Informazione


Domenico Moro

CLUB BILDERBERG

Gli uomini che comandano il mondo

Gruppo Bilderberg e Commissione Trilaterale: organizzazioni specifiche di una nuova classe sociale, la classe capitalistica transnazionale.

Roma: Aliberti Editore, 2013
Pagine: 178 | € 14,00 | ISBN: 9788866260899

Vedi anche: 

Perché ha vinto il club Bilderberg



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Che cosa è il Bilderberg. Complottismo o analisi della classe dominante?



1. Una diffusa ma non molto strana passione per i complotti

Tra il 6 e il 9 giugno si tiene in Inghilterra il 61esimo degli incontri che annualmente, a partire dal 1954, vengono organizzati dal Gruppo Bilderberg. Su questa riunione si è manifestata da parte dell’opinione pubblica una attenzione maggiore del solito. Del resto, degli ultimi due presidenti del Consiglio dei ministri, Monti ne è stato a lungo un dirigente, mentre Enrico Letta vi è stato invitato nel 2012. Entrambi, poi, hanno fatto parte della organizzazione sorella più giovane, la Trilaterale, come anche Marta Dassù, un tempo lontano intellettuale di area Pci e più di recente sottosegretario con Monti e viceministro con Letta agli esteri, a capo del quale c’è la Bonino, inviata al Bilderberg nel passato. Quest’anno la presenza italiana non sarà numerosa ma di livello: Monti, Bernabé di Telecom, Nagel di Mediobanca, dal dopoguerra sempre al centro del sistema di potere del capitalismo italiano, Cucchiani di Intesa, prima banca italiana, Rocca di Techint e la giornalista Gruber.


A suscitare la curiosità del pubblico sul Bilderberg contribuiscono l’alone di mistero che lo circonda, dovuto alla segretezza sui contenuti dei dibattiti, e la presenza del gotha economico e politico di Usa ed Europa Occidentale. La ragione principale, però, è riconducibile alla sempre più diffusa percezione di impotenza da parte del “cittadino comune” nei confronti di una economia e di una politica che sfuggono persino alla sua comprensione. La maggiore crisi economica dalla fine della Seconda guerra mondiale, il potere astratto dei mercati finanziari, la stessa vicenda dei debiti pubblici e dell’euro, con le conseguenze devastanti sulle condizioni di vita di centinaia di milioni di lavoratori, favoriscono la sensazione dell’esistenza di forze oscure e incontrollabili. Una testimonianza di questo stato psicologico di massa può essere individuata nella fortuna di romanzi alla Dan Brown e di innumerevoli saggi su massoneria, sette segrete, tra cui gli Illuminati (che vengono collegati al Bilderberg), e chi più ne ha più ne metta. In un clima siffatto ed in assenza di un pensiero critico strutturato e diffuso, è facile attribuire le cause di quanto avviene all’esistenza di complotti e di gruppi che, come una specie di grande “cupola”, reggono un <<nuovo ordine mondiale>>.

Il problema è che questo tipo di approccio limita la comprensione della natura e del ruolo di organizzazioni come il Bilderberg e la Trilaterale. E, in definitiva, anche la consapevolezza della loro pericolosità, perché è facile derubricare le critiche a colore giornalistico o a fantasie di qualche inguaribile complottista. Già negli anni ’50 il sociologo Wright Mills, studiando l’élite statunitense, avvertiva che la storia americana non può essere ridotta a una serie di cospirazioni, sebbene ciò non voglia dire che le cospirazioni non esistano. Del resto, aggiungiamo noi, si possono ordire tutti i complotti che si desiderano, ma, se non c’è una base oggettiva e materiale su cui agire, è difficile che si possa avere successo. Ad ogni modo, per dirla con Wright Mills, bisogna capire che il potere delle élite si fonda su fattori impersonali. Tali fattori sono costituiti dal modo di produzione capitalistico e dalla relazione tra struttura economica e sovrastruttura politico-statale della società. Lo scadimento nel complottismo è favorito anche dall’abbandono nella teoria sociologica e economica dello studio delle classi sociali e, in particolare, della classe dominante. Come ho cercato di chiarire nel mio libro, Il Club Bilderberg. Gli uomini che comandano il mondo, lo studio di questo gruppo e della Trilaterale va collocato all’interno dell’analisi della classe dominante capitalistica e delle forme organizzative che le sono proprie. E, dal momento che ogni classe e le sue forme organizzative riflettono, pur in modo non meccanicistico, i mutamenti della struttura economica, rientra nell’analisi del capitalismo contemporaneo.

2. Una nuova forma transnazionale di capitale e di capitalisti

Dunque, che cosa è il Bilderberg? Il Bilderberg è una delle organizzazioni, tra le più importanti, della classe capitalistica transnazionale. Con la mondializzazione degli anni ‘90, il capitale ha completato il raggiungimento della sua fase transnazionale. Quello transnazionale è il livello apicale del capitale nel suo stadio di evoluzione superiore e maggiormente puro, visto che la caratteristica specifica del capitale è la estrema mobilità settoriale e territoriale, in cui sia l’attività di investimento sia la sua stessa composizione proprietaria sono multinazionali. Ad esempio, nelle prime 30 imprese tedesche solo il 37% del capitale è in mano a tedeschi. Caratteristica principale di questa classe è l’estrema interconnessione, non solo tra banche e imprese, come Hilferding con Il capitale finanziario aveva già rilevato cento anni fa, ma anche tra settori economici diversi, e soprattutto tra capitali di diversa provenienza nazionale. Gli stessi consigli d’amministrazione sono interconnessi, grazie alla presenza dei cosiddetti interlocker, top manager e azionisti che siedono contemporaneamente in diversi consigli d’amministrazione. Questi soggetti sono come i nodi di una rete; non a caso alcuni studiosi definiscono il Bilderberg come un network. Del resto, come ha ricordato Gramsci, la forma organizzativa tipica del capitale non è certo quella del partito organizzato (anche se ha la necessità di egemonizzare i partiti di massa per imporsi), ma quella del gruppo informale. Dunque, se il capitale è strutturalmente interconnesso su base transazionale, anche i suoi agenti, i capitalisti, lo sono. Di conseguenza, anche la loro organizzazione tipica non può che essere internazionale. Il Bilderberg, la Trilaterale, l’Aspen Institute rappresentano la concretizzazione di questo tipo ideale. In particolare, il Bilderberg è l’organizzazione di una parte di un settore specifico di questa borghesia, quello atlantico, che fa riferimento alla Nato. Non è un caso: gli Usa e l’Europa occidentale sono due aree fortemente interconnesse tra loro ed egemoni. I giapponesi e gli orientali sono stati tenuti fuori dal Bilderberg. Per coinvolgerli, senza annacquare il carattere atlantico del Bilderberg, negli anni ’70 fu creata la Trilaterale, che spesso comprende le stesse personalità europee, statunitensi e canadesi del Bilderberg alle quali, oltre a quelle giapponesi, ogni anno si aggiungono quelle di nuovi Paesi asiatici. Naturalmente l’integrazione sovrannazionale non deve essere confusa con l’esistenza di una sorta di supercapitalismo o di Impero alla Negri privo di contraddizioni. Il capitale non sarebbe tale se non fosse molteplice e ineguale nel suo sviluppo e, quindi, se non ci fosse una concorrenza tra capitali. La fase transnazionale non è neanche la fase della fine degli stati-nazione, per lo meno di quelli più forti e imperialisti. È la fase dell’aumento della concorrenza tra capitali, tra aree valutarie e tra Stati. Così come è la fase della accentuazione della lotta di classe, quella del capitale contro il lavoro salariato.

3. Che cosa è quale e qual è la funzione del Bilderberg: la nuova oligarchia

Qual è, allora, la funzione del Bilderberg? Ad aiutarci a rispondere è la composizione del suo comitato direttivo e, meglio ancora, la composizione degli invitati ai suoi meeting. Nel comitato direttivo prevalgono esponenti della finanza e dell’industria, in quanto lo statuto prevede che politici in carica non possano farvi parte. Diversa è la situazione nei meeting annuali. Quest’anno i 138 partecipanti ufficiali, possono essere divisi in tre categorie principali. La prima è quella che fa riferimento agli agenti diretti del capitale, cui appartengono ben 65 personalità, di cui 28 afferenti a società finanziarie (banche, assicurazioni, società d’investimento), 29 a oligopoli e monopoli industriali (energia, estrazioni minerarie, metalmeccanica, chimica-farmaceutica, informatica, ecc.), e 8 a grandi network editoriali della Tv e della carta stampata. La seconda è quella della politica e delle istituzioni statali o interstatali con 38 persone. Si tratta di personaggi di primissimo piano, tra cui primi ministri, ministri dell’economia e degli esteri, membri della Commissione europea, tra i quali il presidente Barroso e Viviane Reding, vice presidente e commissario europeo alla giustizia, e di organismi sovrannazionali, come Christine Lagarde dell’Fmi. Infine, abbiamo 28 persone che appartengono a think tank (10), università (12), centri di ricerca e società di consulenza globali. Quasi tutti questi istituti sono legati a grandi corporation, parecchi sono statunitensi ed appartengono all’area neoconservatrice. Si tratta, per dirla alla Gramsci, del “meglio” dell’intellettualità organica al capitalismo internazionale.

La funzione del Bilderberg è, quindi, quella di riunire alcuni tra gli esponenti di punta del capitale mondiale con i principali decision maker politici. La presenza di queste due categorie contemporaneamente legittima l’idea che le riunioni siano l’occasione di definire linee guida generali da implementare con decisioni politiche a livello nazionale e sovrannazionale. A quali principi si ispirino queste linee guida è facile intuirlo, conoscendo l’orientamento dei think tank e dei personaggi che intervengono. Possiamo poi fare riferimento a quei pochi materiali fatti uscire dalla Trilaterale come “Crisi della democrazia” di Crozier e Huntington, che, criticando l’eccesso di democrazia degli anni ‘70, prefigurava quanto abbiamo visto realizzarsi in Italia e in Europa negli ultimi venti anni. I principi di fondo sono quelli che sono diventati egemoni negli ultimi 30 anni a partire dal il tatcherismo e dalla reaganomics: mercato autoregolato, autonomia delle banche centrali, riduzione del welfare, privatizzazioni, deregolamentazione del settore bancario, dei mercati finanziari e del mercato del lavoro e soprattutto “governabilità”, eretta a principio assoluto del funzionamento della “democrazia”.

