Jugoinfo
alle ore 10:30 presso il Cinema Astra, Piazzale Volta 3
FOIBE E FASCISMO 2019
Conferenza di Sandi Volk, testimonianze e video
a cura del Comitato Antifascista Antimperialista e per la Memoria Storica con l'adesione di ANPI e ANPPIA
evento FB: https://www.facebook.com/events/227663108112168/
manifesto della iniziativa: https://www.cnj.it/home/images/INIZIATIVE/parma100219.jpg
Nič novega v Trstu. Oziroma je vedno slabše!
Niente de novo a Trieste.. Anzi pezo del pezo con discriminazioni raziali a go-go.
Oggetto: 10 febbraio a Basovizza (Trieste) per i caduti antifascisti
Data: 7 febbraio 2019 22:42:09 CET
In data 10 febbraio dalle 10.00 alle 12.00 saremo perciò a Basovizza (Trieste) presso il monumento ai caduti della guerra di liberazione in via Gruden (di fianco alla chiesa, difronte alla gelateria) per un presidio-volantinaggio.
Chiediamo il contributo di tutti e tutte, anche solo con un fiore per i nostri caduti.
Ci vediamo il 10
saluti antifascisti
10 febbraio 2019: celebrazione della firma del Trattato di pace di Parigi determinante l'esistenza del Territorio Libero di Trieste e la sua internazionalità.
10 febbraio 1947: le Potenze "alleate ed associate" vincitrici della seconda guerra mondiale imposero il Trattato di pace di Parigi all'Italia (ex) fascista, riconosciuta responsabile assieme a Germania e Giappone dello scatenamento della seconda guerra mondiale.
Il 30 marzo 2004 l'Italia, caso unico in Europa, stravolgendo il chiaro significato di questa data, ha istituito per il 10 febbraio il "giorno del ricordo", in rievocazione "delle vittime delle foibe", sovrapponendo così dolore nazionale revanscistico al senso della sconfitta subita negli anni '40.
Per Trieste, quindi è giusto ricordare che il Trattato di pace di Parigi ha determinato invece, la Fine della Guerra, la Pace tra i Popoli e la costituzione ed il riconoscimento da parte dei 21 firmatari e di tutta la comunità internazionale, Italia compresa, del Territorio Libero di Trieste e del nostro Porto libero internazionale. Quanto di più lontano possa idealmente esserci dal nazionalismo italiano e dalla propaganda politica, con-cause della seconda guerra mondiale e della profonda crisi in cui dal 1954 ad oggi è sprofondata Trieste.
NON SOLO SALVINI E TAJANI A TRIESTE
10 FEBBRAIO: GIORNATA DEL RICORDO, MA DI TUTTE LE VITTIME E NELLA VERITÀ E NON SOLO FOIBE
Per non dimenticare, affinché i giovani sappiano!
Testimoniate con la vostra presenza
invito-vabilo
Il 10 febbraio alle 12 invitiamo la cittadinanza in piazza Oberdan accanto al “Cantico dei Cantici”, il celebre monumento di Marcello Mascherini le cui figure affusolate si allungano a toccare il cielo sovrastando le acque della fontana.
La gente chiama quest'opera il “monumento ai fidanzatini”, per un fatto accaduto durante la seconda guerra mondiale rimasto a ricordo e simbolo degli innumerevoli torturati e uccisi a Trieste dai fascisti e dai nazisti.
Il 19 marzo 1945 su quella piazza il giovane triestino Pino Robusti, che attende la sua fidanzata, viene fermato ed arrestato dalle SS e condotto alla Risiera di San Sabba, dove verrà assassinato. Verranno lette sotto il monumento le lettere che scrisse ai genitori ed alla fidanzata poco prima di morire.
Quanto alla vicenda delle foibe, cavità naturali delle regioni carsiche di queste terre, vennero usate come fosse comuni prima dai nazionalisti e dai fascisti italiani tra le due guerre mondiali, e poi durante la seconda guerra mondiale che contrappose qui a fascisti e nazisti le forze di liberazione slovene, croate e italiane.
Molti, in questi giorni, restano gli interrogativi: ma è giusto parlare solamente di foibe di un determinato periodo? quando si è iniziato a usare le foibe? Ancora oggi si discute su quante siano le vittime finite nelle foibe in un'area molto vasta che comprende Venezia giulia, Slovenia, Istria e Croazia
Come mai non c’è spazio per una documentazione o una volontà di ricerca credibile sull’effettivo numero di persone scomparse? La tecnologia odierna inoltre probabilmente consentirebbe un 'identificazione certa delle salme.
Come mai nonostante i mezzi a disposizione negli apparati civili e militari, non si prova giungere a una definitiva e riconosciuta conta su numeri e persone?
Perché la politica impegnata a trovare le verità storiche, non fa chiarezza e non insiste nel far richieste di questo tipo? E come mai a quasi 75 anni di distanza non l’ha attuata?
La repubblica nasce dalla resistenza antifascista e si basa su una costituzione fondata sul rispetto della dignità dell’uomo. Una vita vale il mondo, quindi il numero di vittime potrebbe essere relativo, ma non in questo caso data l’importanza e valenza politica e storica che questi numeri hanno avuto.
Apriamo le tombe! Il periodo buio che ha portato il fascismo in Italia con particolari caratteristiche ed eccessi in queste terre, ha istigato l'odio etnico e promulgato leggi razziali che assieme ad altri fattori ed intrecci di carattere internazionale hanno reso quest’area geografica la più esposta ai tragici eventi che qui si sono verificati, risiera compresa.
Ai piedi del monumento “cantico dei cantici”, verrà collocata una composizione floreale a simboleggiare il grande cuore di Trieste, città che nella sua storia è sempre stata d’accoglienza di genti di diversa provenienza.
Nel corso dell’evento verranno osservati tre motivati minuti di silenzio al suono della tromba fuori ordinanza.
In caso di maltempo l’evento si terrà sotto il porticato del palazzo al n. 4 della piazza, ex sede della Polizia SS che vi compiva interrogatori e torture.
p.s. verranno inoltre trattati argomenti d’attualità inerenti al decreto sicurezza.
Comitato pace convivenza e solidarietà Danilo Dolci
fb: Comitato Pace Danilo Dolci – Trieste
"Lettera dello studente Pino Robusti ai genitori, dalle carceri del Coroneo di Trieste, pochi giorni prima di essere ucciso."
Pasqua 1945
Carissimi
Questa giornata è stata come una sorpresa per tutti noi "politici".
Ogni ceto, classe, età, accomunati in una sola vera fede, in una sofferenza unica e distinta per ognuno di noi eppure per tutti uguale. Ci siamo ritrovati tutti, stamane in chiesa, italiani, slavi, americani, russi tutti uguali dinanzi al cappellano, uomini e donne. Il discorso del prete è stato grandioso come grandioso il "grazioso" sorriso che da qualche giorno infiora la fetida bocca dei carcerieri. Si scusano di tenerci qui, ma come si fa… il dovere…!
Fifa, miei cari, fifa bella e buona! Poi in cortile, tutti insieme abbiamo cantato l’inno partigiano e gli slavi sono maestri del canto. Bisognava vedere la faccia del maresciallo tedesco che osservava la scena. Nulla ci è mancato, né vino, né sigarette e neppure fiori e che eleganza stamattina. Insomma la miglior dimostrazione di strafottenza più schietta e manifesta. Spero che anche voi avrete passato questo giorno con quella letizia che permettono le circostanze attuali (illeggibile) meglio non pensarci (illeggibile). State in pace e ricordatevi come io ricordo che l’ora del (illeggibile) è sempre più vicina per qualcuno che io conosco. Baci a tutti.
Pino
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"Lettera dello studente Pino Robusti alla fidanzata dalle carceri del Coroneo di Trieste il 5 aprile 1945. Il giorno dopo egli veniva ucciso e bruciato nel forno della Risiera."
Trieste, 5 aprile 1945
Laura mia,
mi decido di scrivere queste pagine in previsione di un epilogo fatale e impreveduto. Da due giorni partono a decine uomini e donne per ignota destinazione. Può anche essere la mia ora. In tale eventualità io trovo il dovere di lasciarti come mio unico ricordo queste righe.
