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(english / italiano)

L'Ucraina che resiste ai fascisti e all'aggressione imperialista

1) BABIJ JAR. 1941: l’occupazione nazista di Kiev (Zambon Editore)
2) L'Ucraina che resiste ai fascisti e all'aggressione imperialista (Flavio Pettinari)
3) Ukraine and the pro-imperialist intellectuals (Alex Lantier)


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Da: < zambon @zambon.net>
Oggetto: L'Ucraina.doc
Data: 05 febbraio 2014 11:00:02 CET

L’Ucraina è attualmente sconvolta da una marea montante di “ribellione popolare” che sembra mobilitare l’intera popolazione della parte occidentale del Paese che, come già ai tempi della Rivoluzione arancione, segue le “indicazioni” delle centrali di potere europee, cioè tedesche. Alcuni personaggi si sono posti alla testa della rivolta; tra essi primeggia la figura di Vitali Klitschko, l’uomo di fiducia della Fondazione Konrad Adenauer (la stessa che, nel tentativo di stroncare i movimenti di indipendenza dell’Africa nera, aveva a suo tempo finanziato squadre di tagliatori di teste addestrate nella repubblica razzista del Sudafrica per seminare il terrore tra la popolazione dei territori liberati del Mozambico).
Allo scopo di rendere comprensibili le radici profonde dei fatti che si stanno oggi svolgendo, potrà essere utile leggere il libro Babij Jar (di Anatolik Kuznetsov, ed. Zambon 2011), un libro che descrive il comportamento della popolazione ucraina all’indomani dell’invasione nazista del 1941 e che in particolare analizza i contrasti che si verificano all’interno di una famiglia dove convivono il vecchio padre anticomunista da un lato, che esulta per l’arrivo dei tedeschi “che metteranno ordine e faranno giustizia premiando chi vive del proprio lavoro”, e la figlia dall’altro lato, il cui marito si dà alla macchia e combatte con i partigiani dell’Armata Rossa.
Anche oggi c’è a Kiev identificazione con l’Occidente e opposizione al mondo slavo, di cui gli stessi Ucraini sono parte, ammirazione per i Tedeschi e incondizionata disponibilità a credere – esattamente come allora – alla loro propaganda “convincente”, anche perché supportata, ieri, dalla violenza armata e, oggi sostenuta soltanto, per il momento, da generosi finanziamenti agli intrepidi “patrioti”. La storia si ripete: da un lato l’Ucraina occidentale agricola, cattolica, sottomessa già dai tempi dell’Impero austro-ungarico ai valori della “civiltà” europea; dall’altro lato l’Ucraina orientale industrializzata, ortodossa e bolscevica.

Anatolij Kuznetsov
BABIJ JAR
1941: l’occupazione nazista di Kiev

A cura della redazione italiana della Casa editrice Zambon
Introduzione di Adriana Chiaia
Formato: cm 13x21
Pagg. 240
Prezzo: 12.00 euro
isbn 978-88-7826-65-4

Nel quadro dell’occupazione nazista di Kiev, durata più di due anni, la testimonianza dell’autore, a quei tempi un ragazzo di dodici anni, descrive il massacro di decine di migliaia di ebrei, di combattenti dell’Armata Rossa, di comunisti, di cittadini ucraini e di altre nazionalità, catturati nei rastrellamenti o presi in ostaggio, i cui corpi venivano gettati nell’enorme burrone di Babij Jar, nei pressi della città.
L’autore offre inoltre uno straordinario e contraddittorio panorama di personaggi positivi e negativi: partigiani e collaborazionisti, resistenti e delatori, solidali e profittatori, generosi e gretti, uomini, donne e bambini, strappati alla quotidianità del passato e costretti ad arrabattarsi per sopravvivere alla guerra con la sua sequela di atrocità, bombardamenti, distruzioni, saccheggi, fame e miseria materiale e morale.
Il libro è stato arricchito dalla sezione “Lineamenti di storia” composta di due schede. La prima tratta del diritto all’autodecisione dei popoli nella concezione del Partito comunista (b) e nella prassi del potere sovietico.
La seconda ripercorre le vicissitudini dell’Ucraina, dalla rivendicazione dell’autonomia al patto costitutivo dell’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche, inserendole nel loro contesto storico.
In appendice uno scritto di Il’ja Erenburg e stralci di un documento della Commissione governativa sulle distruzioni e le atrocità commesse dagli invasori tedeschi nella città di Kiev. (Processo di Norimberga).

INFO: zambon @zambon.net - www.zambon.net


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L'Ucraina che resiste ai fascisti e all'aggressione imperialista

4 Febbraio 2014 

di Flavio Pettinari per Marx21.it


Nelle ultime due settimane abbiamo assistito ad un’escalation significativa dell’impegno internazionale dei tre capibastone dell’opposizione ucraina - Klichko, Tjagnibok e Jacenjuk: la presenza alla recente conferenza di Monaco, gli incontri con il senatore repubblicano statunitense John McCain (e, per par condicio, con il segretario di Stato USA, il democratico John Kerry), alcune delegazioni occidentali a Kiev. Il tutto mentre la piazza di Kiev, assieme a quella delle altre città, va perdendo il tenore di “manifestazione di massa” lasciando spazio agli sparuti gruppi dell’ultradestra - coloro che non si riconoscono neanche in Svoboda (e infatti non sono mancati scontri e tafferugli tra quest’ultimo partito e gruppi come il Pravyj Sektor). Lo stesso Klichko, il 31 gennaio, attraverso l’ufficio stampa del suo partito, Udar, ha dichiarato che questi gruppi estremisti “operano per screditare l’opposizione” e “saranno identificati e condannati”. (sic!).1

L’impressione è quella che i tre leader dell’opposizione si siano resi conto del loro calo di popolarità e vogliano tentare un pericoloso colpo di coda, coinvolgendo apertamente (anche perché l’ingerenza straniera in Ucraina è ormai un segreto di Pulcinella) gli sponsor europei e statunitensi: recentemente la stampa ucraina ha fornito i primi risultati di alcune inchieste sui finanziamenti alle organizzazioni d’opposizione, con tanto di numeri di conto corrente e intestatari. Torneremo sopra questo argomento, per il momento accenniamo solo che si tratta di decine di milioni di dollari incassati settimanalmente dai nazionalisti.2

Il crollo di partecipazione alle manifestazioni è ben raffigurato in questa mappa, aggiornata al 27 gennaio:
http://www.marx21.it/images/mappe/ucraina_map.jpg
Oltre all’area metropolitana di Kiev, dove i partecipanti alle manifestazioni superano mediamente le 5mila unità, è evidenziata la regione di Ivano-Frankivsk, l’oblast’ tristemente nota dove l’estrema destra di Svoboda e il resto dell’opposizione hanno occupato i palazzi dell’amministrazione statale varando delle norme per la messa fuorilegge del Partito Comunista d’Ucraina e del Partito delle Regioni (il partito di appartenenza del Presidente Yanukovich). Altre regioni in cui si registra una significativa presenza media di manifestanti sono quelle di Lvov, Chernihiv e Chmelnyckij (dai 500 ai duemila) mentre il resto dei capoluoghi del paese vede scendere in piazza meno di 500 persone - pochi, ma spesso bene organizzati militarmente.

La diminuzione generalizzata del numero dei partecipanti ai “majdan locali” non ha però tranquillizzato né i partiti della sinistra (Partito Comunista in testa), né il Partito delle Regioni (forte prevalentemente nell’est del paese), né l’opinione pubblica, che temono, oltre un colpo di stato spalleggiato dall’estero, anche le incursioni dei fascisti nei capoluoghi locali: esemplare è il caso di Zaporozhie, dove il 26 gennaio i fascisti (provenienti prevalentemente da fuori regione) hanno tentato di assaltare la sede regionale del Governo, per essere poi respinti dalla popolazione. Proprio Zaporozhie è diventata celebre negli ultimi due giorni perché su iniziativa del comitato regionale del PCU è stata organizzata la Milizia, annunciata nelle sedute del consiglio comunale del capoluogo e del consiglio dell’oblast’, rispettivamente dal segretario regionale Vitalij Mishuk e dal consigliere Elena Semenenko.

Riportiamo estratti dalla Dichiarazione del gruppo consiliare del Partito Comunista di Ucraina alla sessione del Consiglio Comunale di Zaporozhie (31 gennaio 2014):

[...] A causa della situazione politica estremamente tesa in Ucraina, ai tentativi dei gruppi radicali filo-fascisti di impadronirsi con la violenza del potere statale, all’occupazione degli edifici delle amministrazioni statali regionali, dei ministeri e dei dipartimenti, alle sommosse, agli atti di vandalismo contro i monumenti ai dirigenti di governo del periodo sovietico, contro le tombe dei soldati della Grande Guerra Patriottica - il paese è sull'orlo dello scontro civile.

Le manifestazioni di massa sotto gli edifici dell’amministrazione statale regionale di Zaporozhie e i tentativi di occuparli con l'assalto del 26 gennaio 2014 da parte di militanti provenienti dalle regioni occidentali dell’Ucraina ci dicono che tutta questa infezione è strisciata fino alla regione di Zaporozhie. Le persone non capiscono - perché il Presidente non agisce? Perché il garante della Costituzione ha cessato di essere il garante della pace e della tranquillità civili? Perché il governo non vuole proteggere se stesso e il suo popolo?


[...]

(le organizzazioni aderenti alla Milizia, NdT) hanno avviato la costituzione nella nostra città del Consiglio della Milizia (in seguito, Consiglio) il cui obiettivo principale sarà il controllo dell'ordine pubblico nella città, la creazione di squadre di intervento rapido contro le rivolte di massa, il contrasto all’occupazione degli edifici amministrativi, agli atti vandalici e così via.

Il Consiglio intende opporsi a qualsiasi forma di restauro del fascismo e di giustificazione dei crimini commessi dai terroristi dell’OUN-UPA (Organizzazione dei nazionalisti ucraini – Esercito Insurrezionalista Ucraino, collaborazionisti dei nazisti, NdT) e simili. Il Consiglio sarà un’organizzazione pubblica non paramilitare e indipendente da tutte le forze politiche. Può essere membro dell’organizzazione qualsiasi cittadino o ente pubblico su base volontaria.

Facciamo appello al popolo della regione di Zaporozhie, alla direzione della città e della regione a sostenere l'iniziativa per la creazione di questa formazione pubblica. Invitiamo tutti i cittadini interessati della regione di Zaporozhie a unirsi alle schiere della Milizia.
[...] 3

Il 30 gennaio, la Milizia, in maniera analoga a quanto fatto a Zaporozhie, ovvero durante una seduta del Consiglio comunale, era stata presentata a Stahanov, città operaia di circa 90mila abitanti nella regione di Lugansk. Il primo segretario della locale organizzazione del Partito Comunista e consigliere comunale Viktor Sinjaev ha chiesto la messa fuori legge dei partiti fascisti, primo fra tutti Svoboda, e ha delineato la struttura organizzativa della Milizia che raccoglie operai, giovani e cosacchi.4

Il 31 gennaio, anche nel capoluogo Lugansk è stata presentata (da Maksim Chalenko, primo segretario cittadino del PCU) la Milizia locale. Chalenko ha spiegato che la Milizia ha la sua base presso la sede regionale del PCU e conta su 200 militanti, coordinati in modo da poter rispondere e respingere in breve tempo eventuali attacchi fascisti, inclusi gli assalti agli edifici della pubblica amministrazione. Chalenko ha informato che in ogni angolo della città vivono dei comunisti, che hanno il compito di monitorare la situazione e sono preparati ad agire in caso di necessità.5

Torneremo in articoli successivi a seguire l’evoluzione delle Milizie che si stanno costituendo su iniziativa dei comunisti, anche in occasione della marcia antifascista che si terrà a Zaporozhie, come anche in altre località, l’8 febbraio.

Il 1 febbraio, a Kharkov, su iniziativa del popolare governatore della regione, Mihail Dobkin e del Partito delle Regioni, è stato fondato il movimento “Fronte Ucraino”, alla presenza di oltre 6mila persone. Gli obiettivi del movimento, il cui nome richiama le gesta della resistenza contro i nazifascisti durante la seconda Guerra Mondiale, sono “sbloccare l’isolamento informativo dei cittadini dell’Ucraina occidentale”, “sgomberare senza condizioni tutti gli edifici amministrativi e i luoghi occupati”, “indire il referendum per cancellare l’immunità dei parlamentari” ecc.

Il Fronte Ucraino ha adottato dei colori che sono ormai il segno distintivo di tutto il movimento “antimajdan”, ovvero il nero e l’arancio (accompagnati dalla stella rossa) originari del nastro dell’Ordine di San Giorgio ma arrivati alle nuove generazioni poiché adottati dall’URSS di Stalin a simboleggiare la vittoria contro la Germania nazista.

Lo scontro con il Majdan è infatti non solo uno scontro politico, ma anche uno scontro a colpi di contrapposti riferimenti storici6: da una parte il collaborazionista Bandera e l’OUN-UPA, dall’altra parte i partigiani, l’Armata Rossa, e gli stessi Lenin e Stalin, e questi anche per i non comunisti: a Lutsk, Ucraina occidentale, il 3 febbraio, per celebrare i 70 anni dalla liberazione della città, è stato inaugurato proprio un busto di Stalin.7

Con l’eccezione di Odessa dunque, dove la popolazione è scesa in piazza in massa contro i fascisti già il 25 gennaio (un compagno del luogo mi riferisce che i cittadini di Odessa erano 5mila, i banderovcy al massimo 200), nel resto del paese si sono generalmente seguite fino allo scorso fine settimana le raccomandazione delle forze dell’ordine, ovvero evitare le provocazioni ed evitare di “mettere in difficoltà” le forze speciali del Berkut.

Volendo tratteggiare l’evoluzione della situazione delle ultime settimane, dal punto di vista della reazione popolare alle violenze del Majdan e della nascente mobilitazione popolare, ciò che risalta è il fatto che i comunisti abbiano saputo interpretare la volontà della popolazione progressista, stanca dell’attendismo del Presidente Yanukovich, e come essi siano riconosciuti, assieme ad alcuni esponenti del Partito delle Regioni (che però ha una certa connotazione filo-russa, anche di carattere “etnico”) come una forza credibile politicamente e capace di contrastare i fascisti anche sul piano del confronto diretto, nelle piazze. Non è un caso, quindi, che le sedi del Partito Comunista d’Ucraina siano colpite da frequenti attentati (la sede di Sinferopoli è stata vandalizzata il 29 gennaio, ultima in ordine di tempo) e che vi siano reiterati tentativi da parte di Svoboda per metterlo fuorilegge.

Da comunisti, e conseguentemente internazionalisti, non possiamo non ammirare il coraggio dei compagni ucraini e, con esso, la lungimiranza e la concretezza della loro battaglia politica, condotta nel Parlamento come nelle cittadine periferiche. 

Da comunisti, non possiamo non sostenere la loro lotta che è una lotta anche contro le ingerenze di carattere imperialista dell’Unione Europea - ingerenze che sono la proiezione esterna della politiche antioperaie attuate entro i confini comunitari.

NOTE

1 http://ei.com.ua/news/397137-klichko-poobeshhal-privlech-k-otvetstvennosti-aktivistov-pravogo-sektora.html
2 http://vremia.ua/rubrics/zakulisa/5321.php
3 http://www.kpu.ua/zaporozhskie-kommunisty-sozdayut-narodnoe-opolchenie/
4 http://www.kpu.ua/luganshhina-kommunisty-staxanova-sozdayut-narodnuyu-druzhinu-i-trebuyut-zapretit-vo-svoboda/
5 http://www.kpu.ua/luganskie-kommunisty-sformirovali-narodnoe-opolchenie-dlya-otpora-boevikam/
6 A gennaio tra l’altro è stata celebrata una ricorrenza estremamente significativa: i 360 anni del Trattato di Perejaslav che sancì la fine del dominio della Confederazione Polacco-Lituana sui territori polacchi e l’inizio del protettorato russo su di essi. Bohdan Chmelnyckij, atamano dei cosacchi ucraini, fu il condottiero della rivolta contro la Rzeczpospolita.
7 http://lenta.ru/news/2014/02/03/monument/


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Ukraine and the pro-imperialist intellectuals

5 February 2014

The “Open letter on the future of Ukraine” issued by a group of Western academics and foreign policy operatives is a vile defense of the ongoing far-right protests in Ukraine supported by Washington and the European Union (EU). It peddles the old lie, repeated over nearly a quarter century of imperialist wars and interventions in Eastern Europe since the dissolution of the USSR in 1991, that US and EU policy is driven only by a disinterested love of democracy and human rights.
It states, “The future of Ukrainians depends most of all on Ukrainians themselves. They defended democracy and their future 10 years ago, during the Orange Revolution, and they are standing up for those values today. As Europeans grow disenchanted with the idea of a common Europe, people in Ukraine are fighting for that idea and for their country’s place in Europe. Defending Ukraine from the authoritarian temptations of its corrupt leaders is in the interests of the democratic world.”
The identity of the imperialist powers’ local proxies demolishes the open letter’s pretense that the imperialist powers are fighting for democracy. They are relying on a core of a few thousand fascistic thugs from the Right Sector organization and the Svoboda Party to topple the Ukrainian regime in a series of street protests, replace it with a pro-EU government hostile to Moscow, and impose savage austerity measures. Washington and the EU are not fighting for democracy, but organizing a social counterrevolution.
In November, Ukrainian President Viktor Yanukovych backed away from plans to integrate Ukraine into the EU and push through tens of billions of dollars in social cuts against workers to pay back Ukraine’s debts to the major banks. Fearing an explosion of mass protests, he accepted a bailout from Russia instead. The far-right opposition redoubled its efforts, as dueling anti-government and anti-opposition protests spread in Ukrainian- and Russian-speaking parts of the country, respectively.
While EU intervention threatens Ukraine with social collapse and civil war, the open letter stands reality on its head, presenting the developments in Ukraine as a threat to the EU: “It is not too late for us to change things for the better and prevent Ukraine from being a dictatorship. Passivity in the face of the authoritarian turn in Ukraine and the country’s reintegration into a newly expanding Russian imperial sphere of interests pose a threat to the European Union’s integrity.”
In fact, neither Ukraine nor Russia has threatened to attack the EU. It is Ukraine—with its energy pipeline network, strategic military bases, and heavy industry—that is emerging as a major prize in an aggressive thrust by US and European imperialism to plunder the region and target Russia. While US and European imperialism threaten to attack Moscow’s main Middle East allies, Syria and Iran, they are threatening Russia’s main Eastern European ally, Ukraine, with regime change or partition.
The drive to impose untrammeled imperialist domination of Eastern Europe, which began after the restoration of capitalism with escalating NATO interventions and wars in Yugoslavia in the 1990s, is at a very advanced stage. It is setting into motion the next campaign, for regime change and ethnic partition in Russia, where Washington is studying a variety of ethnic groups—from Chechens, to Tatars or Circassians—whose grievances can be mobilized against Moscow.
This is raised quite directly in leading sections of the Western press. TheFinancial Times of London wrote Sunday, “Mr. Yanukovych and Mr. Putin are leaders of a similar type and with a similar governing model. If Ukrainians push the man in Kiev out of power, Russians might wonder why they should not do the same to the man in the Kremlin.”
By aligning themselves with the US-EU drive to dominate Eastern Europe, the signatories of the open letter are embracing what historically have been the aims of German imperialism. Berlin twice invaded Ukraine in the 20th century, in 1918 and 1941. Significantly, imperialism’s proxies in Ukraine today are the political descendants of Ukrainian fascists who helped carry out the Ukrainian Holocaust as allies of the Nazis—whose policy was to depopulate Ukraine and prepare its colonization by German settlers through mass extermination.
Now, at this year’s Munich Security Conference, top German officials stated that Berlin plans to abandon restrictions on the use of military force that it has obeyed since the end of World War II.
The disastrous consequences of the Soviet bureaucracy’s self-destructive policies and the light-minded approach of Mikhail Gorbachev as he moved to dissolve the USSR—believing that the concept of imperialism was a fiction invented by Marxism—are emerging fully into view.
Trotsky warned that the dissolution of the USSR would not only restore capitalism, but also transform Russia into a semi-colonial fiefdom of the imperialist powers: “A capitalist Russia could not now occupy even the third-rate position to which czarist Russia was predestined by the course of the world war. Russian capitalism today would be a dependent, semi-colonial capitalism without any prospects. Russia Number 2 would occupy a position somewhere between Russia Number 1 and India. The Soviet system with its nationalized industry and monopoly of foreign trade, in spite of all its contradictions and difficulties, is a protective system for the economic and cultural independence of the country.”
This is the agenda being laid out by imperialism and its fascist proxies: to return Russia and Ukraine to semi-colonial status through internal subversion, civil war, or external military intervention. Processes are being set into motion that threaten the deaths of millions.
Mobilizing the working class in struggle against imperialist war and neocolonial exploitation is the central task in Eastern Europe. Due warnings must be made. In the absence of such a struggle, given the bankruptcy and unpopularity of the region’s oligarchic regimes, there is every reason to think that determined fascist gangs—supported by imperialist governments and given political cover by pro-imperialist academics and diplomatic operatives—will succeed in toppling existing regimes.
This underscores the reactionary role of the signatories of the open letter. Some are top diplomats or “non-governmental” imperialist operatives—such as former foreign ministers Ana Palacio of Spain and Bernard Kouchner of France, or Chris Stone and Aryeh Neier of the US State Department-linked Open Society Institute of billionaire George Soros. Most, however, are academics and intellectuals who are lending their names to give credibility to far-right reaction in Ukraine, through a foul combination of learned ignorance and historic blindness.
Some of the names on the list of signatories evoke regret—such as Fritz Stern, a historian who was once capable of writing seriously on historical questions.
Others, like that of postmodernist charlatan Slavoj Zizek, come as no surprise. They only confirm the alignment of affluent sections of the middle class with imperialist brigandage, and the reactionary role of pseudo-left thought in training mouthpieces for imperialism.
After decades of intellectual war on Marxism in universities and the media, cultural life is in a disastrous state. Hostile to the Marxist conceptions of imperialism and of material interests driving its policies, these layers are left unmoved by imperialist crimes—the destruction of Fallujah during the US occupation of Iraq, or the drone murder campaign in Afghanistan. Their pens spring into action, however, when EU politicians excite their moral glands by denouncing regimes targeted for imperialist intervention. They can be led by the nose, even behind fascists, with a few empty invocations of human rights.

Alex Lantier




Arezzo 12 febbraio 2014

FOIBE
IO RICORDO... TUTTO!!

La verità contro il revisionismo storico


mercoledì 12 febbraio 2014
Ore 21:30, presso Centro Giovani “Onda d'urto”
via F. Redi - Arezzo

visione del film:

OCCUPAZIONE IN 26 IMMAGINI
di Lordan Zafranović


Il film analizza l’occupazione italiana e tedesca della città di Dubrovnik in
Dalmazia, scandagliando mentalità e comportamenti delle varie componenti del
nazifascismo: gli italiani tra prepotenza e vigliaccheria, i tedeschi spietati, i
collaborazionisti croati accecati dal nazionalismo...


organizzano:
ANPI                   CAAT              CNJ onlus






Protiv revisionizma u Srbiji

0) Stenografske beleške i dokumenta suđenja Draži Mihailoviću
1) Beograd 7/2: ПРОТЕСТ ПРОТИВ РЕХАБИЛИТАЦИЈЕ ДРАЖЕ МИХАИЛОВИЋА 
2) САМО  БРАНИМО ВЕЋ  ОДАВНО ДОКАЗАНО (SUBNOR 11. јул 2013)
3) LAŽLJIVA REZOLUCIJA I REHABILITACIJA IZDAJNIKA DRAŽE NEĆE PROĆI (NKPJ 20. jul 2013.) 


O istom temu procitaj:

Рехабилитација Драже Михаиловића:
ОТВОРЕНО ПИСМО СУБНОР СРБИЈЕ ДОМАЋОЈ И СВЕТСКОЈ ЈАВНОСТИ
SUBNOR, 19. март 2012.
http://www.subnor.org.rs/rehabilitacija-draze-mihailovica/#more-1209

DRAŽA ZLIKOVAC!
SKOJ, 23. mart 2012. godine



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Segnaliamo che sono disponibili presso CNJ-onlus alcune copie del volume

IZDAJNIK I RATNI ZLOČINAC DRAŽA MIHAILOVIĆ PRED SUDOM
Stenografske beleške i dokumenta sa suđenja Dragoljubu-Draži Mihailoviću

(atti del processo contro Draza Mihajilovic, Belgrado 1946)

trascrizione in caratteri latini effettuata a cura della Fondazione "August Cesarec" di Zagabria, 2011
(original na čirilici: Beograd, Savez Udruzenja Novinara FNRJ-e 1946).

Prezzo di copertina: 140 kune / 20 euro incluse le spese di spedizione per chi si rivolge a CNJ-onlus


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Petak, 7 februara 2014. - 10:00 sati
Виши суд, Београд, Тимочка 15 (Црвени крст, испод Београдског драмског позоришта) 

ПРОТЕСТ ПРОТИВ РЕХАБИЛИТАЦИЈЕ ДРАЖЕ МИХАИЛОВИЋА 

Драге другарице и другови, 
наставља се процес рехабилитације народног издајника, по злу чувеног четничког вође - Драгољуба Драже Михаиловића. 
НКПЈ - СКОЈ вас позивају да дођете да заједно поручимо буржоаским властима да прекрајање/фалсификовање историје неће проћи. 
РЕХАБИЛИТАЦИЈА НЕЋЕ ПРОЋИ! 

Savez Komunističke Omladine Jugoslavije 



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САМО  БРАНИМО ВЕЋ  ОДАВНО ДОКАЗАНО


Пре неки дан је, како смо вас већ, уважени читаоци, обавестили на овом порталу, Председник Републике Томислав Николић примио, на своју иницијативу, делегацију СУБНОР-а Србије на челу са председником проф.др Миодрагом Зечевићем.

Председник Републике је предложио и да СУБНОР своје иницијативе и гледања стави, како се то каже, на папир.

СУБНОР сматра, такође, да је и за ширу јавност, а посебно за преко 100.000 чланова организације, корисно и потребно да има увид.

 Текст који је пред вама упућен је Председнику Републике Томиславу Николићу, затим председнику Народне скупштине Небојши Стефановићу, премијеру Ивици Дачићу, првом потпредседнику Владе Александру Вучићу, потпредседнику Владе и ресорном министру Јовану Кркобабићу, министрима Млађану Динкићу и Николи Селаковићу.

Текст СУБНОР-а Србије у целости овако гласи.

 

СУБНОР – ЗАШТО  И  КАКО

СУБНОР Србије је нестраначка, антифашистичка и хуманитарна организација, усмерена према држави, а не политичким партијама;

СУБНОР се идентификује са народноослободилачким покретом и Народноослободилачком борбом народа Србије 1941-1945. године, њеним антифашистичким, моралним, идеолошким, политичким и националним вредностима и доприноси победи над фашизмом. Ту почиње и завршава се СУБНОР. Не бранимо, не својатамо, нити заступамо новостворену послератну државу, нити присвајамо њене резултате;

СУБНОР има организацију у свим општинама и градовима Србије, повезане у окружне и покрајинске организације, које чине јединствену организацију на нивоу Србије. Према евиденцији, има око 100.000 чланова;

У оквиру општинских удружења налазе се месне организације у оквиру највећег броја насеља  и секције бораца ратних јединица;

На нивоу организовања, поред индивидуалног постоји и колективно чланство. На нивоу Републике, колективни чланови су одређене инвалидске организације, Београдски форум за свет равноправних, Клуб генерала и адмирала, Удружење пилота и падобранаца, Удружење акцијаша, Резервне војне старешине, Извиђачи и други. Многи чланови ових удружења имају и индивидуално чланство у СУБНОР-у;

Чланови СУБНОР-а су и, поред учесника НОР 1941-1945. и учесника у одбрани земље од агресије 1999. и њихових потомака, припадници ЈНА из ратних сукоба 1990-1992. у одбрани СФРЈ и припадници  ратних сукоба 1992-1995, и њихови потомци, сви људи антифашистички и патриотски опредељени и поштоваоци НОБ, под условом да прихватају Статут СУБНОР-а, чувају углед и достојанство организације и раде на остваривању  циљева удруживања;

Традиција, социјално-здравствена заштита бораца и инвалида, међународна сарадња, информативно-издавачка и научна делатност, правно-организациона и кадровска изградња организације и поверена јавна овлашћења су оквир и  послови којим се бави организација.


