3) Washington e il mondo stanno realmente facendo guerra all’Isis, oppure… (di Franco Fracassi, 10 ottobre 2014)
In Siria bombardati edifici vuoti e… raffinerie. Morti sotto le bombe solo 14 miliziani dell’Isis. Mentre risulta distrutta quasi tutta la capacità energetica di del regime di Assad. E ancora. Per l’Intelligence Usa l’Isis non rappresenta alcun pericolo. Allora, chi stiamo bombardando?
4) Rat protiv terorizma stvara terorizam (Garikai Chengu, 19/9/2014)
http://www.advance.hr/vijesti/radnicka-fronta-podrska-solidarnosti-rozavi-sirijskom-kurdistanu-i-kobaneu-prosvjed-u-zagrebu-ispred-turske-ambasade-subota-14-sati/
By Prof. James F. Tracy - Global Research, September 15, 2014
http://www.globalresearch.ca/who-is-behind-the-islamic-state-is-beheadings-probing-the-site-intelligence-group/5402082
David Cameron si stupisce che esista un esercito di jihadisti con centinaia di cittadini britannici. Gli rinfreschiamo la memoria sul Londonistan…
http://www.voltairenet.org/article185400.html
A handful of Jews, some converts to Islam, among 1,000 French citizens who have joined jihad, Channel 2 reports…
http://www.haaretz.com/1.620751?v=55724AB951D16D37051F2D8D4D6F5597
La produzione di mostri globali va avanti. La fase Bin Laden è finita, il Califfo pare sgonfio per giustificare grossi interventi, si prepari Al-Fadhli. [Pandora TV - A. Marino]
lunedì 22 settembre 2014
https://www.facebook.com/premiogoebbels/posts/1547377768829070?ref=notif
<< Cittadini israeliani coinvolti nell'inchiesta su una mega-truffa al Fisco per finanziare il terrorismo jihadista. Non vi mette qualche pulce nell'orecchio? >>
http://www.today.it/mondo/frode-fisco-italia-bin-laden.html
Redazione 24 settembre 2014
MILANO - Ci sono voluti anni per dare una ragione al terrore di una commercialista milanese. E per spiegare quelle carte, intestate a una società milanese, ritrovate nel 2010 in un covo dei talebani al confine tra Afghanistan e Pakistan. Ma alla fine una spiegazione è stata trovata, ed è stata fatta luce su un incredibile giro di affari tra aziende italiane e fondamentalisti islamici.
Secondo un'indagine della Procura di Milano oltre un miliardo di euro di Iva sarebbe stato frodato al fisco italiano per andare a finanziare i gruppi terroristici del Medio Oriente. Secondo quanto ricostruito dal "Corriere della Sera", si sarebbe trattato di una colossale truffa fiscale sui certificati ambientali, che sarebbe provata da documenti trovati nel 2010 in un rifugio afghano.
I servizi segreti delle forze Nato non trovarono in quel nascondiglio, come si aspettavano, Osama Bin Laden. Ma scoprirono un bel po' di informazioni utili a smascherare un'organizzazione che sottraeva fondi al fisco proprio per finanziare i terroristi islamici.
A dare il là alle ricerche era stata la segnalazione di una commercialista spaventata. Le sue ricostruzioni avevano permesso l'incriminazione di trentotto indagati e il sequestro di ottanta milioni di euro, con la Procura milanese che era andata a colpire un'associazione criminale anglo-pakistana e una franco-israeliana che, tra il 2009 e il 2012, sarebbero riuscite a sottrarre all'Italia più di un miliardo di euro di Iva.
I documenti relativi alla maxi-frode erano in un rifugio non lontano da quello dove, il 2 maggio 2011, gli americani uccisero il Re del Terrore, e portavano a Imran Yakub Ahmed, pakistano, quarant'anni, passaporto inglese, amministratore della milanese "Sf Energy Trading spa". Era proprio questa la società finita nel mirino dei procuratori dopo la denuncia della commercialista, che era rimasta scioccata dalla facilità con cui la "Sf Energy" guadagnava lavorando per società intestate a prestanome cinesi e italiani che vendevano e compravano migliaia di carbon credit, certificati ambientali che possono essere negoziati dalle aziende che producono meno gas-serra rispetto al tetto assegnato dall'accordo di Kyoto.
