Informazione


70 ANNI FA...
La fuga degli antifascisti jugoslavi dalla Rocca di Spoleto (PG) e gli albori della Resistenza in Valnerina


Fonte: I PARTIGIANI JUGOSLAVI NELLA RESISTENZA ITALIANA
Storie e memorie di una vicenda ignorata
di Andrea Martocchia - con contributi di Susanna Angeleri, Gaetano Colantuono, Ivan Pavičevac
Prefazione di Davide Conti, Introduzione di Giacomo Scotti
Roma, Odradek, 2011 - http://www.partigianijugoslavi.it/

dalle pp. 26, 32-34:


<< In Umbria, a partire dal 1942, tanti jugoslavi – montenegrini, sloveni, croati – furono destinati alle miniere di lignite o alle fornaci di mattoni della Regione; altri furono rinchiusi nelle carceri di Perugia e Spoleto; altri ancora – la maggioranza – furono internati in campi di concentramento, il principale dei quali fu quello di Colfiorito, presso Foligno. [...]  
Il vero nucleo organizzativo-militare della costituenda brigata partigiana della Valnerina fu costituito da quelli scappati dalla Rocca di Spoleto: 

"un folto gruppo di jugoslavi (...) vi erano detenuti per motivi politici. Scarse testimonianze si hanno di questa evasione. Essa comunque avvenne nella notte tra il 13 ed il 14 ottobre 1943." [...]  

Svetozar Laković [nome di battaglia "Toso"], che era nativo di Berane (Montenegro), racconta: 

"Come partigiano della prima ora nel 1941, fui arrestato qui nel Montenegro da fascisti italiani e condannato a vent’anni di carcere. Fui dapprima, assieme ad altri compagni nelle carceri dell’Italia del nord [Volterra] e quindi trasferito a Rocca di Spoleto. Noi jugoslavi eravamo circa 150, c’erano anche una cinquantina di prigionieri politici greci e gli altri erano italiani. Dopo la capitolazione apprendemmo che dai vari campi di concentramento i prigionieri cominciavano a fuggire. Paventando di essere consegnati ai tedeschi (...) effettuammo un attacco in forze contro la guardia del carcere, una trentina di carabinieri; li disarmammo e riuscimmo a fuggire. Ci dividemmo in quattro gruppi ed io mi posi al comando di un gruppo (avevamo con noi qualche fucile)." [...]  

Otello Loreti, un antifascista di Spoleto che già il 13 settembre si era dato alla macchia, ricordò così quella evasione:

"Ero a conoscenza che nella Rocca di Spoleto vi era un forte nucleo di detenuti politici jugoslavi, prevalentemente studenti condannati dai tribunali ustascia ed italiani. Infatti questi detenuti erano inviati a lavorare nei vari laboratori ed aziende della città ed è stato per questo motivo che sono venuto in contatto con alcuni prigionieri. La sera del 13 ottobre, verso le 17, tutti i detenuti erano stati rinchiusi nelle loro celle. Era rimasto fuori Giuseppe [...], uno slavo che esercitava il mestiere di fabbro. Giuseppe aggredì una guardia di servizio, gli tolse l’arma e lo obbligò ad aprire le celle in modo da far uscire gli altri. Accorsero altre guardie che si fecero disarmare facilmente. I detenuti, armi alla mano, obbligarono il Direttore [Guido Melis] ad aprire la porta principale ed anche il magazzino viveri dove si rifornirono di vettovaglie. Gli jugoslavi disarmarono poi altre guardie e quindi dal Ponte delle Torri presero la via dei boschi dopo essersi divisi in tre gruppi per meglio sfuggire alle ricerche."

Loreti ed il suo piccolo gruppo, costituito assieme ad Umbro Giulidori e Mario Leonardi, [...] intercettarono gli jugoslavi in fuga, a Raischio, nella proprietà del marchese della Genga, e per loro approntarono la sistemazione in un fienile.

"I boschi circostanti Spoleto erano loro familiari in quanto vi erano stati condotti in occasione di alcuni bombardamenti aerei, per cui fu abbastanza agevole per essi dileguarsi e raggiungere la montagna dove si incontrarono con noi che già ci eravamo dati alla macchia. Il Direttore del Carcere di Spoleto dottor Melis ritardò a dare l’allarme e questo agevolò, in un certo senso, la fuga degli jugoslavi. Per questo ritardo il Direttore fu arrestato insieme alla famiglia ed a molte guardie di servizio e detenuto nel carcere di Perugia fino alla Liberazione."

Il primo scontro a fuoco con i tedeschi in cerca degli evasi si verifica già il giorno 14 nel paesino di Caso. In questa località i partigiani di Loreti riescono a rifornirsi di alcuni fucili che erano nascosti in un fienile; a dare man forte c’è poi lo stesso Ernesto Melis [il figlio del Direttore del carcere, che si pone alla guida di una sua banda partigiana] con i suoi uomini, dotati di mitragliatrici: presi tra due fuochi, i tedeschi si danno alla fuga. [...]  

La banda Melis, anche in virtù della sua composizione, si prefiggeva obiettivi diversi rispetto a quelli dei partigiani comunisti – tali erano Loreti, gli jugoslavi guidati da “Toso”, e tutti quelli che negli stessi giorni si radunavano attorno ad Alfredo Filipponi presso Terni. Lo stesso Loreti non aderì mai alla “Melis” e preferì unirsi agli jugoslavi; con loro entrò nella brigata “Gramsci” di Filipponi e condivise tutte le vicende della Resistenza in zona. Ci fu comunque un periodo di “interregno” ed incertezza che durò fino alla fine del mese di ottobre. Ai primi di novembre Ernesto Melis d’accordo con lo stato maggiore della sua banda ne decise lo scioglimento “tattico”, per evitare che i propri famigliari – che nel frattempo erano stati tutti arrestati – corressero rischi eccessivi. In seguito, sia i militari di Melis che gli jugoslavi di “Toso” si trasferirono in altre zone ritenute più sicure. Gli jugoslavi in particolare scelsero come base Mucciafora in Alta Valnerina...




TENTACOLI GIULIANO-DALMATI

Eremo di Ronzano, tremila firme
contro lo sfratto dei frati


Oggi si riunisce il consiglio provinciale dei Servi di Maria. L'appello dei laici: "Non vogliamo perdere il luogo della chiesta conciliare a Bologna, fermatevi"


Tremila firme contro lo sfratto dei frati da Ronzano. Cresce la rivolta di laici e religiosi a difesa dell’eremo e della sua storia. L’ordine dei Servi di Maria, a livello provinciale, ha deciso di far scendere i religiosi, rimasti in quattro, dalla collina, per assegnare la gestione del complesso conventuale ad esponenti dell’associazione reduci giuliano-dalmati. Una decisione che ha colto tutti di sorpresa e che trova contrari gli stessi frati e i laici.

In rete è partita già da alcune settimane la protesta, che ora è arrivata a 2.244 sostenitori (quelli che hanno firmato l’appello on line) più le settecento firme raccolte dall’Associazione Amici di Ronzano in banchetti e incontri nelle ultime settimane. Tante anche le lettere private, qualcuno ha scritto al sindaco Virginio Merola. Indignazione e rabbia. L’appello, rivolto al priore provinciale fra Gino Leonardi, chiede di rivedere la decisione, di aprire “un confronto che consenta una soluzione che salvaguardi questa importante realtà ecclesiale, civile e culturale”. Perché con la “cacciata” dei religiosi quel luogo di testimonianza della chiesa conciliare che Ronzano ha rappresentato per decenni a Bologna rischia di disperdersi.

Oggi è previsto un incontro del Consiglio provinciale dell’Ordine dei Servi di Maria. Sul tavolo arriverà la protesta, rilanciata nei giorni scorsi anche dall’agenzia Adista, che è la più importante agenzia di informazione religiosa. All’incontro parteciperà anche frate Pietro, che ha rassegnato le dimissioni da priore conventuale perché contrario al “programma di ristrutturazione” della Provincia dell’ordine religioso.

Sono centinaia di testimonianze on line per quel luogo dell’anima condiviso da decenni da cattolici e non solo. “Importantissimo preservare un luogo di incontro tra laici e credenti in un ambiente splendido”, scrive Paola Calzolari. “Sono sempre più rari i luoghi dove si possa sperimentare la bellezza di Dio. Ronzano è uno di questi luoghi intrisi di Spirito Santo. Non abbandonatelo al mondo”, è la richiesta di Dino Dazzani. Per Giampaolo, Ronzano “è un luogo di crescita e confronto, una perla che il mondo cattolico non può perdere”

Nell’appello si legge: “I sottoscritti chiedono al Priore Provinciale e al Consiglio dei Servi di Maria di rivedere la scelta su Ronzano.
 Che cosa rappresenta l’Eremo per quanti lo frequentano? Un luogo di spiritualità conciliare, ispirato al Vaticano II, un luogo di cultura e ricerca, uno spazio di fraternità, un eremo accogliente e un ambiente ecologico. Pur nel rispetto delle difficoltà dell’Ordine, che sono all’origine dei provvedimenti, si chiede di aprire un confronto che consenta una soluzione che salvaguardi questa importante realtà ecclesiale, civile, culturale”.

(14 ottobre 2013)


Per sottoscrivere l'appello: 



(castillano, italiano)

Dalla Libia a Lampedusa il passo è molto breve

1) 20 ottobre 2011 - 2013: Due anni fa l'assassinio per linciaggio e sevizie di Muammar Gheddafi. Il testamento politico
2) ¿Quién hundió el “Anti-Titanic” en Lampedusa? (N. Armanian)
3) La disintegrazione della Libia (P. Lavrentieva)
4) Libia, Intervista a Angelo Del Boca: «Il paese non c'è più, ormai si è somalizzato»


CITAZIONE:

"La storia sarà con i popoli che lottano per giuste cause, mai con chi sollecita le potenze imperiali straniere a venire ad attaccare il proprio paese. Il destino che attende i criminali del CNT è scritto con inchiostro indelebile, come è rimasta scritta, la storia del martirio di un popolo, delle sua città e della sua famiglia. Avanti con il sacro dovere di lottare fino alla vittoria o alla morte. Con l'esempio eterno del colonnello Gheddafi, leader coraggioso del popolo libico e guida della Jamahiriya Libica Popolare e Socialista".
Fidel Castro

LINKS:

Patto segreto tra Italia e Libia contro i migranti. La denuncia di A.I. (2012)

Sul rifornimento italiano di armi ai tagliagole anti-libici:
Armi sui traghetti, il segreto di Stato fa affondare l’inchiesta
http://lanuovasardegna.gelocal.it/olbia/cronaca/2013/04/06/news/armi-sui-traghetti-il-segreto-di-stato-fa-affondare-l-inchiesta-1.6831787


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Testamento politico di Muammar Gheddafi, Guida della Rivoluzione della Grande Jamahiriya Araba Libica Popolare Socialista

In nome di Allah, il Clemente, il Misericordioso;
Per 40 anni, o magari di più, non ricordo, ho fatto tutto il possibile per dare alla gente case, ospedali, scuole e quando aveva fame, gli ho dato da mangiare convertendo anche il deserto di Bengasi in terra coltivata.
Ho resistito agli attacchi di quel cowboy di nome Reagan anche quando uccise mia figlia, orfana adottata, mentre in realtà, tolse la vita a quella povera ragazza innocente cercando di uccidere me.
Successivamente aiutai i miei fratelli e le mie sorelle d’Africa soccorrendo economicamente l'Unione africana, ho fatto tutto quello che potevo per aiutare la gente a capire il concetto di vera democrazia in cui i comitati popolari guidavano il nostro paese; ma non era mai abbastanza, qualcuno me lo disse, tra loro persino alcuni che possedevano case con dieci camere, nuovi vestiti e mobili, non erano mai soddisfatti, così egoisti che volevano di più, dicendo agli statunitensi e ad altri visitatori, che avevano bisogno di "democrazia" e "libertà", senza rendersi conto che era un sistema crudele, dove il cane più grande mangia gli altri.

Ma quelle parole piacevano e non si resero mai conto che negli Stati Uniti non c’erano medicine gratuite, né ospedali gratuiti, nessun alloggio gratuito, senza l’istruzione gratuita o pasti gratuiti, tranne quando le persone devono chiedere l'elemosina formando lunghe file per ottenere un zuppa; no, non era importante quello che facevo, per alcuni non era mai abbastanza.

Altri invece, sapevano che ero il figlio di Gamal Abdel Nasser, l'unico vero leader arabo e musulmano che abbiamo avuto dai tempi di Saladino, che rivendicò il Canale di Suez per il suo popolo come io rivendicai la Libia per il mio; sono stati i suoi passi quelli che ho provato a seguire per mantenere il mio popolo libero dalla dominazione coloniale, dai ladri che volevano derubarci.

Adesso la maggiore forza nella storia militare mi attacca; il mio figliuolo africano, Obama, vuole uccidermi, togliere la libertà al nostro paese, prendere le nostre case gratuite, la nostra medicina gratuita, la nostra istruzione gratuita, il nostro cibo gratuito e sostituirli con il saccheggio in stile statunitense, chiamato "capitalismo", ma tutti noi del Terzo Mondo sappiamo cosa significa: significa che le corporazioni governano i paesi, governano il mondo e la gente soffre, quindi non mi rimangono alternative, devo resistere.

E se Allah vuole, morirò seguendo la sua via, la via che ha arricchito il nostro paese con terra coltivabile, cibo e salute e ci ha permesso di aiutare anche i nostri fratelli e sorelle africani ed arabi a lavorare con noi nella Jamahiriya libica.
Non voglio morire, ma se succede, per salvare questo paese, il mio popolo e tutte le migliaia che sono i miei figli, così sia.

Che questo testamento sia la mia voce di fronte al mondo: che ho combattuto contro gli attacchi dei crociati della NATO, che ho combattuto contro la crudeltà, contro il tradimento, che ho combattuto l'Occidente e le sue ambizioni coloniali e che sono rimasto con i miei fratelli africani, i miei veri fratelli arabi e musulmani, come un faro di luce, quando gli altri stavano costruendo castelli.

Ho vissuto in una casa modesta ed in una tenda. Non ho mai dimenticato la mia gioventù a Sirte, non spesi follemente il nostro tesoro nazionale e, come Saladino, il nostro grande leader musulmano che riscattò Gerusalemme all'Islam, presi poco per me ....

In Occidente, alcuni mi hanno chiamato "pazzo", "demente": conoscono la verità, ma continuano a mentire; sanno che il nostro paese è indipendente e libero, che non è in mani coloniali, che la mia visione, il mio percorso è, ed è stato, chiaro per il mio popolo : lotterò fino al mio ultimo respiro per mantenerci liberi, che Allah Onnipotente ci aiuti a rimanere fedeli e liberi.

Colonnello Muammar Gheddafi, 5 aprile 2011


=== 2 ===

en francais: Qui est responsable du naufrage de « l’anti-Titanic » de Lampedusa ? 

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¿Quién hundió el “Anti-Titanic” en Lampedusa?


06 oct  2013
Nazanín Armanian

Si no fuera porque el número de los refugiados fallecidos en la costa italiana ha superado el techo de la “normalidad” que ronda sobre 60-70 personas, la tragedia de los tripulantes de esta patera hubiera pasado desapercibida. Hace dos años 61 refugiados –incluidos varios niños-, naufragaron en este mismo lugar al quedarse sin alimentos y combustible, mientras un portaaviones de la OTAN les miraba sin pestañear.

Sin nombre, ni historias de amor o de intriga, ninguna canción eternizará su viaje a la muerte, ni nadie hará una película de esos hombres y mujeres valientes capaces de arriesgar su vida no solo para cumplir su sueño, sino para ayudar a su familia y empujar de paso el carro de la civilización humana.

“Deshumanizar al otro” es una estrategia política que legitima el trato que se le da; el mismo que han recibido decenas de miles de asesinados bajo los bombardeos en Irak, en Afganistán o en Pakistán: mientras ellos carecen de identidad, nos enseñan en la tele la foto de la boda y de la esposa embarazada de aquel soldado de ocupación muerto a manos de un nativo “bárbaro y despiadado”.

¡Cómo esos cuerpos en el mar han puesto a prueba, una vez más, nuestra capacidad de no sentir vergüenza de votar a individuos que aprueban leyes antinaturales como la de castigar a quien ayuda al prójimo! Aún así, varios pescadores italianos siguiendo su instinto salvaron la vida de decenas de aquellas personas desesperadas, escupiendo a la cara de demonios disfrazados que hemos colocado en los sofás de los palacios.


Vidas no contadas

Entre las historias de vida de miles de personas, campeones olímpicos sin medallas que saltan las vallas de púas más altas con manos ensangrentadas, que se lanzan a los mares indomables huyendo de guerras, hambrunas, persecuciones políticas, étnicas, religiosas, de género, víctimas de políticas de sus gobiernos o del pulso de las grandes potencias mundiales por expolio de sus inmensos recursos naturales, podemos conocer las siguientes:

-Fátima, mujer somalí de 26 años que viajaba junto con su hijo Ahmed de 5 años. Su país, ubicado sobre un lago de petróleo no explotado, ha sido declarado por Occidente  como “Estado fallido” – contraseña del “país poseedor de recursos naturales o ruta de su tránsito, ya apto para ser dominado”-, desfallece de hambre sobre inmensas reservas de uranio, oro, petróleo, gas, bauxita y cobre. El escándalo fabricado sobre los “piratas” de pocamonta en 2009, -si bien estaba al servicio de militarizar el Cuerno de África y el Golfo de Adén, uno de los corredores más estratégicos del planeta que conecta el Golfo Pérsico, el Mar rojo y el Canal de Suez y por donde pasa el 30% del petróleo del mundo-, revelaba además que el pescado y el marisco de sus caladeros –lo poco sustento que les quedaba-, acababan en las mesas de los hoteles españoles y franceses, y que los verdaderos “bandidos del mar” de guantes y tez blancos, de paso vertían toneladas de desechos tóxicos en sus costas.

- Ahmed, niño de ojos grandes de 10 años, otra víctima, era huérfano al igual que varios millones de pequeños somalíes. No quería convertirse en uno de los 500.000 niños que viven en las calles del país, o verse obligado a trabajar jornadas interminables a cambio de un plato de comida, con palizas y abusos sexuales de postre, o convertirse en soldado o esclavo en el “mercado libre” del capitalismo global que ofrece “niño a la carta” a las empresas de todo tipo. Ahmed, que al embarcarse pensó que se había librado de tal destino, se encuentra ahora en el fondo del mar.


De Etiopia y Libia

- Abeba, mujer de la tierra del café, Etiopía, había conseguido junto con otras activistas que la Constitución prohibiera la ablación. Todo un logro. Para la luchadora de las batallas imposibles era más difícil, sin embargo, derrotar el sistema económico, político y social capitalista que bendice una violencia patriarcal estructurada. Su espalda, destrozada por llevar cargas pesadas durante horas de camino, ya no aguantaba. Se echó a esta aventura llevando consigo a su sobrina Hakima, de 7 años, una de los cuatro millones de niños huérfanos etíopes. El sueño de Abeba era salvarle de la desnutrición severa que mata a miles de pequeños en este país, que un día de 1974 se declaró socialista tras derrocar al dictador zombie Haile Selassie, gobernante de una población literalmente moribunda, enferma y analfabeta. El Gobierno militar de Haile Mariam, con el apoyo de la Unión Soviética y Cuba realizó reforma agraria, declaró universal y gratuitas la educación y la sanidad, y miró por los derechos de la mujer y de las minorías étnicas. Sus recursos como el oro, gas natural, tantalio, y mármol, por fin iban a servir al rescate de sus propietarios. Los errores del Gobierno, las terribles sequías de los años 80 que mataron a cientos de miles de personas, junto con las provocaciones de EEUU desde Eritrea que armaba a los rebeldes (quienes destinaban las ayudas internacionales contra el hambre a la compra de armas) ralentizaron este avance hasta ser paralizado con la caída de la URSS. Una situación parecida a la de Afganistán, país del que han huido unas 6 millones de personas en las últimos tres décadas.

Al final el Mar “rojo” no hizo gala de su nombre y Washington consiguió apoderarse del control del país y su privilegiada ubicación. Hoy, a pesar de ser una economía en bancarrota, y con medio millón de niños en riesgo inminente de morir, el Gobierno gasta 100 millones de dólares en la compra de 200 tanques a Ucrania.

- Ebrahim fue un arquitecto libio que dejó a su esposa y los dos hijos, y siguió la ruta del transporte que lleva los recursos de su tierra y se dirigió a Italia. Pensaba hacerse con un sitio allí y luego solicitar la reagrupación familiar. La situación tras el asesinato de Gadafi es caótica y deja en nada la promesa de la OTAN de democratizar el país. Es la misma Alianza militar que descargó toneladas de bombas sobre la población civil, sepultando miles de vidas y destruyendo las infraestructuras, para luego reconstruirlas con el dinero de las propias damnificadas (Libia: un negocio de guerra redondo). Se equivocó Ibrahim si pensó que los gobiernos occidentales beneficiarios de aquella infame agresión, a cambio, atenderían a los ciudadanos libios en Europa. ¡Había 65.000 millones de dólares líquidos libios en los bancos italianos! Por su parte, la Fiscalía de París investiga la posible financiación de la campaña electoral de Sarkozy en 2007 por parte de Gadafi. Los juegos sucios alcanzan puntos insospechados: Sarkozy luego pactó con los rebeldes del Consejo Nacional de Transición el derrocar al Coronel a cambio de que las empresas galas obtuvieran el 35% de las participaciones en el negocio de fuel. Hoy, el desgobierno, una cruenta lucha entre grupos armados por hacerse con el control de lo que es la mayor reserva petrolífera de África (la doble que las de EEUU), y una huelga intermitente de los trabajadores del petróleo han paralizado la economía. El colapso del Estado libio y la baja productividad de su industria petrolífera son parte de los motivos que impiden a los europeos apuntarse a la guerra de EEUU contra Siria.


Política de empobrecimiento

Condenar a los países ricos al subdesarrollo es una estrategia política que se ejecuta con la complicidad de las oligarquías y regímenes locales neopatrimonialistas ligados a negocios de todo tipo. Es la esencia de las recetas cocinadas por las instituciones financieras que obligan a los Estados a realizar reajustes estructurales y privatizar sus recursos naturales (¡como bosques de Tanzania!), con el fin de facilitar inversiones extranjeras. Una parte de la liquidez de los bancos occidentales ( Banco de Crédito y Comercio Internacional, por ejemplo) proviene del contrabando de piedras preciosas, tráfico de drogas y de armas de un África que mueve dinero dentro y fuera pero no deja nada para su desarrollo.

En nuestro cayuco imaginario también estaban gente de Malí, país invadido por la OTAN , tierra de petróleo, oro y uranio, donde la esperanza de vida es sólo de 37 años, o de Nigeria, el séptimo productor mundial del petróleo…

Es la misma historia de los iraquíes: atacados y masacrados por EEUU y sus aliados, unos 5 millones de los habitantes de la antigua babilonia, se han refugiado en los países vecinos, donde empiezan otras guerras (la de Siria) y deben volver a recoger sus bártulos huyendo hacia ninguna parte.

En 2012 se contabilizaron unos 230 millones de inmigrantes.

Ninguna vigilancia aérea y marítima, ni siquiera hundir las pateras en el mar a cañonazos, como proponía el ultraderechista italiano Umberto Bossi , podrá detener a millones de seres humanos a que huyan a de su tierra.