Шире апсолвирање питања које је СУБНОР покренуо у разговору са Председником Републикe Томиславом Николићем 5. јула 2013.године

 

1. Дан устанка народа Србије

Седми јул, по оцени СУБНОР-а, није само датум, није ни село Бела Црква, то је историја, датум који представља историјско одређење народа  Србије, кључни датум ратне историје Србије 1941-1945.  Почетак је оног што се догађало и догодило у ратној Србији. Он је истовремено и ослобођење Србије од фашистичке окупације и победа, јер без њега не би било ослобођења, били бисмо од другог ослобођени. Тог дана није пуцао брат на брата, већ борац за слободу на окупатора, јер да су браћа не би пуцали један на другог.

Непризнавање овог датума је непризнавање почетка догођене ратне историје Србије. Постоји покушај групе квази-историчара да изнађу други датум за дан почетка оружане борбе устаничког народа Србије и тиме омаловаже ту борбу и фалсификују историјску истину за рачун одређених наручилаца.

По мишљењу СУБНОР-а, власт мора да смогне снаге да сазна и призна ко се за време четворогодишњег рата борио против окупатора и домаћих сарадника, ко је ослободио Београд, ко се борио у Пријепољу, на Кадињачи, Сутјесци, Неретви, Сремском фронту, ко је ратовао четири године по Београду, Шумадији, Србији, ко је зауставио немачку армаду из Грчке да се пробије кроз Србију и споји са немачким снагама у одбрани Немачке 1944. године, ко су 305 хиљада партизана који су погинули у борби против окупатора и њихових сарадника у Југославији и 437 хиљада рањених, коме су савезници признали треће место у Европи и четврто у свету за допринос победи против  фашизма и да то јавно призна и каже.

Због Србије и света садашња власт треба да се поноси партизанском борбом и њеним доприносом победи над фашизмом. Треба 7.јулу да врати статус државног празника, сачува сећање на оне који су гинули по градовима, селима и пољима Србије борећи се за слободу, убијани по казаматима од окупатора и његових сарадника из српских редова и терани на присилни рад у земљи и Европи. На тај начин и сама власт добија поштовање, јер се поистовећује са онима који су отишли у народну легенду, историју и сећање, а свет признао допринос те борбе.

Било би непријатно за Србију и њену власт да се понови случај претходног Председника Републике да на обележавању годишњице ослобођења Београда „не зна“ ко је 1944. године ослободио тај град, ко се четири године у Србији и Југославији борио против фашистичких окупатора и његових сарадника да му  чак двапут то треба да каже председник стране државе који је дошао на обележавање годишњице ослобођења Београда. После смо били –  што би рекао хумориста – „много изненађени и увређени“ кад антифашистички свет Србију сматра државом која рехабилитује фашистичку прошлост и због тога је не позива на обележавање славних годишњица победе над фашизмом.

 

2. Рехабилитација ген.Михаиловића и колаборације

По мишљењу СУБНОР-а, оцена једног покрета, државе, институције и личности заснива се на основу општих показатеља а не детаља. Детаљи служе да се изврши корекција или појасне неке опште оцене. Из тих разлога оцена четничког, односно Равогорског покрета и ген.Драгољуба Михаиловића, мора се створити на основу општих чињеница и њиховог доприноса или одмагања борбе против фашистичког окупатора и у ослобођењу окупиране земље.

Чињеница да статус антифашиста четници нису од бивше актуелне власти добили због отпора према окупатору и борби за ослобођење земље, већ због односа избегличке Владе Краљевине Југославије, коју су били прихватили савезници, а она их преименовала у Војску Краљевине Југославије у отаџбини. Та војска, изузев кратко време 1941. године, није се борила против окупатора, већ се све време рата у сарадњи са окупаторима и квислиншким формацијама или самостални борила против ослободилачког покрета. На састанку са Немцима, новембра 1941.године, тада још пук. Михаиловић је рекао „да је борба против њих дело његових непослушних команданата и да он не стоји иза тога“. Фактички то је био колаборацонистички покрет а формално имао је до 12.септембра 1944. године легитимитет војске избегличке Владе Краљевине Југославије у отаџбини.

Сарадња четника са италијанским окупатором је од првог дана, са Немцима већ од новембра 1941. године, а са квислинзима од самог почетка у Србији, а у НДХ  од почетка 1942. године. То је била политика и понашање четника за све време окупације. Искакања неких четничких команданата, супротна општој политици четника, строго су кажњавана.

Равногорски покрет никад није позвао народ на устанак и борбу против фашистичких окупатора и домаћих квислинга. „Устанка се треба чувати као живе ватре“, речи су Васића, заменика ген.Михаиловића. Девиза је била „устанак кад дође време“, али то време никада није дошло. Четници (Војске Краљевине Југославије) завршили су војнички са окупатором и квислинзима у планинама Босне.

Злочини чињени народу који се борио против окупатора и његових сарадника по монструозношћу су исти  као они који су правиле усташе према Србима, Ромима и Јеврејима. Допринос четника одржавању окупације и економске пљачке Србије је огроман – то доказују и бројна немачка документа.

Одрицање савезника од четника није било политичка игра неких личности, већ чињеница да четници нису хтели да се боре против фашистичких окупатора и њихових сарадника, а сарађивали су са окупаторима и квислинзима, борили се против оних који се боре на страни савезника и што су чинили злочине над својим народом  у корист окупатора.

Бивша власт је донела Закон о рехабилитацији оних које су казнили победници (партизани), али и савезници, које се остварује као рехабилитација квислиништва и колаборације и ратне фашистичке прошлости у Србији. До сада су рехабилитоване у Србији све политичке личности из Србије које су биле против партизана који су се борили за ослобођење земље од окупатора и бројни они који су, као припадници колаборационистичких и квислиншких формација, чинили злочине према свом народу, а оспорена је покренута правна рехабилитација жртава и злочина које су они чинили.  За последњих 12 година деловањем бивше тзв. демократске власти оспорени су антифашизам и антифашистичка борба народа Србије и Србија сврстана у ред поражених у антифашистичкој борби народа у Другом светском рату.

СУБНОР сматра да би рехабилитација ген.Михаиловића, команданта четника (Војске Краљевине Југославије у отаџбини) и вође Равногорског покрета, која је у току, имала несагледиве негативне последице по односе унутар Србије и односе са новонасталим државама сецесијом СФРЈ, јер четнички није био српски, већ југословенски покрет. Имао би и велике међународне импликације јер би представило Србију у свету као противника антифашистичке борбе и антифашистичке опције. То би изазвало жесток отпор свих на подручју бивше Југославије и велике импликације и у Србији и у свету.

Не видимо ни један разлог да се Србија тако понаша и негира свој допринос победи над фашизмом коју јој је свет признао и подигао је на пиједестал антифашистичке борбе у Другом светском рату. Не треба заборавити да су ген. Михаиловић и четнички покрет били најкориснији сарадници немачког окупатора у Србији.

 

3. Враћање  Титовог споменика у Ужицу и однос према Титу

КПЈ је била илегална и ван закона партија у Краљевини Југославији. Окупацијом Краљевине Југославије престале су да постоје и делују све политичке партије, а Љотићев покрет претворио се у војну формацију у саставу Гестапоа. Ни једна партија није подржала устанак и борбу народа против окупатора, позвала народ на устанак, нити као партија била део устанка и НОП.

Та пасивност грађанских партија према борби народа претворена је у мржњу изавист према КПЈ која је позвала народ на устанак и водила народноослободилачку борбу до победе. После завршетка рата обновљене су грађанске партије, постале су део Народног фронта, а касније се утопиле у Социјалистички савез, али се њихов стварни политички однос није никад објективно променио према НОП-у и тековинама народноослободилачке борбе.

Три су пароле пласиране од КПЈ на почетку устанка које су биле и остале кључне за све време рата: „Братство-јединство“, „Борба против окупатора и његових и помагача“ и „Равоправост народа“, касније и борбене пароле „Борба за достојанственији и срећнији живот људи“ и „Равоправност народности, односно националних мањина“.

Победом над фашизмом остварена је једна од ових парола, а остале су оствариване за све време постојања социјалистичке Југославије. Данашње време  показује да ни једна од постојећих политичких партија у Србији не прихвата званично ове пароле и све имају према КПЈ и Титу као генералном секретару КПЈ однос које су имале грађанске партије у Краљевини Југославији. Ни једна постојећа партија не признаје оно што је постигла после рата Југославија под вођством КПЈ (СКЈ) и Тита у изградњи земље, стварању достојанственог живота људи, очувању самосталности и независности земље и заједничког суживота југословенских народа и народности и стварању несврстане међународне политике. Признање антифашистичких савезника доприносу победи над фашизмом и улога Тита и КПЈ у борби југословенских народа у тој победи ни једна партија, нити тзв. демократска власт, није признала и испоштовала, све су то оспоравале.

Према мишљењу СУБНОР-а, Тито је историјска личност, признат у свету као један од великана борбе против фашизма и државник светских размера у ХХ веку. СУБНОР не оспорава политичке грешке и потезе настале у изградњи суживота народа и народности у периоду постојања социјалистичке Југославије, али историјска оцена се не ствара по детаљима већ на основу општих чињеница и резултата. Ако се оцењује целина, борба за ослобођење земље била је успешна и у свету призната. Друштвени систем, достигнут живот и слобода људи у њој и статус земље у свету био је жеља и сан многих европских, азијских, афричких и јужноамеричких држава и народа који су то оправдано  везивали за Тита и КПЈ.

СУБНОР сматра да однос према Титу Србија треба да промени, не само зашто што друге новонастале државе бивше СФРЈ то нису никада ни спориле, већ због себе, мишљења грађана и међународних односа. Тито се не мора глорификовати али се мора уважавати, не може се игнорисати личност коју је свет признао и признаје. Нужно је због Србије вратити споменик, дати улицу, не представљати га у уџбеницима и свести људи као негативну личност и антисрбина, нека то историја оцени. Србија треба да покаже поштовање према човеку кога је светска историја уврстила у великане ХХ века.

У том смислу је и предлог СУБНОР-а да се споменик Титу у Ужицу, који се налази у запећку музеја, врати на Трг где му је и било место, тада Титовом Ужицу.

Мислимо да је немогуће Тита одвојити од признавања антифашизма, четворогодишње народноослободилачке борбе, доприноса који је дат победи над фашизмом и створеног угледа у свету. Нужна је његова, по гестовима, тиха рехабилиација у Србији.

 

4. Помирење зараћених страна у Србвији из Другог светског рата

СУБНОР сматра да је ово изузетно сложено питање и да захтева веома одговоран прилаз. Мора се знати разлог, потреба, сврха, могућност и последице. Ко се мири, шта се мири, ко су миротворци, да ли је то промена  историјске стварности, може ли неко да се мири у име и без одобрења другог. То су само нека питања која се постављају.

Једно је помирење међу државама, које има резултат само ако је реципрочно, друго је помирење између покрета, племена и појединаца унутар једне државе. Треће је амнестија и помиловање које је израз воље државне, политичке и војне моћи победника.

Помирење међу државама, посебно суседних, по мишљењу СУБНОР-а, је потреба и нужно везано за нормализацију односа у интересу обе земље. Државе не мењају оно што је било, то препуштају историји, али обећавају да то што је било неће оптерећивати савремени живот и бити препрека за остваривање сарадње и разумевању у садашњости и будућности. Ово помирење може да се манифестује политчким изјавама (декларације), уговорима о пријатељству или понашањем које прошлост ставља у други план – то је државна потреба и политика у стварању добросуседних односа. Не оспорава се оно што је било, нити мења, само се, обећава да оно што је било у историјској прошлости неће оптерећивати међусобне односе и текући живот држава.

Други облик помирења је опраштање за учињено. То је унутрашња потреба суживота, политика државе и израз њене моћи. Изражава се кроз амнестију (општи акт) и помиловање (појединачни акт). Амнестија је општи акт који се односи на понашање које је било супротно националном интересу неодређеног броја лица. То је истовремено акт опраштања и помирења.

Држава Југославија створена или обновљена у току и после победе над фашистичким окупатором, амнестирала је све грађане Југославије за учешће за време рата у војним квислиншким и колаборационистичким јединицама што су се борили против НОВ и ПОЈ; све који су били припадници управног и судског апарата окупатора; и сва лица која су сарађивала са окупатором и квислиншким и колаборационистичким формацијама, осим лица која су чинила ратне злочине и припаднике усташког и љотићевог покрета. То су акти које су доносили највиши органи власти између новембра 1944. до августа 1945. године и значила  су опраштање,  помирење и рехабилитација.

По мишљењу СУБНОР-а, помирење ратних страна у Србији 1941-1945. године могуће је само мењањем историјске улоге ратних страна и променом односа окупатора према тим странама. То би значило да није било квислинштва и колаборације, да ту окупатор није имамо никакву улогу и да сада те две стране треба помирити и признати им исти допринос у ослобођењу земље од окупатора. Држава у том случају, супротно историјским мерилима, мења историјску стварност. Тај акт нема правну вредност. Било би исто као кад би власт донела одлуку да река Морава не протиче кроз Србију. Она својом одлуком не може да промени оно што је било.

Нова генерација може да има позитиван или негативан однос према претходној генерацији и њеном делу, али не може да мења односе унутар те генерације и оно што се унутар ње догодило, поготово да мири зараћене стране у тој генерацији, јер то није њено природно право. Покушај мењање односа унутар страна претходне генерације и њихово помирење је историјска бесмислица јер се то догодило и прошло. Прошлост треба оставити историји. То није потреба историје и те генерације, већ потомака и поштовалаца српског квислинштва и колаборације из веома видљивих разлога, пре свега због моралног терета историје за издају, а и из лукративних разлога.

Помирење које се налази у интересу друге генерације не може да помири  партизане са четницима, балистима, недићевцима, муслиманском милицијом и љотићевцима. Живи партизани немају мандат јер су га искористили 1944-1945. године, а ово што се данас ради нема никаквог историјског ефекта и значаја за ту генерацију. Савремена генерација треба да решава проблеме садашњег живота и да отвара простор младој генерацији и остави на миру оно што је прошлост створила.

То је покушај потомака колаборације да издају претворе у патриотизам и изједначе по националној вредности и доприносу дело једне и друге стране. Циљ је анулирање одговорности за злочине учињене у корист окупатора против свог народа и изједначи антифашизам и фашизам по друштвеном вредновању. У таквој релацији нема одговорности за Бањицу, клање, казамате специјалне полиције, сарадњу са окупатором, злочине учињене у корист окупатора против свог народа,  борбу против покрета који се бори за ослобођење земље, итд. Одговорност таквих и те стране не постоји. Њихово кажњавање проглашено је за злочин, а они који су их казнили – злочинцима.

 

5. Дан Републике

СУБНОР је, полазећи од односа власти према републиканском облику владавине и државном уређењу, покренуо поступак пред Владом Србије да Скупштина  установи Дан Републике као значајан државни празник.

По мишљењу СУБНОР-а, у Србији – поред уставно легално изабраног Председника Републике – постоји у државно-политичком животу монарх, престонаследник не зна се којег престола, његово краљевско височанство и величанство, краљевски савет и други органи као и отворена и организована противуставна активност, посебно неких партија и конефсија, за повратак монархије. На жалост, све то се обавља уз обилату апанажу државе за одржавање активности краљевске куће, породице и организације.

Такво својеврсно представничко двовлашће у републиканском облику владавине ствара неповољну слику о Србији и у земљи и у свету и  чини је недефинисаном па и неозбиљном и у националним и међународним односима.

Садашњи политички естаблишмент ако има амозитет према 29.новембру, датуму кад је 1945. године проглашена Република као облик владавине у Југославији, нека узме датум кад је Србија 1946. године донела Устав и декларисала се као Република. СУБНОР мисли да би се на тај начин разрешила  монархистичка шарада и отклониле оправдане примедбе за непоштовање постојећег Устава и кршење на које не реагује држава. Испада да се подржава политички и правно такво стање, поготово што држава финансира такву противуставну делатност.

 

6. Однос према СУБНОР-у

Однос према једној организацији опредељује се према ономе што она ради и њеном друштвеном и политичком профилисаности и значају.

У периоду од распада СФРЈ деведесетих до данас, СУБНОР је пролазио кроз разне фазе односа са државним и политичким партијама. У периоду деведесетих и доминације СПС, СУБНОР је политички био некритички везан за СПС што се негативно одразило на укупни друштвени и политички однос према СУБНОР-у.

Променама извршеним 2000.године настоје свеопшти обрачун – политички, друштвени и правни са СУБНОР-ом. Припадници НОП-а се криминализују, антифашизам негира и омаловажава, допринос победи над фашизмом се не признаје, рехабилитују се квислинштво и колаборација са фашистичким окупатором, лица кажњена за злочине против народа у корист окупатора рехабилитују се и правно и политички и проглашавају за часне националне посленике, а припадници НОП (партизани) криминализују, проглашавају злочинцима и окривљују за све и свашта. Законска заштита бораца се умањује, а материјална законска обавеза према СУБНОР-у као организацији се ускраћује и умањује у односу на друге организације.

Доносе се закони којим се четници признају за антифашисте и о рехабилитацији којим се произвољно рехабилитују на хиљаде сарадника окупатора и његових домаћих сарадника између којих и лица која су чинила ратне злочине. Измишљају се чињенице о морбидним  масовним злочинима и неделима партизана и тврдње од текућих историчара да је у бројним местима Србије од партизана стрељано више лица него што су та места имала становника. Средства јавног информисања су у функцији и ударна снага у пласирању те политике.

Власт у Србији између 2000-2012.године све је учинила да рехабилитује фашистичку прошлост у Србији, што је довело да светска јавност индентификује Србију као земљу у којој се рехабилитује фашизам и оспорава антифашизам. У том периоду претвара се један колаборационистички покрет (четници) у антифашистички, а са њим обухвата све квислиништво и колаборацију, јер су њихове јединице биле у задњој години рата стављени под четничку команду.

Променом власти 2012. политичка клима према антифашизму, антифашистичкој борби, НОП и партизанима, вредновање нашег доприноса победи над фашизмом тихо се и постепено мења. Што је позитивнији однос према антифашизму, то је толерантнији однос према СУБНОР-у, мада то није до краја међусобно повезано када су у питању услови рада СУБНОР-а који су неповољни и не постоји потребно разумевање. Највећи домет промене је одлука да се од ове године 7.јули обележава у државној режији.

Органи државе имају коректан однос када је у питању  надлежно борачко министарство. Коректан однос имамо и са службама Министарства одбране. Имамо протоколарне односе  са још неким министарствима, али без неког стварног ефекта. Имамо коректан однос са Преседником Републике и његовим кабинетом.

Дискутабилан је однос са Министарством правде, које је у протеклом периоду било носилац негативне државне политике према антифашистичкој борби, партизанима и НОП-у. То Министарство, на челу са Хоменом и Маловићком, ангажовало је један број идеолошки острашћених историчара и било носилац и аниматор рехабилитовања колаборације и фашистичке прошлости у Србији.



Verso il 10 Febbraio tra censure, intimidazioni, scomuniche

1) MILANO: Attacco frontale PD / La Repubblica contro la storica Claudia Cernigoi per "lesa mitologia delle foibe"
2) COMO: Il sindaco PD si allinea ai nazisti e si oppone alla iniziativa dell'ANPI / Il Corriere della Sera rincara e attacca anche il sito Diecifebbraio.info
3) COMO: Lager italiani, un successo l'incontro con Alessandra Kersevan / Una grande lezione di storia / Intervista


Sulle censure imposte dalla lobby istriano-dalmata si veda anche:

“NON FATELI PARLARE”

Giorno del Ricordo 2013 a Montebelluna

Verona 12/2/2013: Gli squadristi schierati con il Rettore contro la iniziativa FOIBE TRA MITO E REALTA’


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Da La Repubblica - sez. Milano

autore: Franco Vanni
4 febbraio 2014

Rifondazione invita una revisionista 

il Ricordo delle foibe diventa un caso


NEL giorno del Ricordo, in cui si commemorano le vittime delle foibe e l’esodo giuliano-dalmata, Rifondazione comunista organizza un incontro con la storica Claudia Cernigoi, nota per le posizioni revisioniste sui massacri di italiani in Venezia Giulia e Dalmazia a partire dal 1943. E lo fa in una sede istituzionale: l’iniziativa si terrà infatti lunedì prossimo, 10 febbraio, nell’aula del consiglio di Zona 3 in via Sansovino 9. «Nessuna provocazione — assicura Renato Sacristani, dirigente di Rifondazione e presidente del parlamentino di quartiere, eletto nelle liste di Sinistra per Pisapia — abbiamo deciso di organizzare l’incontro con Cernigoi, studiosa che stimiamo, per bilanciare la faziosità dell’iniziativa che simultaneamente si svolgerà allo spazio Oberdan». Nella sala di Porta Venezia è prevista la lettura di “La Foiba dei Colombacci”, testimonianza autobiografica in forma di racconto della diaspora e dell’esilio in patria di Luigia Matarrelli, maestra elementare presso il Provveditorato di Pola.
La decisione di invitare Cernigoi — che riduce i massacri delle foibe a «mistificazione storica, trasmessa dalla propaganda nazifascista attraverso la guerra fredda fino al neoirredentismo» — solleva polemiche e critiche. Per Riccardo De Corato, consigliere comunale di Fratelli d’Italia, «fare parlare Cernigoi proprio nel giorno del Ricordo, per di più senza contraddittorio, è una provocazione inaccettabile. Destra e sinistra non c’entrano: nelle foibe morirono migliaia di persone, non 400 come Cernigoi va ripetendo, con la sola colpa di essere italiane». Il Partito democratico, che in consiglio di Zona si è opposto alla concessione della sala, da giorni preme sull’alleato di giunta perché il convegno sia spostato in un’altra sede. Lo staff del sindaco fa sapere che Giuliano Pisapia non intende commentare l’iniziativa, e che come ogni anno da quando è stato eletto, il 10 febbraio parteciperà alla cerimonia ufficiale di commemorazione delle vittime dei massacri delle foibe.
Nel convocare l’incontro su Facebook, Rifondazione comunista scrive: «Il 10 febbraio è il Giorno del Ricordo. Da quando è stata istituita questa ricorrenza, il tema certamente drammatico degli “infoibati” è utilizzato in maniera strumentale dalla destra come strumento di revisionismo storico sulla Resistenza». Il giorno del Ricordo è solennità civile nazionale istituita per legge nel 2004, e dal 2005 viene celebrata ogni anno il 10 febbraio. Nel 2007 il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nel ribadire «il valore fondante della Resistenza e le responsabilità fasciste nella Seconda guerra mondiale», invitò tutte le amministrazioni pubbliche a celebrare il giorno del Ricordo, «per non dimenticare quello che fu un moto di odio e di furia sanguinaria, e un disegno annessionistico slavo che assunse i sinistri contorni di una “pulizia etnica”». Nello stesso anno fu l’Unione europea a criticare formalmente il presidente croato Stipe Mesic, che in polemica con Napolitano sosteneva posizioni del tutto simili a quelle della storica Cernigoi.

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LA RISPOSTA DI CLAUDIA CERNIGOI:

Egregio signor Direttore, ho letto l’articolo di Franco Vanni su La Repubblica di oggi, e sono rimasta letteralmente basita del tono con il quale sono stata descritta.
“La storica (…) che definisce “mistificazione” i “massacri tra il 1943 ed il 1945”; poi sono definita “revisionista” (che di per se stesso sarebbe anche un termine corretto, dato che ho rivisto buona parte delle affermazioni prive di riscontro storico che da decenni vengono ribadite come se fossero oro colato, ma nel contesto dell’articolo assume un significato negativo dei miei lavori di ricerca), “riduzionista”, come se mi fossi limitata a “ridurre” qualcosa invece di analizzarlo criticamente.
Così inoltre nel testo si legge che Cernigoi “riduce i massacri delle foibe” a “mistificazione storica, trasmessa dalla propaganda nazifascista attraverso la guerra fredda fino al neoirredentismo”.
Mi domando: il giornalista ha letto qualcosa di quanto ho scritto oppure si è limitato a copiare (non correttamente, tra l’altro) il sottotitolo del mio primo studio sulle foibe, risalente ancora al 1997, “Operazione foibe a Trieste”, il cui sottotitolo esatto era “come si crea una mistificazione storica: dalla propaganda nazifascista attraverso la guerra fredda fino al neoirredentismo”.
La mistificazione storica riguarda la propaganda creata intorno a questo periodo storico, non le “foibe” in quanto tali, come si comprende benissimo leggendo quanto ho scritto, ed ancora meglio è spiegato nello studio successivo “Operazione foibe tra storia e mito”, pubblicato nel 2005. Viene riferito come dato di fatto incontrovertibile l’intervento di Riccardo De Corato (è uno storico? un ricercatore?) che “nelle foibe” sarebbero morte migliaia di persone “con la sola colpa di essere italiane”, e non le 400 che avrei detto io. A parte che io non “vado ripetendo” che gli infoibati sarebbero stati 400 (nei miei studi ho spiegato i termini della questione, che non sto qui a ripetere per motivi di spazio) ma non comprendo perché il giornalista abbia pubblicato quanto detto da altre persone e non mi abbia contattata per chiarimenti, come era rimasto d’accordo con gli organizzatori dell’incontro, prima di scrivere frasi che presentano negativamente il mio lavoro, che è frutto di decennali ricerche negli archivi italiani ed esteri, di analisi accurata di quanto pubblicato in precedenza e di interviste con testimoni dei fatti.
Chiedo pertanto che il quotidiano da Lei diretto mi dia l’opportunità di chiarire quanto su di me pubblicato in modo non corretto e sminuente del mio lavoro, che sembra finalizzato a giustificare la negazione dell’uso della sala per un’iniziativa culturale, come se io fossi una persona non degna di parlare di determinati argomenti.

Ringraziando per la cortese attenzione, attendo riscontro

Cordiali saluti

Claudia Cernigoi
Iscrizione n. 262 d.d. 2/6/1981 albo giornalisti Friuli Venezia Giulia.


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Sulla conferenza di Alessandra Kersevan sabato 1° febbraio a Como si veda anche:


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http://www.contropiano.org/politica/item/21921-como-il-sindaco-pd-obbedisce-ai-fascisti-di-militia-e-sfratta-l-anpi

Como: il sindaco Pd obbedisce ai fascisti di Militia e sfratta l’Anpi

•  Lunedì, 03 Febbraio 2014
•  Marco Santopadre

La notizia è di quelle gravi, gravissime. E la dice lunga sulla degenerazione di un partito che solo in campagna elettorale continua a predicare un antifascismo strumentale che poi nega ogni giorno.