Secondo quanto ricostruito dalla procura, le organizzazioni acquistavano i certificati con società fittizie che producevano solo fatture. Acquistavano senza pagare l'Iva, l'aggiungevano e vendevano i certificati ad altre società, anch'esse fittizie, intermediarie con gli ingari acquirenti finali. Incassavano l'Iva, chiudevano i battenti e sparivano nel nulla, dirottando i soldi su conti correnti tra Cipro e Hong Kong. Destinazione finale dei soldi: i fondamentalisti islamici.
di Franco Fracassi
Hanno distrutto alcuni edifici vuoti, ucciso quattordici presunti terroristi e messo fuori uso dodici raffinerie. «Un mese di bombardamenti a tappeto non hanno prodotto altro. Come si può pretendere di sconfiggere un’armata di terroristi esclusivamente bombardando dal cielo, e affidando l’offensiva di terra a quattro scalzacani curdi, che si trovano a fronteggiare un’armata ben più potente. In Iraq e in Siria sta andando in scena una farsa». E se all’opinione del capo delle forze armate Usa (il generale William Mayyville) si aggiunge quella dell’esperto di servizi segreti statunitensi per conto dell’autorevole rivista “Foreign Policy’s” Shane Harris («Non esistono informazioni credibili che dimostrano la reale pericolosità internazionale dello Stato Islamico. Lo dicono i nostri servizi segreti, lo dice lo stesso Obama»), allora ci si chiede: perché il mondo sta bombardando l’Iraq e la Siria?
Prendiamo il bombardamento alla città siriana di Raqqa, tacciata di essere la base operativa dell’Isis. L’inviato del giornale turco “Hurriyet” ha scritto: «Quando i bombardieri americani hanno iniziato a sganciare bombe quelli dell’Isis erano già scappati. Del resto, avrebbero anche potuto non farlo, visto che gli attacchi erano diretti altrove». Già scappati? «Erano stati avvertiti dall’Intelligence, dalla Cia, che continua ad avere rapporti con loro», ha spiegato a Popoff l’ex funzionario della Central Intelligence Agency Joseph Trento.
Quindi, cos’hanno colpito le bombe sganciate su Raqqa? «I bombardamenti a Raqqa hanno distrutto alcuni edifici vuoti, tra cui l’ex sede dell’MI6 (i servizi britannici) divenuta sede dei Fratelli musulmani. Nessun edificio colpito apparteneva all’Isis. Distrutte anche dodici raffinerie. La maggior parte delle vittime sono civili. E solo quattordici erano miliziani dello Stato Islamico», si legge sul rapporto redatto dall’Osservatorio siriano per i diritti dell’Uomo.
Robert Baer è stato per oltre due decenni a capo della divisione Medio Oriente della Cia. La sua base era a Beirut e conosce meglio di chiunque altro la situazione sul campo. Dimessosi da Langley ha scritto un libro, da cui George Clooney ha tratto il film “Syriana”. Sentito da Popoff Baer ha detto: «La strategia della Casa Bianca è chiarissima. A loro non frega niente dell’Isis. A Loro interessa l’Iraq e interessa la Siria. Stanno distruggendo le raffinerie in modo da mettere in ginocchio Assad. Obama già pensa a quello che accadrà dopo. Sa che Assad resterà al suo posto. E sa che senza quelle raffinerie l’economia siriana non si riprenderà mai. Altro che Isis pericolo globale».
Popoff in passato ha scritto dei legami tra l’Isis e gli Stati Uniti, tra l’Isis e la Nato, tra l’Isis e la Turchia. Ha scritto degli incontri tra il senatore repubblicano John McCain (uomo ombra della diplomazia Usa) e il leader dello Stato Islamico Abu Bakr al Baghdadi. Ha scritto della seduta segreta del Congresso convocata dal presidente statunitense Barak Obama per votare il finanziamento all’opposizione siriana, tra cui l’Isis. Ha scritto delle basi Nato in Turchia di Sanlurfa, Osmaniye e Karaman sono state utilizzate per addestrare l’esercito dell’Isis. Ha scritto delle armi pesanti (cannoni, carri armati eccetera) trasportati dalle fabbriche ucraine alla Turchia dai servizi segreti di Ankara per rifornire le truppe di al Baghdadi. Ha scritto della finta offensiva dei curdi iracheni (in contrasto con quella vera dei turchi iracheni) contro l’Isis nel nord dell’Iraq, con l’unico scopo di ripulire etnicamente quelle zone. Le informazioni contenute in questo articolo non aggiungono altro che un nuovo tassello alla storia.
by GARIKAI CHENGU, Counterpunch Sept 19-21, 2014
di Garikai Chengu | counterpunch.org, 19/09/2014
Nel bel mezzo della zona di guerra siriana un esperimento democratico sta venendo seriamente minacciato dall’Isis. Che il mondo intero ne sia all’oscuro è uno scandalo.