Ya no funciona relacionar la inmigración con la delincuencia: ¡que miren los juzgados en España! Tampoco es tarde que los ciudadanos corrijan su mirada hacia los refugiados e inmigrantes cuando tienen hijos que con dos títulos universitarios, viven en un piso patera en Londres o Berlín, y limpian los WC. Aun así, España desde el 2013 ha deportado a 6.056 inmigrantes, y seguía deteniendo al desgraciado transportista de una patera o de un camión, quizás para desviar la atención a los verdaderos causantes del tráfico de seres humanos o quizás para que nadie ponga en entredicho su idea brillante de pagar a los gobiernos, como al senegalés, para que admitan la repatriación de los refugiados detenidos, pisando las leyes internacionales. No nos dicen que las autoridades corruptas de éste mismo país conceden licencias especiales de pescar a empresas extranjeras, elevan las tasas de estos permisos para los nativos, forzándoles a lanzarse al mar para llegar a España.

De África se están llevando el oro, el coltán, el hidrocarburo y otros recursos, y a cambio se les envía aviones cargados de armas y muchos misioneros para que les invite a paciencia y vivir el sueño de tener una vida mejor en el “otro mundo”.



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La disintegrazione della Libia

di Polina Lavrentieva

Nel 2011, Thierry Meyssan assicurava che non vi era alcuna primavera araba in Libia, che la popolazione non si era rivoltata contro Muammar Gheddafi, ma che gli occidentali usavano il movimento separatista della Cirenaica. Due anni dopo, il gioco è fatto: Tripoli ha perso il controllo di Cirenaica e Fezzan, come hanno osservato gli inviati speciali delle Nazioni Unite. La ricchezza del Paese è ora solo nelle mani delle bande e delle multinazionali statunitensi.

RETE VOLTAIRE | MOSCA (RUSSIA) | 11 OTTOBRE 2013

Non si può fermare il processo di disintegrazione della Libia iniziato dall’assassinio di Muammar Gheddafi. Un nuovo rapporto delle Nazioni Unite dice: sullo sfondo della separazione della province della Libia “liberata dal dittatore”, avvengono esecuzioni affrettate, una massiccia oppressione politica e torture.
Secondo la relazione congiunta della Missione di Assistenza delle Nazioni Unite in Libia (UNSMIL) [1] e dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, circa 27 persone sono morte in carcere nel Paese solo alla fine del 2011 [2]. 8000 persone sono detenute nelle carceri del Paese. Sono state definite, nel 2011, “partigiani di Gheddafi”. La maggior parte di loro non è stata nemmeno formalmente indagata e nessuno sa per quanto tempo rimarranno in carcere, perché il sistema giudiziario non funziona quasi più.
Il New York Times suggerisce che le persone siano state arrestate per motivi religiosi o etnici, o perché sospettate di non essere fedeli alla “democrazia”. I detenuti con cui gli ispettori delle Nazioni Unite hanno potuto parlare, hanno riferito di essere picchiati e torturati dal fuoco e dalla fame, nelle carceri.
Nell’aprile di quest’anno, è stata approvata una legge in Libia per impedire la tortura e condannare i rapimenti. Ma non viene applicata. Questa è solo una parte del quadro della disintegrazione dello Stato libico. Le regioni si ritirano gradualmente, come ci aspettavamo due anni fa su queste pagine. E questo non accade senza spargimento di sangue.
Il 27 settembre, il Fezzan ha dichiarato l’indipendenza, o almeno la sua piena autonomia, [3] i leader tribali hanno deciso così “per via dello scarso lavoro del Congresso.” A giugno, è stata la regione (ricca di petrolio) della Cirenaica [4] che s’è ripresa la sua libertà. Delle tre regioni storiche della Libia, solo la tripolitania ne fa ancora parte. Per ora, non c’è forza in grado di riunire questi tre Stati storici che formavano la Libia dal 1951.

Fonte 
Odnako (Russia)
Settimanale d’informazione generale. Redattore capo: Mikhail Leont’ev. 


Traduzione di Alessandro Lattanzio (SitoAurora)

[1] Sito della MANUL.

[2] “Tortura e morte nelle carceri della Libia“, relazione Unismil, ottobre 2013.

[3] “La ‘nuova Libia’: la regione del Fezzan dichiara la sua indipendenza“, Irib, 27 settembre 2013

[4] “Ливии официально больше нет. Восток объявил “нефтяное государство” “(la Libia è ufficialmente finita, l’oriente si dichiara petro-Stato) Odnako, 7 marzo 2012.



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LIBIA - MONDO

«Il paese non c'è più, ormai si è somalizzato»

TOMMASO DI FRANCESCO
11.10.2013

Intervista a Angelo Del Boca, storico del colonialismo italiano, sul sequestro del primo ministro: «È uno scontro di potere. Non sono assolutamente sorpreso». «Ali Zeidan, professore universitario magnificato da tutto l'Occidente è un uomo stranamente ricchissimo»

Per capire l'evolversi della crisi libica abbiamo intervistato Angelo Del Boca, storico del colonialismo italiano e massimo esperto internazionale della Libia.

Come giudica il sequestro da parte delle milizie armate del primo ministro libico Ali Zeidan, poi liberato?

È uno scontro di potere. Fa parte del caos nel quale la Libia è caduta dopo la guerra della Nato che ha deposto nel sangue Gheddafi. Non sono assolutamente sorpreso del sequestro. L'anno scorso, quando doveva diventare premier Anwar Fekini, figura di spicco dell'opposizione in esilio (e nipote di Mohammed Fekini protagonista della rivolta contro l'occupazioneitaliana) ho cercato di dissuaderlo. Era restio ai miei suggerimenti, ma recentemente mi ha ringraziato dicendomi: «Mi hai salvato la vita».

Che cosa è accaduto in Libia dall'uccisione di Gheddafi, nell'ottobre 2011, a oggi?

È accaduto il fenomeno della proliferazione delle milizie armate. Da stime dell'intelligence statunitense sono più di 500 e temibilissime. La stessa Casa bianca, che fornì l'aviazione a questi insorti, se n'è accorta dolorosamente l'11 settembre 2011 quando i jihadisti hanno attaccato il consolato Usa di Bengasi assassinando l'ambasciatore americano Chris Stevens e tre alti funzionari statunitensi. Tra le milizie è fortissimo il peso dei jihadisti. Così, dopo la cattura nei giorni scorsi da parte di forze speciali americane del presunto esponente di Al Qaeda, Abu Anas-Al Lybi, molto in vista nel sommovimento libico, è scattata la «risposta» delle milizie più islamiste. Che manda a dire - credibilmente - a Washington: avete fatto un arresto arbitrario, contro la nostra sovranità. Il giorno prima Zeidan aveva smentito ogni avallo di Tripoli all'operazione. Ma il segretario di stato Usa John Kerry lo ha clamorosamente smentito poche ore dopo, rivelando che il governo libico era stato consenziente. Mi piace ricordare un elemento che può far capire la commistione tra milizie e governo in Libia. Ali Zeidan, professore universitario magnificato da tutto l'Occidente è un uomo stranamente ricchissimo e solo un mese fa ha regalato un miliardo di dollari alle milizie di Misurata, considerate quelle più forti e radicali.

Si può dire che la crisi in corso in Libia è, in qualche modo, anche una crisi italiana, che cioè chiama in causa le nostre responsabilità poltiche?

Certamente. Mi spiego meglio. In questi giorni ho cercato ripetutamente di mettermi in contatto con il presidente Enrico Letta per consigliarlo. Perché Letta ha commesso in questo periodo un gravissimo errore: ha dato la disponibilità dell'Italia al presidente americano Obama che gli ha chiesto, per la vicinanza e la storia, di coinvolgersi ancora di più nella crisi libica. Come? Rimettendo in piedi esercito e polizia, ricostituendo le istituzioni e, soprattutto, «disarmando le milizie». Ma dire di sì a questa «disarmante» e sconcertante richiesta vorrebbe dire prepararsi di fatto alla terza invasione militare italiana della Libia. Perché, sempre secondo l'intelligence Usa, le più di 500 milizie corrispondono a circa 30mila uomini armati fino ai denti, con cannoni e carri armati. Un vero e proprio esercito agguerrito. Con un incessante e massiccio traffico di armi verso la destabilizzazione di aree decisive come Siria, Sinai (Egitto), nord-Mali, Tunisia e Algeria. Ma, come se non bastasse, ci sono altre due questioni, perfino più gravi, che in queste ore chiamano in causa l'Italia. In primo luogo il fatto che gli Stati uniti, di fronte alla situazione libica, hanno deciso di inviare forze speciali - già subito più di 200 marine - nella base di Sigonella. Perché su questa decisione il governo Letta-Alfano tace? Dovrebbe invece prendere posizione, perché l'intenzione statunitense è l'apertura di fatto di un fronte in Libia di guerra «coperta». Bisogna ringraziare i Paesi della Nato e gli stessi Stati uniti che con la guerra del 2011 hanno trasformato la Libia nella nuova Somalia del 1993-1994, quando venne abbandonata da truppe americane e italiane, dopo l'avventura bellica anche allora venduta come «umanitaria». Insomma, la Libia che abbiamo conosciuto non esiste più, si è «somalizzata», con l'aggravante che è una «Somalia» dall'altra parte delle nostre sponde mediterranee. E invece il presidente Letta vuole tornarci «per disarmare». 

E c'è anche il massacro di Lampedusa...

Sì, perché c'è l'altra drammatica vicenda dei migranti in fuga dalla grande Africa dell'interno, da miseria, fame, da guerre attivate per interessi occidentali su gigantesche ricchezze minerarie e fonti di energia. Proprio due giorni fa, in piena sintonia criminale con il massacro di Lampedusa, e con l'avvallo del governo italiano, lo stato maggiore italiano della Guardia di Finanza e della Guardia costiera nazionale ha firmato «un accordo con le autorità libiche» (quali?) per il pattugliamento congiunto dei porti della Libia. Viene da chiedere: con quali milizie, con quali leader jihadisti abbiamo firmato questo incredibile patto, a chi abbiamo promesso denaro italiano per fermare militarmente i disperati che fuggono con le bagnarole nel Mediterraneo?




(ovaj text na srpskohrvatskom: Од Косова до Сирије
Вишеслав Симић - професор - Ел Текнолохико де Монтереј, Мексико - 26. септембар 2013.


Višeslav Simić (Вишеслав Симић)
2do Seminario Internacional "Análisis e incidencia de las políticas públicas" - EGAP - Tecnológico de Monterrey - 25 y 26 de Septiembre 2013 - México

 

As the so-called Kosovo "war"(1) is being used by the United States of America as a blueprint(2) for how the euphemistically(3) called "international community"(4) should militarily resolve the crisis in Syria without a mandate from the U.N. (in spite of the U.S. persistently insisting that it was a sui generis case), it is becoming increasingly more important not only finally independently to study the "mob or sole assailant"(5) aspect of the contemporary U.S. international approach but, even more, to dedicate particular attention to the post- and extra-combat involvement (or the lack of it) of the "international community" in the management(6) of the territories and the people "liberated"(7) by it.

While the U.S. President announces(8) a possible attack on a sovereign nation of Syria without the authorization by the U.N., citing the precedent of Kosovo as justification for it, the U.S. Secretary of State (accused by some of being le ministre étranger aux affaires) assures U.S. citizens that rich Arab nations would foot the bill(9) (attempting to relieve concerns about the system's impending bankruptcy(10)), and a multitude of the West's "corporate intellectuals"(11) (especially the ones from the so-called La Gauche Caviar) are soothing the moral and psychological worries of its ever-conscientious public, there are legitimate and reliable voices who give us different points of view about this issue, from the warnings to the U.S. leaders that aiding a declared enemy(12) of the U.S. would be treason(13), that Syria's socialist secular economic/political system(14) is the main problem for both the neo-liberal West and the reactionary, fundamentalist Islamist Arab regimes, to those that the so-called opposition in Syria are "a bunch of criminals" and not "revolutionaries."(15)

Just a part of this list of concerns should create a grave apprehensiveness about the "international community's" capacity to act in Syria militarily, but even more about its competence to be the leader of the supposed post-conflict stabilization and reconstruction. Taking into consideration the "international community's" aggressive and criminal March 1999 record in Serbia, November 2001 in Afghanistan, March 2003 in Iraq, and March 2011 in Libya, its involvement, and especially the U.S. leadership role, should be extremely questionable(16).

It is certain that the U.S. global position was dominant in the post-Soviet period, and that the phrase "international community" became synonymous with the U.S.—the main formulator of what were dogmatically(17) believed to be liberal(18) privatization-centered(19) pro-democratization and economic growth policies during the 1990s and the early 21st century. Yet, as these policies' truthfulness and efficacy became increasingly questioned and challenged(20), due to their failures and catastrophic consequences in practice(21), and as the U.S. increasingly turned into a defender against charges of imperialism and aggression(22), and a coercer of unwilling allies(23) into arrogant violations of international law(24) than it remained a leader of any true community of states, great questioning(25), strong confirmations(26), and new understandings and opinions(27) of the term "international community" appeared.

Although there had been a few U.N. missions in the disputed/non-sovereign territories before the Kosovo mission was established, the fact is that all of them were initiated properly in the U.N., and implemented by it, including military forces of various member states, that willingly lent them, working in close cooperation with the world organization.

Kosovo was a crucial turning point and the precedent that nullified the old rules by force, without establishing any clear and agreed upon new ones for the future.

As the Kosovo precedent allowed for the creation of new states, such as Abkhazia and South Ossetia, and for the establishment of new "international communities", who justified and implemented such acts, it became obvious that a trend is being set and that the organization of the United Nations is increasingly either serving the purposes of one of the "international communities", or that it is being ignored by either of the "international communities"(28) or by all of them(29). The multitude of the small states for decades has been pointing out the fact that they are not even considered by the "international community" if they disagree with its policies, or are used to shore up its "moral imperative" when they do, but their plight is not as important in the "realpolitik" world as the latest warnings by one of the greatest powers—China—about the "improper comments in the name of the 'international community'"(30) by some Western politicians.

Although there are some Western intellectuals(31) and popular commentators(32) who point this out, a blindness to these facts, and a dogmatic, quasi-religious faith in the only true "international community" is very noticeable in the so-called West—not only among its political classes but in academia as well, where it should be happening the least, especially taking into consideration the plenitude of analysis of international politics(33).

The pattern has already become a common place: a regime is declared "rogue" for not accepting the "international community's" dictates and not opening its economy for a neo-liberal takeover, and an adequate "endangered" minority is designated a victim within the "rogue" regime's borders, and the minority's criminal sub-population is trained and equipped to be the "legitimate and justified" opposition to the regime and the future "guarantor of democracy and economic development" of the "liberated" nation, and an ally in mutually beneficial money laundering operations(34). Then, cases of "human rights violations" are exaggerated or, if necessary, fabricated, and an insurrection by the "democratic, free-market oriented, and Westernized and moderate" guerrilla is legitimized, and a "red line" is drawn, after which a military intervention by the "morally indignant" "international community" becomes a must in order to save face and show the world its dedication to peace and international cooperation.

The "international community's" interests in the Middle East are obvious: preventing China from obtaining cheap oil for its economic growth and military development; getting closer to Russia's "soft southern belly", and increasing the possibility of destabilizing the E.U. through strong control and manipulation of its Moslem population, making the "allies" long term dependant on the "international community".

With Kosovo, it was not so obviously clear why the "international community" got so deeply and expensively involved in that oil-deprived region(35). Although the territory known as Kosovo is a landlocked, economically undeveloped, and socially backward land of 10,887 sq. km.(36), populated by anywhere between 1.5 to 2 million people(37), it is of a significant geo-political and strategic importance. 
Its position at the ancient surface crossroads—Via Militaris and Via Egnatia(38)—was made very obvious by the placement of the U.S. military base Bondsteel near that crucial intersection of the roads that connect Europe and Asia. Taking into consideration that the planned American-backed "Nabucco"(39) pipeline, as well as the Russian natural gas and oil pipeline, "Southern Stream"(40), were to pass through that area, supplying Europe with Russian and former Soviet Central Asian states' oil and gas, the geostrategic importance of Kosovo becomes more prominent.

The post-intervention international administration of a territory "liberated" by the "international community" brings many advantages both to the allied governments and the private businesses from the "cooperative" nations.

The case of Kosovo is an excellent example: it has been declared an investor's dream and a venture capitalist's heaven(41) by its new rulers.(42) Its labor market offers one of the cheapest labor forces in the world. With official unemployment rates in Kosovo reaching 50%(43), once the means of production are secured(44), and access to global markets are guaranteed, the investors will be attracted to the profit-making opportunities unparalleled in the developed world.

At the same time, the natural resources of Kosovo are legendary–according to the World Bank(45), 13.5 billion Euros are laying there, waiting for investors brave enough to acquire them: the richest lignite reserves in South Eastern Europe, which provide for a powerful electricity production for the whole region, as well as abundant reserves of zinc, cadmium, magnesium, kaolin, quartz, asbestos, chrome, bauxite, and lead(46), along with silver and gold–all of that under the watchful eye of the "international community"(47), eager to help set it to production and profit.
Yet, there are overwhelming problems and obstacles to that. They range from linguistic, through socio-cultural, historical and political, to legal—especially in terms of property law.

Thus, understanding the meaning and history of the names in Kosovo is only the beginning of the difficulties related to such problems.

The official and full name of the territory is Kosovo and Metohija. The land was always (as it still is today) known as Old Serbia(48) as well. Kosovo, just as Metohija did, emerged as a symbol, a reminder, a warning, and was almost accidentally used as a territorial designation only by the end of WWII, by the Communist party of Yugoslavia.

The word Metohija remains as another reminder, a public declaration by the rightful owner that the theft hasn't been forgotten, and as a subtle warning that order and justice shall be restored. That is why all false claimants to the land have insisted on the elimination of the word Metohija from the land's name.

Kosovo, as a word, means something only in the Serbian language(49)—the possessive adjective of the word kos, the American robin, a black bird, turdus merula, that flies in the skies over the famous battlefield of 1389(50).

The meaning of Metohija is clear and recognized easily by the Orthodox Christians. Being of Greek origin (μετόχια), the word is a legal and official term used to demarcate the earthly possessions of the Orthodox Church, in this case of the Serbian Orthodox Church.

It is very common in the West to dismiss all factually supported Serbian historical claims to Kosovo, while the most incredible, evidence-less Albanian claims to the antiquity of their possession and presence in the same territory are accepted as valid. Very often a question is asked by independent and reasonable observers how far back in time should the "international community" go, and what kind of mythical or spectral evidence(51) would be acceptable to lay a claim so that the matter could be settled. The situation is very similar to the one in Palestine at the time of the Jewish resettlement there, when the famous British writer H. G. Wells said: "If it is proper to 'reconstitute' a Jewish state which has not existed for two thousand years, why not go back another thousand years and reconstitute the Canaanite state?"(52)

Yet, Kosovo and Metohija became an official U.N. Protectorate, with NATO as the power that guarantees it remains so for the time being. Although the Albanians declared independence in 2008 and the "international community" recognized its "sovereignty"(53), it is still NATO that has the final authority there(54), along with the U.N. Special Representative of the Secretary General. Simultaneously, the U.N. Security Council Resolution 1244 guarantees the territorial integrity of Serbia, although some of the powers that voted for that resolution, in a paradoxical bipolar opposition to themselves, recognized the self-declared independent Republic of Kosovo. 
A matter of great interest for the scholars of international law and politics, and international management of territories and peoples, should be the evolution of the post-"liberation" fate of the leaders of the territories under "international community's" control, especially the speed and the degree of the degradation of their status and life. 
Slobodan Milošević, the leader of Serbia, was captured and put on a long-term trial by a special "international community's" tribunal(55), which terminated in his highly suspicious death after it became increasingly obvious that the evidence necessary for his conviction was not going to materialize. 
In Afghanistan, the Taliban were simply scattered and replaced by a puppet government, which still fully depends on the U.S. occupying forces in the country. Saddam Hussein, the leader of Iraq, was also chased away from his seat of power, and later captured and put on trial, but not by an international tribunal. The experience with Milošević most certainly taught the "international community" the risks of exposing its own alleged crimes before the increasingly judgmental world. The Iraqi court expressly found him guilty and he was executed by hanging, giving the impression that no appeal was permitted, or a chance for a pardon either. 
Libya's Moammar Gadhafi experienced no official capture or trial. The democratic and freedom-loving "opposition" to his regime was allowed by the "international community" to hunt him down like a wild animal and his slaughtering was filmed and widely distributed on the internet. A U.S. apparatchik to the new friendly and allied regime of Libya was murdered in a very similar manner a few months later. Then, the "international community" expressed an absolute outrage at the shocking and brutal treatment of a human being by the, now-legitimized, subject of international affairs.
The "post-conflict" status of the 'liberated" territories also differs significantly:
Kosovo seems to have been the experiment that set too high the bar for the future, causing extraordinary complications and embarrassing need for legal and moral "creativity". Following its lessons, a degradation and de-internationalization of the status of any new territory whose sovereignty(56) was altered has become noticeable. There has happened a lowering and limiting of the prerogatives of the "governor" in the field, and, with each new case, a gradual elimination of a significant portion of the U.N. membership from the pool of legal international subjects with a right to be involved in the governing and/or supervision of the territory.
In Kosovo, it was still the Secretary General of the U.N. (through his Special Representative) who was the highest civilian authority in the official U.N. protectorate(57), although the NATO military commander on the ground was the highest authority "in the theater", with a right to declare anything or anyone of "military significance" so as to grant himself the power to outrank the civilian authority of the U.N. at any time.
In Afghanistan, "full sovereignty" was gradually "restored" to the local government after the U.S.-lead international invasion and occupation of the land, and after the U.N. Security Council post factum established the International Security Assistance Force. The U.N. Assistance Force's mandate was to oversee the security in the country, but the Afghan "authorities" couldn't move freely even within the capital without full military escort by the mostly NATO troops, while the provinces were the realm of local warlords and, almost exclusively, of U.S. military commanders, who had most of the U.S. troops under their direct and separate command. 
In Iraq, the U.S. attacked that sovereign U.N. member without a declaration of war and invaded its territory under what was later proven to be a false pretext. After a quick military conquest, the country was occupied by U.S. troops. A "sovereign" puppet government was established, but the U.S. military was in charge of the land. The U.N. Security Council then established a mission in Iraq, which recognized "the responsibilities and obligations" of the U.S. occupying force, giving legitimacy to the illegal and criminal invasion of a sovereign member of the U.N. The Mission still supervises the work of the Iraqi government. The U.S. military combat operations and occupation of Iraq were officially declared finished by the end of August 2010, but U.S. troops still remain in Iraq (under separate U.S. command), together with the troops from other nations, which are under U.N. command.
In Libya, there was neither a U.N. mission set up after its destruction by NATO, nor was there an occupation of any kind by the "international community's" military forces. The early 2011 conflict was declared a civil war, in which the "rebels" refused all attempts, both by their government and by the African Union, to stop fighting. The "international community" secured a U.N. Security Council resolution (1973), which was to protect civilians and which allowed the use of force against the government of Libya, but did not allow a foreign occupation of the country. The "international community", led by the U.S. Secretary of State, Hillary Clinton, secured the supply of arms to the rebels. The Resolution stated that in order to "protect civilians" "all necessary measures" were allowed, thus, the supply of arms was unilaterally declared permitted in spite of the arms embargo imposed on "everyone" in Libya (Paragraph 9). The French Air Force bombarded the government troops, as did the U.S. and U.K. submarines. Soon, 17 countries participated in the military operations against the government of Libya, with NATO taking over the command of the operations. The "international community" thus became the air force of the rebels, providing them with some ground troops as well, violating its own U.N. resolution and not allowing for a negotiated settlement of the conflict. After the rebels took over the capital city of Tripoli, the U.N. recognized them as the legitimate government of Libya. An ad hoc local government, the National Transitional Council, was set up and recognized by the "international community" and left in power to run the country as it saw fit, as long as the oil exploitation was opened to the corporations from the "international community's" realm—the Chinese and Russian companies were not allowed in the competition in the "free market" and "globalized economy" (just as they were kept out and away by the U.S. occupying authorities from the once open-to-international-competition oil fields of Iraq).
The U.N. Protectorate of Kosovo has proven itself to be the "international community's" experiment that set the standard for the amount of sovereignty which were to be accorded the inhabitants under the "international community's" domination—none!
Thus, the sovereignty over the territory of Kosovo was altered and the whole international system thrown into a disarray. The overlapping and cancelling-out of sovereignties is blatant: the United Nations Resolution 1244 (which is still in effect and is recognized even by the powers(58) that officially recognized Serbia's Albanian minority's self-declaration of independence) recognizes the sovereignty of the Republic of Serbia over the territory of Kosovo(59). So does, of course, the Constitution of the Republic of Serbia(60). At the same time, Serbia's Albanian Moslem minority in the Province of Kosovo and Metohija had declared the province's independence from Serbia and claimed sovereignty over the territory, calling it the Republic of Kosova. It has been officially recognized by the U.S. and many of the individual great powers, which are members of the European Union, although the international organization called the European Union itself has not recognized the self-declared independent Republic of Kosovo, and works closely with the U.N. on administering the Serbian province as a U.N. protectorate(61). Simultaneously to all this, the Constitution of the self-proclaimed Republic of Kosovo, by its articles 147 and 153, clearly renounces its own sovereignty and states that the final authorities in Kosovo are the U.N. civilian administrator and NATO military force commander, making those who command NATO the ultimate sovereigns over Kosovo(62).

