Jugoinfo

-------- Original Message --------
Oggetto: Da Coordinamento Rsu - solidarietà Zastava
Data: Tue, 16 Jan 2001 23:35:26 +0100
Da: "Rossi Alma" <alma@...>
A: "0 - coordinamento" <coord.naz.rsu@...>

Oltre un'anno fa, subito dopo la fine dei bombardamenti sulla
jugoslavia,
partiva da diverse rsu, Luoghi di lavoro, strutture sindacali ed
associazioni un progetto di solidarietà nei confronti dei lavoratori
della
zastava di kragujevac.
I 36.000 lavoratori della fabbrica di automobili e camion, per colpa dei
bombardamenti Nato (almeno 40 missili Cruise in una sola notte hanno
praticamente raso al suolo tutte le strutture produttive, la centrale
termoelettrica, gli uffici della progettazione, e danneggiato gravemente
il
presidio sanitario della fabbrica) sono da allora senza lavoro e senza
reddito.
Abbiamo lottato contro questa guerra ma anche contro le gravi
responsabilità
del Governo Italiano e dello stesso sindacato che si è dimostrato
incapace
di autonomia arrivando a sostenere le assurde e strumentali ragioni di
questa guerra.
Se dal sindacato non è partita una forte iniziativa di solidarietà nei
confronti dei lavoratori della Jugoslavia (centinaia sono le fabbriche
distrutte dai bombardamenti) un forte segnale in questo senso è invece
partito dai lavoratori, da tante fabbriche Italiane col sostegno di
quella
pur piccola parte del sindacato che si è opposto a questa guerra.
Ad oltre un anno di distanza proviamo a farne un consuntivo.

1.
Con l'ultimo convoglio partito a gennaio 2001 da Torino, sono almeno 7 i
TIR
di aiuti consegnati alla zastava.
In particolare: 1 impianto di mammografia - 1 impianto di radiologia -
Strumenti per analisi di laboratorio (urine e sangue) - Attrezzature
ospedaliere - Medicinali di ogni tipo (sopratutto medicine salva-vita
per
cardiopatici e antibiotici) - generi di conforto (detersivi, dentifrici,
materiale per l'igiene) - materiale scolastico per i figli dei
lavoratori
zastava - perfino tele per dipingere, colori e pennelli per tenere
attiva
l'attività del dopolvotro Zastava che vede molti lavoratori dmostrare
anche
una spiccata capacità in questa attività.
Il valore stimato del materiale consegnato supera abbondantemente i 4
miliardi di lire.
Il materiale sanitario è stato consegnato al presidio sanitario della
Zastava che ha così potuto far fronte alle immediate urgenze mediche e
sanitarie - il resto del materiale è stato distribuito alle famiglie dei
lavoratori della zastava.
E' in fase di organizzazione un'altro carico di medicinali che dovrebbe
partire entro febbraio.

2.
Adozioni a distanza. Sono ad oggi oltre 1.400 per un valore complessivo
che
supera i 780.000.000 di lire.
Ultimamente sono state consegnate le quote delle adozioni di Torino. Nel
prossimo viaggio sono già pronte da consegnare le quote delle adozioni
dei
lavoratori di brescia ed una prima trance di adozioni dal veneto.
Ma il lavoro è ancora enorme. Le adozioni sino ad ora realizzate coprono
purtroppo solo una minima parte dei bisogni dei 36.000 lavoratori della
zastava che, ripetiamo sono ancora senza lavoro e senza reddito, per di
piu'
in un contesto sociale estremamente degradato a causa della guerra
(basti
pensare alla assoluta assenza di assistenza ed alla perdita di qualsiasi
aspettativa sul piano previdenziale a cui lo stato non può ad oggi
pensare
di far fronte).
Per far fronte a questa necessità è stato prodotto, dal concerto tenuto
a
Marghera il 15 luglio scorso, un CD musicale messo in vendita a 12.000
lire
il cui intero ricavato andrà a sostenere lo sviluppo dell'iniziativa di
adozioni a distanza.
Il materiale sul CD e sulle adozioni lo trovate sul sito del
coordinamento
RSU (in home page).
Tutti possono contribuire alla vendita (in occasione di inizative
pubbliche
o altro) contattando alma@...

Come vedete, molti lavoratori, Rsu, singoli ed associazioni hanno
realizzato
un importante sforzo di solidarietà, che può e deve però continuare e
svilupparsi.
Una solidarietà che non è carità, ma è anche e sopratutto lotta contro
la
guerra e solidarietà tra lavoratori.
Il nostro aiuto ai lavoratori della Jugoslavia non è solo un piccolo
tentativo per far fronte ai loro bisogni immediati ma è anche e
sopratutto
un aiuto per permettere loro di continuare a lottare per il diritto al
lavor
o ed al salario.

Alma Rossi - email - alma@...
indirizzo email del coordinamento RSU - coord.naz.rsu@...
indirizzo internet del Coordinamento RSU - http://www.ecn.org/coord.rsu/


---

Bollettino di controinformazione del
Coordinamento Nazionale "La Jugoslavia Vivra'"
Sito WEB : http://digilander.iol.it/lajugoslaviavivra

I documenti distribuiti non rispecchiano necessariamente le
opinioni delle realta' che compongono il Coordinamento, ma
vengono fatti circolare per il loro contenuto informativo al
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8 dicembre 2000 - testimonianze della delegazione Piemontese e della Rsu
della
Sammontana di Empoli, in visita alla Zastava di Kragujevac
nell'ambito del progetto di
adozioni a distanza a favore dei figli dei lavoratori della
zastava


A kragujevac (diario di Ezio, della delegazione torinese)

Il viaggio

Siamo partiti in 11 da Torino, la mattina di venerdì 27, con due
furgoni messi a
disposizione dal Comune di Torino che si è fatto carico anche delle
spese di carburante e
autostradali. Il giorno precedente era stato portato a Lecco il
materiale scolastico raccolto
con la sottoscrizione "5000 lire per 5 quaderni, 5 matite….",
medicinali e capi di vestiario:
il tutto era stato caricato su un Tir che avrebbe portato a
Kragujevac anche un impianto di
radiologia e altri medicinali. Il convoglio è stato organizzato
grazie all'impegno di delegati
e dirigenti sindacali della CGIL della Lombardia, di Brescia, Lodi,
Torino, Bologna,
Massa Carrara, dal Comune di Rho, dal Comune di Carrara , da
Emergency e dall'azienda
di trasporti di Lecco.

Dopo 1300 Km. e una notte di viaggio nelle nebbie delle pianure
della Slovenia e della
Croazia, le colline di Kragujevac ci hanno accolto con un pallido
sole e una temperatura
rigida. Il camion, partito anch'esso venerdì mattina è arrivato
soltanto nel pomeriggio della
domenica, dopo un'interminabile attesa di 12 ore alla frontiera
serba: centinaia di tir
controllati minuziosamente con una lentezza esasperante.

La delegazione La delegazione di Torino era composta da 11 persone.
Decisamente ampia
(nelle precedenti occasioni soltanto due o tre), ma giustificata
credo dall'esigenza di
rappresentare ai lavoratori della Zastava la grande attenzione con
cui guardiamo oggi agli
sviluppi della situazione in Serbia per i riflessi che avrà nelle
loro condizioni di vita già
duramente colpite: dall'embargo prima, poi dalla guerra e dai
bombardamenti, infine dalla
crisi economica. Credo che l'ampiezza della delegazione rispondesse
anche a una domanda
di partecipazione diretta da parte di numerosi gruppi che avevano
aderito al progetto di
adozioni a distanza.

Della delegazione torinese facevano parte due delegati della Fiat
Iveco, un rappresentante
del Coordinamento per la Jugoslavia, un delegato della AEM, due
volontari delle ACLI, tre
dirigenti della CGIL, un delegato del Politecnico (ed io, del gruppo
CSELT).

La città

Kragujevac si trova 150 Km circa a sud di Belgrado e si estende
dalla pianura verso le
colline adiacenti. In una di queste colline c'è un grande parco,
percorso da una strada ai cui
lati si incontrano alcuni monumenti: sono il ricordo di una strage
nazista in cui per
rappresaglia furono uccisi 7000 bambini.

