua autonomia da qualsiasi potere politico costituito, la crescita
enorme delle società
multinazionali e il loro progressivo sradicamento territoriale, la
comparsa di nuove contraddizioni
e la loro valenza in tutto il mondo. Una conseguenza, ben visibile, è la
fine della coppia
“sviluppo-progresso” visto che, anche in presenza di crescita economica
e produttiva, abbiamo
contemporaneamente maggiore disoccupazione ed esclusione sociale,
compresa la povertà, sia
nei paesi ricchi sia in quelli poveri. In altre parole, per effetto
dell’applicazione delle politiche
neoliberiste in tutto il mondo, abbiamo dovunque le stesse
contraddizioni ed effetti. Fra gli effetti,
noi parliamo di una crisi degli stati nazionali, del rovesciamento del
loro ruolo, del tentativo di
costruzione di un governo del mondo unipolare. Su questo punto,
effettivamente, fra noi ci sono
divergenze. Che ci sia una crisi degli stati nazionali mi pare lo
riconoscano tutti, ma non si tratta
di una semplice perdita di poteri e riduzione di ruolo, bensì di un
rovesciamento del ruolo storico e
di una nuova funzione. Penso al fatto che gli stati hanno perso
sovranità verso l’alto, e cioè verso
organizzazioni tecnocratiche e finanziarie che decidono in prima persona
le politiche economiche
da applicare, e verso il basso, cioè verso parti del proprio territorio
che tendono a rendersi
autonome, o indipendenti, per meglio stare nella competizione
determinata dalla globalizzazione
dei mercati. Lo stato nazionale, quindi, da luogo della mediazione
sociale capace di produrre un
proprio modello di sviluppo, anche attraverso la partecipazione diretta
nell’economia, si trasforma
in istituzione che privatizza tutto e ristruttura il territorio, il
mercato del lavoro, e perfino la
propria forma istituzionale secondo le esigenze della globalizzazione.
Questo vale per tutti gli
stati, tranne che per gli USA. Per il semplice fatto che gli USA
all’appuntamento con la
globalizzazione si sono trovati già coerenti con il nuovo capitalismo.
Uno stato non proprietario
nei settori fondamentali dell’economia, un modello sociale fondato sul
mercato e
sull’individualismo, ecc. Non è vero, come invece sostiene il compagno
Sorini, che gli stati dei
paesi forti difendono gli interessi del capitalismo di casa loro. E’
vero, invece, che vi è una
competizione fra gli stati forti, nell’ambito di chi meglio promuove e
rappresenta gli interessi del
capitalismo globale. Due esempi per farmi meglio capire. Poco tempo fa
in Colombia, mentre mi
trovavo con una delegazione parlamentare italiana in quel paese, ho
incontrato gli imprenditori
italiani. Fra questi un signore italiano rappresentante una società
multinazionale operante nel
settore dei prefabbricati e presente con 26 stabilimenti in tutto il
mondo. Ovviamente tutti, lui
compreso, chiedevano precise cose al governo e al parlamento italiano,
in favore dei loro
investimenti in Colombia. Io gli ho chiesto come fosse composto il
capitale della sua società e lui
mi ha risposto: il capitale è indiano al 100%, la tecnologia è italiana,
la forza produttiva è garantita
soprattutto dalla consociata statunitense. La domanda è questa: se
l’Italia aiuta questa società di
chi fa gli interessi? Di un presunto capitalismo italiano? Direi proprio
di no. Il secondo esempio è
relativo al Chiapas. Una multinazionale, il cui consiglio di
amministrazione risiede in Europa, ha la
concessione, con i vantaggi scaturiti dal Nafta, l’accordo fra Usa,
Canada e Messico, di
sfruttamento dell’uranio in quel territorio. Il 1 luglio è entrato in
vigore un accordo di
liberalizzazione dei mercati e degli investimenti fra Unione Europea e
Messico. E’ altamente
probabile che vi siano società nordamericane che lo utilizzeranno,
attraverso le loro consociate
europee. Si può dire che il processo di liberalizzazione dei mercati
favorisca un capitalismo a
scapito di un altro? Direi di no, ed anzi, affermo che non si può più
parlare di sistemi capitalistici
diversi e contrapposti fra loro, bensì di un sistema tendenzialmente
unificato. Le contraddizioni
geopolitiche, per questo, non si sposano più con quelle di capitalismi
nazionali o regionali diversi
fra loro. Perciò penso non si possa davvero più leggere nulla con la
categoria delle “contraddizioni
interimperialistiche”. Mentre propongo di considerare vigente la nozione
di “imperialismo”, anche
se è necessario rifondarla, non solo aggiornarla, alla luce del
costituendo governo unipolare del
mondo e della nuova funzione della guerra, entrambe cose sulle quali nel
documento ci si diffonde
molto. *** Alla luce di quanto affermato finora, forse si capisce meglio
la nostra linea politica
sull’Europa. L’egemonia americana non è il dominio Usa sull’Europa, ma
è, appunto, l’egemonia di
chi promuove con maggior forza e velocità gli interessi del capitalismo
globale. Infatti, fra quella
che una volta avremmo chiamato borghesia italiana o tedesca o europea,
abbiamo un vero e
proprio coro in favore di ogni proposta di liberalizzazione dei mercati
e di ristrutturazione delle
economie nazionali proposte dagli Usa. I governi europei, proprio perché
accettano quel
rovesciamento di ruolo dello stato di cui abbiamo parlato, iscrivono la
loro competizione con gli
Usa nell’ambito della costruzione del governo unipolare negli interessi
del capitale globale. Non è
vero, per esempio, che la guerra del Kossovo, che è stato un passo
decisivo in questo processo,
sia stata imposta dagli Usa ai propri alleati in ambito Nato. Furono per
primi alcuni ministri della
difesa europei, tra i quali l’italiano, a proporre agli allora restii
americani di preparare un intervento
militare Nato. Vale la pena di ricordare che allora gli USA
consideravano ufficialmente l’Uck
come un’organizzazione terroristica e Milosevic come un interlocutore
credibile. Per quanto
riguarda la possibilità o meno che si possa aggregare un blocco
“antimperialista” di paesi bisogna
considerare alcuni importanti fattori. Prendiamo ad esempio la Russia.
E’ più che chiaro che
l’allargamento ad Est della Nato e la guerra nel Kossovo hanno inflitto
pesanti umiliazioni alla
Russia. Il tentativo è chiaramente quello di ridurla al massimo a
potenza regionale. La risposta
neonazionalista, condivisa da larghissimi settori della società russa, è
quella di resistere a questa
tendenza rivendicando il proprio ruolo di potenza mondiale. Ma quello
che non si capisce è come
possa, la classe dirigente russa di Putin, sperare di mantenere o
riconquistare questo ruolo di
potenza mondiale proprio mentre si implementa in Russia il processo di
privatizzazioni nei settori
strategici e si favorisce ogni tipo di penetrazione del capitale
straniero. Non a caso Putin, sulla
questione dello scudo spaziale americano, propone che lo si faccia in
collaborazione fra Usa,
Russia ed Unione Europea. Chiaramente si tratta di una proposta che
tatticamente spera di
mettere in difficoltà gli Usa, smascherando la natura egemonica della
proposta americana.
Tuttavia colpisce il fatto che Putin sia così interno alla logica del
governo unipolare del mondo da
proporre uno scudo spaziale che sulla cartina geografica
corrisponderebbe esattamente al Nord
del mondo, senza dire da chi questo Nord dovrebbe proteggersi. Comunque
è chiaro che le
contraddizioni geopolitiche, che esistono e perfino aumentano, non si
possono più leggere con la
chiave dei campi o dei blocchi separati. E’ l’analisi del capitalismo
attuale e le contraddizioni di
classe la base per meglio comprendere la situazione geopolitica. ***
Altro punto molto
controverso è quello della Cina. Noi critichiamo apertamente le scelte
di procedere
all’applicazione di politiche chiaramente neoliberiste e di ingresso nel
Wto, non per presunzione
ma per il semplice fatto che, nell’epoca della globalizzazione, queste
scelte, di un paese così
importante nel mondo, investono direttamente la nostra realtà. Sarebbe
semplicemente assurdo
che, solo perché si tratta di scelte fatte da un Partito Comunista al
potere, noi tacessimo di fronte
ad un processo che produce milioni di disoccupati, privatizzazione di
gran parte dell’economia,
ristrutturazione delle imprese pubbliche, secondo gli stessi criteri che
noi abbiamo visto operare
in Italia, affinché possano competere con le imprese private nello
stesso mercato cinese e sui
mercati mondiali. Per lo stesso motivo, in positivo, pensiamo vada
valorizzata l’esperienza
cubana che tenacemente considera occupazione piena e diritti sociali
come variabili indipendenti
nell’ambito di qualsiasi riforma economica. Per quanto riguarda le
nostre relazioni internazionali la
decisione che abbiamo assunto anni fa di impostarle su base non
ideologica ci ha permesso di
ampliarle enormemente. In questa relazione insisto sulla necessità di
caratterizzarle sempre più
dal punto di vista della ricerca e della collaborazione politica sui
temi della globalizzazione.
Attardarsi in relazioni di semplice scambio di informazioni, che
comunque si fanno sempre, senza
confrontarsi sui grandi problemi del mondo e della lotta contro il
capitalismo contemporaneo,
sarebbe veramente disastroso. Nel mondo, ed in ogni partito, è già in
corso un grande dibattito. E’
evidente che dobbiamo starci con una nostra posizione. In particolare
dobbiamo certamente
sviluppare una più grande collaborazione con quei soggetti sociali e
culturali che assumono
sempre più una dimensione internazionale. Mi riferisco, evidentemente,
alle esperienze come
quella di Seattle. Il compito che da tempo ci siamo dati, connesso alla
nostra idea di Europa, è
quello di lavorare alla costruzione di un soggetto politico
continentale. Ciò oggi è più difficile di
ieri, ma proprio per questo dobbiamo agire secondo una linea ed
obiettivi precisi. Penso che vada
maggiormente valorizzato il nostro lavoro di intervento diretto in aree
e crisi di grande importanza.
Parlo del Kossovo, del Kurdistan, del Chiapas, della Colombia. Su ognuna
di queste realtà, nelle
quali abbiamo agito, si potrebbe parlare molto a lungo. Mi preme qui
sottolineare che non si tratta
di tradizionale solidarietà internazionalista a senso unico, bensì di
azione politica diretta e, in
alcuni casi, come con il Pkk, l’Eeln e le Farc, di una vera
collaborazione politica su obiettivi
politici comuni. Il documento alla discussione della Direzione non
chiude un dibattito, bensì lo
apre. Esso serve a guidare l’azione del partito nelle sue interlocuzioni
internazionali e a compiere
scelte precise. Ogni dissenso, come sempre nel Prc, è legittimo,
nell’ambito di una discussione
che si deve aprire in ogni istanza del partito. Ma era necessario che la
Direzione decidesse e
precisasse una linea superando ambiguità e resistenze.

