Mondiali di calcio

Sui Mondiali di calcio ed altre questioni, non tutte e non solo
"sportive", giriamo alcuni link ed un articolo - per conoscenza e
senza aggiungere nostri commenti. AM

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Mondiali: cronaca di una squadra che non c'è più

Un articolo del settimanale belgradese “Vreme” ripercorre le tappe
della ultra ottantenne storia calcistica della squadra jugoslava,
uscita definitivamente di scena con la sconfitta ai mondali

http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/5864/1/51/

Febbre da mondiali per la Croazia

[Drago Hedl] La febbre calcistica dilaga nel paese, facendo
dimenticare problemi sociali e aumenti dei prezzi. Metà governo in
Germania per la sfida con il Brasile, mezzo milione in ferie o
malattia per seguire le partite. Un paese in trance

http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/5842/1/51/

Mondiali di calcio: paura di rischiare

Alcuni giorni dopo l'avvio dei campionati mondiali di calcio un
editoriale tratto dal settimanale “Feral Tribune”. Come si stanno
comportando le squadre in campo? Nostra traduzione

http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/5835/1/51/

Mostar, un calcio alla convivenza

[Massimo Moratti] La Croazia perde con il Brasile e a Mostar si
scatena la guerriglia urbana. Obiettivo dei teppisti anche il liceo
multietnico della città. La tensione rimane alta, anche per
l'arresto, nelle scorse settimane, di tre croato-bosniaci accusati di
crimini di guerra

http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/5836/1/51/

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il manifesto
03 Giugno 2006

L'ultimo mondiale di una ex nazionale

Dopo il referendum che ha sancito la divisione tra i due paesi, la
Serbia-Montenegro affronta la Coppa del mondo provando a dimenticare
rancori e polemiche. Senza il leccese Vucinic messo ko da un
infortunio, la squadra è composta solo da giocatori serbi

Carlo M. Miele

Podgorica - Scendendo in campo il prossimo 11 giugno a Lipsia per
affrontare l’Olanda, Dejan Stankovic e compagni proveranno a far
finta di nulla. Indosseranno le consuete casacche azzurre e saranno
accompagnati dalla solita bandiera a strisce rosse, bianche e blu. Ma
quello che sta per iniziare, per i plavi non è un mondiale come un
altro. In Germania l'undici allenato da Ilija Petkovic si troverà,
infatti, nella paradossale condizione di rappresentare un paese che
non esiste più, formalmente cancellato dalle mappe con il referendum
dello scorso 21 maggio, che ha sancito l’indipendenza del Montenegro
e la fine dell’Unione con la Serbia.
Indietro (anche calcisticamente) non si torna, e dalla fine
dell’estate Belgrado e Podgorica dovranno formare due nazionali
distinte, in grado di partecipare separatamente alle qualificazioni
per i prossimi europei. A quell’appuntamento il piccolo Montenegro
(650mila abitanti contro gli 8 milioni della Serbia) promette di
arrivare preparato, con una squadra competitiva. La guiderà Mirko
Vucinic, l’attaccante del Lecce che fino a pochi giorni fa era
l’unico montenegrino a far parte della nazionale che in Germania se
la vedrà anche con Argentina e Costa d’Avorio. Poi un infortunio con
l’under 21 lo ha messo ko costringendolo a dare forfeit. L’ultima
avventura della Serbia-Montenegro sarà dunque un affare solo serbo.
L’obiettivo dichiarato comunque è quello di mettere da parte le
polemiche degli ultimi mesi e rispondere sul campo con una buona
prestazione. Della grande selezione iugoslava, vincitrice delle
Olimpiadi del ’60 e protagonista in tante edizioni mondiali, non vi è
più traccia, ma le premesse per ben figurare ci sono tutte. Il ct
Petkovic è riuscito a far dimenticare la precedente disastrosa
gestione (culminata con la mancata qualificazione agli europei del
2004) e ha ridato dignità internazionale alla selezione. Sulla via di
Berlino, i plavi hanno vinto il loro girone davanti alla Spagna. La
loro forza è la difesa (una sola rete subita a Madrid durante le
qualificazioni mondiali), oltre che un centrocampo guidato dal
capitano Stankovic con l’aiuto del «vecchio» Pedrag Djordjevic. In
attacco la promessa Zigic e Mateja Kezman. Quella allenata da
Petkovic, insomma, non è più una turbolenta miscela di campioni belli
e ingovernabili, come la Iugoslavia del ’90, ma un vero collettivo,
meno spettacolare forse, ma più concreto.