Tu sai, Laura mia, se mi è stato doloroso il distaccarmi, sia pure forzatamente da te, tu mi conosci e mi puoi con i miei genitori, voi soli, giustamente giudicare. Se quanto temo dovrà accadere sarò una delle centinaia di migliaia di vittime che con sommaria giustizia in un campo e nell’altro sono state mietute. Per voi sarà cosa tremenda, per la massa sarà il nulla, un’unità in più in una cifra seguita da molti zeri. Ormai l’umanità si è abituata a vivere nel sangue. Io credo che tutto ciò che tra noi v’è stato, non sia altro che normale e conseguente alla nostra età, e son certo che con me non avrai imparato nulla che possa nuocerti né dal lato morale, né dal lato fisico. Ti raccomando perciò, come mio ultimo desiderio, che tu non voglia o per debolezza o per dolore sbandarti e uscire da quella via che con tanto amore, cura e passione ti ho modestamente insegnato.
Mi pare strano, mentre ti scrivo, che tra poche ore una scarica potrebbe stendermi per sempre, mi sento calmo, direi quasi sereno, solo l’animo mi duole di non aver potuto cogliere degnamente, come avrei voluto, il fiore della tua giovinezza, l’unico e più ambito premio di questa mia esistenza.
Credimi, Laura mia, anche se io non dovessi esserci più, ti seguirò sempre e quando andrai a trovare i tuoi genitori, io sarò là, presso la loro tomba ad aiutarti e consigliarti.
L’esperienza che sto provando, credimi, è terribile. Sapere che da un’ora all’altra tutto può finire, essere salvo e vedermi purtroppo avvinghiato senza scampo dall’immane polipo che cala nel baratro.
E’ come divenir ciechi poco per volta. Ora, con te sono stato in dovere di mandarti un ultimo saluto, ma con i miei me ne manca l’animo, quello che dovrei dire a loro è troppo atroce perché io possa avere la forza di dar loro un dolore di tale misura. Comprenderanno, è l’unica cosa che spero. Comprenderanno.
Addio, Laura adorata, io vado verso l’ignoto, la gloria o l’oblio, sii forte, onesta, generosa, inflessibile, Laura santa. Il mio ultimo bacio a te che comprende tutti gli affetti miei, la famiglia, la casa, la patria, i figli.
Addio
Pino
In occasione del Giorno del Ricordo, il 10 febbraio, la Regione Veneto, in collaborazione con lUfficio scolastico regionale, lassociazione Venezia Giulia e Dalmazia e la federazione delle associazioni degli esuli, distribuirà nelle scuole medie il fumetto Foiba Rossa, la storia a fumetti di Norma Cossetto, e un opuscolo di Guido Rumici. Liniziativa è finanziata con 15 mila euro dalla Giunta regionale. Responsabile e promotrice è Elena Donazzan, Assessore all’ Istruzione, Formazione, Lavoro, Trasporti nella Giunta Zaia.
Elena Donazzan figlia di repubblichini e nostalgica di anni neri, non è nuova ad iniziative del genere. Nel novembre del 2010 quando la Regione Veneto approvò la legge sulla valorizzazione dell’antifascismo e della Resistenza votò contro con motivazioni assurde. Nel settembre 2015 partecipò a Valdobbiadene a una cerimonia di inaugurazione di una lapide in onore della Decima Mas. Giacomo Vendrame segretario della CGIL commentò così: Credo che questa cerimonia si possa configurare come apologia del fascismo. Commemorare la Decima flottiglia Mas, in una sorta di bieco revisionismo storico, è vergognoso, una grave mancanza di rispetto per i nostri caduti della resistenza, coloro che si sono battuti contro la dittatura per la libertà e per la democrazia.” Ora Elena Donazzan ha chiesto al Presidente della Repubblica Mattarella di sciogliere l’ANPI, per la sua posizione su confine orientale, foibe ed esodo dalmata istriano, che l’ Assessore alla cutura falsifica. Il fumetto Foiba Rossa che la Donazzan distribuirà agli studenti veneti di scuola media distorce la drammatica vicenda di Norma Cossetto.
Norma Cossetto a 24 anni fu uccisa e infoibata ad Antignana, il 4 o 5 ottobre 1943. Qualsiasi tragica morte suscita orrore, e Norma Cossetto, per la sua orrenda morte, merita onore e ricordo. Concetto Marchesi, comunista e rettore dell’Università di Padova, conferendogli nel 1947 una laurea honoris causa e Azeglio Ciampi decorandola con una medaglia doro hanno onorato la sua memoria.
ANCHE LA VERITA’, PERO’, MERITA RISPETTO
Norma Cossetto era iscritta alla Gioventù Universitaria Fascista in Istria e figlia di Giuseppe Cossetto un ricco possidente fascista, che fu anche Commissario governativo delle Casse Rurali della Provincia dIstria, che espropiò centinaia contadini slavi dellIstria delle loro terre. Ad assassinarla non furono partigiani slavi, ma degli italiani. Il Circolo Norma Cossetto, qualche anno fa, pubblicò un documento nel quale si afferma che Norma fu invitata a presentarsi al Comando partigiano del luogo, fu interrogata e rilasciata. In seguito però cadde nelle mani di alcuni italiani, tre o quattro, dei cani sciolti, che la condussero a Parenzo, da dove fu portata ad Antignana, violentata, uccisa e infoibata. Costoro furono presi da fascisti italiani alla fine dellottobre 1943 e, insieme con altri, per lo più innocenti e tutti italiani, in tutto diciassette, furono massacrati a raffiche di mitra, senza alcun processo e furono gettati nella stessa foiba di Norma Cossetto. Il corpo di Norma Cossetto, stando al verbale dei Vigili del Fuoco di Pola che lo estrassero, si presentava intatto, senza segni di sevizie. Inoltre vi è la testimonianza di Arnaldo Harzarich Vigili del fuoco di Pola, che si trova in Foibe di Papo, ed è citata anche nel Bollettino dellUnione degli Istriani n. 28, sett. dic. 1998, pag. 5, che conferma il verbale dei Vigili del Fuoco di Pola. Soltanto dopo, in una serie infinita di ricostruzioni, peraltro contraddittorie, si cominciò a parlare di torture, di seni ed organi genitali straziati, etc., etc. Anche lo storico triestino Roberto Spazzali, nel suo lavoro Foibe, un dibattito ancora aperto edito nel 1996 dalla Lega Nazionale di Trieste, dunque da unassociazione non partigiana, ha scritto: Lampia letteratura di quegli anni e del dopoguerra dedicherà un consistente spazio alla morte e al rinvenimento di Norma Cossetto, intrecciando incontrollate fantasie e presunte testimonianze.
NORMA COSSETTO A MONTEBELLUNA
In occasione del 10 febbraio a Montebelluna verrà inaugurata ufficialmente una via dedicata a Norma Cossetto. La storia del 10 febbraio a Montebelluna non brilla per verità storica e democrazia. Il 10 febbraio 2012 l’amministrazione comunale sponorizzò un evento organizzato dal Comitato Provinciale di Treviso dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia che parlava di genocidio (sic!)di istriani, giuliani e dalmati. Presentò l’avv. Maria Bortoletto. Il 10 febbraio 2013 l’amministrazione comunale impedì ,togliendo l’ Auditorium della Biblioteca Comunale precedentemente concesso, un convegno organizzato dallAnpi di Montebelluna su fascismo, confine orientale e foibe con la partecipazione delle storiche Monica Emmanuelli ed Alessandra Kersevan. Decisivo fu allora Claudio Borgia, collega politico di Elena Donazzan simpatizzante di Mussolini, che lo appoggia ed ora assessore all’istruzione e alle politiche familiari.
Oratori ufficiali saranno il sindaco Marzio Favero e Alma Brussi dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmati.
Il sindaco, obiettore di coscienza e antifascista, ha chiarito tempo fa in un’intervista dell’ aprile 2018 alla telvisione Antenna 3 la sua posizione su via Norma Cossetto. Vedere il video dell’intervista.
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=_0l4rPZpFys
Alma Brussi, nata a Pola, di solito presenta un documentario Pola una città che muore e parla di esodo forzato. Pola, città cantata anche dalla canzone 1947 di Sergio Endrigo, non è morta, anzi, ed esodo forzato in ogni caso non è il genocidio di cui ha parlato l’avvocato Maria Bortoletto.