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Nel 1937, mio padre si arruolò volontario per combattere nelle Brigate Internazionali in difesa della Repubblica Spagnola. Quello che sarebbe stato un colpo di Stato fascista era stato temporaneamente fermato da un sollevamento dei lavoratori, condotto da anarchici e socialisti, e nella maggior parte della Spagna ne seguì una genuina rivoluzione sociale, portando intere città sotto il controllo di sistemi di democrazia diretta, le fabbriche sotto la gestione operaia e le donne ad assumere sempre più potere.
I rivoluzionari spagnoli speravano di creare la visione di una società libera cui il mondo intero avrebbe potuto ispirarsi. Invece, i poteri mondiali dichiararono una politica di “non intervento” e mantennero un rigoroso embargo nei confronti della repubblica, persino dopo che Hitler e Mussolini, apparenti sostenitori di tale politica di “non intervento”, iniziarono a fare affluire truppe e armi per rinforzare la fazione fascista. Il risultato fu quello di anni di guerra civile terminati con la soppressione della rivoluzione e quello che fu uno dei più sanguinosi massacri del secolo.
Non avrei mai pensato di vedere, nel corso della mia vita, la stessa cosa accadere nuovamente. Ovviamente, nessun evento storico accade realmente due volte. Ci sono infinite differenze fra quello che accadde in Spagna nel 1936 e quello che sta accadendo ora in Rojava, le tre province a larga maggioranza curda nel nord della Siria. Ma alcune delle somiglianze sono così stringenti, e così preoccupanti, che credo sia un dovere morale per me, in quanto cresciuto in una famiglia le cui idee politiche furono in molti modi definite dalla Rivoluzione spagnola, dire: non possiamo fare sì che tutto ciò finisca ancora una volta allo stesso modo.
La regione autonoma del Rojava, così come esiste oggi, è uno dei pochi raggi di luce – un raggio di luce molto luminoso, a dire il vero – a emergere dalla tragedia della Rivoluzione siriana. Dopo aver scacciato gli agenti del regime di Assad nel 2011, e nonostante l’ostilità di quasi tutti i suoi vicini, il Rojava non solo ha mantenuto la sua indipendenza, ma si è configurato come un considerevole esperimento democratico. Sono state create assemblee popolari che costituiscono il supremo organo decisionale, consigli che rispettano un attento equilibrio etnico (in ogni municipalità, per esempio, le tre cariche più importanti devono essere ricoperte da un curdo, un arabo e un assiro o armeno cristiano, e almeno uno dei tre deve essere una donna), ci sono consigli delle donne e dei giovani, e, in un richiamo degno di nota alle Mujeres Libres (Donne Libere) della Spagna, un’armata composta esclusivamente da donne, la milizia “YJA Star” (l’”Unione delle donne libere”, la cui stella nel nome si riferisce all’antica dea mesopotamica Ishtar), che ha condotto una larga parte delle operazioni di combattimento contro le forze dello Stato Islamico.
Come può qualcosa come tutto questo accadere ed essere tuttavia perlopiù ignorato dalla comunità internazionale, persino, almeno in gran parte, dalla sinistra internazionale? Principalmente, sembra, perché il partito rivoluzionario del Rojava, il PYD, lavora in alleanza con il turco Partito Curdo dei Lavoratori (PKK), un movimento combattente marxista impegnato sin dagli anni Settanta in una lunga guerra contro lo Stato turco. La Nato, gli Stati Uniti e l’Unione Europea lo classificano ufficialmente come “organizzazione terroristica”. Nel frattempo, l’opinione di sinistra lo descrive spesso come Stalinista.
Ma, in realtà, il PKK non assomiglia neppure lontanamente al vecchio, organizzato verticalmente, partito Leninista che era una volta. La sua evoluzione interna, e la conversione intellettuale del suo fondatore, Abdullah Ocalan, detenuto in un’isola-prigione turca dal 1999, lo hanno condotto a cambiare radicalmente i propri scopi e le proprie tattiche.
Il PKK ha dichiarato che esso non cerca nemmeno più di creare uno Stato curdo. Invece, ispirato in parte dalla visione dell’ecologista sociale e anarchico Murray Bookchin, ha adottato una visione di “municipalismo libertario”, invitando i curdi a formare libere comunità basate sull’autogoverno, basate sui principi della democrazia diretta, che si federeranno tra loro aldilà dei confini nazionali – che si spera che col tempo diventino sempre più privi di significato. In questo modo, suggeriscono i curdi, la loro lotta potrebbe diventare un modello per un movimento globale verso una radicale e genuina democrazia, un’economia cooperativa e la graduale dissoluzione dello stato-nazione burocratico.