The "international community" did the same thing, which it did in the previously legally established U.N. protectorates, and in the many historical instances before the current supposed internationalization of protectorates—the "international community" ensured its own fiat(63) to be the legal basis and norm for any activity.
The first U.N. protectorate, an innovative and an ad hoc approach to resolving international problems insolvable by the then-current international law, was the U.N. Temporary Executive Authority (UNTEA)/U.N. Security Force in West New Guinea (UNSF), established in October 1962(64) in order to administer the Dutch colony of West New Guinea until it was transformed into a province of Indonesia on May 1, 1963. 
The following one was established in February 1992 for Cambodia, as the U.N. Transitional Authority in Cambodia (UNTAC), in order to implement the Paris Accords, which ended the civil war in that country. The U.N. was not to have direct control of the country but was supposed, during the 18 months of its mandate, to foster "a neutral political environment conducive to free and fair general elections"(65). It was the most extensive and costliest U.N. operation up to that time.
On December 21, 1995(66), the U.N. International Police Task Force (IPTF) and a U.N. civilian office in Bosnia and Herzegovina (BH) were established, known as the U.N. Mission in Bosnia and Herzegovina (UNMIBH). It was terminated on Dec. 31, 2002. It invented a new supra-sovereign office—The High Representative for Bosnia and Herzegovina (on December 14, 1995)—by the Peace Implementation Council(67). It was not a U.N. mission. SFOR, a NATO-led multinational peacekeeping force in BH, was established by the U.N. S.C. Res. 1088, on Dec. 12, 1996, and it lasted until Dec. 2, 2004. It was replaced by the E.U. EUFOR Althea mission, which is still in BH, as is the High Representative of Bosnia and Herzegovina, who still possesses his supra-sovereign powers and is the final authority in that supposedly sovereign nation.
The U.N. S.C. Resolution 1037 (Jan. 15, 1996) established the U.N. Transitional Administration for Eastern Slavonia, Baranja and Western Sirmium (UNTAES) to monitor the demilitarization of these regions and to ensure the peaceful reintegration of these territories of the Republic of Serbian Krajina into Croatia. It ended on Jan. 15, 1998, after allowing the new country of Croatia to take over these, formerly Serb-majority but then Croat- and NATO-ethnically cleansed, lands. Eventually, the newly sovereign Croatia was fully integrated into NATO (2009) and E.U. (2013), thus firmly and unquestionably putting these territories under the "international community's" control. 
In 1999, the "international community" established its most ambitious and authoritative grasp on a territory—the U.N. Protectorate of Kosovo. 
The U.N. administration took upon itself the public policy mission, traditionally reserved for a sovereign state alone, to make local laws and to enforce them, to appoint and supervise local officials, to collect and manage local revenue, to run local educational, health and other social services, to supervise the economy and finances, and even to decide in the disputes related to the very basis of any society—property matters.
The most illustrative example of the “international community’s” incompetence and, if the criteria used for ordinary people were applied to it, all out criminality, is exactly this area of public policy¬—privatization. Contrary to its U.N. S.C. mandate, the U.N. Administration of the Serbian province designed and partially implemented a public policy of privatization of the socially owned property there. It was very clear that such a policy could not be implemented(68) as the “international community” wished it, due to its basic illegality(69). The province’s chief U.N. administrator, Soren Jessen-Petersen, on April 22, 2005 (UNMIK Regulation No. 2005/18), simply decreed a fundamental change in UNMIK rules(70) and property law(71) (undocumented in human history, except during conquests and pillages of ages past), providing for the privatization agency to make “clear and final ownership determination after a sale of assets” and not before it, as has been the practice throughout human history. Although Mr. Jessen-Petersen gladly announced that “now with this change… we no longer have to establish ownership before the sale of the socially owned enterprise”(72), the process of privatization in Kosovo has been disastrous. Not even the local criminals wanted to participate in it since it didn’t provide them with a clear and legal title to the property. There are many accusations that through the process of privatization they laundered the illegally earned funds. Knowing that such practice would create legal problems(73) for the U.N. staff in both the field and in the New York City headquarters, the U.N. ensured its employees’ immunity(74) from legal prosecution but the local Albanians were left to the mercies of “the market”-causing a number of highly suspicious deaths(75) of both high level officials in Kosovo and key witnesses in Western countries over the last couple of years, all of which were ruled suicides(76) by EULEX and Western medical examiners.
This extent of legislative, executive and judicial authority, exercised with basically no scrutiny by anyone, with no supervision by independent monitors, and with no accountability to any single or collective sovereignty (especially that of the local population(77)) is substantially higher than that which the colonial governors had in the past, and which were the main reasons why the colonized peoples fought wars of liberation. It was expected, even by analysts from the "international community", that even the most "benign" protectorate of this kind would eventually turn itself into an "oppressor-ate" that would be hated by the population it was established to protect in the first place. 
Yet, there are no open anti-U.N. movements in Kosovo. It seems that while the ethnic cleansing of its Serbian citizens is yet unfinished, and while the lucrative and unmolested businesses of human trafficking, drugs and arms smuggling, and "privatization" of the Serbian state, social, Church and private property are still underway, there is no rush to end the unnatural and contradictory parallel existence (but a long-term partnership and symbiosis) of "local sovereignty" and "international community's" protectorate there.
Yet, this unnatural symbiosis only seems to be lucrative to those with a short-term vision and with a superficial understanding of economy and politics. 
An interesting testimony of the development falsehood was, most likely unintentionally, offered by a German KFOR Colonel, Günter Bonn, published by Politika, and reported by an ethnic Slovenian military analyst, Miroslav Lazanski, in a report on his visit to the U.S. (KFOR) base Bondsteel in Kosovo. It says: "There is no industry here, no production. Only gas stations are being opened, shopping centers and night clubs."(78) The Colonel is reported to have openly wondered from where all the wealth in Kosovo was coming, comparing the apparent high-life style of the Kosovo Albanians to his modest life in the highly industrialized (and yet only second tier international community's member) Germany, especially considering his socio-economic status as a high level military officer of the military forces of the only stable and growing E.U. economy. Aware that he drives a small car there (in Germany), and doesn't own a house there, the new, big homes, daily built in Kosovo, and new, expensive cars driven on the same roads he patrols in a military jeep, make him wonder how surreal is his task of making sure that there wouldn't be any more suffering in the U.N. Protectorate of Kosovo.(79)
In addition to that, it is the "international community" that very quickly realized the true pitfalls of such an arrangement, and the long-term dangers to its control and welfare. The U.N. Protectorate of Kosovo, being under the formal legal authority of the U.N. Security Council, could not be controlled, modified, or terminated without Russia and/or China. Both powers were unable to prevent its establishment in 1999, but, since then they have grown and strengthened their international positions, creating a parallel and highly visible alternative "international community", and have created unforeseen problems for the U.S. and its allies in Kosovo (and in other parts of the world), especially regarding the public policy of privatization designed and attempted to be implemented there by the "international community".
The Protectorate of Kosovo was most likely designed as the ultimate triumph of the West, but it quickly turned into its most problematic product. With Russia and China sitting on the U.N. Security Council, with their veto powers, it proved impractical to set Kosovo as a blueprint for future invasions, takeovers and management of lands, peoples and resources, and, thus, all evidence suggests, it was forgone as a model. 
Ever since, we have witnessed the abandonment of the U.N. or truly international models of behavior by the "international community", observing the increased acting either unilaterally (the U.S. in Iraq) or as a group of military allies (NATO in Libya), with very limited and vague authorization by the U.N., or with none at all. 
It is worth remembering that already in 1996, in Buenos Aires, Michel Camdessus, Managing Director of the International Monetary Fund, officially announced that a "silent revolution" was taking place, and that "as regards the role of the state, it is now nearly universally accepted that the most effective economic strategies are private sector-led and outward-oriented"(80), and that "governments must demonstrate that they have no tolerance for corruption". Yet, it seems that the "international community" in the end, after its post-Kosovo experience, decided that it is much easier and more profitable to avoid the (semi-)state and its many layers of corrupt officials all together, and to let the West's private sector(81) (backed up by NATO) deal directly with the warlords(82) in the resources rich territories, whose sovereignty was altered, allowing certain allies in(83), and securely eliminating Russian and Chinese competition(84).
Although the 1989 informal Washington Consensus by the West's economic thinkers has been replaced by the 2010 G20 formally endorsed Seoul Consensus for "shared growth"(85), it seems that the "international community" has decided to undermine the Consensus' main goal of greater state intervention in economy and finances by simply eliminating the state from the equation and continuing with the old mantra of "stabilize, privatize, and liberalize"(86)—having already initiated that policy in Kosovo, and persisted with it in Afghanistan, Iraq, and Libya, attempting to press on with it in Syria today.
For the end, another reminder: The New York Observer warned, in 2007, "The smart money these days is in catastrophe: Hurricanes, tsunamis, political upheavals and wars have become the new profit points in the age of 'disaster capitalism,' which sees cataclysms 'as exciting market opportunities.'”(87)

Višeslav Simić (Вишеслав Симић)
2do Seminario Internacional "Análisis e incidencia de las políticas públicas" - EGAP - Tecnológico de Monterrey - 25 y 26 de Septiembre 2013 - México


Footnotes:


1. Strictly legally speaking, no war was declared by the aggressors (the U.S. called it "hostilities" and "military operations in Kosovo"). The government of the attacked sovereign founding member of the U.N. didn't denounce the aggression as war (only after the November 2012 Strasbourg Court ruling that "war veterans" must be paid for the time served in the "war of 1999" did Serbia implicitly recognize NATO aggression as a war). The U.N. itself kept silent about the grossest violation of its Charter since its founding (the silence forced upon the U.N. by the U.S. blocking any move in the U.N. Security Council to condemn the attacks or to order their cessation).

2. Air War in Kosovo Seen as Precedent in Possible Response to Syria Chemical Attack; Landler, Mark and Gordon, Michael; The New York Times; August 23, 2013- http://www.nytimes.com/2013/08/24/world/air-war-in-kosovo-seen-as-precedent-in-possible-response-to-syria-chemical-attack.html?pagewanted=all&_r=2&

3. If asked what the priority in today's world would be, Confucius would most likely repeat what he said about 2500 years ago: "'What is necessary is to rectify names.' […] 'If names be not correct, language is not in accordance with the truth of things. If language be not in accordance with the truth of things, affairs cannot be carried on to success.' […] 'Therefore a superior man considers it necessary that the names he uses may be spoken appropriately, and also that what he speaks may be carried out appropriately. What the superior man requires is just that in his words there may be nothing incorrect.'"-The Analects of Confucius; The Chinese Classics; Translated by James Legge; Book XIII, Chap. III, 2-7; Kindle location 625-626.

4. "To the extent that there is such a thing as an international community, it owes much to NATO." - Norris, John; Collision Course: NATO, Russia, and Kosovo; Greenwood Publishing Group, Preager, NY; 2005; Forward by Strobe Talbott; page ix.

5. ”The Democrats prefer allied lynch mobs, whereas the Republicans are more willing to intervene without outside help. The difference is basically the same. At the end of the day, both Democrats and Republicans remain committed to the same "values" of forcing political change on foreign regimes.” - Deliso, Christopher; Kosovo, 1999: An Insider’s View; June 17, 2005 - http://antiwar.com/deliso/?articleid=6338

6. "...To put it in a terminology that harkens back to the more brutal age of ancient empires, the three grand imperatives of imperial (American-ed.) geostrategy are to prevent collusion and maintain security dependence among the vassals, to keep tributaries pliant and protected, and to keep the barbarians from coming together." - Brzezinski, Zbigniew; The Grand Chessboard: American Primacy And Its Geostrategic Imperatives; Basic Books; New York; 1997; p. 40.

7. See: The Iraq Liberation Act of 1998 [http://thomas.loc.gov/cgi-bin/query/z?c105:H.R.4655.ENR:], or George, Amir; Liberating Iraq: The Untold Story of the Assyrian Christians; Cardinal Publishing Group; 2013, or Crucified Kosovo [http://crucified-kosovo.webs.com/], or Redmond, Helen; Their empty talk of liberating Afghan women; SocialistWorker.org; March 23, 2011- http://socialistworker.org/2011/03/23/empty-talk-about-liberation

8. Air War in Kosovo Seen as Precedent in Possible Response to Syria Chemical Attack; The New York Times; Aug. 23, 2013 - http://www.nytimes.com/2013/08/24/world/air-war-in-kosovo-seen-as-precedent-in-possible-response-to-syria-chemical-attack.html?pagewanted=all&_r=0

9. Arab nations ready to pay for Syria strike: Kerry - The News; Sept. 6, 2013 - http://www.thenews.com.pk/Todays-News-13-25265-Arab-nations-ready-to-pay-for-Syria-strike-Kerry

10. Just as Standard & Poor's and Moody's maintained the illusion of Lehman Brothers' solidity up to six and one day respectively, before its collapse in 2008, it seems that it is being done for the whole West's financial system these days. See also: US borrowing authority to be exhausted by Oct. 17; AP - http://news.yahoo.com/us-borrowing-authority-exhausted-oct-17-151054701--finance.html

11. Such as the ever-ready Frenchman Bernanrd-Henri Lévy, calling the other international community—the governments who actually respect the international law and the U.N. rules—"gangster states, led by their godfather, Russia". See: ¿Qué quiere Rusia?; El Pais, Sept. 2, 2013 - http://elpais.com/elpais/2013/08/29/opinion/1377787206_916631.html

12. Syria: nearly half rebel fighters are jihadists or hardline Islamists, says IHS Jane's report [by analyst Charles Lister]; by Ben Farmer, defence Correspondent, and Ruth Sherlock, in Beirut; The Telegraph; Sept. 15, 2013 - http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/middleeast/syria/10311007/Syria-nearly-half-rebel-fighters-are-jihadists-or-hardline-Islamists-says-IHS-Janes-report.html
13. "Whoever, owing allegiance to the United States, levies war against them or adheres to their enemies, giving them aid and comfort within the United States or elsewhere, is guilty of treason and shall suffer death, or shall be imprisoned not less than five years and fined under this title but not less than $10,000; and shall be incapable of holding any office under the United States."-18 USC § 2381 - Treason - http://www.law.cornell.edu/uscode/text/18/2381

14. "We trouble the West and the extremists because we are a socialist country." - Syrian ambassador to Serbia, H.E. Suleiman Abu-Dijab to V. Radojević; in an interview for the Communist Party of Serbia on Sept. 3, 2013, in Belgrade, Serbia - http://www.kps.rs/index.php?option=com_content&view=article&id=1136:intervju-ambasadora-sirije-u-beogradu-gospodin-sulejmana-abu-dijab&catid=65&Itemid=574

15. "[The West calls it] a revolution, but in fact it has nothing to do with revolutions. A revolution needs thinkers. A revolution is built on thought. Where are their thinkers? A revolution needs leaders. Who is its leader? Revolutions are built on science and thought not on ignorance, on pushing the country ahead not taking it centuries back, on spreading light not cutting power lines. A revolution is usually done by the people not by importing foreigners to rebel against the people. A revolution is in the interest of people not against the interests of people. Is this a revolution? Are those revolutionaries? They are a bunch of criminals." - Syria's President Bashar al-Assad; Damascus; June 1, 2013.

16. Although these words were written with a different context in mind, they seem prophetic: “Every friend of freedom must be as revolted as I am by the prospect of turning the United States into an armed camp, by the vision of jails filled […] and of an army […] empowered to invade the liberty of citizens on slight evidence.” - Milton Friedman; An Open Letter to Bill Bennett; The Wall Street Journal; September 7, 1989 - http://fff.org/explore-freedom/article/open-letter-bill-bennett/

17. "Today we see how utterly mistaken was the Milton Friedman notion that a market system can regulate itself. We see how silly the Ronald Reagan slogan was that government is the problem, not the solution. This prevailing ideology of the last few decades has now been reversed." - Samuelson, Paul (Nobel Prize in Economics, 1970); Don't Expect Recovery Before 2012 - With 8% Inflation; Global Economic Viewpoint; January 16, 2009 - http://www.digitalnpq.org/articles/economic/331/01-16-2009/paul_samuelson

18. ”Milton Friedman is the Establishment’s Court Libertarian.” - Rothbard, Murray N.; Milton Friedman Unraveled; Journal of Libertarian Studies; Vol. 16, no. 4 (Fall 2002); pp. 37-54 - http://mises.org/journals/jls/16_4/16_4_3.pdf

19. "It turns out that the rule of law is probably more basic than privatization. Privatization is meaningless if you don’t have the rule of law. What does it mean to privatize if you do not have security of property, if you can’t use your property as you want to?" - Milton Friedman. See: Gwarney, James and Lawson, Robert; Economic Freedom of the World: 2002 Annual Report; Preface: Economic Freedom behind the Scenes, by Milton Friedman; The Fraser Institute; Vancouver, B.C.; 2002; page xviii.

20. Boas, Taylor C & Gans-Morse Jordan; Neoliberalism: From New Liberal Philosophy to Anti-Liberal Slogan [http://people.bu.edu/tboas/neoliberalism.pdf]; Harvey, David; Neoliberalism as Creative Destruction; The Annals of the American Academy of Political and Social Science [http://ann.sagepub.com/content/610/1/21.abstract]; Weyland, Kurt Gerhard; Assessing Latin American Neoliberalism: Introduction to a Debate; Latin American Research Review; Vol. 39, Number 3, 2004; pp. 143-149.

21. See: The Neoliberal Deluge-Hurricane Katrina, Late Capitalism, and the Remaking of New Orleans; Cedric Johnson, editor; 2011; University of Minnesota Press; Minneapolis; or, Klein, Naomi; The Shock Doctrine-The Rise of Disaster Capitalism; Henry Holt & Co.; New York; 2008; or, Saltman, Kenneth J.; Schooling in Disaster Capitalism; Teacher Educational Quarterly; Spring 2007; pp. 131-156.

22. Watts, Carl P; Is globalization another name for US imperialism?; Politics Review Online; Vol. 20, No. 3 (Feb. 2011).

23. Outrage at 'old Europe' remarks; BBC News; January 23, 2003- http://news.bbc.co.uk/2/hi/europe/2687403.stm

24. Pritchard, Claire; Who Cares if We Violate the Geneva Convention?; Chicago Policy Review; May 31, 2013- http://chicagopolicyreview.org/2013/05/31/who-cares-if-we-violate-the-geneva-convention/

25. Golub, Philip S; Conflict in the Balkans: An International Community?; Le Monde Diplomatique; June 1999- http://mondediplo.com/1999/06/06golub

26. "The international community does exist. It has an address. It has achievements to its credit. And it is the only way forward."-U.N. Secretary-General Kofi Annan; The Address to the 52nd DPI/NGO Conference in New York City; September 15, 1999- http://www.un.org/News/Press/docs/1999/19990915.sgsm7133.doc.html

27. Ralph, Jason; Tony Blair's 'new doctrine of international community' and the UK decision to invade Iraq; POLIS Working Paper No. 20; School of Politics & International Studies; August 2005- http://www.polis.leeds.ac.uk/assets/files/research/working-papers/wp20ralph.pdf

28. Created ad hoc after the declarations of independence by Abkhazia and South Ossetia and their subsequent international recognition by Russia, Nicaragua, Venezuela, Nauru, Vanuatu, Tuvalu (although Vanuatu, in a horribly embarrassing manner, later withdrew it).

29. As in the case of Russia and the other states recognizing Abkhazia and South Ossetia, and in the case of the NATO states' attack on and destruction of Libya, which went far beyond the U.N. mandate of ensuring a no-fly zone over the territory of that member of the U.N.

30. "Since the Industrial Revolution in Britain, the self-centered way of thinking that long formed in Western powers has been swelling with the constantly consolidated powers. One of the performances is that some Western politicians often make improper comments in the name of 'international community' when they talk about the international affairs or in the Western media reports. In their eyes, they are the 'international community'" - How the world opinion is kidnapped by West's "international community" rhetoric; People's Daily Online; September 1, 2013- http://english.peopledaily.com.cn/90777/7932499.html

31. See: Letter by Adolfo Pérez Esquivel to Barack Obama (accessed on Sept. 8, 2013)- http://www.democraticunderground.com/10023621013

32. "When you next hear the term, what is being referred to is not the international community at all - understood as all the nation-states that make up the world - but just a small sliver of it, our bit. The great majority of the world, indeed - the west constitutes less than one-fifth of the world's population - is, in fact, being tacitly ignored: unless, of course, it happens to agree with the west, in which case it is implicitly tagged on the end as a good old western fellow-traveler."-Jacques, Martin; What the hell is the international community?; The Guardian; Aug. 24, 2006 -http://www.theguardian.com/commentisfree/2006/aug/24/whatthehellistheinternati

33. Modelski, George (Jerzy), Long Cycles in World Politics, University of Washington Press, 1987; Bull, Hedley, The Anarchical Society: A Study of Order in World Politics, Columbia University Press, 2002; Georg Schwarzenberger, International Law, Stevens, 1949; Juraj Andrassy, International Law, Školska knjiga, Zagreb, 2010.

34. Documented widely, from The Contras, Cocaine, and Covert Operations [http://www2.gwu.edu/~nsarchiv/NSAEBB/NSAEBB2/nsaebb2.htm], through Albanian Mobsters: Albanian Mafia, Rudaj Organization, Princ Dobroshi, Ismail Lika [http://www.barnesandnoble.com/w/albanian-mobsters-books-llc/1103425185?ean=9781158328673], to Syrian Rebels Funded by Afghan Drug Sales [http://en.rian.ru/russia/20130411/180581557.html]

35. "It was Yugoslavia's resistance of the broader trends of political and economic reform--not the plight of the Kosovar Albanians--that best explains NATO's war." - Norris, John; Collision Course: NATO, Russia, and Kosovo; Greenwood Publishing Group, Preager, NY; 2005; p. xxiii.

36. Smaller than the Sea of Marmara (11,350 sq. km.), between the Bosphorus and the Dardanelles straights in Turkey, the U.S. state of Connecticut (14,357 sq. km.), or the U.K. county of Yorkshire (11,903 sq. km.), about half the size of the State of Mexico and a bit smaller than the State of Queretaro.