All’inaugurazione ufficiale è stata invitata l’ANPI di Montebelluna. Se l’ ANPI accetterà di essere presente sarà un’accasione per affermare qual’è la sua reale posizione sulle drammatiche vicende del confine orientale. Vedere dichiarazioni recenti ad Antenna 3 del presidente dell’ANPI provinciale di Treviso, Giuliano Varnier.
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=uhrkjxvfbuQ
Riportiamo di seguito la traccia scritta della nostra introduzione all’incontro Le foibe nelle complesse vicende del confine orientale (1920-1947), svoltasi presso la Casa del Popolo di Brugherio il 7 febbraio 2019.
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Questa è la prima assemblea pubblica della Rete antifascista Cologno. Siamo una rete composta da singoli cittadini, organizzazioni partitiche, sindacali, associazioni, liste civiche e singoli cittadine e cittadini. Ci siamo aggregati nell’aprile 2018 per dare una risposta popolare, di piazza, pacifica ma determinata alla cosiddetta “rievocazione storica” di un campo dell’esercito della Germania nazista voluta dall’amministrazione comunale della nostra città e svoltasi a giugno scorso (prevista inizialmente a ridosso del 25 aprile e con esplicito riferimento alla Liberazione).
Pensiamo che oggi, in Italia e in Europa ci sia bisogno di antifascismo.
Intendiamoci, non pensiamo che il fascismo storico, inteso come regime (1922-1945), possa facilmente tornare. Intendiamo il fascismo come il “fascismo perenne” di cui parlava Umberto Eco, un fascismo come visione del mondo, discorso pubblico e pratiche politiche conseguenti. Elementi oggi vivi e vegeti anche in leader e formazioni politiche che vanno oltre il perimetro della galassia della destra neo-fascista (che comunque è aggressiva, pericolosa e va contrastata).
L’Amministrazione Comunale di Cologno ha dato prova di essere infetta da questo “virus” attraverso una serie di atti concreti tra cui la concessione di spazi pubblici a formazioni neofasciste e l’adozione di provvedimenti a sfondo razzista come la chiusura della Scuola di Italiano per Stranieri e l’ordinanza discriminatoria sull’ospitalità ai migranti per cui il Comune di Cologno è stato recentemente condannato dal Tribunale di Milano.
Per fermare il “fascismo perenne” occorre andare oltre un antifascismo ingessato e rituale, quello dei discorsi e delle cerimonie. Serve sporcarsi le mani con iniziative di piazza e se occorre di protesta; serve anche fare battaglia di idee. Ed è per questo che siamo qui.
Negli ultimi tre anni e mezzo, l’amministrazione comunale di Cologno ha enfatizzato il Giorno del ricordo delle vittime delle foibe. Spettacoli teatrali, conferenze, persino un monumento davanti al municipio. A cui si aggiunge l’attivismo del consigliere comunale di Casapound (ex capogruppo della Lega), che ha preso parola due-tre volte in consiglio comunale, di cui una per chiedere di intitolare una via ai “martiri delle foibe” e un’altra per stigmatizzare la presenza dell’ANPI nelle scuole colognesi (in cui la giunta ha incoraggiato nell’anno scolastico 2018-19 conferenze solo dell’ANVGD-Associazione nazionale Venezia Giulia Dalmazia). Quest’anno, in più, la giunta ha deciso di proiettare al cineteatro comunale “Red Land/Rosso Istria”, un film assurto all’onore delle critiche per le evidenti falsità storiche . Ci sembra
significativo che nel 2019 ci siano state tre iniziative istituzionali per il Giorno della Memoria per le vittime degli stermini nazifascisti e quattro per il Giorno del Ricordo.
Perché questa enfasi? La nostra idea è che, da circa 15 anni (2004, legge che istituisce il Giorno del ricordo), le vicende del confine orientale tra il 1943 e il 1945 (assassinii e sepolture di fortuna nelle cavità carsiche) siano state strumentalizzate per ragioni politiche.. Per cancellare la responsabilità storica e i crimini compiuti dal regime fascista italiano e dai suoi sostenitori. Nulla nasce nel vuoto. Le reazioni alla repressione di circoli, scuole, organizzazioni (spesso di lavoratori) di lingua slava, le reazioni all’italianizzazione forzata (cambio nomi e toponimi) e allo squadrismo, non nascono nel vuoto, ma sono appunto una risposta al razzismo e alle violenze dei fascisti (dagli anni ’20) e dei nazisti (dal 1943).
Intorno al tema foibe si sono scatenate una gran quantità di narrazioni tossiche che confondono volutamente le acque: diluiscono la categoria di fascisti e collaborazionisti in quella generica di “italiani”, solleticando un vittimismo irrazionale e il vecchio stereotipo (storicamente falso) degli “italiani brava gente” durante occupazioni e regimi coloniali. I crimini del fascismo, nelle terre del confine orientale così come in Africa orientale, Jugoslavia, Grecia, Albania sono un gigantesco rimosso di cui si deve tornare a parlare.
A che scopo? Secondo noi per una sorta di vendetta storica che parli al presente: attaccare la Resistenza e la lotta antifascista di Liberazione, dipingere i partigiani (soprattutto se jugoslavi e/o comunisti) come belve assetate di sangue, ritagliare spazi di agibilità politica e presunta autorevolezza storico-morale per organizzazioni post/para/neo fasciste.
Questa strategia di confusione e riscrittura della storia, però, ha un punto debole: la ricerca storiografica fatta come si deve. Quella che non gonfia i numeri delle vittime, quella che usa i documenti processuali e le testimonianze dell’epoca (e non di figli e nipoti che raccontano storie filtrate dai decenni, dai racconti, dal vissuto emotivo familiare), quella che inquadra i singoli episodi in cornici storiche più ampie, quella che non
mescola eventi storici diversi e complessi. Non si inventa nulla e non si guarda solo a quel che si vuole vedere, insomma. Non si nega, non si giustifica ma si contestualizza.
Per questo siamo qui stasera. Per dare alla nostra cassetta degli attrezzi una serie di strumenti per la battaglia di idee che vogliamo portare avanti. Con l’orizzonte contribuire a costruire città accoglienti, senza razzismo, fascismo, sessismo né alcuna forma di ingiustizie e oppressione.
La ricostruzione di Max Blumenthal e Dan Cohen. Nel dicembre 2018 si recò a Washington, in Colombia e in Brasile per coordinare un piano... Trump fu d’accordo ad appoggiarlo se questi era disposto ad autoproclamarsi presidente
Prima di far scattare il colpo di stato istituzionale il 22 gennaio, meno di 1 venezuelano su 5 aveva mai sentito parlare di Juan Guaidó. Fino a poche settimane prima, quest’uomo di 35 anni era un personaggio semioscuro, militante di una formazione di estrema destra, Voluntad Popular, emarginata nella stesa Mesa de Unidad democratica dell’opposizione perché implicata nelle azioni più violente delle sanguinose guarimbas del 2014 e 2016.
ANCHE NEL SUO PARTITO, Guaidó era una figura di medio livello, eletto per il rotto della cuffia nel 2015 all’Assemblea nazionale in una delle circoscrizioni meno popolate. Eppure questo anonimo parlamentare è stato “unto” come salvatore della democrazia venezuelana e autorizzato a proclamarsi «legittimo» presidente del Venezuela da una telefonata del vicepresidente Usa, Mike Pence.
IN UN LUNGO ARTICOLO pubblicato in The Grayzone Project – progetto per un giornalismo investigativo online e ripreso dal portale Cubadebate – i giornalisti-scrittori Max Blumenthal e Dan Cohen ricostruiscono la vicenda di Guaidó, uno dei giovani venezuelani di destra della “Generazione 2007” che ricevettero dai «laboratori specializzati in cambi di regimi» degli Usa – finanziati in gran parte dal National Endowment for Democracy, (Ned) appendice della Cia – l’addestramento per abbattere il governo, prima di Hugo Chávez poi di Maduro.