Ramon Mantovani

---

ULTERIORI CONTRIBUTI

-*-

...mi è parso di capire il compagno
Mantovani difenderebbe la posizione di politica estera del
PRC dalle
critiche del compagno Sorini affermando come l'aspetto nuovo
del
capitalismo sarebbe basata sulla fine delle contraddizioni
interimperialistiche così come da un esautoramento degli
stati nazionali
ad opera di uno "spersonalizzato" capitalismo governato
dalle
multinazionali. Sicuramente il nostro punto di partenza
nell'analisi di
quello che oggi è il moderno capitalismo non può prescindere
dal fatto
che i processi di concentrazione del capitale oggi sono
basati più che in
passato(ciò non vuole dire che in passato ciò che oggi è
pienamente
maturo non vi fosse o comunque non vi fosse in tendenza)
sull'impresa
multinazionale; dobbiamo però interrogarci se si possa
affermare che
oggi non esistono più contraddizioni interimperialistiche
come se, in
parole povere,il capitalismo transnazionale sia una realtà a
se stante e
scissa dalle entità territoriali e statuali.Io ritengo l'
affermare che la lotta
fra Europa, Usa e Giappone oggi sia basata su una sorta di
legittimazione a rappresentare meglio il nuovo capitalismo
sia fuorviante
e anche un poco metafisico.L'esempio fatto dal compagno
Mantovani
sulla società multinazionale in Colombia non regge alla
prova dei
fatti.Questi nella sostanza affermano anzi che le
contraddizioni
interimperialistiche sono oggi accentuate e ciò è palesato
proprio dalla
nascita della cosidetta "Unione Europea" che sta svolgendo
la funzione
di leva per l'accumulo del capitale finanziario europeo
contro quello
statunitense(in un contesto in cui emerge su scala mondiale
sempre più
l'aspetto speculativo e non produttivo del
capitalismo).Pensare
d'altronde che gli interventi militari in Iraq e
Jugoslavia(citiamo gli
esempi più eclatanti di cosa sia,secondo le stesse fonti del
governo
USA,una guerra a bassa intensità) siano dovuti solo ad una
presunta
ricerca di legittimità a rappresentare il nuovo capitalismo
sarebbe
ipocrita o ingenuo. E' vero che oggi gli organismi
sovranazionali che
sovrintendono a questo tipo di interessi sono preponderanti
rispetto ai
singoli stati ma è anche vero che al loro interno sono
pienamente visibili
gli scontri fra diversi interessi nazionali e
statuali(relativi al controllo di
risorse territoriali, economiche e di interesse
militare);perché mai
d'altronde gli USA dovrebbero lanciarsi in solitudine,
contro
l'ONU(oltretutto da questi controllato), in bombardamenti
non
autorizzati all'Iraq? Perché mai ,nell'ambito dell'unità
europea,i tedeschi
si farebbero paladini di una politica
finanziaria(monetarista)
rigorosissima? Pensare che, sia nell'ambito di rapporti fra
stati europei
che fra poli imperialisti, rivalità e strategie militari non
possano essere
letti con la categoria delle contraddizioni
interimperialistiche sia gravido
di conseguenze negative per il movimento comunista
rivoluzionario ed
espressione del revisionismo cui il PRC è giunto. Riguardo
allo
svuotamento di sovranità degli stati nazionali, chi scrive è
convinto che
se è vero che ad esempio il FMI impone a tutti gli stati
rigide politiche
monetariste e di tagli al salario sociale è anche vero che
tali politiche
sembrano andare benissimo alle borghesie nazionali di tali
stati che in
fondo col passare del tempo non stanno tornando ad essere
altro che
comitato d'affari della borghesia. Paradossalmente oggi
tutti gli stati
borghesi sono molto più simili che 20 anni fa a quello
ottocentesco(zero
assistenza sociale o quasi,rinforzamento della polizia e
dell'
esercito,detassazione di profitti e rendite e via
dicendo).Mi pare che si
possa affermare con tranquillità che la perdita di sovranità
riguardi più
che un generico e metafisico stato le masse popolari e i
lavoratori tutti.
Nell'ambito di un tale contesto internazionale e non, penso
si possa
esprimere pieno consenso alle esigenze di lotta e di
coordinamento sul
piano sovranazionale dei comunisti espresse dal compagno
Sorini. Oggi
come oggi la diversità e la modernità del capitalismo
rispetto a quello di
un tempo sta non nell'esaurimento delle contraddizioni
intercapitalistiche(che non escludono forme di difesa degli
interessi
comuni alle diverse borghesie) ma nel "miglioramento" che ha
registrato
sul piano della prevenzione controrivoluzionaria sia su
scala
internazionale che statuale. Le argomentazioni del compagno
Mantovani non sono,per me,condivisibili;esse non sono altro
che il
riflesso verbale dell'attuale linea politica del PRC che
appunto non ha
mai tenuto conto adeguatamente della dimensione
internazionalista e
sovranazionale del capitalismo e che quando lo ha fatto ha
dato di tale
dimensione interpretazioni fallaci e ambigue(come in
occasione di
questa polemica).Non è un caso il ripiegamento del PRC
riguardo ai
criteri di Maastricht e il fatto che lo stesso si illuda di
risolvere i problemi
del proletariato italiano con ricette economiciste
(concepite tutte interne
al recinto italiano) e qualche predica "fratesca".

Massimo Meloni
19/06/2000

-*-

nell'ambito dell'articolarsi dei
movimenti di resistenza alla penetrazione del capitale
"globale" penso
che non tutte le situazioni siano facili da decifrare;
dicendo ciò mi
riferisco alla distinzione del Compagno Amin fra
nazionalismi buoni e
nazionalismi cattivi così come al "caso cinese". Cerco ora
di illustrare
quali sono le mie perplessità. Riguardo al caso dei
nazionalismi buoni
distinti da quelli cattivi in quanto si oppongono alle
privatizzazioni volute
dal capitale "globale" e dalle sue istituzioni finanziarie e
politiche mi
chiedo: 1) se nell'attuale fase dello sviluppo capitalistico
non si siano
ormai effettivamente chiusi i tempi delle borghesie
progressiste e
anticoloniali(ciò non vuole dire che sia esaurito il periodo
degli stati
qualificabili come semicolonie).Se così fosse parlare di
recupero della
sovranità di stati del "Terzo mondo" ad opera di elites
militari o di
minoranze borghesi autoctone potrebbe essere superficiale e
errato.
Occorrerebbe per meglio verificare questi aspetti del
contesto
internazionale vedere dove eventualmente queste elites
borghesi e
militari siano sottoprodotto del capitale internazionale, e
quindi al di là di
operazioni di facciata demagogiche, sue alleate e dove
effettivamente
queste incarnano(anche al di là di determinati livelli di
democrazia degli
stati di appartenenza) oggettivi interessi popolari.2) Se
comunque
l'appoggio dato a quelle borghesie nazionali o a quelle
elites militari che
si oppongono alla perdita di sovranità dei propri stati ad
opera delle
multinazionali e degli stati imperialisti non debba comunque
essere
accompagnato da un appoggio a quei movimenti politici,
interni ai paesi
governati dalle elites di cui si discorre, ancorati
stabilmente a posizioni
antiimperialiste e magari comuniste. Tali movimenti e
organizzazioni
politiche sono per me l'unica effettiva garanzia affinchè si
possa
garantire a paesi che ancora devono modernizzare la propria
economia
gravemente minata dall'Imperialismo che elites di varia
natura che si
oppongono al capitale "globale" dopo un poco non ne
diventino il
sostituto nazionale. Penso, dunque, che riguardo alle
resistenze
nazionaliste (o,in alcuni casi,presunte tali) si debba
articolare meglio la
nosttra riflessione e il nostro operato per non essere
impreparati alla
sfida dei tempi. Venendo al "caso cinese" i miei dubbi
riguardano in
primo luogo l'effettiva valutazione da dare sulla Cina
"popolare" .Mi
domando se essa non sia ormai ad uno stadio di sviluppo
capitalista
dell'economia invece che a uno socialista(più o meno
avanzato).E'
risaputo del grande numero di disoccupati che le politiche
di
modernizzazione stanno creando in Cina così come della
riaperta
distanza fra città e campagna mentre(ma questa è opinione di
chi scrive)
i dirigenti politici in tale paese tendono sempre più,se già
non lo hanno
fatto, a costituirsi "casta" a se. Illustro questi aspetti
della situazione
interne alla Cina per esprimere i miei timori sull'effettivo
ruolo
antiimperialista che un paese oggi(e qui la mia opinione
diverge da quella
del Compagno Sorini) capitalista può svolgere nel contesto
mondiale. E'
altresì vero,e qui stanno anche le difficoltà di compiuta
valutazione sulla
Cina, che l'agressività dell'attuale capitalismo impone a
paesi che da
tempo gli erano nemici o che gli erano succubi ripiegamenti
tattici quasi
irrinunciabili(sottolineo quasi).Partendo da questo
approccio
problematico al caso cinese ed avendo sotto gli occhi gli
effettivi
contrasti fra Cina (ma anche Russia,India e altri paesi) e
Usa, forse
sarebbe giusto interrogarsi non tanto sull'utilità o meno
alla causa del
Socialismo di tali contrasti ma sulla loro natura. Sono
contrasti fra uno
stato socialista e uno capitalista oppure fra uno stato
capitalista
"giovane" e in ascesa e quello tuttora al vertice del
capitalismo
mondiale? Ponendo questa domanda non abbraccio certo le tesi
di
Mantovani che ho già precedentemente criticato ma cerco solo
di
approfondire alcuni aspetti del discorso del Compagno Sorini
che non
possono essere sottovalutati. E' indubbio infatti che
nell'articolarsi dei
movimenti di resistenza all'Imperialismo e al capitale
"globale" i
comunisti devono essere in grado di sfruttare le più amplie
alleanze
possibili,è anche vero però che qualificare queste alleanze
di modo che
si possa vedere quali sono puramente tattico-strumentali e
quali
strategiche è per i comunisti compito non derogabile. A mio
modo di
vedere le cose il "caso cinese" è da inquadrarsi,allo stato
attuale delle
cose,in questo contesto teorico-pratico e su esso si deve
riflettere
serenamente e costruttivamente.


