Jugoinfo

FIRENZE: 15 RINVII A GIUDIZIO
PER LO SCIOPERO - MANIFESTAZIONE
CONTRO LA GUERRA NATO NEI BALCANI

Si allargano a dismisura le morti provocate dai proiettili all uranio
impoverito usati dalla NATO ed il disastro umano-ambientale (vi
ricordate
"gli effetti collaterali"?) nei Balcani è di fronte agli occhi di tutti
così come il fallimento totale della presunta "guerra umanitaria" , ma
Firenze si continua a perseguire chi si oppose ai tre mesi di guerra con
il
coinvolgimento diretto dell Italia.

Ieri, il p.m Suchan ha utilizzato la stampa per annunciare 15 rinvii a
giudizio per "resistenza, violenza, lesioni a pubblico ufficiale" a
seguito
della manifestazione del 13 maggio 1999. Contestualmente Suchan ha
archiviato le varie denunce presentate contro le forze dell ordine.

Niente di eccezionale nel rinvio a giudizio: banali reati da rissa in un
bar per un episodio su cui polizia e magistratura tentarono di costruire
una provocazione a larga raggio.

"La Repubblica" non perde l occasione per enfatizzare l episodio,
elencare
i nomi ed aggiungere in coda (ma che cazzo c entra?) un pezzetto della
"querelle" fra centrodestra e centrosinistra sul lavoro dato a Senzani.
Alla faccia della legge sulla privacy: vale solo per i pedofili, per i
ladroni, per i poliziotti che fanno abusi, i loro nomi non vengono mai
pubblicati.

Ricordiamo che il 13 maggio 1999 ci fu il successo dello sciopero delle
organizzazioni di base, 3.000 persone in piazza. Uno sciopero che
dimostrò
la possibilità di lottare contro la guerra e la crescita, nel paese,
della
consapevolezza dell'assoluta infondatezza delle ragioni della guerra. Un
risultato che non era scontato visto il sostegno dato da CGIL-CISL-UIL
alla
politica del governo D Alema.

A corteo concluso davanti al Consolato Americano sono partite, senza
preavviso, delle durissime cariche poliziesche: candelotti sparati ad
altezza d uomo, 5 manifestanti costretti alle cure ospedaliere, fra cui
una
lavoratrice delle poste in gravi condizioni - mentre tanti altri contusi
evitano di passare dagli ospedali.

Non c è dubbio che l atteggiamento delle forze dell ordine fu
conseguente
alla circolare D'Alema-Iervolino ("perché non vengano tollerate
manifestazioni contro basi militari e sedi governative") . Un paese in
guerra adegua il comportamento della propria polizia alla situazione
bellica.

I giornali del giorno successivo, nonostante la nostra sollecita
ricostruzione dei fatti (basta pensare che il video, che fece tanto
scalpore dopo il passaggio alla trasmissione TV "Striscia la notizia",
avvenuto il 20 maggio sera, era stato fatto visto dai giornalisti
durante
la conferenza stampa del 13 pomeriggio) sono a senso unico: "guerriglia
contro la guerra".

Parte una veemente campagna di stampa, costruita per buona parte sulle
veline rilasciate dalla Questura di Firenze, dove si distingue "Il
Giornale" che per giorni parlerà della manifestazione del 13 maggio come
di
"Prove tecniche di banda armata". Alla campagna stampa seguiranno delle
perquisizioni effettuate, senza alcun esito, dalla Digos e 46 denunce,
che
serve a confezionare "un caso Firenze" con la criminalizzazione delle
strutture dell autorganizzazione sociale.

Oggi, a parziale completamento delle cariche, feroci ed immotivate,
effettuate dalla polizia al consolato USA, arrivano i rinvii a giudizio.
Non servono a niente e certo non ci spaventano. Il vero obbiettivo è
quello
di allontanare lavoratori, lavoratrici, disoccupate/i dalle esperienze
di
base, dalla partecipazione diretta alle mobilitazioni ieri contro la
guerra, oggi contro la globalizzazione capitalistica ed i suoi
devastanti
effetti politici, sociali ed ambientali.

Il processo rappresenta un appuntamento politico: non saremo noi a
doverci
difendere dai reati configurati nella manifestazione (che poi si riduce
esclusivamente al reato di resistenza a pubblico ufficiale). E la guerra
NATO, il cui senso ed i cui esiti a due anni di distanza sono
comprensibili
per chiunque, a dover essere processata.