A partire dal 2005 il PKK, ispirato dalla strategia dei ribelli zapatisti in Chiapas, ha dichiarato un cessate il fuoco unilaterale nei confronti dello Stato turco e ha iniziato a concentrare i propri sforzi nello sviluppo di strutture democratiche nei territori di cui già ha il controllo. Alcuni si sono chiesti quanto realmente sinceri siano questi sforzi. Ovviamente, elementi autoritari rimangono. Ma quello che è successo in Rojava, dove la Rivoluzione siriana ha dato ai curdi radicali la possibilità di condurre tali esperimenti su territori ampi e confinanti fra loro, suggerisce che tutto ciò è tutt’altro che un’operazione di facciata. Sono stati formati consigli, assemblee e milizie popolari, le proprietà del regime sono state trasformate in cooperative condotte dai lavoratori – e tutto nonostante i continui attacchi dalle forze fasciste dell’ISIS. Il risultato combacia perfettamente con ogni definizione possibile di “rivoluzione sociale”. Nel Medio Oriente, almeno, tali sforzi sono stati notati: particolarmente dopo che il PKK e le forze del Rojava per combattere efficacemente e con successo nei territori dell’ISIS in Iraq per salvare migliaia di rifugiati Yezidi intrappolati sul Monte Sinjar dopo che le locali milizie peshmerga avevano abbandonato il campo di battaglia. Queste azioni sono state ampiamente celebrate nella regione, ma, significativamente, non fecero affatto notizia sulla stampa europea o nord-americana.
Ora, l’ISIS è tornato, con una gran quantità di carri armati americani e di artiglieria pesante sottratti alle forze irachene, per vendicarsi contro molte di quelle stesse milizie rivoluzionarie a Kobané, dichiarando la loro intenzione di massacrare e ridurre in schiavitù – si, letteralmente ridurre in schiavitù – l’intera popolazione civile. Nel frattempo, l’armata turca staziona sui confini, impedendo che rinforzi e munizioni raggiungano i difensori, e gli aeroplani americani ronzano sopra la testa compiendo occasionali, simbolici bombardamenti dall’effetto di una puntura di spillo, giusto per poter dire che non è vero che non fanno niente contro un gruppo in guerra con i difensori di uno dei più grandi esperimenti democratici mondiali.
Se oggi c’è un analogo dei Falangisti assassini e superficialmente devoti di Franco, chi potrebbe essere se non l’ISIS? Se c’è un analogo delle Mujeres Libres di Spagna, chi potrebbero essere se non le coraggiose donne che difendono le barricate a Kobané? Davvero il mondo – e questa volta, cosa più scandalosa di tutte, la sinistra internazionale, si sta rendendo complice del lasciare che la storia ripeta se stessa?
Fonte: The Guardian
traduzione di Federico Vernarelli
BALCANI: I jihadisti? I figli delle fondazioni di beneficienza
In questi mesi sulla scena del terrorismo fondamentalista è apparso l’ISIS, ovvero Stato Islamico di Iraq e Siria cha ha scavalcato per ferocia mediatica anche al-Qaeda. Non è una notizia nuova che migliaia di giovani musulmani da ogni parte del mondo, compresa l’Europa e Stati Uniti, si trovino in Siria e Iraq per combattere la loro “jihad”. Ovviamente ci sono anche i giovani dai paesi dei Balcani occidentali che sono uniti alle formazioni jihadiste dalle più diverse sigle. Anche se i musulmani dei Balcani rimangono la più moderata delle popolazioni musulmane nel mondo, una minoranza esigua è stata indottrinata nelle forme più estreme dell’Islam, nelle scuole dei fratelli musulmani.
Sul web spopola la figura di Lavdrim Muhaxheri, indicato come comandante di una sedicente “brigata balcanica” dei tagliateste dell’ISIS, e che avrebbe ai suoi ordini jihadisti da Serbia, Albania, Macedonia, Kosovo, Montenegro e Bosnia.
Ciò non è un caso. La crescita dell’islamismo militante nel Balcani occidentali è il risultato di sforzi a lungo termine di persone legate col filo del terrorismo e che hanno radicalizzato frange della popolazione locale.
Nel corso degli ultimi decenni, alcuni movimenti islamisti nei paesi dei Balcani occidentali hanno creato un’infrastruttura sofisticata, composto da rifugi sicuri in villaggi isolati e nelle moschee controllate da imam radicali. Ma anche una vasta gamma di mezzi elettronici e di stampa online, che si propagano notizie da vari fronti del jihad e propaganda politica.
Tutti questi organizzazioni sono stati finanziati dai donator
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