Massimo Meloni, 20/6/2000

-*-

http://www.planio.it/linearossa/lr16aginform.htm

linea Rossa
(nr.16 -
luglio-agosto 2000)

IN PRIMO PIANO


Una nota dei compagni di Aginform sulla polemica interna al gruppo
dirigente del PRC
inerente la politica internazionale, la concezione dell'imperialismo, il
ruolo di paesi
come la Cina che si richiamano al socialismo. Per comprendere il "dietro
le quinte"

L'IMPERIALISMO REALE

A margine della polemica Sorini-Mantovani




La polemica scoppiata tra Ramon Mantovani e Fausto Sorini (Liberazione
del 17 e 19
maggio), responsabile della commissione internazionale del PRC l’uno e
membro
autorevole della medesima l’altro, ha avuto il merito non solo di
mettere in luce delle
divergenze di vedute sulle questioni internazionali, facendo emergere
posizioni più
articolate e interessanti di quelle che normalmente si possono leggere
su Liberazione,
ma anche di aprire prospettive nuove nella discussione all’interno della
sinistra.
L’attacco violento di Mantovani a Sorini, probabilmente frutto di una
lunga incubazione
all’interno del partito, è basato sull’ipotesi, oggi corrente
all’interno della cosiddetta
sinistra antagonista, che ci troviamo di fronte a una globalizzazione
del conflitto
mondiale, per cui ogni ipotesi tattica e ricerca dii un blocco di forze
teso a contrastare
questa globalizzazione è frutto di una visione arretrata dello scontro e
dei mezzi con cui
farvi fronte. Anzi, certe ipotesi di alleanze diventerebbero il brodo di
cultura per nuove
avventure reazionarie che sarebbero un rimedio peggiore del male.
La posizione di Mantovani a noi sembra una riproposizione di una teoria
già ben
conosciuta, quella della rivoluzione permanente di trotskiana memoria.
Egli, in luogo di
individuare i processi reali che caratterizzano lo scontro con
l’imperialismo, teorizza
una rivoluzione mondiale mutuata dall’immaginario di Seattle, fino alla
nostra versione
casereccia di Bologna.
Solo questa visione delle cose ha, per Mantovani, la dignità di un
confronto vero con i
processi di globalizzazione e rappresenta una sfida a questi processi.
Senza individuare
forze reali e passaggi di una rivoluzione globale per la trasformazione
dell’esistente,
Mantovani va giù duro contro Sorini e contro quelle posizioni che
cercano di
individuare, nella realtà e non nelle fumisterie del subcomandante
Marcos, le
possibilità di uscita da questa situazione dominata dalla iniziativa
strategica
dell’imperialismo USA e dei suoi alleati. Così facendo Mantovani
trascura alcuni
“particolari” che nel suo discorso non possono essere facilmente
collocati. Questi
“particolari” si chiamano progetto di scudo stellare (ora sistema
antimissile), guerra
all’Iraq, guerra alla Jugoslavia, e così via. Che motivazioni avrebbero
gli USA e la
NATO di lavorare a un sistema antimissile o di aggredire la Jugoslavia e
l’Iraq o di
intervenire per interposta persona nel Congo, se la globalizzazione è
compiuta e tutti i
sistemi esistenti nel mondo sono omologati?
Se Mantovani uscisse da quegli schemi devastanti della sinistra
antagonista e del
neotrotskismo, si accorgerebbe che dopo la fine dell’URSS, altro fatto
insignificante
per i trotskisti, si sta svolgendo sotto i nostri occhi uno scontro,
dentro il quale ci
sentiamo impegnati ovviamente anche noi, in cui l’imperialismo USA e
NATO (e
dentro questo imperialismo c’è la sinistra plurale francese) cerca di
imporre il proprio
dominio. Per fortuna di tutti, questa volontà di dominio cozza contro
resistenze e
contraddizioni che ogni comunista e ogni combattente antimperialista
deve saper
analizzare e utilizzare.
Oggi queste contraddizioni si chiamano volontà di pace dei popoli,
rispetto
dell’indipendenza nazionale, collaborazione paritaria tra le nazioni,
fine dei patti militari
aggressivi, sviluppo economico equilibrato e non distruzione delle
risorse finalizzata al
profitto. E’ dentro questi riferimenti che occorre definire un programma
di unità e di
lotta contro la cosiddetta globalizzazione e il suo braccio armato NATO.
Contrapporre discorsi “avanzati”, frutto di suggestioni
intellettualistiche, alla definizione
concreta di un programma vero di lotta contro l’imperialismo e di unità
delle forze
interessate a combatterlo, non ci aiuta certamente e, spesso, favorisce
quelle subdole
campagne filoimperialiste e di matrice trotskista che ritroviamo
puntualmente contro la
Cina e altri paesi “barbari” che resistono alla omologazione.

da Aginform nr.12 – giugno 2000


--------- COORDINAMENTO ROMANO PER LA JUGOSLAVIA -----------
RIMSKI SAVEZ ZA JUGOSLAVIJU
e-mail: crj@... - URL: http://marx2001.org/crj
http://www.egroups.com/group/crj-mailinglist/
------------------------------------------------------------

* "RADIO FREE EUROPE": LA GUERRA FREDDA NON E' FINITA!
* SUL CONTROLLO DI INTERNET


---

Belgrade Rejects Registration Of U.S.-Funded Radio

BELGRADE, Jul 21, 2000 -- (Reuters) The Yugoslav
information ministry on Thursday rejected a request by
U.S.-funded Radio Free Europe to register its Belgrade
office, accusing it of airing "dirty propaganda".

Yugoslav Information Minister Goran Matic was quoted
by the official Tanjug news agency as saying any
possible activities of the office would be considered
"illegal and unlawful".

"The office of Radio Free Europe, as a mouthpiece of
American official policy, promotes its colonial aims
using means unsuited to principles of objective
reporting," Matic said in a letter to the radio
station.

He said Radio Free Europe tried to "influence the
Yugoslav public by using dirty propaganda with the aim
of realizing these aims."

The letter was addressed to director Nenad Pejic of
the radio station's programme for South Slav
languages, based in Prague, which had filed the
registration request.

Yugoslav officials have accused NATO states of
plotting to destabilize the country, and have
denounced opposition leaders and independent media as
their lackeys.

The West and the Serbian opposition have in turn
accused the Belgrade authorities of clamping down on
non-government media in a bid to stifle dissent.

The Belgrade office of Radio Free Europe said it had
not received any official notification about the
decision and declined to comment.

> FEDERAL REPUBLIC OF YUGOSLAVIA
>
> YUGOSLAV DAILY SURVEY
>
> BELGRADE, 21 July 2000 No. 3115
>

>
> YUGOSLAV INFORMATION MINISTER: RADIO FREE EUROPE
> REGISTRATION DEMAND GROUNDLESS
> BELGRADE, July 20 (Tanjug) Yugoslav Information Minister Goran
> Matic on Thursday informed the director of the SouthSlav program of Radio
> Free Europe, Nenad Pejic, that there are no grounds for the registration
> and legalization of the correspondence offices of this radio in Belgrade.
> Matic said in a letter that the correspondence offices of Radio
> Free Europe have the sole task, as the exponent of the official U.S.
> policy, to promote that country's colonial aims by using means contrary to
> the principles of objective reporting and with the aim of influencing the
> Yugoslav public through propaganda and thus realize its own goals.
> Since the registration request says that the founder of the
> Praguebased Radio Free Europe is the U.S. Congress, Matic recalled that the
> current U.S. administration, which spearheads the policy of economic and
> other sanctions against Yugoslavia, is grossly interfering into the
> internal affairs of a sovereign and independent state through media and
> diplomatic pressures.
> The culmination of this brutal policy erupted last year, contrary
> to all international legal norms, via the armed and criminal NATO
> aggression on the Federal Republic of Yugoslavia, Matic said.
> He pointed out that the Yugoslav property in the United States,
> despite U.S. claims about the inviolability of property, has been frozen
> and that this is in fact a robbery which represents a special form of
> economic and political pressure on Yugoslavia.
> Based on such a standpoint of the U.S. administration and
> Congress, expressed through permanent efforts to threaten the territorial
> integrity and constitutional order in Yugoslavia and to forcefully topple
> its legally elected government and establish a puppet one, Matic said that
> there are no grounds for the registration of the correspondence offices of
> the U.S. propaganda media Radio Free Europe.
> He warned that in the future all possible activities of that radio
> would be considered illegal and that legal measures would be implemented
> against all who carry out such activities unlawfully.