MOVIMENTO ANTAGONISTA TOSCANO

FI, 25.1.2001

---

A cura del Coordinamento Nazionale "La Jugoslavia Vivra'".
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MILOSEVIC “Non mi arrendo”

Intervista di Giuseppe Zaccaria
La Stampa 3 febbraio 2001

Stando alle ultime notizie, oggi Slobodan Milosevic dovrebbe vivere la
condizione di un “autorecluso”. A vederlo, non si direbbe. Per la prima
intervista da ex presidente della Jugoslavia, l’uomo più controverso
nella recente storia dei Balcani ha accettato un lungo, franco incontro
nella nuova sede dell’ “Sps”, il partito di cui è numero uno. Suo figlio
Marko è all’estero, la moglie Mirjana e la figlia Marija a Belgrado. La
situazione è incerta, le prospettive scivolose. Questa lunga intervista
esclusiva a “La Stampa” è il testamento politico dopo dieci anni al
potere.

Come si sente, signor Milosevic: un leader tradito dal popolo o
l’obiettivo di un complotto internazionale, vittima della politica
americana?

“Non sono stato tradito dal mio popolo. Considero il popolo serbo come
eroe e vittima assieme. Non sono neanche sicuro che i risultati delle
elezioni di settembre siano espressione della sua volontà. Quelle
consultazioni si tennero sotto una grande pressione esterna ed interna,
mediatica, psicologica, militare. Non si trattava di una congiura, ma
dell’attività ben orchestrata di una parte influente della comunità
internazionale. Si potrebbe anche considerare l’ipotesi del sacrificio
di un leader divenuto metafora dell’opposizione alla politica americana.
Se è davvero cosi, vorrei che fosse l’ultima volta. Vorrei che non
esistesse mai più una politica in cui chi la pensa diversamente e guida
un piccolo popolo debba essere sanzionato per disubbidienza.”

Pensa di essere stato punito solo in quanto disubbidiente?

“Non presenta forse il mondo moderno le idee di libertà, democrazia,
diritti dei popoli e dei cittadini come una sorta di manifesto? E come
mai di questo manifesto entra a far parte l’immagine di un paese potente
e arrogante che con l’uranio, impoverito o no, punisce i popoli
disubbidienti e i loro leader come una volta con la frusta?
L’amministrazione del più grande paese del mondo, usando un
atteggiamento negativo verso di me (che impersonavo la politica di
indipendenza e autonomia della Jugoslavia) ha avuto la possibilità di
proiettare questo atteggiamento sui suoi alleati europei.
Quell’amministrazione si è guadagnata alleati nei grandi e sviluppati
Paesi d’Europa per cose molto più importanti e controverse
dell’atteggiamento verso il capo di un piccolo Paese balcanico. E poi,
tutti insieme, hanno potuto facilmente organizzare un'atmosfera di
pressione materiale, finanziaria, politica, psicologica, diplomatica e
mediatica sull’opinione pubblica jugoslava. Una pressione a favore dei
risultati elettorali che si voleva ottenere.”

Sono queste le ragioni di una sconfitta storica?

“Nelle ultime elezioni hanno giocato tre fattori: pressioni, paura e
corruzione. La prima pressione è stata mediatica: il popolo e il governo
sono stati demonizzati, poi la demonizzazione è stata concentrata sul
governo, quindi su un gruppo di persone, infine su di me. Secondo genere
di pressioni, quelle economiche: per quasi un decennio siamo stati
sottoposti a sanzioni che, affermava, sarebbero state tolte solo col
cambiamento del potere. Infine la pressione militare: la Serbia è stata
bombardata tutti i giorni per tre mesi. Le minacce si sono rafforzate
prima delle elezioni. Sembrava che la Serbia sarebbe stata bombardata di
nuovo se non avesse cambiato governo.”

Prima lei ha parlato di corruzione: di chi?