La città conta 250.000 abitanti. Ho visto pochissimo della città, e
posso proporvi solo
alcuni flash. L'area della Zastava è tutta "dentro" alla città,
separata dal centro vero e
proprio da un lungo canale attraversato da numerosi ponti. Su un
binario ferroviario che
costeggia il canale dal lato fabbrica raramente passa un convoglio
merci. Nel centro c'è un
piccolo, povero mercato; ai bordi del mercato, tra le aiuole di un
piccolo giardino ai lati
della strada principale numerose persone vendono poche cose: non ci
sono banchetti, ma
per terra, sopra alcuni fogli di giornale o alcuni sacchi di nylon
viene esposta la merce:
alcuni offrono 4-5 scope e un dozzina di spugne per lavare i piatti,
altri qualche dozzina di
candele e alcune buste di estratto vegetale; altri ancora alcuni
pacchi di pasta (non molti:
tre, massimo quattro). Ai bordi di altre strade stazionano uomini
con una tanica di benzina
ed una bottiglia. Per le strade circolano poche auto, alcune di
grossa cilindrata. Passa un
autobus, piegato pericolosamente su un lato, e mi sembra impossibile
che possa arrivare al
prossimo capolinea.

Nel parco (quello della strage nazista) c'è il complesso alberghiero
in cui alloggiamo:
costruito negli anni '70, non nasconde l'ambizione di presentarsi
più che dignitoso,
elegante, quasi di lusso; ampi saloni, confortevoli camere e un
ristorante con una cucina
tutt'altro che spartana ed un servizio con non poche pretese. Un
contrasto che non passa
inosservato, rispetto quanto visto nella città bassa. Mentre
arriviamo, tra le numerose auto
di media e grossa cilindrata parcheggiate nel piazzale, si fa strada
un piccolo gruppo di
suonatori: con una musica che ricorda Goran Bregovic e una
scenografia che sembra tratta
da un film di Kusturica accoglie una coppia di sposi. La festa
proseguirà poi nel salone
fino a notte inoltrata, anche nelle ore in cui mancherà l'energia
elettrica: nell'albergo non
manca certo un generatore, anche se è in grado di illuminare solo
gli spazi comuni e non le
camere (in tutta la città l'energia elettrica viene erogata ogni
giorno per quattro ore,
alternate ad altre quattro in cui viene sospesa).

Albergo e matrimoni a parte, le condizioni di vita nella città sono
di giorno in giorno più
difficili. Al generale aumento dei prezzi dei generi di prima
necessità, non più sottoposti a
regime di prezzi amministrati, si somma il peggioramento e l'aumento
del costo dei servizi:
in particolare luce ed acqua il cui prezzo è aumentato
rispettivamente del 45% e 70%. E'
stato annullato anche il regime di assistenza che fino ad ieri, per
via dell'embargo e della
guerra, dell'alto tasso di disoccupazione e povertà, garantiva il
congelamento del
pagamento delle bollette.

Il sindacato alla Zastava

Arrivati a Kragujevac siamo stati accolti dal gruppo dirigente del
sindacato della Zastava,
che è stato fino ad oggi il nostro riferimento concreto a Kragujevac
per la gestione delle
adozioni a distanza e di altre iniziative di solidarietà con i
lavoratori della fabbrica e le
loro famiglie. Insieme a questo sindacato erano stati definiti
all'inizio i criteri di
assegnazione delle adozioni, verificando che le priorità fossero
riferite alle reali
condizioni economiche delle famiglie e non fossero condizionate alla
loro appartenenza
politica e sindacale. Un rapporto diretto con le famiglie (ogni
gruppo di adozione è stato
invitato a mettersi in contatto diretto con la famiglia del
ragazzo/ragazza che aveva
adottato) ha consentito di esercitare un controllo sulla
trasparenza; una distribuzione delle
quote trimestrali direttamente alle famiglie ha rafforzato questo
controllo ed eliminato
inutili e consistenti costi di mediazione delle banche.

Il sindacato della Zastava, il sindacato "ufficiale" Samostalnih
(che vuol dire "autonomo",
anche se per noi il termine suona poco appropriato) raccoglie oggi
il consenso del 92% dei
lavoratori. Pur essendo politicamente vicino alle posizioni del
precedente governo
Milosevic, fin dai giorni dei bombardamenti umanitari che hanno raso
al suolo una parte
della fabbrica ha assunto una posizione autonoma sia da Belgrado che
dall'opposizione.

Il gruppo dirigente sindacale si è fatto carico del rapporto con i
sindacati e il volontariato
italiani ed europei ed ha garantito in questi mesi un piccolo
welfare a tutti i dipendenti,
distribuendo gli aiuti senza discriminazioni politiche o sindacali.
Le adozioni a distanza dei
figli dei lavoratori "licenziati" dalle bombe della Nato, hanno
aiutato una comunità operaia
sotto embargo a tirare avanti, in qualche modo.

La presidentessa di questo sindacato, la signora Rusika, ci ha
parlato dei problemi della
fabbrica, dell'opera di ricostruzione degli impianti distrutti dai
bombardamenti e dei
consistenti aiuti concessi in quella fase dal governo; ci ha parlato
delle precarie condizioni
di vita dei lavoratori e delle preoccupanti prospettive per la
fabbrica: al disimpegno
progressivo e ormai totale della Fiat Iveco (proprietaria del 47%
del settore camion) e alle
distruzioni dei bombardamenti seguiranno credibilmente a breve le
iniziative di
privatizzazione secondo le note ricette liberiste del Fondo
Monetario Internazionale e della
Banca Mondiale rispetto alle quali il nuovo governo sembra essere
tutt'altro che
insensibile. Una ulteriore caduta della produzione è nell'aria e la
disoccupazione è
destinata ad aumentare.

La signora Rusika ci ha anche parlato del clima pesante che si è
venuto a creare dopo la
svolta del 27 settembre scorso: i dirigenti sindacali del sindacato
Samostalnih vengono
messi alla gogna da chi in passato non ha fatto nulla per difendere
la comunità operaia di
Kragujevac: accusati di non aver preso abbastanza le distanze da
Milosevic per aver
accettato i sussidi disoccupazione del governo ("e cosa avremmo
dovuto fare, rifiutarli e
far morire di fame i nostri lavoratori?"), alcuni di loro sono stati
sequestrati da esponenti
delle ex-opposizioni; all'interno della coalizione DOS non sono
pochi quelli che fremono
per conquistare in fretta e con ogni mezzo una legittimazione: forti
pressioni vengono fatte
nei confronti dei lavoratori affinché aderiscano ai "nuovi"
sindacati, e spesso le adesioni
vengono comprate a poco prezzo: a volte basta un pacco di detersivo.

In questa situazione il "vecchio" sindacato si è rifiutato di farsi
da parte di fronte alle
aggressioni, ma si è fatto promotore di una prima verifica: il
prossimo 24 novembre si
terranno tra gli iscritti le elezioni dei rappresentanti ad ogni
livello del settore auto
(elezione saltata per colpa dei sostenitori della politica di
Governo, ndr). Il sindacato che
ha la maggioranza effettua le contrattazioni: se di quel 92%
risponderanno in tanti ne
risulterà una conferma, altrimenti …. I dirigenti sembrano guardare
con realismo ad un
probabile e consistente ridimensionamento: c'è da chiedersi se,
comunque vadano le cose,
saranno in grado di sciogliere i legami con la vecchia nomenklatura
e continuare a
difendere gli interessi dei lavoratori in un sistema in cui le nuove
regole del "mercato"
richiederanno senz'altro un ruolo più antagonista.

L'incontro con le famiglie Sabato pomeriggio, nel salone di un
edificio Zastava-Iveco
abbiamo incontrato le famiglie dei ragazzi "adottati". Una bandiera
multicolore portata da
Torino con scritto in grande la parola "PACE" (che tante volte
abbiamo visto nelle nostre
strade durante le numerose manifestazioni pacifiste) faceva da
sfondo dietro un grande
tavolo al centro della sala.

C'è stato prima un saluto della signora Rusika (al termine del quale
c'è stata una breve
contestazione da parte di un signore che, accusando l'oratrice di
fare propaganda politica,
ha abbandonato la sala seguito dalle due figlie). E' seguito un
saluto da parte della nostra
delegazione in cui sono stati richiamati i valori della solidarietà
e confermato l'impegno a
continuare nel sostegno alle famiglie anche in un futuro che si
prospetta ancora più difficile
del presente. Si è passati quindi alla distribuzione, famiglia per
famiglia, delle quote di
questo trimestre (50 marchi al mese), mentre la consegna dei regali
è stata rimandata alla
fine della cerimonia per limitare l'imbarazzo nei confronti dei
bambini che non ne avevano
ricevuti.

Sono state consegnate 183 buste, tante quante sono le adozioni che
fanno capo a Torino (in
tutta Italia sono 1300).