NEL 2005 Guaidó fu uno dei cinque «leader studenteschi» venezuelani che si recarono a Belgrado per conoscere le tecniche insurrezionali praticate dai giovani militanti di Otpor (in serbo Resistenza, gruppo fondato nel 1998) che iniziarono le proteste contro il presidente serbo Slobodan Milosevic (e poi fecero scuola per “Rivoluzioni colorate” in alcuni paesi ex comunisti come Ucraina e Georgia). L’addestramento proseguì negli Usa e in Messico e si concretizzò nelle barricate delle sanguinose guarimbas.
I due autori sottolineano come Guaidó sia «presidente dell’Assemblea nazionale, controllata dall’opposizione, ma mai è stato eletto a questa carica. I quattro maggiori partiti di opposizione che formavano la Mesa de Unidad Democrática avevano deciso una presidenza a rotazione. Quando toccò a Voluntad Popular, il suo fondatore, López, era agli arresti domiciliari (accusato di di guarimbas che avevano causato la morte di vari cittadini) e il suo secondo, Guevara, si era rifugiato presso l’ambasciata cilena. Un tal Juan Andrés Mejía avrebbe dovuto essere il terzo nella linea di comando, però, per ragioni che solo oggi sono chiare, fu selezionato Guaidó». Selezionato per sviluppare i piani appresi e concordati negli States.
«NEL DICEMBRE 2018 – proseguono i due autori dell’inchiesta – Guaidó si recò clandestinamente a Washington, in Colombia e in Brasile per coordinare un piano che prevedeva massicce manifestazioni nel corso dell’assunzione della presidenza da parte di Maduro (il 10 dicembre). La notte prima della cerimonia, il vicepresidente Usa Mike Pence e la ministra degli Esteri del Canada, Chrystia Freeland, telefonarono a Guaidó per confermargli il loro appoggio. Una settimana dopo i senatori Marco Rubio e Rick Scott e il deputato Mario Diaz-Balart – tutti parlamentari della lobby anticastrista in Florida – si riunirono con il presidente Trump e il vice Pence alla Casa bianca. Su loro richiesta, Trump fu d’accordo ad appoggiare Guaidó, se questi era disposto ad autoproclamarsi presidente». Anche il segretario di Stato, Mike Pompeo, «secondo il Wall Street Journal si riunì con Guaidó il 10 gennaio…».
BLUMENTHAL E COHEN proseguono l’inchiesta su come il golpe istituzionale sia stato preparato negli Usa scrivendo che «l’11 gennaio la pagina di Wikipedia di Guaidó è stata redatta 37 volte… Alla fine la supervisione editoriale della sua pagina fu consegnata all’élite del consiglio di “bibliotecari” di Wikipedia che lo dichiarò presidente del Venezuela “in disputa”».
I due autori concludono che «mentre aspetta un intervento diretto (degli Usa, ndr) Guaidó continua a essere quello che sempre è stato: il progetto favorito di ciniche forze straniere».
Before the fateful day of January 22, fewer than one in fiveVenezuelans had heard of Juan Guaidó. Only a few months ago, the 35-year-old was an obscure character in a politically marginal far-right group closely associated with gruesome acts of street violence. Even in his own party, Guaidó had been a mid-level figure in the opposition-dominated National Assembly, which is now held under contempt according to Venezuela’s constitution.
But after a single phone call from from US Vice President Mike Pence, Guaidó proclaimed himself president of Venezuela. Anointed as the leader of his country by Washington, a previously unknown political bottom-dweller was vaulted onto the international stage as the US-selected leader of the nation with the world’s largest oil reserves.
Echoing the Washington consensus, the New York Times editorial board hailed Guaidó as a “credible rival” to Maduro with a “refreshing style and vision of taking the country forward.” The Bloomberg News editorial board applauded him for seeking “restoration of democracy” and the Wall Street Journal declaredhim “a new democratic leader.” Meanwhile, Canada, numerous European nations, Israel, and the bloc of right-wing Latin American governments known as the Lima Group recognized Guaidó as the legitimate leader of Venezuela.
While Guaidó seemed to have materialized out of nowhere, he was, in fact, the product of more than a decade of assiduous grooming by the US government’s elite regime change factories. Alongside a cadre of right-wing student activists, Guaidó was cultivated to undermine Venezuela’s socialist-oriented government, destabilize the country, and one day seize power. Though he has been a minor figure in Venezuelan politics, he had spent years quietly demonstrated his worthiness in Washington’s halls of power.
“Juan Guaidó is a character that has been created for this circumstance,” Marco Teruggi, an Argentinian sociologist and leading chronicler of Venezuelan politics, told The Grayzone. “It’s the logic of a laboratory – Guaidó is like a mixture of several elements that create a character who, in all honesty, oscillates between laughable and worrying.”
Diego Sequera, a Venezuelan journalist and writer for the investigative outlet Misión Verdad, agreed: “Guaidó is more popular outside Venezuela than inside, especially in the elite Ivy League and Washington circles,” Sequera remarked to The Grayzone, “He’s a known character there, is predictably right-wing, and is considered loyal to the program.”
While Guaidó is today sold as the face of democratic restoration, he spent his career in the most violent faction of Venezuela’s most radical opposition party, positioning himself at the forefront of one destabilization campaign after another. His party has been widely discredited inside Venezuela, and is held partly responsible for fragmenting a badly weakened opposition.
“‘These radical leaders have no more than 20 percent in opinion polls,” wrote Luis Vicente León, Venezuela’s leading pollster. According to León, Guaidó’s party remains isolated because the majority of the population “does not want war. ‘What they want is a solution.’”
But this is precisely why Guaidó was selected by Washington: He is not expected to lead Venezuela toward democracy, but to collapse a country that for the past two decades has been a bulwark of resistance to US hegemony. His unlikely rise signals the culmination of a two decades-long project to destroy a robust socialist experiment.
Targeting the “troika of tyranny”
Since the 1998 election of Hugo Chávez, the United States has fought to restore control over Venezuela and is vast oil reserves. Chávez’s socialist programs may have redistributed the country’s wealth and helped lift millions out of poverty, but they also earned him a target on his back.
In 2002, Venezuela’s right-wing opposition briefly ousted Chávez with US support and recognition, before the military restored his presidency following a mass popular mobilization. Throughout the administrations of US Presidents George W. Bush and Barack Obama, Chávez survived numerous assassination plots, before succumbing to cancer in 2013. His successor, Nicolas Maduro, has survived three attempts on his life.
The Trump administration immediately elevated Venezuela to the top of Washington’s regime change target list, branding it the leader of a “troika of tyranny.” Last year, Trump’s national security team attempted to recruit members of the military brass to mount a military junta, but that effort failed.
According to the Venezuelan government, the US was also involved in a plot, codenamed Operation Constitution, to capture Maduro at the Miraflores presidential palace; and another, called Operation Armageddon, to assassinate him at a military parade in July 2017. Just over a year later, exiled opposition leaders tried and failed to kill Maduro with drone bombs during a military parade in Caracas.
More than a decade before these intrigues, a group of right-wing opposition students were hand-selected and groomed by an elite US-funded regime change training academy to topple Venezuela’s government and restore the neoliberal order.
Training from the “‘export-a-revolution’ group that sowed the seeds for a NUMBER of color revolutions”
On October 5, 2005, with Chávez’s popularity at its peak and his government planning sweeping socialist programs, five Venezuelan “student leaders” arrived in Belgrade, Serbia to begin training for an insurrection.
The students had arrived from Venezuela courtesy of the Center for Applied Non-Violent Action and Strategies, or CANVAS. This group is funded largely through the National Endowment for Democracy, a CIA cut-out that functions as the US government’s main arm of promoting regime change; and offshoots like the International Republican Institute and the National Democratic Institute for International Affairs. According to leaked internal emails from Stratfor, an intelligence firm known as the “shadow CIA,” CANVAS “may have also received CIA funding and training during the 1999/2000 anti-Milosevic struggle.”
CANVAS is a spinoff of Otpor, a Serbian protest group founded by Srdja Popovic in 1998 at the University of Belgrade. Otpor, which means “resistance” in Serbian, was the student group that gained international fame — and Hollywood-level promotion — by mobilizing the protests that eventually toppled Slobodan Milosevic.