“Soldi, tanti soldi che hanno avuto un grande ruolo negli avvenimenti
degli ultimi anni, in particolare dell’autunno scorso. Con questo danaro
non si sono comprati solo i voti di una parte dei cittadini ma anche la
convinzione che attività di questo tipo non fossero amorali, che i soldi
fossero un sostegno per la creazione di un sistema in cui vivere meglio.
Negli ultimi mesi la paura ha condizionato l’opinione pubblica. Gli
incendi delle sedi istituzionali, le bastonate alla gente, le violenze
fisiche di natura, come dire, non europea… Ecco, tutto questo ha
spaventato. In molti hanno pensato: se cosi, in un secondo, hanno
bruciato il Parlamento federale e la tv, perché non la mia casa, il mio
negozio, la mia fabbrica? Se hanno bastonato il direttore della tv di
Stato e i suoi giornalisti più noti, perché non la mia famiglia? Poi è
arrivata l’onda delle destituzioni: direttori di banca, di ospedali, di
scuole, rettori dell’università, pressioni fisiche e psicologiche. La
paura è diventata fattore politico, per far andare le cose secondo gli
interessi di chi la scatenava. E dura tutt’oggi.”

Fino agli accordi di Dayton l’Occidente guardava a lei come al
solo fattore di stabilità nei Balcani: che cos’è successo dopo?

“I Paesi occidentali – meglio i loro governi - mi hanno appoggiato
finché gli andava bene la stabilità nei Balcani. Nel momento in cui
hanno cominciato a considerare interessante l’instabilità ho perduto il
loro appoggio. Non cambiava la mia politica, ne il ruolo della Serbia,
ma gli interessi delle grandi potenze.”

Lo ha detto anche lei: la Serbia non è un grande Paese…

“Però è importante per la stabilità dell’area. Mi sono adoperato per
dieci anni per una politica di indipendenza: per un certo periodo è
andata bene all’Occidente, poi non più. In me avevano un alleato finché
accettavano un orientamento del genere: quando ho cominciato a dar loro
fastidio, mi hanno trasformato in un avversario.”

Che cos’hanno rappresentato le guerre jugoslave degli ultimi dieci
anni?

“L’Europa occidentale, in particolare la Germania, inebriata dalla
vittoria nella Guerra fredda, dall’unificazione tedesca, dalla
distruzione dell’Unione Sovietica, ha iniziato la spedizione per mettere
l’Est sotto un totale controllo economico e politico. Tutte le
istituzioni produttive dei Paesi dell’Est sono state smontate, causando
un vertiginoso impoverimento e le facili acquisizioni di un’industria
distrutta. Nessuno dei Paesi dell’Est è riuscito a recuperare il livello
economico di dieci anni fa.”

Ma la Jugoslavia non era un Paese dell’Est.

“Non lo era e non era membro del Patto di Varsavia: era un Paese che
andava costruendo un sistema tutto suo, basato sull’economia di mercato
e sulla parità nazionale. La sua economia diventava sempre più
fruttuosa. Era il modello per un futuro federalismo europeo.”

La Jugoslavia era dunque un’esperienza pericolosa?

“Era un “brutto” esempio, per i protagonisti dei nuovi equilibri nel
vecchio continente. Ed è per questo che la sua spartizione era sostenuta
da fuori, giocando la carta delle tensioni tra etnie e repubbliche
dell’ex federazione. In quel momento s’è iniziata la satanizzazione
della Serbia, mentre in Croazia si cantava “Danke Deutschland”, grati
per la costituzione dello “Stato croato”.

Lei crede che tutto si possa ridurre a una prospettiva
storicista?

“Non sono ancora arrivato alla fine della storia. La Repubblica Federale
di Jugoslavia, sopravvissuta nel 1992 attraverso Serbia e Montenegro, a
un certo momento era diventata il nuovo obiettivo. Tutto il decennio è
trascorso nel segno della lotta per la libertà, l’indipendenza, la pace
e la dignità nazionale. I protagonisti del nuovo ordine mondiale non
hanno potuto accettare questo precedente: l’opposizione di un piccolo
Paese balcanico all’onda del nuovo colonialismo. Alla fine hanno
inventato i motivi del Kosovo per iniziare, nel 1999, una guerra
illegale e criminale. E quando la guerra non ha dato quanto si aspettava
sono stati usati tutti i mezzi. Oggi abbiamo sulla scena le tendenze
separatiste nel Montenegro, la premura di far realizzare in Kosovo
l’indipendenza, incitando cosi la crisi in Vojvodina e nella regione di
Raska e Polimljie”.

Possibile che in questo disastro, la nazione serba non abbia
alcuna responsabilità?