4. Perché la classe transnazionale vince

Il Bilderberg è molto più connesso alla trasformazione in senso oligarchico delle istituzioni democratiche e rappresentative occidentali che a congiure e complotti. È abbastanza ridicolo pensare che una organizzazione di questo tipo si metta ad organizzare cospirazioni o complotti contro questo o quello. A meno che l’implementazione delle politiche di cui abbiamo parlato non la si voglia definire un complotto. In questo modo, però, perderemmo uno degli aspetti più importanti, cioè l’individuazione del perché e dei meccanismi attraverso cui l’élite transnazionale riesce a vincere. Riesce a vincere, soprattutto, grazie al fatto che è espressione dei rapporti di produzione capitalistici allo stadio transnazionale. Ciò vuol dire che vince perché è interconnessa ed integrata, molto di più di quanto i suoi avversari, il movimento operaio e i movimenti antimperialisti, riescano ad essere. E perché è capace di mettere in atto quello che Gramsci definiva esercizio dell’egemonia. Non è un caso che accanto ai produttori di ideologie neoconservatrici, come i think tank, partecipi agli incontri del Bilderberg anche una nutrita pattuglia di imprenditori e operatori dell’industria della diffusione delle idee e delle opinioni. La forza e la pervasività di questa capacità egemonica è dovuta, infine, soprattutto alla integrazione tra agenti diretti del capitale e politici appartenenti sia al centro-sinistra che al centro-destra, compresa la sinistra verde e la socialdemocrazia europea. Quest’anno tra i partecipanti spicca Stefan Löfven, neosegretario del partito socialdemocratico svedese e ex leader del sindacato dei metalmeccanici, invitato, come da prassi, dal membro svedese del comitato direttivo, Jacob Wallenberg, l’Agnelli svedese. Il vero problema non è la corruzione di basso livello dei politici o il finanziamento pubblico ai partiti, come pretendono i fustigatori della “casta”. La vera corruzione del sistema politico e dei partiti tradizionali risiede nell’integrazione dei vertici politici all’interno della borghesia transnazionale. Infatti, spesso non è possibile distinguere con nettezza tra agenti politici, intellettuali ed economici del capitale transnazionale. Gli stessi individui, come nel sistema Usa della “porte girevoli”, passano con disinvoltura dai consigli d’amministrazione ai governi nazionali alle organizzazioni sovrannazionali ai centri ideologici e viceversa, come nel caso di Mario Monti e Mario Draghi.

Concludendo, non è possibile capire il Bilderberg e le altre sue organizzazioni sorelle se non recuperiamo e non attualizziamo la categoria di modo di produzione e la relazione struttura-sovrastruttura. Non si tratta di una esigenza solamente scientifica, ma soprattutto politica, senza la quale non può essere fondato alcun durevole processo di ripresa democratica. In sintesi, possiamo definire il Bilderberg come l’organizzazione della nuova classe borghese transnazionale, nella forma del network. Una organizzazione funzionale allo scopo sia di essere camera di compensazione delle contraddizioni intercapitalistiche, interstatali e tra Europa e Usa sia soprattutto di esercitare l’egemonia sul resto della società attraverso l’elaborazione, la condivisione ideologica tra i vari settori di questa borghesia e l’implementazione nei sistemi politici di linee guida generali. Il risultato di questo attivismo non è però alcun “nuovo ordine mondiale”, bensì il caos, come possiamo osservare nelle cronache di ogni giorno. Il dato più importante su cui riflettere, alla fine, è che il capitale transnazionale produce destabilizzazione e divaricazione delle contraddizioni a tutti i livelli.









RISIERA E FOIBE: UN ACCOSTAMENTO ABERRANTE (articolo di Giovanni Miccoli del 1976)


In altra parte di questo sito abbiamo citato un intervento del professor Giovanni Miccoli, uscito sul Bollettino dell’Istituto Regionale per la storia del Movimento di liberazione nel Friuli-Venezia Giulia, n. 1/aprile 1976. Stante la sua chiarezza ed attualità, lo ripubblichiamo in questa sede.


RISIERA E FOIBE: UN ACCOSTAMENTO ABERRANTE.


Il processo sui crimini della Risiera ed il dibattito e le iniziative svoltisi intorno ad esso si configurano già, ancor prima della sua conclusione, come un fatto di grande rilievo nella vita della città. Nonostante i gravissimi limiti dell’istruttoria e del rinvio a giudizio, è emersa con prepotenza dalle testimonianze e dai problemi posti via via in margine alle udienze la realtà profonda di quella mentalità e di quella pratica di “antislavismo” e di “anticomunismo” che costituiscono un presupposto fondamentale per capire il fascismo di queste terre e le motivazioni reali del collaborazionismo filonazista maturatosi durante il periodo dell’Adriatisches Küstenland” e quindi per capire anche il perché della Risiera a Trieste, campo di concentramento e di smistamento verso i Lager tedeschi ma anche e soprattutto campo di sterminio strettamente collegato alla lotta e alla repressione antipartigiana.

Sono fatti emersi con grande chiarezza e che rinviano a precise responsabilità politiche, chiamando sul banco degli imputati atteggiamenti, mentalità, azioni, modi di essere che operarono allora, e largamente continuarono ad operare nella nostra regione anche negli anni del dopoguerra. Il fatto stesso che un tale processo si sia celebrato con tre decenni di ritardo, che omertà, silenzi, colpevoli mancanze di iniziativa delle autorità e delle forze politiche maggioritarie abbiano a lungo cercato di cancellare o far dimenticare le tracce della Risiera, attesta esemplarmente quanto l’eredità del passato e il contesto generale grazie al quale la Risiera era potuta nascere abbiano continuato a pesare nelle vicende e negli atteggiamenti della società locale, e negli scontri, nelle lotte, nelle tensioni e contrapposizioni che l’hanno caratterizzata.

Esplicitare tutto questo è necessario, per superare veramente quel passato, per porre basi solide e di massa – nella cultura, nei valori, nella consapevolezza degli uomini e delle donne di queste terre – alle prospettive di un futuro diverso, diversamente costruito ed orientato. Anche per questo, mi pare, bisogna fare di più di quello che si è fatto finora per allargare il dibattito e l’informazione, per portarlo nelle scuole e nei quartieri, seriamente, come un problema che investe e riguarda ancora, da qesto punto di vista, le responsablità di tutti, come un problema che allora ha coinvolto, per consenso, per colpevole silenzio, per supina accettazione, per distorta concezione e pratica di valori e miti più o meno autentici, le responsabilità di tutti. Non si tratta di fare del moralismo astratto e di proporre perciò un discorso del tipo “tutti peccatori”, che nella sua indifferenziata genericità annullerebbe le sempre necessarie distinzioni di responsabilità, di iniziativa, di azioni. Ma di affermare e sottolineare con la forza dei fatti e delle vicende reali che, come il fascismo in queste terre non fu episodio di pochi, ma trovò consensi, appoggi, alleanze in un terreno profondamente disposto ad accoglierlo, così il nazismo – e l’antislavismo, l’anticomunismo, lo stesso antisemitismo che alla esperienza fascista strettamente si riallacciano – poterono operare qui e tradursi negli stermini della Risiera perché larghi strati della nostra società erano già stati orientati ed individuare in certe direzioni l’alleato ed in altre il nemico da combattere.

Ma proprio per questo anche un altro discorso va fatto, con estrema precisione e chiarezza, riguardo al sistematico accostamento tra la Risiera e le foibe, portato avanti con numerosi interventi dal “Piccolo” e dai gruppi della destra locale. Ed è un discorso di netto e radicale rifiuto di tale accostamento, perché Risiera e foibe sono due fatti sostanzialmente e qualitativamente diversi, e perciò assolutamente incomparabili fra loro. La premessa di un tale giudizio non sta nel distinguere le responsabilità di chi è morto – come pure si deve e si dovrà, in un’analisi complessiva di quelle vicende – ma nell’individuare e quindi nel distinguere gli ambienti e le ideologie e le circostanze grazie ai quali quei determinati fatti hanno potuto prodursi. La Risiera è il frutto razionale e scientificamente impostato dall’ideologia nazista, che come ha prodotto Belsec e Treblinka, e Auschwitz e Mauthausen, e Sobibor e Dachau, così ha prodotto la Risiera, e l’ha prodotta qui, ha potuto produrla qui perché, per i fini ai quali doveva rispondere, ha trovato compiacenti servizi in ambienti largamente predisposti dal fascismo. Le foibe (quando non si tratti, come spesso si è trattato, di un modo di “seppellire” dei morti altrui: vi ricorsero i partigiani, vi ricorsero tedeschi e fascisti: e anche questa è una pagina in gran parte ancora da indagare, per evitare facili e troppo frequenti generalizzazioni e amplificazioni) sono la risposta che può essere sbagliata, irrazionale e crudele, ma pure sempre risposta alla persecuzione e alla repressione violenta e sistematica cui per più di vent’anni lo Stato italiano (il fascismo, si dirà, ma il fascismo aveva il volto dello Stato italiano) aveva sottoposto le popolazioni slovene e croate di queste zone. È assurdo parlare, riferendosi ad esse, di genocidio o di programmazione sistematica di streminio, ma sì di scoppio improvviso di odii e rancori collettivi a lungo repressi.

Le foibe istriane del settembre 1943, connesse allo sfasciarsi di ogni struttura politica e militare dello Stato italiano (varie centinaia gli infoibati secondo un rapporto abbastanza preciso proveniente dai Vigili del fuoco di Pola), corrispondono ad una vera e propria sollevazione contadina, improvvisa e violenta come tutte le sollevazioni contadine: colpisce i “padroni” – classe contro classe – perché padroni, padroni che sono anche italiani, italiani che per essere tali sono “padroni”, gli oppressori storici di sempre. Le foibe dell’aprile-maggio 1945, dove finirono quanti vennero presi e giustiziati sommariamente in quella furia di vendetta che sempre accompagna i trapassi violenti di potere, si inquadrano ancora, almeno in parte, in questo contesto: non vi furono giustiziati solo fascisti e nazisti per i crimini che avevano commesso e per l’odio che avevano suscitato (i calcoli del sindaco G. Bartoli, che sembrano peccare eventualmente per eccesso, elencano quattromila scomparsi, ma tra costoro sono compresi anche i caduti nelle azioni belliche locali tra il ‘43 e il ‘45); vi furono certamente coinvolte anche persone che con il fascismo poco o nulla avevano a che fare: è ragionevole pensare che furono coinvolte perché si trattava di italiani. Ma anche qui non si può dimenticare che un tale odio e una tale reazione trovano la loro ragione di fondo e la loro motivazione oggettiva in ciò che fu il fascismo di queste terre, nelle violenze squadristiche, nelle vessazioni, nei villaggi sloveni e croati incendiati, in quell’odio antislavo insomma che è componente anche degli stermini della Risiera e che fu truce prerogativa del fascismo e del collaborazionismo nostrano. Non si possono insomma confondere, né moralmente né storicamente, oppressori ed oppressi, nemmeno quando questi prendono il sopravvento e si vendicano talvolta anche selvaggiamente. E se un collegamento tra i due momenti si vuole stabilire esso sta semmai nella perversione dei rapporti, nell’imbestialimento dei costumi, nello stravolgimento dei valori, prodotto dal fascismo e dal nazismo, che non lasciarono indenni, non potevano lasciare indenni, nemmeno coloro che essi opprimevano (così come, ben più in generale, si può affermare che è una ben stolta illusione pensare che l’Italia fascista non sia riuscita anche a intaccare, coinvolgere, in qualche modo corrompere quell’Italia che pur fascista non era né voleva diventarlo: non si parla, sia chiaro, dei singoli, ma del costume, dei raporti sociali, dell’insieme della collettività.