37. Reliable and complete census data haven't been available for Kosovo and Metohija for at least three decades.

38. See: Külzer, Andreas; The Byzantine road system in Eastern Thrace; 4th International Symposium on Thracian Studies, April 2007; Verlag Adolf M. Hakkert; Amsterdam; 2011., or: Tafel, Gottlieb L. F.; Via Militaris & Egnatia; 1841; Columbia University Libraries, Preservation Department; Master negative #: 91-80058-10; - http:// ia600804.us.archive.org/6/items/viamilitarisroma00tafe/viamilitarisroma00tafe.pdf

39. The "Nabucco" pipeline project was aborted in the summer of 2013. - https://www.wsws.org/en/articles/2013/07/13/nabu-j13.html

40. http://www.south-stream.info/en/pipeline/route/

41. Untrue, as the still non-existent economy shows, just as in Libya today, in spite of the positive propaganda about its "anticipated boom in natural resources". - See: Cockburn, Patrick; Special report: We all thought Libya had moved on - it has, but into lawlessness and ruin; The Independent; September 3, 2013 - (accessed on Sept. 8, 2013) http://www.independent.co.uk/news/world/africa/special-report-we-all-thought-libya-had-moved-on--it-has-but-into-lawlessness-and-ruin-8797041.html

42. "Invest in Kosovo. Ignite your success!" - Publication by the Investment Promotion Agency of Kosovo; Ministry of Trade and Industry; March 22, 2013 - http://www.bitkom.org/files/documents/IPAK__PPT_General_22_03_13.pdf

43. http://www.indexmundi.com/kosovo/unemployment_rate.html

44. And the U.N.'s Mission in Kosovo Privatization Policy made it easier than anywhere else in the world–means of production and real estate may be bought disregarding their deeds.

45. “Kosova [Kosovo] mine [mineral] resources are worthy of 13.5 billion Euros, according to a joint survey conducted by the Directorate for Mines and Minerals and the World Bank.” - http://kosovareport.blogspot.com/2005/01/world-bank-survey-puts-kosovos-mineral.html

46. Vickers, Miranda; Between Serb and Albanian-A History of Kosovo; Columbia University Press; 1988; page XV.

47. George Soros, a billionaire financier/amateur politician, eager to acquire the Trepča mines [http://emperors-clothes.com/articles/Johnstone/howitis.htm], vying for it with H.R.H. Prince Michael of Kent, according to the Kosovo Privatization Agency Director Shkelzen Luka [as reported by www.economy.rs/vesti/18697/Kosovo--Vojvodina-izgradila--Princ-od-Kenta-dobija-na-poklon.html]. Madeleine Albright, U.S. Secretary of State at the time of NATO war on Yugoslavia, is contending for mobile phones and internet opportunities in Kosovo [http://www.nytimes.com/2013/01/11/world/europe/ex-us-official-pulls-bid-for-kosovo-telecom-stake.html?_r=0], while Wesley Clark, the Supreme Commander of NATO during the "Madeleine's War" in 1999, is "seeking a license to explore Kosovo's underground coal deposits to use to make synthetic fuel for cars and planes." [Marketplace; Oct. 26, 2012- http://www.marketplace.org/topics/world/wesley-clark-puts-name-behind-kosovo-coal-project]

48. "[It] also included the Serbian province of Sandzak and the northwestern part of today's Macedonia." - See: Joksimovich, Vojin Ph.D.; Kosovo is Serbia; gmbooks.com - http://www.gmbooks.com/product/Kosovo-GM.html

49. "Proof of the Serbian origin of the name and the loanword status of the immigrant Albanian term is that the word "kosovo" has a clear etymology to anyone who knows a Slavic language, while Albanian "Kosova" is an opaque, meaningless place name in the Albanian language." - Maher, J. P.; Professor of Linguistics, Emeritus; Northeastern Illinois University; "Kosova" or "Kosovo"? - What's in a Name?; http://emperor.vwh.net/articles/JP%20maher/InAname.html

50. Although many scholars in the West publish linguistically baseless claims that the word is of "Turkish-Albanian origin", in spite of the fact that it doesn't have any meaning at all in either of them. See: Vickers, Miranda; Between Serb and Albanian-A History of Kosovo; Columbia University Press; 1988; page XIV.

51. “Spectral evidence refers to a witness testimony that the accused person’s spirit or spectral shape appeared to [the] witness in a dream at the time the accused person’s physical body was at another location. It was accepted in the courts during the Salem Witch Trials.” [June-September 1692] - http://definitions.uslegal.com/s/spectral-evidence/ - It reappeared in the U.S. in 2013: “Jurors at the Jacko trial heard testimony from a surprise witness yesterday — the ghost of Michael Jackson! [...] In the supernatural tête-á-tête, Jacko’s ghost allegedly absolved Dr. Conrad Murray of any guilt in his death and admitted he “accidentally killed himself.” - “Ghost” of Jacko stars at LA trial; New York Post; June 12, 2013. - http://www.nypost.com/p/news/national/ghost_of_jacko_stars_at_la_trial_Flr5EJeWiSLJQsCT9djE9L

52. Sakran, Frank C.; Palestine Dilemma: Arab Rights versus Zionist Aspirations; Public Affairs Press; Washington; 1948; p. 204.

53. See at least the1932 U.S. Stimson Doctrine (on non-recognition of international territorial changes executed by force), and Articles 3 and 11 of the 1933 Montevideo Convention, on the rights and duties of states (prohibition of creation and recognition of puppet states) and the prohibition of the use of force in order to obtain sovereignty. The "international community" claimed they were obsolete until the cases of Abkhazia and South Ossetia.

54. As late as July 28, 2013, the KFOR Commander, German General Walker Halbauer, stated that "As far as military matters are concerned, [I] decide who may enter Kosovo. […] I want to emphasize that in Kosovo, both the U.N. Resolution 1244 and the Kumanovo Agreement, are in force." ("Када је војска у питању ја одлучујем ко може да уђе на Косово. […] Хоћу да нагласим да је на Косову и даље на снази и Резолуција УН 1244 и Кумановски споразум.") - See: Lazanski, Miroslav; I understand the Serbs from the Ibar River area; Politika; July 28, 2013. -


(english / italiano)

La Serbia che piace ai poteri italiani

1) Frattini sarà consigliere del governo serbo / Dassù (Esteri), forte appoggio per ingresso Belgrado in UE (ANSA)
2) Serbian Government reveals "measures for reform of economy" [il governo in Serbia annuncia tagli salariali generalizzati]


=== 1 ===

Frattini sarà consigliere del governo serbo

www.ansa.it - 7 ottobre 2013 - L’ex ministro degli esteri Franco Frattini sarà uno dei consiglieri stranieri del governo serbo. Lo ha detto il vicepremier Aleksandar Vucic. Nei giorni scorsi Belgrado aveva annunciato l’assunzione, in qualità di consiglieri, dell’ex direttore generale dell’Fmi Dominique Strauss-Kahn e dell’ex cancelliere austriaco Alfred Gusenbauer. “Sono pronto a far tesoro dell’esperienza di Franco Frattini, Alfred Gusenbauer e Dominique Strauss-Kahn”, ha detto Vucic al canale televisivo privato Prva.
Frattini, che è presidente della Società italiana per l’organizzazione internazionale (SIOI), è il candidato del governo italiano alla carica di segretario generale della Nato.
Vucic ha detto che lui personalmente condurrà la consulenza con Frattini, che non percepirà alcun compenso. “Frattini aiuterà il governo serbo nel processo di integrazione europea, in modo particolare per quanto riguarda i capitoli 23 e 24 dei negoziati di adesione - ha precisato Vucic - Il governo serbo è convinto che Frattini, con le sue proposte e le sue attività, offrirà al meglio assistenza e appoggio alla Serbia nel processo di adesione all’Unione europea. Frattini - conclude la dichiarazione - ha accettato l’invito del governo, e presterà la sua consulenza senza alcun compenso e attraverso contatti personali con il primo vicepremier Aleksandar Vucic”.

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Dassù (Esteri), forte appoggio per ingresso Belgrado in UE 

www.ansa.it - 9 ottobre 2013 - L’Italia appoggia con forza l’ingresso della Serbia nell’Unione europea, e al vertice bilaterale in programma il 15 ottobre ad Ancona offrirà a Belgrado anche un supporto tecnico per affrontare alcuni dei capitoli negoziali. Lo ha detto il viceministro degli esteri, Marta Dassù, in visita oggi nella capitale serba.
Parlando con i giornalisti in una pausa dei colloqui, Dassù ha fatto riferimento alla consulenza che l’ex ministro degli esteri Franco Frattini ha accettato di offrire al vicepremier serbo Aleksandar Vucic sulla tematica europea, in modo particolare sui capitoli negoziali 23 e 24. Una consulenza, ha osservato, “gratuita e basata sulla stima personale di Vucic per l’ex commissario europeo. Naturalmente in questo Franco Frattini ha l’appoggio del governo italiano”, ha detto Dassù, che ha incontrato il premier serbo Ivica Dacic, il vicepremier Aleksandar Vucic e il ministro degli esteri Ivan Mrkic.
Uno dei temi in agenda al vertice intergovernativo di Ancona, ha precisato Dassù, è quello della Macroregione Adriatico-Ionica. Per questo alla vigilia del summit, il 14 ottobre, si riunirà ad Ancona il tavolo tecnico che l’Italia presiede con la Serbia su infrastrutture e trasporti, uno dei grandi capitoli di questa cooperazione regionale. Dei risultati di tale riunione tecnica verrà riferito al vertice.
“Stiamo mettendo a punto il piano d’azione che dovrà essere approvato dal Consiglio europeo nel dicembre 2014, a conclusione del semestre di presidenza italiana”. È importante, ha rilevato Dassù, che della Macroregione Adriatico-Ionica facciano parte Paesi che appartengono alla Ue e altri che sono invece fuori: “Ciò facilita una armonizzazione degli standard”.
Il viceministro degli Esteri ha indicato due ragioni che hanno reso di particolare interesse la sua visita odierna a Belgrado: l’accordo raggiunto a Bruxelles fra i premier Ivica Dacic e Hashim Thaci, che “ha consentito di risolvere alcuni problemi aperti prima delle elezioni locali del 3 novembre in Kosovo” (“progressi sono ancora necessari per completare l’attuazione dell’accordo di aprile, ma l’Italia è fiduciosa”), e l’approvazione da parte del governo serbo di un pacchetto di misure economiche, importanti anche per migliorare in prospettiva il clima economico generale.
Cosa questa che interessa all’Italia che ha 500 imprese italiane che operano in Serbia. Marta Dassù ha detto al tempo stesso di aver spiegato ai suoi interlocutori serbi “che l’Italia ha rafforzato la sua solidità politica interna, fattore importante in vista della presidenza di turno della Ue che il nostro Paese avrà nella seconda metà del 2014!”.


=== 2 ===


POLITICS | OCTOBER 8, 2013 | 13:17

Govt. reveals "measures for reform of economy"


SOURCE: B92, TANJUG

BELGRADE -- The government has announced it will reduce the salary mass, raise the lower VAT rate to 10%, cut subsidies, make savings on goods, and use "cheaper loans."


In addition, the government measures presented on Tuesday by Finance Minister Lazar Krstić envisage "changing the business environment."

Krstić unveiled the measures during an open session of the government, held in Belgrade. 

Starting in 2014, public sector salaries now over RSD 60,000 (EUR 525) will be reduced by cutting 20 percent of the amount over 60,000, and those exceeding RSD 100,000 (EUR 870) by 25 percent, according to the same calculation. 

Krstić explained that this means that a person now earning 70,000 net - will be receiving 68,000 net after the measures have been introduced. 

Referring to the latest data from the register of public sector employees, the minister said that there was "still no accurate and definitive data" on the number of employees in the sector, and that it was "between 660,000 and 700,000 people." 

He announced a significant reduction of state subsidies, which will bring the biggest savings in the budget and the completion of privatization of 179 enterprises and restructuring of large public systems. He said that subsidies provided by the state were twice as high as "in other countries." 

Krstić then noted that Serbia was "going to the EU" and that it cannot provide state assistance to any other sector except agriculture and railways. 

Krstić said that the proposed measures were primarily related to the economy, however, the open government session was not attended by Minister of Economy Saša Radulović. 

Radulović was instead attending a meeting in the Serbian Chamber of Commerce on ways to "professionalize" the work of public enterprises. 

Krstić announced that the lowest VAT rate would be raised from eight to ten percent for "non-existential products." 

The increase will hike the consumer basket to RSD 65,450 from the current 65,000. 

"It should provide around EUR 200 million annually, while another EUR 150 million would go into the budget by reducing the gray economy, smuggling and illegal tobacco trafficking," he noted. 

Besides the activities against the gray economy, Krstić also announced the introduction of standardized electronic forms, online control of fiscal receipts, more control on the ground and a thorough reorganization of the Tax Administration. 

Another of the announced measures mentioned is the use of cheaper foreign loans, which the minister said would be obtained "primarily via bilateral contacts and diplomatic relations." 

"In this way, we admit that we are sick and start the recovery using the measures and political unity behind the proposed moves," said Krstić. 

He also told the government session that Serbia's economic and fiscal policies over the past ten years "had been irresponsible and lacked transparency," and added: 

"The problem was not that Serbia's debt was growing, as all countries increase their debt in times of crisis, but the fact that the funds were used to cover current expenses, while there were not enough brave moves necessary for economic recovery." 

Krstić announced structural reforms to would be further discussed in 2014, while the effects of the measures are expected in 2015. The Serbian government will invest efforts to improve the business environment considerably, which is why amendments to legal regulations, primarily the Labor Law, will have to be adopted, Krstić stated on Tuesday. 

He said that changes in certain laws, especially the Labor Law, were necessary so as to ensure "more flexible" hiring and sacking of workers. 

He noted that Serbia will have to change the model of infrastructural investments, which means that the government will not longer be able to act as the financier. 

“One of the models will cover partnerships between the public and private sectors, and we will try to make sure that local companies do the biggest share of the work,” Krstić said. 

He noted that the procedures for issuing construction permits would be simplified and that the Finance Ministry will have to significantly change the regulations concerning fees and make the entire process more transparent. He said that this will help Serbia improve its business environment, which is very important for attracting foreign investments. 

Announcing the necessary increase in the social protection spending when it comes to the most vulnerable population, the minister said it would be by 50 percent and amount to EUR 60 million, and that "the reform of the public administration would follow." 

The pension system reform would also continue, "along with a further indexing of pensions in 2015 and 2016 of 0.5 percent, twice a year." 

Krstić said the government planned to, by 2020, move the retirement age for men and women closer, so that women would retire at 63, and men when they are 65 years old. 

The budget deficit is now 4.7 percent, while IMF estimates range up to eight percent, he revealed. At the same time the public debt ranges from 58 to 60 percent, Krstić warned. 

"Without these measures, we would go bankrupt in the next two years," said Krstić. 

The minister also announced another revision of the state budget for 2013, "because revenues will be reduced by 20 billion" compared to the planned figure.




Sulla figura storica di Gavrilo Princip e sul tema di "Sarajevo 2014" si veda anche la ulteriore documentazione e le poesie, raccolte alla nostra pagina https://www.cnj.it/documentazione/gavrilo.htm :

• Note sulla iniziativa "Sarajevo 2014" e su Gavrilo Princip
• Гаврило Принцип: Сарајево, 1914 / Gavrilo Princip: Sarajevo, 1914 / Gavrilo Princip: Sarajevo, 1914
• Kusturica: Lo storico Clark paragona "Mlada Bosna" ad Al-Qaeda / Kusturica: Istoričar Klark "Mladu Bosnu" uporedio sa Al Kaidom
• San / A Dream


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Peace Event Sarajevo 2014: perché non aderire

Gianmarco Pisa

L’idea di un Evento di Pace a Sarajevo in occasione del centenario della prima guerra mondiale e del lungo ventennale della guerra di Bosnia è stata dettata da alcune circostanze e da una ispirazione di fondo. La circostanza è indubbiamente legata alla ricorrenza: a cento anni di distanza dalla Grande Guerra (1914-2014) essa può costituire l’occasione di una riflessione su un secolo breve a lungo attraversato da guerre e conflitti ed a venti anni da uno dei lunghi anni della Guerra di Bosnia (1992-1995) può alimentare la memoria e la riflessione e indurre spunti e sollecitazioni preziose per un secolo nuovo all’insegna della pace e della giustizia, della solidarietà e dell’amicizia tra i popoli. 

È proprio su questo terreno che, sin dalla sua indizione, il “Sarajevo Peace Event 2014” non ha mancato di suscitare dubbi e perplessità, di alimentare resistenze e divisioni anziché solidarietà e amicizia, di finire per accendere polemiche e lacerazioni, in una direzione paradossalmente eguale e contraria a quella mostrata nei suoi intendimenti dichiarati. Il tutto, sin dall’ispirazione di fondo: quella di fare in terra di Bosnia qualcosa di analogo a quanto realizzato in occasione dei Saloni per la Pace di Parigi nell’ambito delle celebrazioni e delle iniziative inquadrate nel programma della Decade delle Nazioni Unite per una Cultura di Pace e Non-violenza (2001-2010); col rischio di fare dell’evento di Sarajevo più una vetrina dei grandi “donatori inter-nazionali” che una occasione utile al “lavoro di pace”. 

Sin dalla dichiarazione programmatica, infatti, l’Evento di Pace di Sarajevo attesta come l'anno 2014 segna il 100 ° anniversario dell'inizio della prima guerra mondiale, che è stata innescata dall'assassinio dell'erede al trono austriaco a Sarajevo il 28 giugno 1914. Questa può essere vista come una data simbolica per un secolo di "cultura della guerra e della violenza", con due guerre mondiali e innumerevoli guerre regionali - tra cui quella nei paesi dell'ex Jugoslavia negli anni Novanta, quando Sarajevo ha sofferto l'assedio della città nella "ultima guerra in Europa" - così come per il dominio globale della violenza strutturale e culturale

Una dichiarazione nella quale l’uccisione di Francesco Ferdinando, erede al trono asburgico (della potenza allora occupante, in Bosnia) è considerata alla stregua di un mero assassinio e, di conseguenza, l’azione di Gavrilo Princip (irredentista serbo-bosniaco, patriota e rivoluzionario) ridotta ad una mera azione terroristica (secondo la vulgata bosniacca e austriaca che ha fatto di un movimento di liberazione, Mlada Bosna, la “Giovane Bosnia”, né più né meno di un movimento violento, estremista e terrorista). 

Ciò è bastato ad alienare all’organizzazione del “Sarajevo Peace Event 2014” il favore della gran parte della opinione pubblica serba, con non pochi intellettuali che si sono assai negativamente espressi contro l’operazione di falsificazione e di manipolazione che sovrintende all’evento del 2014, e con lo stesso vertice politico e istituzionale della Repubblica Serba di Bosnia (una delle due entità delle quali si compone la Bosnia Erzegovina all’indomani degli Accordi e della Costituzione di Dayton, 1995) che ha prima stigmatizzato la separazione e il non coinvolgimento dei serbi di Bosnia e quindi formalmente invitato i serbi di Bosnia a non aderire e a non partecipare ad un evento di tale natura. 

Preoccupazioni analoghe sono state ribadite, al più alto livello, anche dal premier serbo, il socialista Ivica Dacic, che è tornato in particolare sulla questione della revisione e della mistificazione della storia, e sulla campagna di denigrazione ed emarginazione dei serbi, che vorrebbe metterli, in un modo o nell’altro, ancora una volta, sul banco degli imputati, bollandoli come nazionalisti e guerrafondai ed attribuendo loro il grosso delle colpe e delle responsabilità per la destabilizzazione che ha portato alla prima guerra mondiale. 

Il 99° anniversario della famosa battaglia di Cer, celebrato lo scorso 19 Agosto con i più alti onori militari e statali a Tekeris, vicino Loznica, nella Serbia occidentale, come la battaglia in cui l’esercito serbo ha segnato la prima vittoria per le forze alleate contro l'esercito austro-ungarico durante la stessa prima guerra mondiale, ha costituito l’occasione e la cornice, per le massime autorità statali serbe e in primo luogo per il premier Dacic, per tornare sulla questione e puntualizzare la posizione.

Rivolgendosi ai cittadini riuniti nell’occasione, Dacic ha detto che la Serbia deve lottare per la verità sulla Grande Guerra, cento anni dopo lo scoppio della prima guerra mondiale, e deve contrastare il tentativo in corso di “revisione” della storia. Ha inoltre espresso la preoccupazione che, nella celebrazione del 100° anniversario della prima guerra mondiale a Sarajevo, i serbi siano ancora una volta “messi ai margini” ed accusati di incitamento del più grande conflitto armato della storia moderna.

Tali tentativi sono stati rinnovati con maggiore insistenza anche nel corso degli ultimi mesi, in modo da incolpare i serbi per l’assassinio di Sarajevo, in cui i membri della organizzazione irredentista, Mlada Bosna, hanno colpito il principe austro-ungarico Francesco Ferdinando e la moglie il 28 giugno 1914. Il fatto di collocare in tale evento l’inizio reale del conflitto mondiale dimostra il tentativo di falsificazione in atto e la strumentalizzazione dell’evento stesso. Un fatto che viene ignorato in questo contesto è che l’assassinio di Sarajevo è stato utilizzato come scusa e pretesto per le tendenze imperialiste e per i piani di aggressione da parte dell’Austria-Ungheria e della Germania, come è stato ricordato da Dacic.
 
Tale processo di autentico, negativo, “revisionismo storico”, passa sia per la lettura strumentale della storia, sia per le iniziative che intendono muoversi sul terreno del ricordo, della memoria e del simbolico. Dacic ha ricordato che vi sono annunci che indicano l’intenzione, da parte delle autorità cittadine, di erigere un monumento in onore di Francesco Ferdinando a Sarajevo, aggiungendo che questo potrebbe rappresentare una “sanzione” della revisione della storia in atto e che deve essere evitato. Ha infine ricordato che Gavrilo Princip e gli altri partecipanti ai fatti di Sarajevo non erano solo serbi, ma membri del movimento jugoslavo, per l’unità degli Slavi del Sud, che ha raccolto molti croati e molti musulmani.

Questo è il motivo per cui è importante, per preservare una memoria corretta e limpida degli eventi che hanno avuto luogo cento anni fa, ricordare e illustrare i contenuti degli eventi e il reale svolgimento dei fatti e trasferirli correttamente presso le più giovani generazioni. Non va dimenticato che i serbi sono stati tra le maggiori vittime nella prima guerra mondiale e hanno dovuto affrontare, in quella circostanza, il peggior ultimatum che un Paese abbia potuto, sino a quel momento, imporre a un altro Stato. 

Le maggiori potenze dell’epoca hanno preso parte all'aggressione alla Serbia, e la Serbia avrebbe continuato a subire aggressioni a sfondo imperialistico anche negli anni a seguire, come dimostrano l’invasione e il bombardamento di Belgrado ad opera dei Nazisti nel 1941, nel corso della seconda guerra mondiale, e l’ultimatum di Rambouillet e l’aggressione della NATO contro l’intera Serbia nel 1999, guerra per la quale si stimano danni complessivi per oltre cento miliardi di dollari. Per intendersi, l’intero Prodotto Lordo della Serbia, nel 2013, è di poco superiore ai quaranta miliardi di dollari complessivi. 

Tutto questo ovviamente non intende mettere in discussione la “buona fede” di chi, animato sinceramente dalla volontà di offrire un contributo fattivo alla promozione di un percorso internazionale di pace e giustizia, ha inteso confermare la propria adesione all’evento, tra cui, anche alcune associazioni italiane impegnate sul tema della pace e della nonviolenza. È semmai il “combinato disposto” dei detti, inaccettabili, presupposti e del susseguente, preoccupante, panorama di supporter, a dare ragione a quanti, giudicando inammissibile che attori poco limpidi o apertamente compromessi con le politiche dominanti di guerra e di aggressione, possano farla da protagonisti, ne hanno preso le distanze.  