This small cell of regime change specialists was operating according to the theories of the late Gene Sharp, the so-called “Clausewitz of non-violent struggle.” Sharp had worked with a former Defense Intelligence Agency analyst, Col. Robert Helvey, to conceive a strategic blueprint that weaponized protest as a form of hybrid warfare, aiming it at states that resisted Washington’s unipolar domination.
Otpor was supported by the National Endowment for Democracy, USAID, and Sharp’s Albert Einstein Institute. Sinisa Sikman, one of Otpor’s main trainers, once said the group even received direct CIA funding.
According to a leaked email from a Stratfor staffer, after running Milosevic out of power, “the kids who ran OTPOR grew up, got suits and designed CANVAS… or in other words a ‘export-a-revolution’ group that sowed the seeds for a NUMBER of color revolutions. They are still hooked into U.S. funding and basically go around the world trying to topple dictators and autocratic governments (ones that U.S. does not like ;).”
Stratfor revealed that CANVAS “turned its attention to Venezuela” in 2005, after training opposition movements that led pro-NATO regime change operations across Eastern Europe.
While monitoring the CANVAS training program, Stratfor outlined its insurrectionist agenda in strikingly blunt language: “Success is by no means guaranteed, and student movements are only at the beginning of what could be a years-long effort to trigger a revolution in Venezuela, but the trainers themselves are the people who cut their teeth on the ‘Butcher of the Balkans.’ They’ve got mad skills. When you see students at five Venezuelan universities hold simultaneous demonstrations, you will know that the training is over and the real work has begun.”
Birthing the “Generation 2007” regime change cadre
The “real work” began two years later, in 2007, when Guaidó graduated from Andrés Bello Catholic University of Caracas. He moved to Washington, DC to enroll in the Governance and Political Management Program at George Washington University, under the tutelage of Venezuelan economist Luis Enrique Berrizbeitia, one of the top Latin American neoliberal economists. Berrizbeitia is a former executive director of the International Monetary Fund (IMF) who spent more than a decade working in the Venezuelan energy sector, under the old oligarchic regime that was ousted by Chávez.
That year, Guaidó helped lead anti-government rallies after the Venezuelan government declined to to renew the license of Radio Caracas Televisión (RCTV). This privately owned station played a leading role in the 2002 coup against Hugo Chávez. RCTV helped mobilize anti-government demonstrators, falsified information blaming government supporters for acts of violence carried out by opposition members, and banned pro-government reporting amid the coup. The role of RCTV and other oligarch-owned stations in driving the failed coup attempt was chronicled in the acclaimed documentary The Revolution Will Not Be Televised.
That same year, the students claimed credit for stymying Chavez’s constitutional referendum for a “21st century socialism” that promised “to set the legal framework for the political and social reorganization of the country, giving direct power to organized communities as a prerequisite for the development of a new economic system.”
From the protests around RCTV and the referendum, a specialized cadre of US-backed class of regime change activists was born. They called themselves “Generation 2007.”
The Stratfor and CANVAS trainers of this cell identified Guaidó’s ally – a libertarian political organizer named Yon Goicoechea – as a “key factor” in defeating the constitutional referendum. The following year, Goicochea was rewarded for his efforts with the Cato Institute’s Milton Friedman Prize for Advancing Liberty, along with a $500,000 prize, which he promptly invested into his political network.
Friedman, of course, was the godfather of the notorious neoliberal Chicago Boys who were imported into Chile by dictatorial junta leader Augusto Pinochet to implement policies of radical “shock doctrine”-style fiscal austerity. And the Cato Institute is the libertarian Washington DC-based think tank founded by the Koch Brothers, two top Republican Party donors who have become aggressive supporters of the right-wing across Latin America.
Wikileaks published a 2007 email from American ambassador to Venezuela William Brownfield sent to the State Department, National Security Council and Department of Defense Southern Command praising “Generation of ’07” for having “forced the Venezuelan president, accustomed to setting the political agenda, to (over)react.” Among the “emerging leaders” Brownfield identified were Freddy Guevara and Yon Goicoechea. He applauded the latter figure as “one of the students’ most articulate defenders of civil liberties.”
Flush with cash from libertarian oligarchs and US government soft power outfits, the radical Venezuelan cadre took their Otpor tactics to the streets, along with a version of the group’s logo, as seen below:
“Galvanizing public unrest…to take advantage of the situation and spin it against Chavez”
In 2009, the Generation 2007 youth activists staged their most provocative demonstration yet, dropping their pants on public roads and aping the outrageous guerrilla theater tactics outlined by Gene Sharp in his regime change manuals. The protesters had mobilized against the arrest of an ally from another newfangled youth group called JAVU. This far-right group “gathered funds from a variety of US government sources, which allowed it to gain notoriety quickly as the hardline wing of opposition street movements,” according to academic George Ciccariello-Maher’s book, “Building the Commune.”
While video of the protest is not available, many Venezuelans have identified Guaidó as one of its key participants. While the allegation is unconfirmed, it is certainly plausible; the bare-buttocks protesters were members of the Generation 2007 inner core that Guaidó belonged to, and were clad in their trademark Resistencia! Venezuela t-shirts, as seen below:
That year, Guaidó exposed himself to the public in another way, founding a political party to capture the anti-Chavez energy his Generation 2007 had cultivated. Called Popular Will, it was led by Leopoldo López, a Princeton-educated right-wing firebrand heavily involved in National Endowment for Democracy programs and elected as the mayor of a district in Caracas that was one of the wealthiest in the country. Lopez was a portrait of Venezuelan aristocracy, directly descended from his country’s first president. He was also the first cousin of Thor Halvorssen, founder of the US-based Human Rights Foundation that functions as a de facto publicity shop for US-backed anti-government activists in countries targeted by Washington for regime change.
Though Lopez’s interests aligned neatly with Washington’s, US diplomatic cables published by Wikileaks highlighted the fanatical tendencies that would ultimately lead to Popular Will’s marginalization. One cable identified Lopez as “a divisive figure within the opposition… often described as arrogant, vindictive, and power-hungry.” Others highlighted his obsession with street confrontations and his “uncompromising approach” as a source of tension with other opposition leaders who prioritized unity and participation in the country’s democratic institutions.
By 2010, Popular Will and its foreign backers moved to exploit the worst drought to hit Venezuela in decades. Massive electricity shortages had struck the country due the dearth of water, which was needed to power hydroelectric plants. A global economic recession and declining oil prices compounded the crisis, driving public discontentment.
Stratfor and CANVAS – key advisors of Guaidó and his anti-government cadre – devised a shockingly cynical plan to drive a dagger through the heart of the Bolivarian revolution. The scheme hinged on a 70% collapse of the country’s electrical system by as early as April 2010.
“This could be the watershed event, as there is little that Chavez can do to protect the poor from the failure of that system,” the Stratfor internal memo declared. “This would likely have the impact of galvanizing public unrest in a way that no opposition group could ever hope to generate. At that point in time, an opposition group would be best served to take advantage of the situation and spin it against Chavez and towards their needs.”
By this point, the Venezuelan opposition was receiving a staggering $40-50 million a year from US government organizations like USAID and the National Endowment for Democracy, according to a report by the Spanish think tank, the FRIDE Institute. It also had massive wealth to draw on from its own accounts, which were mostly outside the country.
While the scenario envisioned by Statfor did not come to fruition, the Popular Will party activists and their allies cast aside any pretense of non-violence and joined a radical plan to destabilize the country.
Towards violent destabilization
In November, 2010, according to emails obtained by Venezuelan security services and presented by former Justice Minister Miguel Rodríguez Torres, Guaidó, Goicoechea, and several other student activists attended a secret five-day training at a hotel dubbed “Fiesta Mexicana” hotel in Mexico. The sessions were run by Otpor, the Belgrade-based regime change trainers backed by the US government. The meeting had reportedly received the blessing of Otto Reich, a fanatically anti-Castro Cuban exile working in George W. Bush’s Department of State, and the right-wing former Colombian President Alvaro Uribe.
Inside the meetings, the emails stated, Guaidó and his fellow activists hatched a plan to overthrow President Hugo Chavez by generating chaos through protracted spasms of street violence.
Three petroleum industry figureheads – Gustavo Torrar, Eligio Cedeño and Pedro Burelli – allegedly covered the $52,000 tab to hold the meeting. Torrar is a self-described “human rights activist” and “intellectual” whose younger brother Reynaldo Tovar Arroyo is the representative in Venezuela of the private Mexican oil and gas company Petroquimica del Golfo, which holds a contract with the Venezuelan state.