“La responsabilità dei serbi è molto minore della responsabilità dei
croati, degli sloveni e di chi ha partecipato alla spartizione del
Paese. I serbi hanno tentato di salvare la repubblica federale, forse
perché vivevano in tutto il territorio. E’ ingiusto che proprio i serbi,
che più tenevano alla Jugoslavia, siano accusati dall’Occidente per la
sua spartizione.”

Non riconosce neanche una colpa?

“Le accuse ingiuste sono rivolte all’indirizzo sbagliato, sia quando si
tratta del popolo, sia quando si tratta di me. Davanti a certe
manipolazioni della verità si rimane impotenti. I mezzi d’informazione
trasformati in armi, nelle mani dei ricchi e dei potenti. Grazie alla
loro ricchezza ed al loro potere sarà onesto, coraggioso, intelligente e
buono solo chi loro decidono. E sarà disonesto, vigliacco, stupido,
cattivo chi decidono loro.”

Lei, personalmente, ha fatto tutto il possibile?

“Ho fatto tutto ciò che potevo da uomo e da guida di una delle
repubbliche, parte del Paese. Il mio ruolo negli avvenimenti legati alla
spartizione dell’ex Jugoslavia, è tema di cui si occupa continuamente la
cosiddetta comunità internazionale. Dovrebbe stupire che le stesse
domande non vengano rivolte anche ai capi delle altre repubbliche
dell’ex Jugoslavia. Il presidente della Croazia, per esempio, pone in
rilievo i propri “meriti” per la rottura del Paese. Perché allora la
cosiddetta comunità internazionale li sottovaluta tanto e dedica tutta
la sua attenzione a me? E’ offensivo per i miei colleghi….”

Non crede di aver sbagliato neanche nella questione Kosovo?

“Non ero in ritardo. In senso politico, morale e nazionale ho smosso la
questione del Kosovo nel 1986, quando non ero il presidente della
Serbia. Consideravo la situazione in Kosovo uno dei problemi principali
della Jugoslavia, e in particolare della Serbia. Quanto ai bombardamenti
e all’uranio non sono rimasto sorpreso. Direi amareggiato: come lei,
spero. Come ogni uomo normale di questo pianeta, spero.”

In quel caso non servi neppure l’antica amicizia con
l’ambasciatore americano Richard Holbrooke.

“Con Holbrooke abbiamo collaborato con successo fino agli accordi
Dayton. Lui contribui in modo decisivo alla tregua quando le forze serbe
si trovarono in una situazione critica. Gli dissi categoricamente che
avremmo interrotto i colloqui, e lui fermò l’esercito croato davanti a
Prijedor, che stava per cadere come Banja Luka. Dopo Dayton e la
promessa di togliere le sanzioni, però, non hanno mantenuto la parola.
Non hanno introdotto il cosiddetto “muro esterno”, hanno continuato con
le pressioni. Nel 1998, quando si apri in modo infondato, e assai
costruito, la questione del Kosovo, dissi a Holbrooke: “A voi gli
albanesi non interessano affatto, voi avete un altro scopo”. “Quale?” mi
chiese. Gli risposi: “Accertare il vostro ruolo di leader in Europa”.
“E’ vero, noi siamo una superpotenza e abbiamo questo interesse”,
concluse Holbrooke. Mi piacerebbe che la nuova amministrazione americana
(i repubblicani di George Bush; ndr) chiedesse alla precedente (i
democratici di Clinton): “In che modo avete servito gli interessi
nazionali americani entrando in alleanza con la narco-mafia albanese,
con trafficanti di esseri umani, assassini e terroristi?”.

E fra i problemi del suo Paese non pensa possa esserci il fatto
di non aver mai gestito una democrazia?

“Durante il mio governo “antidemocratico” ho proposto nel 1993 la
costituzione di un governo di unità popolare che è durato fino
all’ottobre del 2000. Oggi in Serbia c’è il governo di un solo partito.
Durante il mio governo “antidemocratico” il 95% della stampa era nelle
mani dell’opposizione, come quasi tutte le tv locali, circa 500. In quei
media, finanziati dall’estero, io e la mia famiglia eravamo insultati
con le parole più volgari, accusati di tutti i crimini di questo mondo.
Mai ci sono state risposte a quelle accuse infondate. Non ci sono stati
libri, spettacoli o film proibiti.
Le porte del Paese erano aperte a migliaia di giornalisti stranieri,
anche a quelli che venivano con gli articoli già scritti. A tutti i
diplomatici, anche a quelli che si comportavano in modo non
diplomatico. Incontravo l’opposizione e loro evitavano i comunicati
stampa.”