USAID è il sostenitore e lo sponsor principale delle organizzazioni bosniache che coordinano il processo; l’Open Society di Georg Soros è tra i principali supporter e finanziatori di una ampia platea di organizzazioni e fondazioni che sono sin dall’inizio nella rete dei promotori dell’evento; alcuni tra i protagonisti hanno tra i propri sponsor e supporter, sia a livello di organizzazioni sia a livello di progetti, ambasciate straniere non esattamente indifferenti al passato (storico e recente) e al presente della complessa vicenda di guerra dei Balcani, tra cui l’Austria e in particolare la Francia e laGermania

Quest’ultima, come è stata il principale sponsor delle secessioni unilaterali che, tra il 1991 e il 1992, hanno inaugurato la stagione lunga e sanguinosa della disgregazione della Jugoslavia, è oggi il principale finanziatore della “cabina di regia” istituzionale che sovra-intende al complesso delle celebrazioni del centenario e uno dei motori della ridda di eventi che sono in cartellone al 2014. Se tale è l’inaugurazione di un nuovo secolo all’insegna di “pace e nonviolenza”, c’è davvero poco di cui nutrire speranza.


(una versione abbreviata di questo articolo è stata pubblicata anche ai siti:
http://firstlinepress.org/sarajevo-2014-commemorazioni-di-pace-commemorazioni-di-guerra/ 
nonché sul quotidiano online Liberazione, accessibile pero' solo agli abbonati) 




Via Facebook riceviamo da Mark Bernardini, e volentieri diffondiamo:

"Vi scrivo perché ormai è ufficiale: il 31 dicembre verrà chiusa la radio italiana “La Voce della Russia”. Perdiamo uno dei pochissimi canali di informazione, che ha sempre illustrato non solo le attività bilaterali, ma anche quelle degli italiani in Russia. La sensazione è che l’Italia venga declassata a Paese secondario, nelle relazioni internazionali della Russia. Solo che non è una decisione dello Stato, o del governo, o dei ministeri competenti, bensì solo ed esclusivamente del presidente della radio (non di quella italiana), che afferma addirittura che gli ascoltatori si contino sulle dita di una mano. Vorrei che leggeste la lettera del nostro capo redattore, che vi allego, per poi, se lo riterrete opportuno e possibile, aggiungere anche la vostra voce alle tante che già manifestano il loro rammarico (ambasciata, consoli onorari, banche, imprenditori, singoli ascoltatori). Grazie in ogni caso."

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От: Александр Прохоров <prokhorov59 @ mail.ru>

Отправлено: суббота, 7 сентября 2013 г. 20:01

Тема: Fwd: La redazione radiofonica italiana de “La Voce della Russia”

Важность: Высокая

Gentile Sig.

Volevamo informarla che il 31 dicembre 2013 cesseranno le trasmissioni in italiano de “La Voce della Russia”.

Ci sembra che si tratti di una decisione profondamente errata, in quanto questa radio è profondamente radicata nel territorio e rappresenta praticamente l’unica fonte di informazione obiettiva sulla Russia.

Una decisione inoltre che va contro la tendenza generale che vede la radiofonia in costante sviluppo. Oltre a decine di migliaia di stazioni radio che operano in Italia da ogni centro abitato, potenziano la loro presenza, aumentando le ore di trasmissione in italiano, le emittenti straniere fra cui citiamo soltanto Radio Capodistria e Radio Pechino che trasmettono 24 ore su 24.

La fine delle trasmissioni in italiano de La Voce della Russia sarebbe profondamente negativa sul piano politico specialmente alla luce dei prossimi avvenimenti come:

o  L’Anno incrociato del turismo Italia – Russia
o  Le Olimpiadi di Soci
o  Il forum euroasiatico sull’innovazione e l’internazionalizzazione del 17-18 ottobre a Verona
o  Il vertice bilaterale italo – russo del 26 novembre a Trieste
o  L’anno 2014 dedicato alla cultura in Russia
o  Il semestre di presidenza italiana in seno all’UE nella seconda metà del 2014
o  Senza dimenticare della politica italiana relativa al Medioriente.
La tendenza principale nell’azienda è quella di passare dal formato “radio” a quello semplicemente elettronico, che limiterà la fruizione degli utenti ad articoli sprovvisti del formato vocale. Come ci hanno scritto in precedenza molti ascoltatori de “La Voce della Russia” dall’estero, l’eliminazione delle onde corte è vista come un passo verso la chiusura definitiva ed uccide la nostra radio, negando la possibilità di far arrivare informazione nuova, alternativa e fresca nei diversi Paesi esteri. L’idea che notiziari on line di varia natura possano sostituire la viva voce della radio è profondamente velleitaria e rappresenta in realtà la chiusura definitiva di una importante e unica forma di informazione.

La nostra redazione ha bisogno del vostro aiuto per impedire questo imperdonabile epilogo.

Noi siamo convinti della vostra solidarietà che potete dimostrare rendendo noto il problema ai massimi vertici del nostro Paese al fine di poter ottenere un valido aiuto.

Come? Basta scrivere una lettera elettronica, in russo, italiano o inglese, ai siti del Presidente (http://www.kremlin.ru, andando nella sezione “mandare una lettera”) e al Ministro degli Esteri Lavrov (sul sito http://www.mid.ru, andare nell’angolo in alto a sx “question e-mail”).

Essendo questa un’informazione confidenziale, la preghiamo di non rispondere sulla posta interna della radio ma all’indirizzo mail da cui ha ricevuto la presente lettera.

Cordialmente

La redazione radiofonica italiana de “La Voce della Russia”

Alexander Prokhorov



(srpskohrvatski / italiano)

5 ottobre 2000-2013: Golpe atlantista in Serbia

1) Milena Arežina - Istina o petom oktobru 2000
2) Gregory Elich: Guerra segreta. L’intervento USA e UE in Jugoslavia (2002, estratti)
3) Belgrado, 2 ottobre 2000. Il Presidente Milosevic si rivolge alla Nazione


13 anni fa - il 5 ottobre 2000 - in Jugoslavia un colpo di Stato sobillato dagli Stati Uniti d'America (che finanziarono lautamente i teppisti di OTPOR) e dalla Unione Europea (che vezzeggiò la nuova classe dirigente iper-liberista e corrotta legata al FMI) abbatté il governo delle sinistre ed avviò il paese all'ulteriore smembramento. 

Gli effetti del colpo di Stato si vedranno presto: nel 2003 anche il nome della "Jugoslavia" viene cancellato dalle mappe europee; nel 2006 il Montenegro, con un referendum truccato ma "coperto" dalla UE, secede; nel 2008 USA e buona parte dei paesi UE riconoscono il Kosovo come *settimo* "Stato indipendente" frutto dello squartamento della Jugoslavia. Il governo del Kosovo, dove dal dal 1999 vige l'apartheid nei confronti delle nazionalità non albanesi, è affidato alla cricca di mafiosi e tagliagole reduci dell'UCK...


=== 1 ===

Pitanja i odgovori - Milena Arežina - Istina o petom oktobru 2000 - 05.10.2013


Di Milena Arežina raccomandiamo il libro

Noć prevare – dan izdaje
(La notte dell'inganno - il giorno del tradimento)

Scanner Studio, Beograd 2004

Di professione magistrato, Milena Arezina (autrice ed editrice) narra nei minimi dettagli gli avvenimenti legati alle elezioni anticipate ed al famigerato 5 ottobre 2000.
La figura di Milosevic qui appare ingenua, addirittura vittima ignara di un complotto e di un tradimento ben orchestrato. Un uomo sostanzialmente isolato, o almeno manipolato da consiglieri senza scrupoli vendutisi al miglior offerente.
Milena Arezina come magistrato è nota per la sua coraggiosa lotta contro i mostruosi brogli delle privatizzazioni in Serbia. Il piu noto è il caso della Galenika. Per questo rischiò di essere uccisa il 9 ottobre dalla mafia del "democratico" Djindjic, e fu licenziata dopo che tutta la documentazione dei processi da lei condotti fu fatta sparire dal suo ufficio.
Un libro da non perdere, una testimonianza autentica - utile
sopratutto per quelli che seguono professionalmente le cose jugoslave.

DOWNLOAD: http://www.sarovic.com/pdf/noc_prevare_dan_izdaje.pdf

http://www.nedeljnitelegraf.co.yu/novi/arezina.html
http://www.svedok.co.yu/index.asp?show=39410
http://groups.yahoo.com/group/srpski_svet/message/2413?viscount=100
http://komunist.free.fr/arhiva/jun2004/nkpj_01.html
http://www.srpskapolitika.com/drugi_pisu/2005/270.html


=== 2 ===

The original text in english can be found at:     
http://www3.sympatico.ca/sr.gowans/elich1.html


What's Left, 8 Novembre 2002

Guerra segreta: l’intervento USA e UE in Jugoslavia

di Gregory Elich

[ESTRATTI]

[...] Ciò che gli USA volevano per davvero, comunque, era la Jugoslavia intera, non solo un altro pezzo. Il Segretario di Stato Madeleine Albright si aspettava e chiedeva dimostrazioni di piazza per abbattere il governo se le elezioni non l’avessero soddisfatta. Al meeting di Banja Luka nella primavera del 2000, Albright espresse disappunto per il fallimento degli sforzi passati di rovesciare il legalmente eletto governo jugoslavo. Albright disse che sperava che le sanzioni spingessero il popolo ad “accusare Milosevic per le loro sofferenze." Una esasperata Albright si chiedeva: "che cosa ferma la gente dallo scendere nelle strade?" Indicando che gli USA aspettavano il pretesto per intervenire, aggiunse: "Ora bisogna che accada in Serbia qualcosa che l’occidente possa appoggiare." (30)
Ogni contingenza era pianificata nell'ambito della campagna  differenziata di destabilizzazione da parte USA. Alla fine fu lo scenario preferito di George Tenet che venne scelto. Un processo elettorale distorto dall’intervento occidentale, assieme a moti di piazza, alla fine  buttarono giù il governo della Jugoslavia.


Gli USA pomparono 35 milioni di dollari nelle tasche dell’opposizione di destra nell’anno precedente le elezioni del 24 Settembre 2000. Tale impegno includeva trasmissioni per le radio dell’opposizione, e computers, telefoni e fax per molte organizzazioni. I media di destra ricevettero altri 6 milioni dollari dall’Unione Europea durante questo periodo. Due organizzazioni sotto l’ombrello del National Endowment for Democracy, il National Democratic Institute e l’International Republican Institute, diedero 4 milioni di dollari per una campagna porta a porta e  programmi elettorali. (31) Funzionari USA assicuravano ai media dell’ opposizione che "non avevano nulla da preoccuparsi riguardo alle spese di oggi" poiché molto di più era in arrivo. (32) Subito dopo le elezioni, Il parlamento degli USA decretò una legge che autorizzava il versamento di altri 105 milioni di dollari per i partiti di destra e i loro media in Jugoslavia. (33) Organizzazioni come l'International Republican Institute e l’Agency for International Development misero molti milioni di dollari nelle tasche di Otpor, rendendo il piccolo gruppo di studenti dell’opposizione una grande forza. Nel momento in cui la data delle elezioni veniva annunciata  in Jugoslavia, Otpor aveva stampato già 60 tonnellate di materiale elettorale. (34)

La settimana prima delle elezioni, l’Unione Europea inviò un "Messaggio al popolo serbo" in cui si annunciava che una vittoria per il candidato dell’opposizione Vojislav Kostunica avrebbe portato all’eliminazione delle sanzioni. "Perfino se Milosevic fosse rieletto democraticamente", affermava un funzionario dell’UE, le sanzioni sarebbero rimaste.  Questa era una potente pressione verso un popolo impoverito e  devastato da anni di sanzioni occidentali. (35)
Il funzionario del Dipartimento di Stato USA William Montgomery  notava: "Raramente si è impiegato tanto fuoco, energia,  entusiasmo, denaro – ogni cosa - quanto ne è stato impiegato in Serbia nei mesi prima della caduta di Milosevic." (36) 
Ancor prima delle elezioni, funzionari occidentali accusavano  il governo jugoslavo di frode elettorale, piantando i semi della distruzione.

Nei giorni delle elezioni ed in seguito, la coalizione detta Opposizione Democratica della Serbia (DOS) proclamò  la vittoria del proprio candidato. Funzionari USA incoraggiavano l’opposizione ad indire delle dimostrazioni di massa, perfino prima che fossero annunciati i risultati ufficiali. In pratica ogni giorno la DOS dichiarava differenti percentuali per il proprio candidato. A un certo punto parlarono del 57 per cento. Due giorni dopo le elezioni, il 26 settembre, la DOS dichiarava che Kostunica aveva avuto il 54.66 percento dei voti, sulla base del 97.5 per cento dei voti scrutinati, ma che 130.000 voti "e i voti dal Kosovo e Montenegro" non erano stati considerati dalla DOS. Il giorno dopo, la DOS annunciò che Kostunica aveva il 52.54 percento dei voti. Il dato era basato, dissero, sul 98.72 per cento degli scrutini. Stavolta, il portavoce dello Staff Elettorale della DOS, Cedomir Jovanovic, cambiò di tono, dichiarando che gli scrutini da fare erano quelli dei militari e quelli postali. Secondo Jovanovic, il 26 settembre, 5.093.038 voti su un totale di 5.223.629 voti erano stati scrutinati, per un totale del 97.5%. Sulla base del totale fornito da Jovanovic, ciò avrebbe significato che meno di 64.000 schede sarebbero state scrutinate il giorno seguente, quando fu dichiarato un conteggio pari al 98.72 percento. Assumendo che Kostunica abbia perso tutti questi voti, la sua percentuale sarebbe dovuta scendere a 52.75, comunque più alta dell’annunciato 52.54%.
Il DOS si avvantaggiò della confusione proveniente da tali significative  differenze sui totali. Il 26 settembre, Jovanovic annunciò che Kostunica aveva avuto 2.783.870 voti, ed il giorno seguente dichiarò che, quando tutti i voti sarebbero stati contati, "Kostunica avrebbe avuto 2.649.000 voti." Quattro giorni dopo, Jovanovic dichiarò 2.424.187 voti per Kostunica, e poi il 2 ottobre il portavoce dell’opposizione Zoran Sami abbassò ulteriormente il totale a 2.414.876, con una percentuale del 51.34%. In seguito, Sami disse che il risultato finale mostrava 2.377.440 voti e una percentuale del 50.35% per Kostunica. Esclusi da tali conteggi erano i voti dal Kosovo e dei rifugiati dal Kosovo.
I media occidentali accettarono acriticamente le dichiarazioni della DOS, proclamandole precise e risultanti da meticolosi scrutini, e grida di frode si alzarono invece contro il Governo jugoslavo.  Chiaramente c’erano state delle frodi. I dati forniti dalla stessa DOS indicano chi stesse commettendo la frode. (37)

Nonostante le dichiarazioni in senso contrario dei media occidentali, il conteggio ufficiale dei voti fu ampiamente pubblicizzato in Jugoslavia. Vojislav Kostunica ottenne il 48.96 percento dei voti, mancando di poco il 50% richiesto per la vittoria al primo turno. Il Presidente Milosevic ottenne il 38.62 percento. Un secondo turno elettorale per i due maggiori candidati venne indetto l’8 ottobre. (38) Appoggiati dai funzionari occidentali, Kostunica e la DOS si rifiutarono di partecipare al secondo turno, dichiarando che avevano già vinto. La DOS presentò proteste prima alla Commissione Elettorale  Federale, e poi alla Corte Costituzionale. Chiedevano, tra l’altro, l’annullamento dei voti dei rifugiati dal Kosovo, e quelli dal Kosovo stesso, dove il Presidente Milosevic aveva ottenuto un vantaggio ampio. La Corte Costituzionale sostenne la proposta di Milovan Zivkovic, membro della Commissione Elettorale Federale,  per riesaminare il voto di tutti i distretti per eliminare i dubbi. (39) Fu la minaccia del riconteggio dei voti a motivare la riduzione quotidiana dei voti e delle percentuali dichiarate dalla DOS per i suoi candidati. La percentuale finale che la DOS annunciò era vicina a quella dei risultati ufficiali. Tuttavia, la DOS  si rifiutò di includere i voti dal Kosovo e quelli dei molti rifugiati dal Kosovo, con il pretesto che il voto in Kosovo chiudeva alle 16:00 invece che alle 20:00. Secondo la DOS, la chiusura anticipata dei seggi avrebbe invalidato tutte le schede di questi votanti.  Solo eliminando i voti dei residenti e rifugiati del Kosovo la  DOS potè proclamare una vittoria attorno al 50 per cento per Kostunica.

Più di 200 osservatori internazionali di 54 paesi monitoravano le elezioni. Gli osservatori seguirono ogni stadio delle elezioni, incluso il conteggio del voto e la correlazione dei risultati. Uno degli osservatori, il Ministro degli esteri greco Carolos Papoulias, concluse: "Tutti quelli che hanno annunciato ampie frodi, come [il commissario agli esteri dell’UE] Javier Solana, hanno sbagliato" e il voto si è svolto in “modo impeccabile."
Atila Volnay, un osservatore ungherese, disse che la sua delegazione aveva visitato molte sezioni elettorali e  confermava la presenza dei rappresentanti dell’opposizione nelle commissioni elettorali, e che "non ci potevano essere anomalie."  Una delegazione di tre persone del Socialist  Labour Party del Regno Unito dichiarò che la Commissione Elettorale Federale "ha fatto di tutto per assicurare che la gente potesse votare senza intimidazioni ed in modo normale," ma che delle irregolarità erano state rilevate in Montenegro. "Abbiamo ricevuto molti rapporti di prima mano da persone che dichiarano di essere state minacciate [dai sostenitori di Djukanovic] che avrebbero  perso il lavoro se fossero andate a votare." La delegazione notò anche che "molti rifugiati dal Kosovo sono stati deliberatamente esclusi dalle liste elettorali del Montenegro" e che la delegazione "può solo concludere che tali tattiche di intimidazione e condizionamento erano destinate ad avvantaggiare la cosiddetta Opposizione Democratica." Il capo della delegazione russa, Konstantin Kosachev, disse che "erano soddisfatti perchè non era stata possibile in pratica  alcuna  falsificazione su larga scala delle elezioni in Jugoslavia." 
Una dichiarazione finale degli osservatori afferma che "Il voto  si è svolto in modo ordinato e tranquillo" e che, "nell’opinione di molti era eguale o superiore a quelli dei loro paesi." (40)

Dato il vantaggio elettorale al primo turno, una vittoria di Kostunica era certa per l’8 ottobre. Quindi, perché Kostunica rifiutò di partecipare al secondo turno? Come risultato delle elezioni del 24 settembre, la coalizione di sinistra aveva ottenuto 74 dei 137 seggi nella Camera dei cittadini e 26 dei 40 seggi nella Camera delle Repubbliche. La coalizione di sinistra aveva già la maggioranza nel Parlamento serbo, la cui  rielezione era prevista l’anno dopo. Sarebbe stato dunque impossibile per la DOS attuare il proprio programma, visto che i poteri del Presidente soro piuttosto limitati. Solo un golpe avrebbe permesso alla DOS di superare i limiti legali e di giungere al governo per regnare senza opposizioni. Il direttore elettorale di Kostunica, Zoran Djindjic, chiamò allo sciopero generale. "Noi dovremo paralizzare ogni istituto, scuola, teatro, cinema, ufficio" e "far scendere in piazza tutti." (41) I sostenitori della DOS ovunque nel paese seguirono la sua chiamata, fermando alcuni settori dell’economia, mentre dimostrazioni di massa si avevano in tutta la Serbia. Lo scenario di Madeleine Albright divenne realtà, nel momento in cui i dimostranti si misero a chiedere la rimozione del governo.

Secondo l’opposizione, almeno 10.000 sostenitori armati della DOS si unirono alla manifestazione finale a Belgrado. L’assalto al Parlamento Federale e alla Radio-Televisione  della Serbia fu guidato da gruppi e da squadre speciali di ex-soldati. Velimir Ilic, sindaco dell’opposizione di Cacak, guidò gli assalti. "La nostra azione era stata pianificata in precedenza" spiegò in seguito. "I nostri scopi erano assai chiari; prendere il controllo delle istituzioni chiave del regime, incluso il parlamento e la televisione." Ilic stabilì anche precedenti contatti con poliziotti rinnegati che assistettero i miliziani di Ilic. (42) E’ probabile che la CIA fosse coinvolta nella pianificazione dei ben coordinati attacchi. Dopo che forze speciali armate ebbero aperto la strada verso il Parlamento Federale, ad esse fecero seguito una massa di ubriachi, supporter della DOS, che irruppero nell’edificio, distruggendo suppellettili e computer e devastando il Parlamento. I poliziotti vennero attaccati e  bande di ubriachi, spesso armati di pistole, sciamarono nelle strade. 
Le ambulanze, che portavano i poliziotti feriti negli ospedali, venivano fermate dagli attivisti della DOS, che chiedevano di consegnargli i poliziotti feriti. Dopo che la Radio Televisione della Serbia a Belgrado venne occupata, essa pure fu incendiata. In tutta la Serbia, gli uffici del Partito Socialista di Serbia (SPS) e della Sinistra Unita Jugoslava (JUL) vennero demoliti. I socialisti vennero minacciati e picchiati, molti furono minacciati per telefono. A Kragujevac, dieci socialisti vennero legati e picchiati per ore. Gli sgherri  della DOS si spinsero fino a casa di Zivojin Stefanovic,  il presidente del Partito Socialista di Leskovac. Dopo aver saccheggiato e distrutto le proprietà di Stefanovic, diedero fuoco alla sua casa. (43)

Mentre la teppaglia capovolgeva e bruciava le auto della polizia, vandalizzando  case e picchiando la gente, Kostunica annunciava: "La Democrazia è arrivata in Serbia. Il Comunismo è caduto. Era proprio ora." (44)
Stabilendo le loro credenziali democratiche, gli attivisti della DOS occupavano sistematicamente i media di sinistra della Jugoslavia. I giornali di sinistra, stazioni radio e televisioni vennero riconvertite in strumenti della destra. Una cultura dei media già ricca  e diversificata, rappresentante l’intero spettro politico, venne sottoposta alla cappa dell’uniformità e della propaganda per la DOS. Bande di sgherri della DOS rimossero con la forza il management delle imprese statali, delle università, di banche ed ospedali delle città di tutta la Serbia. I  ministri del governo vennero spinti alle dimissioni, e la DOS creò un comitato di crisi per svolgere le funzioni del governo, scavalcando il Parlamento Federale e i ministeri governativi. Gli agenti della DOS minacciarono apertamente di aumentare le violenza di strada come mezzo per spingere il Parlamento Serbo ad accordare nuove elezioni, un anno in anticipo rispetto alla scadenza.