Cedeño, for his part, is a fugitive Venezuelan businessman who claimed asylum in the United States, and Pedro Burelli a former JP Morgan executive and the former director of Venezuela’s national oil company, Petroleum of Venezuela (PDVSA). He left PDVSA in 1998 as Hugo Chavez took power and is on the advisory committee of Georgetown University’s Latin America Leadership Program.
Burelli insisted that the emails detailing his participation had been fabricated and even hired a private investigator to prove it. The investigator declared that Google’s records showed the emails alleged to be his were never transmitted.
Yet today Burelli makes no secret of his desire to see Venezuela’s current president, Nicolás Maduro, deposed – and even dragged through the streets and sodomized with a bayonet, as Libyan leader Moammar Qaddafi was by NATO-backed militiamen.
Update: Burelli contacted the Grayzone after the publication of this article to clarify his participation in the “Fiesta Mexicana” plot.
Burelli called the meeting “a legitimate activity that took place in a hotel by a different name” in Mexico.
Asked if OTPOR coordinated the meeting, he would only state that he “likes” the work of OTPOR/CANVAS and while not a funder of it, has “recommended activists from different countries to track them and participate in the activities they conduct in various countries.”
Burelli added: “The Einstein Institute trained thousands openly in Venezuela. Gene Sharpe’s philosophy was widely studied and embraced. And this has probably kept the struggle from turning into a civil war.”
The alleged Fiesta Mexicana plot flowed into another destabilization plan revealed in a series of documents produced by the Venezuelan government. In May 2014, Caracas released documents detailing an assassination plot against President Nicolás Maduro. The leaks identified the anti-Chavez hardliner Maria Corina Machado – today the main asset of Sen. Marco Rubio – as a leader of the scheme. The founder of the National Endowment for Democracy-funded group, Sumate, Machado has functioned as an international liaison for the opposition, visiting President George W. Bush in 2005.
“I think it is time to gather efforts; make the necessary calls, and obtain financing to annihilate Maduro and the rest will fall apart,” Machado wrote in an email to former Venezuelan diplomat Diego Arria in 2014.
In another email, Machado claimed that the violent plot had the blessing of US Ambassador to Colombia, Kevin Whitaker. “I have already made up my mind and this fight will continue until this regime is overthrown and we deliver to our friends in the world. If I went to San Cristobal and exposed myself before the OAS, I fear nothing. Kevin Whitaker has already reconfirmed his support and he pointed out the new steps. We have a checkbook stronger than the regime’s to break the international security ring.”
Guaidó heads to the barricades
That February, student demonstrators acting as shock troops for the exiled oligarchy erected violent barricades across the country, turning opposition-controlled quarters into violent fortresses known as guarimbas. While international media portrayed the upheaval as a spontaneous protest against Maduro’s iron-fisted rule, there was ample evidence that Popular Will was orchestrating the show.
“None of the protesters at the universities wore their university t-shirts, they all wore Popular Will or Justice First t-shirts,” a guarimba participant said at the time. “They might have been student groups, but the student councils are affiliated to the political opposition parties and they are accountable to them.”
Asked who the ringleaders were, the guarimba participant said, “Well if I am totally honest, those guys are legislators now.”
Around 43 were killed during the 2014 guarimbas. Three years later, they erupted again, causing mass destruction of public infrastructure, the murder of government supporters, and the deaths of 126 people, many of whom were Chavistas. In several cases, supporters of the government were burned alive by armed gangs.
Guaidó was directly involved in the 2014 guarimbas. In fact, he tweeted video showing himself clad in a helmet and gas mask, surrounded by masked and armed elements that had shut down a highway that were engaging in a violent clash with the police. Alluding to his participation in Generation 2007, he proclaimed, “I remember in 2007, we proclaimed, ‘Students!’ Now, we shout, ‘Resistance! Resistance!'”
Guaidó has deleted the tweet, demonstrating apparent concern for his image as a champion of democracy.
In an televised appearance in 2016, Guaidó dismissed deaths resulting from guayas – a guarimba tactic involving stretching steel wire across a roadway in order to injure or kill motorcyclists – as a “myth.” His comments whitewashed a deadly tactic that had killed unarmed civilians like Santiago Pedroza and decapitated a man named Elvis Durán, among many others.
This callous disregard for human life would define his Popular Will party in the eyes of much of the public, including many opponents of Maduro.
Cracking down on Popular Will
As violence and political polarization escalated across the country, the government began to act against the Popular Will leaders who helped stoke it.
Freddy Guevara, the National Assembly Vice-President and second in command of Popular Will, was a principal leader in the 2017 street riots. Facing a trial for his role in the violence, Guevara took shelter in the Chilean embassy, where he remains.
Lester Toledo, a Popular Will legislator from the state of Zulia, was wanted by Venezuelan government in September 2016 on charges of financing terrorism and plotting assassinations. The plans were said to be made with former Colombian President Álavaro Uribe. Toledo escaped Venezuela and went on several speaking tours with Human Rights Watch, the US government-backed Freedom House, the Spanish Congress and European Parliament.
Carlos Graffe, another Otpor-trained Generation 2007 member who led Popular Will, was arrested in July 2017. According to police, he was in possession of a bag filled with nails, C4 explosives and a detonator. He was released on December 27, 2017.
Leopoldo Lopez, the longtime Popular Will leader, is today under house arrest, accused of a key role in deaths of 13 people during the guarimbas in 2014. Amnesty International lauded Lopez as a “prisoner of conscience” and slammed his transfer from prison to house as “not good enough.” Meanwhile, family members of guarimba victims introduced a petition for more charges against Lopez.
Yon Goicoechea, the Koch Brothers posterboy, was arrested in 2016 by security forces who claimed they found found a kilo of explosives in his vehicle. In a New York Times op-ed, Goicoechea protested the charges as “trumped-up” and claimed he had been imprisoned simply for his “dream of a democratic society, free of Communism.” He was freed in November 2017.
David Smolansky, also a member of the original Otpor-trained Generation 2007, became Venezuela’s youngest-ever mayor when he was elected in 2013 in the affluent suburb of El Hatillo. But he was stripped of his position and sentenced to 15 months in prison by the Supreme Court after it found him culpable of stirring the violent guarimbas.
Facing arrest, Smolansky shaved his beard, donned sunglasses and slipped into Brazil disguised as a priest with a bible in hand and rosary around his neck. He now lives in Washington, DC, where he was hand picked by Secretary of the Organization of American States Luis Almagro to lead the working group on the Venezuelan migrant and refugee crisis.
This July 26, Smolansky held what he called a “cordial reunion” with Elliot Abrams, the convicted Iran-Contra felon installed by Trump as special US envoy to Venezuela. Abrams is notorious for overseeing the US covert policy of arming right-wing death squads during the 1980’s in Nicaragua, El Salvador, and Guatemala. His lead role in the Venezuelan coup has stoked fears that another blood-drenched proxy war might be on the way.
Four days earlier, Machado rumbled another violent threat against Maduro, declaring that if he “wants to save his life, he should understand that his time is up.”
A pawn in their game
The collapse of Popular Will under the weight of the violent campaign of destabilization it ran alienated large sectors of the public and wound much of its leadership up in exile or in custody. Guaidó had remained a relatively minor figure, having spent most of his nine-year career in the National Assembly as an alternate deputy. Hailing from one of Venezuela’s least populous states, Guaidó came in second place during the 2015 parliamentary elections, winning just 26% of votes cast in order to secure his place in the National Assembly. Indeed, his bottom may have been better known than his face.
Guaidó is known as the president of the opposition-dominated National Assembly, but he was never elected to the position. The four opposition parties that comprised the Assembly’s Democratic Unity Table had decided to establish a rotating presidency. Popular Will’s turn was on the way, but its founder, Lopez, was under house arrest. Meanwhile, his second-in-charge, Guevara, had taken refuge in the Chilean embassy. A figure named Juan Andrés Mejía would have been next in line but reasons that are only now clear, Juan Guaido was selected.