VOICE OF RUSSIA ON BAN OF RADIO FREE EUROPE IN YUGOSLAVIA
MOSCOW, July 26 (Tanjug) The attempts of the west to present
Yugoslavia as an allegedly nondemocratic country because its organs had
refused to register a Belgrade office of Radio Free Europe are just an
extension of the old campaign ultimately aimed at bringing servants to
the
Serbian and Yugoslav political and media scenes and having them work
strictly in the interests of foreign power centers, Voice of Russia
radio
said in a commentary on Wednesday.
In refusing the registration of Radio Free Europe, the Yugoslav
Ministry of Information had in mind that this radio station is not an
objective media organization, but a propaganda instrument of NATO whose
activities are directed against Yugoslavia, Voice of Russia said.
Western mass media immediately reacted with a volley of new
statements about the alleged nondemocratic and totalitarian nature of
the
authorities in Belgrade, and the director of the Sloboda Radio Free
Europe
radio station even accused the Yugoslav government of violating norms of
international law, the Russian radio said.
This and other similar false advocates of the free word do not
consider as violations of norms of international law the west's constant
media war against Yugoslavia or the troublemongering interference in its
internal affairs, Voice of Russia warned.
They do not see any violations of this law, either, in the
bombing
of the Serbian Radio Television RTS during the NATO aggression on
Yugoslavia in the spring of 1999, which caused huge destruction and
casualties among the press, the Russian radio said.

-

http://www-hoover.stanford.edu/pubaffairs/releases/1299radiofree.html

HOOVER INSTITUTION

December 17, 1999
Hoover Institution to House Radio Free Europe/Radio Liberty Archives
The Hoover Institution will house the broadcast archives and corporate
records of Radio Free Europe/Radio Liberty under an agreement worked out
between the two and approved by the U.S. Broadcasting Board of
Governors.

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The Pentagon's Info Wars
CounterPunch
Published: July 1-15, 2000 (vol 7, no. 12)
Alexander Cockburn and Jeffrey St. Clair


Jim Redden reports that the US government is laying
the groundwork to knock inconvenient voices off line
during the next international military confrontation.

You can’t blame the folks over at Antiwar.com for
feeling paranoid these days. The libertarian-oriented,
anti-military website hosted its second annual
conference on March 24 and 25. Held at the Villa Hotel
in San Mateo, , the theme of the conference was
“Beyond Left & Right: The New Face of the Antiwar
Movement”. Among the speakers was Alexander Cockburn
who gave an account of the event to CounterPunchers
shortly thereafter.

A short time later, Antiwar.com founder Eric Garris
was startled to learn that his site had been added to
a list of “militia-related” websites maintained by
Mark Pitcavage, research director for the
federally-funded State/Local Anti-Terrorism Training
(SLATT) program. CounterPunch reported on Pitcavage’s
curious operation in its May 1-15 issue. Then in late
May, the software for counting the number of visitors
to Antiwar.com crashed two days in a row. The reason?
An unusually high number of hits from a single
visitor.

When columnist Justin Raimondo tracked down the
curious party, he discovered it was a Pentagon-funded
unit of cyber-soldiers known as the Army Computer
Emergency Response Team. The counter crashed after
recording 2,000 hits from ACERT on the first day
alone. Every file on the website was visited at least
once. CounterPunch contacted ACERT headquarters and
reached public affairs assistant Shirley K. Startzman
who confirmed the military had prowled Antiwar.com.
She said ACERT uses commercially available web search
tools to “continuously research for websites on the
Internet that may have information relating to
potential cyber threats.” Startzman claimed that this
work is “defensive in nature”, intended to “protect
Army computer systems from hackers or denial of
service attacks”.

As Startzman put it, “The Antiwar website was one of
many on the publicly accessible Internet the tool
identified as having information potentially related
to cyber defense. The high numbers of hits reflect
this automated search tool.” Later she added that “the
commercially available tool we used in this particular
case is called Themescape. Its website is
www.cartia.com.” Garris and Raimondo aren’t buying
this explanation.

Despite Startzman’s insistence that ACERT is
“defensive in nature”, it is part of a much larger
military system. Cyber-warfare is a relatively new
idea. It first surfaced as a public issue in 1988 when
the Morris Worm computer virus disabled approximately
10 per cent of all computers connected to the
Internet. Fearful of the vulnerability of the
government’s vast computer networks to such attacks,
the Pentagon turned to the Software Engineering
Institute, a federally-funded research center based at
Carnegie Mellon University in Pittsburgh,
Pennsylvania.

By the end of the year, SEI was officially designated
as the Computer Emergency Response Team Coordination
Center (CERT/CC), providing research and assistance to
the government and anyone else wanting to prevent
viruses and other attacks from crippling their
computers. The Pentagon soon decided to concentrate
its emerging cyber-warfare operations under the United
States Army Intelligence and Security Command
(INSCOM), which was created in 1977 to coordinate all
of the military’s intelligence-gathering operations.
INSCOM moved to Fort Belvoir, Virginia, in the summer
of 1989.

Then the Pentagon began to plan its own Internet
attacks. The idea was first fleshed out in a 1996
paper published by the National Defense University
Press called “Information Terrorism: Can You Trust
Your Toaster?” It was written by Matthew G. Devost of
the Information Systems and Technology Group, and
Brian K. Houghton and Neal A. Pollard, of the Science
Applications International Corporation’s Strategic
Assessment Center.

The authors created a scenario, a war story set in the
Internet, pitting “information terrorists” against
heroic cyber-warriors in the service of Uncle Sam. By
an amazing coincidence, the bad guys in the fictional
story maintain a website which sounds a lot like a
government version of what Antiwar.com was doing at
the time: “The Web page was dramatic and rife with
propaganda and claims against American, NATO, and
Croatian imperialism and atrocities in the Balkan
region, and included questionable allegations of
illegal arms transfers between NATO governments and
Bosnian Muslims and Croats.”

To counter this sinister abuse of the First Amendment
the authors said the U.S. military should create a
“specialized and integrated counter information
terrorism group”, which they called DIRT (Digital
Integrated Response Team). As the authors excitedly
put it, “These highly trained information warriors
would be the national security equivalent of
Carnegie-Mellon University’s Computer Emergency
Response Team, but with an offensive capability”.

After studying this scenario, the Pentagon duly
created ACERT the following year. An article on the
ribbon-cutting ceremony titled “Protecting Electronic
Borders” appeared in the March-April 1997 issue of the
Journal of INSCOM. “Information dominance took a giant
leap into the future March 17, when the United States
Army Intelligence and Security Command ceremoniously
opened the Army Computer Emergency Response Team
Coordination Center at Fort Belvoir, Va. Its mission
is to re-write the books on how the Army handles the
newest threat in the field manuals - computer
hackers.” The INSCOM Journal reported that “A hacker
demonstration was conducted as part of the
ribbon-cutting ceremony. An ACERT/CC computer security
expert conducted the demonstration, saying that you
have to ‘think like a hacker and try to break into a
system’”.

That’s what Garris and Raimondo think ACERT is
preparing to do -- to hack into Antiwar.com and
disable it, along with other sites that excite the
displeasure of the National Security apparat.

---

http://www.vny.com/cf/news/upidetail.cfm?QID=104916

Tuesday, 25 July 2000 20:45 (ET)

Serbian authorities take control of Internet


BELGRADE, Yugoslavia, July 25 (UPI) -- The Serbian government has
taken
control of Internet providers under a law on public enterprises, which
means
it will have access to all e-mail traffic, independent Belgrade radio
B2-92
reported, quoting well-informed sources.

The radio said the law came into force Tuesday.

The law envisages that private firms operating in the field of
telecommunications and information will have to conclude contracts with
the
government giving it powers to approve or reject the statutes, tariffs
and
all other decisions of these firms, the radio said.

It quoted its sources as saying that this also implies that lists of
all
users and copies of all e-mail messages will be accessible to the
authorities. The government will be able to raise charges for Internet
services and force into bankruptcy all firms that make large
remittances to
foreign countries.

In this way, the Internet will fall entirely into the hands of firms
subservient to the authorities, the radio predicted.

"We have tried to get statements from Internet providers but none of
their
owners and directors wanted to comment publicly on possible
consequences of
this law," the radio said.

"Still we have been told unofficially that this is the usual practice
in
developed countries, but that a thing like this in Serbia has a
completely
different implication."

The government has already taken over some major print and electronic
media and is starving independent newspapers of newsprint, saying it is
in
short supply at home but refusing to allow them to buy it abroad.

The radio quoted the comment on the Internet takeover from an
anonymous
private provider's firm: "There were underground rumors about this
during
(last year's NATO) bombing raids, and here you are, they've done it
now.
They want to shut up our last door into the world and to reduce our IQ
to
score 30."

Copyright 2000 by United Press International.
All rights reserved.

---

Subject: Fw: privacy attenzione alle spie della rete
Date: Thu, 20 Jul 2000 18:58:34 +0200
From: "red*ghost" <red-ghost@...>
To: <Undisclosed-Recipient:;>


Questo programmino trova e rimuove i file advert.dll e affini, programmi
che
spiano informazioni dai nostri pc, ripulendo il registro.

