Jugoinfo

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Da: Partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana <partigiani7maggio@...>
Oggetto: Rete della memoria e dell\'amicizia per l\'Appennino centrale
Data: 21 dicembre 2017 20:51:33 CET

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* Con la presentazione – il 30 novembre scorso – di una Domanda di cofinanziamento, a valere sul Bando 2018 Progetti Italiani della Tavola Valdese, per interventi nei Comuni di Acquasanta Terme (AP) e Valle Castellana (TE), siamo passati alla fase concreta/operativa della campagna \"Rete della memoria e dell\'amicizia per l\'Appennino centrale\" avviata tramite la associazione Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia (Jugocoord) Onlus.

La campagna è stata concepita a seguito del recente sciame sismico (2016-2017) che ha duramente colpito un\'area, a cavallo tra Abruzzo, Marche, Umbria e Lazio, in cui durante la II Guerra Mondiale trovarono rifugio e spesso si impegnarono nella lotta partigiana numerosi antifascisti montenegrini e altri jugoslavi, ex-prigionieri nei campi di concentramento della nostra penisola. Per questo motivo si è ritenuto giusto esprimere concretamente solidarietà ai territori colpiti, stanziando fondi per il recupero di beni culturali e storici come segno della collaborazione fra i popoli. Per questo primo anno si è dovuta procrastinare la fase operativa relativamente agli altri due Comuni finora sollecitati – Monte Cavallo (MC) e Foligno (PG); d\'altronde, la campagna ha la potenzialità di coinvolgere un numero ben maggiore di realtà locali: sviluppi in tal senso possono venire solo dalla attiva collaborazione di tutte le persone e realtà coinvolte e sensibili a questi temi. Per dettagli si veda la pagina dedicata alla campagna \"Rete della memoria e dell\'amicizia per l\'Appennino centrale\".

 

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** Solo pochi giorni dopo, mentre correva il terzo anniversario della sua morte, il fondo archivistico di Drago Ivanović ha trovato appropriata collocazione nel Centro di Documentazione \"Giuseppe Torre\" di Jugocoord Onlus a Bologna.

I materiali, costituiti da memorie degli anni della Resistenza e dell\'internamento e dagli appunti e documenti su cui Drago ha basato la scrittura delle sue numerose opere, erano stati affidati dai figli agli Autori del libro I partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana ed alla associazione Jugocoord onlus, cui lo stesso Drago aveva aderito all\'inizio del 2014. Ci si ripromette di far classificare i documenti secondo criteri professionali non appena sarà possibile; nel frattempo si dispone di un catalogo provvisorio, compilato dalla stessa famiglia Ivanović: per questo e per eventuali richieste di consultazione e copia di documenti si veda alla pagina dedicata al fondo archivistico


** Il 2017 è stato dunque per noi un anno intenso, ed alla sua conclusione possiamo dire che il nostro lavoro, di ricerca e sensibilizzazione sull\'impegno degli antifascisti jugoslavi in Italia, ha dato frutti importanti. Auguriamoci allora che anche l\'Anno Nuovo 2018 sia proficuo per tutte le persone interessate e sensibili a questi temi... ed aggiungiamo un caloroso augurio, non rituale visti i tempi che corrono, di pace e fratellanza fra i popoli.
 

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=== * ===  I PARTIGIANI JUGOSLAVI NELLA RESISTENZA ITALIANA Storie e memorie di una vicenda ignorata  Roma, Odradek, 2011 pp.348 - euro 23,00  Per informazioni sul libro si vedano: Il sito internet: http://www.partigianijugoslavi.it La scheda del libro sul sito di Odradek: http://www.odradek.it/Schedelibri/partigianijugoslavi.html La pagina Facebook: http://www.facebook.com/partigianijugoslavi.it  Ordina il libro: http://www.odradek.it/html/ordinazione.html  === * ===

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Questa è la lista di contatti in lingua italiana degli Autori del libro. Altre info: http://www.partigianijugoslavi.it

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Rome, Rm  00100
Italy



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I Balcani scacchiere della guerra della NATO contro la Russia

1) Gli avvoltoi atlantici tornano a volteggiare sui Balcani (di A. Fazolo)
Sul convegno \"I Balcani occidentali ad un bivio\" organizzato dalla NATO a Roma il 6-7/12 u.s.

2) I piani di Washington per i Balcani (di Luca Susic)
Sullo studio pubblicato dall\' Atlantic Council (AC) intitolato “Balkans Forward. A new US strategy for the region”

3) La ricetta choc Usa: «I confini di Tito da ridisegnare» (di Mauro Manzin)
L’analista Schindler sul New York Observer, quotidiano del genero e consigliere di Trump, vuole cancellare Dayton 


Sulle incessanti sollecitazioni eversive angloamericane verso i Balcani si veda anche, ad esempio:
British diplomat [Timothy Less] advocates reshaping of Balkan boundaries (Dic. 2016)


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Gli avvoltoi atlantici tornano a volteggiare sui Balcani

di Alberto Fazolo*, 12/12/2017


Dai primissimi anni \'90 la Jugoslavia si trasformò in un laboratorio per le ingerenze occidentali, vi vennero sperimentate tutte le tecniche di destabilizzazione che poi abbiamo visto applicate nel resto del mondo per un quarto di secolo. Dapprima ci si adoperò per smembrare lo Stato fomentando l\'odio etnico (da cui venne coniato il neologismo \"balcanizzazione\") poi si scatenarono sanguinose guerre fratricide. Dove la NATO non riuscì ad arrivare con le bombe, arrivò con la guerra non convenzionale, varando il modello di regime change chiamato \"rivoluzioni colorate\". Gli avvoltoi atlantici hanno divorato il cadavere della Jugoslavia causando danni immani.

I Balcani si trovano in una fase più avanzata rispetto ai paesi che successivamente subirono la stessa ingerenza, anche per questo è d\'interesse studiare la loro storia e scrutarne il futuro prossimo. A Roma il 6 e 7 dicembre 2017 si è tenuta una conferenza pubblica organizzata dal NATO Defence College dal titolo \"I Balcani occidentali ad un bivio\". Questa è stata l\'occasione per capire quali siano le intenzioni della NATO e cosa potrebbe succedere a breve.

Il dramma dei Balcani sono le tensioni etniche, tuttavia ci sono anche dei problemi consolidati relativi alla criminalità che in particolare si dedica a traffici di droga, sigarette, armi, esseri umani, ecc. In questa fase la NATO individua ulteriori e più pericolose minacce (almeno dal suo punto di vista), rappresentate dall\'azione di tre entità: Russia, Cina e paesi arabi.

La NATO si lamenta dell\'efficace penetrazione russa tra le popolazioni d\'etnia Serba, questa azione si attuerebbe prevalentemente attraverso la cooperazione e l\'informazione. In questo quadro, la NATO è molto allarmata dal fatto che la Serbia abbia deciso di comprare degli aerei da combattimento e dei carri armati di produzione russa. Il timore della NATO è che la penetrazione russa si rafforzi sul piano politico arrivando a trasformarsi in una presenza militare, teme cioè che la Russia possa costruire una \"testa di ponte\" all\'interno della UE: cosa che la NATO impedirà ad ogni costo.

La penetrazione cinese nei Balcani è solo di tipo commerciale, con investimenti in impianti industriali e in infrastrutture. La NATO e la UE vogliono impedire che la Cina diventi un competitor nella regione, non ammettono cioè che altri si intromettano in quello che considerano un terreno di conquista esclusivo.

Più particolare è la minaccia rappresentata da alcuni paesi arabi, nello specifico monarchie del Golfo e Turchia, che stanno promuovendo la radicalizzazione religiosa in Bosnia, Kosovo e Albania.

Si stima che in Siria attualmente combattano circa 800 integralisti islamici balcanici che con l\'imminente capitolazione del Califfato potrebbero tornare nelle proprie terre. La NATO teme che questi possano compiere attentati terroristici in Europa. La vicenda ha degli aspetti grotteschi, infatti da un lato ci si lamenta che alcuni di questi combattenti dell\'ISIS in precedenza lavoravano per la NATO, dall\'altro non ci si interroga su chi sia a sostenere la radicalizzazione: la Turchia è uno dei più importanti membri della NATO e le monarchie del Golfo sono degli stretti alleati degli USA. Se solo lo volessero, gli USA sarebbero in grado d\'arrestare il fenomeno, ma non lo stanno facendo; la cosa è molto interessante, perché potrebbe essere la manifestazione di qualcosa di diverso dalle apparenze.