Personalmente ho vissuto la fase della consegna con un certo
imbarazzo, chiedendomi se
non c'era modo di evitare il probabile disagio di una madre o di un
padre che,
accompagnato dal proprio figlio, riceveva una busta contenente
denaro. Certo è difficile
mettermi nei panni di chi, avendo un così grande bisogno di aiuto,
riesce forse a mettere in
secondo piano altri sentimenti e non provare un senso di
mortificazione. D'altra parte
queste modalità di consegna, richieste proprio dai rappresentanti
sindacali della Zastava,
garantiscono la massima trasparenza: e la trasparenza è una garanzia
di una corretta
gestione di questo progetto di solidarietà, rispetto alla quale
altre considerazioni passano
in secondo piano (compresa quella sul recupero di un consenso anche
in termini di
immagine da parte di chi rischia di perderne).

Cinquanta marchi sono più di tre volte il sussidio di
disoccupazione: questo forse taglia la
testa al toro. Forse, non so: ma il mio disagio è rimasto.

La visita alla fabbrica

Domenica mattina siamo entrati in fabbrica.

La centrale di energia (completamente distrutta dai bombardamenti) è
stata ricostruita con
il sostegno del governo; la centrale fornisce l'energia elettrica
alla fabbrica e il
riscaldamento a tutta la città. Le linee di montaggio delle auto
sono state parzialmente
riattivate, mentre nel reparto verniciatura (completamente
distrutto) si lavora oggi come da
noi trent'anni fa. Il capannone in cui ufficialmente venivano
prodotti fucili da caccia
(credibilmente armi leggere, completamente svuotato prima del
bombardamento) è rimasto
così come lo avevano ridotto le bombe.

Chi tra noi era già stato qui pochi giorni dopo i bombardamenti ci
racconta della
distruzione che aveva incontrato: oggi è diverso, e un visitatore è
forse più colpito
dall'obsolescenza degli impianti. Ho già accennato al disimpegno
della Fiat durante i dieci
anni di embargo, che peraltro riusciva facilmente ad aggirare
facendo pervenire i motori
attraverso società "di comodo". Le linee di montaggio delle auto
sono quelle della Fiat
128, dismesse da noi una ventina di anni fa.

Alcuni dati raccolti qua e là: La Zastava conta oggi 33.000
dipendenti (36.000 prima della
guerra), di cui 24.000 a Kragujevac. A dicembre del '99 (alla
ripresa della produzione
dopo le prime ricostruzioni) sono stati prodotti 100 camion e 500
auto. Le previsioni per il
2000 erano di 720 camion e 18.000 auto. Fino a settembre sono state
prodotti 500 camion
(mi manca il dato relativo alle auto). Poi tutto si è fermato: dal
27 settembre è uscito dalla
Zastava di Kragujevac un solo camion e 3 auto. Mancanza di
finanziamenti, scioperi,
mancato arrivo dei motori, clima politico arroventato, ricatti,
boicottaggi, ecc.: non sono
riuscito a capire in quale misura i diversi fattori sono
responsabili di questo crollo. E
domani, che fine farà la Zastava?

Le adozioni (e non solo)

A Kragujevac ho avuto la conferma della grande utilità del progetto
di adozioni a distanza
per i figli dei lavoratori della Zastava: oltre che un atto di
grande solidarietà che vede
coinvolti migliaia di lavoratori italiani e che testimonia il
desiderio di pace e di equità,
conta il valore concreto di un aiuto che per molti è oggi più vitale
di ieri. Questo dato,
unito al positivo riscontro di una gestione corretta e trasparente,
porta a

riconfermare un impegno che dovrà essere in grado di seguire con
attenzione l'evolversi
della situazione politica-economica, confermando la fiducia nei
referenti locali del
progetto o ricercando nuovi referenti; ma che dovrà sempre avere
come unico riferimento i
bisogni dei lavoratori e delle loro famiglie.

A Kragujevac sono in corso anche altri progetti di solidarietà;
negli stessi giorni erano
presenti altre delegazioni: Milano, Lecco, Bologna (per citarne solo
alcune) per seguire le
"loro" adozioni. Altre delegazioni seguivano altri progetti: Carrara
ad esempio ospita
bambini di una scuola, e alcuni della nostra stessa delegazione di
Torino stanno avviando
un programma di formazione professionale per i ragazzi più grandi di
un orfanotrofio.

Ho visto il quartiere dove abitano i ROM: quelli che da noi vivono
vicino alle discariche,
nei campi nomadi qualche volta spianati dalle ruspe e in cui capita
che una "zingarella" sia
spazzata via dal fiume in piena. Sono entrato in una casa: una
stanza, meno di tre metri per
tre, forse dietro c'era un'altra stanza più piccola: ma era una
casa, vera. Qualcuno della
nostra delegazione ha portato alla donna che vi abita una busta:
piccole rimesse del figlio
emigrante che abita e lavora a Torino.

La solidarietà non ha confini.

(Ezio Bertok)

3 novembre 2000

(Chi volesse aderire al Progetto Zastava con una Donazione o una
Adozione può contattare
il numero telefonico 011-2442234 e chiedere di Fulvio Perini oppure
si può fare un
bonifico:

per il contributo per Zastava il n° conto è: 101023 intestato a
Fulvio Perini

Ist. Bancario San Paolo IMI di Torino - AG. 29

ABI 1025 CAB 1029 Via Perugia 29 - 10152 Torino

Indicare la motivazione : contributo per adozione a distanza bambini
Zastava)







Empoli, 16-11-2000

Sabato 28 ottobre 2000 arriviamo a Kragujevac, 250.000 abitanti, in
Jugoslavia o Serbia.
In questa città c'è la fabbrica della Zastava, 36.000 dipendenti, di
questi ad oggi ne
lavorano circa 6.000, gli altri ricevono un sussidio di circa 20.000
lire al mese. Lo
stipendio si aggira mediamente sulle 150.000 lire mensili. Non è
difficile immaginare le
condizioni di vita di chi ha perso il lavoro a causa dei
bombardamenti del '99 e
dell'embargo.

Malgrado la situazione si stia normalizzando con le avvenute
elezioni e quindi della
susseguente democrazia, i prezzi aumentano vertiginosamente, questo
uno degli effetti di cui
siamo venuti a conoscenza. Per di più, per chi si è trovato
improvvisamente senza un
reddito, luce e acqua che fino a poco tempo fa venivano erogate a
tutte le case, con il
congelamento del pagamento delle bollette, adesso vengono tolti a
chi non può pagarseli.
Vengono richiesti anche gli arretrati. E sta arrivando l'inverno.

Appena arrivati in hotel, che mostra passati ben più luminosi,
dobbiamo appunto cercare
nelle valigie la pila tascabile, come ci avevano avvertito gli
organizzatori del viaggio,
perché la luce in quel momento manca. Ritornerà, al termine delle 4
ore di black-out del
quartiere, per un determinato numero di ore e quindi nuovo
black-out. L'intera città subisce
quotidianamente queste interruzioni a causa della centrale elettrica
che viene alimentata a
gas e per via dell'embargo e della crisi economica vi è un uso
attento del combustibile.
Sono circa le 13:00 e splende un pallido sole, ma vi sono zone
oscure nella camera da letto
e buio completo nel bagno.

Niente da fare con la doccia, nonnostante i 1.300 km di viaggio
appena fatti, perché l'acqua
è fredda. Una piccola toilette di fortuna e subito al pranzo con la
delegazione della Zastava
nei locali dell'hotel. Ci viene subito servito un bicchiere con del
tè caldissimo con insieme
una doppia quantità, rispetto al tè, di grappa. La delegazione di
Torino che è arrivata in
mattinata ci avverte di far attenzione alle verdure, qualcuno di
loro ha comprato del miele
locale e, dopo che si è sparsa la voce fra di noi dell'inquinamento
dovuto alla fuoriuscita di
sostanze simili alla diossina e presenza di radioattività causati
dai bombardamenti del '99,
non è più sicuro di aver fatto un buon acquisto.

Mangiamo di tutto quanto ci viene servito.

Abbiamo tirato in lungo con il pranzo, di corsa alla Zastava dove
più di 150 famiglie
stanno aspettando la consegna delle adozioni e dei doni portati a
mano - il TIR con il
materiale sanitario, scolastico, indumenti nuovi, scarpe ed altro,
anche per i bimbi degli
orfanatrofi di Kragujevac e Belgrado, arriverà alla frontiera serba
nello stesso pomeriggio
ma riuscirà ad arrivare alla dogana di Kragujevac solo 24 ore dopo.
La frontiera dista
poco meno di 300 km da Kragujevac, abbiamo visto anche noi la fila
interminabile di
camion alla frontiera croato/serba.