Salvaguardiamo la nostra privacy!
lo trovate all'indirizzo:
http://www.tmcrew.org/csa/spzk/optout.exe


--------------------------------------------------------------------
RED GHOST
materiali per la controinformazione e la lotta
--------------------------------------------------------------------
Email: red-ghost@...
--------------------------------------------------------------------
Web: http://www.ecn.org/estroja/
--------------------------------------------------------------------

----- Original Message -----
From: "Spazio Kamino" <spzkostia@...>
To: <spzkostia@...>; <tacticalmedia@...>;
<movimento@...>
Sent: Thursday, July 20, 2000 1:59 PM
Subject: privacy attenzione alle spie della rete


> Si piazza sul pc scaricando numerosi software da Internet
> Chi li distribuisce nega ogni abuso. Ma gli esperti...
>
> Advert.dll, la spia
> venuta dalla Rete
>
>
>
>
> --------------------------------------------------------------------------
------
> ROMA (g.mol.)- Fate un piccolo esperimento: cercate sul disco rigido del
> vostro computer un file denominato "advert.dll". Probabilmente ne
ignoravate
> l'esistenza, né sapete come sia arrivato lì. E soprattutto a cosa serva.
> Ecco le risposte: quel file si piazza sull'hard disk quando installate
> alcuni dei più popolari software gratuitamente scaricabili dalla Rete (la
> lista ne contiene centinaia). E ogni volta che vi connettete a Internet
> invia alla società che distribuisce i programmi - a vostra insaputa - una
> lunga serie di informazioni su vostro conto.
>
> Quali? Qui la faccenda si complica. Perché la Radiate, questo il nome
> dell'impresa, tende a minimizzare, definendo "false" le voci che da tempo
> circolano sul suo conto. Nella nota che spiega la politica della privacy
> dell'azienda si legge infatti che i dati trattati sono estremamente
> limitati: "Noi mandiamo messaggi pubblicitari sul vostro computer,
riceviamo
> informazioni sui banner che voi vedete e studiamo le risposte alle domande
> che vi abbiamo posto".
>
> Ma non tutti la pensano così. Numerosi hacker ed esperti di sicurezza
> telematica si sono infatti presi la briga di studiare "advert.dll", che
> tecnicamente è una libreria dinamicamente collegata (dynamic link
library),
> cioè un pezzo di software che contiene funzioni utili per altri programmi.
> Il primo a farlo è stato AcidBurn, un pirata americano. Ma poi ci hanno
> lavorato anche italiani. Scoprendo cose molto interessanti.
>
> "Quando ci si connette a Internet, advert.dll crea una finestra
invisibile,
> che si mette in comunicazione con il server della Radiate", spiega
> 'Quequero', un giovane hacker abruzzese. "Poi gli invia una serie di dati:
> il nome dell'utente, il suo Ip, la lista dei programmi installati sul
> computer e di tutto quello che si è scaricato dalla Rete, i siti e i
banner
> visitati durante la navigazione, e molto probabilmente, lo stiamo
> accertando, anche la password con la quale si entra in Rete".
>
> L'elenco fa un po' impressione. Perché l'intrusione nel privato del
> cybernauta è tanto spinta quanto impalpabile. E la sproporzione tra ciò
che
> viene ammesso e ciò che si sospetta è grande. Nel dubbio però la "cimice"
si
> attacca stabilmente al computer. E dall'altra parte, in ogni caso, c'è
> qualcuno che ascolta. Non è una bella sensazione, quando lo si viene a
> sapere.
>
> (20 luglio 2000)
>
>
>
> Il cybernauta non è mai solo quando va su Internet
> Ecco come può essere seguito ogni suo movimento sul web
>
> I mille occhi puntati
> sulle vite telematiche
>
>
> di GIANCARLO MOLA
>
> --------------------------------------------------------------------------
------
> ROMA - Mille, centomila, milioni di occhi ci scrutano mentre navighiamo su
> Internet. Sanno come ci chiamiamo e quali itinerari percorriamo. Conoscono
i
> nostri gusti, se ci piace il gelato alla fragola o al pistacchio, se
> preferiamo il mare o la montagna. Ed elaborano, elaborano tutto. Macinano
le
> informazioni che hanno su di noi, le confrontano, fino a raggiungere
> l'intimità dei nostri conti correnti o delle nostre abitudini sessuali.
> Passano al setaccio nomi, numeri e dati, sfornano analisi di mercato di
> massa così come profili consumatore tagliati con precisione
infinitesimale.
> Sono occhi sconosciuti, nascosti, a volte invisibili. E quasi mai
riusciamo
> a capire a chi appartengono.
>
> Detta così sembra la trama della versione hi-tech di "1984", il capolavoro
> di George Orwell che per la prima volta presagiva l'esistenza di un Grande
> Fratello. In realtà è l'inquietante rischio dei milioni di cybernauti
sparsi
> per il mondo. Un puzzle di intrusioni piccole e grandi nella privacy della
> gente. Che non è ancora possibile ricomporre nella sua interezza. Ma del
> quale, con fatica, si può trovare qualche tessera. Eccone alcune.
>
> Quasi tutti i siti web ospitano ormai immagini pubblicitarie, che in gergo
> si chiamano banner. Chi li vede ha l'impressione che facciano parte della
> pagina che si sta guardando. Ma è solo un'apparenza: si tratta infatti di
> oggetti che risiedono fisicamente altrove rispetto al sito che li
contiene.
> Dove? Generalmente sul server della concessionaria di pubblicità, che ne
> gestisce tutte le funzioni. Ebbene, una serie di informazioni (dall'Ip,
cioè
> la "targa" del computer, alle pagine visitate, al nome e alla e-mail) che
> per diverse ragioni sono state date al proprietario del sito spesso vanno
> scorrettamente a finire anche nelle mani di chi controlla il banner.
>
> Ma il web è pieno anche di banner invisibili. Si tratta di immagini grandi
> appena un pixel (il punto base in cui è diviso lo schermo) e senza alcun
> colore. Gli informatici le chiamano web bug. Anche loro hanno lo scopo di
> passare informazioni sui movimenti in Rete di chi naviga a chi li
gestisce,
> cioè a terze persone rispetto a quelle che controllano il sito visitato.
> Solo che nessuno può vederle.
>
> "Non ci sono limiti a invasioni di questo tipo", spiega Claudio
Manganelli,
> esperto di informatica e membro dell'ufficio del garante per la Privacy.
"La
> tecnologia di Internet è sconosciuta ai più. E spesso si tratta di
strumenti
> molto sofisticati anche per chi con queste cose ha a che fare
> quotidianamente". Eppure qualcosa non torna. Chi accetta di mettere un
> banner o un web bug nella sua pagina non dovrebbe sapere che cosa fa il
suo
> "ospite"? "Di norma sì - prosegue Manganelli - perché le funzioni dei
banner
> sono oggetto di contrattazione fra le aziende. Ma non si può mai dire".
Nel
> caso di società che offrono spazio web per le home page personali degli
> utenti è prassi mantenere il controllo esclusivo di alcuni elementi della
> pagina ospitata. Che quindi può essere disseminata di banner o, peggio,
web
> bug a piacimento.
>
> Ma ci sono anche altre forme di invadenza della cyberprivacy. Nei
newsgroup,
> soprattutto quelli dedicati alla pornografia o ai videogame, sono
abbastanza
> frequenti messaggi accompagnati da piccoli segni grafici. Che sono il
> cavallo di Troia di spie digitali, che segnalano a chi li ha messi in
linea
> se e quando il testo è stato letto e se alla lettura è seguita la
> consultazione del link consigliato.
>
> Attenzione anche ai programmi che si prendono in Rete. Spesso la loro
> installazione sul computer porta con sé spiacevoli conseguenze. Così
qualche
> tempo fa una gruppo di hacker italiani ha scoperto che decine di software
> gratuitamente scaricabili da Internet piazzano sul disco rigido
dell'utente
> un bizzarro file chiamato "advert.dll". Che abbia a che vedere con la
> pubblicità lo si capisce anche dal nome. Ma che consegni alla società che
ha
> sviluppato i programmi i dati personali del navigatori (fino alla lista
> degli altri software installati e, pare anche alla password di connessione
a
> Internet) in pochi lo avevano immaginato. La Radiate - che produce i
> programmi "incriminati" - ovviamente nega di fare un uso illegittimo del
> materiale raccolto. Ma la presenza di uno 007 digitale sulla propria
> macchina non è per questo meno inquietante.
>
> Il bello - o il brutto - è che poco si può fare per impedire che qualcuno
> metta il naso negli affari telematici (ma non solo) della gente. "Le
> autorità nazionali che tutelano la privacy - spiega infatti Manganelli -
> hanno difficoltà oggettive a fronteggiare questi pericoli. E poi c'è un
> problema di leggi. Che sono impotenti di fronte ad un fenomeno
> transnazionale come Internet. È da tempo che con i nostri colleghi
> discutiamo della questione. Ma ogni volta che il problema viene posto agli
> Stati Uniti ci si scontra con un muro di gomma. Lì la riservatezza vale
> poco. Quasi niente confronto alle esigenze del mercato e del business".
>
> (20 luglio 2000)
>
>
> Una dimostrazione pratica di come terze persone possono raccolgiere
> informazioni sugli utenti. E seguirli
>
> Basta che tu clicchi
> e io saprò chi sei
>
>
>
>
> --------------------------------------------------------------------------
------
> ROMA (g.mol.)- Ma sì, clicchi pure dove vuole. Per cortesia, potrebbe
darci
> il suo nome? Anzi, perché non ci lascia anche la sua e-mail? No, non si
> preoccupi. È solo per il nostro database, per fornirle servizi migliori.
> Sono decine i siti e i portali che chiedono informazioni personali ai loro
> utenti. E le ottengono, magari sulla base della loro credibilità. Ma
> qualcuno potrebbe venire a conoscenza di quei dati. L'inserzionista per
> esempio, attraverso il banner pubblicitario posto sulla pagina in
questione.
> E ad un cookie, un sempice file di testo che viene inviato sul computer
> quando ci si collega per la prima volta a un sito. E che stabilisce una
> specie di ponte permanente di collegamento con chi lo ha inviato.
>
> Una dimostrazione pratica di come funzioni la tracciatura del traffico web
> tramite i banner pubblicitari è quella allestita da Privacy.net il sito
> dell'americana Consumer Information Organization. Che porta per mano il
> cybernauta alla scoperta di tutto quello che terze persone potrebbero
sapere
> di lui, a sua totale insaputa.
>
> Passaggio 1.
> Il monitoraggio.
> I banner pubblicitari si trovano ovviamente su più siti. La società che li
> controlla (cioè l'inserzionista) può sapere quanti siti di questo network
> trasversale il singolo utente ha visitato. Privacy.net riproduce quindi
una
> serie di siti (fittizi, nell'esempio) sui quali compare lo stesso banner.
>
> Visitando i siti indicati nell'elenco ecco che immediatamente l'advertiser
> traccia il percorso compiuto, registrando l'Ip, l'orario della visita, e
la
> pagina visitata. Preciso, come si può vedere, al secondo.
>
> Passaggio 2.
> Il nome utente.
> È sufficiente che il sito chieda una qualsiasi forma di registrazione
perché
> i dati inseriti siano recepiti anche dall'inserzionista. Tra le
informazioni
> normalmente richieste ci sono indirizzo e numero di telefono, e-mail e
> interessi vari.
>
> Ed ecco il risultato: alle pagine visitate si aggiunge ora anche
l'identità
> dell'utente. Gli (apparentemente) anonimi numeri identificativi del
personal
> computer di provenienza hanno un profilo ancora più preciso.
>
> Passaggio 3.
> Le e-mail.
> Il massimo dell'intrusione si ottiene quando al cybernauta viene richiesto
> l'indirizzo di posta elettronica. La casella di e-mail a questo punto può
> essere bombardata di informazioni pubblicitari non richieste. Ma molto
> mirate a soddisfare i gusti che si sono espressi durante la navigazione.
>
> Passano pochi secondi e infatti arriva un messaggio. Che nel caso di
specie
> contiene solo un'immagine rotta. Ma che potrebbe avere al suo interno link
> ad altri siti o proposte di acquisto. L'utente decide di aprirlo per
vedere
> cosa contiene.
>
> Ma qualcun altro, proprio in quel momento si accorge se il messaggio è
stato
> letto o meno. E se ha avuto conseguenze. Lo stratagemma tecnico lo spiega
> Elf Qrin, un hacker italiano esperto di sicurezza: "Per ottenere questo
> risultato basta includere nel messaggio, inviato in forma html invece che
in
> puro testo, un'immagine, che funziona un po' come una miscrospia. Allo
> stesso modo, l'indirizzo del sito da visitare ha una pagina differente per
> ogni mail. È così possibile sapere chi ha deciso di visitare quel sito
dopo
> aver ricevuto una mail".
>
> A questo punto l'identità digitale del navigatore è senza veli. Nella
> migliore delle ipotesi i dati restano nei database di chi li ha raccolti.
Ma
> potrebbero essere venduti a società specializzate, che li integrano con
> altre informazioni in loro possesso. E magari li rivendono. Una semplice
> navigata privata è diventata in pochi minuti un fatto di dominio pressoché
> pubblico. Se qualcuno non ci crede può seguire personalmente la demo
> consultando il sito www.privacy.net.
>
> (20 luglio 2000)
>
> Si chiamano web bug, sono nascosti tra le pagine Internet
> e servono a raccogliere informazione. Ecco come scovarli
>
> Un baco invisibile
> a caccia di dati
>
>
>
>
> --------------------------------------------------------------------------
------
> ROMA (g.mol.) - Minuscoli quanto un pixel, vale a dire quanto di più
piccolo
> possa essere messo sullo schermo di un computer. Ma potenzialmente capaci
di
> penetrare nell'intimo delle abitudini dei cybernauti. Si chiamano web bug,
> pochi ne conoscono l'esistenza, e praticamente nessuno può vederli a
occhio
> nudo. Però ci sono, disseminati in milioni di pagine galleggianti per il
> web. E sono l'equivalente digitale delle telecamere nascoste, contro le
> quali di recente si è scagliato il Garante per la privacy Stefano Rodotà.
>
> Dal punto di vista tecnico un web bug corrisponde a un banner
pubblicitario.
> Nel senso che può tracciare i movimenti di un navigatore con precisione
> scientifica, come abbiamo già spiegato. Solo che la loro presenza è
occulta,
> così come è ignoto chi li gestisca. A meno che non si conosca alla
> perfezione il linguaggio html, utilizzato per disegnare le pagine
Internet.
>
> Qualcuno però, si è divertito a cercare i bachi spioni per la Rete. E a
> vedere a chi appartengono. L'americano Robert Smith, per esempio. Che
nella
> sua home page personale ha inserito una lista dei web bug controllati
dalle
> principali Internet company d'oltreoceano. Ma non solo: ha anche avuto
> l'idea di sottoporre il codice che individua il bug a un motore di
ricerca.
> Il risultato (vedere per credere) è sorprendente: perché ci si accorge che
> il baco di DoubleClick (una della maggiori società di pubblicità in Rete)
si
> trova su 59.750 pagine, che quello del libraio virtuale Barnes & Nobles
> appare su 108.104, e quello di Yahoo addirittura su 16.542.290, cioè su
> tutti siti personali degli utenti di Geocities, la società controllata dal
> motore di ricerca che ha fatto le sue fortune offrendo spazio web
> gratuitamente a (inconsapevoli?) utenti.
>
> Questo non significa certo che ad ogni web bug corrisponda una sbirciata.
Il
> dubbio però è legittimo: perché le importanti società Internet dovrebbero
> far inserire nelle pagine altrui (e pagare) oggetti che altrimenti non
> servirebbero assolutamente a niente?
>
> (20 luglio 2000)
>