Solo avendo ben chiare queste premesse si può parlare delle foibe: e se ne parli e se ne discuta, finalmente, e si indaghi con serietà sulla realtà dei fatti e delle circostanze, anche per mettere fine alle sporche strumentalizzazioni di chi di quegli odii, da cui anche le foibe sono nate, è primo responsabile: per inquadrarle anch’esse, così come vanno inquadrate, tra gli esiti del fascismo ed il conseguente scatenarsi degli odii nazionali. Ma è aberrante e grave l’ipotesi di un processo oggi (auspicato più volte sul “Piccolo” e annunciato come certo in un recente numero del “Meridiano”) dopo tutti i processi degli anni cinquanta (comodamente dimenticati da chi si fa promotore di una tale iniziativa: è la Risiera che non aveva mai avuto un processo, non le foibe, che di processi ne hanno avuti decine, e spesso forzati e immediatamente strumentali alle lotte e alle manovre politiche di allora), che si vorrebbe affiancare al processo della Risiera: perché è un processo che nascerebbe appunto, di fatto e nelle volontà dei suoi promotori, come contraltare dell’altro, in un accostamento storicamente e moralmente infondato se non, ancora una volta, da un punto di vista nazionalista e fascista: un processo non ad un’ideologia e a un sistema, e quindi occasione di crescita e di consapevolezza civile, ma un processo ad una reazione irrazionale e violenta che trovava rispondenza in tensioni e lacerazioni di interi gruppi sociali, e perciò inevitabilmente aperto, per gli equivoci gravi da cui nascerebbe, alla strumentalizzazione fascista e nazionalista. È una prospettiva questa, cogliamo crederlo, che nessuna delle forze democratiche vorrà permettere, a rischio di produure ancora una volta quelle spaccature, quelle lacerazioni e quelle contrapposizioni grazie alle quali in queste terre il neofascismo ha potuto rirprendere a prosperare anche nel dopoguerra.


One Response to RISIERA E FOIBE: UN ACCOSTAMENTO ABERRANTE (articolo di Giovanni Miccoli del 1976)


diecifebbraio4 says:

Questo accostamento aberrante dal 1976 ad oggi è diventato purtroppo luogo comune, “normalità” del discorso pubblico, e si è addirittura allargato, aggravandosi, laddove non è più solo la Risiera ad essere equiparata per gravità alle “foibe”, ma la stessa Auschwitz ed in generale tutto l’universo criminale nazifascista, incluso lo sterminio ebraico!

Si pensi ad iniziative aberranti come quella della Regione Abruzzo, che ha istituito un premio intitolato “Commemorazione della Shoah e delle Foibe – Ricordare perché non accada di nuovo”, come se Shoah e “foibe” fossero fenomeni minimamente comparabili non solo per proporzioni e gravità, ma anche dal punto di vista ideologico, motivazionale o intenzionale.

L’iniziativa della Regione Abruzzo è non a caso rivolta alle scuole, perché è alle giovani generazioni che mirano: distorcere il senso storico, confondere le prospettive dello sguardo al passato come di quello al futuro, per prepararsi strategicamente a ripetere e far ripetere gli errori ed i crimini del passato.

Scrisse acutamente Albert Camus: “Chi non chiama le cose con il proprio nome, semina disgrazie tra la gente”.




Le Monde et les conflits yougoslaves

1) Le journal Le Monde : une référence de la désinformation 
(Interview exclusive avec Fabrice Garniron, auteur du livre "Quand Le Monde... décryptage des conflits yougoslaves")
2) « Le Monde » et les conflits yougoslaves : entre manipulation, mensonges et désinformation 
(Extraits du livre de Fabrice Garniron)


Fabrice Garniron

Quand Le Monde... décryptage des conflits yougoslaves

Editions Elya, 2013, ISBN-13 : 979-1091336024


=== 1 ===

http://www.michelcollon.info/Le-journal-Le-Monde-une-reference.html?lang=fr

Le journal Le Monde : une référence de la désinformation

Fabrice Garniron

5 juin 2013


Fabrice Garniron est l'auteur d'un livre qui vient de sortir où il étudie minutieusement les mensonges du quotidien de l'intelligentsia parisienne lors de la guerre dans les Balkans. Il a accordé à B. I. une interview exclusive.



B. I. : Qu'est-ce qui vous à poussé à vous intéresser au conflit dans l'ex-Yougoslavie ?


Fabrice Garniron : Je n’avais aucun lien avec la Yougoslavie avant le déclenchement des guerres au début des années 90.

 

Je crois qu’au départ mon intérêt s’explique par une culture familiale fortement imprégnée d’antifascisme, Je ne pouvais par conséquent rester indifférent lorsque les médias occidentaux ont présenté les guerres en Yougoslavie comme le retour de la barbarie nazie par Serbes interposés.

 

Mais rapidement cette campagne m’est apparue comme fallacieuse, la référence au nazisme n’étant qu’un outil au service du bourrage de crâne. Le mois d’août 1992 a été décisif : au moment même où la seule photo d’un homme squelettique suffisait aux médias occidentaux pour faire campagne sur “Auschwitz en Bosnie”, le journal britannique The Independant, se basant sur des rapports de l’ONU, affirmait que les autorités musulmanes tiraient sur leur propre population pour mieux incriminer les Serbes. La suite n’a fait que confirmer que nous n’étions pas face à un retour du nazisme, mais à une formidable campagne de nazification en vue de diaboliser une des parties en conflit.

 

Ma méfiance en 1992 a été alimentée par plusieurs évènements où, des années 60 aux années 80, les médias occidentaux ont montré leur efficacité et leur absence de scrupules dans le formatage de l’opinion.

 

Q. : Pourquoi vous êtes-vous concentré sur Le Monde ?

 

R. : Le choix du quotidien Le Monde n’est pas du au fait que ce dernier aurait adopté une ligne originale par rapport aux autres médias. Au contraire, il s’en distingue fort peu. Ce qui m’a paru intéressant dans ce quotidien, ce n’était pas l’originalité de sa ligne mais son statut, sa réputation et sa position. Ce journal, considéré comme le “quotidien de référence”, est en France au cœur de l’information. Il influence les médias audiovisuels en même temps qu’il est le journal de ce qu’il est convenu d’appeler “l’élite” politique, économique et intellectuelle. Son rayonnement est tel que, selon moi, le critiquer sur la question yougoslave revenait à s’attaquer à la crédibilité globale des médias français sur cette question. Ajoutons que de tous les quotidiens c’est celui qui, et de loin, a offert sur la question yougoslave le plus de matière : nombre d’articles considérable, suppléments spéciaux, chronologies, rétrospectives et nombreuses contributions extérieures au journal.

 

Q. : Votre livre se compose de chapitres traitant de sujets différents. Dans chaque cas, vous présentez le texte du Monde qu’ensuite vous réfutez. Pouvez-vous nous parler de ces sujets et nous dire en quoi le journal a faussement présenté les faits ?

 

R. : Il y a d’abord ce que j’ai évoqué plus haut : la nazification des Serbes. C’est un amalgame qui a cours au Monde depuis le début des années 90. Y compris en une, ou dans ses éditoriaux. C’est le cas en août 1992 par exemple, lors de la campagne sur “les camps de la mort en Bosnie”, ou en 1995, lors des accords de Dayton, où il est fait allusion à une nouvelle Shoah en Bosnie. Les exemples sont trop nombreux pour être cités ici. Ajoutons que la désinformation à laquelle s’associe Le Monde sur Srebrenica participe de cette tentative d’attribuer au nationalisme serbe un projet génocidaire de type nazi. Les nombreux faits démentant cette assimilation fallacieuse ne sont jamais mentionnés par Le Monde.

 

Le deuxième mensonge a consisté, dès 1992, à occulter l’existence d’un nationalisme musulman bosniaque en faisant passer les dirigeants musulmans pour les dépositaires d’un pseudo projet “multiethnique”. Miracle de la propagande : alors que les autorités musulmanes campent dès 1992 sur des positions bellicistes en refusant tout partage territorial avec les Serbes et se retrouvent rapidement en guerre contre leurs anciens alliés croates, le quotidien fait passer la politique de Sarajevo pour une politique de paix ayant pour but de créer un Etat commun aux Musulmans, Serbes et Croates. C’est ainsi que Le Monde diabolisera comme fascistes et racistes les aspirations à l’autodétermination des Serbes de Bosnie, quelques mois après avoir soutenu l’éclatement de la Yougoslavie au nom du droit des peuples à disposer d’eux-mêmes...

 

Cette ligne éditoriale conduit le quotidien à dissimuler des faits essentiels. Que ce soit l’itinéraire proallemand du président bosniaque Izetbegovic pendant la Seconde guerre mondiale, son voyage en Iran pour faire allégeance à l’ayatollah Khomeiny en 1983 et sa fameuse “Déclaration islamique”, rééditée en 1990. Une Déclaration que le quotidien ne citera jamais, même pas dans la biographie qu’il fera d’Izetbegovic lors de sa mort en octobre 2003.

 

Pour mieux angéliser les Musulmans et présenter les Serbes comme les seuls fauteurs de guerre, Le Monde taira également la responsabilité des autorités musulmanes dans le déclenchement de la guerre de Bosnie : pas la moindre trace dans Le Monde du fait qu’Izetbe-govic ait retiré sa signature du plan Cutileiro en mars 1992. Quant à la politique des autorités musulmanes consistant à organiser le massacre de leurs propres citoyens pour en accuser les Serbes, elle est devenue un sujet tabou malgré la somme de témoignages de personnalités occidentales presque toujours hostiles aux Serbes.

 

Le troisième mensonge a été de présenter systématiquement les Serbes comme les responsables de l’éclatement de la Yougoslavie. A lire Le Monde, il n’y avait en Yougoslavie qu’un seul nationalisme, cause de tous les maux de la Fédération : le nationalisme serbe. Ce serait lui qui aurait suscité, à la fin des années 80, la réaction prétendument légitime des autres nationalismes.