Sabato pomeriggio la locale sezione dell’Anpi di Como e l’Istituto di Storia contemporanea “Pier Amato Perretta” avevano organizzato un incontro pubblico con la storica Alessandra Kersevan all’interno della sala delle conferenze della Circoscrizione 1. Un incontro all’insegna di quel recupero della memoria storica che lo stato italiano afferma di promuovere e difendere addirittura attraverso l’istituzione di giornate ad hoc. L’incontro mirava a ricordare che “Tra il 1941 e l’8 settembre del 1943, il regime fascista e l’esercito italiano misero in atto un sistema di campi di concentramento in cui furono internati decine di migliaia di jugoslavi: donne, uomini, vecchi, bambini, rastrellati nei villaggi bruciati con i lanciafiamme. Lo scopo di Mussolini e del generale Roatta, l’ideatore di questo sistema concentrazionario, era quello di eliminare qualsiasi appoggio della popolazione alla Resistenza jugoslava e di eseguire una vera e propria pulizia etnica, sostituendo le popolazioni locali con italiani”.
Ma ai fascisti di Militia l’iniziativa volta a ricordare le responsabilità del regime fascista italiano nelle persecuzioni dei popoli della Yugoslavia occupati ed aggrediti durante l’invasione italiana e tedesca non è piaciuta. Niente di nuovo, si dirà. Senonché il sindaco di Como Mario Lucini, espressione di una giunta di coalizione tra Partito Democratico, Sel (!) e alcune liste civiche ha deciso di obbedire al diktat di quelli di Militia – che accusano Kersevan di “spiccato negazionismo sul dramma delle foibe” – e quindi decide di sfrattare l’iniziativa negando il salone della circoscrizione.
L’amministrazione di Como si è nascosta dietro una sorta di par condicio tra associazioni partigiane e antifasciste ed organizzazioni di estrema destra. Siccome nei giorni scorsi il salone della circoscrizione era stato negato ad una iniziativa di celebrazione di un esponente del regime nazista allora non lo si può concedere neanche alla “parte avversa”.
Di qui il forzato trasloco della conferenza, che alla fine si è tenuta nel salone Bertolio con qualche elemento in più di consapevolezza sull’attualità dei valori dell’antifascismo. 

Sul loro sito quelli dell'Associazione Culturale Militia cantano vittoria. 

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Perché le parole della Kersevan sono inaccettabili

MERCOLEDÌ 05 FEBBRAIO 2014

Fa ancora discutere il caso scoppiato lo scorso fine settimana
La lettera di un docente del Volta e quelle morti oltraggiate dalla ricercatrice


Gentilissimi, non so se faccio bene a scrivervi, ma se non lo avessi fatto sentirei di aver mancato a un mio dovere professionale. 
Sono un insegnante di storia e filosofia del Liceo classico Alessandro Volta di Como, cultore di storia e autore di alcuni testi divulgativi. La conferenza di Alessandra Kersevan non era sulle foibe e il libro che ha scritto non parla di foibe, dunque come si spiegano le pagine di notizie polemiche di ieri e oggi? Come mai sul giornale di oggi non c’è la cronaca della conferenza ma solo la foto? Ho assistito alla conferenza come faccio sempre quando arriva a Como qualcuno che parla di storia, soprattutto del Novecento, e ho anche registrato col mio Ipod l’intero intervento della Kersevan, perciò sono in grado di provare quello che affermo. Sarei grato di avere spiegazioni, citazioni o fonti in cui si possa leggere che la Kersevan, apparentemente una persona pacata e obiettiva (nel senso dell’obiettività storica), neghi le foibe, le riduca a fenomeno marginale o offenda i caduti sotto i colpi della violenza titina.
Cordialmente,
Paolo Ceccoli


Gentile professore, ha fatto benissimo a scriverci, tanto che la sua lettera merita la dovuta attenzione. E qualche risposta.
La prima è relativa all’oggetto della conferenza organizzata da Anpi e Istituto Perretta. Come potrà accertare rileggendo l’articolo pubblicato sul “Corriere di Como” di sabato scorso, nessuno ha mai scritto che Alessandra Kersevan avrebbe parlato delle foibe. Al contrario, era specificato in maniera inequivocabile che il titolo, e dunque il contenuto dell’intervento, avrebbero riguardato altro argomento. Per questo motivo, ossia per il fatto che l’evento in sé esulava dai dati di cronaca, centrati sull’aspra polemica che la figura stessa della Kersevan suscita in una notevole parte dell’opinione pubblica sul tema specifico delle foibe, non è stato dato resoconto puntuale della conferenza in sé. 
Chiariti questi due punti, veniamo alle “tesi” di Alessandra Kersevan sulle foibe. 
Chi scrive, legge per esempio in questa frase dell’autrice - “Commemorare i morti nelle foibe significa sostanzialmente commemorare rastrellatori fascisti e collaborazionisti del nazismo. Per gli altri morti, quelli vittime di rese dei conti o vendette personali, c’è il 2 Novembre” - un oltraggio indegno alle centinaia di civili italiani e non (ma se fossero decine non cambierebbe nulla) gettati nelle fosse carsiche dai soldati comunisti di Tito. Di più: in quelle parole si coglie una disumana e inaccettabile divisione tra morti di serie A e morti di serie B, che va ben al di là dei torti e delle ragioni che pure la Storia ha già affermato. E che, invece, insinua nemmeno velatamente il concetto che un cadavere, o persino un prigioniero di guerra in vita, possa tutto sommato “meritare” o meno ogni oltraggio a seconda della divisa che indossava. 
Aggiungo. Sul sito “diecifebbraio.it” è riportato il titolo di un’intervista concessa il primo febbraio scorso dalla Kersevan all’emittente radiofonica “Radiazione” (con contenuto scaricabile). Ebbene, il titolo - riferito alla ricorrenza del 10 Febbraio - è questo: “Il giorno della menzogna”. Proprio come la peggiore propaganda negazionista della Shoah titola molti dei suoi più ignobili scritti. Ecco, chi scrive pensa che - al di là di un revisionismo storico legittimo, quando serio - coloro che aderiscono senza battere ciglio a una qualunque iniziativa che bolli in maniera apodittica e preconcetta i drammi delle foibe o della Shoah con la parola “menzogna” possano fare una cosa sola: vergognarsi.
Emanuele Caso


Nella foto:
La ricercatrice storica Alessandra Kersevan, contestata da più parti perché ritenuta revisionista, quando non proprio negazionista, delle foibe


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Sulla conferenza di Alessandra Kersevan sabato 1° febbraio a Como si veda anche:

VIDEO 
prima parte: http://www.youtube.com/watch?v=iYJJGyiDdV4#t=55
seconda parte: http://www.youtube.com/watch?v=V4exkreWJ8w
terza parte: http://www.youtube.com/watch?v=pgrBvSFP4rw

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Nonostante un'allucinante campagna mediatica ampiamente disinformativa e nonostante l'incompresibile negazione all'ultimo momento da parte del sindaco di Como della sala della Circoscrizione n. 1, oltre centoventi persone hanno assistito con attenzione ed interesse alla conferenza con la storica Alessandra Kersevan di sabato 1 febbraio dal titolo: Lager italiani - pulizia etnica e campi di concentramento fascisti per civili jugoslavi 1941-1943

Ringraziamo la relatrice prof.essa Kersevan, l'Istituto di Storia P.A. Perretta per la collaborazione e il comitato soci Coop per aver messo a disposizione la sala.

Mentre a Cantù si è data ospitalità ad un gruppo di nazifascisti a Como si vieta uno spazio pubblico per un' iniziativa dal contenuto informativo e culturale voluta dall'Istituto di Storia nella pienezza del suo compito e dall'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia nella legittima funzione rivolta a tenere viva la memoria. Chi non è venuto all'incontro ha perso una lezione sulla storia che riguarda noi italiani.

I contenuti di questa conferenza sono apparsi culturalmente interessanti e didatticamente formativi. La storia del confine orientale con la ex Jugoslavia si rivela, nei saggi della Kerseveran, complessa e piena di dettagli inediti e documentati.

Si dovrebbero incentivare iniziative come questa in modo da contrastare l'ipocrito atteggiamento di nascondere i crimini fascisti e lasciare, i più, nell'ignoranza di credere che "Mussolini aveva bonificato l'Agro Pontino" e "Costruito pochi chilometri di autostrada", sottacendo le atrocità commesse nei confronti di altri popoli per una assurda voglia di conquista mai, per altro, realizzata e mai giudicata sino in fondo.

Anpi sezione di Como "Perugino Perugini"


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Kersevan / Una grande lezione di storia

Nel salone Bertolio della Cooperativa di via Lissi a Rebbio la storica Alessandra Kersevan ha ricostruito in un’approfondita conferenza nel pomeriggio di sabato 1 febbraio le vicende connesse all’occupazione fascista delle regioni della ex Yugoslavia, legate soprattutto all’internamento di un numero grandissimo di civili, uomini e donne, vecchi e bambini, in campi di concentramento italiani tra 1941 e 1943.

L’incontro, organizzato dalla Sezione di Como dell’Anpi e dall’Istituto di Storia Contemporanea Pier Amato Perretta, avrebbe dovuto tenersi – com’è noto – alla Circoscrizione n. 1 di Albate se il Comune non avesse ritirato all’ultimo momento la concessione della sala. Il trasferimento non ha nuociuto alla partecipazione, anzi: oltre cento persone hanno affollato il salone Bertolio. Un pubblico attento e partecipe, intenzionato a capire.

E se alle persone presenti si fosse aggiunto anche qualcuno di quelli che in questi giorni hanno accusato la studiosa di “negazionismo” riguardo alla vicenda delle foibe, avrebbe avuto la misura di quanto si è sbagliato.

Dopo le parole di premessa di Nicola Tirapelle della Sezione di Como dell’Anpi e l’attenta introduzione di Elisabetta Lombi, dell’Istituto di Storia Contemporanea, che ha fornito i dati essenziali del volume Lager italiani – recentemente pubblicato appunto dalla studiosa -, Alessandra Kersevan ha ricostruito la storia dell’area intorno al “confine orientale” dalla prima guerra mondiale fino a tutta la vera e propria occupazione fascista. Una regione estremamente complessa, in cui era evidente una realtà plurinazionale (italiana, slovena, croata, ma anche tedesca e rumena) e che l’annessione all’Italia cercò subito di omologare a una pretesa italianità. Su queste vicende ha operato una profonda rimozione, quando non una vera e propria censura: Alessandra Kersevan ha ricordato solo due esempi, ma estremamente significativi: il documentario della Bbc Fascist legacy, realizzato alla fine degli anni Ottanta, acquistato e tradotto dalla Rai ma mai trasmesso, e poi soprattutto il documento finale della commissione storica italo-slovena istituita dai governi dei due Paesi e che avrebbe dovuto essere ratificato dai rispettivi governi, cosa che è avvenuta per la Slovenia ma non per l’Italia.

La data cardine per le specifiche vicende legate ai campi di internamento italiani è il 6 aprile 1941, con l’inizio della aggressione al regno di Yugoslavia e la seguente occupazione, che fu gestita con ossessiva attenzione alla repressione delle vere e presunte forme di resistenza da parte degli abitanti. L’intera città di Lubiana, per esempio, venne trasformata nella notta tra 22 e 23 febbraio 1942 in un immenso campo di concentramento con la costruzione di un reticolato tutt’intorno all’abitato, lungo ben 32 kilometri, e la suddivisione del territorio urbano in zone divise da filo spinato. Si procedette quindi all’internamento dei maschi adulti che vennero “selezionati” per categorie, a cominciare dagli studenti, evidentemente ritenuti i più pericolosi. A seguito di questa vera e propria pulizia etnico-politica i luoghi di detenzione sul posto si dimostrarono rapidamente insufficienti e vennero quindi allestiti veri e propri campi di concentramento in Italia (in Friuli – in primo luogo a Gonars -, in Veneto, ma poi anche in Liguria, in Umbria, in Toscana, in Lazio) e sulle isole dalmate. Alla fine, in condizioni disumane, furono circa 120 mila le persone slovene, croate, montenegrine deportate e internate, di queste non meno di 4500 (secondo le stime più prudenti), ma forse almeno 7000, morirono.

Alessandra Kersevan ha raccontato questi accadimenti in una narrazione pacata, ma implacabile: ha citato cifre, mostrato immagini provenienti dagli archivi militari italiani, smontato false attribuzioni e interpretazioni, letto messaggi inviati dall’interno dei campi e documentati dalle commissioni provinciali della censura fascista, ricostruito un contesto storico che dovrebbe essere noto e che invece è stato artatamente occultato dall’ufficialità.

Ha poi risposto alle domande del pubblico, attento e partecipe, come si è detto. Non si è sottratta nemmeno al pretesto delle polemiche che purtroppo l’accompagnano da tempo e che l’hanno accolta anche a Como: il tema delle foibe. A proposito del quale, ha allargato il contesto di spiegazione, sottolineando che in quella regione la guerra è stata particolarmente dura, fin dal primo conflitto mondiale, e che la guerra non può lasciare che strascichi di guerra e violenza (come è stato sottolineato anche dall’intervento di Celeste Grossi). Lungi dal ridimensionare la drammaticità delle vicende legate alle foibe, ha chiesto uno sforzo di approfondimento, di studio, un impegno anche da parte delle istituzioni per chiarire le reali dimensioni del fenomeno, tuttora oggetto di forzature polemiche, per riuscire a sottrarlo definitivamente a istanze nazionalistiche (e di nuovo ha richiamato la paradossale vicenda della commissione di storici italo-slovena istituita e poi “abbandonata” dal governo italiano) e soprattutto per riuscire a inquadrarlo in una prospettiva storica che non può essere chiusa sul solo periodo seguente alla seconda guerra mondiale e alla fine del fascismo.

Alla fine, tra tutte le persone presenti, è stata forte la consapevolezza di aver imparato molte cose. [Fabio Cani, ecoinformazioni]


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Kersevan/ Intervista


Abbiamo chiesto alla storica Alessandra Kersevan di ribattere alle accuse e agli oltraggi alla sua professionalità di ricercatrice che sono derivati dalla paradossale vicenda della conferenza per la quale il sindaco di Como ha negato a Anpi e Istituto Perretta una sala comunale. Leggi nel seguito del post l’intervista rilasciata, prima della conferenza di sabato 1 febbraio, dalla Kerservan  a Jlenia Luraschi.

C’è chi la accusa di revisionismo, cosa risponde? Credo che la storia, quando è ricerca storica, debba sempre fare un opera di revisionismo rispetto ai risultati precedenti, altrimenti la ricerca non avrebbe senso, e detta in questo senso la parola revisionista non mi darebbe fastidio. Il problema è che negli ultimi decenni la parola revisionismo è stata usata in un modo politico e di solito veniva usata dalla storiografia resistenziale nei confronti della storiografia di destra che tendeva a reinterpretare la storia della seconda guerra mondiale con la tendenza  a rivalutare il fascismo e a trovare responsabilità a carico dei partigiani. Io in questo senso revisionista non posso essere.

Solo che la storiografia di destra e i politici di destra sono esperti e bravi nel ribaltare il significato delle parole. Hanno fatto delle affermazioni sulla storia del confine  orientale, affermazioni esagerate e non corrispondenti alla verità storica ed alla documentazione. Coloro che invece sono stati attivi sul piano della ricerca e hanno scoperto che i dati che venivano dati sulle Foibe erano sbagliati vengono adesso definiti revisionisti. Evidentemente l’essere revisionisti deriva dal fatto che altri prima sono stati “affermazionisti” senza essersi adeguatamente documentati.

Il problema è poi che i giornalisti travisano a loro volta queste parole affiancando un significato morale  o moralistico e fanno credere che la parola revisionista sia una parola offensiva. Credo che su tutto questo bisogna fare una grande chiarezza

Sulle vicende del confine orientale di cui io mi occupo sono state in questi anni, in particolare dagli anni 90 in poi, fatte ricostruzioni tendenti alla negazione delle responsabilità che il fascismo ha avuto nell’aggressione alla Jugoslavia, nel razzismo verso gli slavi e nei campi di concentramento creati per la popolazione. Quindi si tratta di ristabilire la verità.

Ho smesso di preoccuparmi delle definizioni che mi vengono date e preferisco andare alla sostanza delle cose. Certo che quando i giornali mi attribuiscono frasi che non ho mai pronunciato diventa preoccupante.

Cosa risponde a chi vorrebbe rappresentarla come un’esponente politica e non come una storica? Questa accusa è ingiusta e deriva da esponenti di destra e di estrema destra che sostanzialmente attribuiscono agli altri quello che invece fanno loro. Ho dimostrato con i miei libri, quelli che ho scritto personalmente e quelli che ho pubblicato e quelli del gruppo di ricerca di resistenza storica di cui faccio parte, volumi documentati, basati su una rigorosa e approfondita ricerca, quello che sono. Naturalmente, come tutti gli storici ci assumiamo la responsabilità dell’interpretazione dei dati e dei documenti. Il problema è che da parte dei miei detrattori non viene fatto un necessario e legittimo confronto storiografico, ma viene attuata una vera e propria persecuzione e censura. A me il confronto piace, e mi sono trovata a confrontarmi con chi ha un’altra visione e interpretazione dei documenti, e in questo caso è anche interessante discuterne. Se venissero presentati documenti che mettono in discussione le mie affermazioni, non avrei problemi ad ammetterlo, il fatto è che in tutti questi anni non è mai successo e non è mai stato presentato nulla di nuovo, non sono state fatte reinterpretazione, è stata solo attuata nei nostri confronti una vera persecuzione.

Purtroppo in questa azione di censura nei confronti di una ricostruzione storica seria come quella del confine orientale non sono solo coinvolte espressioni della destra, ma anche una parte della sinistra che, soprattutto negli ultimi anni, ha accettato le versioni che nazisti e fascisti avevano già dato nel 43 e nel 45. [Jlenia Luraschi, ecoinformazioni].





Iniziative a Napoli, Ceggia, Torino, Milano, Rovigo, Bologna

Ricordiamo anche l'iniziativa che si svolgerà
ad Arezzo il 12 febbraio 2014: FOIBE. IO RICORDO... TUTTO!!
OCCUPAZIONE IN 26 IMMAGINI di Lordan Zafranovic


=== NAPOLI 7 FEBBRAIO ===

Venerdì 7 febbraio 2014
ore 17:00, presso la Mensa Occupata
Via Mezzocannone 14 - Napoli

IL MITO DELLE FOIBE 
RISCRIVERE IL PASSATO PER DOMINARE IL PRESENTE

Oltre le amnesie della Repubblica
Oltre la mitologia degli Italiani Brava Gente

intervengono: 
SANDI VOLK - storico
FRANCESCO SOVERINA - storico, direttore dell'Archivio dell'Istituto Campano di Storia della Resistenza
GIUSEPPE ARAGNO - storico

a seguire (ore 21:00): cena

promuovono:
CITY STRIKE (GENOVA)
GAGARIN 61 (TERAMO)
INSURGENT CITY (PARMA)
MENSA OCCUPATA (NAPOLI)
MILITANT (ROMA)



=== CEGGIA (VE) 8 FEBBRAIO ===

ANPI
COMITATO ANTIFASCISTA E PER LA MEMORIA STORICA

Sabato 8 febbraio 2014
presso la Sala consiliare di Ceggia (VE), ore 17:30

conferenza: FASCISMO, FOIBE, ESODO

relatrice: Alessandra Kersevan

Dal 20 al 28 febbraio 2014
presso la Sala consiliare di Ceggia (VE)

esposizione della mostra: FASCISMO, FOIBE, ESODO

inaugurazione giovedì, 20 febbraio 2014 alle pre 20:30


=== TORINO 9 FEBBRAIO ===

Domenica 9 febbraio 2014
Piazza Nazario Sauro - Torino
a partire dalle ore 15:00

ANPI - Associazione Nazionale Partigiani d'Italia
Comitato ANPI Provinciale di Torino - Ente Morale dal 1945

Presidio Antifascista per la Pace, la Democrazia e la verità storica 

Invitiamo tutti cittadini, le associazioni e i soggetti politici che condividano i valori della Resistenza e della Costituzione.

Esposizione mostre fotografiche:
- "Fascismo, foibe, esodo"
 dell'ANED - Associazione Nazionale Ex Deportati Politici dei lager nazisti
- "Testa per dente" del Coordinamento 10 Febbraio

Musica, vin brulè, the caldo

Difendiamo la memoria contro tutti i neofascismi



=== MILANO 10 FEBBRAIO ===

Lunedì 10 febbraio 2014
ore 18:00, presso la Sala del Consiglio di Zona 3
Via Sansovino 9, Milano

INCONTRI CON LA STORIA: LE FOIBE

L'uso strumentale delle foibe come revisionismo storico sulla resistenza da parte della destra

interviene: CLAUDIA CERNIGOI - storica

promuove:
PRC - Circolo Peppino Impastato



=== COSTA (ROVIGO) 12 FEBBRAIO ===

COSTA DI ROVIGO, 12 FEBBRAIO

STORIE DEL CONFINE ORIENTALE
tra fascismo, guerra, foibe ed esodo

Conferenza di ALESSANDRA KERSEVAN

ULTERIORI DETTAGLI A SEGUIRE SU Diecifebbraio.info


=== BOLOGNA 14 FEBBRAIO ===

ANPI Sez. Lame - Bologna

Presenta
Sala Benjamin - Via del Pratello, 53
Venerdì 14 Febbraio 2014, alle h. 20,30.

Foibe: un’interpretazione storica
Questioni del confine orientale italiano

Discussione e dibattito con:
Ermenegildo Bugni – Segretario Provinciale Anpi Bologna
Alessandra Kersevan e Sandi Volk – Storici

A corredo della discussione:
TESTA PER DENTE
mostra in 18 pannelli su materiali di resistenza storica
antifascista e internazionalista
gentilmente concessa da CNJ (Coordinamento Nazionale Jugoslavia)

Lo scopo della mostra è fornire un piccolo strumento didattico e culturale che serva da stimolo per colmare un grave vuoto di in-formazione nella memoria storica collettiva, soprattutto presso i giovani” in occasione della Giornata del Ricordo






Da: "Comitato antifascista e per la memoria storica-Parma" <comitatoantifasc_pr @ alice.it>
Oggetto: contromanifestazione antifascista il 10 febbraio a Parma
Data: 02 febbraio 2014 20:28:01 CET

CONTROMANIFESTAZIONE  ANTIFASCISTA  AL  "GIORNO DEL RICORDO"  IL  10  FEBBRAIO  A  PARMA
Cinema  "Astra"  ore 20.30

Manifestazione antifascista alternativa alla celebrazione del "giorno del ricordo delle vittime delle foibe" il 10 febbraio 2014 a Parma, al cinema "Astra", organizzata da ANPI, ANPPIA, Comitato antifascista e per la memoria storica. La manifestazione, quest'anno alla nona edizione, prevede proiezione di filmati, conferenza, presentazione di libro. Con inizio alle 20.30 sarà proiettato un filmato sul campo di concentramento fascista per jugoslavi di Chiesanuova (Padova) 1942/'43, quindi si parlerà del contributo jugoslavo alla Resistenza Italiana con la presentazione, da parte di Gabriella Manelli presidente ANPI provinciale e di Roberto Spocci presidente ANPPIA provinciale, del libro "I partigiani jugoslavi nella Resistenza Italiana" di Andrea Martocchia segretario del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia, e del contributo italiano alla Resistenza Jugoslava con la conferenza di Eric Gobetti, ricercatore di storia contemporanea, sulla "Divisione Italiana Partigiana Garibaldi". Sulla Divisione Garibaldi saranno pure proiettati filmati a cura dello stesso Gobetti, autore anche di un programma sull'argomento trasmesso da RAI Storia.  Ingresso libero. 


invita all'iniziativa i tuoi amici in Facebook: https://www.facebook.com/events/577738235635406/

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Parma, 10 febbraio 2014
ore 20:30, presso il Cinema Astra - Piazza Volta, 3


FOIBE E FASCISMO (IX edizione)

* filmato sul campo di concentramento di Chiesanuova (PD)

* presentazione del libro I PARTIGIANI JUGOSLAVI NELLA RESISTENZA ITALIANA
di A. Martocchia, segretario Coord. Naz. per la Jugoslavia
con l'Autore, G. Manelli (pres. ANPI) e R. Spocci (pres. ANPPIA)

* filmato sulla Divisione Italiana Partigiana Garibaldi combattente in Jugoslavia

* conferenza: I PARTIGIANI ITALIANI NELLA RESISTENZA JUGOSLAVA
di E. Gobetti, ricercatore indipendente di Storia contemporanea

organizzano
A.N.P.I. -- A.N.P.P.I.A. -- COM. ANTIFASCISTA E PER LA MEMORIA STORICA
ingresso libero



(francais / castellano)


--- castellano ---


¿Dónde está Bernard-Henri Lévy?

Artículo publicado por Vicenç Navarro en la columna “Pensamiento Crítico” en el diario PÚBLICO, 27 de noviembre de 2013

Este artículo critica la selectividad de Bernard-Henri Lévy en sus posturas pro derechos humanos, que siempre coinciden con la política internacional promovida por el gobierno federal de EEUU y la Unión Europea. El artículo también indica el gran silencio de este autor sobre la situación de Libia, que él contribuyó a crear.


Bernard-Henri Lévy tiene muy buena prensa en España, apareciendo con gran frecuencia en las páginas de El País predicando la moralidad de sus causas, que requieren con gran frecuencia intervenciones militares, lo cual explica que algunos intelectuales de la izquierda estadounidense lo califiquen como el moralizador de las guerras, en general, contra el Islam (ver Ramzy Baroud “France’s Sham Philosopher” en CounterPunch, 20.11.13). Presentado frecuentemente en los medios españoles como “el filósofo de Francia”, articula siempre posturas promovidas por el establishment político francés, rodeado siempre de grandes cajas de resonancia que explican su gran visibilidad mediática.

La última gran hazaña de este señor fue su liderazgo (que El País definió como moral) para que la OTAN interviniera en Libia para deponer al coronel Gadafi (basándose en una interpretación tergiversada y manipulada de la famosa Resolución 1973 de Naciones Unidas del 17 de marzo de 2011, que no permitía dicha intervención). Esta intervención se justificó por el supuesto apoyo de los Estados intervencionistas por vía militar (que incluyó desde bombardeos que afectaron a poblaciones civiles, hasta la transferencia de armas) para deponer a un dictador y sustituirlo por fuerzas democráticas que deseaban instaurar una democracia. Considerando la enorme evidencia que existe mostrando el apoyo de tales Estados (EEUU y Francia incluidos) a dictaduras casi medievales en la misma región, esta justificación carecía de credibilidad. Pero ello no inhibió ni frenó al filósofo de Francia en la utilización de dicha justificación. Y lo que es notorio es que repitió constantemente tal justificación con toda seriedad y contundencia, apelando a la moralidad democrática que según él debe caracterizar el comportamiento de las naciones civilizadas. Bernard-Henri Lévy (BHL) utiliza una narrativa llena de imágenes altisonantes, preñadas de gran pomposidad, como corresponde a uno de los intelectuales franceses más galardonados en Francia. El poder es siempre muy cariñoso y agradecido con sus sirvientes. Al servicio de su causa, BHL se trasladó a Libia con todo el aparato mediático y parafernalia teatral “en defensa de las fuerzas democráticas”. Y la intervención militar derrotó al dictador Gadafi.

¿Y qué ha pasado en Libia desde entonces? Gadafi fue un dictador como muchos de los dictadores que hoy existen en aquella parte del mundo, donde la democracia no existe ni siquiera a nivel de ensayo. Pero comparado con Arabia Saudí, Qatar y otros regímenes feudales, Gadafi no era, definitivamente, peor que los gangster que dominan aquellos otros países. La diferencia era que los últimos son fieles sirvientes de EEUU y de la UE, y Gadafi no lo era. Ni que decir tiene que el gran filósofo moralista BHL no prestaba atención a tales detalles, considerados insignificantes en la lucha entre el bien (que él representaba) y el mal (que eran todos los demás).

Pero analizaremos ahora lo que ocurre en Libia. Cualquier observador mínimamente objetivo debe concluir que Libia no es, en absoluto, una democracia, y que la situación actual es un desastre, con unos conflictos entre distintas facciones, entre las cuales están fuerzas de Al Qaeda, que se ha convertido en una de las fuerzas determinantes de los quehaceres de aquel país. Bandas armadas, sin ningún tipo de control democrático, gobiernan los distintos territorios, con asesinatos políticos y con una represión brutal hacia las voces y manifestaciones en contra de la dictadura de esas milicias armadas. Solo en un día (15 de noviembre) 31 personas fueron asesinadas y 235 heridas en una represión contra una manifestación en la ciudad de Trípoli que protestaba contra este régimen de taifas controlado por bandas armadas que atemorizan a la población a fin de defender sus propios intereses.