La Bosnia, la Serbia e il Kosovo non sono né nella UE, né nella NATO, e probabilmente non vi entreranno mai, sono tre distinte testimonianze del fallimento delle ingerenze. La Bosnia non ha risolto gli scontri etnici, vive in un equilibrio estremamente fragile. La Serbia non si doma e non perdona. Il Kosovo è un narco-Stato che non sarà mai presentabile e soprattutto non si sa autorganizzare. In queste tre entità regna un caos che determina un vuoto politico in cui si può inserire l\'azione di Russia, Cina e paesi arabi. L\'unica soluzione che la NATO ha per scongiurare questa evenienza è di andare contro la volontà dei popoli e imporre l\'integrazione, magari ricorrendo anche a qualche forma di commissariamento (andrebbe insediato un plenipotenziario che possa essere espressione della NATO o dell\'OSCE). La NATO è pronta a forzare la mano, i Balcani sono di nuovo ad un bivio: o la sudditanza, o la guerra.

La crisi tra EU e USA non è un mistero, si era già manifestata in molte occasioni (come in Libia e poi in Ucraina), ma forse ora si potrebbe acuire. Facendo la forzatura d\'imporre l\'ingresso di Serbia, Bosnia e Kosovo nella UE si crea una contraddizione che potrebbe far crollare tutti gli equilibri del continente. Dopo aver infiammato il Medioriente con la provocazione di Gerusalemme, ancora una volta gli USA accenderebbero un fuoco nella polveriera balcanica destabilizzando l\'Europa.

Forse il cadavere che gli avvoltoi atlantici vogliono divorare non è solo quello dell\'ex-Jugoslavia.
 

*Articolo esce in contemporanea Contropiano e Antidiplomatico


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I piani di Washington per i Balcani (secondo l’Atlantic Council)

di Luca Susic, 10 dicembre 2017
 

Nel mese di novembre, il think tank statunitense Atlantic Council (AC) ha pubblicato uno studio di 20 pagine intitolato “Balkans Forward. A new US strategy for the region”, partendo dal presupposto che “mentre gli Stati Uniti e l’Europa sono concentrati sui propri problemi interni, la Russia e altri paesi stanno ridisegnando il paesaggio geopolitico della regione”. Gli autori, infatti, hanno evidenziato quelle che a loro modo di vedere sono le principali azioni con cui Mosca tenta di far precipitare la regione verso uno stato di caos (indebolendo così sia Bruxelles che Washington), nonché le possibili soluzioni per contrastare questa “influenza maligna”.

Per comprendere il testo è innanzitutto fondamentale notare come secondo l’AC lo scopo finale della politica statunitense verso i Balcani dovrebbe essere quello di giungere all’integrazione euroatlantica dell’area, facendo quindi entrare quanto prima nella NATO e nella UE gli Stati non ancora membri. Questa tesi viene ritenuta in linea con lo sforzo intrapreso in seguito agli accordi di Ohrid del 2001, quando emerse l’idea che la partecipazione all’Alleanza Atlantica avrebbe garantito i confini allora esistenti, mentre la possibilità di accedere ai mercati europei avrebbe spinto i governi locali a intraprendere con decisione la via delle riforme interne e ad abbandonare le tradizionali divisioni.

L’insuccesso della politica appena menzionata, viene però fatta dipendere non tanto dagli errori commessi dai cosiddetti policymakers o dagli atteggiamenti spesso paternalistici con cui Bruxelles e Washington si relazionano con gli attori ex – jugoslavi, ma alla combinazione di diversi fattori quali l’influenza russa (Mosca viene apertamente accusata del presunto tentativo di golpe in Montenegro), la Brexit e il referendum olandese sull’Ucraina, nonché le dichiarazioni di Trump sulla politica estera statunitense.

Il risultato di ciò, sempre secondo gli autori, è che “i Balcani occidentali sono diventati un posto molto più pericoloso”, mentre la credibilità dell’Unione Europea, soprattutto dopo la moratoria sull’allargamento imposta da Juncker, è rimasta intatta solo grazie al ruolo della Germania, che ha creato una sua politica indipendente verso l’area sud-orientale del continente.

Partendo quindi da questi presupposti, vengono sviluppate una serie di altre considerazioni, che per semplicità del lettore verranno riassunte nell’ordine in cui compaiono nel paper.

  • LE DIVISIONI ABBONDANO: in questo primo capitolo, grande attenzione viene data all’ascesa al potere di Aleksandar Vucic e alla sua promessa iniziale di avvicinarsi alla UE e trovare una soluzione accettabile per la Serbia sulla questione kosovara. In particolare il presidente serbo viene criticato per aver cercato il supporto della Russia, vista come un possibile appoggio nel caso in cui il progetto europeo dovesse continuare ad affondare. Mosca, dal canto suo, viene attaccata a causa dei suoi stretti rapporti con Milorad Dodik (presidente della Rep. Srpska), ossia il leader che assieme ai suoi più stretti collaboratori avrebbe “speso un decennio a cercare di distruggere le fragili strutture della Bosnia”. Sorprendentemente, però, nell’ambito della crisi del Paese viene anche riconosciuta una certa responsabilità alla comunità croata di Bosnia e, in misura minore, a quella musulmana. La responsabilità del Cremlino, comunque, secondo l’AC si estende ulteriormente al Kosovo, in cui viene accusato di aver realizzato “fake news” per aizzare i serbi contro gli albanesi, al Montenegro e, soprattutto, alla Macedonia. Proprio quest’ultima è l’oggetto di un lungo approfondimento, nel quale, viene elogiato il nuovo Primo Ministro Zoran Zaev, capace di spodestare il VRMO-DPMNE, ossia il partito dell’ex premier Gruevski, considerato troppo vicino alla Russia. Ciò che stupisce di più, però, è l’ammissione che anche in Kosovo il nazionalismo spinto rappresenti una preoccupazione, nonostante Pristina venga spesso rappresentata come un alleato di ferro degli USA e la dimostrazione più chiara del successo della politica estera americana nell’area.
  • COSA VUOLE LA RUSSIA? Si tratta del passaggio probabilmente più controverso dell’intero studio, in quanto, più che di un’analisi, assume i toni di un vero e proprio attacco nei confronti di Mosca. Questa, infatti, viene accusata di condurre una politica distruttiva incentrata sull’ottenimento di 3 obiettivi separati:
    1. Distrazione: ossia la creazione di confusione nell’area balcanica allo scopo di spostare il focus euro-atlantico dalle zone di maggiore interesse (come l’Ucraina) ai Balcani;
    2. Minaccia: destabilizzare scientemente l’ex-Jugoslavia, in quanto un’eventuale escalation (viene fatto esplicito riferimento ad una nuova guerra civile) rappresenterebbe appunto una minaccia diretta all’Europa;
    3. Precedente: mettere cioè in discussione i confini post-Dayton per modificare anche quelli della Crimea, del Donbass e delle Repubbliche Baltiche.

Come già avvenuto nel caso delle simulazioni della Rand e di altri think-tank su un’ipotetica invasione russa del Baltico, emerge qui l’idea che Mosca rappresenti ormai un chiaro nemico non solo dell’Occidente, ma anche delle stesse popolazioni destinate ad essere vittime della Sua politica estera. Proprio l’aspetto relativo alla volontà di queste nazioni assume una notevole importanza in quanto, contrastando parzialmente con quanto scritto nelle pagine precedenti, l’AC evidenza come “la popolazione della regione sa che non c’è futuro assieme alla Russia” che “rimane un attore relativamente debole nella regione”. Questi aspetti, quindi, vengono usati in quella che sembra essere a tutti gli effetti la riproposizione della missione universalistica americana per la liberazione dei popoli oppressi da regimi o influenze non democratiche.