In un salone adibito a riunioni in un edificio della Zastava ci sono
molti bambini e ragazzi
con i loro genitori. Al tavolo della direzione siedono i
rappresentanti del comitato
lavoratori della Zastava e parte della delegazione di Torino. Una tv
locale o forse
nazionale riprende il tutto. Da Torino sono state fatte 156 adozioni
a distanza tra le varie
Rsu della zona, Politecnico di Torino, Cgil Torino, lavoratori
Iveco, lavoratori centro studi
Telecom Torino o CSELT, Azienda Municipalizzata di Torino che ha
anche messo a
disposizione della delegazione torinese, comprendente rappresentanti
luoghi di lavoro e
sindacalisti citati prima, due furgoni: trasporto persone uno e
trasporto materiale l'altro.



Vengono chiamati ad uno ad uno i bimbi a cui sono state assegnate le
adozioni.
Accompagnati dai loro genitori ricevono dalle mani di un
rappresentante della delegazione
torinese la busta con i marchi tedeschi, la valuta straniera più
pregiata in Serbia, raccolti
fin'ora dal progetto di adozioni a distanza.

foto - Sabato 28 ottobre 2000, una bambina serba parla con il
tavolo a cui sono seduti
rappresentanti del Comitato Lavoratori Zastava e rappresentanti
della delegazione torinese
dopo aver ricevuto la busta con i marchi tedeschi dell'adozione a
distanza (da sinistra
Rusika del Sindacato Autonomo Zastava, il funzionario Cgil Torino
Fulvio Perini, Rayka
del Comitato Lavoratori Zastava e Pippo Elia delegato RSU Iveco).



Alla fine della consegna delle Adozioni quei delegati torinesi lì
per la prima volta cercano
la bimba o il bimbo che hanno adottato per consegnare personalmente
dei regali portati a
mano. Qualcuno dei bimbi è già andato via alla fine della cerimonia
ufficiale e i regali gli
verranno consegnati personalmente alla loro casa.

La domenica seguente proseguono nuove consegne in denaro del
Progetto. La mattina da
parte della delegazione di Lecco. Nel pomeriggio da parte della
delegazione di Bologna.
Sono arrivati la domenica stessa. Non conosco i dati di queste
adozioni perché la nostra
delegazione in quella mattinata è in visita alla fabbrica della
Zastava, il pomeriggio
stavamo già preparandoci per il ritorno. E' presente anche la
delegazione lombarda
(Brescia era stata a Kragujevac qualche settimana prima) che ha
seguito il TIR e si è
adoperata molto per fargli passare tutte le frontiere, quella
italo-slovena, quella
sloveno-croata e quella croato-serba e durante la sosta forzata in
quest'ultima ha fatto
numerosi viaggi tra la frontiera e Kragujevac tanto che un aderente
lombardo al Progetto
solo prima di ripartire per l'Italia, la domenica sera - la bimba da
lui adottata era stata
presente alle consegne del sabato e della domenica ma non vi era mai
stato modo di
incontrarsi - dicevo solo prima di ripartire si è presentato a casa
della bimba con dei regali
e parte dei soldi versati. L'aderente al progetto sapeva già delle
condizioni di salute della
madre, ma trovarci il medico che le praticava un soccorso
d'emergenza al lume di candela
per via del taglio di luce e acqua è stato per lui un duro colpo.
Insieme agli altri occupanti
della vettura non ha potuto far altro che prendere in consegna i due
bimbi e portarli in
centro città a mangiare qualcosa, dopodiché ha riportato i due bimbi
a casa lasciandogli
mestamente i regali per poi ripartire alla volta dell'Italia.

Domenica mattina subito alla Zastava per la visita alla fabbrica. La
produzione è
bassissima, non ho dati ufficiali. Basti pensare che molte
lavorazioni adesso si fanno a
mano e non con i macchinari che la FIAT gli ha ceduto dopo aver
rinnovato tutte le proprie
linee di produzione. La FIAT ha una piccola percentuale della
Zastava-Auto dove la forza
lavoro è di circa 12.000 addetti e da tempo non collabora più. Per
quanto le riguarda la
Zastava-Auto può essere acquisita da chiunque si faccia avanti. Ha
invece il 47% della
Zastava-Iveco dove si produce la linea del Daily. Qui sono impiegati
i restanti lavoratori
per un totale di addetti nel gruppo Zastava di 36.000 unità. Ma la
recente realizzazione da
parte FIAT di nuovi impianti di produzione presenti anche in Italia
ha il sapore di
abbandono per la Zastava-Iveco.

Troviamo segni dei bombardamenti dell'anno passato e c'è un luogo
che possiamo vedere
solo da lontano. Su camion per il trasporto di auto e veicoli
industriali ormai fermi da
tempo vi sono bidoni contenenti materiale radioattivo e inquinante.
Hanno dovuto raschiare
parte del cemento per toglierlo nei luoghi di quella che dovrebbe
essere una fabbrica
pienamente attiva. Nessuno sa adesso come smartirlo.

Non c'è molto altro da dire se non che, sia per la carenza di gas
alla centrale elettrica
(benché la sera di sabato mentre eravamo nei locali della Zastava ci
è stato tradotto un
servizio del tg serbo in cui il nuovo Presidente Kostunica
annunciava l'accordo per la
fornitura di gas dalla Russia di Putin, i contatti telefonici di
questi ultimi giorni ci
informano però che ancora niente è cambiato per quanto riguarda
l'erogazione di corrente
elettrica a Kragujevac) che per la obsolesità degli impianti ed
anche per la precarietà delle
commesse, non si sa per quanto ancora questa fabbrica potrà ancora
produrre automobili.

Di tutto questo e in particolare per quanto riguarda i ragazzi del
Progetto di Adozioni a
Distanza sento di concludere: chi ha la possibilità di conoscerli
nelle loro città e nelle loro
case sarà bene che abbia un grande cuore perché una parte di questo
ce lo lascia.

Pierluigi Ferrara

Delegato R.S.U. Sammontana Empoli

---

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Un articolo incredibilmente critico sui regimi coloniali ed
antidemocratici instaurati in Bosnia e Kosovo dalle amministrazioni
straniere e' apparso sul "Los Angeles Times" a fine dicembre:

---

THE LOS ANGELES TIMES, Sunday, December 31, 2000 OPINION

International Mission Is Now a Mockery of Democratic Principles

By TED GALEN CARPENTER

WASHINGTON--With the signing of the Dayton peace accords in 1995, the
United States and its NATO allies committed themselves not only to
helping bring peace to Bosnia-Herzegovina but also to helping build a
democratic political system after the breakup of Yugoslavia. That effort

has failed. Despite systematic attempts by Western powers to undermine
them, nationalist parties fared well in the November elections, as they
have in every election since 1995. Bosnia is a Potemkin democracy: a
colony of the West run by increasingly arrogant and autocratic
international bureaucrats. Equally troubling, the North Atlantic Treaty
Organization has adopted similar tactics in Kosovo, and that pattern
threatens to become the norm wherever nation-building missions are
undertaken.

One glaring abuse has been the lack of respect for freedom of
expression. Officials from NATO, the Organization for Security and
Cooperation in Europe (OSCE) and the United Nations harass or suppress
media outlets that dare to criticize the Dayton accords, the conduct of
the NATO peacekeeping force, or the decisions of the special war crimes
tribunal. How far such powers can go became apparent in April 1999, when

the OSCE's puppet media commission ordered a Bosnian Serb television
station to carry an address by U.S. Secretary of State Madeleine K.
Albright on the Kosovo crisis. Apparently freedom of the press in Bosnia

means that media outlets can be required to transmit statements by a
foreign official dealing with events in a neighboring country.

The international authorities also have used questionable tactics with
regard to a core component of any democratic political system: the
holding of elections. Candidates for public office have been barred from

the ballot by the Office of the High Representative (the top
international civilian body in Bosnia)-often for transparently cynical
reasons. In the 1998 national elections, for example, commissioners
disqualified four Bosnian Croat candidates because of alleged biased
coverage in their favor by television stations in Croatia.

The authorities also toyed with the idea of disqualifying the Bosnian
Serb Radical Party's Nikola Poplasen, who ultimately won the
presidential election, for making a television appearance in neighboring

Serbia on the eve of the election. Such an appearance, some election
watchdogs argued, violated the 24-hour "media blackout period" imposed
in Bosnia.

Matters escalated before the spring 2000 municipal elections, when the
commission in charge banned the entire slate of the Radical Party (which

had won the presidency in the previous national elections). That action
would be akin to the Federal Election Commission in the United States
disqualifying the Republican or the Democratic parties.

