L'operaio low cost e la "Fiat Bomba"

1) L' operaio low cost di Zastava: Con quei 400 euro sono rinato (E. Livini)

2) La Fiat Bomba / Le newco del mondo libero (A. Di Meo / A. Robecchi)


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L' operaio low cost di Zastava 

Con quei 400 euro sono rinato

KRAGUJEVAC - L' incubo di Mirafiori è un omone di un metro e 90 con una stretta di mano che fa scrocchiare le nocche: «Piacere Boris Djoric!» si presenta nell' anticamera del suo piccolo appartamento tra i casermoni di Stara Radnika Kolonija a Kragujevac, 140 km. a sud di Belgrado. Il cognome stampato con una vecchia Dymo sotto il campanello di casa sarebbe un altro. Ma lui strizza l' occhio: «Non ci faccia caso - dice - . Mi fido di lei e la ricevo solo perché mi è stato presentato da un carissimo amico». Messaggio ricevuto. «La prego di capirmi. Ho quasi cinquant' anni, fino a vent' anni fa non ci sarebbero stati problemi - spiega sprofondando in una vecchia poltrona - Lavoravo alla catena di montaggio di Zastava-Fiat. Prendevo 1.800 marchi (quasi mille euro) di stipendio al mese. E con mia moglie ci concedevamo il ristorante una volta alla settimana. Ma sa qual è adesso il più bel giorno della mia vita? Il 28 febbraio scorso. Quando ho finito il periodo di prova in Fiat Automobili Srbija. E, dopo aver buttato via due decenni della mia esistenza, ho ritrovato un posto di lavoro fisso». Stipendio? «Poco più di 400 euro, una fortuna che non posso permettermi di rischiare ora». Nell' era del «Dopo Cristo» dell' auto - per dirla con Sergio Marchionne - la felicità è una categoria soggettiva. A Mirafiori è allarme rosso per la decisione del Lingotto di spostare a Kragujevac la produzione della nuova monovolume del gruppo. Boris invece - l' operaio low cost che guadagna un quinto di quanto prendeva nel `90 - fa festa. «Capisco i miei colleghi italiani. Siamo tutti sulla stessa barca, spero alla fine ci sia lavoro per tutti. Ma per me è la fine di un incubo». La sua storia è quella del suo Paese. «Tutto è iniziato ad andare male con le sanzioni a inizio anni ' 90», racconta. Poi è arrivata la guerra. «Ho visto gli aerei Nato bombardare la fabbrica dove lavoravo. E nel ' 95 sono rimasto senza lavoro». Come altri 45mila qui a Kragujevac, orfani dello smantellamento del glorioso conglomerato serbo. «Come ho fatto a campare? Mi sono arrangiato - ricorda facendo ballare tra le mani una tazza di caffè - Ho vissuto per oltre 10 anni con un assegno mensile di 16mila dinari (150 euro) garantiti dallo Stato. Ho arrotondato vendendo metallo e macchinari recuperati delle fabbriche distrutte. Ho avuto qualche impiego saltuario nell' edilizia». Ristoranti zero. «In tavola ci sono stati solo pane e frittelle di grano per mesi. Ho tagliato le sigarette da 20 al giorno a due alla settimana». Una vita d' inferno: «Già nel ' 93 con mia moglie avevamo abbandonato il sogno di un figlio. Nel ' 97 mi hanno tagliato la corrente perché non pagavo le bollette. Due anni dopo ho lasciato casa mia, 120 euro d' affitto al mese, per trasferirmi in una baracca con i servizi di fortuna a 70. E solo tre anni fa il governo mi ha trasferito a 100 euro qui. E chiude un occhio se ritardo con i pagamenti». Il vento però è cambiato. Boris, i suoi affitti arretrati e la sua rassegnazione («trent' anni fa non mi sarei mai immaginato che la vita potesse andare indietro invece che avanti») sono un' occasione irripetibile per un capitale che insegue per il mondo la stella polare dei bassi costi. I politici di Belgrado e Veroljub Stevanovic, storico sindaco di Kragujevac e per 15 anni direttore di Zastava-Fiat, hanno cavalcato l' onda: «Eravamo, siamo e saremo la città dell' automobile. Eravamo, siamo e saremo figli della Fiat», dice il primo cittadino. Hanno messo sul piatto incentivi d' oro, benefici fiscali, 200 milioni di investimenti statali per risistemare la fabbrica (su un miliardo totale). E persino, ciliegina sulla torta, il progetto di un maxi-monumento alla Fiat: «Un' automobile su una piattaforma girevole nella seconda rotonda all' ingresso del paese, subito dopo il grande Crocefisso della prima rotonda», anticipa l'orgoglioso borgomastro [cfr. https://www.cnj.it/documentazione/orrori.htm ]. Sforzi che come dimostra il caso di Boris (e malgrado i 20mila disoccupati sui 200mila abitanti della città) iniziano a pagare. «Quando l' autunno scorso mi hanno convocato con i 3mila reduci di Zastava auto per i colloqui in Fiat ero emozionato come per un esame a scuola», racconta. Ha preso il suo foglio, risposto a quasi tutte le domande del test («di quelle di meccanica non ne ho sbagliata una». E quando a gennaio il Lingotto ha assunto le prime mille persone («saranno 2.500 quando nel 2012 produrremo 220mila auto l' anno, come vent' anni fa», dice soddisfatto il sindaco») Boris era nella lista. «Il giorno in cui me l' hanno detto ho chiamato mia moglie e per la prima volta dal ' 91 siamo usciti a cena». Salsicce, verdure e dolce con vista sul fiume Lepenica («una volta sapevamo di che colore stavano verniciando le auto dalla tinta dell' acqua», scherzano qui). Prezzo 900 dinari, nove euro. «Un mezzo tesoro per noi, ma dopo tanti guai». E' la legge dei vasi comunicanti. L' Italia e gli operai di Mirafiori rischiano di scendere la scala dei diritti sociali e del lavoro. Kragujevac e il suo operaio low-cost Boris ritornano a salire. «So che sono uno strumento, non sono stupido. Fiat è qui per guadagnare, non per migliorare la mia vita. Ci pagano poco, in fabbrica tra di noi ci lamentiamo. E magari tra 15 anni perderemo il lavoro a favore di una fabbrica a basso costo in Africa. Ma dopo tutto quello che ho passato non penso al domani. E mi tengo stretti i miei 400 euro. L' unico problema è che in Fiat non posso più fumare alla catena di montaggio come si faceva in Zastava». Qualcuno in Italia - buttiamo lì - sostiene che la scelta di Kragujevac per la monovolume sia solo una boutade di Marchionne per strappare concessioni a Mirafiori. Boris si irrigidisce sulla poltrona, trangugia l' ultimo sorso di caffè e guarda fuori dalla finestra, verso le gru gialle al lavoro per rinnovare lo stabilimento di Fiat Automobili Srbija. «Non ci voglio nemmeno pensare». Con quel che ha passato è difficile dargli torto.