“There is a class reasoning that explains Guaidó’s rise,” Sequera, the Venezuelan analyst, observed. “Mejía is high class, studied at one of the most expensive private universities in Venezuela, and could not be easily marketed to the public the way Guaidó could. For one, Guaidó has common mestizo features like most Venezuelans do, and seems like more like a man of the people. Also, he had not been overexposed in the media, so he could be built up into pretty much anything.”
In December 2018, Guaidó sneaked across the border and junketed to Washington, Colombia and Brazil to coordinate the plan to hold mass demonstrations during the inauguration of President Maduro. The night before Maduro’s swearing-in ceremony, both Vice President Mike Pence and Canadian Foreign Minister Chrystia Freeland called Guaidó to affirm their support.
A week later, Sen. Marco Rubio, Sen. Rick Scott and Rep. Mario Diaz-Balart – all lawmakers from the Florida base of the right-wing Cuban exile lobby – joined President Trump and Vice President Pence at the White House. At their request, Trump agreed that if Guaidó declared himself president, he would back him.
Secretary of State Mike Pompeo met personally withGuaidó on January 10, according to the Wall Street Journal. However, Pompeo could not pronounce Guaidó’s name when he mentioned him in a press briefing on January 25, referring to him as “Juan Guido.”
By January 11, Guaidó’s Wikipedia page had been edited 37 times, highlighting the struggle to shape the image of a previously anonymous figure who was now a tableau for Washington’s regime change ambitions. In the end, editorial oversight of his page was handed over to Wikipedia’s elite council of “librarians,” who pronounced him the “contested” president of Venezuela.
Guaidó might have been an obscure figure, but his combination of radicalism and opportunism satisfied Washington’s needs. “That internal piece was missing,” a Trump administration said of Guaidó. “He was the piece we needed for our strategy to be coherent and complete.”
“For the first time,” Brownfield, the former American ambassador to Venezuela, gushed to the New York Times, “you have an opposition leader who is clearly signaling to the armed forces and to law enforcement that he wants to keep them on the side of the angels and with the good guys.”
But Guaidó’s Popular Will party formed the shock troops of the guarimbas that caused the deaths of police officers and common citizens alike. He had even boasted of his own participation in street riots. And now, to win the hearts and minds of the military and police, Guaido had to erase this blood-soaked history.
On January 21, a day before the coup began in earnest, Guaidó’s wife delivered a video address calling on the military to rise up against Maduro. Her performance was wooden and uninspiring, underscoring her husband’s political limits.
While Guaidó waits on direct assistance, he remains what he has always been – a pet project of cynical outside forces. “It doesn’t matter if he crashes and burns after all these misadventures,” Sequera said of the coup figurehead. “To the Americans, he is expendable.”
Max Blumenthal is an award-winning journalist and the author of several books, including best-selling Republican Gomorrah, Goliath, The Fifty One Day War, and The Management of Savagery. He has produced print articles for an array of publications, many video reports, and several documentaries, including Killing Gaza. Blumenthal founded The Grayzone in 2015 to shine a journalistic light on America’s state of perpetual war and its dangerous domestic repercussions.
http://www.dancohenmedia.com/
Anpi con sindacati, partiti e associazioni democratiche italiane e slovene in presidio di protesta per la decisione del Comune di ricevere i nostalgici della flottiglia alleata dei nazisti. Quando la storia del confine orientale è piegata alle pulsioni nazionaliste... Da anni a Gorizia, ogni 19 gennaio, in Comune arrivano i reduci della Decima Mas di Junio Valerio Borghese, autore del tentato golpe del 1970... l’assessore delegata del sindaco ha accolto con la fascia tricolore i reduci accompagnati dai fascisti di CasaPound. All’Anpi è stato vietato il presidio davanti al Comune...
alle ore 10:30 presso il Cinema Astra, Piazzale Volta 3
FOIBE E FASCISMO 2019
Quattordicesima edizione della contromanifestazione cittadina in occasione del "Giorno del Ricordo"
(per le precedenti si veda: https://www.cnj.it/INIZIATIVE/parma_iniziative.htm )
Alle 10.30 CONFERENZA di Sandi Volk, storico, "I morti delle foibe riconosciuti dalla legge: 354, quasi tutti delle forze armate dell'Italia fascista"
alle 11.00 LETTURA DI TESTIMONIANZE di antifascisti e partigiani
alle 11.15 VIDEO "La foiba di Basovizza: un falso storico" di Alessandra Kersevan, storica e editrice
alle 11.30 VIDEO "Norma Cossetto: un caso tutt'altro che chiaro" di Claudia Cernigoi, giornalista e ricercatrice storica
a cura del Comitato Antifascista Antimperialista e per la Memoria Storica con l'adesione di ANPI e ANPPIA
"È necessario rivedere i contributi alle associazioni, come l'Anpi, che negano le stragi fatte dai comunisti nel dopoguerra''. Lo dice il ministro dell'Interno Matteo Salvini, intervenendo sulle polemiche per il convegno organizzato sulle Foibe da Anpi il 10 febbraio a Parma...
Foibe, cresce la polemica a Parma. La prima scintilla è tra Fratelli d'Italia e l'Anpi. Il senatore FdI Luca Ciriani critica l'Anpi per il suo sostegno a un convegno sul tema "Foibe e Fascismo", durante il quale sarà diffuso il video "La foiba di Basovizza: un falso storico". L'associazione partigiani risponde che non si tratta di una sponsorizzazione e che il convegno non è negazionista.
Nel pomeriggio il ministro dell'Interno Matteo Salvini è intervenuto nella polemica, sostenendo che occorre rivedere i contributi alle associazioni "che negano le stragi fatte dai comunisti". L'Anpi nazionale dice "le minacce di Salvini non ci spaventano" ma aggiunge che l'iniziativa di Parma non è condivisibile perché è di quelle che "offrono pretesti di polemica a chi è più amico di Casapound che dell'Anpi"...
In programma per domenica prossima, in un noto cinema della città emiliana, la conferenza negazionista, con registi e storici da sempre sostenitori di posizioni revisioniste.. Ma lo scandalo è il logo dell'Anpi di Parma sulla locandina...
Non si sono ancora placate le polemiche sul post negazionista dell'Anpi di Rovigo, che per i Partigiani d'Italia spunta un'altra grana. Il logo dell'associazione infatti è presente sulla locandina del convegno revisionista "Foibe e Fascismo 2019", la "Quattordicesima edizione della contromanifestazione cittadina in occasione del 'Giorno del Ricordo'" in programma il 10 febbraio alle 10.30 al Cinema Astra di Parma. Con l'Anpi ci sono anche l'Anppia, l'associazione nazionale perseguitati politici italiani antifascisti, e il Comitato antifascista antimperialista e per la memoria storica a patrocinare l'evento, che vede gli interventi di alcuni storici già finiti al centro delle polemiche per le loro posizioni revisioniste...
Matteo Salvini, Ministro degli Affari Interni
Massimiliano Fedriga, Presidente della Regione Autonoma Friuli – Venezia Giulia
Carla Nespolo, Presidente nazionale dell’ANPI
Vorrei innanzitutto invitare tutti e tre a LEGGERE quello che scriviamo io e i miei colleghi in merito alla Giornata del Ricordo e delle foibe prima di sparare giudizi. Definirci negazionisti (cosa che non mi farà certamente adeguare alla vulgata, anche pseudo-storica, sulla vicenda) è non solo sbagliato, ma un assurdo, dato che quelli che veniamo definiti “negazionisti” siamo gli unici a fare vera ricerca sul tema. Personalmente mi occupo da anni di raccogliere i nomi (dato che non esiste un elenco ufficiale) delle persone alla cui memoria ogni 10 febbraio vengono assegnati i riconoscimenti. Dove starebbe il negazionismo? Nel fatto che le persone alla cui memoria è stato concesso il riconoscimento sono in tutto 354 (al 10/2(2018)? Che tra i c.d. infoibati a cui è stato concesso il riconoscimento c’è pure una persona per la la quale è accertato che è morta da partigiano, uccisa dai nazisti? Che di un'altra la stessa motivazione ufficiale per la concessione del riconoscimento afferma che è stata fucilata dai nazisti? Che gran parte dei riconoscimenti sono stati concessi alla memoria di persone cadute in combattimento, o facenti parte di formazioni armate al servizio dei nazisti, o, ancora, condannate a morte dopo un processo che ne aveva accertato la responsabilità per delitti efferati, che stando alla lettera della legge dovrebbero essere escluse dalla possibilità di avere il riconoscimento?