Banning candidates they dislike is not the only method international
authorities have used to manipulate election results. Manipulating
voter-registration lists has been a more pervasive tactic. Instead of
requiring a voter to cast a ballot in the district in which he or she
currently resides, election rules allow the voter to cast a ballot for
candidates in the place where he or she resided in 1991, before the
Bosnian civil war erupted.

But most of the refugees have little prospect of returning to their
prewar homes. In the 1997 elections, six municipalities elected exile
governments. About one-fifth of the parliament in the Bosnian Serb
Republic (one of the two political entities that make up
Bosnia-Herzegovina) consists of delegates of Muslim parties "elected" by

voters who are unlikely ever to set foot in the Serb republic. Indeed,
the 1998 victory of the West's favored candidate for the Serb seat on
Bosnia's three-member presidency was due almost entirely to the votes
cast by about 200,000 displaced (primarily Muslim) voters. Allowing
massive numbers of nonresidents to cast ballots delegitimizes the
democratic process.

When all else fails, international authorities simply remove elected
officials they dislike. The most prominent official purged to date was
Poplasen, but he is hardly the only one. Literally dozens of Serb, Croat

and Muslim officials have been ousted--and often prohibited from running

for office again.

The international authorities are running Bosnia as a protectorate with
an increasingly tattered democratic facade. The high representative's
dictatorial tendencies include matters large and small. He has imposed
his own choices for the country's currency and the design of new coins.
His office even directed the selection of a new national anthem.

What is occurring in Bosnia today is not the evolution of a democratic
system, but the ugly face of new-style colonialism. Worst of all,
ambitious would-be nation-builders apparently see the Bosnia
intervention as a template for similar missions in the Balkans and
beyond.

The same pattern of media control, for example, is already emerging in
Kosovo. NATO forces shut down one Albanian-language newspaper in
Pristina, the capital of Kosovo, for publishing a story contending that
the peacekeeping force was biased in favor of the Serbs. Another was
threatened with a fine and closure for having the temerity to describe
KFOR, the NATO-led peacekeeping force, as an occupying army. Political
correctness reigns supreme in Kosovo, with international officials
decreeing that one-third of the candidates for the recent municipal
elections must be women.

The nation-building effort in the Balkans may have begun as a
well-meaning attempt by Western leaders to help construct pluralistic,
democratic societies from the ruins of civil war. The results, however,
confirm Lord Acton's observation that absolute power corrupts
absolutely. Regardless of the initial motives, the international
missions in Bosnia and in Kosovo have turned into a mockery of
democratic principles.
 

Ted Galen Carpenter Is Vice President for Defense and Foreign Policy
Studies at the Cato Institute and the Editor of "Nato's Empty Victory: a
Post-mortem on the Balkan War."

---

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Dear friends,

This article (28.000 signs) “Nato syndrome: weapons, profits and lies”
contains:

- a summary for a large public of the D.U. case. Based on a very good
new French book “La sale guerre propre” (The dirty clean war) by
Christine Abdelkrim-Delanne. She made investigation in France since 1996
and helped organize the French soldiers in the association Avigolfe. Her
revelations forced minister Alain Richard to many "turns".
- revelations about the production and use of D.U. by France
- how French army tried to make silence about its dead and sick soldiers

- the story of those who engaged this struggle
- criticism against Belgian officials
- relations with the other “medialies” of the Nato
- what we should demand to make justice
- useful books, videos and sites

-- Michel Collon

1. English, Spanish and Italian versions should be available soon.
2. We send it not in attachment. If you want you may receive a word
version.
3. For publication, please contact author: michel.collon@...

Le "Syndrome de l’Otan" : armes, profits et mensonges

Qui cache depuis dix ans les dangers de l’uranium appauvri et pour quels
intérêts?
Après des années de souffrances, des soldats belges déposent plainte
contre leur gouvernement. Mais pourquoi l’Otan cache-t-elle la vérité
depuis dix ans? Si le scandale de l’uranium éclate enfin, c’est grâce à
la lutte acharnée menée depuis dix ans - aux USA, puis en
Grande-Bretagne et en France - par des associations de soldats victimes
et par une poignée de scientifiques et de militants courageux. Dont
Christine Abdelkrim-Delanne qui vient de publier La Sale Guerre propre .
Historique de ce combat.
MICHEL COLLON

26.000 soldats US souffrent
de "maladies inconnues"

"J’ai été blessé le 26 février 1991 par un “tir ami” impliquant des
munitions à l’uranium appauvri, raconte Jerry Wheat (3ème division
blindée US dans le Golfe). En octobre, j’ai ressenti des douleurs
abdominales violentes. J’ai quitté l’armée. J’ai envisagé de me suicider
car il n’y avait aucune réponse et aucun traitement. On m’a dit que ma
maladie n’était pas réelle, que c’était dans ma tête. Notre gouvernement
devrait arrêter d’utiliser l’uranium appauvri. S’il ne le fait pas,
qu’il assure au moins le suivi médical de ceux qui en ont besoin.
Souvenez-vous, ce triste héritage des fautes du gouvernement n’est pas
nouveau. Il y a environ 50 ans, des Vétérans ont été utilisés comme
cobayes humains pour les essais nucléaires. Puis le gouvernement a testé
le LSD sur d’autres. Puis ils ont utilisé l’agent orange au Vietnam."
Au retour de la guerre du Golfe, en 1991, de nombreux soldats
américains et britanniques constatent certains troubles: cancers,
maladies des poumons et de la peau, lésions cérébrales. Et malformations
monstrueuses chez des enfants nouveaux-nés.
On observe les mêmes pathologies dans la population irakienne, constate
le professeur Selma Al Taha, directeur d’un laboratoire de génétique:
"Depuis la guerre, nous enregistrons une augmentation importante de
malformations congénitales: hydrocéphalies (ndlr: gonflement du
cerveau), encéphalites, spina-bifida (ndlr: fermeture incomplète des os
de la colonne, privant la moëlle épinière de protection), mais aussi
malformations monstrueuses des bras et des jambes, absence de cœur et de
tête."
Son collègue Al Askri, spécialiste en médecine nucléaire, souligne "une
forte augmentation des problèmes de thyroïde et des cancers. Nous voyons
quotidiennement environ cinquante patients présentant un cancer." C’est
dans le sud, foyer intense de la guerre qu’on trouve le plus fort taux
de leucémie des enfants.
Une enquête scientifique approfondie et indépendante est indispensable
Les symptômes du "syndrome de la guerre du Golfe" étant très divers,
plusieurs causes possibles ont été avancées au fil des années: uranium
appauvri, vaccins imposés aux soldats, pesticides, bombardement d’usines
chimiques… Complexe, la question nécessiterait une recherche
scientifique approfondie et coûteuse. Les Etats-Unis et l’Otan nient
tout lien avec l’uranium appauvri ou toute faute de leur part. Mais
c’est justement leur refus d’entreprendre cette recherche scientifique
qui leur a permis de nier le syndrome du Golfe depuis dix ans.
Pourtant, l’armée américaine a dû reconnaître récemment que 132.749
anciens combattants étaient "inaptes au service" dont 20% atteints de
"maladies inconnues". Mais elle rejette toutes les études notamment du
très officiel département des Vétérans ou du centre de recherche des
forces navales de San Diego, et s’obstine à prétendre qu’il s’agit de
"victimes du stress de guerre".