 

Pour Le Monde, tout commence à Kosovo Polje le 24 avril 1987 lorsque Slobodan Milosevic dit aux Serbes : “Personne n’a le droit de vous battre”. Le journal cherche à faire croire que cette phrase aurait été une pure provocation prononcée dans un ciel serein, comme si à ce moment-là la situation entre Serbes et Albanais du Kosovo était caractérisée par on ne sait quelle “concorde multiethnique”. Or, je le rappelle dans mon livre, entre 1968 et 1989, les non Albanais, en particulier les Serbes et les Monténégrins, étaient au Kosovo l’objet de persécutions les obligeant à quitter la province.

 

Pour Le Monde, il s’agit de présenter à l’opinion une version expurgée d’où a disparu toute trace de nationalisme non serbe, qu’il soit albanais, croate ou slovène, pour mieux incriminer les Serbes en général et Milosevic en particulier.

 

Concluons par le quatrième mensonge, intimement lié au troisième : la désignation des Serbes comme seuls coupables sert à mieux dissimuler le rôle destructeur de l’Allemagne dans la disparition de la Yougoslavie. Ce fait – Union européenne oblige – est l’autre grand tabou des récits pseudo historiques du Monde et des médias occidentaux en général.

 

Q. : Sur de nombreuses questions, la position prise par Le Monde n'a pas été cohérente. Le “nationalisme serbe” n'a pas été considéré comme une menace, et puis il l’est devenu. Milosevic a été loué pendant un certain temps comme un réformateur, et puis il est devenu l'incarnation du mal. Quel est à votre avis l'explication de ces changements d'attitude ?

 

R. : Effectivement, lors du travail préparatoire à mon livre, j’ai été surpris de voir à quel pointLe Monde, à la fin des années 80, soutenait Slobodan Milosevic. Il en faisait même l’éloge, le considérant en juillet 1989 comme “la plus forte personnalité apparue sur la scène yougoslave depuis la mort de Tito”. En cela il était représentatif de la presse occidentale de l’époque. Le Monde approuvait la volonté de Slobodan Milosevic de rééquilibrer la position de la Serbie au sein de la Yougoslavie et soutenait les réformes constitutionnelles visant à limiter, sans la supprimer, l’autonomie de la Voïvodine et du Kosovo. On ne peut qu’être surpris de cette position quand on voit plus tard cette même presse diaboliser les réformes en question comme une abominable et arbitraire suppression de l’autonomie...

 

Pourquoi alors ce soutien occidental ? A ce moment-là, les Occidentaux continuent de souhaiter le maintien de la Yougoslavie, unité à laquelle les Serbes sont les plus attachés. Ce qui nécessite de tenir compte des intérêts nationaux serbes. Tout change en 1989 avec les bouleversements que sont la chute du Mur et la réunification allemande. Cette réunification a dopé la volonté de puissance de l’Allemagne, mettant celle-ci en situation d’obliger ses partenaires européens à entériner la destruction de la Yougoslavie, vieux rêve allemand depuis la défaite de 1918.

 

La reconnaissance de la Slovénie et de la Croatie en décembre 1991 a été d’une efficacité redoutable : elle privait la Fédération de ses républiques les plus riches et entraînait la guerre de Bosnie en incitant les nationalistes musulmans et croates à proclamer eux-mêmes l’indépendance. C’est ainsi que l’Allemagne de 1991 a réussi à mettre fin à une entité qui était un des symboles de sa défaite à la fin de la Première guerre mondiale.

 

Les Serbes étaient les principaux obstacles à cette politique de destruction de la Yougoslavie : ils ne pouvaient accepter d’être séparés de la Serbie dans diverses entités hostiles, la Bosnie d’Izetbegovic ou la Croatie de Tudjman. D’autant moins qu’au même moment, les Slovènes, les Croates et les Musulmans accédaient à l’autodétermination.

 

Quant au discours médiatique occidental, il a fait ce que les discours médiatiques font en général quand des intérêts sont en jeu, à plus forte raison en période de guerre : il a rendu l’ennemi haïssable.

 

Q. : Vous êtes particulièrement critique du Monde pour son attitude lors de la guerre en Bosnie et son explication des rapports entre communautés. Pourquoi ?

 

R. : Comme je l’ai dit précédemment, la tromperie principale a été de faire croire que les Musulmans bosniaques avaient un projet “multiethnique”, autrement dit un projet pour les Bosniaques de toutes origines. Un mensonge qui permettait d’obtenir le soutien de l’opinion occidentale. Tout a été fait pour occulter que les autorités musulmanes avaient en tête les seuls intérêts de leur communauté religieuse. Si ces mêmes autorités ont finalement bien mal défendu les intérêts des Musulmans, ce fut pour des raisons qui ne tenaient nullement à la volonté de s’entendre avec les Serbes, mais au contraire à leur extrémisme.

 

J’essaie de montrer dans mon livre que si cette l’imposture du pseudo “multiethnisme” des autorités musulmanes a eu un tel succès dans l’opinion, c’est en raison d’une illusion ethnocentrique plus ou moins savamment entretenue par nos médias : la Bosnie a été prise pour la France. Mieux : les Serbes ont été explicitement identifiés au Front national et les Musulmans bosniaques aux travailleurs immigrés d’origine maghrébine ou africaine ! Un contresens d’autant plus aberrant que la Bosnie est historiquement et constitutionnellement le pays de trois communautés nationales alors que la France est celui d’un seul peuple.

 

Q. : Quelle est votre analyse de la possibilité d’Etats multiethniques et multiculturels en Europe d’après ce que vous avez vu en Bosnie ?

 

R. : Il me serait difficile de tirer des conclusions précises pour le reste de l’Europe de ce qui s’est passé en Bosnie. Surtout que ce qui s’y est passé est parfois paradoxal : la victoire au sein du camp musulman du fondamentaliste Izetbegovic ne doit pas faire oublier la popularité d’un musulman laïc comme Fikret Abdic et le fait qu’il a affronté le président de Sarajevo.

 

Il reste que la tendance à angéliser les Musulmans de Bosnie se retrouve aujourd’hui chez ceux qui œuvrent pour des sociétés européennes soi-disant “multiculturelles”, à savoir, pour l’essentiel, des sociétés à forte présence musulmane, quelle soit démographique ou culturelle. En fait, ce qui s’organise concrètement c’est une juxtaposition de communautés et non pas leur symbiose à l’intérieur des nations européennes. Je vois là une source de conflits futurs : le risque est grand de voir émerger une identité euro-musulmane qui se transforme en une identité politique.

 

Au lieu de diaboliser ou d’angéliser l’islam, au lieu de porter des jugements de valeurs stériles, mieux vaudrait re-connaître l’évidence : la conception du monde musulman est profondément différente de l’occidentale, qu’il s’agisse de morale sexuelle, du statut de la femme, des relations entre politique et religion. Supposer que cette identité forte qu’est l’islam va tout naturellement s’intégrer dans les sociétés européennes est une illusion lourde de dangers. Oui, vous avez raison de le supposer : je ne suis pas sorti indemne de ce travail sur la Bosnie. Mes représentations classiques d’homme de gauche ont été mises à mal par mon propre travail. J’ai réalisé la puissance des identités alors que la gauche et les libéraux entretiennent l’illusion que ces identités ne peuvent que se dissoudre dans les “va-leurs universelles”, voire dans le progrès économique et social, comme si l’on pouvait réduire l’homme à un “homo economicus”.

 

Q. : En ce qui concerne Srebrenica, pouvez-vous nous donner un résumé de vos conclusions ?

 

Q. : Il ne s’agit pas de nier que des crimes très graves ont été commis par des Serbes à Srebrenica. Mais le reconnaître n’est en rien valider la version officielle. A commencer par la thèse ab-surde du “génocide”, thèse qui atteste d’une instrumentalisation politique et juridique du génocide par le Tribunal pénal international de La Haye, le TPIY.

 

On ne peut parler de génocide quand la totalité de la population civile, femmes, enfants et vieillards, a été évacuée vers les territoires contrôlés par les autorités musulmanes, évacuation par ailleurs décidée par les autorités musulmanes elles-mêmes et voulue par la population. On ne peut parler de génocide quand la majeure partie des combattants musulmans a pu passer la ligne de front à la suite d’un accord avec les autorités serbes. On ne peut pas non plus considérer que les Musulmans tombés à Srebrenica ont été dans leur ensemble abattus sommairement puisque des combats meurtriers ont eu lieu entre Serbes et Musulmans. On sait que les exhumations effectuées par le TPIY sont au nombre de 2.028, que les preuves incontestables d’exécutions sommaires sont au nombre de 448. Quant aux chiffres donnés par les autorités musulmanes, très supérieurs, ils n’ont été jusqu’ici l’objet d’aucune enquête ou contre-enquête. Le TPIY et les autorités musulmanes cherchent en fait à valider par tous les moyens la thèse des 8.000 morts, chiffre associé dans les esprits à celle du génocide.

 

Enfin, on ne peut dénoncer les crimes commis côté serbe sans dénoncer le jeu machiavélique de Sarajevo, qui a abandonné délibérément l’enclave dans les plus mauvaises conditions pour parvenir à ce qui a été son objectif durant toute la guerre : faire intervenir l’OTAN.

 

Q. : Comment peut-on expliquer une telle différence entre l'histoire officielle et vos conclusions ? Les gouvernants sont-ils aveugles, les journalistes sont-ils incompétents, le public international est-il stupide, de ne pas voir les choses que vous voyez ?

 

R. : Les gouvernements n’ont pas pour principale préoccupation la vérité, quelle qu’elle soit. Ils agissent au nom d’intérêts, ou de l’idée qu’ils s’en font.

 

Aujourd’hui, la diabolisation des Serbes et la version officielle des évènements de Srebrenica participent d’un discours de guerre qui est l’objet d’un consensus euro atlantique depuis 1992 : les Serbes sont “les méchants”, les puissances occidentales et leurs alliés locaux, en particulier les Musulmans bosniaques, sont “les bons”. C’est une version qui vise à la fois à justifier l’implication militaire des grandes puissances entre 1992 et 1999 et à légitimer leur présence actuelle dans la région.

 

Pour les journalistes, leur situation n’est guère différente : ils sont dominés par la peur et le conformisme. Tout écart par rapport à la version officielle risquerait de leur attirer l’insulte de “négationniste” et de leur faire perdre leur place.

 

Quant à l’opinion, on sait que, sans être stupide, elle a tendance à se fier à ce que les médias racontent en matière de politique internationale, domaine auquel elle a du mal à s’intéresser.