E la censura imposta ai giornali?

“Una sporca invenzione. Solo in Kosovo c’erano più di 40 giornali in
lingua albanese, completamenti dedicati in modo offensivo a me ed alla
mia famiglia. E cosi tutto un decennio. Forse la mia responsabilità è
opposta: ho lasciato che i media dell’opposizione abbassassero il senso
etico nazionale.”

Lei ha incontrato il presidente Kostunica nella notte del 6
ottobre. Che cosa può
raccontarci?

“Kostunica mi informò che la Corte costituzionale confermava la sua
vittoria. Ho accettato l’informazione. Però non mi aspettavo che la
violenza e l’anarchia sarebbero continuate. C’era uno scenario per
provocare lo spargimento di sangue, che per fortuna abbiamo evitato. Si
sa bene chi ne sarebbe stato accusato. Nella mia città natale,
Pozarevac, hanno saccheggiato e incendiato i beni di mio figlio. E’
ovvio che tutto ciò era programmato.”

Siamo arrivati a un punto delicato: il peso della sua famiglia
negli affari di Stato.

“Tutto ciò che è stato scritto di noi è una bugia. Adesso il nuovo
governo minaccia processi per i crimini che si inventano dentro i loro
uffici. Questa prassi di montaggio dei processi appartiene alle
esperienze degli anni più neri del nazismo, stalinismo o maccartismo”.

Kostunica respinge l’ipotesi di consegnarla al tribunale
dell’Aia, anche se persone come Biljana Plavsic si sono consegnate
“spontaneamente”.

“Non ho ancora un’opinione sul nuovo presidente, ci vuole un po’ di
tempo per poter valutare. Ho sempre considerato invece il Tribunale
dell’Aia un’istituzione amorale e illegale, inventata come rappresaglia
per rappresentanti disubbidienti, come un tempo esistevano campi di
concentramento per popoli superflui e gente superflua. Questo tribunale
esiste prima di tutto per i serbi. E’ la stessa forma di intimidazione
che i nazisti usarono prima verso gli ebrei e poi verso tutti i popoli
slavi.”

E la Plavsic?

“Con la sua decisione di andare “volontariamente” all’Aia, Biljana
Plavsic ha voluto dimostrare fiducia nel tribunale e
nell’amministrazione che ha appena abbandonato la scena politica
americana. Da feroce nazionalista, Biljana Plavsic si è trasformata in
collaboratrice dell’ex amministrazione americana. Non so se speri di
poter essere amnistiata dalla loro furia”.

E se dovessero processarla a Belgrado?

“Potrei capire all’Aia: li le accuse sono inventate. Ma a Belgrado, a
meno che non vi si installi una filiale del tribunale….”.

L’accusano di avere esportato capitali all’estero.

Una volta dissi a Holbrooke, che minacciava di bloccarli: “Non faccia
una fatica simile. Semplicemente, prenda tutto quel che riesce a
trovare”. Io non ho nessun conto all’estero, non l’ho mai avuto, per
tutta la vita ho avuto solo il mio stipendio. E adesso non ho nemmeno
più quello”.

Si sente in pericolo?

“Le regole dicono che la condizione di un capo dello Stato uscente è
questione d’onore e di morale per il nuovo capo dello Stato. Forse però
qualche onore e una certa morale ci saranno anche da parte degli altri,
di tutto il popolo. Quanto alla sicurezza della mia famiglia e mia
personale, no, non mi sento sicuro. Siamo nei Balcani: non c’è da
meravigliarsi se l’Europa ci guarda come una parte del continente che
vorrebbe non esistesse”.

E la politica italiana?

“E’ simile agli italiani: tenta di essere di principio, di rispettare
gli altri, badare ai propri interessi, non entrare in conflitto con
l’Europa, ma contare. Il ministro Dini ha avuto in molte occasioni un
atteggiamento di buone intenzioni, giusto e cordiale verso il nostro
Paese negli anni difficili e particolarmente durante la guerra con la
Nato. Purtroppo l’Italia non ha avuto la forza di opporsi a questo
crimine insensato contro il nostro popolo nel 99”.

Cosa vorrebbe dire infine al pubblico italiano?