  • SOTTO I RIFLETTORI: CORRUZIONE, NON “ODI ANTICHI”: abbandonando per un attimo il ruolo “malefico” di Mosca, in questa sezione l’accento viene messo sulle ragioni che hanno portato le diverse etnie a combattersi nel corso dei secoli. Secondo gli autori, la causa scatenante di questo fenomeno è da ricercare nella presenza di stati disfunzionali, corrotti e frutto di una scarsa esperienza nell’autogoverno. Conseguenza di ciò sarebbe l’affermazione costante, negli ultimi anni, di uomini forti, attorno ai quali si concentra l’intero potere istituzionale. A sostegno di tale tesi vengono portati i casi di Milo Đukanović (Montenegro), Hashim Thaçi (Kosovo) e Milorad Dodik (Rep. Sprska), ma anche di Aleksandar Vučić (Serbia), Dragan Ćović (Croati di Bosnia) e Bakir Izetbegović (comunità bosgnacca).

Il ragionamento, per quanto sensato, incontra però un grosso limite nel momento in cui ci si accorge che alcuni di questi “big men” sono stati e sono tutt’ora dei partner fondamentali per Washington e Bruxelles, nonché che la loro stessa ascesa al potere è stata fortemente caldeggiata dagli Stati Occidentali. Lo stesso procedimento è infatti attualmente in atto con Zoran Zaev, che sta lentamente sostituendo Gruevski nel ruolo di “uomo forte” della Macedonia. Infine, non va neppure dimenticato che buona parte della politica europea dell’ultimo secolo è stata, nel bene e nel male, dettata e plasmata da singoli leader carismatici o “illuminati”.

  • UNA SVEGLIA PER GLI STATI UNITI: partendo dall’assioma secondo cui i Balcani rappresentano il “ventre molle dell’Europa”, l’Atlantic Council ritiene che la chiave della sicurezza e di conseguenza dell’instabilità dell’area, sia rappresentata dalla Bosnia Erzegovina, la cui unità è messa a repentaglio da quello che viene definito “settarismo” (il nazionalismo). A questa considerazione vengono affiancati anche un approfondimento sulla cosiddetta “rotta balcanica” dell’immigrazione e una breve descrizione del fenomeno dell’estremismo islamico.Lo scopo è quello di evidenziare gli ambiti su cui la Russia (sempre lei) ha investito maggiormente per seminare discordia nella regione. Proprio in risposta a questo sforzo nemico, l’AC ritiene sia fondamentale che gli USA riprendano il proprio ruolo di stabilizzatori, il che sarebbe possibile attraverso 3 azioni potenzialmente in grado di mutare l’intero scenario locale:
  1. Stabilire una presenza militare permanente nell’Europa sud-orientalepartendo chiaramente dalla base di Bondsteel, già in grado di ospitare un contingente di 7000 uomini. Il tutto potrebbe essere facilitato dalla fine della missione KFOR, a cui dovrebbe seguire un crescente impegno militare statunitense nell’area. Come è facile immaginare, infatti, il Kosovo sarebbe ben felice di poter ospitare altri soldati statunitensi, mentre la popolazione serba non avrebbe altra scelta che affidarsi alle truppe straniere per veder garantita la propria sopravvivenza e permanenza. Un contingente “sostanzioso”, inoltre, garantirebbe gli attuali confini degli alleati e permetterebbe di accreditare gli USA come potenza realmente interessata alla difesa dello status quo. Secondo gli autori, inoltre, a ciò dovrebbe essere affiancata la proposta di fornire supporto agli “amici” nelle operazioni di controspionaggio, spingendoli magari proprio a richiedere un tale intervento.
  1. Perseguire uno “storico” riavvicinamento con la Serbia, ossia convincere Vučić ad annacquare i legami con Mosca e i media locali a dare “un’adeguata copertura mediatica” a quelli che sarebbero i risultati (positivi) di un avvicinamento agli USA. Quest’ultimo aspetto, in particolare, è interessante, in quanto evidenzia una parziale verità. Infatti, sebbene il Presidente sia in grado di influenzare pesantemente quotidiani e televisioni, non va dimenticato che una buona fetta dei media locali sono di proprietà straniera (soprattutto tedesca, americana e turca).
  1. Riguadagnare la reputazione statunitense di onesto intermediario, ossia sfruttare le debolezze europee per guadagnare terreno. Nella prima parte di questo paragrafo, infatti, viene ribadita l’attitudine (sbagliata) che ha portato l’Europa a credere che qualsiasi problema potesse essere risolto con la semplice promessa di entrare a far parte dell’unione, usando cioè una leva prettamente burocratica. Nella più classica versione dell’eccezionalismo statunitense, quindi, risulterebbe compito di Washington correggere la miopia di Bruxelles, soprattutto attraverso una diversa gestione del rapporto con gli uomini forti locali.
  • DALLA SICUREZZA ALLA PROSPERITÀ: l’ultimo capitolo, forse quello più politico e meno tecnico, può essere riassunto con una semplice frase: “dovrebbe essere reso chiaro ai Russi che stanno solo perdendo tempo e denaro cercando di spargere caos nella regione”.

Alla luce di quanto sopra, è ora possibile fare una serie di commenti tecnici sul paper. Il primo aspetto da portare all’attenzione è certamente che non si tratta di un lavoro qualitativamente interessante, quanto piuttosto di un manifesto programmatico che risponde ad una serie di esigenze.

La più importante è quella di dare una giustificazione al perseguimento di una politica anti-russa nei Balcani. Nonostante lo sforzo di inserire dei sondaggi relativi al supporto di cui godono gli USA nell’area, però, questa sembra essere motivata più da una chiara ostilità nei confronti del Cremlino unita ad una sorta di “fardello dell’uomo bianco” che da una reale paura delle popolazioni locali per quanto sia in grado di fare Mosca.

Inoltre, risulta anche peculiare il fatto che ad una presunta minaccia asimmetrica, l’Atlantic Council proponga di rispondere nel modo più convenzionale che gli USA conoscono, ossia mettendo sulla bilancia il peso delle proprie forze armate e della propria economia.

Oltre a ciò, emerge con chiarezza la sottovalutazione del pericolo rappresentato dall’estremismo islamico rafforzatosi lungo l’asse Bosnia-Sangiaccato-Kosovo-Albania, il che però non stupisce, in quanto il think tank gode di forte supporto proprio in alcuni dei paesi che hanno maggiormente investito per “reislamizzare” i Balcani. Questo “omissis” è particolarmente grave, in quanto si inserisce in quella diffusa tendenza a sottostimare il ruolo imperialista di alcuni stati musulmani per ragioni economiche e politiche.

Il terzo punto che colpisce è la totale assenza di fonti in lingua locale e la presenza di pochi riferimenti a studiosi o esperti provenienti dall’area. Se ciò è da un lato giustificato dall’oggettiva difficoltà del mondo accademico locale di realizzare opere di qualità, dall’altro finisce per limitare notevolmente le fonti e orientarle inevitabilmente in senso-filo occidentale, dato che solitamente i grandi network in lingua inglese non danno troppo spazio alle voci più critiche delle politiche euro-atlantiche.

Infine, sebbene vi siano numerosi riferimenti al ruolo complementare di USA e UE, il documento sembra tracciare piuttosto le linee guida per sostituire Bruxelles in loco, un’ambizione non esagerata visto che, come sottolineato in precedenza, a causa della debolezza italiana e del disinteresse francese, la politica europea nei Balcani si limita alle azioni tedesche e agli spunti individuali di Federica Mogherini.

Quanto sopra, sebbene non rifletta in pieno la linea dell’attuale amministrazione americana, deve rappresentare un campanello d’allarme per tutti quei paesi (Italia in primis) che hanno forti interessi nell’area e che rischierebbero seriamente di trovarsi “fuori dai giochi” qualora anche solo alcune delle linee guida proposte dovessero essere messe in pratica. In aggiunta a ciò, grande attenzione e cautela dovrebbe essere applicata anche alla tendenza di alcuni ambienti interventisti presenti fra i democratici e i conservatori americani a interpretare qualunque sfida geopolitica con il prisma dello scontro fra Est e Ovest, sia perché ci farebbe nuovamente finire sulla linea di fuoco, sia perché ci impedirebbe di prestare le dovute attenzioni ai competitors più attivi, come Turchia, monarchie del Golfo e Cina.