I funzionari occidentali non potevano nascondere la loro soddisfazione. Imprese statunitensi ed europee aspettavano il momento per impadronirsi delle imprese di Stato. Il programma economico della DOS era tracciato da una organizzazione denominata Gruppo 17+.
Il loro piano, Progetto per la Serbia, chiedeva una rapida transizione a una piena economia di mercato.
Immediatamente dopo il golpe, la European Bank for Reconstruction and Development subito annunciò piani per aprire un  ufficio a Belgrado. "E’ importante che siamo sul posto subito" spiegava il portavoce della banca Jeff Hiday. "Sospettiamo che ci saranno parecchie privatizzazioni e ristrutturazioni." (45)

Giorni prima del golpe, il Presidente Milosevic aveva avvertito che la DOS era uno strumento della campagna della NATO per imporre un controllo neocoloniale sulla Jugoslavia. Milosevic indicava che i paesi vicini, che erano già vittime dei diktat dell’Occidente, "si sono rapidamente impoveriti in modo tale da distruggere ogni speranza di una società più giusta ed umana" e che l’Europa Orientale vede “una grande divisione tra una maggioranza povera e una ricca minoranza." Inevitabilmente, disse, "tale quadro includerebbe anche noi." (46)

Sola e isolata, la Jugoslavia aveva resistito alla dominazione imperiale, opponendosi alle secessioni, alle sanzioni, alle guerre, ed alle operazioni coperte [cioè: attuate dai servizi segreti, ndt] volute dall'Occidente. Viceversa, essa rimase indipendente e mantenne una economia a carattere prevalentemente sociale. Le più potenti forze del pianeta si schierarono contro di essa, e per un decennio la Jugoslavia resistette. Il golpe della NATO ha spazzato via tutto. In uno dei suoi primi atti da presidente, Kostunica si è unito al Patto di Stabilità dei Balcani. Il suo ministro delle privatizzazioni, Aleksandar Vlahovic, ha annunciato un piano per la privatizzazione di 7.000 aziende... "Mi aspetto che in quattro anni da oggi, le proprietà sociali saranno totalmente eliminate", spiegava Vlahovic, chiarendo che la privatizzazione delle aziende maggiori era appena iniziata. (47) I milioni di dollari con cui l’Occidente  aveva riempito le tasche degli agenti della DOS avrebbero fruttato elevati dividendi.


30) Borislav Komad, "At Albright's Signal," Vecernje Novosti (Belgrade), May 18, 2000.

31) George Jahn, "U.S. Funding Yugoslavian Reformers," Associated Press, September 29, 2000.
Jane Perlez, "U.S. Anti-Milosevic Plan Faces Major Test at Polls," New York Times, September 23, 2000.
"U.S., EU Generous to Foes of Milosevic," Associated Press, October 1, 2000.

32) Steven Erlanger, "Milosevic, Trailing in Polls, Rails Against NATO," New York Times, September 20, 2000.

33) "U.S. House Votes to Fund Yugoslavia's Opposition Movement," CNN, September 25, 2000.

34) Roger Cohen, "Who Really Brought Down Milosevic?" New York Times Magazine, November 26, 2000.

35) Geoff Meade, "Cook Backs EU Over Oust Milosevic Message," London Press Association, September 18, 2000.

36) Roger Cohen, "Who Really Brought Down Milosevic?" New York Times Magazine, November 26, 2000.

37) "DOS Claims Kostunica Leading Milosevic with 54.66 to 35.01 Percent of Vote," BETA (Belgrade), September 26, 2000.
"DOS Announces Kostunica Clear Winner with 98.72 Percent Data Processed," BETA (Belgrade), September 27, 2000.
"Federal Electoral Commission - DOS Election Staff Misinformed Public," Tanjug (Belgrade), October 3, 2000.
"Who Lies Kostunica?" statement by the Socialist Party of Serbia, October 11, 2000.

38) Federal Republic of Yugoslavia web site, www.gov.yu "Total Election Results," and "The Federal Elections Commission Statement." Both statements were removed following the coup.
"Final Results of FRY Presidential Election," Tanjug (Belgrade), September 28, 2000.

39) "Yugoslav Constitutional Court Holds Public Debate on DOS Appeal," Tanjug (Belgrade), October 4, 2000.
"DOS Requests Annulment of 142,000 Kosovo Votes," BETA (Belgrade), September 29, 2000.

40) "Contrary to EU Claims, Yugoslav Elections a Success: Greece," Agence France-Presse, September 26, 2000.
"210 Observers from 53 States Commend FRY Elections," Tanjug (Belgrade), September 27, 2000.
"Foreign Observers Say Elections Democratic and Regular," Tanjug (Belgrade), September 25, 2000.
"Yugoslav Elections - a Lesson in Outside  Interference," Socialist Labour Party statement.
Broadcast, Mayak Radio (Moscow), October 2, 2000.
"'A Fair and Free Election,' International Observers Say," statement by international observers.

41) Misha Savic, "Milosevic Will Take Part in Runoff," Associated Press, October 5, 2000.

42) Richard Boudreaux, "A Mayor's Conspiracy Helped Topple Milosevic," Los Angeles Times, October 10, 2000.
"Cacak Mayor Says He Led Assault on Yugoslav Parliament," Agence France-Presse, October 8, 2000. 
Jonathan Steele, Tim Judah, John Sweeney, Gillian Sandford, Rory Carroll, Peter Beaumont, "An Outrage Too Far," The Observer (London), October 8, 2000.
Gillian Sandford, "Army Units Claim Credit for Uprising," The Guardian (London), October 9, 2000.

43) "Information for the Public," statement by the Socialist Party of Serbia, October 7, 2000.
"Group of Demonstrators Demolished the House of the District Head," BETA (Belgrade), October 6, 2000.

44) "Protesters Storm Yugoslav Parliament," Associated Press, October 5, 2000.
"Good Evening, Liberated Serbia," The Times (London), October 6, 2000.
"Milosevic's Party HQ Ransacked by Protesters," Agence France-Presse, October 5, 2000.

45) Jelena Radulovic, "Yugoslavia's Kostunica Sets Economic Goals for New Government," Bloomberg, October 7, 2000.
"Brains Behind Kostunica Have a Plan," Sydney Morning Herald, October 2, 2000.
Stefan Racin, "Yugoslavia's Opposition Outlines Economic Plans," UPI, September 27, 2000.

46) "Yugoslav President Milosevic Addresses the Nation," Tanjug (Belgrade), October 3, 2000.

47) Beti Bilandzic, "Serbia Eyes New Privatization Law by April," Reuters, January 28, 2001.


Gregory Elich ha pubblicato decine di articoli sui Balcani e l’Asia negli USA, in Canada ed Europa, in pubblicazioni come Covert Action Quarterly, Politika, Junge Welt, Dagbladet Arbejderen, Science&Society, Swans, e altre. Le sue ricerche sugli interventi della CIA in Jugoslavia sono state il soggetto di articoli dei giornali della Germania, Norvegia e Italia, incluso Il Manifesto. È stato coinvolto nelle attività per la pace fin dalla guerra del Vietnam, ed è stato coordinatore del Committee for Peace in Yugoslavia.
È stato membro della delegazione USA in visita in Jugoslavia dopo la guerra della NATO, e membro della delegazione di Margarita Papandreou, la prima occidentale a volare con la compagnia aerea nazionale irachena a Baghdad in sfida alle sanzioni.


(Adattamento del testo a cura del CNJ, sulla base di una traduzione pervenutaci da A. Lattanzio)


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Il Presidente Milosevic si rivolge alla Nazione

Belgrado, 2 ottobre 2000 - (Tanjug) - Il Presidente della R.F.J. Slobodan Milosevic lunedì 2 ottobre 2000 si è rivolto alla nazione attraverso la radiotelevisione serba:

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Cari concittadini,

nell'attesa del secondo turno delle elezioni colgo l'occasione per esporvi la mia opinione sulla situazione politica ed elettorale nel nostro Paese, e in special modo in Serbia.
Come voi sapete, da dieci anni sono in corso manovre per porre tutta la penisola balcanica sotto il controllo di alcune potenze occidentali. Buona parte di questo lavoro è stato compiuto mediante l’insediamento di governi fantoccio in alcuni paesi, trasformati in paesi a sovranità limitata, cioè privati a tutti gli effetti di sovranità.
A causa della resistenza opposta dal nostro Paese a una tale sorte, siamo stati sottoposti a tutte le forme di pressione alle quali un popolo può essere sottoposto nel mondo contemporaneo. Queste pressioni sono andate via via crescendo in quantità ed intensità. 

Tutta l'esperienza accumulata dalle grandi potenze nel 
corso della seconda metà del XX secolo nell'arte di rovesciare governi, provocare disordini, fomentare guerre civili, screditare o liquidare coloro che lottano per la libertà nazionale, ridurre le nazioni e gli stati sull'orlo della miseria - tutto ciò è stato applicato contro il nostro Paese e il nostro popolo. 
Tutto quello che è stato organizzato attorno a queste elezioni fa parte quindi della persecuzione organizzata contro il nostro Paese e il nostro popolo, perchè il nostro Paese e il nostro popolo costituiscono una barriera contro lo stabilirsi di un dominio totale nella penisola balcanica.

Da molto tempo è presente in mezzo a noi un raggruppamento che, con il pretesto di orientare i partiti politici di opposizione, rappresenta gli interessi di quei governi che sono stati protagonisti delle pressioni contro la Jugoslavia e specialmente contro la Serbia. Questa lobby si è presentata a queste elezionisotto il nome di Opposizione Democratica Serba (D.O.S.). Il suo vero capo non è il suo candidato alla presidenza. Da molti anni il suo capo è il presidente del Partito Democratico, collaboratore dell'allenza militare che ha scatenato la guerra contro il nostro Paese. Egli non ha neanche potuto nascondere la sua collaborazione con quelsta alleanza. Nei fatti, tutto il nostro popolo è al corrente del suo appello alla NATO perchè continuasse a bombardare la Serbia per tutto il tempo necessario a spezzarne la resistenza. Il cartello che si è così organizzatoper le elezioni rappresenta gli eserciti e i governi che hanno appena condotto la guerra contro la Jugoslavia. Rappresentando quegli interessi, ha lanciato alla opinione pubblica il messaggio che, con loro al potere, la Jugoslavia sarebbe uscita da ogni pericolo di guerra e di violenza, sarebbe riavviata la prosperitàeconomica, il tenore di vita sarebbe migliorato visibilmente e rapidamente, la Jugoslavia sarebbe reintegrata nelle istituzioni internazionali, e via dicendo.

Cari concittadini, è mio dovere mettervi pubblicamente in guardia e per tempo sulla falsità di queste promesse e sul fatto che la situazione è ben diversa. E’ proprio la nostra politica che garantisce la pace, mentre la loro provoca conflitti incessanti e violenza e vi dirò perchè.
Con l’instaurazione di un governo appoggiato o direttamente insediato dalla comunità dei paesi riuniti nella NATO, la Jugoslavia diventerebbe inevitabilmente un Paese il cui territorio verrebbe rapidamente smembrato.
Queste non sono soltanto le intenzioni della NATO. Queste sono le promesse pre-elettorali della Opposizione Democratica Serba. Noi l'abbiamo ascoltato dalla bocca dei suoi stessi rappresentanti: 

- il Sangiaccato otterrebbe l'autonomia che un membro della coalizione, leader di un'organizzazione separatista musulmana, Suleiman Ugljanin, reclama da dieci anni- e che significherebbe, nei fatti, la separazione definitiva del Sangiaccato dalla Serbia.

- Le loro promesse comprendono anche l'ottenimento da parte della 
Vojvodina di un'autonomia che non soltanto la separerebbe dalla Serbia e dalla Jugoslavia, ma la trasformerebbe nei fatti in parte integrante della vicina Ungheria.

- Nello stesso modo, altre regioni sarebbero separate dalla 
Serbia, e anche alcune zone di frontiera. La loro annessione da parte degli Stati confinanti costituisce da lungo tempo un imperativo per questi paesi, che continuano ad incitare le loro minoranze presenti in Jugoslavia a contribuire all'integrazione di queste parti del nostro Paese negli Stati vicini.

- Nel quadro di questa politica di smembramento della Jugoslavia, 
il Kosovo sarebbe la prima vittima. Il suo status attuale sarebbe dichiarato legale e definitivo. Questa sarebbe la prima parte del suo territorio cui la Serbia dovrebbe dire addio, senza poter neanche sperare che questa parte della sua terra le possa mai essere restituita.

- Il resto del territorio che continuerà a chiamarsi Serbia 
verrebbe occupato da forze militari internazionali, USA o comunque straniere, che tratteranno il nostro territorio come loro zona di esercitazioni militari e loro proprietà, da controllare secondo gli interessi della potenza che disloca il proprio esercito di occupazione. Abbiamo visto casi di controllo simili, e le loro conseguenze, negli scorsi decenni, e specialmente negli ultimi dieci anni in molti paesi nel mondo e ultimamente purtroppo anche in Europa, per esempio nel Kosovo, nella Repubblica Serba di Bosnia, in Macedonia, per restare intorno a noi. Il popolo della Serbia subirebbe la stessa sorte dei Kurdi, con la prospettiva di essere sterminato ben piùrapidamente dei Kurdi, essendo meno numeroso e muovendosi su un territorio assai più ristretto del loro.

- Quanto al Montenegro, il suo destino sarebbe lasciato nelle 
mani della mafia le cui regole del gioco i cittadini dovrebbero conoscere: ogni infrazione alla disciplina e soprattutto ogni opposizione agli interessi mafiosi è punita con la morte, senza alcun diritto di appello.

Vi ho descritto il destino della Jugoslavia in caso di accettazione dell’opzione NATO per il nostro paese, con l'intento di mettervi in guardia che oltre e più della perdita territoriale e all’umiliazione del popolo, noi ci troveremo tutti a vivere in un clima di continue violenze. I nuovi proprietari degli antichi territori dello Stato di Jugoslavia e gli occupanti del restante territorio serbo terrorizzerebbero, come è nella natura delle cose, le popolazioni dei territori che andrebbero ad occupare.
Nello stesso tempo, il popolo serbo stesso si batterebbe continuamente per ristabilire uno Stato serbo nel quale potersi riunire.
Queste potenze non vogliono la pace e la prosperità nei Balcani. Esse vogliono che questa sia una zona di conflitti permanenti e di guerre che servano da alibi a far perdurare la loro presenza. 

Un governo fantoccio è una garanzia certa di violenze, forse 
anche di molti anni di guerra. Di tutto salvo che di pace. Solo il nostro governo indipendente può garantire la pace.
Non solo questo. Tutti i paesi che si sono trovati in condizioni di sovranità limitata e con governi sotto l'influenza di potenze straniere si sono rapidamente impoveriti in misura tale da distruggere ogni speranza di relazioni sociali più giuste e umane. La divisione radicale tra una maggioranza povera e unaminoranza ricca: questo è il quadro che l’Europa orientale ci presenta da diversi anni ormai, come tutti possono constatare. La stessa cosa accadrebbe anche a noi. Anche noi, una volta sottoposti al comando e al controllo di quelli che dominerebbero il paese, avremo in breve un'immensa maggioranza di gente nella più estrema povertà, con una prospettiva di uscirne molto, molto incerta e lontana. La minoranza ricca sarebbe composta da un’elite di profittatori del mercato nero, cui sarà concesso di arricchirsi solo a patto di sottostare ciecamente al potere di chi deciderebbe del destino del nostro Paese.
La proprietà sociale e pubblica sarebbe rapidamente privatizzata, ma i nuovi padroni, come l’esperienza dei paesi vicini dimostra, sarebbero di regola stranieri. Tra le rare eccezioni figureranno 



Apprendiamo dalle agenzie della scomparsa di Vo Nguyen Giap, uno dei protagonisti della storia del novecento e simbolo della lotta di liberazione dei popoli di tutto il mondo. Se ne è andato un grande dirigente del movimento comunista e antimperialista mondiale. Un grande stratega della “Guerra di popolo” che ha saputo sconfiggere due formidabili eserciti imperialisti, dando così un contributo decisivo alla liberazione del Vietnam. 

Pensiamo che il miglior modo di ricordare la vita e l'opera di Giap, sia riproporre l'articolo che il compianto compagno Sergio Ricaldone [ http://www.marx21.it/comunisti-oggi/in-italia/22559-compagno-ricaldone-non-ti-dimenticheremo-mai.html ] - che con Giap aveva instaurato un rapporto di collaborazione e amicizia durante gli anni della lotta di liberazione contro l'imperialismo statunitense – scrisse in occasione del 100° compleanno della grande figura vietnamita.

Al popolo del Vietnam e al suo Partito Comunista porgo le più sentite condoglianze, a nome dell'intera redazione di Marx21.it

Mauro Gemma
Direttore di Marx21.it

 



GIAP, IL GRANDE STRATEGA DELLA GUERRA DI POPOLO

di Sergio Ricaldone

Si continua a dire che il comunismo è morto. Celebrando il compleanno di Giap e guardando al Vietnam di oggi direi che il comunismo è un soggetto politico e ideale assai difficile da seppellire.

La lunga vita di Van Nguyen Giap coincide con lo spazio temporale della storia contemporanea del Vietnam durante il quale il popolo vietnamita, per riconquistare l’indipendenza nazionale, ha dovuto lottare contro gli eserciti delle quattro maggiori potenze imperialiste del 20° secolo: quello francese, quello giapponese, quello inglese e quello americano. Tutte le generazioni vietnamite del 900’ sono state segnate e coinvolte da questo titanico confronto. Tutte le classi, ogni ceto sociale: gli intellettuali tradizionalisti, poi i modernisti, gli operai, i contadini, i bonzi, i preti cattolici e le diverse etnie. Nessuna forma di lotta è stata esclusa: scioperi, manifestazioni, forme diverse di cultura popolare, rituali religiosi, alfabetizzazione di massa. Ma solo quando si è potuta formare una strategia politica di lunga durata e di largo respiro, patriottica e socialista, e di intense relazioni internazionali, la scelta dell’opzione militare, imposta dalle circostanze storiche, è stata quella che alla fine ha prevalso e deciso le sorti del paese. Ciò è diventato possibile solo dopo la formazione nel 1930 del partito comunista indocinese e dall’emergere di due figure dirigenti di formazione marxista leninista e di eccezionale spessore politico, quali Ho Ci Minh e Giap, che hanno saputo portare a sintesi, rendendole complementari e vincenti, le loro geniali intuizioni politiche e militari.

Fino agli inizi degli anni 50 il Vietnam, nella sua dimensione geografica, storica e politica era scarsamente presente nell’immaginario collettivo della sinistra europea. Era ancora un paese marginale, conosciuto da pochi col suo vecchio nome coloniale, Indocina, collocato ai margini del campo socialista. L’indipendenza del Vietnam proclamata da Ho Ci Minh il 2 settembre 1945 era stata una parentesi di breve durata e pressoché ignorata dai mass media. Il suo popolo di guerriglieri era stato costretto a disperdersi nella giungla nel 1946 dalle cannonate della flotta, dai carri armati e dai bombardieri francesi, Braccato dai tagliagole della Legione straniera (imbottita di ex SS), sembrava non avere scampo. Nessuno sospettava che da quell’improvvisato esercito di “contadini straccioni”, affamati e peggio armati, potesse nascere un movimento di liberazione guidato da un gigante del pensiero strategico, di nome Giap, che nei decenni successivi, dopo 30 anni di guerra, sarebbe riuscito a mettere in crisi politica e militare la più grande potenza imperialista della storia contemporanea.

Il velo di mistero che avvolgeva quella “piccola” porzione di mondo chiamata Indocina fu sollevato dal movimento di lotta iniziato in Francia contro la “sporca guerra” d’Indocina nel nome di Henry Martin, il coraggioso marinaio francese che, nei primi anni 50, con il suo rifiuto di imbarco su una nave da guerra destinata in Vietnam, aveva scatenato la furibonda reazione dello Stato Maggiore di Parigi e della destra colonialista. Fu cosi, soprattutto a livello di movimenti giovanili comunisti, che cominciammo a conoscere quel movimento di liberazione che, pur operando in un paese molto più piccolo della Cina, finì per assumere nei decenni che seguirono un ruolo decisivo e trainante dei movimenti di liberazione e delle rivoluzioni antimperialiste che hanno inciso non poco sui cambiamenti geopolitici del pianeta e sulle lotte del movimento operaio in occidente.

Le corrispondenze di guerra del grande giornalista australiano Wilfred Burchett ci resero poi familiari i nomi di Ho Ci Minh e di Van Nguyen Giap e quello delle città, dei fiumi e delle vallate dove si stava consumando, sconfitta dopo sconfitta, il disperato tentativo della Quarta Repubblica di mantenere in vita uno degli epigoni dell’ormai traballante impero coloniale francese.

7 maggio 1954, Diem Bien Phu. Il nome e la leggenda di Van Nguyen Giap e quello dei suoi cento anni di vita è fortemente legato all’esito di quella battaglia. Difficile, anche per i miei usurati neuroni, dimenticarlo. Nel tardo pomeriggio di quel giorno i guerriglieri di Giap, ormai diventati un esercito, sferrano il loro ultimo attacco contro i francesi assediati da circa sessanta giorni nel loro ormai piccolo perimetro difensivo. Poi, dopo 9 anni di guerriglia e di battaglie campali, un silenzio surreale cala su quel lontano altopiano del Tonchino, al confine con il Laos. Non si spara più. La battaglia di Diem Bien Phu è finita, il generale francese De Castries annuncia la resa delle sue truppe e il governo di Parigi, sostenuto militarmente da Washington, incassa la più umiliante delle sconfitte. La potenza soverchiante dell’Armèe e l’impiego della ghigliottina a “full time” non sono bastati a restaurare il dominio coloniale della 4° Repubblica.

Dopo Diem Bien Phu tutto diventa possibile. L’esempio del Vietnam dilaga: in Algeria, Cuba e altrove altre rivoluzioni incalzano. Le conseguenze di quella sconfitta imperialista peseranno a lungo nei decenni successivi e il Vietnam assumerà una posizione centrale negli sconvolgimenti in atto nel vecchio mondo coloniale e la strategia della “guerra di popolo” in un paese contadino arretrato elaborata da Giap sarà assunta a modello dai movimenti di liberazione del terzo mondo. Il suo significato è sintetizzato dalle parole di Giap pronunciate dopo quella battaglia: “Il nostro popolo e il nostro esercito hanno vinto un nemico molto più potente grazie alla loro ferma determinazione di combattere e vincere per conquistare l’indipendenza nazionale, la terra ai contadini, la pace e il socialismo. La guerra di popolo condotta da un esercito popolare è una conquista decisiva, più importante di qualsiasi arma, per i paesi d’Asia, Africa e America Latina. Il popolo vietnamita è fiero di avere contribuito alla liberazione dei popoli fratelli. (…) Nessun esercito imperialista può vincere un popolo, seppure debole, che sappia ergersi risolutamente e lottare unito sulla base di una giusta linea politica e militare”. 

Queste poche parole confermano la genialità delle sue intuizioni militari, mai fini a sé stesse, ma poste al servizio, con grande intelligenza tattica, di una strategia politica rivoluzionaria e antimperialista di cui Ho Ci Minh è stato il leader comunista più prestigioso.