Y mientras todo esto está ocurriendo, el gran filósofo de Francia (y de El País) permanece callado. En realidad, y tal como señala Ramzy Baroud, lo más parecido a este filósofo son los intelectuales neocons de EEUU, que siempre alientan y exigen intervenciones militares “para defender la democracia”, detrás de cuyo noble objetivo hay intereses financieros y energéticos muy concretos que pronto aparecen, mostrándose como lo que son. Lo cual no inhibe a estos intelectuales a continuar moralizando sobre el deber de los países democráticos de ayudar a las fuerzas democráticas alrededor del mundo, cuando la realidad es precisamente lo contrario de lo que predican. Los mal llamados “gobiernos democráticos” han sido históricamente, y continúan siéndolo, los mayores soportes de los regímenes más dictatoriales existentes en el mundo.

La incoherencia de tales intelectuales, incluyendo “el filósofo de Francia” aparece con toda su crudeza no solo en el caso de Libia, sino también en el caso de Israel. BHL es un gran admirador de las fuerzas armadas de Israel, a las que clasifica como las más morales y democráticas existentes hoy en el mundo, apoyando siempre sus intervenciones militares. Es extraordinario que estas declaraciones se hicieran después de una de las intervenciones militares mas sangrientas e inmorales (de las muchas que han hecho tales fuerzas armadas) en la zona de Gaza en los años 2008-2009 y 2012. La ceguera moral e incoherencia intelectual de Bernard-Henri Lévy no tiene límites, lo cual no es obstáculo para que BHL aparezca, una vez más en El País, moralizando sobre la necesidad de intervenir militarmente en algún lugar del mundo árabe para “defender la democracia”.



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Pourquoi Bernard-Henri Lévy se tait-il sur la Libye ?

Vicenç Navarro

Les opinions en matière de droits de l'homme de Bernard-Henri Lévy sont marquées par le deux poids deux mesures, ne manquant jamais d'épouser les lignes de la politique internationale menée par le gouvernement fédéral des États-Unis et par l'Union européenne. N'est-il pas étonnant de constater le silence absolu de cet écrivain à propos de la situation en Libye, qu'il a pourtant contribué à créer ?

Bernard-Henri Lévy a très bonne presse en Espagne. Il occupe plus souvent qu'à son tour les colonnes de El País pour prêcher la moralité des causes qu'il défend et qui pourtant impliquent très souvent des interventions militaires, ce qui lui vaut d'avoir été baptisé par certains intellectuels de la gauche américaine le moralisateur des guerres – généralement contre l'islam (1). Présenté dans les médias espagnols comme "le philosophe de France", il ne fait qu'articuler des postures soutenues par l'establishment politique français en exploitant les grandes caisses de résonances pour s'assurer une bonne visibilité médiatique.

Le dernier exploit de BHL a été son rôle de chef de file (qualifié de moral par El País) pour la promotion d'une intervention de l'OTAN en Libye ayant pour but de renverser le colonel Kadhafi (sur la base d'une interprétation biaisée et tendancieuse de la Résolution 1973 des Nations Unies du 17 mars 2011, qui ne permettait pas une telle intervention). L'intervention a consisté dans l'aide militaire supposée fournie par les États interventionnistes (dont des transferts d'armes ou des bombardements qui ont atteint des populations civiles) pour renverser un dictateur et le remplacer par des forces démocratiques souhaitant instaurer une démocratie. Compte tenu du soutien évident apporté par ces États (y compris les États-Unis et la France) à des dictatures quasi-moyenâgeuses de la même région, cette justification n'était pas crédible. Or, loin de se rétracter, le "philosophe de France" l'a répété encore et encore avec le plus grand sérieux et la plus grande conviction, invoquant la moralité démocratique, qui doit caractériser le comportement de tout pays civilisé qui se respecte. BHL recourt à une rhétorique pleine d'images grandiloquentes et pompeuses, comme il sied à l'un des intellectuels français les plus décorés. Le pouvoir est toujours très affectueux et très reconnaissant envers ses serviteurs. Pour sa cause, BHL s'est déplacé en Libye entouré de tout l'appareil médiatique et de toute la pompe théâtrale "pour la défense des forces démocratiques". L'intervention militaire a effectivement mis à bas Kadhafi.

Et depuis ? Que s'est-il passé en Libye ? Kadhafi était un dictateur comme on en trouve beaucoup aujourd'hui dans cette région où la démocratie n'existe même pas sous forme d'ébauche. Il n'était en définitive pas pire que les gangsters qui dirigent l'Arabie saoudite ou le Qatar, pour ne citer qu'eux, mais contrairement à ces régimes féodaux, il n'était pas à la botte des États-Unis et de l'UE. Inutile de dire que le grand philosophe moralisateur n'accordait pas la moindre attention à ce genre de détails insignifiants pour la lutte entre le bien (qu'il incarnait en personne) et le mal (représenté par tous les autres).

N'importe quel observateur un tant soit peu objectif admet que la Libye n'a rien d'une démocratie et que la situation a tourné au désastre. Des conflits font rage entre différentes factions, dont les forces d'Al-Qaïda, un mouvement qui est devenu l'une des forces déterminantes dans les activités de ce pays. Des bandes armées affranchies de tout contrôle démocratique gouvernent les divers territoires et commettent des assassinats politiques doublés d'une répression brutale à l'encontre des voix et des manifestations hostiles à la dictature qu'elles exercent. À la seule date du 15 novembre, 31 personnes ont été assassinées et 235 blessées à Tripoli dans les manœuvres répressives contre une manifestation de protestation contre ce régime de taifas dirigé par des bandes armées qui terrorisent la population dans le but de défendre leurs propres intérêts.

Et pendant ce temps, le grand philosophe de France (et de El País) ne pipe mot. En vérité, comme le remarque Ramzy Baroud, BHL ressemble grandement aux intellectuels néo-conservateurs américains qui préconisent et exigent sans relâche des interventions militaires "pour défendre la démocratie", un noble projet qui cache des intérêts financiers et énergétiques des plus concrets, lesquels apparaissent soudain au grand jour pour se faire voir tels qu'ils sont. Ces intellectuels ne cessent pour autant de faire la morale à propos du devoir des pays démocratiques de venir en aide aux forces démocratiques dans le monde entier, alors que les faits les désavouent. Historiquement, les bien mal nommés "gouvernements démocratiques" ont été et restent les principaux supports des régimes les plus dictatoriaux.


L'incohérence de ces intellectuels saute aux yeux non seulement dans le cas de la Libye, mais également dans celui d'Israël. En grand admirateur des forces armées de ce pays, qu'il a déclaré être les plus morales et les plus démocratiques du monde, BHL soutient inconditionnellement toutes leurs interventions. A noter que ses déclarations ont été faites au lendemain d'une des interventions les plus sanglantes et immorales menées dans la bande de Gaza en 2008, 2009 et 2012 – et elles ont été nombreuses. La cécité morale et la confusion intellectuelle de Bernard-Henri Lévy n'ont pas de limites, ce qui ne l'empêchera nullement de continuer à noircir les colonnes de El País de ses sermons moralisateurs sur l'urgence d'une intervention militaire quelque part dans le monde arabe pour "défendre la démocratie".

 
Note : voir Ramzy Baroud "France’s Sham Philosopher" à CounterPunch, 20.11.13
Traduction : Collectif Investig'Action
Source : http://www.vnavarro.org/?p=10239





Nützliche Faschisten
 
30.01.2014

KIEW/ZAGREB/BERLIN
 
(Eigener Bericht) - Trotz anhaltender Übergriffe ultrarechter Kräfte in der Ukraine setzt Berlin die Regierung in Kiew weiter massiv unter Druck. Am gestrigen Mittwoch ist zum zweiten Mal ein Polizist ermordet worden. Der Anführer eines faschistischen Zusammenschlusses in Kiew teilt mit, er wolle die "Führung der Revolution" übernehmen. Dessen ungeachtet erklärt der Berliner Außenminister, die bisherigen "Angebote" des ukrainischen Präsidenten - ein Regierungsrücktritt und die Aufhebung neuer Versammlungsgesetze - genügten nicht; weitere Schritte seien notwendig. Nicht zum ersten Mal stützt sich die Bundesregierung auf Aktivitäten auch faschistischer Kräfte, um ein geostrategisches Ziel - in diesem Falle die Abdrängung russischen Einflusses aus der Ukraine - durchzusetzen. Bereits vor 1990 hatte die Bundesrepublik ehemalige kroatische NS-Kollaborateure aus der faschistischen Ustaša gefördert, um Pläne für eine künftige Abspaltung Kroatiens von Jugoslawien voranzubringen. Jugoslawien galt als mögliches Gegengewicht gegen die deutsche Vorherrschaft in Südosteuropa. Auswirkungen der damaligen Stärkung faschistischer Kräfte zeigen sich in Kroatien bis heute.

Die Führung der Revolution
In der Ukraine dauern die Übergriffe ultrarechter Kräfte weiter an. Am gestrigen Mittwoch ist in Kiew zum zweiten Mal ein Polizist ermordet worden. Bereits am Dienstag war in Cherson ein Polizist an Stichwunden gestorben, die ihm Demonstranten zugefügt hatten. In Kiew kündigt jetzt ein Anführer des faschistischen Zusammenschlusses "Rechter Sektor" an, er wolle die "Führung der Revolution" übernehmen.[1] Ein Vertreter der Partei Swoboda, die direkte und indirekte Unterstützung aus Berlin erhalten hat [2], stellt in Aussicht, im Falle einer gewaltsamen Eskalation des Konfliktes die Vereinigten Staaten um militärische Hilfe zu bitten.[3] Im Westen der Ukraine ist es bereits zuvor zu ersten Parteiverboten gekommen: In Ternopil und Iwano-Frankiwsk dürfen die "Partei der Regionen" und die Kommunistische Partei keinerlei Aktivitäten mehr entfalten.

Noch keine Lösung
Trotz der zahlreichen Exzesse, die das faschistische Spektrum unter den ukrainischen Demonstranten verantwortet, bleibt die Bundesregierung bei ihrer Unterstützung der gesamten Opposition. Die bisherigen "Angebote" der ukrainischen Regierung seien noch "nicht belastbar", erklärte Außenminister Frank-Walter Steinmeier am gestrigen Mittwoch; sie seien "ein Einstieg", aber "noch nicht die Lösung".[4] Bei den "Angeboten" handelt es sich um den Rücktritt der Regierung und um die Abschaffung einiger erst kürzlich beschlossener Versammlungsgesetze, von denen manche, so etwa das "Vermummungsverbot", in der Bundesrepublik seit Jahrzehnten in Kraft sind. Forderungen, sie in Deutschland abzuschaffen, werden gleichfalls seit Jahrzehnten ignoriert. Das Ausbleiben jeglicher offener Kritik Berlins an faschistischen Exzessen in der Ukraine deutet darauf hin, dass das Auswärtige Amt ihre Wirkung einkalkuliert - um den Druck auf die Regierung Janukowitsch zu erhöhen. Es wäre nicht das erste Mal, dass die Bundesregierung aus Aktivitäten von Anhängern ehemaliger NS-Kollaborateure Nutzen zieht.

NS-Kollaborateure
Ein herausragendes Beispiel für frühere Fälle, bei denen Aktivitäten von NS-Kollaborateuren von der Bundesrepublik zu geostrategischen Zwecken genutzt wurden, bietet Kroatien, dessen Abspaltung aus dem jugoslawischen Staat von Bonn schon früh gezielt unterstützt wurde. Die Vorgeschichte reicht bis in die ersten Jahre der Bundesrepublik zurück. Damals duldete Bonn politische Aktivitäten einer ultrarechten, auch von einstigen NS-Kollaborateuren getragenen exilkroatischen Community, die sich unter anderem um einen gewissen Branimir Jelić scharte. Jelić, deutscher Präsident eines "Kroatischen Nationalkomitees", behauptete, der "eigentliche" Gründer der faschistischen Ustaša gewesen zu sein. Bundesdeutsche Behörden schrieben dem Mann maßgeblichen Einfluss auf die kroatische Emigration hierzulande zu. Politisch wirksam wurden die alten Ustaša-Seilschaften, die bundesdeutsche Komponente inklusive, als in den 1970er Jahren mit dem "Kroatischen Frühling" die Sezession der Provinz aus dem jugoslawischen Staat zum ersten Mal seit 1945 wieder auf die Tagesordnung kam.[5]

BND und Ustaša
In dieser Zeit begann der Bundesnachrichtendienst (BND), die altbekannten Ustaša-Seilschaften in besonderer Weise zu unterstützen. Der BND pflegte damals enge Kontakte zu einem Kreis um den kroatischen Geheimdienstler Ivan Krajačić, der zu den einflussreichsten Sezessionisten-Zirkeln im damaligen Jugoslawien gehörte; dem Krajačić-Kreis schloss sich in den 1970ern übrigens auch der spätere kroatische Sezessionspräsident Franjo Tudjman an. Der BND arbeitete systematisch darauf hin, die bundesdeutschen Ustaša-Seilschaften in enge Verbindung mit dem Krajačić-Zirkel zu bringen - um die Kräfte zu stärken, denen man es am ehesten zutraute, Kroatien dereinst von Jugoslawien abzuspalten. In den 1980er Jahren, als der spätere deutsche Außenminister Klaus Kinkel BND-Präsident war, seien "in Zagreb alle Entscheidungen in strategischen und personellen Fragen nur noch in Absprache des Zentrums von Krajačić mit BND-Instanzen und Ustaša-Repräsentanten getroffen worden", berichtet der Geheimdienstexperte Erich Schmidt-Eenboom. Laut Schmidt-Eenboom half der BND übrigens auch, in der Bundesrepublik eine Pressekampagne zur Freilassung von Tudjman zu entfesseln, als dieser wegen nationalistisch-revisionistischer Agitation - Tudjman hatte einst die Zahl der Opfer im kroatischen KZ Jasenovac drastisch heruntergerechnet - im Gefängnis saß.[6] In dieser Zeit habe die bundesdeutsche Auslandsspionage, berichtet Schmidt-Eenboom, "zu nahezu allen Persönlichkeiten" Kontakte aufgebaut, "die nach 1990 in Kroatien und Slowenien wichtige politische, publizistische und nachrichtendienstliche Funktionen" innehatten.

Geostrategische Ziele
Als die separatistischen Kräfte, die Bonn zuvor gehegt und gepflegt hatte - darunter Ustaša-Anhänger -, schließlich zu Beginn der 1990er Jahre die Sezession Kroatiens ins Werk setzten, da erhielten sie umfassenden politischen Beistand aus der Bundesrepublik. Sezessionspräsident Tudjman reiste wenige Wochen nach der Zagreber Unabhängigkeitserklärung vom 25. Juni 1991 zu Gesprächen mit Kanzler Kohl und Außenminister Genscher nach Bonn; am 23. Dezember 1991 preschte die Bundesregierung - trotz massiver Warnungen vor einer Eskalation des Krieges in Jugoslawien - mit der Anerkennung Sloweniens und Kroatiens voran. Die Bundesrepublik hatte ein Interesse an der Zerschlagung Jugoslawiens, das politisch und ökonomisch womöglich stark genug gewesen wäre, der deutschen Hegemonie in Südosteuropa etwas entgegenzusetzen - aus diesem Grund war seine Gründung 1918 schließlich von den Siegern des Ersten Weltkriegs befürwortet worden. Ein klares geostrategisches Motiv brachte die Bundesrepublik also dazu, ultrarechte Kräfte zu unterstützen, die in der Tradition von NS-Kollaborateuren standen. Hier liegt eine Parallele zur Ukraine: Die Swoboda-Partei, die sich ausdrücklich in die Tradition des NS-Kollaborateurs Stepan Bandera stellt (german-foreign-policy.com berichtete [7]), ist insofern für Berlin von Nutzen, als sie ebenfalls hilft, ein geostrategisches Ziele zu erreichen - nämlich russische Positionen in der Ukraine zugunsten deutsch-europäischer Interessen zu schwächen.

"Grüß uns den Ante Pavelić!"
Welche Folgen eine Politik, die die Stärkung faschistischer Kräfte billigend in Kauf nimmt, für das betroffene Land haben kann - auch in späteren Zeiten, wenn diese Kräfte von der Bundesrepublik nicht mehr zu strategischen Zwecken benötigt werden -, das zeigt sich ebenfalls am Beispiel Kroatien. Dort haben - unter tatkräftiger Mithilfe der alten Ustaša-Seilschaften - in den 1990er Jahren ultrarechte Positionen in erheblichem Maße an Einfluss gewonnen. Das zeigt sich etwa bei Konzerten des höchst populären Sängers Marko Perković, der im jugoslawischen Zerfallskrieg der frühen 1990er Jahre seine ersten Auftritte hatte und seitdem unter dem Künstlernamen "Thompson" auftritt; "Thompson" lautet der Name eines Maschinengewehrs. Perković/Thompson tritt nicht selten vor Zehntausenden auf, die seinen Liedern lauschen; deren Strophen lauten "Oj, Neretva, fließ abwärts, treib die Serben in die blaue Adria" oder "Leuchtender Stern über Metković, grüß uns den Ante Pavelić!" Pavelić hat für die Ustaša eine Bedeutung, die in etwa derjenigen Banderas für die ukrainische NS-Kollaboration entspricht. Swoboda-Chef Oleh Tjahnybok, der zum von Berlin gestützten Kiewer Oppositionstrio gehört, führte am 1. Januar einen Gedenkmarsch zu Banderas 105. Geburtstag an.[8]

[1] Reinhard Lauterbach: Janukowitsch gibt nach. www.jungewelt.de 29.01.2014.
[2] S. dazu Die Expansion europäischer Interessen.
[3] Reinhard Lauterbach: Streit um die Amnestie. www.jungewelt.de 30.01.2014.
[4] Demonstranten gegen Demonstranten. www.faz.net 29.01.2014.
[5] Ulrich Schiller: Deutschland und "seine" Kroaten. Vom Ustaša-Faschismus zu Tudjmans Nationalismus. Bremen 2010.
[6] Erich Schmidt-Eenboom: Der Schattenkrieger. Klaus Kinkel und der BND. Düsseldorf 1995.
[7], [8] S. dazu Die Expansion europäischer Interessen.



(english / italiano)

Ucraina, chi c'è dietro l'Euromaidan

1) Lettera aperta del PC di Ucraina al movimento comunista, operaio e di sinistra internazionale (29/1/2014)
2) Chi c'è dietro (e dentro) Euromaidan (K. Fokina, Voce della Russia 30/01/2014)
3) Coinvolgimento polacco nel golpe e nell’occupazione dell’Ucraina (A. Korybko, Oriental Review 28/1/2014)
4) StopNATO NEWS: Ukrainian Protests Split World Leaders at Security Conference / Europe Should Condemn Ukraine Riots – Russian Foreign Minister / Munich: U.S. leaders meet with Ukrainian opposition, coordinate regime change plans


VIDEO: 

Giulietto Chiesa sul Primo Canale russo
Ecco le immagini dell'Ucraina che non avete visto sui canali italiani. Giulietto Chiesa sul Primo Canale russo.
Dal programma "Politica", andato in onda sul primo canale della televisione russa il 23 gennaio 2014.

"In Ucraina stanno attuando lo stesso piano di Hitler" 
Vladimir Nikitin, deputato del Partito Comunista della Federazione Russa, 3 Febbraio 2014


=== 1 ===


Lettera aperta del PC di Ucraina al movimento comunista, operaio e di sinistra internazionale

29 Gennaio 2014 
Traduzione dal russo di Flavio Pettinari per Marx21.it

Cari compagni!

L'Ucraina si è aggiunta alla lista dei paesi che sono diventati vittima delle "rivoluzioni colorate". Le riprese degli impressionanti massacri, degli atti di vandalismo, dei disordini e delle occupazioni degli edifici amministrativi in Ucraina hanno fatto il giro del mondo attraverso i mass media.

In numerosi scontri, diverse centinaia di manifestanti e di agenti delle forze dell'ordine sono stati gravemente feriti, così come durante gli attacchi alle forze dell'ordine diversi manifestanti sono stati uccisi. Non dimentichiamoci inoltre dei sequestri di massa di cittadini e delle violenze fisiche contro di loro da parte dei manifestanti radicali.

I recenti avvenimenti hanno distrutto il mito secondo cui nella capitale ucraina si muovono un’opposizione al "regime criminale" composta da "pacifici euromanifestanti".

In realtà, i fatti accaduti sono il risultato della lotta dei clan ucraini per il potere, e in particolare per la carica di Presidente dell'Ucraina. Gli avvenimenti in corso rappresentano di per sé un colpo di stato. Ciò è confermato dalle recenti azioni dell’"opposizione", atte a creare istituzioni di potere parallele in nome del popolo, con atti anticostituzionali, che alimentano ulteriormente lo scontro in Ucraina e costringono le autorità a  misure sempre più radicali.

D’altra parte, merita attenzione  la crescente attività delle forze politiche dell’ultradestra, neonaziste e ultranazionaliste colpevoli di atti di violenza, illegalità e scontri. Queste organizzazioni comprendono in particolare il "Tridente", "UNA-UNSO" (“Assemblea Nazionale Ucraina - Autodifesa Nazionale Ucraina, NdT) , "Pravyj Sektor", il partito "Svoboda", ecc.  Quest'ultimo occupa un ruolo speciale nell’escalation dello scontro, in quanto si tratta di un partito parlamentare, al potere in alcune regioni occidentali, che ha una reale opportunità di continuare a perseguire una politica di sovversione contro l'ordine costituzionale in Ucraina.

Tutte queste organizzazioni sono unite ideologicamente, seguono l'esempio dei complici dei nazionalsocialisti tedeschi Bandera e Shukhevich, e ne utilizzano gli stessi slogan.

Ad esempio, oggi è molto popolare e viene utilizzato spesso lo slogan "Gloria all’Ucraina - Gloria agli Eroi", usato durante la Seconda Guerra Mondiale dai collaborazionisti fascisti ucraini durante la strage dei pacifici abitanti polacchi e ucraini del territorio dell’Ucraina occidentale.

Il Comitato Centrale del Partito Comunista d’Ucraina ha già informato il movimento comunista, operaio e di sinistra di tutto il mondo degli atti di vandalismo, quando i neonazisti hanno distrutto le statue di Lenin e i monumenti di epoca sovietica: ora gli atti di vandalismo vengono commessi addirittura contro i monumenti agli Eroi della lotta contro il fascismo.

Contemporaneamente a tutto questo, diventa evidente il costante coinvolgimento dell’Ucraina in una ancora maggiore escalation di violenza. Con il sostegno informativo e politico di una serie di Ambasciatori degli stati occidentali in Ucraina, così come di politici dell'Europa occidentale, sta diventando sempre più chiaro chi c'è dietro al rinfocolamento del conflitto in Ucraina.

Allo stesso tempo, il Dipartimento di Stato degli USA richiede costantemente che le autorità scendano a negoziare con l'opposizione, ritirino tutte le forze dell'ordine da Kiev e diano la possibilità all’"opposizione" di impadronirsi della sede del governo, come pure di annullare le recenti leggi "antidemocratiche e dittatoriali", approvate dal Parlamento dell'Ucraina.

Eppure queste leggi sono pienamente conformi alle norme democratiche occidentali, di fatto sono la traduzione e sono del tutto identiche alla legislazione vigente nell’UE e negli USA. Ad esempio, in base alle nuove leggi, le organizzazioni sociali ucraine finanziate dall'estero, e che in gran parte hanno contribuito all'allargamento del conflitto, sono obbligate a registrarsi come agenzie estere. Nella legislazione statunitense tale disposizione è in vigore sin dagli anni '30. Il parlamento ucraino ha semplicemente preso in prestito l'esperienza americana.

Le norme di legge adottate che vietano ai manifestanti pacifici di nascondere il volto sono identiche a quelle dell'UE. Così in Germania è considerato di responsabilità penale coprire il volto, indossare il casco, utilizzare degli scudi durante le manifestazioni. In Francia, per le stesse violazioni, sono previsti 3 anni di carcere e una multa di 45.000 euro. Tale divieto vige anche negli Stati Uniti, in Canada e in altri paesi. Per chi infrange le regole dello svolgimento delle manifestazioni pacifiche: in Gran Bretagna è prevista una multa fino a 5.000 sterline e fino a 10 anni di carcere; negli Stati Uniti, ancora 10 anni di carcere  Negli Stati Uniti, colpire o aggredire un agente di polizia può comportare una condanna da 3 a 10 anni di carcere. In Francia, l’occupazione delle carreggiate per qualsiasi scopo e qualsiasi dimostrazione è vietato.

Per un qualche motivo, i politici occidentali, che manifestano indignazione e preoccupazione per la situazione in Ucraina, e anche per l’”irrigidimento” della legislazione dell’Ucraina, non vogliono ricordarsi di questi fatti.

In queste circostanze, il Partito Comunista d’Ucraina ritiene che la responsabilità per le violenze ricada ugualmente sulla leadership del paese, le cui azioni hanno spinto il popolo ucraino a prendere parte alle proteste di massa, e sui leader della cosiddetta "opposizione" , dei raggruppamenti neonazisti dell’ultradestra, delle organizzazioni di militanti nazionalisti e sui politici stranieri che hanno esortato la popolazione alla "radicalizzazione delle proteste" e a " combattere ad oltranza".

Siamo convinti della correttezza delle precedenti iniziative dei comunisti per il Referendum in Ucraina, la cui attuazione avrebbe completamente eliminato la base del malcontento popolare e avrebbe permesso al popolo ucraino di determinare l’indirizzo futuro del proprio sviluppo.

Il Partito Comunista d’Ucraina dichiara la necessità di porre fine all'uso della forza, di garantire la non ingerenza negli affari interni dell'Ucraina degli stati stranieri e dei loro rappresentanti, e di riprendere i negoziati. Allo stesso tempo, eventuali tentativi di creare strutture di potere parallele e incostituzionali non potranno che rafforzare lo scontro e creare una vera minaccia per l'escalation del conflitto verso la guerra civile. Una parte della popolazione sosterrà l'attuale governo, e l'altra sosterrà l'autoproclamatasi cosiddetta “opposizione” e questo porterà inevitabilmente a una finale divisione dell’Ucraina.

In queste circostanze, il Partito Comunista d’Ucraina presenta delle proposte concrete per risolvere la situazione:

- Indire il referendum nazionale sul tema della definizione della politica economica estera di integrazione dell'Ucraina.

- Attuare le riforme politiche, eliminare l'istituzione del presidente e varare una repubblica parlamentare, espandere in modo significativo i diritti delle comunità territoriali.

- Adottare una nuova legge elettorale e tornare al sistema proporzionale per l’elezione dei deputati nazionali.

- Al fine di superare il caos amministrativo e di garantire uno stretto controllo sul governo e sui politici, istituire un organo civile indipendente, il "Controllo Popolare", dandogli i più ampi poteri.

- Realizzare la riforma giudiziaria e introdurre l'istituzione di elezione dei giudici.

Con questa occasione, vi chiediamo di portare il vostro contributo alla riconciliazione nella società ucraina, di sostenere con ogni mezzo possibile le nostre proposte, di aiutarci a far conoscere diffusamente la reale situazione politica in Ucraina.

Vi chiediamo di condannare le azioni estremiste, la propaganda del fascismo, del nazionalismo e del neonazismo in Ucraina, così come l’interferenza esterna negli affari interni dell'Ucraina e l'ulteriore escalation di violenza.

Il Primo Segretario del Comitato Centrale del Partito Comunista d’Ucraina,

Petro Simonenko


=== 2 ===


Chi c'è dietro (e dentro) Euromaidan

Ksenia Fokina, Redazione Online
30.01.2014

Molti percepiscono i pogrom e l’occupazione con la forza di Kiev, la capitale ucraina, come la naturale lotta per la scelta europea. Nel frattempo, questo mercoledì a Kiev è stato ucciso un altro agente di polizia. Un altro omicidio è avvenuto lo scorso venerdì. La responsabilità di questo è stata assunta da un certo esercito insurrezionale ucraino, un gruppo semi-underground, emerso dall’ondata del movimento “Euromaidan”.