“Nessuno può fare grande un uomo piccolo. Né onesto uno disonesto. Né
vigliacco un coraggioso. Né cattivo uno buono. Anche se si investe in
questo tanto sforzo – finanziario, tecnologico, mediatico, diplomatico e
psicologico”.

---

Ringraziamo Carlo per averci procurato il testo dell'intervista.

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E' MILOSEVIC IL COLPEVOLE PER I CRIMINI DELLA NATO


Con la massima serieta', la signora Carla Dal Ponte ha rilasciato
recentemente una dichiarazione nella quale accusa l'entourage dell'ex
Presidente jugoslavo per la morte dei 16 lavoratori della
radiotelevisione della Serbia (RTS), uccisi in occasione del chirurgico
ed umanitario bombardamento della NATO in pieno centro di Belgrado. La
Dal Ponte sostiene infatti che la NATO aveva avvisato Milosevic che la
sede della RTS era tra gli obiettivi che sarebbero stati colpiti, e
Milosevic ed i suoi collaboratori avrebbero dunque dovuto farla
sgombrare.

Immediatamente dopo le dichiarazioni della Dal Ponte, la molto
indipendente e molto professionale Federazione Internazionale dei
Giornalisti ha chiesto formalmente al Presidente Kostunica di aprire
un'inchiesta a riguardo. La Federazione fa giustamente notare che questi
sedici morti sono le uniche vittime civili nei bombardamenti di edifici
pubblici durante la campagna della NATO: infatti, gli altri civili morti
erano a spasso per strada, su qualche autobus, sui treni, oppure a casa
propria.

-

Agence France Presse
January 26, 2001, Friday
SECTION: International news
HEADLINE: IFJ calls on Kostunica to investigate NATO TV station bombing
DATELINE: BRUSSELS, Jan 26

The International Federation of Journalists (IFJ) on Friday called on
Yugoslav President Vojislav Kostunica to hold "a public and independent
inquiry" into the deaths of 16 employees of the Serbian state television
station bombed during NATO's 1999 Kosovo campaign.

The call followed a statement by UN war crimes prosecutor Carla Del
Ponte
in Belgrade this week that NATO had told her then president Slobodan
Milosevic's authorities knew the TV station was a NATO target.

Del Ponte made the statement to a lawyer for families of the victims of
the
bombing who are suing the station management, claiming it kept operating
despite the fact they knew it was a target.

"If she is right, there is a scandal here that must be uncovered," the
Brussels-based IFJ said in a statement.

"The question must be asked whether the lives of TV workers were
deliberately sacrificed to make a propaganda point for the Milosevic
regime," said IFJ general secretary Aidan White.

NATO has said it included the TV station as a target in its 78-day
bombing
campaign because its broadcasts were part of the Milosevic machine of
ethnic cleansing of Albanians in Kosovo.

The IFJ said the 16 media workers were the only civilians killed in a
public building during the bombing campaign.

---

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-------- Original Message --------
Oggetto: qualche notizia da Belgrado
Data: Mon, 5 Feb 2001 17:37:31 +0000 (WET)
Da: Ilaria Damiani
A: scienzaepace@...

----------------------------------------------------------
--- MESSAGGIO SPEDITO DA Ilaria Damiani <damiani@...>
----------------------------------------------------------
Nell'ultima settimana di gennaio sono stata a Belgrado per partecipare
al
X Congresso dei matematici jugoslavi, a cui sono stata invitata insieme
ad
altri colleghi del mio dipartimento (matematica di Tor Vergata) in
virtu'
dell'accordo bilaterale di cooperazione che siamo riusciti a mettere in
piedi subito dopo la guerra come contributo contro l'isolamento a cui la
comunita' scientifica di quel paese e' stata costretta.
Vi mando quindi qualche notizia, scusandomi per il ritardo (ma al mio
rientro ho dovuto rimettermi in pari con gli altri impegni di lavoro),
sperando che possano interessarvi. Le notizie di cui vi scrivo (forse
non
particolarmente originali) riguardano soprattutto quello che sta
avvenendo
all'universita', perche' si tratta dell'ambito in cui ho avuto modo di
avere il maggior numero di contatti, discussioni e informazioni.