Foto: Reuters, EPA, KFOR e RT


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La ricetta choc Usa: «I confini di Tito da ridisegnare» 

L’analista Schindler sul New York Observer, quotidiano del genero e consigliere di Trump, vuole cancellare Dayton 

di Mauro Manzin, 15 maggio 2017


TIRANA Tirana strizza l’occhio al Kosovo per creare la Grande Albania, la Republika srpska non ha mai nascosto le sue ambizioni di diventare parte integrante della Serbia, in Bosnia-Erzegovina i croati chiedono di diventare entità come i serbi e i bosgnacchi. Insomma, tutti contro tutti. In mezzo un’Unione europea che rischia di fare la fine del vaso di coccio tra i due giganti mondiali d’acciaio: Usa e Russia. Lo scenario balcanico anche in vista del Summit di Trieste, prolungamento naturale del Processo di Berlino è decisamente oscuro e pieno di nubi.

A ulteriormente complicare le cose ci mette lo zampino anche la nuova amministrazione a stelle e striscie capitanata da Donald Trump. Il messaggio arriva chiaro dalle righe del New York Observer, il quotidiano è di proprietà di Jared Kushner, genero e consigliere del presidente Usa e reca la firma di John Schindler, esperto di difesa ed ex analista dell’agenzia per la sicurezza nazionale (Nsa) e riprese dal Delo di Lubiana. Ebbene, secondo Schindler, quanto sta succedendo ora nei Balcani altro non è se non il frutto del peccato mortale messo in atto dall’Occidente, Ue e Nato su tutti, che ha accettato le vecchie frontiere comuniste di Tito quali confini delle repubbliche nate sulle ceneri di quella che fu la Repubblica federativa socialista di Jugoslavia. Non è stato capito che quei confini, tra le repubbliche della Federativa, sostiene Schindler, altro non erano se non un capriccio dei funzionari comunisti e non rispecchiavano la realtà etnica del Paese.

Per l’analista americano la Ue e la Nato hanno con cocciutaggine predicato l’illusione di una convivenza interetnica che presupponesse che nella regione fosse possibile vivere nell’unità e nella fratellanza (guarda caso uno dei concetti fondamentali di Tito ndr.).

È una triste realtà, invece, obietta Schindler, che Tito ha preservato la Jugoslavia con una combinazione fatta di carisma personale, saggezza politica e di una sgradevole polizia segreta. L’Occidente, ribadisce l’analista Usa, ha con insuccesso cercato di mantenere i confini comunisti. In Bosnia e in Kosovo poi, continua Schindler, le minoranze che sono fuggite di fronte alla guerra non vogliono tornare nei loro luoghi d’origine. Forse per paura o forse per una sorta di particolarismo etnico. Sta di fatto che non tornano.

Quindi, e qui c’è veramente da aver paura, l’analista statunitense propone di ridisegnare i confini della ex Jugoslavia. Su tutto va, per Schindler, “rettificata” la Bosnia-Erzegovina permettendo che la Republika srspka si unisca alla Serbia e che l’Erzegovina occidentale si riunisca alla Croazia visto anche in quell’area la stragrande maggioranza dei cttadini ha già oggi il passaporto croato. Schindler definisce l’architettura istituzionale degli Accordi di Dayton del 1995 «grottesca» che impedisce il funzionamento di qualsivoglia istituzione statale, e, in effetti, la crisi politica e lo stallo istituzionale permanente a Sarajevo lo sta ampliamente dimostrando.

Ma non finisce qui. Schindler invita la Serbia a riconoscere il Kosovo non prima di aver ottenuto in cambio la regione di settentrionale (serba) e della valle di Preševo. L’analista poi giudica «irrevocabile» la futura unione di Kosovo e Albania nella cosiddetta Grande Albania che comprenderebbe però anche parti della Macedonia. Perché lasciare che ciò avvenga autonomamente e quindi con un conflitto e non pilotare meglio il tutto a livello di mediazione internazionale dando alla Russia lo status di Paese equivalente a quello degli altri attori occidentali? Come contropartita ci sarebbe l’ingresso nell’Ue dei nuovi Balcani occidentali che otterrebbero anche una buona iniezione di finanziamenti. Una compensazione che dovrebbe giungere soprattutto alla Macedonia che in questo processo avrebbe il ruolo di agnello sacrificale.

Diverso però è l’approccio russo. Jelena Ponomarjova, una dei principali esperti di Mosca per i Balcani sostiene che la crisi politica in Macedonia e l’idea di Grande Albania sono strumenti degli Usa per destabilizzare l’Europa e, contemporaneamente, per cercare di togliere l’area dall’influenza russa. Ponomarjova non esclude neppure una guerra civile in Macedonia che spezzerebbe il Paese in due.

Insomma, dipinto da Washington o da Mosca lo scenario balcanico minaccia nuovamente di grondare sangue. Sangue di innocenti nel nome della nuova Guerra fredda.



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(italiano / serbocroato)

Solidarietà / Solidarnost s palestinskim narodom

1) Zajednička deklaracija komunističkih i radničkih partija u znak solidarnosti s palestinskim narodom
2) SRP: A proposito del riconoscimento di Gerusalemme quale capitale di Israele / Povodom priznanja Jeruzalema za glavni grad Izraela
3) NKPJ: Stop zločinina nad narodom Palestine
4) Comitato Contro La Guerra Milano: PER IL RISPETTO DELLA CAUSA PALESTINESE


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Zajednička deklaracija komunističkih i radničkih partija u znak solidarnosti s palestinskim narodom

15. prosinca 2017.

Komunističke i radničke partije koje potpisuju ovu zajedničku deklaraciju:

1. Oštro osuđuju neprihvatljiv stav predsjednika SAD-a, Donalda Trumpa, putem kojeg SAD priznaju Jeruzalem kao glavni grad Izraela.

2. Ova odluka snažno potkopava pravednu borbu palestinskog naroda protiv izraelske okupacije i za stvaranje i priznanje palestinske države u granicama iz 1967. godine, s Istočnim Jeruzalemom kao glavnim gradom. Štoviše, ova odluka, koja predstavlja opasnu provokaciju protiv naroda Bliskog istoka, ide u smjeru povećanja sukoba u regiji radi omogućavanja američkih imperijalističkih planova.

3. EU i općenito vodstvo njenih država članica također snose odgovornosti za takvu odluku, budući da produbljuju svoje odnose s izraelskom državom u isto vrijeme kada izraelska država tlači i ubija palestinski narod.

4. Pozivamo radnike i sve narode svijeta da ojačaju svoju solidarnost s palestinskim narodom kako bi oslobodili tisuće političkih zatvorenika iz izraelskih zatvora; razbili zid sramote; prisilili na povlačenje izraelsku vojsku sa svih okupiranih područja od 1967. godine, uključujući i Golansku visoravan (Siriju) i farme Šeba (Libanon); okončaju sve blokade palestinskog naroda na Zapadnoj obali i Pojasu Gaze; kampanju za povratak palestinskih izbjeglica na svoja ognjišta, u temeljem relevantnih rezolucija UN-a; nastaviti borbu za priznavanje neovisne, suverene i održive palestinske države unutar granica 1967. s Istočnim Jeruzalemom kao glavnim gradom.

 

Komunistička partija Albanije
PADS, Alžir
Komunistička partija Australije
Partija rada Austrije
Komunistička partija Azerbajdžana
Progresivna tribina u Bahreinu
Komunistička partija Bangladeša
Komunistička partija Wallonije – Bruxelles
Radnička partija Belgije
Brazilska komunistička partija
Komunistička partija Brazila
Socijalistička radnička partija Hrvatske
AKEL
Komunistička partija Češke i Moravske
Komunistička partija u Danskoj
Komunistička partija Estonije
Komunistička partija Ekvadora
Komunistička partija Finske
Njemačka komunistička partija
Ujedinjena komunistička partija Gruzije
Komunistička partija Grčke
Mađarska radnička partija

Komunistička partija Indije
Komunistička partija Indije (marksista)
Partija Tudeh  Irana
Iračka komunistička partija
Komunistička partija Irske
Radnička partija Irske
Komunistička partija (Italija)
Socijalistički pokret Kazahstana
Korejska radnička partija

Socijalistička partija Latvije
Komunistička partija Luksemburga
Komunistička partija Malte
Komunistička partija Meksika
Narodna Socijalistička partija Meksika
Nova komunistička partija Nizozemske
Komunistička partija Norveške
Palestinska komunistička partija

Palestinska narodna partija

Paragvajska komunistička partija
Filipinski komunistička partija [PKP 1930]
Portugalska komunistička partija
Rumunjska Socijalistička partija