Gallonati con simboli neonazisti, delle fasce gialle, nei massicci scontri con la polizia a Kiev sono stati protagonisti principalmente i nazionalisti radicali. Oggi a Kiev stanno operando molte piccole organizzazioni di milizie semi-clandestine radicali, ognuna delle quali persegue il proprio obiettivo. Alla fine del 2013 è apparsa l’unione delle organizzazioni nazionaliste “Settore di Destra”, che ha partecipato con funzioni di coordinamento alla resistenza contro le forze del corpo speciale “Berkut” il 30 novembre scorso, e all'attacco contro l’amministrazione presidenziale del 1 dicembre 2013.

Questa unione include organizzazioni come il “Il Tridente”, “Patriota dell'Ucraina”, “Il Martello Bianco”, l’Assemblea Social-Nazionale, la UNA-UNSO, e altri. La maggior parte di queste è in pessimi rapporti con le forze dell'ordine, i loro membri sono stati coinvolti in omicidi, nella preparazione di atti terroristici, e così via. Nessuno di questi gruppi ha un serio peso, e il loro tentativo di entrare nel parlamento come un blocco unico si è concluso con un fallimento. Fino al “Maidan”, erano sempre stati orientati sull’elettorato locale, e alcuni erano anche stati rappresentati in città e consigli regionali delle regioni occidentali. Il “Maidan” ha dato loro la possibilità di ampliare l'elettorato, spiega l'analista politico Anatolij Lutsenko:

Tutte queste organizzazioni, prima della loro fusione nel “Settore di Destra” avevano sempre avuto gran poco impatto sulla politica ucraina, ed erano solo locali. Erano più concentrati sugli elettori delle regioni occidentali dell'Ucraina. Questi si sono appositamente fusi nel “Settore di Destra” ", al fine di consolidare la propria base elettorale. Di questi, anche gli esperti ne sapevano molto poco. Più o meno si era sentito parlare solo di “Tridente” e UNA-UNSO: si tratta di vecchie organizzazioni, nate negli anni '90.

Ad unire questi partiti e queste formazioni mezzo banditesche è un marcato orientamento neonazista. L’analista politico ucraino, storico, giornalista, e direttore della filiale ucraina dell'Istituto per i paesi della CSI, Vladimir Kornilov sta seguendo da vicino tutte le strutture emergenti in Ucraina. Secondo lui, la maggior parte dei violenti sono associati al partito parlamentare ultranazionalista “Libertà”.

Lo “spettro” dell’“Euromaidan” è stato organizzato sin dalle prime ore della sua esistenza. Esso si compone di rappresentanti di un certo numero di organizzazioni più piccole, che una volta erano uniti nella cosiddetta Assemblea Social-Nazionale. Non a caso c’è la sovrapposizione con i nazionalsocialisti. Questi appendono ovunque quegli stessi tridenti, che sono il simbolo dei neonazisti europei. Sono inoltre strettamente connessi con il gruppo parlamentare “Libertà”, che è stato a lungo definito ufficialmente il Partito Sociale-Nazionale dell'Ucraina. Dalle prime ore del “Maidan”, questi sono apparsi nelle file con le fasce dell’Assemblea Social-Nazionale, le fasce gialle indossate dai poliziotti collaborazionisti ucraini durante la guerra, e la protezione d’acciaio dell'“Euromaidan”.

Appare chiaro che non c’è piena unità tra i radicali. Così, questo martedì a Lviv, l’edificio che era stato preso dagli attivisti dell’“Euromaidan”, è stato preso d'assalto dai militanti del partito “Libertà”. Il fatto è che uno dei piani è stato occupato dai dei militanti banditi. Diverte il fatto che, oltre agli stemmi rosso-neri dei filonazisti, vi siano anche quelli degli anarchici, non verso lo Stato, ma per l’anti-capitalismo.

Un altro punto interessante è che il coordinamento dei militanti avviene attraverso dei social network russi, aggiunge Vladimir Kornilov.

In ogni città hanno la loro piccola struttura, di tre o quattro persone. A Cherson, per esempio, sono stati arrestati due studenti che hanno ferito un poliziotto, degli attivisti dell’“Euromaidan. Questi hanno formato un’organizzazione chiamata “Nuova Russia”, ma i simboli sono sempre quelli, come di tutti i neonazisti: il 1488, le croci naziste, le svastiche, “Heil Hitler”, e sono tutti coordinati attraverso la rete, cosa più eclatante, è che vengono utilizzati principalmente i social network russi. Cosi, si può trovare il “Settore di Destra”, e anche il gruppo C-14, che ha anche una notevole influenza nel “Settore di Destra” Molti dei rappresentanti di queste piccole organizzazioni convergono negli stadi, perché la parte del leone tra loro la fanno le frange più calde dei tifosi di calcio. Per l’“Euromaidan” possiamo dire che una parte significativa del “Settore di Destra” erano ultras della “Dynamo Kiev”, a cui si sono aggiunti poi quelli di Lviv.

Secondo gli esperti, la più importante organizzazione nazionalista radicale ucraina è “Patriota dell’Ucraina”, cioè la parte militante del partito “Libertà”. Al tempo di Yuščenko, questa godeva del sostegno pubblico, ricevendo ottimi finanziamenti, e i suoi militanti venivano formati ufficialmente in diverse regioni dell’Ucraina, ed erano ben equipaggiati.

“Patriota dell'Ucraina” è l'organizzazione meglio strutturata in questa alleanza, è stata ufficialmente l’ala militante del partito “Libertà”, come lo furono le truppe d'assalto per l’LSDRP a suo tempo. Hanno preso la loro struttura dai loro predecessori ideologici. Allora c’era stato il processo ai terroristi che avevano preparato un attacco terroristico per il Giorno dell'Indipendenza del 2011, hanno recentemente organizzato degli scontri degli attivisti dell’“Euromaidan” con i giudici. Queste persone sono membri dei consigli locali, assistenti dei deputati di “Libertà”. Sedevano con le maglie dell’Assemblea Social-Nazionale dell'Ucraina con le svastiche. Il partito “Libertà” è un partito parlamentare, votato da circa il 10% della popolazione ucraina.

Ci sono anche testimonianze del fatto che il servizio di sicurezza dell'Ucraina prima di Yanukovich avesse contatti con il gruppo “Patriota dell'Ucraina”. Era evidente dal modo in cui erano equipaggiati. Nessuno lo era mai stato così bene. Il gruppo “Patriota dell'Ucraina” ha una vasta rete. La cosa più sorprendente è che il suo centro si trova nella parte orientale dell'Ucraina, nella città di Charkov, che è di lingua russa. Molte persone sono sorprese del fatto che una organizzazione ucraina ultranazionalista sia composta principalmente di nazionalisti ucraini di lingua russa.

Secondo Vladimir Kornilov, il business è spesso finanziato da simili gruppi di militanti:

Dietro a molte di queste organizzazioni ci sono spesso uomini d'affari che hanno bisogno di proventi illegali: questo è un metodo molto popolare di fare affari in Ucraina. In una sola volta questi “affittano” delle forze per le lotte di potere, ora i poliziotti, ora i concorrenti, e così via.

In relazione all'omicidio del poliziotto a Kiev si è creato subbuglio riguardo al cosiddetto Esercito Insurrezionale Ucraino (UPA), che ha rivendicato la responsabilità per il delitto. Ma non è chiaro se questo corrisponda alla realtà. Lo scorso mercoledì è stato ucciso un altro agente di polizia.

/s 


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Coinvolgimento polacco nel golpe e nell’occupazione dell’Ucraina

GENNAIO 30, 2014 
Andrew Korybko (USA) Oriental Review 28 gennaio 2014

La Polonia sfrutta la destabilizzazione dell’Ucraina per espandere la propria influenza in oriente a spese della Russia. Insieme con la Svezia, la Polonia ha lanciato l’iniziativa del partenariato orientale dell’Unione europea, nel 2009. Fu avviata in particolare con lo scopo di ampliare l’influenza di Bruxelles (e Varsavia) negli Stati ai margini dell’Unione. E’ anche un cavallo di Troia della futura espansione della NATO. La Polonia negli ultimi dieci anni manovra per la leadership in Europa, e il partenariato orientale fornisce l’ambita opportunità al Paese di dimostrare la propria importanza ai padroni della NATO e dell’UE. Concentrandosi in particolare sull’Ucraina, avendo la Polonia legami culturali, politici, linguistici e storici unici, soprattutto nell’Ucraina occidentale, brevemente parte della seconda repubblica polacca. La dirigenza politica di Varsavia ha sfruttato tali legami non solo per incoraggiare la frattura interna dell’Ucraina (a scapito della Russia quale partner economico stabile), ma anche per istituzionalizzare il ruolo della Polonia come egemone sub-regionale sulla porzione occidentale.
Un’opposizione istigata
Il governo polacco ha rilasciato aspre dichiarazioni a sostegno dei “manifestanti”, arrivando a dichiarare “piena solidarietà” e annullando così ogni pretesa di imparzialità cui potesse aver aspirato in precedenza. Ora, il primo ministro polacco interferisce direttamente nei tumulti interni. Mentre la rivolta in Ucraina continua a diffondersi ad ovest, il primo ministro Tusk ha parlato al telefono con il leader dell’opposizione Arsenij Jatsenjuk affermando che “Sosteniamo i democratici ucraini nei loro sforzi per raggiungere un accordo giusto e saggio“. La Polonia ha così superato la soglia tra dichiarazioni ufficiali e azioni, il governo polacco vuole che il mondo sappia che ha un dialogo aperti con l”opposizione’, da cui si deduce il livello d’influenza sui suoi dirigenti e il sostegno ufficiale del governo alle loro azioni. È interessante notare che tale rivelazione pubblica del contatto con Jatsenjuk e del sostegno ai suoi “democratici ucraini” renda la Polonia complice del colpo di Stato che il primo ministro ucraino Azarov (dimessosi – OR) sostiene sia in atto nel Paese. Azarov prosegue affermando che “E’ un vero e proprio tentativo di colpo di Stato, e tutti coloro che lo sostengono dovrebbero dire chiaramente ‘Sì, vogliamo il rovesciamento dell’amministrazione legittima dell’Ucraina’, invece di nascondersi dietro manifestanti pacifici.” Dopo aver ufficializzato l’associazione con Jatsenjuk, uno dei coordinatori principali dei disordini, approvando i “democratici ucraini”, la Polonia ha irrevocabilmente dimostrato di sostenere il cambio di regime. Le precedenti provocazioni politiche della Polonia (per non parlare del contatto con Jatsenjuk) non sono ignorate dai cittadini di Kharkov che il 23 gennaio hanno protestato presso il consolato polacco, “chiedendo la chiusura di tutte le missioni diplomatiche polacche in Ucraina, (e definito) il loro personale rappresentanti di una nazione nemica“. Chiaramente, le missioni diplomatiche polacche in Ucraina hanno ormai assunto il ruolo de facto di sostenitori istituzionali del colpo di Stato, divenendo nemici del governo ucraino. Lo stesso vale per la Germania, che ha un rapporto speciale con il suo cittadino e provocatore di UDAR Klishko, che è per la Germania ciò che Jatsenjuk è per la Polonia, un ascaro nella grande lotta geopolitica contro Mosca. La cosa più onesta che Varsavia e Berlino potrebbero fare ora è seguire il consiglio di Azarov e proclamare “Sì, vogliamo rovesciare l’amministrazione legittima dell’Ucraina“, come le loro azioni dimostrano nettamente.
Volere la Galizia
La politica estera della Polonia verso l’Ucraina è stata molto assertiva. Oltre a prendere il timone del partenariato orientale, ha espresso forte sostegno ai destabilizzatori ucraini e mostrato apertamente i suoi legami con Jatsenjuk, oggi guida è tra la coalizione di Paesi che minacciano sanzioni contro l’Ucraina. L’offensiva della Polonia contro il governo ucraino è volta a collocarla nella posizione migliore per entrare in eventuali negoziati multilaterali post-conflitto, una proposta oggi avanzata dall’influente think tank Carnegie Endowment. Nel difendere la loro proposta, gli autori affermano: “Non sottovalutiamo quanto duro abbia lavorato la Polonia per rinnovare iniziativa del partenariato orientale dell’UE. Sikorski e i suoi esperti conoscono la regione estremamente bene, dopo aver trascorso gli ultimi anni lavorando con i leader e i movimenti della società civile in Bielorussia, Georgia, Moldova e Ucraina“. Sikorski e il coinvolgimento del governo polacco, con i già citati leader dei “movimenti della società civile”, indica l’intima associazione con gli organizzatori del colpo di Stato in Ucraina che naturalmente non deve essere sottovalutata. La Polonia vorrebbe ben altro che istituzionalizzare legittimamente la propria influenza sull’Ucraina (soprattutto nella parte occidentale già polacca) ma essere riconosciuta internazionalmente come partecipe ad eventuali negoziati multilaterali per porre fine alla crisi ucraina. Ciò sarebbe un’implicita ammissione della nuova egemonia sub-regionale della Polonia in Europa orientale, e contribuirebbe alla frammentazione regionale del Paese. Le aree nella sfera d’influenza della Polonia graviterebbero maggiormente ad ovest, cementando così la duplice natura dell’attuale identità ucraina. Invece di risolvere le differenze regionali, li aggraverebbe mentre la Polonia incoraggerebbe il separatismo politico, linguistico e culturale ucraino occidentale. Inoltre, probabilmente i manifestanti del covo occidentale (Lvov e dintorni) dichiarerebbero l’autonomia alla pari della Crimea, con Polonia, Germania e UE (leggi NATO) quali garanti del suo futuro statuto giuridico.
Lasciare la Polonia (o qualsiasi Stato occidentale (NATO)) infilarsi in un qualsiasi negoziato post-conflitto sarebbe come lasciare una volpe nel pollaio, legittimando le precedenti violazioni occidentali della sovranità ucraina, radicando l’identità regionale nell’Ucraina occidentale contro il resto dello Stato e, infine, fornendo alla NATO una base nell’Ucraina divisa nel momento politicamente più conveniente, in futuro.

Andrew Korybko master presso l’Università Statale di Relazioni Internazionali di Mosca (MGIMO).
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora


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Russian Information Agency Novosti - February 1, 2014

Ukrainian Protests Split World Leaders at Security Conference

MOSCOW: The ongoing protests in Ukraine divided world leaders attending the 50th annual Munich Security Conference on Saturday.
US Secretary of State John Kerry said that demonstrators in the country “are fighting for the right to associate with partners who will help them realize their aspirations.”
“Nowhere is the fight for a democratic, European future more important today than in Ukraine.”
NATO and EU officials echoed those comments in words of support for the demonstrators.
Russian Foreign Minister Sergei Lavrov, however, urged world leaders to work with the country's leaders to defuse the situation.
“We need fewer slogans right now and more care about the results of efforts being undertaken by the Ukrainian leadership to return the country to a peaceful course.”
Demonstrations in the Ukrainian capital Kiev began in November following the announcement that the country would drop its bid to seek an association agreement with the EU.
On Saturday, Leonid Kozhara, Ukraine’s foreign minister, voiced concerns that the country was becoming caught between competing interests.
“We do not want to be pawns in a geopolitical game,” he said, adding “we do not want anyone to interfere with our strategic partnership with Russia, but we are also drawn towards the European Union."
Russian officials have alleged that the demonstrations are a result of Western meddling in the country’s internal affairs.
The protests turned violent last month after Ukraine’s parliament hastily passed a set of laws curtailing the right to public assembly.
On Friday, President Viktor Yanukovych signed a bill into law that reversed the earlier legislation and opened the door for amnesty for protestors.
Both Lavrov and Kerry stressed that Ukraine need not choose between Russian and European alliances.
“Their futures do not have to lie with one country alone, and certainly not coerced,” Kerry said in an apparent jab at Moscow.
Lavrov said that suggesting Ukraine must choose sides is “an idea from a bygone era.”

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Russian Information Agency Novosti - February 1, 2014

Europe Should Condemn Ukraine Riots – Russian Foreign Minister

MOSCOW: European politicians should condemn the seizure of government buildings by demonstrators in Ukraine, Russia’s foreign minister said Saturday.
“Why are there no voices condemning those who seize government buildings, attack the police and adopt racist and anti-Semitic slogans? Why do European leaders actually encourage such actions, when they would quickly move to punish them at home?” Sergei Lavrov said at the annual Munich Security Conference.
“What would be the reaction from the European Union, if members of the Russian government began to openly express support, including personal visits, to rioters in London, Paris or Hamburg?” he added.
In a statement Monday the EU delegation to Ukraine called on the opposition to “dissociate itself clearly from all those who make use of violence in pursuing their aims.”
The Kremlin has repeatedly accused the US and its allies of meddling in Ukrainian affairs, while Western officials have pointed to what they describe as economic pressure from Russia to force Ukraine to move more tightly into its orbit.
Demonstrations in Kiev erupted in November following an announcement that the country would drop pursuit of closer ties with the EU.
A number of government buildings, including the Justice Ministry in Kiev, have been temporarily occupied by demonstrators during the protests, which have since spread across central and western parts of the country.
On Friday, Ukrainian President Viktor Yanukovych signed a bill into law giving amnesty to demonstrators and canceling unpopular anti-protest laws rammed through parliament two weeks ago.

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Munich: U.S. leaders meet with Ukrainian opposition, coordinate regime change plans

Stop NATO - February 2, 2014
1) Secretary of State Kerry speaks with Ukrainian opposition, renews demand for "European" integration
2) European Parliament to hold extraordinary debate, pass resolution on Ukraine
3) Munich Security Conference: West hosts Ukrainian opposition leaders, who meet with Kerry, McCain, Ashton, Steinmeier
4) Director of National Intelligence Clapper portrays Ukrainian president as desperate, besieged tyrant a la Milosevic, Qaddafi, Gbagbo, Assad, etc., adds Russophobic rant
5) Russian Foreign Minister: By forcing subservient regime on Ukraine, West displays strange view of freedom
6) Interior Ministry claims proof that provocations were planned in advance
7) Georgian car arsonist hired by opposition: Interior Ministry
8) Reason alone for "regime change": Ukraine, Russia sign agreement on Kerch Strait


1)

National Radio Company of Ukraine - January 31, 2014

U.S. Department of State urges opposition to continue peaceful dialogue with authorities

U.S. Secretary of State John Kerry on Thursday spoke by phone with political and civil society leaders in the Ukrainian opposition, underscoring the United States unwavering support for the democratic, European aspirations of the Ukrainian people.
U.S. State Department spokesperson Jen Psaki said this in a press briefing on Thursday, Ukrinform has reported. “This morning, Secretary Kerry spoke by phone with political and civil society leaders in the Ukrainian opposition who have been active in the peaceful movement. The Secretary underscored the United States unwavering support for the democratic, European aspirations of the Ukrainian people, and commended these opposition leaders for speaking out against violence and for their courageous work to defend democracy and advance their goals through peaceful means and dialogue,” Psaki said. 
She also said Kerry praised the progress achieved in the opposition's talks with the government, notably the repeal of the January 16th laws and the commitment to government change. “He urged that these talks continue and pledged continued U.S. support in coordination with the EU, the UN, the OSCE for a peaceful, political resolution to the political crisis which brings those responsible to account, restores human rights, democracy, economic health, and a path to Europe for Ukraine,” the U.S. Secretary of State noted. 
However, Psaki said Kerry underlined his concerns about reports of human rights violations, such as disappearances and killings, and stressed that the United States is pressing the Government of Ukraine to establish a justice commission to investigate these crimes and bring those responsible to justice. Psaki added that Kerry talked to six opposition, political, and civil society leaders.
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2) 

National Radio Company of Ukraine - January 31, 2014

EP to consider urgent resolution on Ukraine next week

The European Parliament next week plans to hold an extraordinary debate and adopt a resolution on the situation in Ukraine, Ukrinform reports referring to the political group of the European People's Party in the European Parliament.
"On Wednesday afternoon a plenary session will debate the deteriorating situation in Ukraine. The resolution will be voted on Thursday," the European Parliament said. At the same time, on January 31, the situation in Ukraine is not put on the agenda of the plenary session of the European Parliament, which will be held on February 3-6 in Strasbourg.
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3)

UNIAN - January 31, 2014

Ukrainian opposition representatives leave for Munich Security Conference

The Ukrainian opposition representatives, in particular chairman of the political council of the Batkivshchyna and the Batkivshchyna faction Arseniy Yatsenyuk, are leaving for Munich today, where they will take part in the 50th jubilee Munich Security Conference.
Within a framework of the conference Yatsenyuk will hold a range of meeting for discussion of ways out of the crisis in Ukraine, the press service of the Batkivshchyna All-Ukrainian Union disclosed to UNIAN. In particular, he will meet with United States Secretary of State John Kerry, United States Senator John McCain, High Representative of the Union for Foreign Affairs and Security Policy Catherine Ashton, President of Germany Joachim Gauck and Frank-Walter Steinmeier.
Within the framework of the measures they will discuss urgent issues of the world and European security, including the situation in Ukraine.
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4)

UNIAN - January 31, 2014

Yanukovych is about to retain power at any cost - Director of National Intelligence of USA

President of Ukraine Victor Yanukovych is about to retain a power at any cost, Director of National Intelligence of the USA James Clapper believes.
He expressed his view concerning the Ukrainian events in annual address to the Senate on estimation of the global risks of the special services of the USA, 5 Kanal reports.
According to opinion of Clapper, for holding on to his post the Ukrainian guarantor is ready to resort to use of force and other actions that do not meet democratic norms.
In his letter to senators Clapper also noted a role of Russia in the Ukrainian confrontation. According to his estimations, financial aid of the Kremlin will prevent a threat of financial crisis in Ukraine in short-term perspective, but will increase the dependence of Kyiv from Moscow.
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5)

RT - February 1, 2014

West’s interpretation of freedom for Ukraine ‘strange’ – Lavrov

Western politicians who advocate freedom of choice for Ukraine, but say this must be a pro-European choice, have a strange interpretation of freedom, Russian Foreign Minister Sergey Lavrov told a security conference in Munich.
Lavrov was responding to numerous statements, including from the European Council President Hermann van Rompuy and NATO Secretary General Anders Fogh Rasmussen, which were voiced just minutes before at the conference. He also criticized Western support for Ukrainian anti-government protests, which he said ignored the darker side of the movements behind the violence there.
“What does the inciting of street protests, which are growing increasingly violent, have to do with promoting democratic principles?” Lavrov said.
“Why do we not hear statements of condemnation toward those who seize government buildings, attack and burn police officers, and voice racist and anti-Semitic slogans? Why do senior European politicians de facto encourage such actions, while at home they swiftly and harshly act to stop any impingement on the letter of the law?”
Lavrov defended the Ukrainian government’s right to stop the violence, citing a 1966 international treaty on basic political rights, which has been adopted by almost all UN members.
“The International Covenant on Civil and Political Rights states that the freedom of expression cannot be illegal and is a basic right. But riots, violent actions give the grounds to limit those freedoms,” he said. “A state must be strong, if it wants to remain democratic.”
Ukraine has been mired in a deep political crisis since November 2013, when President Viktor Yanukovich’s government decided not to sign a free trade agreement with the EU, prompting mass pro-EU integration protests. The demonstrations remained more or less peaceful until January, when the Ukrainian parliament adopted a number of bills giving the government greater powers to restrict mass demonstrations.
Radical opposition activists responded to the legislation with violent attacks on riot police. Several days of clashes ensued, in which hundreds of police officers and protesters were injured. The Ukrainian authorities have since made a number of concessions to the opposition, including the repeal of the controversial anti-protests laws, but the tense ceasefire remains shaky at best.
Many western politicians have been openly supporting the anti-government protests and have criticized the Ukrainian government for its handling of the situation. The latest example came from US Secretary of State John Kerry, who was also speaking at the Munich security conference.
The people of Ukraine "are fighting for the right to associate with partners who will help them realize their aspirations – and they have decided that means their futures do not have to lie with one country alone, and certainly not coerced," Kerry said.
But while condemning police brutality and alleged kidnappings, torture and killings of opposition activists, foreign supporters of the opposition have barely mentioned violence and suspected crimes committed by the radical nationalist opposition.
The West has also criticized Russia for what it calls putting pressure on Ukraine not to integrate with the EU. Moscow denies these allegations, however, and insists that it has been keeping an appropriate distance from the crisis, unlike some western countries meddling in Ukraine’s internal affairs.
One of the accusations over Russia’s alleged pressure on Ukraine is over its decision to offer a $15 billion loan and a discount on gas prices to Kiev. Critics say Moscow “bought” Ukraine’s non-alliance with Europe, but Russia insists that it is simply aiding a brotherly people in a time of need, not Ukraine’s government.
Russian President Vladimir Putin this week said that Russia will provide the loan to whatever government is in Kiev, be it formed by President Yanukovich’s ruling party, or by the opposition. But Russia wants to see a working government following the resignation of outgoing PM Nikolay Azarov’s cabinet, before transferring the next installment.
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6)

National Radio Company of Ukraine - January 31, 2014

Interior Ministry: Batkivshchyna was preparing attack on Maidan protesters

The police have evidence that opposition Batkivshchyna (Fatherland) party was preparing an attack on Euromaidan protesters, Vitaliy Sakal, First Deputy Chief of the Interior Ministry Investigation Department Oleh Tatarov has told reporters on Friday.
"As part of the investigation we are checking the computer equipment seized in Turivska Street, near the office of the Batkivshchyna party. It has turned out that the information on the servers relates to the Batkivshchyna activities and suggests that the massive protests that began in Kyiv on November 21 last year were not spontaneous but planned in advance. I want to note that investigators, based on the available materials, have evidence that use of force was planned during the demonstrations against protesters that could cause a public outcry and undermine the authority of the current government and the president," Sakal said. He also added that now the investigators are checking whether Batkivshchyna representatives have committed a crime under Article 109 of the Criminal Code (actions aimed at forcible change or overthrow the constitutional order or seizure of state power). As reported, the search in the building at 19 b, Turivska Street in Kyiv
(near the Batkivshchyna office) was conducted based upon the court ruling as part of the investigation into criminal proceedings with respect to fraud and official abuse.
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7)

Interfax - February 2, 2014

Kyiv car arsonist says got instructions from opposition

KYIV: Policemen in Kyiv have detained a Georgian national on suspicion of torching cars.
The suspect told the police via an interpreter that he had acted on orders from opposition groups, the Ukrainian Interior Ministry reported on Sunday.
"The suspect claimed that he got acquainted with a man while looking for a job in Kyiv, who offered him 600 hryvni for torching cars. Before fulfilling the 'mission' the two went to the House of Trade Unions on Khreshchatyk, temporarily accommodating the opposition's National Resistance Staff and some of the Miadan movement's services, and rose to the fifth floor. A group of masked men they met gave them the numbers of the cars to be torched, as well as cash and gasoline," the Interior Ministry said.
The suspect was detained when the group set out to fulfill the mission. The others fled, it said.
Reports said earlier that fire services were called 17 times early on January 30 to tackle car arsons, in which 23 cars were damaged or destroyed.
All fires are being probed as arson in which property was destroyed or damaged, the Interior Ministry said.
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8)

ForUm - January 31, 2014

Cabinet approves agreement with Russia on construction of Kerch Strait crossing

The Government of Ukraine approved the Agreement with the Russian Federation on joint actions on launching construction of transport crossing over the Kerch Strait. "The government has approved the Agreement between the Cabinet of Ministers of Ukraine and the government of the Russian Federation on joint actions on organization of construction of transport crossing over the Kerch Strait, signed on Dec. 17, 2013 in Moscow," Oleksandr Vilkul, Acting Vice Prime Minister, has declared, the Information-Analytical Bulletin of the Cabinet of Ministers of Ukraine informs.
According to the document, geotechnical studies are planned for 2014. The parties then will jointly develop a Feasibility Study (FS). The study will include a review of the existing and prospective freight and passenger traffic. Also, the document will determine the type of future transport crossing (bridge or tunnel), the options of design and construction. The developed FS will be used as a basis for a final decision on the prospects for building a transport crossing.
According to Vilkul, the project will be coordinated by the Ministry of Infrastructure of Ukraine and the Ministry of Transport of the Russian Federation, and the physical work will be performed by the State Agency of Automobile Roads of Ukraine and Federal Road Agency of the Russian Federation. According to experts, the construction can last 3 to 4 years.