 

Source : B.I. infos

http://www.b-i-infos.com/


=== 2 ===

http://www.michelcollon.info/Le-Monde-et-les-conflits.html?lang=fr

« Le Monde » et les conflits yougoslaves : entre manipulation, mensonges et désinformation

Fabrice Garniron

5 juin 2013


Le nazisme comme grille de lecture incontournable des guerres en ex-Yougoslavie (1991-1999) a joué et joue encore un rôle central dans le discours médiatique. Interdisant toute réserve, mobilisant facilement l’opinion sous le drapeau de l’antifascisme, l’équation « Serbes = Nazis » a eu un effet de sidération qui explique largement son succès. À côté de la plupart des autres médias, mais à sa place de « quotidien de référence », Le Monde a largement participé à cette campagne, multipliant dès 1992 les allusions à la nouvelle Shoah qui aurait eu lieu lors de la guerre en Bosnie (1992-1995). (Extraits du livre de Fabrice Garniron, Quand Le Monde... décryptage des conflits yougoslaves, Editions Elya, 2013)

 

(...) Au-delà de la guerre de Bosnie, c’est à travers ce prisme que Le Monde prétend lire la période de quelques années qui précède le déclenchement des guerres en 1991. L’objectif étant de faire du nationalisme serbe un nouveau national-socialisme. Tout se passe comme si Le Monde s’efforçait de plaquer sur cette période de la fin de la Fédération le schéma de la montée du nazisme et de la responsabilité allemande dans le déclenchement de la 2ème Guerre mondiale. Dans cette perspective, il faudrait attribuer au seul nationalisme serbe et à ses ambitions hégémoniques supposées la responsabilité de l’éclatement de la Fédération yougoslave. Cette histoire reconstituée devient, à partir de 1999, le storytelling à destination du grand public que nous appelons « La fable de Kosovo Polje », titre du premier chapitre. Nous y examinons non seulement les thèmes et les amalgames qui ont fait son succès mais aussi les responsabilités et les évènements qu’elle passe à la trappe pour donner sa version partisane de la fin de la Fédération.

 

Ce storytelling a toutefois un contrepoint insolite : la ligne du quotidien lui-même pendant les dernières années de la Fédération (1987-1991). À cette époque en effet, la ligne du Monde est à l’opposé de ce qu’elle est devenue ultérieurement. De 1968 à 1990, ce sont les nationalismes croate, albanais voire slovène qui, pour le quotidien, représentent les principales menaces pesant sur la Fédération.

 

(...) Alors que le quotidien rend compte jusqu’en 1989 d’une crise multiforme, avec des causes et des dynamiques nombreuses, en particulier économiques, il ne veut plus voir aujourd’hui qu’un seul responsable : le nationalisme serbe. Pour ce faire, il procède aujourd’hui à une véritable réécriture de l’histoire, allant jusqu’à faire disparaître purement et simplement de ses analyses, chronologies et allusions au passé, des pans entiers de ce qu’a été l’histoire de la Fédération. Les révoltes nationalistes albanaises et croates (...), en particulier celles de 1968 et de 1971 font partie de ces évènements occultés, comme le départ massif et forcé des Serbes du Kosovo entre 1968 et 1989. Un exode qui est aujourd’hui l’objet d’un déni complet au Monde, alors qu’il en a régulièrement informé ses lecteurs jusqu’en 1990.

 

Dans la dernière partie de ce premier chapitre, nous revenons sur une autre question devenue taboue au Monde  : la responsabilité de l’Allemagne dans l’éclatement sanglant de la Yougoslavie. Autre occultation qui est dans la logique d’une fiction où, Europe oblige, les seuls responsables de la disparition de la Fédération doivent impérativement être serbes.

 

(...) Dans « Bosnie : ethnies ou peuples ? », nous tentons de montrer que la manière dont le quotidien a évoqué la question des « peuples » et des « ethnies » ne doit rien au hasard.

 

(...) C’est qu’avant d’être d’ordre sémantique, la problématique peuples/ethnies est éminemment politique : la notion de « peuple » débouche sur le principe du droit des peuples à disposer d’eux-mêmes tandis que celle d’« ethnie » ouvre généralement sur un principe différent, voire opposé, celui de « multiethnisme ». Pourquoi Le Monde, qui n’a cessé de vanter le « multiethnisme » dans le cas bosniaque ne l’a-t-il pas fait dans le cas yougoslave ? C’était pourtant le cadre yougoslave qui était le plus à même de garantir la vie commune et la paix entre les trois peuples bosniaques. Mais contre tout bon sens, Le Monde a discrédité en Bosnie ce qu’il a exalté dans le reste de la Yougoslavie. (...)Une contradiction que seule la politique des grandes puissances en ex-Yougoslavie permet d’élucider. Observer comment, selon les cas, Le Monde exalte ou discrédite l’un ou l’autre de ces principes est l’occasion de souligner l’adaptabilité de la rhétorique du quotidien et son suivisme à l’égard de ces mêmes puissances. (...)

 

L’aberration consistant à vouloir en Bosnie le contraire de ce qu’on préconise dans le reste de la Yougoslavie s’est accompagnée d’une illusion, voire d’une imposture. C’est le thème du troisième chapitre, Bosnie : du rêve multiethnique au despotismeLe Monde a prétendu que les dirigeants de la communauté musulmane étaient les garants du « multiethnisme » en Bosnie. Tout ce qui pouvait gêner cette illusion a été occulté ou, dans le meilleur des cas, limité à quelques lignes.





Le Courrier des Balkans


Stand up, People : la Yougoslavie de Tito, l’âge d’or de la pop tzigane


vendredi 31 mai 2013
Du temps de la Yougoslavie titiste, les Roms bénéficiaient du statut de minorité et les autorités promouvaient leur culture et leur langue. Ils ont profité de leur reconnaissance pour créer dans les années 1960-70 une musique unique, fusion des chansons traditionnelles et des musiques modernes occidentales (pop, jazz) et orientales (Bollywood). Une compilation retrace la magie de cet âge d’or de la pop tzigane. Le Courrier des Balkans a interrogé l’un des deux Anglais à l’origine de ce projet.

Propos recueillis par Simon Rico


Courrier des Balkans (CdB) : Comment est née l’idée de ce projet, de parcourir les Balkans pour y chercher des vieux vinyles de musique rom et d’en faire une compilation ?

Philip Knox (P. K.) : La musique des Balkans nous a toujours fascinés Nat (Nathaniel Morris, l’autre moitié du duo de Vlax Records à l’origine de la compilation, NDLR) et moi. Lors de nos nombreux voyages dans la région, nous avons entendu de la musique rom dans les mariages, dans la rue et dans les kafanas. Nous connaissions les stars roms de l’ancienne Yougoslavie, Šaban (Bajramović) et Esma (Redžepova), nous avons commencé à collectionner leurs disques, puis on s’est mis à chercher toute la musique rom qu’on pouvait trouver. C’est comme ça qu’on s’est rendu compte que la Yougoslavie des années 1960-70 avait une scène tzigane gigantesque et vibrante, sûrement la plus vibrante de toute l’Europe du sud-est. Et puis à un moment, il est devenu évident que l’on devait partager cette musique, et nous avons essayer de raconter cette histoire.


CdB : Les musiques populaires roms ont été popularisées par Goran Bregović et les films d’Emir Kusturica. Pourquoi vous êtes-vous intéressés seulement aux enregistrements anciens. Vous vouliez montrer qu’il existait autre chose ?

P. K. : À titre personnel, j’ai toujours eu une relation un peu problématique avec la manière dont Bregović utilise de la musique rom. Il a été accusé d’avoir exploité les chanteurs qui avaient à l’origine écrit et joué ces musiques. Mais par-dessus tout, ça m’énerve que les gens ne voient la musique tzigane que comme un truc pour faire la fête avec un coup de rakija dans le nez alors qu’en réalité, elle est subtile, sophistiquée et intelligente.


CdB : Vous avez voyagé tout autour des Balkans pour dénicher les disques qui vous ont servi à assembler Stand up, People. Avez-vous remarqué des différences dans la composition et l’orchestration suivant les régions ?

P. K. : La musique rom est d’une incroyable diversité dans les Balkans. C’était d’ailleurs l’une des difficultés dans notre projet, essayer de montrer une telle diversité en un seul disque. En Voïvodine, dans le nord de la Serbie, la musique rom s’appuie sur un violon rapide, comme on l’entend dans les enregistrements des légendes Alexandr Šišić et Duško Petrović, et malheureusement, on n’a pas trouvé de place pour eux dans ce disque. Les musiques du sud de la Serbie et de Macédoine ont elles aussi leurs différences. Peut-être que la musique la plus particulière dans Stand up, People, c’est celle du Kosovo (Hajda Sučurija, Nehat Gaši), qui a un son incroyable, sous influence ottomane, avec des passages proches de la transe. Ils utilisent parfois un oud, ce qui était apparemment unique à l’époque au Kosovo.


CdB : On entend les stars incontournables de la scène rom ex-yougoslave, Šaban Bajramović et Esma Redžepova, dans votre compilation, mais avec des titres rares, et surtout des artistes inconnus ou presque. Comment avez-vous fait votre sélection ?

P. K. : Nous voulions montrer les grandes vedettes de la scène des années 1960-70. Esma et Šaban sont devenus célèbres en Europe de l’ouest, mais Muharem Serbezovski est aussi très connu en Yougoslavie, et nous devions le mettre en avant dans ce disque. Nous avions également le sentiment qu’il était important de faire découvrir des artistes beaucoup moins célèbres - certains n’ont enregistré qu’un ou deux disques -, pour que les gens se rendent compte de la richesse de la musique rom à l’époque. Plus que tout, nous voulions montrer l’influence de gens aujourd’hui oubliés comme Medo Čun, qui est derrière de nombreux titres anciens d’Esma et Muharem. C’est génial qu’on ait pu inclure une partie de son travail solo.


CdB : Ce disque s’intéresse seulement à la musique rom à l’époque de la Yougoslavie titiste. C’est parce que la musique était meilleure pour vous à ce moment-là ou parce que vous vouliez parler d’une époque où les Roms étaient mieux considérés ?

P. K. : C’est un fait tragique qu’après la mort de Tito et l’inévitable éclatement de la Fédération, la culture rom a plongé. Il y a toujours de nombreux musiciens incroyables dans les pays issus de la Yougoslavie, mais on a l’impression qu’ils ne bénéficient plus de la même reconnaissance que dans les années 1960-70. Cela ne veut pas dire que sous Tito c’était le paradis pour les Roms, il y avait de nombreuses discriminations et peut-être que cette apparente acceptation n’était qu’une façade. Il est néanmoins indéniable que de nombreux Roms enregistraient des disques en tant que Roms, qu’ils chantaient en romani, dans les grands studios yougoslaves. Ils sortaient leur musique et n’importe qui pouvait l’apprécier.