Komunistička partija Ruske Federacije
Ruska komunistička radnička partija

Savez komunista – KPSS
Komunistička partija Sovjetskog Saveza
Nova komunistička partija Jugoslavije
Partija komunista Srbije
Južnoafrička komunistička partija
Komunistička partija naroda Španjolske
Komunistička partija Šri Lanke
Sirijska komunistička partija
Komunistička partija Turske
Komunistička partija Ukrajine
Savez komunista u Ukrajini
Komunistička partija SAD


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DICHIARAZIONE DEL PARTITO SOCIALISTA DEI LAVORATORI DELLA CROAZIA (SRP) 
A PROPOSITO DEL RICONOSCIMENTO DI GERUSALEMME QUALE CAPITALE DI ISRAELE

Il riconoscimento e la dichiarazione del presidente USA Donald Trump, per cui Gerusalemme sarebbe la capitale di Israele, secondo uno schema già noto e tradizionale di sostegno alla aggressiva politica israeliana, non conduce ad alcuna soluzione che soddisfi le parti in conflitto bensì intensifica la crisi nel Vicino Oriente.
Gli USA, con le loro attività nella zona menzionata, proseguono con una furia imperialista e sostengono vergognosamente il regime politico, logistico e militare che da decenni opprime il popolo palestinese, il quale per la sua lotta merita l\'appoggio di tutti gli individui progressisti e amanti della libertà. I grotteschi rapporti degli USA con il governo israeliano e con i regimi reazionari arabi che interloquiscono con il governo statunitense, mettono direttamente in discussione il diritto del popolo palestinese alla autodeterminazione con obiettivo la fondazione di uno Stato palestinese con Gerusalemme Est come capitale, in base alla Risoluzione ONU ed ai confini stabiliti prima del 4 giugno 1967, data in cui ebbe inizio l\'occupazione. Tale decisione calpesta tutte le vittime che il popolo palestinese ha sacrificato dall\'inizio del conflitto e porterà sicuramente a nuove impennate di violenza, di cui siamo già testimoni.
Il presidente americano, con i suoi fedeli alleati, chiarisce che non gli interessano la pace e la giustizia, bensì, deluso per la sconfitta dello Stato Islamico e dalla politica americana in Iraq e Siria, ostinatamente dimostra al mondo la continuità dell\'imperialismo americano con l\'interferenza non richiesta nella politica interna di paesi sovrani ovunque nel mondo.
SRP condanna con la massima decisione la politica imperialista degli USA e delle loro diramazioni nel mondo. Ci battiamo per la fine della occupazione fino alla creazione di uno Stato di Palestina con Gerusalemme Est capitale come base della coesistenza per il bene dei popoli arabo ed ebraico.

11 dicembre 2017
Kristofor Štokić a nome del SRP



IZJAVA SRP-a POVODOM PRIZNANJA JERUZALEMA ZA GLAVNI GRAD IZRAELA

Priznanje i objava američkog predsjednika Donalda Trumpa da je Jeruzalem glavni grad Izraela, u već poznatoj i tradicionalnoj maniri podrške agresivnoj izraelskoj politici, ne dovodi do rješenja koje će zadovoljiti sukobljene strane, već produbljuje sukob na Bliskom Istoku.
SAD, u svojem djelovanju u navedenom području, nastavlja s imperijalističkim divljanjem i besramno podržava politički, logistički i vojni režim koji desetljećima ugnjetava palestinski narod koji u svojoj borbi zaslužuje podršku svih progresivnih i slobodoljubivih ljudi. Nakaradna suradnja SAD-a s izraelskom vladom i reakcionarnim arapskim režimima, koji surađuju s vladom SAD-a, direktno osporavaju pravo palestinskog naroda na samoopredjeljenje u vidu stvaranja palestinske države s Istočnim Jeruzalemom kao glavnim gradom, sukladno rezoluciji UN-a i u granicama utvrđenim prije 4. lipnja 1967. od kada traje okupacija. Ovakva odluka direktno je gaženje svih žrtava koje je palestinski narod podnio od početka sukoba i sigurno će dovesti do nove eskalacije nasilja, čemu smo već i svjedoci.
Američki predsjednik, sa svojim vjernim saveznicima, potvrđuje da mu nije stalo do mira i pravde, već, razočaran propašću Islamske države i uloge američke politike u Iraku i Siriji, nepomirljivo pokazuje svijetu kontinuitet američkog imperijalizma nepozvanim uplitanjem u unutrašnje politike suverenih država diljem svijeta.
SRP najenergičnije osuđuje imperijalističku politiku SAD-a i njegovih ekspozitura u svijetu. Zalažemo se za završetak okupacije te za formiranje palestinske države s Istočnim Jeruzalemom kao glavnim gradom kao temeljem suživota na dobrobit arapskog i židovskog naroda.

11. XII. 2017.

u ime SRP-a,
Kristofor Štokić


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STOP ZLOČININA NAD NARODOM PALESTINE

Nova komunistička partija Jugoslavije izražava najoštriji protest povodom cinične odluke SAD-a da prizna Jerusalim kao glavni grad države Izrael.

Ovo je još jedan pokazatelj aktivne imperijalističke podrške Izraelu i njihovoj krvavoj politici nastavka okupacije Palestine, nasilja protiv palestinskog naroda, stotine ubistva civila, političkih progona, hapšenja i uskraćivanja elementarnih prava palestinskom narodu.

Potez aktuelnog predsednika Donalda Trampa vodi ceo region Bliskog istoka u pravcu jedne nove eskalacije sukoba i ratnih dejstava i direktno je u suprotnosti sa rezolucijom Saveta bezbednosti UN o statusu grada Jerusalima.

NKPJ polazi od jasnog stava koji je izrečen mnogo puta - postizanje pravičnog i održivog rešenja koje podrazumeva okonačanje okupacije Palestine od strane Izraela i uspostavljanje međunarodno priznate države Palestine u granicama od pre 4. juna 1967. godine sa Istočnim Jerusalimom kao svojim glavnim gradom, uz pravo na povratak palestinskih izbeglica i oslobađanje svih palestinskih političkih zatvorenika iz izraelskih zatvora. Ujedno zahtevamo priznanje Palestine kao punopravne članice UN-a!

Sekretarijat NKPJ, 08. 12. 2017.


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Per il rispetto della causa palestinese

Il Comitato Contro La Guerra Milano si riconosce nel comunicato del PCPS (https://comitatocontrolaguerramilano.wordpress.com/2017/12/11/comunicato-del-pcps-comitato-palestinese-per-la-pace-e-la-solidarieta), membro del World Peace Council (Consiglio Mondiale per la Pace).

E’ dunque imbarazzante per noi vedere come, in occasione del presidio tenutosi a Milano il 9 dicembre contro la decisione degli Stati Uniti di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele, si possano mostrare le bandiere di presunti “eserciti liberi” addestrati proprio dagli USA e che hanno goduto del sostegno di guerrafondai come il senatore John McCain nonché del supporto di Israele, che ha curato nei propri campi ospedalieri, nel Golan occupato, i cosiddetti “ribelli siriani” feriti in battaglia.

Ciò costituisce una grave provocazione contro il codice di onestà e coerenza a cui dovrebbero ispirarsi tutti i sinceri progressisti che sono in difesa dell’emancipazione della Palestina.

A più riprese, dal 2013, la causa palestinese è stata strumentalizzata da organizzazioni vicine al Free Syrian Army, esercito mercenario formato nel 2011 per combattere il governo siriano, e i cui miliziani sono spesso confluiti tra le fila di al-Nusra, di ISIS e poi all’interno delle forze curde nel Nord della Siria, a seconda della convenienza strategica di fronte ai meriti ottenuti dall’Esercito Arabo Siriano nella lotta contro il terrorismo.

Permettere che certe bandiere compaiano ancora nelle mobilitazioni pro-palestinesi significa non voler comprendere che l’eventuale disgregazione di Paesi come la Siria, così come l’Iran, da parte dell’alleanza tra Stati Uniti, Israele e Arabia Saudita, sarebbe disastrosa per la stessa Palestina.