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La Fiat Bomba

Nell’articolo di Alessandro Robecchi di domenica scorsa su “il manifesto”, “Le newco del mondo libero”, mancava all’elenco un modello di auto: la Fiat Bomba.
Questa potrebbe davvero essere prodotta in Serbia, proprio in quella fabbrica, la Zastava, distrutta dai bombardamenti del 1999. Ci racconta Rajka Veljovic, del sindacato Samostalni, che ormai non esiste più, messo all’angolo e lasciato senza i secondi...
“Nel 99 fummo uniti a difendere la Zastava. Stavamo dentro, invitammo le maggiori testate televisive europee per dire che non avremmo abbandonato quella che era la nostra seconda casa. Ma ci bombardarono lo stesso.”
L’intera intervista è riportata nel film-documentario “L’urlo del Kosovo”, che in questi giorni esce unitamente al libro di cui Tommaso Di Francesco ha scritto appassionata recensione il 23 luglio [cfr. http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/6808 ].
Quella che era la Torino dei Balcani, la città jugoslava di Kragujevac e quella che era la Fiat dei Balcani, la Zastava, furono bombardate senza nessun tipo di remora o ritegno, il giorno della Pasqua ortodossa, mandando in frantumi strutture, macchinari e... uova pasquali, colorate e pronte da distribuire fra i lavoratori. In un vortice dove tutto si mischia, vita e morte, dramma e grottesco, lacrime e scoppi di risate, fu bombardata quella che era la seconda casa di questi lavoratori, così come tutta la Serbia e così come tutto il Kosovo, ultima amputazione in ordine cronologico della Jugoslavia, ultimo schiaffo in faccia ai Serbi.
A Kragujevac un inquinamento ambientale spaventoso dovuto alle fuoriuscite di materiale tossico e oli combustibili usati nelle lavorazioni industriali, ha causato e causa tuttora, nascite con malformazioni e l’insorgenza di malattie tumorali mentre i profughi, che da Kragujevac a Kraljevo vivono sparsi in decine di migliaia, molti dei quali provenienti dalle fabbriche satelliti della Zastava, in particolare da Pec, nel Kosovo occidentale, hanno reso, loro malgrado, la situazione di vita quotidiana drammatica per tutti. Cacciati senza nessuna possibilità di ritorno dalla loro terra, dalla loro vita, nel giro di poche ore dal 10 giugno del 1999, con la Kfor che assisteva “distratta” alle violenze dell’estremismo panalbanese, vivono spesso di sussidi, aiuti, e lavori saltuari. Lavoro diventato una chimera anche per chi lo aveva sempre avuto garantito.
Salari che non arrivano ai 200 euro, prezzi che salgono alle stelle, le verdure più semplici che arrivano anche a un euro al chilo, mentre rasenta i due euro al chilo la carne, senza contare le spese fisse per elettricità, riscaldamento e altro, con il dinaro che ogni mese perde  punti, (dall’inizio dell’anno a oggi è passato da 95 per 1 euro ai 105 attuali), se non fosse per le secolari capacità di adattamento alla tragedia delle donne e degli uomini di questo popolo, sarebbe la catastrofe.
E invece, eccoli che ancora resistono. Si resiste a Kragujevac, città che nell’ottobre del ’41 vide intere generazioni di uomini e ragazzi e adolescenti ammazzate in un giorno e mezzo dalla belva nazifascista. Oggi un parco ricorda quell’eccidio al cui confronto le nostre Fosse Ardeatine diventano una carezza. Sa sopportare la gente di Kragujevac il destino avverso, ci vuole ben altro che un Marchionne qualunque per piegarla. Ma questa contrapposizione fra lavoratori italiani e serbi fa molto male, soprattutto a loro. Perché nella sede del vecchio sindacato campeggiano alle pareti le foto della solidarietà, che ancora unisce i lavoratori italiani e serbi, attraverso i sostegni a distanza di centinaia di famiglie di operai o ex operai della Zastava. Dalla Fiat non è arrivata una lira, ancora oggi, mentre dai lavoratori delle varie organizzazioni sindacali la solidarietà non è mai mancata, da quel maledetto 24 marzo 1999 fino a oggi. Non avrebbero mai pensato di doversi trovare coinvolti in queste strumentalizzazioni, vere e proprie guerre fra poveri.
Dalla Fiat, che prima delle bombe era solita mandare panettoni, sono arrivati solo diktat e imposizioni che hanno avuto, come conseguenza, licenziamenti in massa, subappalti, ritmi di lavoro disumani, perdita di garanzie e diritti, impoverimento dei salari, perdita di futuro.
Bisogna che questi ponti fra lavoratori italiani e serbi non vengano distrutti dalla superficialità e dalla propaganda, così come vennero distrutti tanti ponti della Serbia durante i bombardamenti. Vogliono le guerre fra i poveri, ma è ora che i “poveri” comincino a guardare oltre il loro stretto utile quotidiano, perché ci sarà sempre qualcuno più ricattabile pronto a fare gli interessi di manager e aziende senza scrupoli. E gli stessi lavoratori dovranno diffidare dei tanti, soprattutto politici che, a parole, sono con loro ma poi, nei fatti, li lasciano soli. Chi sta rischiando davvero di essere ridotto alla fame, sono soltanto loro, i lavoratori. Pensano di ridurli  a più miti pretese, tenendoli sotto ricatto. Ma potrebbero sbagliare e dare modo alla solidarietà di avere il sopravvento.
E allora, questa Fiat Bomba davvero potrebbe diventare un veicolo affidabile, da prodursi in cooperazione Italo-Serba. La Fiat Bomba, della solidarietà.