--------- COORDINAMENTO ROMANO PER LA JUGOSLAVIA -----------
RIMSKI SAVEZ ZA JUGOSLAVIJU
e-mail: crj@... - URL: http://marx2001.org/crj
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Lettera inviata al "Manifesto" il 19/6/2000:

Osservo con molte perplessita' lo schierarsi di associazioni di
volontariato per un impegno, di per se nobile, in favore dello sviluppo
democratico in Jugoslavia, chiedendomi quanto tale impegno non abbia a
che fare, in realta', con l'ossimoro "Guerra Umanitaria". Quanto, cioe',
la guerra non sia frutto di un albero nato dal seme dell'ingerenza
umanitaria, fatta apparentemente in buona fede e per solidarieta' ma, in
realta', pericolosa perche' va ad innescare un processo incontrollabile
di effetti e reazioni a catena. Se la guerra e' stato il suo frutto
velenoso, non bastera' potarlo, quell'albero!
Vedere poi come, in modo parallelo ed ufficiale, l'Italia sposi il
progetto UNHOPS, organismo delle Nazioni Unite per aiuti allo sviluppo
delle citta' jugoslave rette dall'opposizione, cioe' quasi tutte (altro
"ossimoro", perche' e' difficile capire come in un paese governato da un
novello "Hitler" possano esistere giunte di opposizione...), fa un po'
pensare.
Perche' quando ci si muove in quel senso, ci sono miliardi da gestire e
da spendere ma dietro suggerimento di chi, in realta', la guerra l'ha
fatta e ha causato il dramma che si tenta di arginare. E allora, dove
sta la contro-informazione, la denuncia, la ferma opposizione alla
guerra e alle politiche espansioniste se poi, di contro, si sta al gioco
della perdizione-distruzione con relativa redenzione-ricostruzione? E
perche', allora, non si fa la stessa cosa in Iraq? Forse, in Iraq, non
ci sono citta' rette dall'opposizione? Forse, laggiu', il novello Hitler
e' un po' piu' Hitler dell'altro? E in Kosovo, terra UCK, e' stato
raggiunto un livello accettabile di democrazia e di convivenza
multietnica? Li' televisioni e radio e giornali sono esempi di
obbiettivita'?
Credo che un'associazione che lavori nel campo della solidarieta'
internazionale debba chiedersi se il proprio impegno non serva, qualche
volta, a celebrare l'opportunismo di chi andrebbe, in realta',
processato per crimini contro l'umanita'. Le scelte sono anche politiche
e sono fondamentali.
Fra i partecipanti UNHOPS c'e' il governo italiano e con le associazioni
tratta un certo Umberto Ranieri, ex sottosegretario agli Esteri durante
la guerra NATO e suo energico sostenitore. Vagliera' i progetti da
finanziare... Qualcuno se lo ricorda ancora, o e' meglio per tutti
dimenticare?

Alessandro Di Meo, Roma

-

Lettera inviata al "Manifesto" il 23/7/2000:

FARE DEL BENE A CHI?

Lo spunto di questa lettera è l'intervento di Marcello Cini pubblicato
in
ultima sul manifesto di giovedì 20 luglio dal titolo "Perché no?
Facciamoci
del bene", in cui l'eminente teorico della scienza discetta sulla
opportunità che un gruppo di suoi amici tornino a rappresentare
l'alleanza
di centrosinistra nella malaugurata previsione di una vittoria
elettorale
della destra.
Sarebbe oltremodo opportuno che qualcuno (magari un giornalista
vero)
voglia oggi ricordare ai lettori che tra i poveri "orfani dell'alleanza
di
centro sinistra" figurano nomi che hanno sostenuto a pieno titolo, come
partecipanti al governo D'Alema, ovvero come silenti spettatori
dell'evento, l'aggressione bellica alla Jugoslavia dello scorso anno,
che
nelle colonne di questo giornale è stata compiutamente descritta e
condannata. Perciò non sto qui a ricordare le conseguenze ecologiche,
sanitarie ed economiche di questa guerra, visto che molti partecipanti
al
"salotto" si considerano ecologisti formati. E' tuttavia spiacevole e
deludente che tali "protagonisti" cerchino ancora credibilità nella
confusione della disinformazione o nel segreto dell'urna, ma è
soprattutto
offensivo per chi è stato e sarà ancora colpito da questa e da altre
guerre, senza neppure il barlume di un riscatto di umana giustizia.
Un consiglio, invece, per molti di coloro che sono passati al
centro o che
non riescono più a rifarsi una verginità politica a sinistra: sarebbe
più
opportuno che, perduti dietro ai compromessi, se non riescono più a fare
il
lavoro per cui si sono un dì qualificati, si dirigessero direttamente
all'indirizzo di Berlusconi, come altri hanno già fatto in un recente
passato; oggi, infatti, se ci sono cose di cui ha bisogno la sinistra,
queste sono ancora la chiarezza e completezza dell'informazione e la
reale
solidarietà, che ci permettono di collaborare tra "diversi"; il resto
predicato da Cini lo si può considerare "un furbetto giochetto di
Ermete"...