Le organizzazioni più coerenti, come il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), si sono espresse più volte sulla questione e sanno bene da che parte stare: con l’Asse della Resistenza, che comprende la Siria nella sua integrità e la rispettiva bandiera panaraba con le due stelle verdi.

Comitato Contro La Guerra Milano




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(srpskohrvatski / italiano)

Tribunale di guerra

1) Izjava Socijalističke Radničke Partije povodom donošenja pravomoćne presude BiH šestorki / Dichiarazione del SRP in occasione della sentenza definitiva contro i sei accusati per crimini di guerra in Bosnia-Erzegovina

2) Rusija je danas u Savetu bezbednosti UN ocenila da je Haški tribunal \"diskreditovao celu ideju međunarodne pravde / Al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite la Russia denuncia che il Tribunale dell\' Aia \"ha completamente discreditato l\'idea della giustizia internazionale\"

3) INTERVJU: Nikola Šainović
 

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DICHIARAZIONE DEL PARTITO SOCIALISTA DEI LAVORATORI DI CROAZIA IN OCCASIONE DELLA SENTENZA DEFINITIVA CONTRO I SEI ACCUSATI PER CRIMINI DI GUERRA IN BOSNIA ED ERZEGOVINA

Non c\'è dubbio che il Tribunale internazionale per i crimini commessi sul territorio dell\'ex Jugoslavia durante il suo lavoro ha emesso anche decisioni condizionate politicamente. Non c\'è dubbio che questo Tribunale ha esercitato la giustizia, in relazione alle tre parti in causa nei crimini commessi, con il criterio dei \"due pesi e due misure\". È evidente che il Tribunale ha emesso alcune sentenze favorevoli alla parte croata ed è indiscutibile che molti dei crimini commessi non sono stati processati, il che significa che dopo le sentenze dei processi, durati per quasi un quarto di secolo, le vittime non sono state formalmente risarcite né puniti gli artefici.

In casi come questi non ci sono e non possono esserci parti soddisfatte e le loro lamentele sono naturali e comprensibili, ma l\'esplosione di rabbia dei media e delle istituzioni della Croazia, iniziata il 29 novembre, dopo la lettura della condanna dei 6 croati bosniaco-erzegovesi incriminati, mentre uno di loro si è tolto la vita pubblicamente e teatralmente, esula da ogni comportamento normale e civile.

Non abbiamo il diritto né la competenza per mettere in discussione le decisioni del Tribunale ed ancora meno per replicare come sta facendo la presidente croata, ma abbiamo il diritto ed il dovere di indicare e condannare gli aspetti risultanti, e questa unità quasi plebiscitaria della politica croata, fino ai più alti incarichi di governo, che vorrebbe amnistiare i sei condannati per crimini di guerra e celebrare loro e le loro azioni. Contemporaneamente, la stessa retorica è utilizzata da quasi tutti i media croati, con poche eccezioni.

Tale clima ad altro non serve che ad aizzare la pubblica opinione in una atmosfera di linciaggio, con esplicite minacce alla vita di quelli che vogliono esaminare tutto l\'insieme in modo critico – al che il Governo è rimasto indifferente e sordo.

Non vogliamo occuparci dei casi singolarmente, ma ci interessa il merito delle cose, e questo è che il Tribunale \"un attimo prima\" della sua fine ha confermato quello che sapevamo e sapevano sin dall\'inizio quelli aperti al dialogo – cioè che gli stessi vertici di governo di allora, con a capo il partito HDZ [fondato da Tudjman, ndt], dettero inizio e furono profondamente coinvolti nei fatti che si svolgevano in Bosnia ed Erzegovina, e che questa politica dura tuttora. La reazione collerica del governo croato, dei media e della pubblica opinione sulla questione che riguarda il vicino Stato non giova alla reputazione della Croazia, viceversa evidenzia il suo autismo politico.

Questo, assieme tante altre cose ben note, rafforza la conclusione per cui nelle guerre civili ci sono tante verità quante sono le parti in causa.

A Zagabria, 2 dicembre 2017
La Presidenza del SRP di Croazia



IZJAVA SOCIJALISTIČKE RADNIČKE PARTIJE POVODOM DONOŠENJA PRAVOMOĆNE PRESUDE BiH ŠESTORKI

Nije sporno da je Međunarodni sud za zločine počinjene na području bivše Jugoslavije tokom svog rada donosio i politički uvjetovane odluke. Nije sporno da je taj sud primjenjivao i nejednakomjerne kriterije u odnosu na učesnike triju strana u počinjenim zločinima. Nije sporno da je taj sud donio i neke vrlo povoljne odluke za hrvatsku kvotu u postupku, a najmanje je sporno da je ogromna količina počinjenih zločina ostala neprocesuirana, što znači da žrtve nisu formalno obeštećene, a počinioci kažnjeni, nakon suđenja koja su trajala skoro četvrt stoljeća.

U slučajevima poput ovoga, nema niti može biti zadovoljnih strana i njihovo lamentiranje je prirodno i razumljivo, ali erupcija bijesa koja je 29. novembra krenula u hrvatskim medijima i institucijama, nakon što je tokom čitanja presuda zadnjoj grupi haških optuženika, šestorici bosansko-hercegovačkih Hrvata, u javnom nastupu na teatralan način jedan od pravomoćno osuđenih sam sebi oduzeo život, izvan je uzanci normalnog i civiliziranog ponašanja.

Nemamo pravo ni kompetencije da propitujemo odluku suda, a još manje da sudu dociramo kao što to čini hrvatska predsjednica, ali imamo pravo i dužnost da ukažemo i osudimo nastale pojave, a to je skoro pa plebiscitarno jedinstvo hrvatske politike i najviših vlasti u pokušaju amnestiranja „šestorke“ pravomoćno osuđene za ratne zločine i uzdizanje njih i njihovih djela. Istovremeno, s istom retorikom krenuli su i gotovo svi mediji u Hrvatskoj, uz nekolicinu izuzetaka.

Takva klima bila je samo podsticaj naelektriziranoj ulici da pokrene atmosferu linča s eksplicitnim prijetnjama prema životu onih koji su imali potrebu da kritički sagledaju ukupnost stvari – na što je vlast ostala indiferentna i gluha.

Mi se ne želimo baviti pojedinim slučajevima, već nam je bitan meritum stvari, a to je da je sud u svojoj završnici, „tik pred ciljem“, potvrdio ono što smo znali od početka, ali i drugi slobodnomisleći pojedinci – da je sam tadašnji vrh hrvatske države, s HDZ-om na čelu, inicirao i bio duboko involviran u procese koji su se odvijali u Bosni i Hercegovini i ta politika traje i danas. Kolerično reagiranje hrvatskih vlasti, medija i ulice, koje se odnosi na predmet iz susjedne države, neće doprinijeti ugledu Hrvatske, nego naprotiv – podcrtava njen politički autizam.

To, uz sva ostala saznanja, potkrepljuje stav da u građanskim ratovima ima onoliko istina koliko je strana u njima.

U Zagrebu, 2. XII. 2017.
Predsjedništvo Socijalističke radničke partije Hrvatske


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Russia: Chi sono i colpevoli dei feroci crimini commessi contro i serbi
Al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite la Russia denuncia che il Tribunale dell\' Aia \"ha completamente discreditato l\'idea della giustizia internazionale\"


Rusija: Ko je kriv za varvarske zločine nad Srbima

Autor: MONDO/Agencije
Rusija je danas u Savetu bezbednosti UN ocenila da je Haški tribunal \"diskreditovao celu ideju međunarodne pravde\".
06.12.2017.

Na sednici o poslednjem izveštaju o radu Tribunala, ruski ambasador rekao je da je taj sud primenjivao \"dvostruke aršine\" u svom radu jer niko nije osuđen za \"varvarske\" zločine nad Srbima.

Rusija je ocenila da je Tribunal \"potkopao napore\" da se u bivšoj Jugoslaviji \"uspostavi mir postizanjem pravde\" time što su njegove presude izazivale nove sporove među državama i narodima u regionu.

\"Tribunal će ostati zabeležen u istoriji kao sud koji je Vojislava Šešelja držao 11 godina u pritvoru\", kazao je zastupnik Rusije.

Prema njegovim rečima, Tribunal nije optuženima pružao primerenu zdravstvenu negu, sve vreme tvrdeći suprotno.

