(italiano / english)

The War Lovers (Gli innamorati della guerra)

di John Pilger

(Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)

25 marzo 2006

Ho imparato che gli innamorati della guerra, nelle situazioni
effettive di guerra, di solito sono inoffensivi, eccetto che verso se
stessi. Sono stati affascinati dal Vietnam e dalla Cambogia, dove le
droghe erano abbondanti. La Bosnia, con la sua roulette di morte, è
stata un'altra prediletta. Alcuni potrebbe dire di essersi trovati in
quei posti "per raccontare al mondo"; quegli onesti potrebbero dire
che amavano quelle situazioni. "La guerra è divertente!", così uno di
questi aveva tatuato sul suo braccio. C'è rimasto su una mina.

Qualche volta ricordo questi quasi irresistibili sciocchi, quando mi
trovavo faccia a faccia con un altro tipo di amante della guerra, il
tipo che non vedeva la guerra e che spesso faceva il possibile per non
vederla.

La passione di questi amanti della guerra è un fenomeno; non si
affievolisce mai, indifferentemente dalla distanza dall'oggetto del
loro desiderio. Compri i giornali della domenica e li ritrovi,
egocentrici della loro poco dura esperienza, altro che un "Sabato da
Sainsbury's". Apri la televisione e ci sono ancora, notte dopo notte,
intonando non tanto il loro amore per la guerra, ma salmodiando su di
essa con la loro parlantina da venditori, in mezzo alla corte di
coloro a cui sono stati destinati. "Non vi sono dubbi," asseriva Matt
Frei, l'uomo della BBC in America, "che il desiderio di portare il
bene, di portare i valori Americani al resto del mondo, e specialmente
ora al Medio Oriente... è attualmente collegato strettamente alla
potenza militare."

Frei dichiarava questo il 13 aprile 2003, dopo che George W. Bush
aveva scatenato l'operazione "Shock and Awe – Colpisci e Terrorizza"
contro un Iraq privo di difese.

Due anni più tardi, dopo che un esercito di occupazione aggressivo,
razzista, addestrato in modo deplorevole, e poco disciplinato, aveva
portato i "valori Americani" di settarismo, squadroni della morte,
attacchi chimici, attacchi con proiettili ad uranio, e bombe a
frammentazione, Frei descriveva il famoso 82.esimo Aviotrasportato
come "gli eroi del Tikrit."

L'anno scorso, lodava Paul Wolfowitz, architetto della carneficina in
Iraq, come "un intellettuale" che "crede appassionatamente nella
potenza della democrazia e nello sviluppo popolare."

Anche per l'Iran, Frei andava ben al di là degli eventi storici. Nel
giugno 2003, lui così informava gli spettatori della BBC: " Per di
più, in Iran vi può essere il caso di un cambio di regime."

Ma quanti uomini, donne, bambini, verranno uccisi, mutilati o
diventeranno pazzi, se Bush attaccherà l'Iran? La prospettiva di
un'aggressione è particolarmente eccitante per questi innamorati della
guerra, comprensibilmente delusi dal corso degli eventi in Iraq.


"L'inimmaginabile, ma ultimamente inevitabile, verità," così ha
scritto il mese scorso Gerard Baker nel Times, "è che noi dobbiamo
apprestarci a sostenere una guerra con l'Iran... Se l'Iran raggiunge
sicuro ed indisturbato una solida posizione nel campo nucleare, sarà
un momento cruciale nella storia del mondo, più della rivoluzione
Bolscevica, più dell'ascesa al potere di Hitler."

Questo ci suona familiare? Nel febbraio 2003, Baker scriveva che "la
vittoria [in Iraq] immediatamente giustificherà gli allarmi lanciati
dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna sulla misura della minaccia
costituita da Saddam."

"L'ascesa al potere di Hitler" è un grido di guerra degli amanti della
guerra. Si era sentito nel 1999 (Blair) prima della "crociata morale
per salvare il Kosovo" da parte della NATO, un modello per l'invasione
dell'Iraq. Nell'aggressione contro la Serbia, il 2 % dei missili NATO
colpivano obiettivi militari; il resto andava a colpire ospedali,
scuole, industrie, chiese, e studi radio-televisivi. Facendo da cassa
di risonanza a Blair e alla nidiata di funzionari di Clinton, i mezzi
di informazione di massa, tutti in coro, affermavano che "noi"
dovevamo bloccare "qualcosa che assomigliava ad un genocidio" in
Kosovo, come scriveva nel 2002 Timothy Garton Ash nel Guardian. "Echi
di Olocausto" si leggeva sulle prime pagine del Daily Mirror e del
Sun. L'Observer avvertiva di una "Soluzione Finale Balcanica".