Qui ne cherche rien, ne trouve rien

Malgré l’obstruction systématique de l’armée US, la vérité va faire
lentement son chemin… Le 7 mai 1991, le professeur allemand Sigwart
Gunther découvre des débris de projectiles de formes et de poids
bizarres sur l’autoroute, dans le désert irakien. "J’ai vu des enfants
jouer avec ça. J’ai appris qu’une petite fille qui en possédait était
morte de leucémie." Quatre instituts allemands différents y découvrent
une radioactivité énorme. La police saisit et fait disparaître le
projectile, mais ne peut empêcher Gunther de sonner l’alerte. Peu
entendue, hélas.
En 1992, une étude du Bureau d’évaluation technologique du Congrès US,
constate que, sur 148 tués officiellement reconnus, 34 l’ont été par des
"tirs amis". Et conclut: "Impossible de prévoir le nombre de décès
ultérieurs parmi les soldats portant des éclats d’uranium appauvri dans
leur corps".
Serait-ce pour cela que l’armée US aurait, après la guerre, ramené en
secret aux USA des matériels américains et irakiens contaminés? En tout
cas, en janvier 92, sous la pression des associations de vétérans, le
Bureau d’investigation du Congrès américain lance une enquête. Et en
mars, le service de santé de l’armée recommande d’identifier les soldats
portant des éclats dans leur corps "pour observer et cataloguer les
signes de toxicité rénale chronique et de cancer". Mais pendant cinq
ans, le nombre de soldats contaminés ne sera jamais publié.
L’armée US en flagrant délit de mensonges répétés
Systématiquement, l’armée US cache les informations alarmantes. Ainsi,
cinq mois après la fin de la guerre, un incendie fait rage durant six
heures à la base US de Doha, près de Koweït City, détruisant 4 chars
Abrams, 660 obus de 120 mm et 9.720 de 25 mm, tous chargés en munitions
à l’uranium appauvri. 3.500 soldats sont présents et on détecte une
contamination supérieure aux normes admises. Une note précisant le
danger d’inhaler des particules n’est pas distribuée au personnel qui
nettoiera le hangar sans aucune protection, buvant même l’eau d’un
jerrycan proche. Mais à la fin de la journée, des officiers viennent
coller des étiquettes “radioactivité” sur les débris de munitions. Et
deux mois plus tard, les équipes chargées de décontaminer porteront
toutes des masques, gants et combinaisons de protection.
Pendant sept ans aussi, l’armée US refusera de révéler combien de
soldats ont été contaminés parmi les équipes chargées de réparer - sans
protection - les véhicules de combat endommagés par les “tirs amis”.
Depuis 1992, Vétérans et autorités US se sont livrés à une bataille de
chiffres. Jusqu’en mars 98, le Pentagone maintient que la contamination
à l’uranium ne concerne que 35 personnes. Mais des documents secrets
déclassifiés permettent au chercheur Dan Fahey d’obliger le Pentagone à
reconnaître publiquement son “erreur”: il y en aurait 113. Au moins.
La détermination des Vétérans a été l’élément décisif pour contrer la
mauvaise foi des autorités américaines qui, aujourd’hui encore, ne
cherchent qu’à gagner du temps et semer le doute. Ce que Fahey résume
ainsi: "Qui ne cherche rien, ne trouve rien".


Deux femmes admirables, Sara et Carol, ont lancé la résistance

Sara Flounders est cofondatrice de l’International Action Center, une
organisation présidée par Ramsey Clark (ex-ministre américain de la
Justice) qui lutte contre toutes les guerres impérialistes des
Etats-Unis: Vietnam, Grenade, Panama, Nicaragua, Libye, Somalie et bien
sûr la guerre du Golfe.
Dès 1992, Sara Flounders auditionne plus d’une centaine de soldats et
commence les premières recherches sur le lien avec l’uranium. En 1997,
dans son livre Metal of Dishonour (Le Métal de la honte), elle publie un
des premiers témoignages de Vétérans: "J’étais volontaire par
patriotisme, raconte Carol H. Picou, je voulais aider. Infirmière
militaire, j’étais dans le premier hôpital de campagne à entrer en Irak
(…) dans le désert irakien. Il y avait des munitions partout, des obus,
des bunkers soufflés, et notre unité médicale de 150 personnes a
traversé tout cela sans aucune protection. Nous étions sept femmes. Nous
sommes toutes malades. D’autres membres de l’unité sont morts. Les chars
(irakiens) étaient brûlés et les corps carbonisés. Je n’avais jamais vu
une chose pareille. J’ai arrêté mon véhicule et j’ai pris des photos.
J’étais très inquiète. Nous nous sommes dits: “C’est la route de
l’enfer.” On ne nous avait pas avertis de la contamination.
"Je ne pouvais plus contrôler mes intestins, ni mon sphincter"
En Irak, j’ai commencé à remarquer des taches noires sur ma peau. Je
sentais un changement en moi. Je ne pouvais plus contrôler mes
intestins, ni mon sphincter. Ils m’ont dit que c’était mécanique et que
je devrais faire des examens en rentrant. A mon retour, j’ai commencé à
poser des questions et j’ai eu peur pour ma carrière militaire. Un
“Vétéran atomique (ndlr: c’est ainsi que l’on nomme les 250.000 soldats
– chiffres américains officiels – irradiés durant les expériences
nucléaires américaines entre 1942 et 1963) m’a dit que j’étais
empoisonnée par l’uranium appauvri. Un médecin civil a diagnostiqué:
encéphalopathie due à l’exposition à une substance toxique, anomalies du
système immunitaire, etc.
L’armée n’a retenu pour mon invalidité que “l’incontinence urinaire et
intestinale d’origine inconnue“. On m’a licenciée, on m’a évidemment
supprimé mon assurance maladie militaire. En février 94, un contrôle a
révélé la présence d’uranium. Je suis allée à Washington et je me suis
publiquement exprimée. Aujourd’hui, j’ai un grave problème de mémoire.
J’ai une encéphalopathie d’origine toxique, une détérioration de la
thyroïde, une dégradation musculaire. Je souffre d’incontinence de la
vessie et des intestins et je ne peux pratiquement plus me servir de mes
mains et de mes pieds. Le bébé d’un membre de notre unité est né sans
oreilles, sans yeux et le cœur à droite."
Depuis lors, Carol a beaucoup témoigné à travers le monde. Son courage,
ainsi que l’action de Sara Flounders et de l’International Action Center
ont fait reculer le mur du silence.



Encore une histoire de fric?

A qui profite le crime? Qui a intérêt à ce qu’on emploie des tonnes
d’uranium appauvri?
En septembre, un colonel de l’armée yougoslave, chargé de l’enquête sur
les sites bombardés par l’Otan et de la protection des soldats, me
disait qu’il existe des métaux autant ou plus performants pour percer
les blindages que l’uranium appauvri. Mais l’employer permet de résoudre
l’épineux problème du traitement de ces déchets nucléaires (qui restent
radioactifs pendant des milliards d’années). L’industrie nucléaire
transformerait donc certains pays - et certains peuples - en poubelles
nucléaires.
N’étant pas expert, je ne peux juger des “mérites” des divers
composants possibles. Il serait important que des chercheurs honnêtes et
indépendants creusent cet aspect. Quand on voit employer des armes aussi
criminelles, ne faut-il pas chercher quels intérêts se cachent derrière?

La faute aux vaccins? A la pilule anti-sommeil? Ou au business?
Diverses hypothèses tentent d’expliquer le "syndrome du Golfe et des
Balkans"… Selon Pamela Asa, chercheur en biologie nucléaire, l’armée US
aurait clandestinement introduit une substance non autorisée, le
squalène, dans le cocktail de vaccins administrés à ses soldats.
Réaction? D’abord, l’armée US nie que ses laboratoires disposent de
squalène. Puis, elle admet son utilisation mais après la guerre. Enfin,
elle avoue l’avoir expérimenté avant la guerre, mais refuse d’ouvrir ses
archives. Or, une enquête du Congrès américain montre que le nombre de
vaccinés est septante fois supérieur aux chiffres officiels. Les soldats
auraient servi de cobayes pour des tests secrets.
Même accusation contre l’armée française. Ses comprimés de
pyridostigmine (prévention contre les gaz de combat) auraient été
imposés aux soldats sans autorisation légale, malgré leurs dangereux
effets secondaires. Aux USA, ce produit n’a toujours pas obtenu
l’autorisation de la Food and Drug Administration.
Autre suspect: le Canard enchaîné a découvert que "dans le plus grand
secret, l’état-major français a expérimenté une pilule anti-sommeil
alors interdite à la vente". 14.000 boîtes de Modafinil, acheminées sous
un faux nom en refusant de dire aux soldats ce qu’ils avalaient
(beaucoup refusèrent). Une telle pilule magique anti-fatigue promet
évidemment de juteux bénéfices. Mais la loi française interdit, sous
peine de prison, tout test pratiqué sans informer le sujet de la nature
du produit et des risques. L’armée française se serait-elle mise hors la
loi pour servir de gros intérêts financiers?
Le livre d’Abdelkrim examine encore divers suspects dont un pesticide.
Que conclure? D’abord, que la conspiration du silence, organisée par les
Etats-Unis et l’Otan, est responsable de cette incertitude qui exacerbe
l’angoisse des victimes. Deuxièmement, que les symptômes des soldats
occidentaux pourraient provenir de différents facteurs: uranium,
vaccins, médicaments spéciaux ou pollutions locales. Mais, dans chacun
de ces cas, ce livre démontre que les armées occidentales ont utilisé
des produits dangereux en cachant les risques. Elles s’accrochent donc à
la théorie des “malades dans leur têtes”, car toute enquête révélerait
des fautes gravissimes. Troisièmement, les populations d’Irak et des
Balkans n’ont pas reçu ces vaccins ou autres produits, c’est donc bien
l’uranium qui cause ces cancers et ces malformations monstrueuses, il
faut donc interdire sur le champ cette arme criminelle.


