http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=13491
La questione "rom"
di Adriano Ascoli
su Liberazione del 10/01/2007
Vista la crescente attenzione riguardo alla "vicenda rom", proponiamo
ai lettori un articolo del 25 marzo 1999, pubblicato da Liberazione
all'indomani dell'avvio della guerra contro la Federazione Jugoslava.
L'articolo è tratto da una intervista di Adriano Ascoli a un rom
jugoslavo riparato in un campo nomadi fiorentino.
A distanza di tanti anni da quella sciagurata aggressione militare, è
il caso di ricordare che la massiccia presenza rom in Italia è in
larga parte conseguenza annunciata di quella guerra non dichiarata,
ed illegale, qualcuno potrebbe definirla pure "eversiva", contro la
Federazione Jugoslava, ciò ha determinato gravi conseguenze sociali
sul nostro territorio che ora, a dispetto di facili rimozioni, stanno
assumendo centralità politica.
Il numero dei rom jugoslavi in Italia è andato aumentando di pari
passo con la destabilizzazione della rfsj, e con la "liberazione" del
Kossovo e l'instaurazione della dittatura terroristica criminale che
ad oggi continua a governarlo, grazie alla protezione delle forze
militari alleate, la quasi totalità dei rom kossovari ha dovuto
lasciare il proprio paese per riparare, in larga parte, proprio in
Italia. La prima volta che si ebbe a parlare sulla stampa italiana
dei rom del Kossovo, sfatando la falsa notizia di un Kosovo tutto
albanese, fu appunto in questo articolo del marzo 99.
Quella guerra, i cui risultati sono oggi così impietosi, fu anche
all'origine di altri drammi umani, con la malattia e la morte di
numerosi militari italiani e di un numero imprecisato di civili
jugoslavi (vedi http://italy.indymedia.org/news/2004/09/635576.php)
MARZO 99. ROM: GLI INNOMINATI DEL KOSOVO
Incontriamo Ferat in un bar vicino al suo campo "nomadi", uguale a
tanti altri campi in cui sono ammassati a centinaia nelle città
italiane. Commentiamo insieme il rapido precipitare degli eventi
nella Federazione Jugoslava. Conosciamo Ferat da tempo, ma mai
avevamo compreso come ora la pesantezza della menzogna sul Kosovo.
Con tono mite e pacato, ci racconta la sua storia.
Nato nella Croazia scappa con moglie e figli abbandonando casa e
lavoro, scacciato dalle autorità di quella Croazia che fa impallidire
per la somiglianza con i peggiori regimi fantoccio del periodo
nazista. Ripara in Kosovo, da profugo non viene accolto in un campo,
come accade da noi, ma in una casa costruita a metà, come molte case
in questa regione, già povera e ancor più indebolita dal successivo
embargo. Periodici sono i viaggi in Italia per comperare stracci e
vestiti da rivendere al mercato. Lui, come i suoi compagni di
sventura, non rientra in nessuna delle etichette etniche
pubblicizzate sui nostri mezzi di informazione: non è serbo, non è
neanche albanese, è rom (quelli che vengonp chiamati zingari e che
parlano un misto di serbo e sancrito). Dunque non è vero che in
Kosovo ci sono solo albanesi e una infima minoranza di serbi?
Ferat ci risponde che i numeri riportati dai nostri giornali non
corrispondono al vero e, senza nulla togliere agli albanesi, non
viene mai ricordato che oltre al noto 15% di serbi vi è una secolare
presenza della comunità rom e che la consistenza numerica degli
albanesi è inferiore di quanto ci viene fatto credere. La questione
dei numeri, quasi maniacale nei Balcani, merita la sua attenzione
perché su di essa si è costruita la politica e la storia di questa
regione. in Kosovo vi è una minoranza di albanesi cattolici e una
maggioranza di albanesi musulmani, una nutrita minoranza rom e una
minoranza turca entrambe musulmane, ed infine una minoranza serba di
religione ortodossa (o anche atea) originaria di questa terra da
oltre mille anni. Tutte le componenti musulmane, spiega Ferat, sono
state assimilate, forza della statistica e degli interessi che questa
deve servire, all'etnia albanese.
Un capolavoro che ha consentito di presentare la situazione kosovara
estremamente diversa da come è in realtà. Le etnie musulmane ma non
albanesi non hanno partecipato infatti in alcun modo ai fermenti
autonomistici, paventando proprio quella pulizia etnica di cui sono
sempre state vittime dalla disgregazione della Jugoslavia, unico
stato, insieme alla successiva federazione serbo-montenegrina, a
garantire loro cittadinanza e dignità (con diritti nettamente
superiori a quelli che noi concediamo loro). I dati su cui si basano
gli esperti sono invece relativi alla semiotica dei cognomi: a un
cognome musulmano corrisponde una croce nella casella "etnia
albanese". Restiamo sbigottiti da queste affermazioni, pronunciate in
modo semplice e defilato dal nostro interlocutore e chiediamo quale
sia stato il trattamento riservato dalle forze serbe a questi
musulmani, né albanesi né serbi, i rom del Kosovo, gli innominati di
questa crisi, ma Ferat non vuole perdersi in chiacchiere e taglia
corto: nella federazione jugoslava la comunità musulmana è
perfettamente integrata, accettata in Serbia come in Montenegro,
stati entrambi multietnici come fu la Jugoslavia di Tito. E le
repressioni contro la popolazione civile? Tutta la comunità,
sostiene, sa distinguere: "C'è la guerra e nella guerra la povera
gente soffre sempre". Ma la preoccupazione più forte è sempre stata
il nazionalismo razzista dell'Uck privo di qualsiasi rivendicazione
sociale, "non si sa neanche cosa vogliono fare con un nuovo stato, si
sa solo che deve essere albanese puro e che non ci saranno né serbi
né zingari". Ferat ci ricorda ancora come, nel paese che con maggior
forza seppe liberarsi dai nazisti, circa un anno orsono è stato
rinvenuto un forno crematorio (vi si bruciavano serbi e albanesi
"collaborazionisti"), e le recenti stragi ai mercati opera dell'Uck
per terrorizzare la stessa popolazione albanese e impedire un accordo
tra le parti più moderate. Una guerra di bassa intensità,
strisciante, andata avanti a lungo per destabilizzare il paese,
dividerlo ed annettere le zone minerarie dove si estraggono minerali
preziosi (come a Mitrovica) ad una grande Albania etnica e pura,
assoggettata agli Usa e all'Europa. Ecco ora La Guerra, vera e cruda,
ultima di un calvario di disgrazie.
Ferat è convinto: i serbi non lasceranno il Kosovo, terra sacra, con
le più belle e antiche chiese (come lo splendido monastero di
Gracanica), meta privilegiata di pellegrinaggio e culla della storia
e della cultura serba. Stiamo per chiudere la conversazione quando il
telegiornale annuncia il lancio dei primi missili "intelligenti".
Cala un silenzio gonfio di lacrime; una corsa al telefono del bar,
una voce risponde: "A Vuctrin i negozi sono chiusi, ma stiamo bene".
All'improvviso: "E' andata via la luce! Come proseguirà questa
nottata?".