CdB : Il y a souvent une certaine Yougonostalgie dans les pays issus de la Yougoslavie. Avez-vous constaté aussi cela chez les Roms que vous avez rencontrés ?

P. K. : Chez les Roms les plus âgés, la Yougonostalgie est très forte. Ils parlent beaucoup du temps où tout le monde avait du travail et vivait plus facilement. Ceci dit, qui sait si ce n’est pas seulement de la nostalgie ? Les jeunes sont un peu plus sceptiques, mais ils ne pensent sûrement pas que la Macédoine ou la Serbie soient une sorte de paradis.


CdB : Vous avez choisi de terminer votre compilation par une version un peu spéciale de Djelem, Djelem, l’hymne des Roms. Vous pourriez nous en dire un peu plus sur ce morceau ?

P. K. : Djelem, Djelem est une vieille chanson traditionnelle rom. Il semblerait qu’elle trouve son origine pendant la Seconde Guerre mondiale, certaines versions d’ailleurs évoquent la « Légion noire », ce régiment oustachi qui a tué de nombreux Roms. C’est à partir de cette version de la chanson, que nous avons titré la compilation, traduction en anglais d’un des vers : « Ušti Roma Akana ». Il s’agit d’une adaptation pop-rock par un groupe monténégrin. Le fait que ce morceau figure sur un 45 tours de pop, avec sur l’autre face une reprise des Bee Gees, montre à quel point la culture rom était alors devenue grand public en Yougoslavie.


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• Écoutez le mix spécial de Philip Knox pour Balkanophonie :
Stand up, People : l’âge d’or de la pop tzigane yougoslave (1964-80) http://www.balkanophonie.org/stand-up-people-l-age-d-or-de-la
• Retrouvez le CD sur notre boutique en ligne :
Stand Up, People : Gypsy Pop Music in Yugoslavia (1964-80) http://balkans.courriers.info/article22601.html




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Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - ONLUS
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"Traditori della propria patria" non sono solo quelli del passato, i codardi che allo scoppio della II Guerra Mondiale scapparono lasciando il paese senza guida a subire l'occupazione nazifascista, ma anche quelli del presente, che stendono tappeti rossi sia davanti ai nuovi occupatori, sia dinanzi alle salme dei codardi di allora...

(english / italiano)

Anche in Slovenia cappio UE al collo dei lavoratori

1) Sanzioni europee in vista per la Slovenia
2) Slovenian government adopts another austerity programme


=== 1 ===

Sanzioni europee in vista per la Slovenia

di Mauro Manzin, su Il Piccolo del 27 maggio 2013

La Slovenia, per aver violato il rapporto tra debito pubblico e Pil stabilito a Maastricht non superiore al 3%, potrebbe essere la prima nazione europea a incorrere nelle sanzioni che verranno stabilite dalla Commissione europea. La notizia appare sulle colonne del quotidiano britannico Telegraph e proviene da fonti comunitarie. Nella relazione che sarà resa pubblica mercoledì a Bruxelles il “cartellino rosso” potrebbe essere estratto anche per Francia e Spagna. Un avvertimento sarebbe rivolto anche alla Gran Bretagna, rea di rimanere “impiccata” al cappio dei prestiti che vanifica gli sforzi per diminuire il debito pubblico anche se Londra dovrebbe riuscire a non incorrere nelle sanzioni europee.
La Commissione europea, negli ultimi tempi, per cercare di combattere le violazioni dei principali standard macroeconomici nell’area dell’Eurozona ha ottenuto potrei speciali che la investono della possibilità di decidere quali riforme devono essere attuate negli Stati “trasgressori” e di elevare multe salatissime a chi non dovesse adeguarsi ai voleri del “governo” comunitario. «Se i Paesi non attuano le riforme necessaria a rispettare i parametri dell’Eurozona - spiega una fonte di Bruxelles del Telegraph - sono passibili di sanzioni. E le modalità operative all’interno dell’Ue sono molto cambiate negli ultimi 12 mesi. Fino ad ora la Commissione metteva in evidenza o criticava chi non rispettava i parametri macroeconomici, adesso invece decide direttamente Bruxelles. Mai la Commissione ha avuto simili poteri».
I nuovi regolamenti permettono che sia la Commissione stessa, decretando le sanzioni, a decidere quali riforme devono essere attuate nei Paesi inadempienti e come. E la decisione della Commissione si ritiene approvata se non si oppongono i due terzi dei Paesi membri. È il sistema della maggioranza qualificata per cui i due terzi dei membri devono votare contro una decisione e non a suo favore.
E secondo il Telegraph proprio la Slovenia potrebbe essere la prima “vittima” di questi nuovi poteri della Commissione Ue visto e considerato poi che i problemi del sistema creditizio di Lubiana sono molto simili a quelli di Cipro. Insomma, dicono a Bruxelles, la Slovenia come “cavia”. Ricordiamo che nella relazione dell’aprile scorso ben 13 Paesi europei furono considerati dalla Commissione come “insolventi” nei confronti dei parametri macroeconomici europei. Un particolare accenno fu fatto allora nei confronti di Spagna e Slovenia.
Al di là della Slovenia il vero grosso problema è costituito in questo momento dalla situazione della Francia la seconda potenza industriale dell’Eurozona. Bruxelles minaccerà Parigi con le sanzioni se il governo francese non porterà a termine le riforme strutturali necessarie (pensioni in primis) per innescare un circuito virtuoso nell’indebitamento pubblico. Il termine che verrebbe dato alla Francia sarebbe quello del 2015. Anche Lubiana spera in una proroga, come dichiarato dalla premier Alenka Bratušek, visto poi che il pareggio di bilancio è stato inserito nella Costituzione a partire proprio dal 2015. Ma Lubiana, si sa, non è Parigi.


=== 2 ===


Slovenian government adopts another austerity programme


By Markus Salzmann 
21 May 2013


Seven weeks after taking power, Slovenia’s centre-left governing coalition adopted a new austerity programme and presented it to the European Union commission. Through tax increases and the privatisation of companies, the government plans to cut the budget deficit from its current level of 8.3 percent.

With these measures Prime Minister Alenka Bratusek intends to stabilise the country’s ailing banks at the expense of the population. The banks have debts of €7 billion (US$9 billion)—a sum equivalent to one fifth of Slovenian gross domestic product (GDP).

Bratusek announced plans to sell off 15 companies, including the second largest bank Nova KBM, Telekom Slovenia, the national airline Adria Airways, and the Ljublijana airport. For some of these concerns, privatisation is already under way.

Finance minister Uros Cufer said that the state would not maintain a controlling share in any of the companies. The austerity programme should result in savings totalling €1 billion. For the employees of these companies this will mean large wage cuts and layoffs.

On July 1, VAT on goods and services will increase from 20 percent to 22 percent, hitting those on low and middle incomes particularly hard. The lower rate of income tax will increase by 1 percent to 9.5 percent, bringing in €250 million annually.

Bratusek noted that the VAT changes would be permanent, “because it is a structural measure and not a temporary one.”

Wages in the public sector will once again be reduced with the full support of the trade unions. They were already cut severely last year.

Interior Minister Gregor Virant and trade union leader Branimir Strukelj declared in Ljublijana last Tuesday that they had agreed on further cuts. The reductions in basic rates of pay and state payments for health care and pensions come into force on June 1 and will achieve savings of €291 million this year and in 2014. Including previously implemented measures, the austerity programme will save a total of €500 million by the end of 2014.

The trade unions have seized the opportunity to reaffirm their support for austerity policies and the government, made up of the Positive Slovenia Party, the Social Democrats (SD), the Liberals (DL) and the Pensioners’ Party (DeSus). To this end, Bratusek held discussions last week with Dusan Semolic, the head of the largest trade union association ZSSS.

An initial announcement to impose a “general crisis tax” has for the time being not been implemented. However the tax will continue to be a “plan B” option. A charge on those with gross earnings of more than €750 per month will be levied.

Slovenia has come under growing pressure in recent weeks, after rating agency Moody’s downgraded the credit rating of the former Yugoslavian republic to junk status. As a consequence, EU officials had increased the pressure on Slovenia to intensify its austerity programme.

The austerity measures are aimed at stabilising the ailing banks. Slovenia’s banks hold toxic assets worth an estimated €7 billion, of which €4 billion are to be transferred in to a newly created “bad bank.”

The state-owned banks, which have already received support of €420 million, are to be given a further €900 million of capital this year. Credit rating agency Fitsch has estimated that the three largest banks require at least €2 billion of financial assistance.

The Organisation for Economic Cooperation and Development (OECD) has predicted that Slovenia will go into recession this year and see a sharp rise in government debt. Economic output will contract by a further 2.1 percent. Debt as a percentage of GDP will climb rapidly from 47 percent to 100 percent by 2025.

Although the trade unions have supported the austerity measures and opposed even token protests against them, further demonstrations are inevitable. In recent months there were several protests in the country’s major cities, the largest since Slovenian independence in 1991.

At the end of April, thousands demonstrated in the capital demanding that parliamentary elections planned for the end of 2013 be brought forward in order to force the Bratusek government from office. With placards that read “power to the people,” “fire the troika, not the citizens,” “money for the people instead of the banks,” and “we won’t pay for your crisis”, the participants expressed their rage with the government, the EU and international financial institutions.