Mauro Cristaldi, Roma


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IN THE INFORMATION WAR, A VICTORY FOR PEACE

Reflections on the one year anniversary of the US/NATO bombing of
Yugoslavia

Text of a speech given to Dayton Peace Action, Dayton, Ohio, 3/21/00

By Geoff Berne

It's a privilege to have been asked by Dayton Peace Action to speak
regarding this past year of war in Yugoslavia.

An organization like yours that's dedicated to peace is a rare one in
the landscape of today's geopolitics in which stronger countries like
ours are said to have "national interests" that justify going to war. A
person who is for peace signals that he most likely does not have a
multinational investment portfolio and probably doesn't care whether the
bulk of Americans who invest in foreign enterprises and ventures prosper
or not. If you reject the notion that nations such as ours have the
right to send troops to protect the investment of capital in a foreign
country like Kuwait or Yugoslavia, you'll be looked on as a clueless
individual who somehow hasn't gotten the message that investment in the
economies of foreign countries is the life's blood of our American
system, a thing that Americans who own stocks are ready to die for, or
kill for, even if you are not. May you, notwithstanding, continue to
carry the peace banner.

I have spent the past year being one of a chorus of people that has
raised an outcry about the Balkan war on the internet, and has refused
to let the matter die as the media and our national leadership try to
move on to other things. What anybody who has followed the war on the
web has quickly realized is that it has caused a crisis of consistency
for people of every political inclination: from so-called Democratic
Socialists (many of whom vigorously supported the bombing of a socialist
country) to conservative libertarians (who supposedly believe in a free
market economy but defended Yugoslavia - a country bombed for its
refusal to adopt a free market economy).

Somehow through the confusion of seeing right and left trade their
traditional positions on the justness of war an antiwar computer
consensus emerged that demanded to be heard and became a factor that had
to be reckoned with. Within mere months, the war opposition that had
taken root among the public bubbled to the surface in the House of
Representatives last May in a tie vote registering no-confidence in the
administration's war policy, 213-213, a vote followed just a few weeks
later by an abrupt halt in the bombing. Can one recall a more dramatic
triumph of democracy than in this affirmation of the goal of peace by
the representatives of the people?

The Pentagon fought the information war in the Balkans using the old
media: newspapers and TV. They failed to stir the traditional pro-war,
patriotic fervor, however, because, increasingly, public opinion is
being shaped today not by TV but by computer.

As compared with their support for action against the Ayatollah Khomeini
in Iran and against Saddam Hussein in Iraq, the public's reaction to
this war was to sit on its hands and turn away from the kiddie cartoon
version of a war in Yugoslavia that the video media crafted with the
help of military and CIA psychological operations specialists who
literally occupied CNN newsrooms and production facilities. Even in
spite of all that effort, like a big budget Hollywood movie that nobody
went to see, "Operation Allied Force" was a disaster at the box office.
Does anybody even remember that corny name?

As we approach the one year anniversary of the start of NATO bombing of
Yugoslavia three days from now, let's take satisfaction that the war has
been such an embarrassing subject that not a single presidential
candidate from the two major parties has so much as mentioned it! Given
the fact that the war was undeclared and indeed that the word "war" was
not even used to describe an operation that involved 40,000 Western
bombing sorties, the uprooting of a million people, ten thousand
civilian deaths, and the destruction of 1,500 towns and 40 per cent of
the buildings in Kosovo alone by the NATO bombing - to the point that
1.2 billion dollars would now be needed to rebuild housing in Kosovo
alone - given the fact that even with all that bloodshed and destruction
NATO was able to destroy only 13 Yugoslavian tanks, and is it any wonder
"Kosovo" is a war regarding which no major political candidate has dared
speak its name?

Odds are, however, that this issue will not stay quiet very much longer
because, for one thing, the war is still going on and in fact heating up
with every passing day, and furthermore those who originally set it in
motion had grandiose goals that are still far from being achieved, goals
that can only be achieved by a confrontation with Yugoslavia's
unyielding regime.

As far as the war still going on is concerned, indications are that
another call by the United States for a resumption of bombing and
perhaps ground operations will be made in the very near future. A
blockade of the Republic of Montenegro set up early this month by the
Milosevic government seems to set the stage for yet another U.S./NATO
rescue mission. This time it would be on behalf of the government of
Montenegro President Milo Djukanovic, the king of European cigarette
smuggling, who is expected to follow in the footsteps of Slovenia,
Macedonia, Bosnia-Herzegovina, Croatia, and (soon to be added to this
list, Kosovo), and stage a secession from the Yugoslav federation.

Also indicative that the war is recharging is the renewal of Albanian
aggressive acts, not only against Serb civilians but this time even
against NATO/UN peacekeeping personnel. Persecution, bombings, and
killings of Serbs by revenge-minded Albanians have taken place under the
nose of and with the apparent protection of the greatly overmatched UN
international peacekeepers. In a sign of the underwhelming international
support that there is for the Balkan mission, the UN countries who
supposedly pledged to provide a total of 5,000 troops to police the
streets of Kosovo instead only provided 2500. In the past few weeks,
everyone in a position of authority in relation to Kosovo, from UN
Secretary General Kofi Annan on down, has proclaimed the area to be out
of control. Either a mono-racial Albanian state entirely "cleansed" of
Serbs will emerge in Kosovo, a republic that NATO at war's end had
agreed would remain as a territorial part of the Federal Republic of
Yugoslavia, or Kosovo will be partitioned as in Bosnia and Cold War
Berlin.

Incredible as it may seem, NATO had gone to war without first having in
place a game plan for postwar occupation of a country that it invaded
and occupied. Now that it has total authority, it's making up a new
script each day as it goes along. Ten years is the minimum forecast I
have read for how long this travesty of an occupation will last, and
some have said fifty. Its mission compromised to the core, its authority
mocked by their having served as protectors to the gangland violence of
its Kosovo Albanian dependents, the UN occupation and security force has
reduced retiring NATO commander Clark to putting out desperate calls for
more troops - and caused NATO's own field officers and monitors to warn
that troops may now be needed to quell these same Albanians that we
embraced and set up as a fighting force in the first place.

On February 13th, in the city of Mitrovica where 50,000 of the remaining
100,000 Serbs who have not yet been driven out of Kosovo still live, UN
personnel were overmatched by sniper fire and crowds throwing rocks and
grenades in a march on the city that's known for its prized Trepca
mineral mines. Wresting control of the mines and their 17 billion tons
of coal reserves, plus lead, zinc, cadmium, silver, and gold treasures
from the government in Belgrade has been seen as a goal not just of the
Albanian insurgents of Kosovo but also of the international industrial
and investment interests who stand poised to reap major benefits from
NATO dominion over the area.

The mines have been called "the most valuable piece of real estate in
the Balkans." Many of Kosovo's pro-secession Albanians who had worked in
the mines were weeded out and replaced with Poles, Czechs, and Serbs by
the Milosevic administration in the 1980's after having committed a
spate of strikes, sabotage incidents, and violence against
fellow-Albanian miners who remained loyal to the government in Belgrade.

The guns of insurgents who fought for the KLA and for secession of
Kosovo from Yugoslavia are still targeted on these fellow -Albanians
"traitors" who remain pro-Belgrade and whom they would like to oust from
the mines. The 70,000 Albanians who rallied in Mitrovica have plainly
lost patience with the UN occupation which they had expected would
re-establish employment in the mines for Albanians who are pro-KLA.
Obviously the mines are not just a flashpoint, they are the flashpoint
for any future hostilities in Kosovo.

The Trepca mines first attracted notice in the early days of the war
when NATO spokesmen alleged that they held one thousand bodies of
Albanian victims of Serb ethnic murders. The Mirror of London wrote
that the name Trepca would "live alongside those of Belsen, Auschwitz
and Treblinka, etched in the memories of those whose loved ones met a
bestial end in true Nazi Final Solution fashion." But in the aftermath
of the bombing ceasefire investigators for the International Criminal
Tribunal on the Former Yugoslavia (ICTY) found no human remains there at
all!

If the name Trepca continues to live in infamy it will be as a symbol
not of genocide but of the official invention of a fake genocide to
justify war against a nation that had committed no offense other than a
refusal to allow the major Western nations to plunder it.

Along with Trepca all other evidence of Serb genocide has collapsed, the
100,000 ethnic murders of which "Mr." Milosevic was accused by Defense
Secretary Cohen were pure invention as admitted even by hardliner Adem
Demaci of the KLA who put the figure at closer to seven thousand.
However, the ICTY forensic teams who were sent to look for bodies wound
up actually finding remains of only a few hundred persons and even these
bodies were conceded to have been likely insurgent combat troops rather
than innocent civilians. At the very most, the ICTY teams estimated
that the total count of bodies found would be something like 2,000. No
less an authority than KLA "minister" Hashim Thaci has himself now
admitted that the notorious so-called "massacre" at Racak, the incident
that outraged the world and gained world support for NATO action, was
the result of a bald-faced provocation by KLA terrorists who used the
photographed bodies of their own snipers as "proof" of a Serbian ethnic
bloodbath.