Lo stesso giorno della resa di Diem Bien Phu si stava svolgendo a Milano, presso il teatro Anteo, una grande assemblea di quadri comunisti della città alla presenza di Palmiro Togliatti, segretario generale del PCI. Mentre stavo svolgendo il mio intervento alla tribuna a nome della FGCI arriva di corsa un giovane compagno dall’Unità e mi consegna un dispaccio della Reuters che annunciava la resa dei francesi. Un boato di applausi accolse quell’annuncio. Tutti i compagni in piedi sfogarono il loro grande entusiasmo per quella vittoria percepita come un passaggio centrale del collasso che già stava disgregando i vecchi imperi coloniali. Incrociando lo sguardo di Togliatti seduto alla presidenza notai una punta di scetticismo per quel po’ po’ di entusiasmo, forse giudicato eccessivo per ragioni sulle quali tornai a riflettere nei giorni successivi. Quella vittoria militare di Giap appariva infatti come una sfida troppo temeraria all’imperialismo (non tanto a quello francese in fase declinante, ma soprattutto a quello americano) rispetto alle scelte di realpolitik compiute da Mosca e dal movimento comunista in tema di rapporti internazionali, basate sulla “coesistenza pacifica tra i due sistemi” e il rispetto delle “zone di influenza” concordate a Yalta. La valutazione dei rapporti di forza da parte del Cremlino, dopo la raggiunta parità atomica con gli USA, escludeva una rottura con il nemico storico e sanciva il mantenimento del precario equilibrio bipolare per una fase non breve su cui si reggeva il rapporto tra Washington e Mosca negli anni della guerra fredda. Intendiamoci, le motivazioni di quelle scelte non erano affatto banali. Il poderoso blocco di paesi socialisti euroasiatici che si era formato dopo la seconda guerra mondiale lungo la rispettabile distanza di 10 fusi orari, dal fiume Elba all’Oceano Pacifico era alle prese con enormi difficoltà. Pur essendo un territorio immenso liberato dal nazifascismo e dal dominio imperialista, soprattutto per merito dell’Unione Sovietica e della Cina Popolare, era impegnato a risollevarsi dalle tremende distruzioni della seconda guerra mondiale e ad evitare che le minacciose dimensioni della nuova guerra di Corea e le continue provocazioni anglo americane a Berlino sfociassero in una guerra nucleare. Il mantenimento della pace era pertanto considerata una priorità assoluta. Una esigenza peraltro sempre condivisa dai comunisti vietnamiti, che però erano altrettanto attenti ad individuare le possibili brecce e i punti deboli nel rigido schema “bipolare” attraverso le quali far passare il diritto dei popoli oppressi dal colonialismo di poter lottare con qualsiasi mezzo (inclusa la lotta armata) per la propria indipendenza nazionale. Una evidente e lungimirante anticipazione che il riconoscimento delle “diversità” era la condizione per mantenere unito il movimento comunista internazionale. Diritto questo che, dieci anni più tardi, verrà apertamente riconosciuto e sancito da Togliatti nel famoso “memoriale di Yalta”.

La “guerra di popolo” teorizzata da Giap arriva al suo vittorioso epilogo nella primavera del 1975. In poco più di trenta giorni l’Armata popolare e i guerriglieri vietcong riusciranno a compiere la marcia di circa mille km., dal 18° parallelo al delta del Mekong, che li separa dalla vittoria. In rapida sequenza vengono liberate le città vietnamite che per parecchi anni hanno occupato le prime pagine di tutto l’apparato mass-mediatico planetario. Huè, Da Nang, Quan Tri, Khe San, Dong Ha, le città rese tristemente celebri da tanti anni di guerra, sono rapidamente liberate, una dopo l’altra, dalla travolgente avanzata dell’Armata Popolare di Giap. 

Poi, finalmente, dopo 4952 giorni, la lunga guerra di liberazione contro gli Stati Uniti d’America ed il loro esercito fantoccio, consuma le sue ultime ore. E’ il 30 aprile 1975, un giorno che il popolo vietnamita continua a ricordare con legittimo orgoglio. Al levar del sole quattro colonne corazzate si mettono in marcia per sferrare da quattro direzioni l’attacco finale a Saigon, la capitale sudvietnamita. E’ l’ultimo giorno di una guerra di liberazione durata trent’anni. I cento blindati della Brigata 203 attestati a Ho Nai hanno ricevuto l’ordine, dal comando mobile di Bien Hoa dell’Armata Popolare, di conquistare il “grande ponte di Saigon”, poi di dividersi in due tronconi e di marciare a tutto gas verso il palazzo presidenziale, ultima roccaforte nemica nel centro della città. E’ da poco passato mezzogiorno quando il carro 843, un T54 di fabbricazione sovietica, ancora coperto da uno strato mimetico di foglie di cocco, comandato dal capocarro Bui Quang Tanh, sfonda il cancello del palazzo presidenziale di Doc Lap e accoglie la resa di quel che resta dell’esercito fantoccio. Lo sfacelo è totale e la resa degli ultimi combattenti sudisti, ormai sconfitti e abbandonati dai generali del Pentagono, assume tratti di involontaria comicità: escono tutti in mutande e a braccia alzate dal portone principale dell’imponente palazzo simbolo di un potere profondamente detestato dal popolo vietnamita.

La disfatta militare è completa, la fuga degli americani molto più caotica e umiliante di quella dei francesi dopo la disfatta di Dien Bien Phu. Memorabili le immagini degli ultimi marines e dei loro collaborazionisti che si aggrappano disperatamente agli elicotteri in fuga dal tetto dell’ambasciata americana. La guerra di liberazione durata trent’anni è finita e Giap, il vincitore, potrà passeggiare tranquillamente, pochi giorni dopo, nel centro di Saigon, insieme a due compagni “bodoi”, entrare nei bar e parlare con la gente senza essere riconosciuto (proviamo ad immaginare un gesto analogo del capo del Pentagono per le vie di Bagdad o quelle di Kabul). Quella passeggiata simboleggia il punto culminante di una vita spesa per il popolo e in mezzo al popolo. Sicuramente uno dei suoi momenti più alti e gratificanti.

Da quel giorno il Vietnam è diventato una nazione unita e indipendente, socialista e moderna e nessuno ha mai più osato sfidare l’Armata popolare costruita da Giap. Persino Mac Namara, l’ex capo del Pentagono che aveva iniziato e guidato la guerra di aggressione contro il Vietnam, ha dovuto riconoscere la grandezza del personaggio. Indimenticabile l’incontro ad Hanoi e la stretta di mano, vent’anni dopo la fine della guerra, tra i due ex nemici: Robert Mc Namara che riconosce la condotta criminale degli USA e chiede scusa a Giap e al popolo vietnamita. Il più ambito riconoscimento ad un popolo che ha insegnato a tutti la rara virtù che libertà e indipendenza non sono mai merci barattabili.



(srpskohrvatski / italiano)

Iniziative segnalate

1) Selezione di appuntamenti delle edizioni KAPPA VU - dal 4 al 25 ottobre 2013
2) Program manifestacije Dani AVNOJ-a u Jajcu 2013 / Programma manifestazioni per il 70.mo di Jajce (29.XI.1943.)
3) 24. марта 1999.-2014.: Петнаестогодишњица / Verso il 15.mo Anniversario della infame aggressione dei paesi NATO contro la Repubblica Federale di Jugoslavia 


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Selezione di appuntamenti KAPPA VU di ottobre!


Venerdì 4 – ore 20.30 – presentazione del volume REPRESSIONE ANTIPARTIGIANA IN FRIULI – LA CASERMA PIAVE DI PALMANOVA E I PROCESSI DEL DOPOGUERRA di Irene Bolzon, alla sede degli Alpini presso l’Area Festeggiamenti di SANTA MARIA LA LONGA; introduce Clara Gruer, con la partecipazione di Alessandra Kersevan

Domenica 6 – dalle 10.00 in poi fino a sera – saremo presenti con il nostro banchetto per la vendita all’iniziativa culturale “Ri-Leggi”, proposta nella suggestiva cornice della 19° Festa d’Autunno organizzata dalla Pro-Loco C.I.L. di Feletto Umberto nel Parco di Villa Tinin, nel centro di FELETTO UMBERTO

Lunedì 7 – ore 20.30 – presentazione del volume ROMANO IL MANCINO E I DIAVOLI ROSSI di Pierluigi Visintin e a cura di Alessandra Kersevan, presso la Sala Conferenze di Villa Dora a SAN GIORGIO DI NOGARO, nell’ambito delle commemorazioni per il centenario (esatto!) della nascita di Gelindo Citossi Romano il Mancino promosse dal Coordinamento Antifascista Friulano

Venerdì 11 – ore 20.30 – presentazione del volume LA BANDA COLLOTTI. STORIA DI UN CORPO DI REPRESSIONE AL CONFINE ORIENTALE D’ITALIA di Claudia Cernigoi, presso la Sala dei Gessi della Società Operaia di CIVIDALE DEL FRIULI, evento in collaborazione con Anpi e circolo culturale Iskra

Venerdì 25 – ore 18.00 – presentazione del volume L’ATTIVITA’ CLANDESTINA DEL CLERO SLOVENO DURANTE IL FASCISMO di Egon Pelikan, presso la Sala del Consiglio Comunale in Piazza Unità a RONCHI DEI LEGIONARI. Introdurrà Lucia Giurissa dell’Associazione Culturale Apertamente e dialogheranno con l’autore Monica Rebeschini e Giovanni Tomasin


=== 2 ===

Programma manifestazioni per il 70.mo di Jajce (29.XI.1943.)


Program manifestacije Dani AVNOJ-a u Jajcu 2013


28.11. (četvrtak)
- Otvaranje naučnog skupa na temu: Drugo zasjedanje AVNOJ-a i državnost zemalja nasljednica Jugoslavije 1943.-2013. 

29.11. (petak)
- Otvaranje izložbe crteža Božidara Jakca
- Otvaranje izložbe fotografija i dokumenata
- Promocija knjige
- Prigodno predavanje

30.11. (subota)
- Doček gostiju (posjetilaca iz drugih gradova) ispred Muzeja II zasjedanja AVNOJ-a i prigodan muzički program (limena glazba, kulturno-umjetnička društva iz Jajca, rock band)
- Polaganje vijenaca na Spomen-fontanu
- Svečana akademija povodom 70 godina II zasjedanja AVNOJ-a 
- Cjelovečernji koncert horova

01.12. (nedjelja)
- Organiziran obilazak kulturno-historijskih i prirodnih znamenitosti grada Jajca,
- Ispraćaj gostiju ispred Muzeja II zasjedanja AVNOJ-a


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Verso il 15.mo Anniversario della infame aggressione dei paesi NATO contro la Repubblica Federale di Jugoslavia 


СТОП  ЗА  ЗЛОЧИНЕ  НАТО

Није добро стање на планети у времену које живимо. Има видљивијих, што би рекли конференцијаши, помака у потоњим данима, али све то није довољно за миран сан и сигурну сутрашњицу.

Војни напади на суверене државе под лажним оптужбама, беспримерно ракетирање читавих народа, изазивање грађанских и верских ратова са несагледивим последицама, свргавање легално изабраних власти и довођење подесних и подобних политичких и идеолошких гарнитура, непрестано злокобно звецкање оружјем и зарад отимања богатих природних ресурса и проширивања господства – општи су, на жалост, именитељи ситуације на светској сцени.

КО  ДА ЗАБОРАВИ 1999?

Србија је на сопственим плећима пребродила 1999.године тежак период, читавих 78 дана, кад су чланице НАТО, без најаве рата и мериторне одлуке Савета безбедности ОУН, брутално бомбардовале служећи се циничном лозинком ”Милосрдни анђео”.

То време, кад је убијено више од две хиљаде људи и онеспособљено и десет пута више, уништена готово сва привредна инфраструктура, порушени мостови, исечени пруге, путеви и далеководи, сравњене болнице, школе, дечји вртићи, никад неће исчилити из памћења Србије. Али ни жеља да се такви организовани злочини, под маском залагања за људска права и ширења тобожње демократије, никад и нигде више не смеју да понове.

Мора да дође и време кад ће за недела одговарати и разни државници и њихови поклисари који су подастирали неистине како би унапред оправдали милитантне акције и сејали смрт на српским просторима, а сада то исто, под непромењеним заставама и унапред наученим пројектима, чине на разним континентима.

СУБНОР Србије, у заједништву са својим колективним члановима, респектабилним Београдским форумом за свет равноправних и Клубом генерала и адмирала, у интензивним је припремама за обележавања петнаесте годишњице НАТО агресије на нашу државу.

Тим поводом је прецизиран програм, о коме се расправљало на састанку коме је руководио Живадин Јовановић, председник Београдског форума и дугогодишњи дипломата, министар иностраних послова.

СКУП  ИЗ  ЦЕЛОГ  СВЕТA

Централна манифестација одржаће се 22.и 23. марта 2014.године у Центру Сава. И биће посвећена миру у условима глобалног интервенционизма, милитаризације и светске кризе.

Тема обележавања значајног датума у историји Србије, петнаестогодишњице агресије НАТО, окупиће најзначајније личности из света и наше земље, угледне научне, културне и јавне раднике, представнике независних нестраначких групација, партнерских удружења са разних континената. Многи су већ сада, неколико месеци унапред, потврдили учешће сватајући и уважавајући разлоге за такво квалитетно окупљање и потребу да се чује одлучна реч у корист мира и разумевања.

Организатори су предвидели и изложбу фотографија о последицама НАТО агресије, као и смотру документарних филмова о злочинима над српским народом и трајном уништавању објеката приликом ракетирања бомбама напуњеним и радиоактивним супстанцама са несагледивим дугорочним последицама по здравље становништва.

СУБНОР Србије, Београдски форум за свет равноправних и Клуб генерала и адмирала Србије већ дуже време су у непрестаној акцији да Влада Србије и Градска скупштина легализују и визуелно упристоје већ постојећи Споменик, вечну бакљу слободе, на Ушћу у Београду, у знак сећања на све жртве нелегалне акције НАТО током 1999.године.

Споменик на Ушћу, где поменуте и уопште антифашистичке организације и људи добре воље и поборници мира и правде, сваког марта, на дан почетка агресије, одају пошту пострадалим.

То ће се засигурно догодити и 24. марта 2014. Уз наду да ће се тада, уз народ, меморијална свечаност одржати и у присуству и сарадњу органа државе чији су представници, иначе, чврсто обећали да ће тако бити.





STUDENTSKE I OMLADINSKE MOBILIZACIJE

1) Dosta laži, dosta prevara, dosta Bolonje! - Javno finasirano besplatno obrazovanje je jedni izlaz! (Studentski front Beograd)

Mobilitazione studentesca a Belgrado per l'Università pubblica e gratuita: "Basta con Bologna!" (= il processo di armonizzazione dei vari sistemi di istruzione superiore europei, che in effetti ne prevede la aziendalizzazione: http://it.wikipedia.org/wiki/Processo_di_Bologna‎ , http://www.unibo.it/it/internazionale/accordi-e-network/bologna-process/bologna-process )

2) U Ateni završen 39. festival Odigitis uz tisuće simpatizera iz cijelog svijeta - Borba za socijalizam se nastavlja (Andrea Degobbis)

Cronaca del Festival della Gioventù Comunista -KNE- ad Atene


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уторак, 01. октобар 2013.

DOSTA LAŽI, DOSTA PREVARA, DOSTA BOLONJE! - JAVNO FINASIRANO BESPLATNO OBRAZOVANJE JE JEDNI IZLAZ!

Proteklih dana bili smo svedoci “ispitivanja pulsa” progresivnog studentskog pokreta od strane, Vlade Srbije, Narodne skupštine, SKONUS-a (kerova na lancu buržoaskih akademskih vlasti), sa ciljem određivanja najpogodnijeg trenutka za sprovođenje reakcionarne bolonjske reforme, odnosno finalnog obračuna sa siromašnim studentima, koji u uslovima kapitalističke restauracije u Srbiji, čine ogromnu većinu akadamaca. Studentski front (SF) i ovog puta, u kratkim crtama, naglašava štetni uticaj potpunog promašaja, kojeg nijedan ozbiljan univerzitet u Evropi nije prihvatio, tzv. „Bolonjske deklaracije“, retrogradnog procesa obesmišljavanja studija, njihovog pretvaranja u kurseve, a znanja u robu. Značajno je istaći da su oni koji uporno obmanjuju studente upravo Vlada Srbije, Ministarstvo prosvete i tzv. „zvanični“ studentski predstavnici (izabrani od strane jednog procenta studenata). Pred početak ovog semestra resorno ministarstvo je najavilo ponovno povećanje školarina, uz istovremeno smanjenje broja ispitnih rokova i povećanje neophodnog proseka za ostvarivanje prava na studentsku stipendiju. Dakle. najnoviji paket mera koji je usmeren na dalju destrukciju studentskog standarda i pretvaranje obrazovanja u privilegiju bogatih. Sve to, još jednom, potvrđuje da je postojeći državni kurs Srbije usmeren isključivo ka što temeljnijem implementiranju divljačkog kapitalističkog sistema, koji u potpunosti ne mari za socijalnu pravdu i ljudsko dostojanstvo. Sve je to, razumljivo, rezultiralo ogromnim nezadovoljstvom studenata, dok su predstavnici SKONUS-a želeli su da se istaknu kao “prva linija odbrane” studentskog standarda i kao jedina studentska organizacija koja može uticati na odluke Ministarstva prosvete. Oni su pobedonosno mahali postignutim dogovorom sa predstavnicima buržoaskog režima. Vreme je pokazalo, kao je Studentski front i ranije isticao, da je to ništa drugo do najobičnija laž i prevara. Podsećanja radi, planirane nakaradne mere bile bi sprovedena još 2011. godine da glas nisu digli progresivni studenti sa Filozofskog i Filološkog fakulteta i Više elektrotehničke škole, koji su tri sedmice organizovali herojsku blokadu fakulteta, čije uprave uz podršku buržoaskih vlasti danas pljačkaju studente. Pobuna je tad pretila da se raširi vrlo brzo, zbog čega je brutalno ugušena na Filozofskom fakultetu u Novom Sadu, kada je obezbeđenje zaustavilo studente da uđu u svoju zgradu. Da se studentski opravdani bunt nije smirio, najbolje je pokazala prošlogodišnja pobuna studenata Likovnih umetnosti u Beogradu koji su dve nedelje držali pod blokadom taj fakultet iz kojeg je proizašla saradnja sa progresivnim kolegama sa drugih fakulteta Beogradskog univerziteta. Ta saradnja rezultirala je masovnim protestom za besplatno i javno finasirano obrazovanje, koji su buržoaski mediji uglavnom ignorisali. Kada su pojedini fakulteti odlučili da ipak povećaju školarine, borbeni studenti su blokirali rektorat Beogradskog univerziteta, nakon čega je povećanje školatrina obustavljeno. Studenti su uspeli da se povežu sa svojim prirodnim saveznikom, radnicima, tako da je blokadu Rektorata podržali levičarsko orijentisani Udruženi sindikati Srbije „Sloga“. Buržoaska vlast, uplašena većeg socijalnog bunta, traži svog trojanskog konja i pronalazi ga u - SKONUS-u, organizaciji takozvanih „studentskih predstavnika u čijim redovima ima veliki broj karijerističkih kadrova vladajućih stranaka čiji je cilj bespogovorno izvršavnje naredbi i sprovođenja interesa režima. U SKONUS-u su zastupljeni i predstavnici opozicionih buržoaskih stranaka, koji takođe kao i oni koji zastupaju interese vlasti, bezuslovno podržavaju reakcionarnu “Bolonjsku deklaraciju”. Svi oni studentsku borbu pokušavaju da prisvoje i prikažu kao svoj uspeh, što čine uz obilatu pomoć buržoaskih medija. Činjenica je, zapravo, to da dok su progresivni studenti blokirali fakultete, protestovali, bili izloženi nasilju i represiji, SKONUS i ostali „zvanični“ studentski predstavnici sedeli su u svojim foteljama izvršavajući zapovesti svojih buržoaskim nalogodavaca. Sada su sve maske pale. Jasno se vidi da Ministarstvo prosvete, kao i SKONUS imaju isti cilj, konačni obračun sa siromašnim studentima. Stoga će Studentski front, kao i u ranijim protestima stajaati u prvim borbenim redovima odbrane studentskih prava! Naš jedini izlaz je da odbacimo retrogtradnu “Bolonjsku deklaraciju”, zbacimo karijeristički i buržoaski SKONUS i druge lažne prestavnike studenata koji rade u interesu kapitalističkog režima. Potrebno je da u cilju stvaranja širokog društvenog fronta krenemo u svakodnevnu, organizovanu borbu, tražeći savez sa sindikatima, srednjoškolcima, seljacima, penzionerima i svim drugim ugroženim slojevima društva. Krajnje je vreme da kažemo: Dosta laži! Dosta prevara! Dosta „Bolonje“! Javno finasirano obrazovanje je jedini izlaz! Studenti, a ne klijenti! Znanje nije roba! 

Studentski front Beograd, 2.oktobar 2013. godine


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U Ateni završen 39. festival Odigitis uz tisuće simpatizera iz cijelog svijeta - Borba za socijalizam se nastavlja

Andrea Degobbis
vrijeme objave: Nedjelja - 29. 09. 2013 | 19:00
Od 19.-21. 9. u Ateni se održao završni dio 39. festivala 'Odigitis', organiziran od strane Komunističke Omladine Grčke (KNE), podmlatka Komunističke Partije Grčke (KKE).

Festival 'Odigitis' je nazvan po centralnom glasilu Komunističke omladine Grčke. Tijekom ljeta tradicionalno obilazi sve Grčke gradove, a centralni trodnevni završni dio održava se u Ateni i Solunu. Festival je po osnovi četiri desetljeća dugoj tradiciji, po brojnosti učesnika, kao i po svom sadržaju, sasvim pouzdano jedinstven na području Balkana, a vrlo moguće i u svijetu.

Mjesto završnog održavanja je veliki 'Antonis Tritsis' park u zapadnom predgrađu Atene, koji je godinama zapušten kako bi ga korumpirana lokalna vlast mogla rasprodati za sitne pare. Impozantna organizacija, sa 4 pozornice, kazalištem za djecu, štandovima raznih političkih i socijalnih subjekata (KNE i njoj povezanih organizacija), izložbama povijesti komunističkog i partizanskog pokreta i njegove uloge u oslobodilačkom ratu i nakon toga u građanskom ratu u Grčkoj, bila je i semantički upotpunjena ikonografijom artikala koji su se nudili i muzičkom i video produkcijom.

Cilj tog festivala je upoznati građane sa političkim programom i borbom koju vode KKE, KNE, i njihovih organizacionih frontova: žena, studenata, udruga malih poljoprivrednika, sindikata PAME, sastavnog dijela Svjetske federacije klasno orijentiranog sindikata WFTU koja se bori ne samo za bolje radne uvjete, nego mobilizira radnike i nezaposlene u borbi protiv izrabljivačkog sistema, protiv fašizma, ali i za prava obespravljenih i porobljenih naroda, Palestinaca i drugih, Grčkog komiteta za mir na Balkanu, sastavnog dijela Svjetskog mirovnog vijeća WPC, Anti NATO centrom i ostalim sagržajima.

Ali cilj je bio i dokazati kako se 'Tritsis' park može valorizirati za opće dobro; koncertima zabaviti prisutne, ali i boriti se protiv povijesnog revizionizma koji teži k demoniziranju komunizma, informirajući članove i građane, ali i mlade, o velikim dostignućima raznih socijalističkih pokreta.

S područja bivše Jugoslavije na festivalu su nastupili delegati SKOJ-a podmladka Nove Komunističke Partije Jugoslavije iz Srbije, i Mladih Socijalista podmladka Socijalističke Radničke Partije iz Hrvatske. Svi delegati su u parku imali svoj štand gdje su mogli predstaviti i dijeliti vlastiti materijal, kao i razgovarati sa zainteresiranim Grcima i s ostalim inozemnim kolegama o stanju u državama iz kojih dolaze.

Grčki komunisti u stanju su organizirati i sprovesti ovakve upečatljive akcije, prvenstveno zahvaljujući tijesnim kapilarnim vezama s grčkom radničkom klasom i svim segmentima društva. U partiji vlada disciplina, ozbiljnost,otvorenost i odgovornost. KKE je kadrovska stranka, u njoj ne vlada propuh, t.j. nije otvorena karijeristima i hvatačima magle, kao što to je bio SKJ, sa poznatim ishodom, nego član-pretendent mora proći kroz barem godinu dana "observacije", ili godinu dana omladinskog staža, da bi postao član partije.