Vogliamo confrontarci su questo in maniera seria, argomentata e documentata? Non ci siamo mai tirati indietro, anzi.
Al Ministro degli Interni ho da dire solo un bel – e credo che apprezzerà - “me ne frego” delle sue contumelie. Perché se una volta mi facevano arrabbiare ora le considero scontate, il ripetersi di un copione, che non fa che confermare che quanto sto e stiamo facendo è giusto e sta dando risultati. Visto che di “negazionisti” ce n’è sempre di più e sempre più autorevoli e che pian pianino la realtà sulle fandonie che vengono raccontate ogni 10 febbraio si sta facendo sempre più strada.
Al Presidente della Regione FVG Fedriga dico che sono assolutamente d’accordo quando afferma che usare il dolore “... per alimentare divisioni e riaprire ferite che hanno lacerato il confine orientale nel secondo dopoguerra è un esercizio che la Regione non può che condannare con forza ...“, solo che a farlo non sono certamente gli organizzatori dell’iniziativa di Parma, ma altri. Ad esempio l’Associazione nazionale congiunti infoibati, che nell’aprile del 2016 ha indicato al sindaco di Osilia, in Sardegna, il nominativo di un cittadino osiliese che, a dire dell’associazione, sarebbe stato “infoibato”, ma che il Ministero della Difesa ha accertato essere morto ... in Russia (vedi La Nuova Sardegna, 20.2.2017)!
Alla presidente dell’ANPI vorrei chiedere un minimo di coerenza. Perché non è possibile fare appelli all’antifascismo e poi considerare “non condivisibile” quanto fanno coloro che l’impegno antifascista lo hanno pagato e lo pagano con licenziamenti, attacchi, insulti e minacce. Perché o si sta con gli antifascisti, oppure si sta con chi fa, lui si, il gioco degli amici di Casapound: i “fascisti del terzo millennio” l’occupazione dello stabile in cui hanno la loro sede nazionale a Roma l’hanno “regolarizzata” all’epoca del sindaco Veltroni, e sono diversi gli esponenti del PD che con Casapound hanno “democraticamente” interloquito, anche partecipando a incontri nelle sedi dell’associazione fascista. Questi sono coloro che hanno sdoganato Casapound e simili, che hanno avuto nel Giorno del Ricordo lo strumento della ri-legittimazione ufficiale del fascismo e dei fascisti, passati ed attuali. A dimostrarlo c’è proprio quanto accade ad ogni 10 febbraio, quando le varie organizzazioni fasciste fanno a gara per onorare pubblicamente e con la benedizione dello Stato (nonché con finanziamenti e sponsorizzazioni pubbliche) i “loro” caduti e diffondere le loro teorizzazioni.
Cordiali saluti.
Il primo razzismo di Mussolini, prima ancora delle leggi razziali del 1938 contro gli ebrei, fu quello contro i popoli slavi. Disse Mussolini nel 1920 a Pola: <<Di fronte a una razza come la slava, inferiore e barbara, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino ma quella del bastone>>. Nell’aprile del 1941 l’esercito italiano del re e di Mussolini aggredì e invase la Jugoslavia, che nulla aveva fatto contro l’Italia. L’Italia fascista si annesse direttamente alcuni territori (come Lubiana e parte della Slovenia), altri tenne sotto controllo, in condizioni
di occupazione particolarmente dure e crudeli non meno di quelle naziste. Distruzione di interi villaggi sloveni e croati dati alle fiamme, massacro di decine di migliaia di civili, prigionia e campi di concentramento in Jugoslavia e in Italia. E questo dopo aver attuato, il fascismo, nel corso del ventennio, nelle zone del confine nordorientale del Regno d’Italia abitate anche da sloveni e croati, la chiusura delle scuole slovene e croate, il cambiamento della lingua e dei nomi, l’italianizzazione forzata. Successivamente alle azioni delle squadracce
fasciste contro centri culturali, sedi sindacali, cooperative agricole, giornali operai, politici e cittadini di “razza slava”. Una violenza dunque, quella fascista, precedente, sistematica e pianificata, di proporzioni assolutamente più grandi – 700 e oltre sono stati i criminali di guerra italiani in Jugoslavia, a cominciare dai generali Roatta e Robotti, secondo la Commissione delle Nazioni Unite per i crimini di guerra, nessuno dei quali è stato mai condannato né estradato e consegnato alle autorità jugoslave – rispetto a quella jugoslava per i morti delle foibe
nel settembre/ottobre ’43 e nel maggio ’45.
Le foibe, alle quali aveva già pensato il fascismo col ministro Cobolli Gigli che aveva scritto: <<La musa istriana ha chiamato foiba il degno posto di sepoltura per chi, nella provincia, minaccia con audaci pretese le caratteristiche nazionali dell’Istria>>, sono cavità naturali profonde presenti nelle zone carsiche del confine nordorientale, utilizzate da sempre dagli abitanti per disfarsi di oggetti e cose varie, per far sparire carcasse di animali e anche uomini stessi vittime di tragedie private. In Italia nel 2004 la legge 92 <<Istituzione del giorno del
ricordo in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale e concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati>> ha fatto del 10 febbraio di ogni anno un giorno di solennità civile nazionale atto innanzitutto a celebrare i morti delle foibe del settembre/ottobre ’43 e del maggio ’45 per mano dei partigiani jugoslavi. Ma quanti sono e chi sono i morti delle foibe che in oltre dieci anni di applicazione della legge hanno ufficialmente ricevuto (loro famigliari) riconoscimenti e medaglie
della Repubblica italiana? Ad oggi, gennaio 2019, risultano essere 354, in gran parte appartenenti a formazioni armate dell’Italia fascista e personale politico fascista, in minima parte scomparsi nelle foibe vere e proprie.
Numeri e identità ben diversi dalle migliaia, decine di migliaia, di infoibati innocenti di cui parlano i promotori della legge 92/2004! Infondata è la tesi che vi sia stato nei confronti dell’Italia e degli italiani un <<disegno annessionistico slavo>> che <<assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica>> come disse il Presidente Napolitano il 10 febbraio 2007. Semmai c’è stato con la legge 92/2004 il tentativo politico di criminalizzare la Resistenza, innanzitutto la jugoslava, e di riaffermare il fascismo. Il fascismo che intraprese la guerra,
che è stato il vero aggressore e feroce occupante di Jugoslavia e Balcani, razzista e imperialista. Un tentativo politico di rovesciamento della realtà storica. Eclatante il caso del parmense Paride Mori fascista repubblichino volontario al confine nordorientale col grado di capitano del Battaglione Bersaglieri <<Mussolini>> ucciso nel ’44 con armi da fuoco dai partigiani jugoslavi al quale (suoi figli) il 10 febbraio 2015 le massime autorità della Repubblica hanno dato la medaglia da vittima delle foibe. Medaglia che è stata poi revocata in seguito alle forti
proteste antifasciste..
· Nessun riconoscimento e medaglia della Repubblica italiana nata dalla Resistenza a fascisti “vittime delle foibe”.
· Revoca dei riconoscimenti e medaglie di questo tipo dati dal 2005 ad oggi.
· Onore ai soldati italiani partigiani morti a migliaia combattendo in Jugoslavia dopo l’8 settembre ’43 contro il nazifascismo a fianco della Resistenza Jugoslava.
· Cancellazione dalla toponomastica stradale di Parma di <<via martiri delle foibe>>, nome fuorilegge stante che <<martiri delle foibe>> non si trova mai scritto nemmeno nella legge 92/2004.
· Ricordo degli 800 e oltre antifascisti slavi sloveni e croati deportati e detenuti negli anni ’42,’43 nel carcere di S. Francesco di Parma.
· Riattivazione del gemellaggio esistente dai primi anni ’60 di Parma con Lubiana, che dal fascismo fu ferocemente occupata, e sostituzione del <<Giorno del ricordo delle vittime delle foibe>> col <<Giorno della pace e dell’amicizia fra il popolo italiano e i popoli della ex Jugoslavia>>.
febbraio 2018