While this is not news on the television media, which refuse to report
these revelations, it's big news on the internet where official lies and
disinformation are routinely deflated in a matter of hours after being
proclaimed. Indeed, in spite of NATO's seeming media advantage, the
winners of the information age's first internet war have been the forces
of peace! A determined information-gathering resistance movement on the
internet has grown in influence over this past year to such a point that
it has succeeded in stripping away the humanitarian fig leaf that NATO
wore when the war first started and with it all credibility of the
governments of nineteen of the most powerful countries in the world.
That is a big, big accomplishment.

Hence while a new war, even an expanded war, has perhaps never been so
close, the power of those who seek peace has never seemed greater,
either.

The next time this country goes to war, whether in the Balkans or
against some small, defenseless country elsewhere on the planet, how can
our pretense of humanitarian motive be believed now that internet
researchers have exposed our hidden intentions in Yugoslavia and forced
revisions of the official spin on that war to be made in the historical
record?

The entrance of the U.S. into the Balkans was shocking when it happened
because of our trampling of international war codes, treaties, and rules
of conduct taken for granted for decades, and even centuries. The UN
Security Council - out of business. The Geneva Convention prohibiting
aggression against civilian populations - null and void. The War Powers
Act forbidding foreign military intervention without Congressional
authorization - never heard of it. I even read that we had violated the
Treaty of Westphalia of 1648! The internet revolution broke down the
mystique of foreign affairs expertise, allowing citizens like ourselves
to have technical information such as this. Now we have an opportunity
to sort through the sheer mountain of data, and, if we stay the course,
to find out exactly what goes on inside the Leviathan of the war
machine, and exactly how a nightmarish war such as we have seen in
Yugoslavia is made from drawing board through fait accompli.

It's exactly appropriate that among the most influential sources of
truth about this war have been two websites, the absolutely essential
antiwar.com and one entitled The Emperor's New Clothes - www.tenc.com.
Here are just some of the revelations with which that latter website and
others have succeeded in tearing away the aura of righteous purpose in
which the makers of the NATO war on Yugoslavia have vainly struggled to
clothe themselves.

By the time the bombing was two weeks old it was clear to anybody
following it on the internet that restoring ethnic harmony in Kosovo was
not the reason we were in Yugoslavia. Now a year later a consensus has
grown that what the U.S. had sought for Kosovo is for it to be a
permanent colonial protectorate, a launching pad for America to move
into the former Soviet bloc countries. Prior to the war, America had
military bases in 100 countries around the world but not Yugoslavia.
Yugoslavia was the very the last country in Europe without an American
base. Now, thanks to the war the largest American base in Europe is in
Kosovo.

Emperor's Clothes has published many entries by writer Diana Johnstone.
She characterizes Yugoslavia as "a testing ground and a metaphor for the
Soviet Union." In other words, American orchestration of the downfall of
Yugoslavia (by abetting the breakaway of its member republics) is only a
dress rehearsal for future usage of the same dismemberment strategy
against Russia. Supporting the idea that America is positioning itself
to revive the Cold War struggle against Russia are several articles on
Emperor's Clothes including a 1996 paper by Sean Gervasi which asserts
that America wants to have the status of a "European power," and to
expand eastward, eventually taking over the running and economic
exploitation of former east bloc countries such as the Ukraine, Georgia,
and Azerbaijan.

As long as four years ago Gervasi was proclaiming that far from being a
tightly knit partnership, the western alliance is falling apart. In his
analysis, fearing that the emergence of the European Union, of which the
U.S. is not a member, would make Germany rather than ourselves the
supreme power in Europe, the U.S. sought war in the Balkans to carve out
a post-Cold War domain for NATO, of which we are a member, and a way to
make NATO be the supreme power in Europe.

Gervasi's theory is as follows: worried that our fellow NATO countries
had only weakly supported American action in the Gulf War (with our
so-called allies relying almost wholly on American manpower and
firepower), the U.S. cooked up a Balkan crisis in order to lift NATO out
of its doldrums and establish American supremacy by dazzling our allies
with American high tech firepower. Implicit in this theory is that
America had acted in the hope that Europe would see that this country
sets the standard for military manufacture and would have to buy
American military goods.

As early as the 1980's American strategists were plotting ways that NATO
intervention against "rogue nations" would give the U.S. and its fellow
members of NATO a new cause. Just as the old empires of Europe
conquered whole continents in the name of a "civilizing mission," NATO
would roam the planet as protectors of human rights and as humanitarian
rescuers.

Another contributor to Emperor's Clothes (and other antiwar websites),
Michael
Chossudowsky, documents the way the U.S. used the American-controlled
International Monetary Fund, with its power of foreclosure as financial
lender, to smash the Yugoslavian economy, render that country helpless
against foreign takeover, and create such outrageous social and economic
conditions that military intervention by outside countries would seem
like the only solution.

Finally, once again from Emperor's Clothes, on March 12th we were
privileged to get the first American posting of investigations by the
major London newspapers and BBC television that show how America's CIA
created the pro-Albanian Kosovo Liberation Army to spread terror against
Serbia and the government in Belgrade. When Belgrade acted to stop the
shootings, burnings, and kidnappings by the KLA Western media portrayed
Belgrade's law & order measures as racial genocide against Albanians.
In such way the impression was created of a humanitarian crisis that
NATO used as cover for a military aggression.

Now one year after the initial bombing of Yugoslavia, America has
installed itself as an occupying power in Kosovo. Like Korea, like
Berlin and the two Germanies during the Cold War, Yugoslavia is now a
divided country with two republics (Bosnia and Kosovo) that are
protectorates run by outside international bodies mainly staffed by
Americans.

Is the United States simply getting carried away with its own
self-righteous sense of a mission to save mankind, as many anti-war
conservatives who hate the idea of governments acting on the basis of
paternalistic compassion, such as Pat Buchanan, charge, or is the U.S.
committing itself to interventionism because of some more practical and
self-interested motive?

We do not read much about it or hear about it in the major media, but
the internet has carried dozens of articles about the economic benefits
that the U.S. stands to reap from its presence in Kosovo: first of all
the U.S. seeks to build an oil pipeline from Azerbaijan in the former
Soviet Central Asia right across Kosovo and Croatia. With its domination
of Kosovo the U.S. would have control over the future main supply of oil
to the European continent.

And in Kosovo as in many other countries before it, America has sided
with factions that reap huge profits from the drug trade thus
implicitly suggesting that our government has a stake in that trade that
has become a vital form of military financing. First Afghanistan, then
the Nicaraguan contras, then Panama, and now it's our latest client,
Albania. 80 percent of Europe's heroin supply comes from Albania, which
has used drug sales to fund KLA expansion into Kosovo and made Kosovo an
indispensable link in the Albanian drug trade. Our armed forces are
being readied for an expedition to stop the drug trade in Colombia. Has
one word been said to suggest that the military in Kosovo might want to
stop the drug trade in Kosovo as well?

It's been hard for anyone who knows the truth about the KLA and drugs to
watch TV personalities such as Geraldo Rivera go to Albania and stand
side by side in solidarity with these anti-Serb rebels whom they
characterize as freedom fighters. Only on the internet do we discover
that these brave patriots are funded almost entirely by profits from
heroin and other major-scale organized crime activity including
prostitution.

Give credit to the internet resistance, then, for exposing truths such
as these about the war in Yugoslavia. In today's information wars,
computer truth forces are the modern day successors of the war
resistance of Yugoslavian partisans and chetniks who stood up to Hitler
during World War II.

In just three days we will mark the one year anniversary of NATO's air
invasion of Yugoslavia on March 24, 1999. It so happens that that date
coincides with another anniversary, the birth of Yugoslavian resistance
to Adolf Hitler on March 26-27, 1941. On that date after Hitler had
struck a deal with Yugoslavia's Prince Regent, Yugoslavia's armed forces
rose up and overthrew his government, as crowds spat on the German
minister's car. Allow me to quote from William L. Shirer's classic
account of the years of the Third Reich:

"The coup in Belgrade threw Adolf Hitler into one of the wildest rages
of his entire life. He took it as a personal affront and in his fury
made sudden decisions which would prove utterly disastrous to the
fortunes of the Third Reich. Yugoslavia (he said) would be crushed with
'unmerciful harshness.' He ordered Goering to 'destroy Belgrade in
attacks by waves' with bombers operating from Hungarian air bases." He
then postponed his invasion of Russia by four weeks thus guaranteeing
that it would end in failure and the snows of the Russian winter.

The bombing of Belgrade by the Luftwaffe began on April 6, 1941, razing
the city to the ground and killing 17,000 civilians. In an eerie
forshadowing of today's tradition of giving each war its own
action-movie title such as "Operation Desert Storm" in Iraq and
"Operation Allied Force" in Kosovo, Hitler's air attack on Yugoslavia
was called "Operation Punishment." On April 13, 1941, Yugoslavia was
overwhelmed by the German blitz, and the army surrendered at Sarajevo.
Under the occupation industrialist Alfried von Krupp and Reichsmarshall
Hermann Goering personally divided up the spoils of Yugoslavia's
precious mines. However the Yugoslavian partisans, consisting primarily
of Serbs, fought on, resisting all foreign domination including, after
the war, that of the Soviet Union.

Of all the countries that were overrun by Hitler's armies, Yugoslavia
set a unique example in fighting back and offering armed resistance.
The heroic resistance to military aggression demonstrated by the Serbs
of Yugoslavia, which started with Serbia's declaration of independence
after World War I and has now withstood three invasions including
NATO's, should not only not be forgotten, but should inspire us today.

Yugoslavia is once again being eyed as an outpost for the west in
Central Europe, a fortified American emplacement in readiness for war
with Russia. The stubborn Serbs of that country have shown that they
will endure any suffering to prevent their land from being used for such
a scenario. We must find the strength to match the Serbs in their
heritage of resistance to war, and it looks as though we will be called
upon to do so if, as appears likely, NATO's war against Yugoslavia
intensifies in the very near future.


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