La vera incognita per la selezione di Belgrado sta proprio
nell’approccio psicologico. Il clima conflittuale che ha anticipato
il referendum in Montenegro, infatti, non ha risparmiato calciatori e
dirigenti. In tanti, hanno scelto di abbandonare il consueto
disinteresse per la politica che avvolge il mondo del calcio e hanno
dichiarato apertamente la propria scelta, unionista o indipendentista
che fosse. Il più agguerrito nel sostenere le proprie ragioni è stato
l’ex milanista Dejan Savicevic, attuale presidente della Federcalcio
di Podgorica. Messo da parte il calcio giocato e la brutta esperienza
sulla panchina della ex nazionale jugoslava, il «genio» di Budva ha
condotto una brillante carriera politica, fino a entrare nelle grazie
del discusso primo ministro montenegrino Milo Djukanovic. E si è
fatto portavoce dell’indipendenza dalla Serbia, arrivando a
minacciare le dimissioni nel caso in cui il referendum del 21 maggio
avesse sancito il mantenimento dell’Unione. «Vogliamo avere un nostro
Stato - aveva dichiarato alla stampa - perché il Montenegro è stato
un paese indipendente per secoli, prima di qualsiasi altro territorio
dell’ex Jugoslavia».

Di fatto, con le sue dichiarazioni Savicevic è diventato il simbolo
della frattura che sta segnando i rapporti tra i due paesi, e lo
stesso Montenegro al suo interno. I ventenni che hanno festeggiato
l’indipendenza in piazza della Repubblica a Podgorica lo considerano
un simbolo. Un emblema della fragile identità nazionale montenegrina,
seppellita sotto le macerie della Prima guerra mondiale e rimessa a
nuovo negli ultimi anni, un po’ forzatamente, per giustificare la
separazione da Belgrado. I serbi che vivono in Montenegro (circa il
30 per cento della popolazione totale) lo hanno bollato, invece, come
traditore e ingrato. Prima di darsi alla politica e diventare un
paladino del Montenegro indipendente, infatti, Savicevic ha militato
a lungo in nazionale (diventandone anche allenatore) e nella Stella
Rossa di Belgrado, la squadra capace di vincere una Coppa dei
campioni nel 1991 e di diventare il vero simbolo della Jugoslavia
plurinazionale, grazie ai suoi fuoriclasse serbi (Mihajlovic), croati
(Prosinecki), bosniaci (Sabanadzovic) e macedoni (Pancev).

La Federcalcio di Belgrado ha preferito non partecipare alla disputa
e ha fatto il possibile per blindare la squadra dalle polemiche.
Anche Petkovic - successore di Savicevic sulla panchina della
nazionale - dice di pensare solo al mondiale: «Abbiamo un eccellente
spirito di squadra. Si avverte chiaramente la disponibilità a
sacrificarsi per i compagni di squadra». Nel suo ruolo di ultimo ct
della Serbia-Montenegro unita non si sente a disagio. Al massimo, le
pressioni - non solo sportive - che continuano ad arrivare potranno
servire da ulteriore stimolo per i plavi: «Vogliamo rappresentare il
paese sul palcoscenico mondiale - risponde sicuro Petvovic a chi gli
chiede un commento- e dimostrare a tutti che la Serbia-Montenegro è
ancora viva».