Alessandro Di Meo

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Il Manifesto del 25.07.2010, p.1

FOGLIETTONE   |   di Alessandro Robecchi

Le newco del mondo libero

Grazie alle nostre talpe nella sede centrale Fiat, a Detroit, siamo giunti in possesso dei futuri piani di sviluppo dell'azienda americana. Eccoli.

La Fiat Lapa, burinissima e riconoscibile dai tatuaggi sulle portiere, verrà prodotta nel Borneo meridionale. L'accordo prevede sgravi fiscali per i prossimi duemila anni ad aziende guidate da figli di scrittori imbolsiti il cui nome cominci per E e finisca per lkann. Per ogni operaio assunto, il governo darà alla Fiat l'equivalente di ottomila dollari in banane. Marchionne si è mostrato interessato. Il Corriere della Sera ha lodato la maturità dei sindacati locali.

La Fiat Kakka, la monovolume di forma cilindrica allungata, sarà prodotta in Corea del Nord. I sindacati nordcoreani sono entusiasti per il salto di qualità salariale dei loro iscritti: «Una banana al mese per una famiglia nordcoreana è come vincere al totocalcio». I turni di lavoro di 32 ore consecutive con una pausa per il bagno di ventisei secondi sono considerati lussi occidentali, «esagerati» secondo La Stampa di Torino.

La Fiat Sòla, la macchina sportiva per fughe veloci, si produrrà molto probabilmente in Brasile. Il governo si impegna a fornire alla Fiat sgravi fiscali, soldi in contanti per ogni operaio assunto e incentivi per tutti i manager con la panza che si presentino in maglione anche se ci sono 54 gradi all'ombra. Tutto in anticipo, così quando Fiat dirà che non se fa più niente, avrà già incassato un discreto gruzzoletto e potrà annoverare la Fiat Sòla tra i suoi successi.

La Fiat Panda. Dovevano farla a Pomigliano, ma disgraziatamente il sindacato non è collaborativo come quello di Pyongyang. In linea con lo stile Fiat, chiuderà anche Mirafiori e il nuovo modello si costruirà in Serbia, con un nuovo nome. Si chiamerà Fiat Rappresaglia: per ogni macchina costruita si licenzieranno quattro lavoratori italiani. I rastrellamenti sono già cominciati a Termini Imerese e risaliranno la penisola nei prossimi mesi.