La recente morte di Slobodan Milosevic ha fatto perdere il sentiero
della memoria agli amanti della guerra e a coloro che la danno a bere
sulle guerre. Curiosamente i termini "Genocidio", "Olocausto" e
"Arrivo al Potere di Hitler" ora sono scomparsi, per la veramente
buona ragione che, come il frastuono di tamburi aveva fatto strada
all'invasione Irachena e sta ora guidando all'aggressione contro
l'Iran, si trattava di tante cazzate. Non di interpretazioni false.
Non di errori. Non di sbagli grossolani. Solo cazzate!

Veniva detto, "Le fosse comuni in Kosovo sono la giustificazione di
tutto". Dopo che erano avvenuti i bombardamenti, squadre
internazionali di medici legali hanno sottoposto il Kosovo ad
esplorazioni minuziose. L'FBI era arrivata per investigare su quella
che veniva definita "la scena del crimine più grande nella storia
legale dell' FBI". Diverse settimane più tardi, non avendo trovato
nemmeno una fossa comune, l'FBI e altre organizzazioni legali se ne
ritornavano a casa.

Nel 2000, il Tribunale Internazionale per i Crimini di Guerra
annunciava che il conto finale dei corpi trovati in Kosovo in "fosse
comuni" era di 2.788. Questi comprendevano Serbi, Rom, e quelli che
erano stati uccisi dai "nostri" alleati, il Fronte di Liberazione del
Kosovo (UCK). Questo significava che la giustificazione per
l'aggressione contro la Serbia, ("225.000 uomini di etnia Albanese di
età compresa fra i 14 e i 59 anni sono scomparsi, presumibilmente
ammazzati": questo aveva affermato l'ambasciatore-a-disposizione David
Scheffer), era una falsità.
Per mia conoscenza, solo il Wall Street Journal ammetteva questo. Un
ex pianificatore di alto grado della NATO,Michael McGwire, scriveva
che "definire il bombardamento come un intervento umanitario risulta
veramente grottesco." Infatti, la "crociata "della NATO era l'atto
finale, calcolato, di una lunga guerra di logoramento con l'obiettivo
di annullare persino l'idea di Jugoslavia.

Per me, una delle più odiose caratteristiche di Blair, e di Bush, e di
Clinton, e della loro corte di giornalisti zelanti o truffaldini, è
l'entusiasmo di uomini (e donne) esauriti, sedentari, per gli
spargimenti di sangue ai quali non hanno mai assistito, per i pezzi di
corpi, che non hanno mai visto, e sui quali non hanno mai vomitato per
lo schifo, per gli obitori con montagne di cadaveri accatastati che
non hanno mai visitato, alla ricerca di uno che si amava.

Il loro ruolo è quello di far rispettare vite parallele di verità mai
pronunciate e di pubbliche menzogne. Milosevic era un pesciolino di
acqua dolce rispetto ai pescecani, killers a scala industriale, alla
cui categoria Bush e Blair appartengono.


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© Copyright John Pilger, New Statesman, 2006

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March 23, 2006

The War Lovers

by John Pilger

The war lovers I have known in real wars have usually been harmless,
except to themselves. They were attracted to Vietnam and Cambodia,
where drugs were plentiful. Bosnia, with its roulette of death, was
another favorite. A few would say they were there "to tell the world";
the honest ones would say they loved it. "War is fun!" one of them had
scratched on his arm. He stood on a land mine.

I sometimes remember these almost endearing fools when I find myself
faced with another kind of war lover – the kind that has not seen war
and has often done everything possible not to see it. The passion of
these war lovers is a phenomenon; it never dims, regardless of the
distance from the object of their desire. Pick up the Sunday papers
and there they are, egocentrics of little harsh experience, other than
a Saturday in Sainsbury's. Turn on the television and there they are
again, night after night, intoning not so much their love of war as
their sales pitch for it on behalf of the court to which they are
assigned. "There's no doubt," said Matt Frei, the BBC's man in
America, "that the desire to bring good, to bring American values to
the rest of the world, and especially now to the Middle East … is now
increasingly tied up with military power."