"LEGITIMAN VOJNI CILJ" / "LEGITTIMO OBIETTIVO MILITARE"


Mentre festeggia il suo 20.mo anniversario ( http://www.youtube.com/watch?v=fSD8TIMjJww ), il Tribunale "ad hoc" dell'Aia emette la sua ennesima scandalosa sentenza: la distruzione del cinquecentesco Ponte di Mostar nel 1993 non è reato poiché trattavasi di "legittimo obiettivo militare"!
E' questa solo l'ultima evidenza del carattere servile, anti-jugoslavo, complice del separatismo fascista croato e bosgnacco, di questa istituzione para-legale creata dai paesi NATO per potersi autoassolvere dai reati commessi con lo squartamento della Jugoslavia. Il fascismo croato viene di nuovo trattato con i guanti di velluto, con questa sentenza, alla vigilia dell'ingresso della Croazia nella UE il prossimo 1 luglio. (a cura di Italo Slavo)

http://abrasmedia.info/content/antonetti-vijeće-je-zaključilo-da-je-stari-most-bio-legitiman-vojni-cilj

Antonetti: Vijeće je zaključilo da je Stari most bio legitiman vojni cilj

May 29 (Fena) - Raspravno vijeće Haškog suda (ICTY) u srijedu je u prvostupanjskoj osuđujućoj presudi šestorici bosanskohercegovačkih Hrvata zaključilo da je Stari most u Mostaru, srušen 9. studenoga 1993. u granatiranju HVO-a, bio legitiman vojni cilj, uz izdvojeno mišljenje predsjedavajućeg suca Jeana-Claudea Antonettija, jer ga je koristila i Armija BiH.
"Mostarski Stari most srušen je 9. studenoga 1993... Vijeće je zaključilo, uz moje suprotno mišljenje, da je to bio legitiman vojni cilj", pročitao je sudac Antonetti.
Most je projektilima gađan tijekom cijelog dana 8. studenoga, a dan kasnije bio je potpuno srušen. Stari most je izgrađen između 1557. i 1566. na zamolbu stanovnika Mostara sultanu Sulejmanu Kanuniju ili Veličanstvenom. Izgradio ga je lokalni majstor Mehmed-beg Karađoz, iza kojeg je ostala središnja mostarska Karađoz-begova džamija i brojni drugi vakufi.
Međunarodni kazneni sud za bivšu Jugoslaviju (ICTY) u srijedu je osudio šestoricu bivših čelnika Herceg-Bosne optuženih za zločine nad muslimanskim stanovništvom Herceg-Bosne 1993-94., na dugogodišnje zatvorske kazne te je utvrdio da je postojao udruženi zločinački pothvat na čelu s prvim hrvatskim predsjednikom Franjom Tuđmanom.
Tadašnji predsjednik vlade HR Herceg-Bosne Jadranko Prlić nepravomoćno je osuđen na 25 godina, ministar obrane Bruno Stojić na 20 godina, zapovjednici Glavnog stožera HVO-a generali Slobodan Praljak i Milivoj Petković na 20 godina, zapovjednik vojne policije HVO-a Valentin Ćorić na 16 godina, a načelnik Ureda za razmjenu zarobljenika Berislav Pušić na 10 godina zatvora.
U završnim riječima tužitelji su zatražili da ih se proglasi krivima te su za Prlića, Stojića, Praljka i Petkovića zatražili 40 godina zatvora, za Ćorića 35, a za Pušića 25 godina zatvora, dok su obrane zatražile njihovo oslobađanje.



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Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - ONLUS
https://www.cnj.it/
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PART1 http://m.ruvr.ru/download/2013/05/18/11/Robles_Rozoff_May_16_2013_NATO_Italy_Kosovo_Part_1_SITE.MP3
PART2 http://m.ruvr.ru/download/2013/05/22/21/Robles_Rozoff_Part_20.MP3


--- PART1 ---

http://english.ruvr.ru/2013_05_17/European-Guantanamo-or-why-Americans-support-Kosovo/

17 May, 16:33  

European Guantanamo or the reason the US wants Serbia to give up Kosovo


The U.S. military base in Kosovo was constructed in 1999 without consulting with the government of Serbia and the largest U.S. military base built outside of the U.S. since the Vietnam War. The site was apparently used for extraordinary renditions and has been referred to as a “little Guantanamo”. This is a very little known fact as NATO, the U.S., the European Union and the West are in the process of forcing Serbia to effectively give up Kosovo, and indicates the real motive for the West’s support of the Kosovo Liberation Army which it had deemed a terrorist organization in the past. Rick Rozoff, the owner and manager of Stop NATO spoke about this and more in an interview with the Voice of Russia.

Download audio file: http://m.ruvr.ru/download/2013/05/18/11/Robles_Rozoff_May_16_2013_NATO_Italy_Kosovo_Part_1_SITE.MP3


Hello! This is John Robles, I'm speaking with Mr. Rick Rozoff, the owner of the stop NATO website and international mailing list.

Robles: Hello Rick! How are you?

Rozoff: Very good John! Thanks for having me on.

Robles: It’s a pleasure to be speaking with you. How much importance would you give to the 200 US-NATO troops being stationed in Italy? And why US-NATO troops? These troops are being stationed for possible operations in Libya. How do you think that reflects on the operations to remove Muammar Gaddafi by the US?

Rozoff: It’s a continuation of that policy, of course. And as it is now, you know, two years ago and two months, 26 months ago that the military campaign against Libya was launched, initially, as we have to recall, by the US Africa Command (AFRICOM) that began it for the first 19 days and then it was taken up by the North Atlantic Treaty Organization for six months thereafter. And this meant to signal and meant in fact to be the first activation of AFRICOM as a war fighting force on the African continent, and also the NATO’s first open military incursion on the Africa, and certainly not the last. This was meant to be an opening salvo and not an isolated incident.

What is significant about the impending deployment of what is minimally, and I think we should emphasize, 200 US Marines, and some reports estimate up to 500, these are members of what the US Marine Corps refer to as the Special Purpose Marine Air-Ground Task Force that only recently was moved into Spain, and then it is being transitioned from Spain into Italy for use in North Africa. So, I think we can see the push to the south and the east to employ State Department slogan or expression of few years ago where the US is going to deploy very shortly four guided missile cruisers to the Naval Station Rota in Spain, a Marine Expeditionary Strike Forces really of the sort we are talking about going to the Sigonella base in Sicily.

This is the same base that the US has another Marine Corps detachment already deployed to. And this is actually a separate one that has already been assigned to the same naval station Sigonella. We should also recall that in the beginning of this year, in January the Governor of Sicily put a stop to plans that the US had for putting on its missile on a satellite surveillance facility in Sicily, on the island.

You know, big plans are afoot and the US is going to move in something called the Mobile User Objective System, global satellite facility, to Sicily. That seems to have been stopped but the troops are coming in, with the avowed purpose John, of intervening in Libya and Benghazi or elsewhere as the U.S. sees fit.

Robles: What exactly is that system that you just mentioned?

Rozoff: The photographs I’ve seen of it suggest that it truly is mobile, I mean it is something comparable to some of the Patriot Advanced Capability Missile Systems that the US has put in Poland and Turkey and Israel. It is described as being a satellite communication system. I’m not sure what precisely it was meant to monitor in Sicily, but I would guess the entire Mediterranean Sea, perhaps most notably part of the eastern Mediterranean. But as to the precise range and purpose of the missile system, I’m not familiar with that.

Robles: I see. So, this is some new technology?

Rozoff: Yes... There are similar ones, that are called Mobile User Objective Systems deployed in Australia, as well as in the US states of Hawaii and Virginia. But I’m not sure how they are integrated with other military capabilities.

Robles: What else has happened with NATO in the last month that you think our listeners should know about?

Rozoff: They’ve had series of meetings of foreign ministers, of chiefs of defense staff and others in the recent months. The focus, according to NATO of course, is wrapping up the Afghan mission which I don’t think will ever be definitively finished. But the drawing down or the eventual phased withdrawal from Afghanistan, the continuation of the operation in Kosovo, the Serbian province (the province wrenched from Serbia), and the continued naval operations in the Mediterranean Sea, what is called operation Active Endeavour, and ongoing, presumably permanent, naval operations in the Arabian Sea and the Indian Ocean, the so-called operation Ocean Shield.

So, NATO is still in ways that we have discussed on many an occasion in the past continuing permanent military operations way outside the area of the North Atlantic Ocean, ultimately globally. Nothing outstanding in any particular regard but I think the continuation of these policies.

Robles: How many bases was NATO going to leave in Afghanistan? And what can you tell us about Kosovo, can you give us some details on that as well?

Rozoff: The statement about the US maintaining military bases in Afghanistan after the complete withdrawal of US-NATO troops, well, we can’t say complete, I mean there are estimates that as many as 14,000 US NATO troops will stay in the country; but after the bulk, at one time 152,000 US and other NATO troops in Afghanistan are withdrawn, according to President Hamid Karzai of Afghanistan, the US has clearly indicated to him, I think the word “demanded” would not be too strong a word, that the US or the Pentagon wants to maintain nine military bases inside the country. And they are situated in the north, south, east and west, and that is near the borders of the former Soviet Central Asian Republics, but also Iran and Pakistan, and in some cases not terribly far from the narrow strip of land that connects Afghanistan to China.

And they include of course the major, you know, arguably, at any point in future, strategic air bases like Bagram and Kandahar and Shindand and elsewhere in the country. As we’ve talked about on many occasions I think any sensible person has figured out that the US and its Western allies don’t intend to vacate the southern Central Asian region in the immanent future, if at all.

Robles: You just mentioned Karzai, I was just reminded about his recent revelation that he’d been receiving garbage bags full of money from the CIA for over a decade. Can you comment on that as far as NATO goes? And regarding the US-NATO troops, do you think there is any specific reason why only US-NATO troops are going to be staying in Afghanistan?

Rozoff: Let me start with the second one first because I think it is the easiest. The facts are fairly incontestable, It is not going to be only US troops. The US will maintain 9 military bases evidently, that’s what it intends to do. But NATO itself is transitioning from what is currently known as the International Security Assistance Force, initially it was presented, if you can believe this, under the rubric of a peacekeeping force in the early part of this century, and it quickly devolved into a war fighting force and to a combat force. And once that mission ISAF (International Security Assistance Force) is finished, then NATO will continue in Afghanistan training the Afghan National Army and other security personnel basically to be a Western proxy army in the south Central Asian region. That’s the easy part.

The question about Mr. Karzai being lavished with a good deal of American largesse, that shouldn’t surprise anybody. It is to be assumed I suppose that the US buys off foreign leaders, certainly those it’s implanted in power, like Mr. Karzai, who is not a foreigner, is not an alien to American shores. One of his brothers for example ran, for years, a restaurant pretty much in my neighborhood here in Chicago. And the family, I’m sure, already has a mansion set up in this country to flee to, when they have to, and to take as much of the CIA cash as they can with them back home, repatriate it if you will.

Robles: You mentioned Kosovo a few minutes ago. You said that NATO had met regarding Kosovo and KFOR. Anything new there?

Rozoff: The US and its Western allies, in the later case I’m talking about people in Brussels whether they are wearing the European Union or the NATO hat, it doesn’t seem to matter much, but I’m sure they employed all their typical subversive powers of persuasion to convince the Coalition Government in Belgrade, in Serbia to acknowledge the independence of Kosovo, not formally, practically . And NATO has pretty substantially withdrawn the amount of troops in Kosovo because they turned the province over to their proxy forces there. The former leaders of the so-called Kosovo Liberation Army, whose leaders are heading up the Kosovo Security Force which is a fledging army being trained by NATO.

So, once the country is turned over to surrogates, the NATO troops can clear out and go on to the next war zone which is effectively what happened since 1999. At one point, in June of 1999 there were 50,000 troops in Kosovo under NATO command or under KFOR, the Kosovo force. And that number has dwindled down to perhaps a tenth of that right now. But the US still maintains Camp Bondsteel and Camp Monteith. The first, Camp Bondsteel is repeatedly the largest overseas U.S. military base built since the war in Vietnam. And there is no indication that it intends to vacate that base. As to what it is doing with it, that’s a question worth pursuing.

Robles: Where is that base?

Rozoff: In Kosovo.