Il 10 ottobre 2000 il rettore dell'Universita' di Belgrado, Puric (un
fisico), e' stato costretto a dimettersi. In realta' non si e' dimesso e
ufficialmente il rettore e' ancora lui, ma gli viene materialmente
impedito di entrare nel suo ufficio e di svolgere il suo lavoro di
rettore: lo hanno dimesso di fatto.
Contemporaneamente si e' installata al suo posto una nuova
"autoproclamata" rettrice, Bogdanovic (una sociologa), la quale non ha
attualmente alcuna legittimita' legale. Il risultato di questa
situazione
sono la paralisi e il caos, in attesa che qualcosa succeda e che la
situazione si chiarifichi. Questo "qualcosa" potrebbe essere
rappresentato
dall'insediamento del nuovo governo della Serbia (nominato il 25
gennaio)
che avrebbe il potere di scegliere il rettore.

Il sistema per la nomina del rettore (dei decani delle facolta',
eccetera)
e' stato cambiato 2 anni fa: fino ad allora vigeva un meccanismo
coerente
con il principio dell'autogestione: gli organismi locali (l'analogo dei
nostri consigli di corso di laurea, di dipartimento, di facolta', ecc.)
esprimevano un nome, e un organismo centrale di controllo, formato da
docenti universitari e rappresentanti del governo, ratificava la scelta.
Da due anni a questa parte la legge e' cambiata e rettori e decani
vengono
nominati direttamente dal governo. E' su questo che i sostenitori del
nuovo corso fanno leva: siccome si tratta di un meccanismo
antidemocratico
che ha messo la gestione delle universita' direttamente nelle mani del
potere politico, questa gente va cambiata. In che modo? Utilizzando la
stessa legge e soprattutto lo stesso principio cioe' sostituendo i
precedenti rettori decani eccetera con persone gradite alla nuova classe
dirigente del paese.
In realta' modifiche legislative sono allo studio, e anzi il problema di
riformare l'universita' (sia dal punto di vista normativo sia da quello
dell'organizzazione degli studi) e' in generale al centro della
discussione. Una delle proposte avanzate in materia di nomine e' quella
di
affidare tale compito ad un organismo che preveda la presenza di
rappresentanti internazionali: la gravita' di una simile struttura
basata
sulla dipendenza esplicita dall'estero credo che sia evidente a tutti
senza bisogno di ulteriori commenti. (Di questa proposta ho saputo da
conversazioni varie, non e' detto che sara' la definitiva, ma da' il
senso del clima che si respira in Jugoslavia).

Il clima di "epurazione" c'e' a tutti i livelli (e fa pensare ai metodi
utilizzati dal DOS contro i sindacalisti della Zastava). La facolta' di
matematica ad esempio ha visto nei mesi scorsi il tentativo, fallito, di
rovesciare la decana, Bokan: la sua gestione pare sia stata sempre
estremamente corretta (cosa che ha reso difficile ai suoi avversari
trovare grimaldelli razionali per l'opera di propaganda) e in ogni caso
e'
stata sostenuta dalla grande maggioranza della facolta' (come ultimo
passo
erano state indette, non so esattamente in che termini, delle elezioni,
dalle quali pero' lei e' risultata vincitrice); le era stato
contrapposto
un precedente decano, protagonista ai suoi tempi di un enorme scandalo
legato ad affari edilizio/finanziari che hanno fatto perdere alla
facolta'
svariati milioni di marchi, intorno al quale si e' coagulata la
ex-opposizione ora diventata filogovernativa.
Uno scontro simile e' tuttora in atto contro il direttore dell'Istituto
Matematico dell'Accademia delle Scienze.
Inoltre il rischio di un'epurazione generale tipo quella che e' avvenuta
in Germania Est dopo la riunificazione e' fortemente sentito e temuto a
tutti livelli della docenza, aggravato dal fatto che il periodo di vuoto
di potere e la paralisi degli ultimi mesi hanno impedito la
trasformazione
di molti posti di assistente (che sono precari anche se finora di fatto
sempre rinnovati: ma ora che succedera'?) in posti di professore: queste
"promozioni" in condizioni normali sarebbero stati atti dovuti.

Durante il Congresso (che era grosso e riguardava tutti i livelli, anche
organizzativi e didattici, oltre che di linee di ricerca) e' avvenuto
anche il seguente episodio: un matematico di Novi Sad ha minacciato: ci
faremo la nostra (della Vojvodina) Accademia delle Scienze, utilizzando
i
finanziamenti provinciali. Ho assistito alla discussione tra alcuni
matematici di Belgrado che cercavano di valutare il significato e
l'entita' di questa minaccia: per qualcuno si trattava di una minaccia
isolata, altri pero' facevano notare che i finanziamenti provinciali
erano
stati sbloccati subito dopo il 5 ottobre (proprio per questo tipo di
progetti?) e che le forze centrifughe non possono essere affatto
considerate sotto controllo: neanche ora che forse (?) le potenze
straniere sono soddisfatte del risultato ottenuto e cominciano ad
attuare
una politica di stabilizzazione dell'area, invece che continuare a
destabilizzare i Balcani.