Frei said that on April 13, 2003, after George W. Bush had launched
"Shock and Awe" on a defenseless Iraq. Two years later, after a
rampant, racist, woefully trained, and ill-disciplined army of
occupation had brought "American values" of sectarianism, death
squads, chemical attacks, attacks with uranium-tipped shells and
cluster bombs, Frei described the notorious 82nd Airborne as "the
heroes of Tikrit."

Last year, he lauded Paul Wolfowitz, architect of the slaughter in
Iraq, as "an intellectual" who "believes passionately in the power of
democracy and grassroots development." As for Iran, Frei was well
ahead of the story. In June 2003, he told BBC viewers: "There may be a
case for regime change in Iran, too."

How many men, women, and children will be killed, maimed, or sent mad
if Bush attacks Iran? The prospect of an attack is especially exciting
for those war lovers understandably disappointed by the turn of events
in Iraq. "The unimaginable but ultimately inescapable truth," wrote
Gerard Baker in the Times last month, "is that we are going to have to
get ready for war with Iran. … If Iran gets safely and unmolested to
nuclear status, it will be a threshold moment in the history of the
world, up there with the Bolshevik revolution and the coming of
Hitler." Sound familiar? In February 2003, Baker wrote that "victory
[in Iraq] will quickly vindicate U.S. and British claims about the
scale of the threat Saddam poses."

The "coming of Hitler" is a rallying cry of war lovers. It was heard
before NATO's "moral crusade to save Kosovo" (Blair) in 1999, a model
for the invasion of Iraq. In the attack on Serbia, 2 percent of NATO's
missiles hit military targets; the rest hit hospitals, schools,
factories, churches, and broadcasting studios. Echoing Blair and a
clutch of Clinton officials, a massed media chorus declared that "we"
had to stop "something approaching genocide" in Kosovo, as Timothy
Garton Ash wrote in 2002 in the Guardian. "Echoes of the Holocaust,"
said the front pages of the Daily Mirror and the Sun. The Observer
warned of a "Balkan Final Solution."

The recent death of Slobodan Milosevic took the war lovers and war
sellers down memory lane. Curiously, "genocide" and "Holocaust" and
the "coming of Hitler" were now missing – for the very good reason
that, like the drumbeat leading to the invasion of Iraq and the
drumbeat now leading to an attack on Iran, it was all bullsh*t. Not
misinterpretation. Not a mistake. Not blunders. Bullsh*t.

The "mass graves" in Kosovo would justify it all, they said. When the
bombing was over, international forensic teams began subjecting Kosovo
to minute examination. The FBI arrived to investigate what was called
"the largest crime scene in the FBI's forensic history." Several weeks
later, having found not a single mass grave, the FBI and other
forensic teams went home.


In 2000, the International War Crimes Tribunal announced that the
final count of bodies found in Kosovo's "mass graves" was 2,788. This
included Serbs, Roma, and those killed by "our" allies, the Kosovo
Liberation Front. It meant that the justification for the attack on
Serbia ("225,000 ethnic Albanian men aged between 14 and 59 are
missing, presumed dead," the U.S. ambassador-at-large David Scheffer
had claimed) was an invention. To my knowledge, only the Wall Street
Journal admitted this. A former senior NATO planner, Michael McGwire,
wrote that "to describe the bombing as 'humanitarian intervention'
[is] really grotesque." In fact, the NATO "crusade" was the final,
calculated act of a long war of attrition aimed at wiping out the very
idea of Yugoslavia.

For me, one of the more odious characteristics of Blair, and Bush, and
Clinton, and their eager or gulled journalistic court, is the
enthusiasm of sedentary, effete men (and women) for bloodshed they
never see, bits of body they never have to retch over, stacked morgues
they will never have to visit, searching for a loved one. Their role
is to enforce parallel worlds of unspoken truth and public lies. That
Milosevic was a minnow compared with industrial-scale killers such as
Bush and Blair belongs to the former.