Ils savaient, et ils n’ont rien dit

Quatre mois avant la guerre du Golfe, l’état-major US diffuse des
“Consignes en cas d’accident de transport des munitions à l’uranium
appauvri”. Révélatrices:
"Si les emballages sont endommagés, ils doivent être remplacés avant de
poursuivre le transport. Un contrôle de contamination radioactive doit
être effectué. S’ils sont contaminés, ils doivent être décontaminés
selon les méthodes décrites au chapitre 7 …" On notera que ces mesures
strictes visent un accident de transport, même pas une explosion! Il y
avait donc bien un danger grave?
Bien sûr, et ils le savaient. Le 22 juillet 1990, le lieutenant-colonel
Ziehm avait écrit dans un rapport officiel: "Il y a eu et il continue
d’y avoir une inquiétude quant à l’impact de l’uranium appauvri sur
l’environnement. Si personne ne doute de l’efficacité de l’UA sur le
champ de bataille, ces munitions peuvent devenir politiquement
inacceptables et susceptibles d’être, en conséquence, retirées de
l’arsenal." ( p 202). C’est donc en parfaite connaissance et pour éviter
la protestation que les dirigeants militaires US ont organisé la
conspiration du silence!
Pourquoi a-t-on licencié Asaf Durakovic?
Cette conspiration dure toujours. Asaf Durakovic, professeur de médecine
nucléaire, chargé d’examiner les soldats du 144e New Jersey Transport
Corps, en avait envoyé 24 à la clinique des Vétérans de Boston. Les
recherches avançaient, mettant en évidence des traces de radioactivité.
Brutalement, ses dossiers et échantillons sont détruits et, en février
97, son poste est supprimé pour “raisons budgétaires”. A la même époque,
les docteurs Burroughs et Slingerlan perdent aussi leur poste pour avoir
demandé du matériel de recherche performant. Durakovic écrira à Clinton
pour "dénoncer le complot dont sont victimes les Vétérans". Sans
réponse.
Mais en Europe aussi, la protestation s’organise. A Manchester, en
janvier 99, un ensemble d’ONG lancent une grande campagne d’information.
Et certains pays finissent par s’inquiéter. En août, le ministre
finlandais de l’Environnement organise une équipe d’enquête au Kosovo.
L’Otan refuse de collaborer, mais l’équipe persévère et conclut que les
risques sont sérieux. En novembre, le gouvernement italien approuve une
note très critique. En Belgique, une série d’articles de Frédéric Loore
fait grand bruit dans le Journal du Samedi. Le ministre Flahaut tente
d’abord de minimiser, puis doit reculer…
Messieurs nos ministres, que saviez-vous exactement?
Monsieur le ministre Flahaut, quand dites-vous la vérité? En octobre 99
et en février 2000, vous affirmez "ne pas être au courant de risques de
santé pour les militaires après des opérations dans les Balkans". Mais
le 7 janvier 2001, vous reconnaissez que l’Otan avait averti des risques
et que vous avez fait discrètement effectuer des tests d’urine à leur
retour! Selon le syndicaliste Marc De Ceulaer, les avertissements de
l’Otan n’ont pas été portés à la connaissance du public car il s’en
serait suivi un mouvement contre l’envoi de soldats en Bosnie. Tout ceci
exige un débat pour établir la vérité.
De deux choses l’une. Ou bien les ministres belges successifs n’ont pas
été informés par les Etats-Unis des dangers de l’uranium appauvri. Et
alors la Belgique ne devrait-elle pas quitter une organisation qui
méprise à ce point la vie humaine, y compris de ses propres soldats? Ou
bien ils étaient au courant, et dans ce cas ne devraient-ils pas être
jugés pour complicité?



Paris et Londres produisent aussi des armes à l’uranium. Et ont aussi
étouffé la vérité.

En 1993, la petite anglaise Kimberley Office meurt dès sa naissance de
malformations congénitales graves. Son père, soldat dans le Golfe, et sa
mère, soutenus par les associations de vétérans, forceront finalement
l’armée britannique à entamer une étude pilote en 1998. Résultat
officiel: rien.
Mais les autorités britanniques sont-elles fiables? Elles produisent ce
type d’armement depuis 1979, ont mis très longtemps à le reconnaître et
ont d’abord nié publiquement avoir utilisé des armes à l’uranium pendant
la guerre du Golfe.
Les autorités françaises ont longtemps nié produire ou utiliser ce type
d’armes. Illégales et condamnées par les Nations-Unies dans une
(discrète) résolution de 1996. Mais, en 1994, la revue française
pacifiste Damoclès relève la présence de déchets lors d’essais d’armes.
En 1998, elle révèle que Giat Industries produit 60.000 obus 120 mm à
l’uranium.
En 1998, Christine Abdelkrim-Delanne, l’auteur du livre récent La Sale
Guerre propre, interroge les autorités françaises. A-t-on analysé la
terre et l’eau dans les zones d’essai des armes à l’uranium? Le
personnel était-il protégé? Comment peut-on être certain qu’aucun soldat
français n’a été contaminé? Sans réponse.
En août 2000, le ministre de la Défense, Alain Richard, affirme encore
solennellement qu’aucun soldat français n’a été victime de munitions à
l’uranium dans le Golfe. Mais les soldats s’organisent et leur
association Avigolfe riposte en publiant une longue liste de soldats
malades ou décédés: Frédéric Bissérieix, décédé de tumeurs à 32 ans;
A.N., mort à 43 ans de cancer généralisé; M.C. décédé de lymphome, M.L.,
mort en 1992 d’un cancer du poumon… L’enquête démontre que les autorités
militaires ont, comme leurs collègues US, refusé de répondre aux
angoisses des soldats, de leur transmettre des dossiers médicaux
complets ou de mener des recherches sérieuses. Le livre d’Abdelkrim
épingle les nombreux mensonges et dissimulations du ministre Richard et
de l’armée.
A présent, certaines puissances européennes tentent de rejeter la faute
sur les seuls Etats-Unis et d’en profiter pour promouvoir leur projet
d’Euro-armée. Mais ils ont tous fait pareil.


L’embargo empêche de secourir la population irakienne

La tactique actuelle des médias pro-Otan est de limiter le débat aux
seuls soldats occidentaux. Mais en Irak, des millions de gens sont
menacés car une infime particule d’uranium inhalée suffit à détraquer le
système immunitaire. Et l’embargo empêche de les secourir. Un crime
après tant d’autres…
"Nous ramènerons l’Irak à l’âge de la pierre", avait annoncé le
président US George Bush. On a bombardé, en violation des conventions
internationales, de multiples sites civils: centrales électriques,
stations de pompage et d’épuration de l’eau, sites pétroliers, silos de
céréales, entrepôts alimentaires… Une cruauté délibérée. En octobre 90,
l’Institut de Washington pour le Moyen-Orient recommandait de frapper
"les stations de pompage et d’épuration des eaux de Bagdad sans
lesquelles la population urbaine devra passer plusieurs heures par jour
à chercher l’eau et à la purifier".
On a aussi bombardé, sans se préoccuper des effets sur l’environnement
et la santé, les sites militaires de production d’agents chimiques et
biologiques, les centrales nucléaires, les usines d’armements, les
complexes pétrochimiques et leurs produits hautement toxiques.
La liste des crimes commis est longue: usage des effroyables (et
illégales) “bombes à fragmentation” dont chacune sème des centaines
d’éclats meurtriers pour les populations, milliers de soldats irakiens
ensevelis vivants dans le désert, massacre de milliers de soldats en
fuite sur “l’autoroute de la mort”… Quinze ans après le Vietnam, l’armée
US ne fut nullement plus “civilisée”.
Mais le pire crime est certainement l’embargo. Aujourd’hui encore, tout
un peuple est privé des moyens de se nourrir et de se soigner. Ce
scandale doit cesser immédiatement! C’est dans la population irakienne
que l’uranium a fait le plus de victimes. Toute une génération est en
péril. Il faut d’urgence les secourir en finançant les recherches et les
soins nécessaires.
Christine Abdelkrim a visité l’Irak, cet "enfer empli de cris et de
souffrances" et son livre a le mérite de montrer que l’uranium appauvri
et l’embargo contre l’Irak sont deux aspects d’une même guerre barbare.
Menée par des gens pour qui la vie humaine ne compte pas.