Takva kadrovska ustrojenost daje organizaciji puno veću snagu nego obična stranka 'd'opinione', jer efikasna revolucionarna organizacija mora biti prisutna u društvu, mora voditi, mobilizirati, imati jasnu ideološku poziciju. A ne samo imati uvjerenje u ispravnost jedne političke opcije, i pasivno čekati, izlazeći samo na izbore. To mora biti škola i našim komunističkim i radničkim strankama. Komunistički aktivisti su oni koji moraju neposredno informirati građane i radnike o aktualnom političkom, društvenom, i privrednim zbivanjima, o kojima mainstrem mediji ne govore.
KKE oscilira između 5-8% glasačke podrške, čime je konstantno zastupljena u nacionalnom parlamentu i u većini gradskih i regionalnih vijeća, što je prava iznimka trenutne situacije europskih Marksističko-Lenjinističkih stranaka. Međutim, prava snaga KKE nije u glasačkoj podršci, nego u unutarnjoj snazi, u strastvenom, dosljednom, i požrtvovnom aktivizmu u sindikatu, u medijima (partija ima svoj dnevnik, portal, i televizijski kanal, u sindikatu, na radnim mjestima, u školama i na sveučilištima, u podršci radnika i građana marginaliziranih predgrađa, koja bi se mogla pridružiti borbi KKE i KNE u slučaju daljnjeg i ekstremnog oštrenja klasnih proturječnosti i nasilnosti sistema, fenomeni koji su već prisutni u grčkom društvu (siromaštvo je u porastu, kao i ubilački državno-korporacijski sponzoriran fašizam).

Zato gledamo na Grčke komuniste kao na inspiratore i uzore u ostvarivanju potrebne klasne borbe za ukidanje kapitalističkog sistema, od kojega se više ništa progresivno ne može očekivati. Samo nam generalna socijalna revolucija - koja mora biti temeljena na znanstvenom organiziranju privrede i društva - može donijeti puni razvitak, jednakost, i svjetski mir.

Andrea Degobbis




LA CROAZIA SOTTO IL CONTROLLO DEL SERVIZIO SEGRETO TEDESCO

1) SOTTOMISSIONE ASSOLUTA
Intervista ad Antun Duhacek, capo dei servizi segreti di Tito
di JUERGEN ELSAESSER - dal giornale KONKRET, novembre 2002

2) IL CASO PERKOVIC
La Germania impone alla Croazia "europea" l'estradizione dell' ex agente segreto e padre dell'attuale consigliere per la sicurezza del Presidente. Perkovic è accusato dai tedeschi di aver fatto eliminare nel 1983 un croato passato al servizio dei tedeschi...


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Um den originellen Text zu lesen:

TOTALE UNTERORDNUNG
Interview mit Antun Duhacek, dem Geheimdienstchef von Tito
Interview: JUERGEN ELSAESSER - in: KONKRET, November 2002


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SOTTOMISSIONE ASSOLUTA

Intervista ad Antun Duhacek, capo dei servizi segreti di Tito

JUERGEN ELSAESSER

Dal giornale KONKRET, novembre 2002
(trad. di M. Jovanovic Pisani per CNJ-onlus)


"Lei ha distrutto la Jugoslavia!", ha detto il presidente croato Stipe Mesic, all'inizio di ottobre, rivolgendosi a Milosevic dinanzi al Tribunale ONU dell'Aia. In questa maniera Mesic ha cercato di deviare l'attenzione dalle colpe proprie e da quelle dei burattinai tedeschi: è l'opinione di Antun Duhacek, suo connazionale, che sotto Tito era il capo dei servizi segreti jugoslavi.

Elsässer: Il ruolo della Germania nella distruzione della Jugoslavia all'inizio degli anni Novanta è stato rilevante, innanzitutto per quanto riguarda il riconoscimento diplomatico delle repubbliche secessioniste di Croazia e Slovenia, attuato contro la stessa posizione dei partner della NATO. Quali informazioni hanno i servizi segreti sui dettagli?

Duhacek: La posizione della Germania fu sostenuta dall'Italia, dall'Austria e dal Vaticano. Il BND [servizi segreti tedeschi, ndT] coordinò il sostegno ai secessionisti e, alla fine degli anni Ottanta, prese la guida operativa diretta dei servizi segreti croati all'estero - che "de jure" erano ancora parte dell'intelligence jugoslava UDBA, tuttavia "de facto" erano fuori dal controllo di Belgrado già dall'inizio degli anni Settanta. In occasione di un incontro personale tra il ministro degli Esteri federale Genscher ed il capo dei servizi segreti croati Josip Manolic, nel febbraio 1990, alla vigilia delle elezioni in Croazia - che allora apparteneva ancora alla Jugoslavia - Genscher ha promesso 800 milioni di marchi tedeschi. Manolic voleva avere in mano subito il denaro, il futuro presidente Franjo Tudjman ed il suo allora stretto collaboratore Stipe Mesic attesero con apprensione. Infine, i soldi fluirono solo poco dopo le elezioni nel marzo del 1990. Persone dei servizi segreti tedeschi consegnarono gli 800 milioni di marchi a Zagabria, in contanti.

 Elsaesser: Dev'essere stata una valigia abbastanza pesante...

Duhacek: I tedeschi hanno ottenuto in cambio un compenso. Manolic è pervenuto a febbraio del 1990 con il BND ad un ampio accordo segreto. Esso in sostanza consisteva in tre punti:
 1. Collaborazione tra il servizio segreto croato controllato da lui ed il BND che procederà sia contro la Jugoslavia che contro la Serbia.
2. Il BND mette a disposizione dei suoi collaboratori croati tutti i risultati militari che esso e il suo servizio amico della Nato raccolgono nella e sulla Jugoslavia, per esempio sulla situazione nell’Esercito Jugoslavo, il movimento delle sue truppe ecc. Questo sarebbe stato per Zagabria un grande vantaggio alla vigilia del conflitto militare che poco dopo comincerà.
3. Manolic mette una parte dei suoi informatori e collaboratori informali, per esempio a Belgrado, direttamente sotto il BND.


Elsaesser: Erich Schmidt-Eenboom nel suo libro Der Schattenkrieger [Il combattente nell'ombra] sulle attività del BND sotto Klaus Kinkel, in molti punti si riferisce a Lei. Egli però dice che già „poco prima della morte di Tito a Zagabriatutte le decisioni su questioni strategiche erano prese solo in accordo con i referenti BND e rappresentanti ustascia.“ Questo succedeva all’inizio degli anni Ottanta.

Duhacek: Si trattava di stretti contatti, ma dovevano svolgersi allora in modo nascosto. La fase calda comincia solo alla fine degli anni Ottanta, quando dall’apparato, costruito in segreto da Manolic e dal suo“tutore” Ivan Krajacic, nasce il servizio segreto del nuovo Stato croato. Da circa maggio del 1990 funziona questo servizio segreto come unappendice del BND. La parte tedesca ha preteso una totale sottomissione delle prestazioni del servizio croato e l’ha ottenuta. Per esempio, i tedeschi decidevano quali emigranti croati dovevano avere i passaporti. Come è noto, dopo il 1945 tanti attivisti del movimento fascista degli ustascia hanno dovuto lasciare il paese e vivere sparpagliati per tutto il mondo. Il BND ha stabilito nel 1990 quali, in questo quadro estremista, potessero essere muniti di passaporti per poter tornare. Questi reduci si sono poi inseriti nel governo del nuovo Stato croato pagando - 300.000 marchi tedeschi circa costava il posto di un impiegato ministeriale. Il presidente Tudjman ha contato molto su questa gente.


Elsaesser: I legami stretti di Tudjman con il BND da una parte e con vecchi fascisti ustascia dall’altra parte si palesano nella persona di Ernest Bauer. Jugoslavo di origine “volksdeutsch” [termine per indicare la minoranza di origine tedesca in Jugoslavia; durante la Seconda Guerra Mondiale dalle loro file si formarono molte unità schierate al fianco di Hitler; ndT], Bauer durante la Seconda Guerra Mondiale era stato colonnello del servizio segreto ustascia UNS, fu poi assunto dal capo del BND Reinhard Gehlen per il quale riattivò la sua rete di agenti a Zagabria, che guidò fino agli anni Novanta. Quando nel 1990 Tudjman fonda il suo partito nazionalista croato HDZ, con il quale avrebbe governato lo Stato secessionista per quasi tutti gli anni Novanta, nel corso dei quattro giorni del congresso fondativo risiede presso Bauer. Dopo essere diventato presidente, Tudjman pone il vecchio uomo dei servizi segreti come suo incaricato speciale presso l'Ufficio stampa federale a Bonn.

Duhacek: Ci sono esempi che descrivono ancora meglio il potere del BND sui suoi partner croati. Il BND ha preteso nel 1993/1994 un repulisti nel servizio segreto croato.. Tutti quelli che provenivano dalla tradizione partigiana se ne dovevano andare. Inoltre, si deve sapere che l'intero progetto di Tudjman - il nuovo Stato croato con tutte le sue istituzioni - aveva inizialmente un carattere di compromesso. Il nazionalismo croato e l’ostilità contro la Jugoslavia erano i comuni denominatori; su questa piattaforma si sono incontrate forze che avevano combattuto l'una contro l’altra durante la Seconda Guerra Mondiale, e cioè i nazional-comunisti e i fascisti ustascia. Ora, il BND ha preteso che i primi se ne andassero. Perciò Josip Manolic fu indebolito nelle strutture dei servizi segreti, e Stipe Mesic lasciò con lui e con gli altri, frustrato, il partito di Tudjman HDZ e fondò un suo partito.


Elsaesser: Questo lo ha preteso il BND?

    
Duhacek: Tudjman ha perfino ammesso questo. Nel 1994 scrisse della sua rottura con Manolic: “Quando si è arrivati ad una simile situazione con il signor Manolic, allora devo anche aggiungere che – nel 1992, quando fummo formalmente riconosciuti, ma ancora eravamo senza reali amici - vennero da me dei rappresentanti di una delle potenze principali del mondo e dissero: ‘Signor presidente, Lei è probabilmente cosciente che deve costruire una nuova struttura di difesa e di sicurezza. Noi siamo pronti ad aiutarLa, però, per favore, senza Jozo Manolic.’


Elsaesser: Ma cosa doveva avere il BND contro Manolic? E’ stato proprio lui che nel 1990 ha consegnato ai tedeschi il servizio segreto croato.


Duhacek: Il BND diffidava delle persone che provenivano dalla tradizione partigiana, le quali avevano combattuto contro i tedeschi per quattro lunghi anni. Al BND quelle non apparivano affidabili, perlomeno non sul lungo termine. Prenda il caso di Manolic: è decorato con la medaglia partigiana di “Combattente della prima ora”. Oppure di Mesic: il quale ha veramente ammesso che nel 1991 aveva contatti con il BND. A quei tempi era Presidente del Presidium dello Stato jugoslavo...


Elsaesser: ...e il BND lo aiutò ad essere il più distruttivo possibile in quella funzione.


Duhacek: Sicuro, però Mesic nella Seconda Guerra Mondiale ha perso 16 familiari uccisi dai fascisti. Egli non era affidabile, agli occhi dei tedeschi


Elsaesser: Però, dalla citazione di Tudjman non è chiaro chi ha preteso la sostituzione di Manolic. Egli dice solo: “rappresentanti di una delle potenze principali del mondo”. Forse potrebbero essere stati gli americani che, dopo essere stati inizialmente contro il riconoscimento degli Stati secessionisti, con l’inizio della presidenza di Clinton hanno cambiato corso per ottenere una loro influenza a Zagabria, e per questo motivo hanno voluto destituire il pro-tedesco Manolic?


Duhacek: No, gli americani non hanno avuto alcuna influenza. I tedeschi erano assolutamente dominanti. E quando nel 1995 consiglieri militari americani dirigevano l’offensiva croata per la conquista della Krajina (e la cacciata del popolo serbo), lo facevano secondo la volontà dei tedeschi. Kohl e Genscher non volevano sporcarsi le mani, un impegno militare tedesco allora non sarebbe stato politicamente popolare. Ma i tedeschi hanno rifornito i secessionisti croati di armi, innanzitutto dalle riserve dell’arsenale dei paesi ex socialisti: la Polonia, la Cecoslovacchia, la DDR.


Elsaesser: Nel frattempo in Croazia il partito di Tudjman HDZ ha perso voti, Mesic nel 2000 è diventato presidente. I tedeschi hanno perso la loro influenza, dunque? Mesic, secondo quanto che descrive Lei, deve essere stato abbastanza arrabbiato con il BND.


Duhacek: Si sono messi d'accordo. Mesic non può senza i tedeschi, e i tedeschi non possono senza di lui, almeno per il momento è così. Tudjman è morto, il suo braccio destro Gojko Susak, primo ministro della Difesa, anche. E che Mesic adesso si impegni per far tornare in Croazia qualcuno dei 300mila serbi espulsi, è ragionevole anche per la Germania, il principale partner economico: territori come la Krajina e la Slavonia sono spopolati dal periodo della pulizia etnica a causa dei nazionalisti croati, così un terzo del paese è economicamente arido.


Elsaesser: In Croazia Lei è ricercato con mandato di cattura. Perchè?


Duhacek: Perchè in parecchi libri ed articoli dei giornali ho rivelato come è stato realizzato il nuovo Stato croato. Specialmente mi rimproverano che io da croato di nascita abbia detto queste cose.


Elsaesser: Infatti, questo è insolito. Lei è un traditore della patria?


Duhacek: La mia patria è la Jugoslavia. Quando [nel 1941, ndT] i nazisti hanno occupato la Jugoslavia, mi sono messo dalla parte dei partigiani. Comunista sono diventato solo più tardi.

Quando i nazionalisti croati intorno a Tudjman con gli ex complici dei nazisti, gli ustascia, si sono accinti di nuovo alla distruzione della Jugoslavia, ho difeso il mio paese per la seconda volta. E quando la nuova Croazia si è apprestata a cacciare i serbi, mi sono messo a loro disposizione nel 1991 in Slavonia, come consigliere militare. In fondo, questa era la regione dove io da partigiano avevo combattuto.


Elsaesser: Milosevic La vuole invitare come testimone all’Aia. Ci andrà?

Duhacek: Quando la notizia alcune settimane fa è apparsa sui giornali, sono stato subito di nuovo minacciato di morte. Ma io non mi faccio intimorire, andrò lì quando sarò chiamato dal Tribunale.


Elsaesser: Nella fase di cui abbiamo parlato, Lei non era più in servizio attivo. Da dove ha tratto le Sue informazioni riguardo a Genscher ed ai suoi 800 milioni di marchi tedeschi?


Duhacek: Un uomo dei servizi segreti non è mai fuori servizio. Le mie fonti, come Lei capirà, non le posso menzionare. Ma da croato conosco naturalmente molti croati, sin dentro ai ministeri, anche oggi. Sia Krajacic, il padrino di Tudjman, sia Manolic, al momento della fondazione del movimento secessionista li conoscevo particolarmente bene. Con Manolic, prima della sua morte, ho avuto circa 200 conversazioni di parecchie ore. Come uomo dei servizi segreti egli era un talento puro. Durante la Seconda Guerra Mondiale aveva lavorato sia per il Komintern sia per la Gestapo. Già da allora cominciava a tramare a favore del secessionismo.

Elsaesser: E perchè Le ha raccontato tutto questo?


Duhacek: Forse per ragioni sentimentali. Egli proviene da un villaggio vicino al mio, ho accolto io nel 1941 sua sorella nel Partito Comunista, con suo fratello frequentavo il Ginnasio e poi abbiamo combattuto da partigiani insieme.

Antun, quando scriverai di me, non essere avaro nelle lodi”, mi disse sul letto di morte, “poichè io sono stato un piccolo Dio e il mio unico desiderio era una Croazia pulita”


Sul personaggio: Antun Duhacek (al centro nella foto) nello Stato Maggiore dell’Armata Popolare Jugoslava, Belgrado 1945. Dal 1950 Duhacek ha lavorato per il servizio segreto jugoslavo UDBA e dal 1955 fino al 1968 ne è stato il Direttore. Dal 1969 fino al 1974 è stato deputato al parlamento della repubblica di Croazia ed anche portavoce per le questioni delle nazionalità. Dal 1991 fino al 1994, nella guerra civile in Croazia ed in Bosnia, ha svolto funzioni da consigliere militare dei serbi. Dal 1998 vive in Jugoslavia [La Repubblica Federale composta dalle sole Serbia e Montenegro, istituita nel 1992. ndT].


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BERLINO E BRUXELLES LANCIANO L’ULTIMATUM PER LA “SPIA DI TITO” 

di Stefano Giantin, da "Il Piccolo" del 7 agosto 2013

Il segnale più forte era giunto alla vigilia dell’ingresso nell’Ue. «Ho altri impegni», aveva fatto sapere la Cancelliera Merkel al Gotha politico croato, che la immaginava come ospite d’onore dei grandi festeggiamenti per l’adesione di Zagabria. E ora, dopo quel gran rifiuto, la Croazia è pronta a ricevere una nuova bastonata dal suo (ex) miglior amico in Europa, la Germania. Ancora una volta tutto per colpa della “spia di Tito”, l’anziano Josip Perkovic, già alto papavero dei servizi jugoslavi e, secondo Berlino, responsabile dell’eliminazione del dissidente [SIC, in realtà un ex manager dell’INA messosi al servizio della Germania] Stjepan Djurekovic, fuggito in Germania nel 1982 con un carico di scottanti segreti e fatto fuori dagli uomini di Perkovic, sulla cui testa pende per questo un mandato di cattura della procura di Karlsruhe.
Ma la Croazia – solo pochi giorni prima dell’ingresso nell’Ue -, ha modificato la legge sull’estradizione, limitandola ai soli croati ricercati per fatti compiuti dopo il 2002. Djurekovic era stato ammazzato nel 1983. Perkovic salvato in corner. Una mossa, quella croata, che da subito aveva fatto inalberare Berlino. La “legge Perkovic” deve essere quanto prima adeguata alle regole Ue, con l’estensione della possibilità di estradizione per crimini pre-2002, anno dell’introduzione del mandato di cattura europeo, la richiesta tedesca. Non ricevendo risposte da Zagabria, la Germania ha così da qualche giorno investito della questione la Commissione europea, ha rivelato il quotidiano Vecernji List. Commissione che, con una lettera firmata dalla vicepresidente Viviane Reding, ha avvertito Zagabria. «Entro il 23 agosto attendo di ricevere la vostra promessa che la legge verrà cambiata» e di sapere quando ciò avverrà. Se non sarà così, Bruxelles potrebbe punire la Croazia con «misure appropriate». Prima «un congelamento» di parte dei fondi Ue. Poi, se Zagabria farà ancora orecchie da mercante, via all’“opzione nucleare” [SIC], la sospensione del diritto di voto nel consesso europeo.
Ma perché la Croazia è pronta a rischiare a tal punto per una vecchia spia? «Perkovic è il simbolo di quella parte dei servizi pronta ad aiutare Tudjman, che aveva bisogno di professionisti nella creazione dello Stato croato», chiarisce Žarko Puhovski, fra i maggiori filosofi e analisti nazionali. E «il figlio di Perkovic è uno dei consiglieri per la sicurezza del presidente Josipovic», suggerisce poi Puhovski. Ma va anche detto che «il sistema giudiziario tedesco non è così puro». Negli Anni Novanta «ultranazionalisti croati, ex killer di agenti segreti jugoslavi, furono lasciati tornare in Croazia dalla Germania, liberi», chiosa l’analista, che prevede poi che difficilmente «la legge sarà cambiata» già ad agosto, causa istituzioni in vacanza. L’autunno? Sicuramente caldo, nella Croazia preoccupata da un futuro europeo incerto. E da storiche amicizie messe a rischio da uno scomodo servitore di più padroni.

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SPAZIO SCHENGEN A RISCHIO PER LA CROAZIA

di Silvano Silvani, da “La Voce del Popolo” del 12 settembre 2013

“La Croazia deve modificare la legge sul mandato di cattura europeo, meglio nota come Lex Perković, perché in caso contrario i rapporti tra Zagabria e Bruxelles ne risentiranno ancora per lungo tempo”. Questo l’ennesimo monito lanciato dalla vicepresidente della Commissione europea e commissario alla Giustizia, Viviane Reding. Secondo la vicepresidente, Zagabria ritoccando la legge due giorni prima del suo ingresso nell’Unione europea ha non soltanto violato le regole, ma ha anche tradito la fiducia accordatale dagli altri 27 Paesi membri.
Viviane Reding ha ribadito che la Commissione europea dispone di tutti gli strumenti necessari per verificare se la Croazia adeguerà le sue leggi agli standard comunitari. Se ciò non dovesse avvenire, ha avvertito la vicepresidente, scatteranno la sanzioni previste dall’articolo 39 del Trattato di adesione della Croazia all’Unione europea.
Una delle misure potrebbe essere rappresentata dal congelamento dei fondi europei, in primo luogo nel settore della giustizia e degli affari interni. Questo potrebbe portare, molto probabilmente, a un rallentamento dell’entrata della Croazia nello spazio Schengen. In altre parole, a causa della Lex Perković, i controlli di polizia ai valichi tra la Croazia e gli altri Paesi dell’Unione potrebbero rimanere ancora a lungo, con tutti i disagi che questo comporta, ad esempio per i flussi turistici.
Intanto il Capo dello Stato, Ivo Josipović, ha dichiarato che non pensa assolutamente ad esonerare dall’incarico il suo consigliere per la sicurezza, Saša Perković il quale, stando a quanto riportano alcuni media, potrebbe trovarsi in conflitto d’interessi se dovesse venire avviata l’inchiesta nei confronti di suo padre, Josip Perković. Al termine dell’incontro con i cittadini a Dugo Selo, Josipović ha quindi smentito una possibilità del genere, riportata ieri dal quotidiano “Novi List”, che si richiama a fonti dei Banski dvori. Ha spiegato ai giornalisti che Saša Perković non svolge nessun lavoro che possa essere collegato con il caso in questione.
“Il caso, se e quando verrà aperto, sarà in mano alla giustizia. Ho già detto e lo ribadisco che nessuno deve sobbarcarsi il peso degli eventuali peccati dei propri genitori”, è stato categorico. “Lo ripeto, non esonererò il mio consigliere per la sicurezza. D’altra parte, è molto strana questa politica che viene condotta tramite fonti non meglio identificate che costantemente, allo stesso giornale, dettano alcune cose”, ha ribadito il Capo dello Stato.
Secondo Josipović, inoltre, “dipende dall’accordo con l’UE” quando entreranno in vigore le modifiche alla Legge sul mandato di cattura europeo. Rispondendo alla domanda se sia sufficiente quanto annunciato dal premier Zoran Milanović (ovvero l’approvazione delle modifiche di legge nelle prossime settimane e la loro entrata in vigore appena nel luglio dell’anno prossimo), il Capo dello Stato, Ivo Josipović, ha ribadito che bisogna accordarsi con Bruxelles e che non è necessario creare grandi problemi. Di pari passo al braccio di ferro con Bruxelles, assistiamo quindi a una continuazione del tiremmolla tra Banski dvori e Pantovčak, ossia tra le massime cariche dello Stato. E dire che non siamo in un regime di coabitazione, in quanto sia il premier sia il presidente provengono dallo stesso partito...

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Leggi anche:

“Liti coniugali” tra Bruxelles e Zagabria
di Drago Hedl - 20 settembre 2013

<< ...  Perković, dopo il crollo della Jugoslavia, aveva organizzato e guidato i servizi segreti del nuovo stato croato e riporta la dichiarazione del giornalista Željko Peratović che ha indagato sul lavoro dei servizi jugoslavi e croati, il quale afferma che Perković conosce molte cose su uomini importanti della Croazia, “quelli che si sono occupati dell’importazione di armi e si sono arricchiti, ed ora sono tycoon oppure hanno ancora una forte influenza politica”... >>