(english / italiano)

Zivadin Jovanovic: La neutralità è la migliore opzione per la Serbia

1) NATO SHOULD BE DESBANDED.
Address to the ROSA LUXEMBURG CONFERENCE, Berlin, January 11th, 2014.

2) LA NEUTRALITÀ È LA MIGLIORE OPZIONE PER LA SERBIA
Intervista a «Junge Welt», 6 gennaio 2014

=== 1 ===
 
 
 

NATO SHOULD BE DESBANDED

Zivadin Jovanovic

ADRESS TO THE ROSA LUXEMBURG CONFERENCE
Berlin, January 11th, 2014.

It is great honor to speak at the Conference held under the name of Rosa Luxemburg, symbol of the struggle for freedom, dignity and social justice - values so much jeopardized and so much needed today in Europe and the world. I would like to sincerely thank our hosts, comrades from “Junge Welt” for their kind invitation, excellent organization and for worm hospitality.
During the Yugoslav crisis, sanctions and particularly, during criminal NATO aggression, you have demonstrated solidarity with the people of my country, humanism toward victims and great courage in defending justice and the truth against massive production of lies and all sorts of manipulations. This Conference shows that the struggle for truth, solidarity and justice continues with the same vigor and resolve. Therefore, I would like to thank you for all you have done on your path of human dignity, solidarity and self-esteem. 
Allow me, also, to convey to all of you heartfelt greetings from the leadership and members of the Belgrade Forum for a world of equals. To many of you the Belgrade Forum is known, but let me say again that it is a truly independent, non-partisan and non-profit association of intellectuals in Serbia established 14 years ago. The Forum stands for peace, solidarity and sovereign equality among nations, states and individuals. We struggle for justice, truth and social justice, against any discrimination. We are against interventionism, abuse of human rights, double standards over terrorism, against militarization and robbing of the other nations for the interests of corporate capital. We stand for just world order based on the respect of basic principles of international law and democratization of international relations without subjugation and exploitation. New era in international relations is marked by weakening of forces mono-polarism and dictate opening new space for the forces of peace and justice. Let us unite to use this change for progress and wellbeing of humanity.
15 years ago, my country was a victim of NATO aggression. That attack on Serbia (Federal Republic of Yugoslavia) in 1999 was a crime against peace and stability. It was a first war in Europe after the Second WW. About 4000 people were killed, 8.000 seriously wounded. Thousands of houses have been destroyed, as well as factories, railways, bridges, schools, hospitals. Economic damage is estimated to over 120 billions of US dollars. The aggressors used missiles with depleted uranium, graphite and cluster bombs taking death toll even today. It was the war on European soil, war for controlling Europe, consequences of which shall stay in Europe but, unfortunately, actively participated by European countries.
Such a destructive, inhumane and criminal war was ironically termed – “humanitarian intervention” and “merciful angel”. Afterwards it has been used as a precedent for ensuing NATO aggressive wars on other countries. In fact, it was meant to serve as precedent. This was confirmed in April 2000 when high US representatives at the NATO summit held in Bratislava declared that, unlike European allies who thought the war against Yugoslavia was an exception, in fact was precedent to be used in the future whenever necessary and suitable. This position was noted in a report of German politician, member of Bundestag and Vice president of the Parliamentary Assembly of OSCE Willy Wimmer to the then Chancellor Gerhard Schroeder, dated May 2nd, 2000. 
At April 2000 NATO summit in Bratislava, as Willy Wimmer, reported to the Chancellor Gerhard Schroeder in his letter of May 2nd, 2000. USA officials declared that the 1999 war against Yugoslavia had a role to correct the mistake of Dwight Eisenhower from the period of the Second WW and to get justification to bring US soldiers there. British military attaché in Belgrade John Crosland (1996-1999), in his written testimony to The Hague tribunal of June 2006, noted that in June 1998, “Bill Clinton, Richard Holbrook and Medline Albright decided to change regime in Serbia and that the KLA should be a tool in achieving this objective. Having that in mind, all reservations I or anyone else has had against KLA was rendered meaningless. The position of the international community in Rambouillet in 1999 was harmonized with this policy”. What elements of this precedent were supposed to be? 
These may be summed up this way: 
=== 2 ===
Der Originaltext: »Neutralität ist beste Option«. Ein Gespräch mit Zivadin Jovanovic
von Klaus Hartmann, "junge Welt", Berlin
http://www.jungewelt.de/2014/01-06/025.php
ili https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/7866
Prevod na srpskohrvatskom: Neutralnost je najbolja opcija za Srbiju
Zivadin Jovanovic, Intervju za „junge Welt“,  Berlin
http://www.srp.hr/neutralnost-je-najbolja-opcija-za-srbiju/
ili https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/7866
English translation: NEUTRALITY IS THE BEST OPTION FOR SERBIA
by Zivadin Jovanovic, Interview to"Junge Welt", Berlin
http://www.beoforum.rs/en/comments-belgrade-forum-for-the-world-of-equals/334-neutrality-is-the-best-option-for-serbia.html
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http://www.civg.it/index.php?option=com_content&view=article&id=285:la-neutralita-e-la-migliore-opzione-per-la-serbia&catid=2:non-categorizzato
La neutralità è la migliore opzione per la Serbia
Intervista di «Junge Welt», Berlino a Zivadin Jovanovic, Presidente del Forum Belgrado per un Mondo di Eguali

Jovanovic  Zivadin. è nato nel 1938 ad Oparic, Serbia. Laurea in Giurisprudenza, Università di Belgrado, 1961. Corpo diplomatico jugoslavo: 1964-2000, ministro degli Esteri della Repubblica federale di Jugoslavia (RFJ) 1998-2000, deputato nei parlamenti serbo e jugoslavo, vicepresidente del Partito socialista serbo (Sps), 1997-2002; autore di “Abolire lo Stato”, “Kosovo Specchio”, “Ponti”; presidente del Forum di Belgrado per un Mondo di Eguali.

 

D: L'anno 2014 ricorda tre anniversari importanti: l'inizio della Prima Guerra Mondiale, con la dichiarazione austro-tedesca di guerra contro la Serbia, la liberazione di Belgrado dai nazifascisti hitleriani nel 1944 ed il 15° anniversario dell'aggressione Nato contro la Jugoslavia. Come si potrebbe spiegare la connessione tra queste date?

ZJ: Tutte e tre le guerre del XX secolo, la Prima Guerra Mondiale, la Seconda Guerra Mondiale e l'aggressione della Nato contro la Jugoslavia nel 1999, sono state guerre imperiali, tutto è cominciato su falsi pretesti, tutte hanno provocato enormi conseguenze economiche, umanitarie e politiche proseguite fino al XXI secolo. Ricordando questi anniversari, nel 2014, la Serbia rende omaggio a milioni di connazionali caduti, a tutte le vittime cadute per la libertà e la dignità umana, ovunque. Abbiamo tutti bisogno di rafforzare la nostra memoria ed inviare il messaggio che tali catastrofi umane non si ripetano mai più.

D: E' un fatto ancora presente nella coscienza pubblica della Serbia che il Paese fu l'obiettivo di tre aggressioni occidentali nel volgere di un secolo?

ZJ: La nazione che aveva perso oltre un terzo della sua popolazione nella Prima, oltre un milione di vite nella Seconda Guerra Mondiale, una nazione che anche 15 anni dopo l'“intervento umanitario” della Nato continua a pagare un pedaggio di morte, di certo non può e non deve dimenticare. Sarebbe incivile, irresponsabile verso il futuro, dimenticare. Il Forum di Belgrado, indipendente, apartitica associazione d'intellettuali, ha un ruolo importante nel rafforzare la consapevolezza del pubblico verso le guerre d'aggressione condotte ai danni della Serbia nel XX secolo. Il Forum di Belgrado sta preparando una serie di eventi per commemorare le vittime dell'aggressione della Nato in occasione del 15° anniversario del suo inizio. L'evento centrale sarà la conferenza internazionale (Belgrado, 23-24 marzo 2014) dal titolo”Pace Globale Vs interventismo globale e imperialismo”. Essa vedrà la partecipazione di prestigiosi intellettuali indipendenti, scienziati ed attivisti pacifisti provenienti da tutto il mondo.

D: L'Europa ha imparato le lezioni della storia del XX secolo?

ZJ: Ho paura di no. Sono preoccupato per la militarizzazione della Ue e dell'espansione della Nato verso Est. Alcuni governi europei, compresi quelli orientati a sinistra, sono sempre più una copia della politica imperialista statunitense ed il loro comportamento fa venir meno il rispetto per i valori  della civiltà. Dopo essersi appiattita sulle dottrine statunitensi dell'“interventismo umanitario”, della “responsabilità di proteggere” e della “guerra al terrorismo”, l'Europa ha perso la forza e la fiducia per dire di no a queste politiche, ovviamente anti-europee. Alcuni governi europei competono fra essi a chi sarà più generoso nell'offrire concessioni e basi Nato. Dietro alla cortina di retorica anticomunista in varie istituzioni nazionali ed europee, il revival del neofascismo e del neonazismo diventa realtà. Ci troviamo di fronte alla revisione sistematica della storia europea del XX secolo. La riabilitazione dei nazisti in alcune nuove democrazie, va in parallelo con la stigmatizzazione dei veterani antifascisti e la distruzione dei monumenti partigiani. Il revisionismo storico non è oggettivo di per sé stesso. Se, per esempio, in Ungheria, certi politici perseguono la revisione del Trattato del Trianon del 1920, è chiaro che il loro vero obiettivo è la revisione dei confini! 

D: L'obiettivo della guerra della Nato era la distruzione della Jugoslavia e la frammentazione della Serbia? Tutto questo è successo?

ZJ: E' vero che la Nato ha distrutto la Jugoslavia, economicamente e come Stato ed ha frammentato la Serbia e la nazione serba. Usa e Nato si sono posti fuori da ogni legalità giuridica, fuori da ogni controllo significativo. La Nato e gli Stati Uniti hanno condotto l'aggressione contro la Serbia, che è stata una guerra contro l'Europa, la guerra per abbracciare così strettamente l'Europa da costringerla a non respirare autonomamente nemmeno oggi. Immaginate una guerra contro l'Europa, con la partecipazione attiva dell'Europa stessa! La Gran Bretagna era entusiasta di dimostrare l'utilità della suo doppio standard di lealtà. La Germania guardò alla guerra come una buona occasione per sbarazzarsi dalla tutela internazionale cucitale addosso dopo la Seconda Guerra Mondiale. Francia, Italia ed il resto, erano senza peso ed influenza. I “negoziati di Rambouillet”, il “massacro di Racak”, il “piano ferro di cavallo”, il tribunale ad hoc dell'Aja e così via, sono stati parte di un tentativo di rappresentare la Serbia come un nuovo Stato nazista, per giustificare le sanzioni, l'aggressione criminale della Nato, il ricatto ed infine, la separazione del Kosovo Metohija dalla Serbia.

D: C'è l'opinione che l'aggressione della Nato del 1999 è stata il pretesto per stabilire una presenza militare americana permanente in quella parte d'Europa?

ZJ: E' vero. Subito dopo l'aggressione della Nato, gli Usa avevano stabilito la base militare Bondsteel, che sembra essere sul tipo della base militare Ramstad. Si tratta di una delle più grandi basi americane nel mondo. Secondo la relazione del politico [democristiano, ndt] tedesco Willy Wimmer al cancelliere Gerhard Schroeder, del maggio 2000, gli americani condussero l'aggressione alla Serbia del 1999 per ovviare l'errore di Eisenhower, che durante la Seconda Guerra Mondiale aveva omesso di dislocare soldati americani in territorio jugoslavo. Tutto questo fa parte del piano di espansione militare verso la Russia, il Mar Caspio, l'Asia Centrale ed il Medioriente. Dopo Bondsteel, gli Stati Uniti d'America hanno stabilito quattro basi in Romania, quattro in Bulgaria e così via. Oggi, l'Europa ha più basi militari straniere sul proprio territorio che non al culmine della Guerra fredda. Per quale ragione? Non è alcun confronto tra blocchi militari, ideologici o sistemici. L'invasione da altri pianeti, per il momento, non è probabile...

D: Può dirci qual'è l'atteggiamento dell'attuale governo serbo verso gli aggressori del 1999? Sta ancora cercando l'adesione all'Unione europea, nonostante l'impegno della Ue per separare definitivamente il Kosovo Metohija dalla Serbia?

ZJ: Le pressioni, soprattutto di Stati Uniti, Germania e Gran Bretagna, per imporre alla Serbia il riconoscimento unilaterale dell'illegale secessione del Kosovo Metohija, in cambio dell'adesione all'Unione europea poco dopo il 2020, sono disoneste, controproducenti e revansciste. E' una soluzione contraria alle Nazioni Unite ed alla Carta di Helsinki, alla risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza dell'Onu ed alla Costituzione della Serbia. Gli Usa hanno voluto sottrarre la questione dalle mani del Consiglio di sicurezza dell'Onu per annientare il sostegno alla Serbia da parte di Russia e Cina. Così, Washington ha trovato nella Ue il mediatore di facciata tra Belgrado e Pristina. Ma può, davvero, il problema dello status del Kosovo Metohija, essere risolto con un nuovo dettame occidentale che, nel 2014, coincide con il centenario del diktat di Vienna? Dubito molto. Circa il 75 per cento della popolazione totale della Serbia è contraria all'adesione del Paese alla Nato, mentre solo il 13 per cento è favorevole.

D: Nel 1999 ho considerato l'aggressione della Nato contro la Jugoslavia come una guerra di “apertura della porta” per i successivi conflitti. Nel frattempo abbiamo assistito alle guerre contro l'Afghanistan, l'Iraq, la Libia, la Siria, ed anche il Pakistan e molti Paesi africani. E' difficilmente concepibile che la Serbia voglia unirsi a questa organizzazione terroristica, [la Nato].

ZJ: La Nato, a mio avviso, non è un posto per la Serbia. Come una reliquia della Guerra fredda, la Nato dovrebbe essere sciolta. La Serbia è un piccolo Paese amante della pace, senza obiettivi imperialistici. La Nato è un'aggressiva macchina bellica imperialistica, al servizio dell'interesse del capitale militare-industriale e finanziario corporativo. Autoproclamare il diritto della Nato ad intervenire, per attaccare qualsiasi punto del globo, è fonte di grande pericolo per la pace e la stabilità. I leader della Nato paiono non capire che il mondo multipolare e la democratizzazione delle relazioni internazionali sono inevitabili, tendenze storiche che non possono essere fermate. Afghanistan, Iraq, Libia e Siria sono state appena ripetizioni “creative” del precedente jugoslavo del 1999. Ma l'interventismo globalizzatore deve essere fermato. Se l'aggressione del 1999 contro la Jugoslavia è stato il punto di svolta verso la globalizzazione dell'interventismo della Nato, gli sviluppi del 2013 concernenti l'Iran, la Siria e l'Ucraina riguardano il punto che segna la fine dell'unipolarismo e l'inizio del multipolarismo e della democratizzazione delle relazioni mondiali. Sostengo la neutralità della Serbia come l'opzione migliore. Se sei Paesi della Ue possono fare a meno di appartenere alla Nato, perché la Serbia, che è stata fondatore e membro del movimento dei non-allineati, non può fare altrettanto?

D: In diverse occasioni le speranza serbe di sostegno ed assistenza da parte della Federazione russa sono rimaste deluse. Ma un accerchiamento imperialista completo nei Balcani non può essere nell'interesse della Russia. Cosa ci dice dei rapporti effettivi tra Serbia e Russia?

ZJ: La Russia non ha mai attaccato la Serbia nella storia. Sono sempre stati alleati. Politicamente la Russia sostiene la sovranità e l'integrità della Serbia e l'attuazione della risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza dell'Onu sullo statuto territoriale del Kosovo Metohija. La Russia ha fornito linee di credito agevolato circa progetti di sviluppo per la Serbia per un valore complessivo di cinque miliardi di dollari. La pipeline per il trasporto del gas naturale “South Stream”, che attraversa la Serbia, è finanziata anche dalla Russia. Mentre garantisce la sicurezza energetica, questo progetto europeo rafforza inoltre la posizione geopolitica della Serbia. La Russia supporta anche la Serbia nella difesa dell'accordo di pace di Dayton sulla Bosnia, resistendo ai tentativi di revisione del trattato a spese dei serbi (Republika Srpska) in Bosnia. Non è vero che non vi è alternativa all'adesione alla Ue per la Serbia! Una Serbia neutrale può essere un ottimo vicino per l'Unione europea. La Serbia ha bisogno di espandere ulteriormente la propria cooperazione con Russia, Cina, India e con tutti gli altri Paesi che non hanno precondizioni politiche, che sostengono la sovranità e l'integrità nazionale della Serbia. Un principio è, a mio avviso, particolarmente importante: la Serbia ha bisogno di altri partner, in quanto essi hanno bisogno della Serbia. Né più, né meno.

(6 gennaio 2014)

Traduzione di Paolo B. per Forum Belgrado Italia

 
 
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(english / deutsch / castellano / srpskohrvatski / italiano)

Il loro Kosovo "democratico", tra assassinii e repressione

1) Segnalazione libro VENE KOSOVARE
2) FLASHBACK 2004: Agenti segreti tedeschi con il passaporto diplomatico / Agenten mit Diplomatenpaß (Jürgen Elsässer)
3) Incidenti durante le "elezioni amministrative" di novembre 2013, voto ripetuto, i dubbi restano: “Per arrivare all'obiettivo è stato utilizzato ogni mezzo, è mancata solo l'aviazione”, ha dichiarato Oliver Ivanović (20/11/2013)
4) Zivadin Jovanovic: Lo status del Kosovo e Metohija solo dentro la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU 1244
5) Gran Albania naciendo: nueva reunión de los gobiernos de Tirana i Pristina en Prizren (13/01/2014)
6) War crime accused takes the oath in Kosovo (Jan 4, 2014)
7) Mitrovica nord, ucciso consigliere serbo (16 gennaio 2014)
8) Kosovo: arrestato Oliver Ivanović (28 gennaio 2014) / Београдски форум : Саопштење поводом хапшења Оливера Ивановића

9) RETROSCENA: LE TRUPPE DI OCCUPAZIONE DELLA NATO NON SE NE ANDRANNO DAL KOSOVO.

3.7. North Atlantic Council visits KFOR / 9.7. NATO Secretary General statement on Kosovo Security Force reaching Full Operational Capability / 4.11. November "elections": NATO Deploys Quick Reaction Forces Against Serbs / 29.11. NATO troops "to remain in Kosovo" 

=== 1 ===
Lorenzo Giroffi

VENE KOSOVARE

Ebook, Ed. First Line Press, 2013
AUDIO: Presentazione dell'ebook VENE KOSOVARE nel programma "Esteri" di Radio Popolare
Nella puntata del 15 maggio 2013 del programma radiofonico "Esteri" trasmesso sulle frequenze di Radio Popolare, Andrea Monti ha presentato il primo ebook di First Line Press "Vene Kosovare".
La presentazione ha anche ospitato un'intervista a Lorenzo Giroffi, redattore di First Line Press e autore dell'ebook, e alla fotografa Alice Cavallazzi, che ha realizzato gli intensi scatti che corredano l'opera.

Per tutte le info su VENE KOSOVARE:
http://firstlinepress.org/tutto-sul-nostro-ebook-vene-kosovare/

Per acquistare l'ebook:
Su Amazon in formato kindle 
http://www.amazon.it/Kosovare-Ebook-First-Press-ebook/dp/B00C5KWVKK/
Su Lulu in formato pdf 
http://www.lulu.com/shop/lorenzo-giroffi/vene-kosovare/ebook/product-21015939.html
=== 2 ===
junge Welt (Berlino), 24.11.2004

Agenti con il passaporto diplomatico

Il servizio segreto tedesco e la distruzione della Jugoslavia (II). Le guerre in Bosnia e in Kosovo

di Jürgen Elsässer
Nella guerra fratricida bosniaca dal 1992 fino al 1995 i servizi segreti tedeschi (BND) hanno appoggiato i croati e i musulmani che strapparono la Repubblica federata di Bosnia dalla Jugoslavia per fondare un proprio Stato. La trasmissione della rete ARD “Monitor” ha riferito nel febbraio 1997 che il servizio segreto tedesco ha fornito dal 1992 "almeno cinque“ convogli di munizioni camuffati da aiuto umanitario all’enclave occidentale di Bihac.
Responsabile ne era peraltro il capo di tutto lo spionaggio del sud-est dei servizi segreti tedeschi, un impiegato di nome Smidt, pseudonimo Sandmann. Il Referat 12 D a lui sottoposto dirigeva tutti gli agenti nei Balcani. Alcuni di loro avrebbero usato la loro posizione come collaboratori della missione di osservatori dell’UE nei territori in crisi (European Community Monitoring Commission – ECMC) dal 1991 per lo spionaggio e per il contrabbando d’armi. Il capo tedesco della delegazione della ECMC, Cristof von Bezold, in base ad una testimonianza affidabile, avrebbe accompagnato personalmente trasporti d’armi, i quali figuravano come fossero state delle forniture di latte in polvere. La sua immunità diplomatica gli garantiva per questo una illimitata libertà di muoversi. Il Ministero degli Esteri ha confermato che Von Bezold ha lavorato anche per i servizi segreti tedeschi, tuttavia ha dichiarato che egli ha "ufficialmente garantito" di non aver intrapreso altre attività al di fuori del suo contratto ufficiale con l'ECMC. Anche Peter Strauss, collaboratore di Bezold presso la ECMC a Zagabria, ha partecipato al contrabbando di soldi e munizioni a favore di musulmani.
Mentre in Bosnia erano i servizi USA a condurre i giochi, il dominio degli agenti tedeschi oltre alla Croazia [confrontare la parte I di questa serie: http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4067 ] era soprattutto in Kosovo. Sotto il titolo “How Germany backed KLA” – “Come la Germania ha appoggiato l’UCK” (KLA – Kosovo Liberation Army – è il sinonimo per l’UCK nei media in lingua inglese) il settimanale inglese The European presentava un’indagine a fine settembre 1998. Lì si affermava che i servizi segreti civili e militari erano coinvolti nell'addestramento e nell’armamento dei ribelli per cementare l’influenza tedesca nei Balcani e per tenere sotto controllo il problema dei profughi. Per questo motivo si sarebbe giunti “ad una seria rottura tra il BND e la CIA”, si diceva facendo riferimento a diplomatici francesi. Il giornale ha poi scritto: “La formazione dell’UCK nel 1996 coincise con la nomina di Hansjoerg Geiger come nuovo capo del BND. Una delle sue prime decisioni operative è stata l’istituzione di una tra le più grandi rappresentanze regionali del BND a Tirana (...). Agenti BND lavoravano strettamente con i capi dello Shik, i servizi segreti albanesi (...). Uomini del BND avevano il compito di trovare reclute per la struttura di comando dell’UCK." Una informazione simile è stata riferita dalla ARD nella trasmissione “Monitor”: “Dal 1990 il governo federale cura buoni rapporti con i servizi segreti albanesi. Equipaggiamento militare del valore di due milioni di marchi tedeschi è stato mandato nelle zone albanesi in crisi. Le forniture militari sono giunte in parte ai ribelli dell’UCK.” Un collaboratore del servizio militare di protezione ha detto a “Monitor” che l’azione è stata voluta “da molto in alto”. Bill Foxton, capo dell’ufficio degli osservatori OSCE alla frontiera tra l’Albania e il Kosovo, ha “scoperto per la prima volta a fine giugno 1998 che l’UCK è improvvisamente in uniforme, e precisamente in uniforme tedesca da campo. In sostanziale continuità le accuse di parte serba, secondo cui l'addestramento della guerriglia avrebbe avuto luogo anche sullo stesso territorio tedesco.

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http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4067

jW, 24.11.2004

Jürgen Elsässer

Agenten mit Diplomatenpaß

Der deutsche Geheimdienst und die Zerstörung Jugoslawiens (II): Die Kriege in Bosnien und im Kosovo

Im bosnischen Bürgerkrieg 1992 bis 1995 unterstützte der Bundesnachrichtendienst (BND) die Kroaten und Moslems, die die Teilrepublik von Jugoslawien losrissen und einen eigenen Staat gründeten. Das ARD-Magazin »Monitor« berichtete im Februar 1997, der deutsche Geheimdienst habe ab 1992 »mindestens fünf« als humanitäre Hilfe getarnte Munitionstransporte in die westbosnische Enklave Bihac gebracht. 

Zuständig war demnach der Leiter der gesamten Südostspionage des BND, ein Beamter namens Smidt, Deckname Sandmann. Das ihm unterstellte Referat 12 D führte alle Agenten auf dem Balkan. Einige von ihnen sollen ihre Position als Mitarbeiter der Beobachtermission der EU im Krisengebiet (European Community Monitoring Commission – ECMC) seit 1991 zur Spionage und zum Waffenschmuggel benutzt haben. Der deutsche Delegationsleiter der ECMC, Christoph von Bezold, soll nach einer eidesstattlichen Zeugenerklärung persönlich Waffentransporte begleitet haben, die als Lieferungen von Milchpulver getarnt waren. Seine diplomatische Immunität sicherte ihm dafür ungehinderte Bewegungsfreiheit. Das Auswärtige Amt bestätigte, daß von Bezold auch für den BND gearbeitet habe, gab jedoch an, dieser habe »dienstlich versichert«, keine über seinen offiziellen ECMC-Auftrag hinausgehenden Aktivitäten unternommen zu haben. Auch Peter Strauß, Bezolds Mitarbeiter der ECMC in Zagreb, war am Schmuggel von Geld und Munition an die Muslime beteiligt.

Während in Bosnien die US-Dienste die Federführung hatten, war neben Kroatien (vgl. Teil I dieser Serie) vor allem auch das Kosovo die Domäne der deutschen Agenten. »How Germany backed KLA« (KLA – Kosovo Liberation Army – wird in den englischsprachigen Medien synonym für UCK verwendet ) überschrieb das englische Wochenblatt The European Ende September 1998 eine Recherche. Dort wurde behauptet, daß »der deutsche zivile und militärische Geheimdienst in die Ausbildung und Bewaffnung der Rebellen verwickelt sind, um den deutschen Einfluß auf dem Balkan zu zementieren und das Flüchtlingsproblem anzupacken«. Deswegen sei es zu »einem ernsthaften Bruch zwischen dem BND und der CIA gekommen«, hieß es mit Bezug auf französische Diplomaten. Weiter schrieb die Zeitung: »Die Entstehung der UCK im Jahr 1996 fiel mit der Ernennung von Hansjörg Geiger zum neuen BND-Chef zusammen. Einer seiner ersten operativen Beschlüsse war die Einrichtung einer der größten Regionalvertretungen des BND in Tirana. (...) BND-Agenten arbeiten eng mit den Führern des Shik, des albanischen Geheimdienstes, zusammen. (...) Die BND-Männer hatten die Aufgabe, Rekruten für die UCK-Kommandostruktur herauszusuchen.« Ähnliches berichtete die ARD-Sendung »Monitor«: »Seit 1990 pflegt die Bundesregierung gute Beziehungen zu den albanischen Geheimdienstlern. Militärische Ausrüstung im Wert von zwei Millionen Mark wurde ins albanische Krisengebiet entsandt. Die Militärgüter seien zum Teil an die Rebellenarmee UCK gelangt.« Ein beteiligter Mitarbeiter des Militärischen Abschirmdienstes sagte gegenüber »Monitor«, die Aktion sei »von ganz oben« erwünscht gewesen.Von Bill Foxton, dem Leiter des OSZE-Beobachterbüros an der Grenze zwischen Albanien und Kosovo, wurde Ende Juni 1998 »erstmals entdeckt, daß die UCK plötzlich uniformiert ist. Und zwar mit deutschen Feldanzügen.« Wesentlich weitergehende Anschuldigungen von serbischer Seite, wonach die Guerillaausbildung auch in Deutschland selbst stattgefunden haben soll.