Ruski ambasador rekao je da je bivši predsednik Srbije Slobodan Milošević 2006. umro u pritvoru, pošto je sud odbio da ga pusti na lečenje u Rusiju.

\"Ljudi nisu mogli biti lečeni u Rusiji, uprkos našim garancijama\", rekao je ruski predstavnik, aludirajući i na generala Ratka Mladića, koga Tribunal, takođe, nije pustio na lečenje u Rusiju.

Rusija je podvukla i da samoubistvo Slobodana Praljka u sudnici Haškog tribunala prošle srede, dovodi u pitanje bezbednosne procedure u tom sudu.


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INTERVJU NEDELJE

HAG MI NUDIO PROMENU IDENTITETA AKO OPTUŽIM MILOŠEVIĆA: Šokantna ispovest Nikole Šainovića!

Razgovarao Boban Karović
POLITIKA 10.12.2017.

Ponudili su da svedočim protiv Miloševića i da onda „nestanem“, da se moja porodica i ja sklonimo u neku zemlju po izboru, da dobijem novi identitet... Očekivali su da ću to da prihvatim, a ja to nisam ni uzimao u razmatranje. Milošević zaslužuje spomenik u Beogradu. On je veliki državnik iz teškog vremena, ogromna je njegova uloga u odbrani interesa srpskog naroda
Nikola Šainović, bivši premijer Srbije i potpredsednik vlade Jugoslavije, iz Haga se vratio pre dve godine i taj dan, kako kaže u intervjuu za Kurir, slavi kao novi rođendan.

Ovih dana je izabran za člana najvišeg rukovodstva SPS, ali ističe da ne vidi sebe u parlamentu i Vladi, već da će se angažovati u rešavanju sudbine RTB „Bor“. Uz to, nastaviće da mladima govori o onome što je naša država prošla burnih devedesetih.
- Mi, učesnici svega toga, dužni smo da mladim generacijama kažemo celu težinu drame kroz koju smo prošli. Naravno, uvek uz vođenje računa o žrtvama, istorijskim elementima i o neizazivanju novih konflikata. Ključno je da govorimo istinu i da idemo ka pomirenju - kaže Šainović. On za Kurir otkriva i kako su izgledali njegovi haški susreti sa Slobodanom Miloševićem, kakvu ponudu je dobio od Haga, ali se priseća i kako su devedesetih izgledali susreti s američkom državnom sekretarkom Madlen Olbrajt.

Na čiji predlog ste izabrani u vrh SPS?
- Ivica Dačić je predložio Glavnom odboru, koji je to jednoglasno prihvatio. Meni je drago, jer je to poštovanje od onih koji su meni najdraži - moji drugovi. To je pažnja prema jednom dugogodišnjem radu i naporu.

Neki su se pobunili i kritikovali vaše ponovno političko angažovanje nakon povratka iz Haga?
- Hag je međunarodni sud. Sa svim svojim manama. On me je optužio, ja sam pred sud izašao. Branio sam se koliko god sam znao i umeo. Sud je odlučio svoje, nigde mi nije zabranjeno ljudsko pravo na resocijalizaciju, koja podrazumeva i političko delovanje. Niko nema selektivno pravo da zatvara usta bilo kome.

Da li Dačić sluša savete stare garde socijalista?
- Dačić je vrlo dostupan za razgovor. Posebno cenim njegov napor da sačuva partiju u vremenu kad je sve bilo predodređeno i organizovano da partija nestane. To ne sme da se zaboravi. Pozivam svoju generaciju članova SPS da pomognu borbi stranke u jačanju međunarodnog položaja Srbije, koji se postiže, pre svega, jačanjem unutrašnje stabilnosti i delovanjem prema svetu na bazi naših starih dubokih ubeđenja.

Jeste li se privikli na slobodu nakon povratka iz Haga?
- Sad već mogu da kažem da jesam. Obeležio sam drugi rođendan, taj povratak računam kao rođendan. Nije nimalo bilo jednostavno 12 godina živeti u izolaciji, i to pod strahovitim optužbama i pritiscima. Ljudi me obično pitaju kakav je zatvor. Zatvor je u Hagu manji problem. Problem je sud. U zatvoru znate neka pravila, dok ih na sudu ne znate. Ja sam to obeležio sa tri N - neizvesnost, nesigurnost i nemoć. To je strahoviti psihološki pritisak koji ne može da ne ostavi trag. Ali, evo, sloboda je lek, kao i porodica i drugovi. Takođe, polako se vraćam i u svoju profesionalnu sferu, nikada se nisam odvojio od rudarstva, metalurgije i energetike... Pokušavam da malo pomognem u rešavanju sudbine RTB „Bor“.

Koliko vam je bilo teško po povratku iz zatvora?
- Ilustrovaću vam - vežbao sam da sam prođem pešice preko Terazija. Godinu dana mi je trebalo da neke za ljude obične stvari i meni postanu obične.

Haški tribunal je završio s radom ovog meseca. Kako biste oceniti njegov rad?
- Ogromna ratna drama na prostoru bivše Jugoslavije donela je ogromne nepravde i ogromnu glad za pravdom. Haški tribunal je na to trebalo da odgovori. Imao je istorijsku šansu za to, ali mislim da je nije na pravi način iskoristio. Umesto da odabere poznati pravni mehanizam, on je izmislio svoj, koji ga je odveo u selektivnu pravdu i kod tuženja i kod suđenja, i kod primene od slučaja do slučaja... A selektivna pravda odmah asocira na nepravdu. On nije doneo efikasnu pravdu. Bilo bi najbolje da je Hag sve žrtve na prostoru Jugoslavije tretirao kao jednu oštećenu stranu, a sve odgovorne stavio na jednu optuženičku klupu i sudio im ravnopravno.

Hrvatski general Slobodan Praljak se, pred kamerama i sudijama, ubio nakon osuđujuće presude. Kako vidite taj čin?
- On mi je bio sused u Hagu. Znam ga godinama, to je čovek duboko posvećen svojim ubeđenjima. Bio sam tamo kada mu je izrečena prvostepena presuda, on je bio duboko nezadovoljan, nije mogao da se pomiri s tim da je zločinac... Bilo mi je predvidivo da će napraviti jedan dramatičan gest protivljenja ako mu se potvrdi presuda, ali nisam očekivao ovako nešto. Pitaju se kako je uneo otrov... Pustite tehnička pitanja. Kako je mogao to da odluči? Kad takav čovek donese takvu odluku, on će je i izvršiti. To je treće samoubistvo u Hagu, to sud nosi kao deo svog nasleđa.

O čemu ste razgovarali s njim?
- Haški način komunikacije podrazumeva da prvo ustanovite pitanja o kojima ne možete da razgovarate jer se ne slažete potpuno. Kad to ustanovite, onda možete o svemu. Razgovarali smo o istoriji, tehničkim pitanjima, porodičnim problemima...

Vi ste jedan od retkih koji za sebe govori da nije baš nevin robijao?
- Kad je čovek na odgovornom položaju, odgovoran je i za dobro i za zlo. Desila su se ogromna stradanja, velike žrtve na svim stranama i, nažalost, neki naši ljudi su počinili zločine. Nekima je suđeno, nekima neće biti suđeno. Svestan sam da neko to mora da plati. Palo je na mene i ja nosim taj deo tereta. Nije sve bilo onako kako me je osudio sud, ali nije da nisu mogli da me osude.

Šta vam je nudio haški tužilac?
- Ponudili su mi da svedočim protiv Slobodana Miloševića i da onda „nestanem“, da se moja porodica i ja sklonimo u neku zemlju po izboru, da dobijem novi identitet... Očekivali su da ću to da prihvatim, a ja to nisam ni uzimao u razmatranje. Smatrao sam da nemam pravo da se sklonim. A pretnja, ako ne prihvatim, bila je - doživotna robija. Međutim, mislio sam da je ta alternativa gora doživotna robija.

Kako su izgledali vaši haški susreti i razgovori s Miloševićem?
- Mi smo bili dugo bliski i ranije, znali smo se još dok je on radio u banci. On me je u Hagu stavio na spisak svojih svedoka, a pošto se sam branio, to smo koristili da se srećemo češće, radi konsultacija. Bio je potpuno posvećen odbrani i svom nastupu u sudnici. Osim o tome, razgovarali smo i o zdravlju, porodici... Poslednji put smo se videli prilikom mog puštanja na privremenu slobodu, kad mi je rekao da me u to vreme neće pozivati za svedoka. Kazao je: „Videćemo se posle.“ Nažalost, on je umro u međuvremenu..