La consapevolezza di una regia esterna, europea e soprattutto americana,
nella storia recente del loro paese mi e' sembrata fortissima: sia in
coloro che sono strenuamente contrari al nuovo corso, sia in coloro che
invece lo appoggiano nella speranza di uscire dall'isolamento degli
ultimi
dieci anni (le dichiarazioni di Carla del Ponte, o ci date Milosevic o
riprendiamo con le sanzioni, sono di quei giorni) ma a parte le mie
impressioni vorrei dirvi alcuni fatti per descrivere e non sottovalutare
il progetto in corso, dietro la nuova politica di apertura e aiuti
dell'Occidente, per omologare la Jugoslavia e cancellare tutte le tracce
residue di socialismo e di un sistema comunque diverso dal capitalismo,
cioe' per colonizzarla, oltre che con la guerra ora con la penetrazione
culturale e ideologica, e per cancellare la storia.
1) Un punto fondamentale del programma del nuovo governo e' la riforma
universitaria (tutto il mondo e' paese, sigh): l'obbiettivo e' anche li'
l'adeguamento e l'integrazione nel sistema euramericano. In questo i
commenti sono unanimi: diventeremo tutti piu' ignoranti, e la cosa
peggiore e' che cio' avviene di proposito, e' lo scopo.
2) A livello di "cio' che dobbiamo imparare dagli altri" in campo di
didattica l'accento viene posto sul bisogno di aiuto per l'insegnamento
della storia.
3) Per quanto riguarda la cooperazione con l'Europa e i progetti Tempus:
fino a poco tempo fa i progetti potevano riguardare le tematiche piu'
varie. Adesso la Comunita' Europea fa sapere che finanziera' solo
progetti
in alcuni ambiti specifici: ricerche in campo di giurisprudenza,
economia,
sociologia.

Scusatemi se l'ho fatta troppo lunga, solo un'ultima cosa pratica: libri
e
riviste costano tantissimo e il problema dell'aggiornamento
bibliografico
e' enorme; uno dei metodi che per esempio la facolta' di matematica ha
seguito per aggiornare la biblioteca (e anche per far conoscere la
propria attivita') e' quello degli scambi. Quindi se qualcuno di voi
pensa
che sia possibile organizzare uno scambio, fornendo le pubblicazioni dei
vostri dipartimenti e ricevendo in cambio quelle dell'universita' e
dell'accademia delle scienze di Belgrado, fatemelo sapere.

Poi: ho avuto modo di parlare con alcuni biologi e naturalisti impegnati
nello studio delle conseguenze ambientali della guerra e nella difesa
della biodiversita'. Sono interessati a progetti e cooperazioni di tutti
i
tipi. Ho pensato a Cristaldi, ma anche a chiunque di voi sia interessato
senza che io lo sappia specificamente. Solo che ora, mi accorgo, ho
lasciato gli indirizzi a casa. Domani vi faccio sapere qualcosa di piu'
preciso.

Scusate ancora per la lunghezza di questo messaggio,
Ilaria

ps Una cosa che forse vale la pena di aggiungere: da quando il nuovo
governo si e' insediato i lavoratori dell'universita' (professori,
assistenti) si sono ritrovati in busta paga molti soldi (non so quanti,
mi
e' stato raccontato da alcuni assistenti della facolta' di matematica):
alcuni erano arretrati ma altri erano soldi che nessuno di noi ha capito
da dove venissero e perche' ce li dessero, mi hanno detto.
Fin qui e' un fatto. La mia impressione e' che si tratti di uno dei modi
in cui il nuovo corso sta cercando di costruire un apparato di consenso,
e
in questo l'adesione degli intellettuali ha come sappiamo un ruolo di
primo piano.

---

A cura del Coordinamento Nazionale "La Jugoslavia Vivra'".
I documenti distribuiti non rispecchiano necessariamente le
opinioni delle realta' che compongono il Coordinamento, ma
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