=== 3 ===
Incidenti durante le elezioni amministrative in Kosovo

04. 11. 2013. - 19:39 -- MRS
Dopo il primo turno delle elezioni amministrative in Kosovo, in base al 90% delle schede contate, sono stati eletti 10 sindaci. In 24 comuni il 1 settembre sarà tenuto il secondo turno. Per quattro comuni serbi nel nord del Kosovo non sono stati resi noti i risultati, ha comunicato la commissione elettorale. Durante le elezioni nel Kosovo settentrionale sono accaduti incidenti. La polizia kosovara ha arrestato alcune persone. Sul sito della commissione elettorale del Kosovo è stato pubblicato che nel primo turno sono stati eletti i sindaci dei comuni di Decane, Glogovac, Stimlje, Kosovo Polje, Istok, Kačanik, Podujevo, Djeneral Jankovic, Mamusa i Srbica. Nei comuni con la maggioranza serba che si trovano a sud del fiume Ibar, a Strpce, Novo Brdo, Klokot, Partes e Ranilug, sarà tenuto il secondo turno. Non si sa ancora se nel comune serbo di Gracanica, vicino Pristina, sarà tenuto il secondo turno, o se l’Iniziativa civica serba abbia ottenuto la vittoria.

Seggi elettorali a Kosovska Mitrovica sono stati chiusi

03. 11. 2013. - 18:59 -- MRS
I seggi elettorali nella scuola elementare Santo Sava a Kosovska Mitrovica settentrionale sono stati chiusi alle ore 17, dopo che le persone ignote, che sono state mascherate, hanno distrutto il materiale elettorale e hanno gettato i lacrimogeni. I vetri delle finsetre sono stati rotti. Davanti alla scuola si trova la polizia. Il personale dell'OSCE è stato evacuato. La polizia kosovara ha arrestato una persona,

Vucic ha chiesto il permesso che la Serbia intervenga a Kosovska Mitrovica settentrionale

03. 11. 2013. - 18:59 --
Il primo vice premier serbo Aleksandar Vucic ha chiesto alla comunità internazionale di permettere alle autorità serbe di intervenire 45 minuti, dopo che gli estremisti hanno aggredito i seggi elettorali nella scuola elementare Santo Sava a Kosovska Mitrovica settentrionale. Gli estremisti serbi hanno rotto le scatole che contengono le schede elettorali nella Scuola di medicina, la Scuola delle tecnologie e nella Scuola elementare Santo Sava, perché nella serata i cittadini serbi si sono recati in massa verso i seggi elettorali. Sono scoppiate le risse. La polizia ha gettato lacrimogeni. Secondo le informazioni ufficiose negli incidenti nessuno è sato ferito

Pantic: alla Serbia deve essere permesso di mettere sotto controllo la situazione

03. 11. 2013. - 20:38 -- 
Il candidato sindaco di Kosovska Mitrovica settentrionale dell’Iniziativa civica Serba Krstimir Pantic ha chiesto dopo gli incidenti ai seggi elettorali nella scuola elementare Santo Sava che la comunità internazionale permetta allo Stato serbo di mettere sotto controllo la situazione a Mitrovica. É arrivato il momento che la Serbia chieda alla comunità internazionale che le sue forze calmino la situazione, perché la comunità internazionale non vuole o non è in grado di farlo. Gli incidenti del genere e la passività e l’indulgenza della comunità internazionale non sono nell’interesse della Serbia e il popolo serbo e allontanano il Kosovo dalla Serbia, ha dichiarato Pantic.
Pristina: nuove elezioni a Mitrovica si terranno il 17 novembre

06. 11. 2013. - 20:13 
I risultati delle elezioni a tre seggi elettorali a Kosovska Mitrovica settentrionale cono stati annullati, ha dichiarato il membro della commissione elettorale del Kosovo Nenad Rikalo. Le nuove elezioni in questi seggi si terranno il 17 novembre. La commissione ha stabilito che a tre luoghi a Kosovska Mitrovica settentrionale le schede non potevano essere contate. Oggi pomeriggio è iniziato lo scrutinio delle schede dei seggi dei comuni di Leposavic e Zubin Potok, ha dichiarato Rikalo. L’agenzia Tanjug ha riportato che nella commissione elettorale del Kosovo è stato raggiunto l’accordo che il secondo turno delle elezioni amministrative si terrà il 17 novembre e che questa decisione sarà confermata a una delle prossime riunioni. La commissione elettotrale del Kosovo ha comunicato oggi che le elezioni sono state annullate a tre seggi a Kosovska Mitrovica settentrionale, perché gli estremisti hanno distrutto durante la votazione le scatole che contenevano le schede.
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Mitrovica, voto ripetuto. Niente violenze, i dubbi restano

 


20/11/2013 - La ripetizione del voto amministrativo a Mitrovica nord, è stata accolta come un grande successo da UE e governo serbo. Bassa affluenza e pressioni sugli elettori, però, tengono vivi molti dubbi. Il servizio di Francesco Martino per il GR di Radio Capodistria [20 novembre 2013]

 

Si è tenuta senza incidenti domenica scorsa la ripetizione del voto amministrativo a Mitrovica nord , in Kosovo, dopo le violenze che hanno invalidato le elezioni del 3 novembre scorso.
Un dato accolto come un forte successo sia dall'Unione europea che dal governo di Belgrado, che puntavano alla partecipazione della comunità serba del nord del Kosovo, che dal 1999 di fatto non riconosce le autorità di Pristina, dichiaratesi poi indipendenti nel febbraio 2008, come elemento fondamentale per la tenuta degli accordi di normalizzazione dei rapporti tra Serbia e Kosovo, firmato lo scorso aprile. Accordo che dovrebbe aprire i negoziati di adesione di Belgrado all'UE già il prossimo gennaio.
I segnali provenienti dalla ripetizione delle consultazioni, le prime che si tengono all'interno della cornice costituzionale del Kosovo, non possono però nascondere il permanere di forti elementi critici.
L'affluenza a Mitrovica si è fermata ad un'anemico 22%, un dato che difficilmente può essere letto come un “sì” dei serbi del nord agli accordi e alla propria integrazione nel sistema statale kosovaro. Secondo molte fonti Belgrado avrebbe esercitato forti pressioni, tra cui la minaccia di licenziamento per i dipendenti pubblici che non si fossero recati alle urne.
Per arrivare all'obiettivo è stato utilizzato ogni mezzo, è mancata solo l'aviazione”, ha dichiarato Oliver Ivanović, il secondo più votato, che sfiderà al ballottaggio il prossimo 1 dicembre Krstimir Pantić, candidato della lista “governativa” voluta da Belgrado.
Ballottaggio ancora una volta delicato, che darà nuovi elementi per capire se la strategia di UE e governo serbo di “convincere” o “costringere” i serbi del nord al compromesso, sia la strada giusta per sciogliere il nodo che oggi blocca sia Kosovo che Serbia sulla loro strada europea.
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Lo status del Kosovo e Metohija solo dentro la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU 1244

Scritto da Zivadin Jovanovic

Il globale interventismo della NATO può condurre a un confronto globale


 di Zivadin Jovanovic Presidente del Forum Belgrado per un Mondo di Eguali

 

Questi sono alcuni dei punti dell' intervento introduttivo di Zivadin Jovanović, Presidente del Forum di Belgrado per un Mondo di Eguali, all'Assemblea annuale dell'Associazione svoltasi il 14 dicembre 2013, a Belgrado.

 

Il problema dello status della provincia serba del Kosovo e Metohija rimane irrisolto, indipendentemente dai cosiddetti negoziati di Bruxelles. Una soluzione pacifica e duratura sarà possibile solo fornendo il pieno rispetto e l'attuazione della risoluzione Onu 1244 e della Costituzione della Serbia,  garantendo entrambi questi atti la sovranità e l'integrità territoriale della Serbia. Il ruolo del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nel garantire una soluzione giusta e duratura, non può essere sostituito dal ruolo di qualsvoglia organizzazione regionale, che si tratti di UE, NATO, o qualsiasi altro. Solo le Nazioni Unite e la comunità internazionale hanno una legittimità, mentre il resto sono auto proclamazioni.

L'aggressione della NATO sulla Serbia ( RFJ ) del 1999 è stato un punto di svolta verso la globalizzazione dell' interventismo militare, i successivi recenti sviluppi quali la Siria, l'Iran e l'Ucraina, illustrano, ciasuno a proprio modo, un punto di svolta verso una multipolarizzazione dell'ordine mondiale. La multipolarità è importante perché abolisce il monopolio di un potere e apre uno spazio per il rispetto del diritto internazionale, dei principi fondamentali delle relazioni internazionali e per una democratizzazione delle relazioni internazionali. Sottolineare l'importanza della multipolarizzazione non ci deve portare a credere che una nuova tendenza positiva sia garantita automaticamente. E' una assoluta necessità che tutte le forze amanti della pace, intensifichino la cooperazione e il coordinamento reciproco nella lotta per lo Stato di diritto, il rispetto dell'uguaglianza sovrana degli Stati e per la democratizzazione delle relazioni mondiali.

La crisi mondiale ha colpito direttamente e in primo luogo i paesi più sviluppati, i paesi privilegiati, poi il resto. Coloro che sono di fronte al pericolo di perdere i loro privilegi, non rinunceranno facilmente. Come si vede, stanno cercando di trasferire l'onere della crisi che essi stessi hanno causato, al resto del mondo, soprattutto verso paesi che sono deboli militarmente, ma che sono ricchi di energia e di minerali strategici, o appartengono a importanti regioni geostrategiche. La NATO è ancora una volta il pugno di ferro dei privilegiati, del capitale corporativo multinazionale.

Il mondo di oggi, è molto diverso dal periodo degli anni novanta del secolo scorso. Cina, Russia, India, tutto il Sud America, molti altri paesi e regioni del mondo, sono cresciuti molto più velocemente dell'Occidente, sia economicamente che in molti altri aspetti, anche nella difesa.       E 'chiaro che questi paesi, alcuni dei quali sono diventati attori globali imprescindibili, non accettano la dittatura nelle relazioni mondiali, e le palesi interferenze negli affari interni e l'interventismo militare.

Pertanto, la strategia di usare il potere militare, di globalizzare l'interventismo militare al fine di controllare e soggiogare il resto del mondo per mantenere i privilegi, è sempre più chiaramente a confronto con una resistenza dei paesi. Il mondo è sul punto di, o trovare un modo pacifico di fermare l'interventismo militare imperialista, in nome del capitale industriale militare e finanziario monopolistico, o ditrovarsi di fronte a un duro confronto globale.

 

All'Assemblea annuale del Forum Belgrado hanno partecipato soci e amici, tra i quali il segretario esecutivo del Consiglio Mondiale della Pace, Iraklis Tsavdaridis, il Vescovo della Chiesa Ortodossa Serba Irinej Bulovic, l'Ambasciatore iraniano Majid Fahir Pour, diplomatici di alto rango da diverse altre ambasciate, rappresentanti di associazioni civiche, tra cui associazioni studentesche delle università di Belgrado e Banja Luka, associazioni serbe della provincia del Kosovo e Metohija e altri. Nessun rappresentante ufficiale di strutture governative erano presenti, anche se, come sempre, erano stati invitati .

 

Traduzione di Enrico Vigna per  Forum Belgrado per un Mondo di Eguali - Italia

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NACE LA GRAN ALBANIA
Posted by: kopaonik

13/01/2014

Gran Albania naciendo: nueva reunión de los gobiernos de Tirana i Pristina en Prizren

Gobiernos de Kosovo y Albania celebraron de nuevo una sesión conjunta en Prizren y uno de los temas fue la posición de los albaneses en los municipios de Medvedja, Bujanovac y Presevo en Serbia.

“Fue un encuentro histórico. Este es el primer paso hacia la unificación de los albaneses, moviéndose hacia un único estado “, dijo el presidente del Movimiento Democrático para el Progreso Jonuz Musliu .

Hashim Thaci dijo que una de las decisiones más importantes de esta sesión conjunta en Prizren, era el establecimiento de un fondo para los albaneses de Presevo, Bujanovac y Medvedja .

“Bienvenido a la casa compartida”, dijo Thaci en la apertura de la primera sesión de los dos gobiernos, que consideró ” histórico y un nuevo capítulo para Kosovo, Albania y la región. “

“La reunión de nuestros dos gobiernos , en este lugar santo del renacimiento de la nación albanesa , presenta respecto a nuestros héroes de distintos períodos de tiempo, y una prueba de que se respete su trabajo duro , sudor y sangre”, dijo Thaci , RFE / RL informó .

“Gracias a su trabajo , el presente y las generaciones futuras puedan disfrutar de más paz , la libertad y el desarrollo , y los ciudadanos de Kosovo y Albania pueden vivir cerca y sin barreras “, dijo.

El primer ministro albanés Edi Rama dijo que ambos gobiernos comparten la aspiración de contribuir a la integración de Albania y regional en una Europa unida.

“Estamos más que los ciudadanos de los dos países vecinos. La gran mayoría de nuestros ciudadanos pertenecen a una nación que, con todas las diferencias internas, tiene un lenguaje común, la cultura y la tradición ” , dijo Rama.

La primera sesión de los dos gobiernos ha estado marcada por la firma de un acuerdo de cooperación en el ámbito del comercio, el transporte y la integración europea.

 

Sugerencia de un nuevo malestar regional?

Thaci dijo que, en este período de sesiones, una promesa se hará de asumir la responsabilidad histórica de cuidar de sus compatriotas que viven en la región, fortalecer los vínculos con la diáspora albanesa y anunció la creación de un fondo para los albaneses en el valle de Presevo .

“Los ciudadanos de Kosovo y Albania, y los de Tetovo (actual Macedonia), Presevo (en Serbia), Ulcinj (en Montenegro) y en la diáspora , esperan con impaciencia esta reunión conjunta. No es casualidad que una de las decisiones más importantes hoy en día es la formación de un fondo para los albaneses de Presevo, Medvedja y Bujanovac “, dijo Thaci .

Añadió que “el objetivo de este foro intergubernamental es armonizar las políticas y actitudes en relación con los problemas no resueltos de los albaneses donde quiera que estén. “

Una de las principales autoridades políticas de Kosovo , Adem Demaci, dijo que la reunión conjunta de los Gobiernos de Kosovo y Albania es un ” tipo de unidad nacional”.

Dijo que la sesión conjunta es un paso hacia el fortalecimiento de los dos países y los albaneses en general.

“Kosovo y Albania deberían haber dado ese paso mucho antes, pero es mejor tarde que nunca. Espero que la cooperación entre los dos países continuará de manera positiva en todas las áreas “, dijo Demaci .

Dijo que se sentía muy bien cuando se enteró de que los representantes de los dos gobiernos acordaron establecer un fondo para el valle de Presevo , y agregó que ” Debemos mostrar a Serbia que nunca vamos a olvidar a nuestros hermanos y hermanas , y que vamos a ayudar a dentro de las posibilidades que tenemos.”.

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http://news.xinhuanet.com/english/world/2014-01/04/c_133017583.htm

Xinhua News Agency - January 4, 2014

War crime accused takes the oath in Kosovo

PRISTINA: Newly elected mayor of the Municipality of Skenderaj/Srbica, Sami Lushtaku, was briefly taken from the Mitrovica detention center on Friday to his hometown to take the oath for third term in office.
The procedure took some ten minutes, and the defendant was later sent back to the detention center.
Accompanied by police officers, Lushtaku was taken to the Municipal Assembly of Skenderaj/Srbica, for the oath in a brief procedure behind closed doors.
However, about 200 people showed their support to him by gathering in front of the assembly building.
Lushtaku, a former Kosovo Liberation Army (KLA) commander in central Kosovo, is in detention since May 2013 under war crime charges. Even in detention, Lushtaku was elected the mayor of the municipality on Nov. 3 elections with an overwhelmed support of 88 percent of the voters even though he did not attended the election campaign at all.
Initially, the court had rejected his call to shortly be released for taking the oath, however on Dec. 20, the Court of Appeals "granted the application from his lawyer to release the defendant in order for him to take the oath" under some conditions.
Lushtaku returned to the detention center immediately after taking the oath. EU Rule of law (EULEX) police was instructed to be present to avoid possible escalation of the situation.
Lushtaku is one of 15 detained former KLA members known as the "Drenica Group" suspected of committing war crimes dating from 1998-99 war, when KLA fought Serbian forces.
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Mitrovica nord, ucciso consigliere serbo

16 gennaio 2014

Aveva appena parcheggiato la macchina di fronte alla sua abitazione a Mitrovica nord: appena sceso, lo hanno colpito cinque o sei pallottole con un'arma automatica. Quando è arrivato nell'ospedale cittadino, non c'era più nulla da fare.
E' morto così ieri sera, poco dopo la mezzanotte, il consigliere municipale Dimitrije Janićijević, 35 anni, del Partito Liberale Indipendente (SLS), considerata formazione “collaborazionista” da parte di chi, tra i serbi del Kosovo, si oppone al dialogo con Pristina.
Il movente e l'omicida restano per il momento ignoti. L'assassinio rappresenta però un segnale estremamente grave nella città divisa dal fiume Ibar, in un clima politico di forte instabilità e crescente tensione.
Nei giorni scorsi, infatti, i risultati delle recenti elezioni amministrative a Mitrovica nord sono stati annullati d'ufficio. A differenza dei nuovi sindaci delle altre municipalità del Kosovo settentrionale Krstimir Pantić, neo-eletto primo cittadino di Mitrovica, ha rifiutato di assumere il proprio ruolo, a causa dei simboli statuali presenti sui documenti ufficiali, anche se nascosti da adesivi bianchi. Decisione che ha segnato la decadenza immediata dell'intero consiglio comunale.
La data delle nuove consultazioni verrà annunciata entro pochi giorni, e i cittadini di Mitrovica nord dovrebbero tornare alle urne entro un mese e mezzo: la stampa ha già citato il 23 febbraio come data probabile.
Le precedenti consultazioni, condotte per la prima volta anche nel nord a maggioranza serba all'interno della cornice costituzionale del Kosovo, erano state segnate da forti irregolarità e incidenti che avevano causato una ripetizione del voto. Visti i precedenti, ci si aspettava già una nuova campagna elettorale estremamente complessa, segnata da timori, sfiducia e stanchezza da parte dell'elettorato.
Ora, con la violenza tornata nelle strade di Mitrovica, tutto diventa ancora più difficile.
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Kosovo: arrestato Oliver Ivanović

28 gennaio 2014

Oliver Ivanović, uno dei principali leader dei serbi del Kosovo, è stato arrestato lunedì sera, accusato di coinvolgimento nell'omicidio di alcuni albanesi nel 2000.

L'arresto sarebbe avvenuto dopo che era stato interrogato dal procuratore speciale per crimini di guerra in Kosovo in merito all'omicidio a Mitrovica nord, nel 2000, di dieci persone della comunità albanese.

L'ex capo dei “guardiani del ponte”, la difesa locale serba, entrato in politica nel 1999, ha rigettato ogni accusa."Accuse inconsistenti e ridicole", ha affermato il suo avvocato, Nebojsa Vlajić.

“Si tratta sicuramente del tentativo di creare un'atmosfera di paura e instabilità in seno alla comunità serba del Kosovo”, ha affermato in una dichiarazione ufficiale l'SDP, il partito alla cui guida vi è proprio Ivanović.

Nella serata di lunedì i sindaci delle municipalità del nord del Kosovo, i membri dei consigli comunali e i militanti dell'SDP si sono riuniti davanti al Palazzo di giustizia, la sede della polizia e di Eulex a Mitrovica nord per chiedere spiegazioni sull'accaduto.

Ivanović è stato segretario di stato in Serbia – dal 2008 al 2012 - presso il ministero per il Kosovo e Metohija.

Nelle elezioni municipali del novembre 2013 Oliver Ivanović si era candidato a sindaco di Mitrovica Nord ed è stato battuto dalla Lista serba di Krstimir Pantić. Quest'ultimo però, ad inizi gennaio, ha rifiutato di prestare giuramento qualificando le elezioni come una “truffa commessa dalla comunità internazionale”.

Nuove elezioni municipali sono previste a Mitrovica nord per il prossimo 23 febbraio.

A Mitrovica nord la situazione è sensibilmente peggiorata queste ultime settimane dopo l'omicidio del consigliere comunale Dimitrije Janicijević (SLS), ucciso da uno sconosciuto, davanti alla propria abitazione, lo scorso 16 gennaio.

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Саопштење поводом хапшења Оливера Ивановића

 

Београд, јануар 2014.

Београдски форум за свет равноправних најоштрије осуђује одређивање притвора Оливеру Ивановићу, једном од дугогодишњих политичких лидера Срба у Аутономној Покрајини Косово и Метохијалидеру. Околности у којима је дошло до хапшења господина Ивановића евидентно указују на то да није реч о деловању правосуђа, већ о политички мотивисаној акцији, која је уперена против неподобних Срба на Косову и Метохији, што потврђује привођење и саслушање и другог политичког лидера Србиа у Покрајини, Крстимира Пантића.

На то указује, пре свега, датум одабран за акцију Еулекс-ових органа, 27. јануар, односно свега два дана пре истека рока за пријављивање кандидата за изборе за градоначелника северног дела Косовске Митровице, који истиче у среду 29. јануара 2014. године. Без обзира на то да ли је господин Ивановић планирао да се лично кандидује за ту функцију, или је унутар његове странке постигнут договор о другом кандидату, овим је директно онемогућено кандидовање једном од истакнутих политичара новије генерације Срба у Покрејини који је и после 1999. године непрекидно, са двојом породицом, живи у Косовској Митровици.
Порука која се најновијим акцијама Еулекса шаље Србима јесте да нико од Срба на Косову и Метохији није сигуран и да се увек могу наћи „сведоци“ да сведоче против сваког Србина који није послушан снагама које теже признавању једностране сецесије супротне принципима Повеље УН, ОЕБС-а, Устава Србије и резолуције СБ УН 1244.

Београдски форум позива Еулекс да неодложно ослободи Оливера Ивановића из притвора и да му омогући одбрану са слободе, као и да прекине са свим сличним политички мотивисаним акцијама у будуће које уносе несигурност међу преостало српско становништво у Покрајини. Београдски форум сматра да Еулекса може далеко боље изразити свој допринос правди и владавини права уколико истражи и саопшти резултате истраге о злочинима почињеним против Срба у Клечки, Старограцком, Пећи и многим другим местима широм Покрајине. Јавност већ дуго очекује резултате истраге о трговини људским органима убијених и киднапованих Срба у складу са Извештајем и одлукама Пралементарне скупштине савета Европе. Време је да Еулекс упозна јавност о томе какви су његова улога и резултати у стварању услова за слободан, безбедан и достојанствен повратак 220.000 Срба и других не-Албанаца протераних са својих вековних огњишта на Косову и Метохији.

Београдски форум за свет равноправних

=== 9: RETROSCENA ===
http://www.nato.int/cps/en/natolive/news_102109.htm
 
North Atlantic Treaty Organization - July 3, 2013
  
North Atlantic Council visits KFOR 
 
 
The NATO Secretary General Anders Fogh Rasmussen, the North Atlantic Council and ambassadors of KFOR contributing partners visited KFOR on Wednesday (3 July) to show continued support to the commander of KFOR General Halbauer and his troops, as well as NATO's continued commitment to...the region. “This is a time of great opportunity for Kosovo and for this region. I encourage all the leaders and the people from all communities to continue on the path of reconciliation and dialogue”, the Secretary General said. “Because we all know that this is the path to long-term security, and long-term prosperity.”

The Secretary General met Mr Hashim Thaci and other local government leaders...
.
The Secretary General made clear that NATO and KFOR will continue to guarantee security in Kosovo and remain ready to deal with any attempts to undermine the progress that has been made.
 
...
 
“Because peace and security here will benefit everyone in the region, and will take us closer to our goal: a Europe that is whole, free, and at peace.”
 
During the visit, the North Atlantic Council  and the representatives  of KFOR contributing nations also met with Mr. Hashim Thaci for an exchange of views… 
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http://www.nato.int/cps/en/SID-304D8824-CF3D2B93/natolive/news_102198.htm
 
North Atlantic Treaty Organization - July 9, 2013
 
NATO Secretary General statement on Kosovo Security Force reaching Full Operational Capability 
 
 
I congratulate all members of the Kosovo Security Force on the achievement of this step. I thank the servicemen and servicewomen of KFOR for all they have done to help build the Kosovo Security Force.
 
The Kosovo Security Force mission remains the same as it always has been: to conduct civil protection operations and to assist the civil authorities in responding to natural disasters and other emergencies. The Alliance will continue to provide support and advice through a NATO Liaison and Advisory Team.
 
,,,
The future of the Western Balkans lies in dialogue and reconciliation. I therefore encourage members of all communities in Kosovo to consider joining the Kosovo Security Force, to ensure that it continues to become a truly multi-ethnic and representative force.
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Kosovo: NATO Deploys Quick Reaction Forces Against Serbs
Posted by: "Rick Rozoff" 
Date: Mon Nov 4, 2013 6:12 am ((PST))

http://www.aco.nato.int/kfor-intervenes-following-disturbances-in-the-vote-in-mitrovica-polling-stations.aspx

North Atlantic Treaty Organization - Allied Command Operations
November 4, 2013

KFOR INTERVENES FOLLOWING DISTURBANCES IN THE VOTE IN MITROVICA POLLING STATIONS

Story by KFOR Public Affairs Office

On Saturday afternoon, 2 November 2013, as a result of attacks on polling stations in north MITROVICA, KFOR troops rapidly intervened.
At the request of EULEX, KFOR troops, pre-deployed in the north of KOSOVO to contribute to a safe and secure environment and freedom of movement during the election, immediately intervened.
Within 15 minutes of the EULEX request, KFOR deployed a Quick Reaction Force from the Carabinieri Multinational Specialised Unit (MSU) to MITROVICA north. Within 1 hour, reserve units from the KFOR Tactical Reserve Manoeuvre Battalion (KTM) were also deployed to areas of concern in MITROVICA and reinforced other KFOR units already deployed in the area.
In addition, in the town of ZVECAN, KFOR troops reacted to a disturbance and restored security within the area.
Later in the evening, KFOR, as requested by EULEX, provided for a safe and secure environment and freedom of movement on the routes through which the election ballot material travelled to the counting centre.
KFOR will continue to act impartially, prudently and firmly to contribute to maintain a safe and secure environment for all people in KOSOVO [sic].
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Tanjug News Agency - November 29, 2013 

NATO troops "to remain in Kosovo" 

PRIŠTINA: NATO's Supreme Allied Commander Europe General Philip Breedlove says KFOR at this point did not plan to reduce the number of its troops from Kosovo.  
NATO is committed to supporting the agreement between Belgrade and Priština and will not reduce the current number of troops in the next few months, Breedlove said during a meeting with Kosovo officials. 
NATO wants KFOR to be smaller and more flexible in the future, but that will only happen once the time for that comes and the conditions are right, he stressed.  
The general made the statement after German and French media had speculated that their nations were intending to pull their troops out of KFOR.  
KFOR currently has 5,000 soldiers from 31 countries.   

 

 
===  Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - ONLUS https://www.cnj.it/ http://www.facebook.com/cnj.onlus/  === * ===


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(Sui contenuti di "Magazzino 18" si vedano anche, ad esempio: 


RECENSIONE DELLO SPETTACOLO “MAGAZZINO 18″ DI SIMONE CRISTICCHI


RECENSIONE DELLO SPETTACOLO “MAGAZZINO 18″ DI SIMONE CRISTICCHI.

Quattro anni fa l’editrice Mursia ha pubblicato un libro dal titolo “Ci chiamavano fascisti. Eravamo italiani”, scritto dal giornalista Jan Bernas (oggi portavoce del vice presidente vicario del parlamento europeo Gianni Pittella (PD), figlio dell’ex parlamentare socialista Domenico Pittella che nel 1992 si era candidato nella Lega delle Leghe di Stefano Delle Chiaie.