Pour faire justice

L’ancien ministre Ramsey Clark (voir page 2) a bien défini ce qu’il faut
exiger:
"Les armes à l’uranium appauvri représentent une menace inacceptable
pour la vie, une violation de la loi internationale et une atteinte à la
dignité humaine. Pour sauvegarder le futur de l’humanité, nous exigeons
l’interdiction internationale inconditionnelle de la recherche, la
production, les essais, les transport, la détention et l’utilisation de
l’uranium appauvri à des fins militaires.
De plus, nous demandons que toutes ces armes et tous les déchets
radioactifs soient immédiatement isolés et stockés, que l’uranium
appauvri soit classé “substance radioactive à risque”, que les zones
contaminées soient nettoyées et que ceux qui ont été exposés puissent
recevoir des soins médicaux appropriés."

Et qui doit payer? Le principe “pollueur = payeur” n’est que simple
justice.
L’Otan, les firmes privées qui ont produit ces armements et les divers
gouvernements qui ont produit, utilisé ou laissé utiliser ces armes
doivent prélever sur leurs budgets militaires de quoi financer:
1. Des recherches scientifiques approfondies et indépendantes sur les
effets de l’uranium appauvri et sur les symptômes constatés.
2. Une campagne d’information des populations d’Irak, de Bosnie et de
Yougoslavie, ainsi que des soldats et autres personnels menacés.
3. Des mesures d’isolement immédiat des zones contaminées, ainsi que
d’évacuation et de traitement des déchets et équipements suspects.
4. Des soins de qualité et des dédommagements pour toutes les victimes:
populations locales ou soldats occidentaux.
5. Une commission d’enquête indépendante, constituée de personnalités
scientifiques non liées à l’industrie de l’armement ou à l’armée, afin
de rechercher les responsables des actes commis dans ces guerres et ceux
qui ont étouffé l’information sur les dangers de l’uranium.
De plus, le gouvernement belge arrêtera immédiatement, unilatéralement
et inconditionnellement toute politique d’embargo qui aggrave la
situation de la population irakienne et empêche de la secourir."




Pourquoi l’Otan ne respecte aucune vie…

A nouveau, l’Otan est prise en flagrant délit. Mais a-t-elle menti
seulement sur ses armes perverses et sa “guerre propre”? Ou aussi sur
ses véritables objectifs?
Souvenez-vous: les guerres contre l’Irak, en Bosnie ou contre la
Yougoslavie étaient toutes “humanitaires”. Mais aujourd’hui, le peuple
irakien reste soumis à un embargo impitoyable, rien n’est réglé en
Bosnie transformée en protectorat occidental corrompu et invivable
tandis qu’en Yougoslavie deux milles civils ont été tués par les
bombardements de l’Otan. Quant au Kosovo, il est ethniquement “nettoyé”
par ses protégés de l’UCK.
Et transformé en poubelle nucléaire. En octobre dernier, j’invitais à
Bruxelles Snezana Pavlovic, experte nucléaire de Belgrade, pour un grand
débat sur l’uranium. Cette Serbe nous a dit: "Notre gouvernement avait
prévu l’usage d’armes à l’uranium et organisé la protection des soldats
visés. En Serbie, les sites contaminés sont délimités et interdits
d’accès. Mais pas au Kosovo occupé où l’Otan nie tout danger. En fait,
ce sont surtout les civils albanais, particulièrement les enfants, qui
seront victimes de l’uranium."
De la santé des Albanais, l’Otan se foutait complètement. Et
aujourd’hui, le nombre de cancers augmente fortement au Kosovo. Ainsi
qu’en Bosnie. Par exemple, à Bratunac où se sont réfugiés les civils
serbes issus de zones bombardées par l’Otan en 95 dans les faubourgs de
Sarajevo, le cimetière est trop petit car, tous les trois jours,
quelqu’un meurt de cancer.
"Faisons la guerre pour vendre" (Bill Clinton)
Ce terrifiant constat d’échec amène à se demander: quels étaient leurs
véritables objectifs? En vérité, la guerre de l’Otan n’avait rien
d’humanitaire, avouait Bill Clinton (en privé) à la veille de la guerre:
"Si nous voulons des relations économiques solides, nous permettant de
vendre dans le monde entier, il faut que l’Europe soit la clé. C’est de
cela qu’il s’agit avec toute cette chose (sic) du Kosovo."
Un de ses proches confirmait: "Pour que la globalisation marche,
l’Amérique ne doit pas craindre d’agir comme la superpuissance
omnipotente qu’elle est. La main invisible du marché ne fonctionnera
jamais sans un poing caché. McDonalds ne peut être prospère sans
McDonnell Douglas, le constructeur de l’avion F-15. ." C’était donc
bien une guerre pour les superprofits des multinationales, pour briser
la résistance d’un pays prétendant garder une économie indépendante.
Pour ceux qui veulent dominer et exploiter le monde, une vie humaine ne
vaut rien. Ni celle des soldats américains ou européens, ni celle des
Irakiens, des Serbes et des Albanais, tous délibérément contaminés.
Voilà pourquoi Javier Solana, responsable hier de l’Otan et aujourd’hui
de la future Euro-armée, a organisé cet été le “secret défense” sur tous
les projets et analyses militaires européens. Provoquant la colère, mais
en vain, d’une majorité des europarlementaires privés de tout contrôle.
Est-ce aux peuples de juger s’il faut faire la guerre ou est-ce aux
multinationales et aux généraux? Monsieur Solana a répondu. Aujourd’hui,
nous payons les conséquences. Il faut arrêter l’Otan!



Pour (s’) informer:

* Christine Abdelkrim-Delanne, auteur de ce livre La sale guerre propre,
sera au Forum Festival Irak ce samedi 20 janvier, Passage 44, Bruxelles.
16 heures débat, 19 h spectacle (voir page XXXX).

* Débat à Tournai le 9 février, organisé par la coalition pour
l’interdiction des armes à l’uranium appauvri. A19h30, à l'EPI, 21rue
Duquesnoy. Avec Frédéric Loore, journaliste à l’origine des révélations
en Belgique et auteur de La
guerre invisible (sortie début février) et Pierre Pierart, professeur
honoraire de l'Université de Mons. Info: didier.caluwaerts@...
La Coalition peut vous fournir documentation et conférenciers partout en
Belgique. Elle prépare un grand débat avec des soldats victimes et des
experts à l’Université de Bruxelles le 15 février. Info: 02/ 511.63.10.
ou csotan@...

* Trois livres de Michel Collon exposent les médiamensonges du Golfe:
Attention, médias!, ceux de la Bosnie: Poker menteur et ceux du Kosovo:
Monopoly – L’Otan à la conquête du monde. Editions EPO. Diffusés
notamment à la Librairie Internationale 02 / 513.69.07.

* Le film Sous les Bombes de l’Otan – 15 Belges en Yougoslavie ( 43
minutes) révèle également des médiamensonges importants et le vrai
visage de la guerre dite “propre”. 350 FB. Diffusion: Ligue
Anti-Impérialiste, 68 rue de la caserne, 1000 Bruxelles, 02 / 504.01.40.

* La vidéo Otan, Kosovo et médias présente le seul débat contradictoire
accepté par Jamie Shea, porte-parole de l’Otan. Avec Olivier Corten,
professeur à l’ULB et Michel Collon, journaliste. Révélateur. Même
diffuseur.

* Le film La Guerre radioactive secrète du Français Martin Meissonnier
sera projeté au week-end Globalisation et santé, organisé par Médecine
pour le Tiers Monde le 4 février à 14h, à Dworp (Brabant). Avec Pierre
Piérart (Médecins pour la Prévention de la Guerre nucléaire) et le
docteur Colette Moelaert (Médecine pour le Tiers Monde) Infos et
inscriptions: tél. 02/504.01.47, fax 02/513.98.31, g3w@.... Ce
film, excellent pour introduire un débat, est disponible à l’asbl Projet
Vidéo: 02 / 504.01.56.

* Sites utiles: www.lai-aib.org/balkans WWW.STOPNATO.ORG.UK
www.emperors-clothes.com

* Solidaire prépare plusieurs dossiers et témoignages exclusifs sur
l’uranium. Michel Collon prépare un film documentaire sur la situation
générale au Kosovo. Infos et réactions: michel.collon@...

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Bollettino di controinformazione del
Coordinamento Nazionale "La Jugoslavia Vivra'"
Sito WEB : http://digilander.iol.it/lajugoslaviavivra

I documenti distribuiti non rispecchiano necessariamente le
opinioni delle realta' che compongono il Coordinamento, ma
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