S vremena na vreme se aktuelizuje pitanje njegove smrti u Hagu... Je li on ubijen, kako to neki tvrde?
- Objavljena je knjiga dr Vukašina Andrića, koji je bio njegov lekar, i sada je poznat ceo Miloševićev zdravstveni dosije. Tu ima veoma dramatičnih upozorenja da je Miloševićevo zdravlje bilo ugroženo neadekvatnim lečenjem. Sud ga je pritiskao da se odrekne da se sam brani i taj pritisak se odrazio i na odlaganje njegovog lečenja, što nije smelo da se desi.

Oštra je polemika i o predlogu za podizanje spomenika Miloševiću u Beogradu.
- Da li će se podići spomenik je uvek političko pitanje, a ja lično mislim da on to zaslužuje. Milošević je veliki državnik iz teškog vremena, ostavio je trag u istoriji koji različiti ljudi vide na različite načine, ogromna je njegova državnička uloga u odbrani interesa srpskog naroda...

Presuda Ratku Mladiću, odnosno fusnota iz tog dokumenta, pokazala je da Milošević nije bio član udruženog zločinačkog poduhvata u BiH. Kako to vidite?
- Ta fusnota prvo razbija krajnje pojednostavljeno tumačenje da se cela jugoslovenska drama objašnjava Miloševićem. Zatim, ta fusnota pokazuje da je borba i potreba za državnošću i slobodom srpskog naroda u Bosni autentično njihova. Drama i zločini koji su se tu desili su odvojeni od onoga što je bila uloga Srbije. A uloga Srbije je bila samo da im pomogne u borbi za slobodu.

Hrvatski predsednik Franjo Tuđman, međutim, jeste bio kreator zločinačkog poduhvata u Bosni?
- Tuđman je imao jedan jedinstveni poduhvat, koji obuhvata i Bosnu i Hrvatsku i definisanje Herceg-Bosne i progon Srba iz Hrvatske. U haškoj dokumentaciji je to očigledno, jer je on za sobom ostavio sve snimljeno i zabeleženo. A za Miloševića se ne može vezati ideja o velikoj Srbiji. I haški tužilac Džefri Najs je u sudnici, pred živim Miloševićem, povukao optužnicu za veliku Srbiju.

Da li vas je iznenadila doživotna robija za Mladića?
- Nije me, nažalost, iznenadila, jer su neke prethodne presude presudile sve elemente koji su se našli i u Mladićevoj presudi. Ne znam dovoljno srebreničku dramu, te ne mogu da sudim o tome. Međutim, u presudi se ne vidi direktna Mladićeva odgovornost. Srebrenica je veliki zločin, ali i u tim prethodnim presudama piše da su taj zločin izvršili delovi vojske i delovi MUP. Dakle, ni vojska kao celina, ni MUP kao celina, pogotovo ne Republika Srpska i srpski narod. Zato u oceni Srebrenice ne treba da budemo gori Hag od Haga. Dovoljan je jedan Hag.

Zašto Srbija nikako ne može da reši pitanje Kosova? Vi ste i devedesetih to pokušavali...
- Devedesetih smo imali jednu dramatično nepovoljnu međunarodnu situaciju za nas - nemamo Rusiju na političkoj sceni. Odnosno, još gore, imamo Rusiju koja glasa ili se uzdržava za sve ono nepovoljno - od sankcija do Haškog tribunala. Danas se ta pozicija razlikuje za celog jednog Putina i za novu poziciju Rusije. Milošević je 1998, posle naše antiterorističke operacije, otišao kod Jeljcina za podršku da možemo da kažemo da je uspostavljen mir, koji želimo da se međunarodno potvrdi. Od njega je pak dobio zahtev da prihvati Misiju OEBS i Vokera. Ova Rusija je sada drugačija.

A šta sad s Kosovom?
- Ovde je sada ključno pitanje vojne neutralnosti, pa tek onda druga pitanja poput suvereniteta, svetinja... Put ka EU treba usmeriti ka modelu onih zemalja koje su deo Unije, a vojno su neutralne. To je ključno kako bi prestala borba za vojnu dominaciju nad Srbijom. Onda se kosovskom pitanju pristupa kao pitanju stabilnosti na Balkanu, a ne kao oružju koje velike sile koriste za ostvarivanje svoje dominacije. Očigledno je da nas Zapad putem Kosova pritiska..

Ali čekajte, Milošević je nudio predsedniku SAD Klintonu da Srbija uđe u NATO, a da zauzvrat Kosovo dobije autonomiju, bez nezavisnosti?
- Krajem devedesetih smo bili svesni da je Amerika toliko pritisla pitanje Kosova, a da mi nemamo nikakvu odstupnicu, zaleđinu, saveznika... Ta ponuda je bila krajnji pokušaj da sačuvamo Kosovo u sastavu Srbije. Milan Milutinović je to preneo američkom diplomati Kristoferu Hilu, koji mu odgovara: „To sad nije tema.“

Vi ste 1999. učestvovali u pregovorima u Rambujeu kako bi se kosovska kriza rešila mirnim putem. Zašto je zapravo to propalo?
- Svaki pokušaj da se otvori neki dijalog sa albanskom stranom je slomljen novim pritiskom na vojno pitanje, vojno prisustvo... Na kraju smo dobili dokument koji je podrazumevao okupaciju cele Jugoslavije - da dolaze snage NATO, da njihovi vojnici nose oružje po svom nahođenju, da mogu da liše slobode koga oni hoće i da ga izvedu pred odgovarajućeg službenika. Klasična okupaciona ponuda za koju su znali da ćemo odbiti. A pošto smo odbili - evo bombardovanje. To su otvoreno govorili. Najtvrđi „savet“ nam je saopštila američka državna sekretarka Madlen Olbrajt, i to na srpskom jeziku. Rekla je da je jedini spas srpskog naroda da prihvati to iz Rambujea. To je bila direktna pretnja.

Po čemu pamtite Olbrajtovu?
- Bila je u Rambujeu tri dana, što je ogromno angažovanje za jednog državnog sekretara. Ona je smrknuta, žena ledenih očiju, govori brutalno....

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Milošević znao šta ga čeka
SPASAO BULATOVIĆA HAGA

Milošević je krajem devedesetih znao da ga čeka Hag?
- Mi smo bili svesni da se moramo odupreti nekim stvarima. A kad se odupremo, onda nam preti Hag. On je bio potpuno svestan šta sledi. I Momir Bulatović je, kao predsednik savezne vlade, leta 1998. predlagao neko svoje angažovanje u vezi sa Kosovom. Milošević je rekao: „Momo, nemoj ti u to da se uključuješ, jer mi koji se bavimo Kosovom završićemo u Hagu, sa mnom na čelu.“ Eto, recimo, da ga je spasao Haga.

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O dejtonskoj Bosni i Hercegovini
BOLJE KOMPLIKOVANO FUNKCIONISANJE NEGO RAT

Sprovodili ste Dejtonski mirovni sporazum. Da li on funkcioniše u praksi?
- Bosni veliku štetu nanose oni koji olako pričaju o nekom mogućem „Dejtonu 2“. To su mnogo neozbiljne stvari. Ovo je ozbiljan međunarodni sporazum i treba ga čuvati. Svaka ideja o prepravci tog sporazuma je opasna. Dejtonska BiH funkcioniše. Funkcionisanje je komplikovano, ali to je mnogo lakše nego rat.

U Dejtonu se odlučivalo o Bosni, ali je izaslanik SAD Voren Kristofer želeo tada da s Miloševićem reši i pitanje Kosova?
- Amerikanci su mu, pre rasprave o Bosni, ponudili da se reši i Kosovo. On je pitao kako. Rekli su mu da iz zapadne Slavonije potpuno treba da se povučemo do kraja 1996, a do kraja 1997. s Kosova. Milošević je rekao da o tome nema razgovora, na šta su Amerikanci odgovorili da onda nema ni razgovora o Bosni. Milošević na to kaže: „Nek nema.“ I naredi da se delegacija spremi za povlačenje. Onda su Amerikanci rekli da će se ipak govoriti samo o Bosni.



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