Il libro non riporta nulla di nuovo dal punto di vista storiografico (risulta dalla stessa sinossi del testo che “Questo non è e non vuole essere un libro di storia” (http://www.forumforpages.com/facebook/esodo-istriano-per-non-dimenticare/ci-chiamavano-fascisti-eravamo-italiani-il-nuovo-libro-di-jan-bernas/847529688/0): oltre ad alcune testimonianze di esuli istriani e di “rimasti”, si limita a ripetere cose già pubblicate più volte (e spesso anche più volte smentite in base a documentazione ufficiale), ciononostante, pur non essendo un’opera innovativa, è corredata da una prefazione di Walter Veltroni (curiosamente, nel sito di Bernas e nella nota biografica inserita nella pubblicazione curata dal Teatro Rossetti di Trieste compare anche una “postfazione di Gianfranco Fini”, che però non risulta pubblicata nel libro messo in commercio). Il libro è stato presentato per la prima volta a Roma in modo bipartisan da Luciano Violante e Fabio Rampelli, allora deputato del PDL (oggi in Fratelli d’Italia), anche se nella nota di cui sopra si legge che sarebbe stato Roberto Menia a presentarlo.

Ed è a questo libro che dice di essersi ispirato il cantautore Simone Cristicchi per il suo spettacolo Magazzino 18 (Bernas infatti risulta coautore del testo teatrale): lo avrebbe comprato dopo averlo visto “per caso” in una libreria, incuriosito dal titolo. In seguito Cristicchi sarebbe venuto a Trieste dove Piero Delbello (direttore dell’IRCI Istituto Regionale Cultura Istriano-giuliano-dalmata) lo avrebbe accompagnato al Porto vecchio a prendere visione delle masserizie degli esuli istriani ancora conservate al Magazzino n. 18. Di questa visita Cristicchi usa dire che trovarsi in quel magazzino pieno di mobili e di altri oggetti è un po’ come visitare Auschwitz (paragone che ci sembra offensivo nei confronti delle vittime di Auschwitz, dato che gli oggetti trovati nei magazzini di quel lager erano stati rubati agli internati che poi furono uccisi, mentre qui si tratta di cose abbandonate dai loro proprietari, che hanno abbandonato le proprie città, ma non furono assassinati), ed ha quindi deciso di mettere in scena la “tragedia degli esuli”, perché, a suo parere, è stata finora ignorata.

Va ribadito a questo punto che a Trieste della questione dell’esodo istriano si è sempre parlato, ed a livello nazionale è quantomeno da vent’anni, dalla dissoluzione della Jugoslavia, che sentiamo ribadire la necessità di parlare di questa tragedia “finora ignorata” ogniqualvolta viene pubblicato un libro o un articolo, quando esce un film, e nel corso delle celebrazioni e commemorazioni indette nel Giorno del ricordo (10 febbraio).

In realtà la legge istitutiva del Giorno del ricordo (n. 92/2004) contempla che in questa occasione vadano approfondite, oltre alla questione dell’esodo e delle foibe, “le più complesse vicende del confine orientale”; e la lettura completa della norma ha creato, e crea tuttora, svariate polemiche sul come raccontare la storia di queste vicende, dato che le associazioni degli esuli hanno ritenuto di dover avere il monopolio delle commemorazioni e pertanto di imporre ad enti ed istituzioni varie di non far parlare relatori non omologati alla loro interpretazione della storia.

In questo panorama si è inserito ora anche Cristicchi, considerato da alcuni un autore “impegnato” per certi suoi spettacoli sulla malattia mentale, sui minatori e sulla guerra. Senza entrare nel merito degli altri suoi lavori parliamo di Magazzino 18, del quale l’autore spiega che “la cosa più complicata è stata raccontare la situazione storica. Il rischio era ovviamente quello di annoiare e quindi abbiamo sintetizzato un arco di tempo di quarant’anni in cinque minuti di orologio. Anche da qui sono nate diverse critiche, perché sono stato accusato di aver dimenticato, o addirittura omesso di dire certe cose: io non ho omesso niente, ho solo avuto rispetto di un pubblico che viene a teatro, non ad ascoltare una conferenza, ma a emozionarsi, a provare rabbia, a ridere. Lo spettacolo vuole essere anche uno spunto per incuriosire la gente ad approfondire questa storia. Di certo non volevo fare lo storico”.

Cristicchi dunque “non voleva fare lo storico”, ma “emozionare”: intento rispettabilissimo, se solo l’avesse rispettato e non avesse dato in quei “cinque minuti” (che nei fatti si sono però dilatati in tutto lo spettacolo) una lettura storica del tutto falsata, dato che non si è basato su testi storici ma ha riprodotto pedissequamente i vecchi testi di propaganda nazionalista inframmezzati da qualche appunto “antifascista”, probabilmente per apparire bipartisan, coerentemente con la promozione del testo di Bernas. E va detto subito che nella narrazione non viene rispettata la cronologia dei fatti e spesso non è inquadrata correttamente la sequenzialità delle vicende, il che sicuramente non aiuta lo spettatore a chiarirsi le idee su quello che è accaduto.

Nello spettacolo Cristicchi impersona un archivista un po’ burino, Duilio Persichetti, che alla stregua di un Dante Alighieri de noantri si fa accompagnare alla scoperta della storia non da un poeta come Virigilio, ma da un oscuro “spirito delle masserizie” che gli appare nel deposito dei mobili abbandonati dagli esuli giuliano dalmati. E questo Spirito, lungi dal fornirgli dati storici, sembra il portavoce dell’antica agenzia Stefani che lavorava sotto il fascismo (o forse si ispira semplicemente al testo di Bernas, dal quale cita abbondantemente).

“Un’intera regione svuotata della propria essenza. Gente costretta a lasciare la sua terra non per la fame o per la voglia di migliorare la propria condizione, ma perché non si può vivere senza essere italiani”, declama lo Spirito, non considerando che l’Istria non era esclusivamente italiana, ma una regione popolata anche da sloveni, croati ed istrorumeni, e l’essenza istriana, se vogliamo mantenere questa definizione, è data dalla commistione di queste etnie, non dalla presenza dei soli italiani, molti dei quali peraltro rimasero in Istria, restando italiani, come dimostra il fatto che ancora oggi la comunità italiana in Slovenia e Croazia è viva e vitale. Perché in Jugoslavia gli italiani potevano mantenere la propria nazionalità italiana, a condizione di acquisire la cittadinanza jugoslava (ed i cittadini jugoslavi di nazionalità italiana hanno da subito avuto il diritto alle scuole con insegnamento nella madre lingua, a finanziamenti per circoli culturali ed editoria, al bilinguismo nei rapporti con le istituzioni, fino ai seggi garantiti nei parlamenti locali: molto di più di quanto abbiano mai visto le comunità minoritarie in Italia); mentre nel caso in cui non volessero rinunciare alla cittadinanza italiana, il Trattato di pace prevedeva che, in quanto “optanti”, lasciassero la Jugoslavia per andare in Italia. Nessuna “pulizia etnica” (con buona pace del Presidente Napolitano, che con tutto il rispetto, non è un esperto di storia), dunque, ma una banalissima questione di diritto internazionale.

E che non vi fosse un clima di terrore nei confronti degli italiani è dimostrato dalle stesse parole dello Spirito, quando parla di “un’emorragia durata dieci anni”. Per fare un paragone, i tedeschi dei Sudeti dovettero lasciare le proprie case dalla sera alla mattina, senza poter portare via nulla, mentre se gli istriani poterono portare via “persino le bare dei propri cari” e riempire delle proprie masserizie, poi non ritirate, il Magazzino 18, si può ben comprendere la diversità dei due eventi. Infine un altro appunto: lo Spirito dice che “se ne andarono in trecentomila”, ma va precisato che nel 1958 l’Opera per l’assistenza ai profughi giuliani e dalmati pubblicò una sorta di censimento dal quale appare che i “profughi legalmente riconosciuti” erano 190.905 (i numeri poi furono fatti lievitare con operazioni di conteggio quantomeno discutibili, ma su questo vi rinviamo ai titoli in bibliografia).

Quando poi lo Spirito si mette a raccontare (nei famosi cinque minuti) la storia del confine orientale, sembra essersi ispirato a qualche filmino dell’Istituto Luce: “quei luoghi settant’anni fa erano Italia, anche le pietre parlano italiano”, ma non dice che quei luoghi diventarono italiani meno di cento anni fa, e lo rimasero per una ventina d’anni, dopo la vittoria italiana nella prima guerra mondiale. “Il tricolore viene issato “non solo a Trento, a Gorizia e Trieste, ma anche a Zara, Pola, nell’Istria e nelle isole del Quarnaro; ed alla fine “anche Fiume qualche anno dopo si ricongiunge all’Italia”: che ciò sia avvenuto in barba al Trattato di Rapallo e con un colpo di mano, questo lo Spirito non lo ricorda. Non ce n’era il tempo? O perché non era intenzione di Cristicchi di parlare di storia?

Così il “processo di riunificazione si conclude, ma per poco, perché vent’anni dopo il Fascismo (maiuscolo? n.d.r.) “sfalda il delicato equilibrio”: ma lo Spirito non spiega che l’Italia fissò il proprio confine orientale ben oltre a quelli che potevano essere considerati “luoghi dove le pietre parlavano italiano”, come Postumia, Tolmino, Villa del Nevoso (per usare i nomi italianizzati dallo Stato vincitore). Del resto, se Cristicchi più di una volta ha affermato che “un tempo l’Istria si chiamava Italia ed ora si chiama Slovenia e Croazia”, non ci si può aspettare che conosca la geografia, ma dà l’impressione che si sia limitato a ripetere gli slogan della propaganda nazionalista ed irredentista. Per “emozionare”, certamente. E va da sé che l’emozione, non essendo di per se stessa razionale, non ha bisogno di considerare la realtà dei fatti.

Segue una carrellata, piuttosto confusa, che vorrebbe spiegare come il fascismo (noi lo scriviamo minuscolo, signor Spirito delle masserizie), si rese colpevole di violenze antislave (vengono citati l’incendio del Narodni Dom del 1920, il cambiamento forzato dei cognomi e dei toponimi, l’impedimento di parlare nella propria lingua, l’invasione della Jugoslavia nel 1941, i campi di internamento per civili) e da ciò si arriva alla conclusione che gli “slavi”, di fronte a questo fecero l’equazione “italiano = fascista”. Altra mistificazione che serve a creare uno stato emozionale e non razionale, mistificazione diffusa dalla propaganda antijugoslava e non corrispondente al vero, perché l’Esercito di liberazione jugoslavo, così come i militanti antifascisti del Fronte di liberazione (Osvobodilna fronta) accoglievano nelle proprie file antifascisti di tutte le etnie, e le stesse direttive emanate da Edvard Kardelj parlavano di “epurare non sulla base della nazionalità ma del fascismo”.

In questo modo anche la lettura dello scritto di una bambina che era stata internata ad Arbe serve come apripista per ribadire quell’interpretazione fascista del fenomeno delle “foibe” che risale ancora al 1943, dopo gli eventi istriani post-armistizio: sentiamo come lo Spirito delle masserizie narra i fatti.

Dopo l’armistizio l’esercito italiano si sfalda, arrivano i nazisti e a Trieste viene messo in funzione il lager della Risiera, ma non viene neppure accennato a quante vittime costò il ripristino dell’“ordine” in Istria nell’ottobre 1943, quando le truppe nazifasciste rivendicarono di avere fatto dai diecimila ai tredicimila morti (così i comunicati ufficiali apparsi sulla stampa dell’epoca). E poi, senza che si comprenda la conseguenza temporale dei fatti: “i partigiani slavi agli ordini di Tito scendono dalle montagne dell’interno dove sono accampati e di città in città di paese in paese, di casa in casa arrivano e arrestano i nemici del popolo”.

Da questa descrizione un ignaro spettatore si fa l’idea che durante tutta la guerra i partigiani sarebbero stati “accampati in montagna” (a non fare niente, si suppone) in attesa di “scendere” (è interessante come certo tipo di propaganda insista sul fatto che i comunisti, i partigiani, gli “slavi” non arrivano mai normalmente da qualche parte, ma “scendono”, “calano”, “dilagano” e via di seguito) nelle città a dare la caccia ai “nemici del popolo” (termine questo usato dalla propaganda anticomunista perché mutuato dalle epurazioni staliniane, ma non usato dai partigiani).

Mescolando assieme, senza contestualizzarli, i due momenti delle esecuzioni sommarie, quello dell’Istria del settembre 1943 e quello degli arresti del maggio 1945, lo Spirito ipotizza che potrebbe essersi trattato di vendette verso i fascisti e di vecchi rancori; ma quando “cominciano a sparire anche carabinieri, podestà, guardie forestali, farmacisti, maestri, sacerdoti, impiegati statali”, i “processi sommari e le esecuzioni di massa non risparmiano nemmeno cattolici, antifascisti e persino comunisti”, e ci si mette a “colpire anche donne, maestri, postini, antifascisti, gente che con la politica non c’entra niente”, allora si domanda: perché tutto questo?

Come al solito, quando l’intenzione non è di ricostruire fatti storici, ma di “emozionare”, è facile, partendo da un presupposto sbagliato, arrivare a dimostrare un fatto non vero. Perché innanzitutto bisogna dividere i due eventi di cui abbiamo parlato: nell’Istria del 1943 ci furono sì delle vendette sommarie contro i rappresentanti del fascismo (piccoli gerarchi, in genere, non gli alti papaveri), ma fu infoibato un carabiniere solo, nessun podestà, nessun farmacista (perché poi allo Spirito sono venuti in mente proprio i farmacisti fra tutte le possibili categorie professionali, forse perché la famiglia di Luigi Papo, il futuro rastrellatore del 2° Reggimento MDT Istria, gestiva a Montona una farmacia che sotto il fascismo veniva usata come luogo di interrogatorio di partigiani?), sacerdoti uno (che sembra fosse un informatore dell’Ovra).

Poi va ricordato che ai quei tempi le guardie forestali erano militarizzate e che gli “impiegati statali” erano in genere funzionari del fascio, così come i maestri erano coloro che intimidivano i bambini per impedire loro di parlare nella propria lingua, e che le donne potevano essere fasciste esattamente come gli uomini, così come potevano essere ausiliarie nelle forze armate. E se nel 1945 vi furono altre vendette personali, la maggior parte dei morti si ebbero tra i militari internati nei campi (l’internamento in campi lontani dal luogo di cattura era previsto dalle leggi di guerra, ed i militari italiani furono internati anche in campi britannici e statunitensi, dove le condizioni di vita non erano tanto migliori di quelle dei campi jugoslavi), mentre furono arrestati coloro che erano stati segnalati come criminali di guerra; gli antifascisti arrestati erano quei reparti del Corpo volontari della libertà italiani che si erano opposti in armi all’esercito jugoslavo (che era un esercito alleato: sarebbe accaduto lo stesso con il CVL milanese se si fosse opposto agli statunitensi); infine, per quanto riguarda i partigiani “comunisti”, va detto che vi furono anche un paio di esecuzioni (avvenute durante il conflitto) sul motivo reale delle quali d’altra parte non si è mai ricostruita la storia (ma fatti di questo genere avvennero in tutti i corpi della Resistenza, non solo in Italia).

Tutta questa mistificazione (che dura da settant’anni) ha un preciso scopo, che nel testo di Cristicchi (fatto per “emozionare”, ricordiamolo) viene così spiegato: “forse perché gli italiani sono un ostacolo al Sogno (maiuscolo? n.d.r.) di Tito di realizzare una sola grande regione e quindi annettersi anche le zone a maggioranza italiana”, come Zara, l’Istria, Fiume, Trieste per creare “una sola grande Jugoslavia”, dove la “lotta per la liberazione dal nazifascismo giusta e sacrosanta” (bontà loro, n.d.r) qui “sembra un mezzo per raggiungere l’obiettivo del confine all’Isonzo e quella che nel resto d’Italia viene festeggiata come Liberazione qui prende le sembianze di occupazione”.

Come abbiamo detto prima, per dimostrare una cosa inesistente (il “sogno della grande Jugoslavia”) l’autore (Bernas? Cristicchi?) è partito da presupposti falsi (l’eliminazione di chi non voleva la Jugoslavia), e riesce in tal modo a diffondere dal palcoscenico dei teatri di tutta Italia (ma anche dell’Istria) quelle teorie anti-jugoslave che fino a pochi anni fa erano peculiarità della destra irredentista ma ora sembrano avere preso piede anche in ambienti “antifascisti” e “di sinistra”.

E così arriviamo ad uno dei momenti più bassi (dal punto di vista artistico e civile) dello spettacolo: quando Cristicchi si avvolge un fazzoletto rosso attorno al collo e declama “per realizzare il sogno della grande Jugoslavia bisogna solo dare un calcio allo stivale” ed a questo punto parte il coro dei bambini che cantano la canzone della foiba, “Dentro la buca” (“un colpo alla nuca e giù nelle buca”, davvero delle parole adatte da far cantare a dei ragazzini).

Viene poi data la parola ad un certo Domenico, “staffetta del Regio Esercito”, si presenta, “praticamente un postino” (un militare in guerra sarebbe un postino? se questa non è manipolazione, come la vogliamo chiamare?), che sarebbe stato infoibato ancora vivo assieme a tantissimi altri, recuperato da una foiba… no, non lo sa da che foiba sarebbe stato recuperato perché ce ne sono 1.700 in Istria (i recuperi verbalizzati si riferiscono a molte meno foibe, lo diciamo per tranquillizzare gli spettatori: il maresciallo dei Vigili del fuoco di Pola, Arnaldo Harzarich, dichiarò agli Alleati di avere esplorato dieci foibe istriane tra l’autunno e l’inverno 1943-44, dalle quali furono estratte 204 salme ed indicò altre cinque foibe dalle quali non fu possibile effettuare recuperi). Come Domenico sarebbero stati infoibati Luigi, Tonin, Giovanni, Norma… e qui parte la storia di Norma Cossetto, con le consuete falsità che vi sono state ricamate attorno negli anni, in base ad una inesistente testimonianza di una donna, mai identificata, che avrebbe assistito alle violenze.

Nomi e cognomi degli scomparsi stanno scritti ci spiega Persichetti (che non ha detto i cognomi degli infoibati chiamati per nome, né nell’elencare le categorie degli uccisi ha fatto nomi: perché è uso consolidato, quando si parla di questi argomenti di generalizzare, e teniamo a mente che non è scopo di Cristicchi, come non lo era di Bernas, “fare storia”), per poi contraddirsi dicendo che non si saprà mai quanta gente è sparita in questo modo; si parla genericamente di persone “uccise in tempo di pace” termine che può significare tutto e niente, perché le vendette personali proseguirono per anni in tutta Europa, così come le condanne a morte eseguite dopo i processi ai criminali di guerra furono fatte “in tempo di pace”, basti pensare a Norimberga. Viene citata a questo punto la dichiarazione fatta da Milovan Gilas in un’intervista, pochi anni prima di morire, di essere stato incaricato assieme a Kardelj di andare in Istria per mandare via gli italiani con ogni mezzo. Considerando che Gilas era diventato “dissidente” già negli anni ’50, tale affermazione, fatta a tanti anni di distanza, lascia il tempo che trova, innanzitutto perché non ha alcun riscontro documentale, e poi perché il governo jugoslavo riconobbe alla comunità italiana tutte quelle garanzie che abbiamo descritto in precedenza.

Poi si parla della strage di Vergarolla del 18/8/46 (della quale non vi è alcuna prova che si sia trattato di un attentato e tanto meno di un attentato organizzato per “terrorizzare” gli italiani), come motivo per cui quel giorno “la maggioranza degli italiani che abitava a Pola scelse come l’unica via l’esodo”. Però noi leggiamo sulla Voce del popolo del 5/4/08 che tre settimane prima della strage il CLN di Pola “aveva raccolto 9.496 dichiarazioni familiari scritte, per conto di 28.058 abitanti su un totale di 31.000, di voler abbandonare la città se questa dovesse venir assegnata alla Jugoslavia”: il che dovrebbe dimostrare che “l’esodo” era già stato deciso prima della tragedia.

Interessante il punto in cui si sente dire che “tutta l’Istria è occupata dai titini” già prima della firma del Trattato di pace “firmato dai potenti della Terra” (togliendo l’emozione, più prosaicamente, si trattava delle potenze che si erano alleate contro la guerra scatenata dall’Asse, Germania, Italia, Giappone) che “consegna alla Jugoslavia un’intera regione italiana”, come “prezzo che l’Italia deve pagare per essere uscita sconfitta dalla seconda guerra mondiale”. Una riflessione sul fatto che l’Italia avrebbe anche potuto non dichiarare guerra al mondo intero assieme al suo alleato tedesco? Naturalmente no, perché non è di queste emozioni che si occupa uno Spirito delle masserizie.

Ed ancora notiamo come si parli sempre di “titini” e non di Esercito jugoslavo: sentiamo mai parlare di “churchilliani” a proposito dei britannici o di “hitleriani” a proposito dei nazisti? È tanto difficile riconoscere alla Jugoslavia di essere stata uno dei Paesi alleati nella lotta contro il nazifascismo? Certamente, perché se le si riconoscesse questo ruolo si dovrebbe anche riconoscere che l’Esercito jugoslavo aveva il diritto e l’autorità di fare prigionieri i militari nemici e di arrestare i presunti criminali di guerra per sottoporli a processo, così come fecero gli eserciti delle altre nazioni alleate. E quindi crollerebbe anche tutta la costruzione dei crimini jugoslavi rivolti contro gli innocenti italiani.

Altro punto interessante è che il diritto di conquista militare viene riconosciuto per l’Italia che aveva annesso i territori occupati militarmente dopo la prima guerra mondiale, anche quelli dove non vivevano italiani; mentre lo stesso discorso non sembra valere per la Jugoslavia, che anzi a seguito del Trattato di pace rinuncerà a zone che aveva conquistato militarmente.

Persichetti poi parla della partenza dall’Istria e della miseria dei campi profughi: “pensi che voleva di’ passà da una casa magari co vista mare… ad un casermone di cemento armato in periferia o a un ex campo di concentramento!”, dice al suo superiore romano. I campi profughi non sono mai piacevoli, è vero, è così è una tragedia quella della bambina morta di freddo nel comprensorio di Padriciano, ma si rende conto il narratore di quanti italiani in Italia, nell’immediato dopoguerra, avrebbero fatto firme false per avere un appartamento in un “casermone di cemento armato in periferia” invece di continuare a vivere nelle baracche o negli appartamenti privi di servizi igienici che erano la norma e non l’eccezione a quei tempi? Non tutti gli esuli istriani abbandonarono la “casa con vista mare” (ed anche questa spesso era un appartamentino privo di tutto) ma provenivano da condizioni di vita di miseria, come la maggior parte della popolazione d’Europa prima del boom economico e dopo essere uscita da una guerra disastrosa.

Si passa poi all’elenco di una serie di esuli “diventati famosi”, tra cui Alida Valli (che però viveva a Roma già prima della guerra, dato che Cinecittà si trovava lì e non a Pola, ma questo particolare evidentemente è sfuggito agli autori); una canzoncina è dedicata ai “rimasti”, descritti come disprezzati da tutti, ma alla fine “ancora italiani” com’erano sempre stati (altra contraddizione che non pare preoccupare gli autori: se vi furono dei “rimasti” e “rimasti italiani” vuol dire che non si era “svuotata una regione intera”, che non si aveva paura di parlare italiano, che non c’era alcuna manovra politica per far andare via gli italiani dall’Istria).

Alla fine arriviamo all’altro momento bassissimo dello spettacolo, quando Persichetti, dirigendo il coro dei bambini, prende in giro gli operai che da Monfalcone si erano recati in Jugoslavia per dare una mano a ricostruire le infrastrutture distrutte durante la guerra e per partecipare alla realizzazione di una società socialista dopo vent’anni di fascismo. Alcuni di essi rimasero vittime dello scontro tra Tito e Stalin, quando molti filosovietici (che erano però per la maggior parte jugoslavi, e molti dei quali avevano commesso omicidi ed attentati contro il proprio governo) furono internati nell’isola di Goli Otok. Si tratta indubbiamente di una pagina buia della storia jugoslava, che però avrebbe dovuto essere affrontata diversamente, proprio per la sua tragicità, e non mediante lo spregio di coloro che avevano creduto in un ideale e coerentemente avevano cercato di realizzarlo.

Infine il burino Persichetti dice allo Spirito delle masserizie che giocherà al lotto il numero 18 (spiegando che nella Smorfia tale numero significa “sangue”, sempre per emozionare il pubblico?) e che lui archivia tutto, tranne una lettera inviata alla figlia del proprietario di alcuni mobili rinvenuti, la quale aveva chiesto notizia delle masserizie dei suoi genitori che non li avevano mai “reclamati indietro”. Il che dovrebbe stroncare tutto il plot su cui si basa questo spettacolo: i mobili sono stati abbandonati dagli stessi proprietari, evidentemente perché non ne avevano più bisogno o sarebbe stato troppo complicato farseli mandare nel luogo in cui erano andati a vivere.

Cosa del resto confermata da Piero Delbello in un articolo apparso sul Piccolo del 24 gennaio scorso: nel Magazzino 18 sono conservate “più o meno la metà delle cose che arrivarono subito dopo la guerra dall’Istria, ma che negli anni successivi dalle Prefetture di più città d’Italia continuarono a essere inviate nel capoluogo giuliano. Fatte arrivare dalle varie ditte di spedizioni nelle località di destinazione delle famiglie che ne erano proprietarie, in più casi rimasero nei depositi. Senza che nessuno più le reclamasse. E dunque furono fatte infine convergere in Porto Vecchio, dove oggi occupano una parte del primo piano del 18”.

In pratica si tratta di oggetti che agli esuli (od optanti che dir si voglia) una volta giunti nella città di destinazione, non interessava di conservare, per cui li hanno abbandonati. Cosa comprensibile per i mobili, che forse non potevano trovare posto nelle nuove case consegnate, ma perché non reclamare almeno gli oggetti di famiglia, le fotografie, i quaderni? Quale valore simbolico si vuole attribuire a delle che sono state abbandonate perché i loro proprietari se ne sono disinteressati, non sequestrate né rapinate; e con quale sentimento questo materiale viene paragonato ai magazzini dove venivano accatastate le cose rubate ai prigionieri assassinati ad Auschwitz?

Alla fine di tutto si parla delle vittime dell’una e dell’altra parte, e l’autore conclude “io non ho un nome ma potrei averne milioni. Come i profughi di tutto il mondo, costretti a lasciare la propria terra, per sfuggire alla povertà, all’odio, alla guerra”.

Ecco, se Cristicchi fosse partito da queste due belle, significative frasi, ed avesse parlato delle tragedie degli esodi, di tutti gli esodi, senza pretendere di fare storia su un evento specifico (asserendo peraltro di non volerla fare), avrebbe potuto realizzare uno spettacolo di indubbio interesse, emozionando (in questo caso positivamente) e coinvolgendo lo spettatore. Invece il risultato di questa sua ambizione ha prodotto uno spettacolo di propaganda, in quanto il suo intento di creare emozione è degenerato nel voler creare piuttostosuggestione, fornendo agli spettatori dati falsi da cui trarre conclusioni errate.

Come opera di propaganda Magazzino 18 è indiscutibilmente riuscito molto bene: ma per chi come noi ha studiato e conosce la storia di queste terre, vederla stravolta in questo modo allo scopo di denigrare il movimento internazionalista ed antifascista jugoslavo, è francamente intollerabile; ed inoltre, considerando il modo in cui è stato sponsorizzato, a livello mediatico, questo spettacolo, fa sorgere il dubbio che si tratti di un’operazione studiata a tavolino che può rivelarsi molto pericolosa per gli equilibri delicati del confine orientale.

Le citazioni sono tratte da “Magazzino 18 di Simone Cristicchi, regia di Antonio Calenda, testo completo dello spettacolo + CD”, I Quaderni del Teatro, edizioni Il Rossetti – Promo Music, Trieste dicembre 2013.

Claudia Cernigoi

31 gennaio 2014


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