Robles: And you say that’s the largest foreign base that the U.S. has?

Rozoff: What I’ve read and given the acreage, the size of the base, it seems to be the case. It is the largest base that the U.S. has built overseas since the war in Vietnam. Since the 1960s.

Robles: And that’s in Kosovo?

Rozoff: That’s in Kosovo. It was constructed in 1999, I think it was with Kellog Brown and Root, that built the bases almost everywhere else. It’s in Kosovo and it is a fairly mammoth complex. Camp Monteith is a sister base considerably smaller than Bondsteel. But Bondsteel, which is by the way named after a US serviceman who was killed in Vietnam, there’s been speculation that Camp Bondsteel could have been used for extraordinary renditions during the so-called global war on terrorism.

There’s also been discussion from the sources in Russia amongst other places, that should the US want to deploy strategic resources in Camp Bondsteel. And by that we mean either interceptor missiles or perhaps even nuclear weapons. Who would be the wiser and who in the inner circle, Hashim Taci and Pristina, would say “no”.

Robles: When was this base built?

Rozoff: In 1999 it was constructed and it’s been operating ever since. So, you are talking about 14 years now. And there is no indication, you know, unless you accept the US and NATO line, matters have been stabilized in Kosovo and they are going to step down troops, again, which I think they have, I think about 90% of the initial deployment, amount of troops rather, 15,000 troops have been withdrawn but Camp Bondsteel is still there. It is in the eastern part of Kosovo. And in addition to being a US military base it is also NATO headquarters for what’s called Multinational Brigade East.

And ahem... I am looking at the exact size of the place, it is 955 acres. That’s pretty sizeable! And it was built on Serbian land without consulting with the Government of Serbia. I gues the KLA Official in Pristina rubber stamped it. By August of 1999, two months after the US and other NATO troops came into Kosovo, the construction of the base was pretty much under way. Apparently 52 helipads were constructed and shortly thereafter franchise restaurants.

Robles: Right there at the beginning, was it like that it was already constructed as if it would be a permanent fixture?

Rozoff: By all indications exactly that. I cannot see what the motivation would be to build something that large which is still operative to this day...

Robles: You said they had “franchise restaurants” and things like that in there?

Rozoff: I’m looking at it on the computer now. You know, Burger King, Taco Bell and so forth built in there. You know, gymnasiums, health clubs. It is a whole city practically. And evidently, somebody with the Council of Europe, Álvaro Gil-Robles (There’s a name for you John!) Human Rights NEvoy to the Council of Europe, referred to Camp Bondsteel in 2005, and this is a quote: as a “smaller version of Guantanamo” after visiting the facility. So, evidently the US did use it for extraordinary renditions, and so-called black operations or black renditions.

Robles: So, that would give us a very-very-very clear and undisputable reason why the West is so interested in guaranteeing the independence of Kosovo.

Rozoff: Right! And that was the statement made by many of us who opposed the war against Yugoslavia in 1999. When the US constructed that base, it was almost began immediately after the NATO coming into Kosovo, that it was ex post facto proof that the US had military designs in the region and that the war against Yugoslavia was simply an opportunity to expand its military into the region.

Robles: I see.

Rozoff: Which in fact is what has ensued!


You were listening to an interview in progress with Rick Rozoff the owner and manager of the stop NATO  website and mailing list.



--- PART2 ---

http://english.ruvr.ru/2013_05_23/NATO-has-never-offered-to-cooperate-with-Russia-Rozoff-088/

23 May, 1:24  

NATO has never offered to cooperate with Russia - Rozoff


Western support for KLA terrorists and support for the self-declared independence of Kosovo are part of a pan-Albanian plan for the region, NATO is reaching its tentacles into space and there has never been any real offer of cooperation by NATO to Russia, all of these issues were recently discussed with regular Voice of Russia contributor Rick Rozoff, the owner and manager of the Stop NATO website and mailing list.
Read more: http://english.ruvr.ru/2013_05_23/NATO-has-never-offered-to-cooperate-with-Russia-Rozoff-088/


You're listening to an interview in progress with Rick Rozoff, the owner and manager of the Stop NATO website and mailing list. You can find part 1 of this interview on our website at english.ruvr.ru : http://english.ruvr.ru/2013_05_17/European-Guantanamo-or-why-Americans-support-Kosovo/

Download audio file: http://m.ruvr.ru/download/2013/05/22/21/Robles_Rozoff_Part_20.MP3


Robles: 


(francais / italiano / hrvatskosrpski / english)


Croazia, si stringe il cappio UE-FMI al collo dei lavoratori


1) LA ADESIONE DELLA CROAZIA ALLA UE
* 2012: Ratificato il trattato di adesione all’ UE
* 11/3/2013: Slovenia-Croazia: firmato [nessun] accordo su disputa bancaria
* 12/3/2013: Janša firma, Croazia in Europa dal 1° luglio
* 17/5/2013: La padrina Germania dice sì alla Croazia nell’UE 
* 30 giugno, anche Napolitano e Letta festeggeranno a Zagabria

2) ELEZIONI PER IL PARLAMENTO EUROPEO, CLAMOROSO ASTENSIONISMO
* 14/4/2013: Spectaculaire abstention aux premières élections européennes en Croatie
* 17/4/2013: La Croazia al Parlamento europeo con una xenofoba contraria all’UE

3) UE E FMI IMPONGONO MASSACRO SOCIALE - SCIOPERI E PROTESTE
* 27/2/2013: Croazia, Fmi: "Bene tagli settore pubblico ma non basta" 
* 4/3/2013: Protesta a Fiume, scontri con la polizia
* 24/3/2013: Croazia: sindacati in piazza contro l'austerità
* 20/5/2013: Mobilitata a oltranza la polizia in difesa del monumento a Tuđman
* 22/5/2013: Concluso lo sciopero di Croatia Airlines

4) NELLA UE SENZA AVER RISOLTO LE DISPUTE CONFINARIE! 
* 5/2/2013: Meno code al confine sloveno-croato 

5) KOMENTARI
* Strategija promjene sindikalne scene u Hrvatskoj (Pavle Vukčević)
* Hrvatskom je lako vladati kad "boluju" sindikati (Pavle Vukčević)


LINK: Croatia: From isolation to EU membership
By Tim Judah - BBC News, 22 April 2013
http://www.bbc.co.uk/news/world-europe-22218640


=== 1: LA ADESIONE DELLA CROAZIA ALLA UE ===


Croazia, ratificato il trattato di adesione all’ UE

Il parlamento di Zagabria ha ratificato oggi all’unanimità, con 136 voti a favore e nessuno contrario, il Trattato di adesione della Croazia all’Unione europea, che dovrebbe diventare il 28/mo Paese membro della Ue a partire dal primo luglio 2013.
Il Trattato, dopo quasi sei anni di negoziati, è stato firmato a Bruxelles lo scorso 9 dicembre e poi approvato a gennaio in un referendum popolare in Croazia con il 66,27 per cento dei sì. Per entrare in vigore, tutti i 27 Paesi membri devono ratificare il documento nei rispettivi parlamenti. Fino ad oggi il Trattato è stato ratificato da Italia, Slovacchia, Bulgaria, Ungheria e Malta.
 
(fonte AnsaMed 9 marzo 2012)

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Slovenia-Croazia: firmato [nessun] accordo su disputa bancaria 

(fonte ANSAMED 11 marzo 2013)

I premier croato, Zoran Milanovic, e sloveno, Janez Jansa, hanno firmato oggi un memorandum d’intesa che pone fine a un contenzioso finanziario che appesantiva i rapporti tra le due ex repubbliche jugoslave da vent’anni ed era l’ultimo ostacolo alla ratifica da parte della Slovenia del Trattato di adesione della Croazia all’Unione europea.
L’accordo prevede che una soluzione per le rimesse dei risparmiatori croati della Ljubljanska banka, rimaste bloccate nel 1991 dopo la proclamazione d’indipendenza di Zagabria e Lubiana, venga in futuro trovata [SIC] nell’ambito del processo di successione dei beni della Federazione jugoslava presso la Banca dei regolamenti internazionali di Basilea. Si tratta di alcune centinaia di milioni di euro, risarciti ai risparmiatori da parte dello Stato croato, che poi da parte sua ha presentato una serie di ricorsi contro la Ljubljanska banka. Zagabria ha promesso oggi di congelare le procedure giudiziarie contro la banca slovena in attesa che venga trovato un compromesso.
Il governo di Lubiana si è impegnato ad avviare al più presto la procedura di ratifica del Trattato di adesione della Croazia alla Ue, bloccato perché Lubiana insisteva su di una previa soluzione della disputa bilaterale. La Croazia dovrebbe entrare a pieno titolo in Europa il primo luglio prossimo. Finora sono 24 i Paesi membri che hanno ratificato il Trattato di adesione e all’appello, accanto alla Slovenia, mancano ancora la Germania e la Danimarca.

UE: intesa Slovenia-Croazia è messaggio a vicini 

La firma oggi dell’accordo fra Slovenia e Croazia sulla disputa relativa alla Ljubljanska Banka “manda un messaggio chiaro” a tutti i Paesi vicini: “Problemi che per anni sembrano impossibili da risolvere possono essere affrontati”. Lo afferma il presidente dell’Ue, Herman Van Rompuy, in una nota diffusa a Bruxelles in occasione della cerimonia ufficiale alla quale partecipano il leader sloveno e croato, Janez Jansa e Zoran Milanovic. Secondo il presidente dell’Ue l’approccio “costruttivo” delle due parti nel risolvere prima la disputa dei confini marittimi e ora quella della Ljubljanska Banka è “un esempio per tutta la regione”. “Relazioni di buon vicinato e un’effettiva cooperazione regionale possono essere raggiunte” prosegue Van Rompuy, che ribadisce come l’Ue sia al fianco dei Paesi dei Balcani occidentali perché rispondano agli standard europei, “per poi in ultimo aderire all’Unione”. “La cerimonia di oggi - ricorda Van Rompuy - segna un momento importante” non solo nelle relazioni fra Croazia e Slovenia.
L’accordo di oggi “è un passo importante” per l’ingresso della Croazia nell’Ue, perché spiana la strada alla ratifica da parte di Lubiana dell’adesione di Zagabria. “Ora aspettiamo l’ultimo rapporto di monitoraggio della Commissione europea - conclude il presidente dell’Ue - sui preparativi pre-adesione della Croazia da adottare entro marzo e il termine del processo di ratifica in tutti i parlamenti nazionali” dei 27 Stati membri.

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Janša firma, Croazia in Europa dal 1° luglio 

di Mauro Manzin, su “Il Piccolo” del 12 marzo 2013

Adesso è ufficiale. C’è la firma dei due primi ministri, Zoran Milanovic per la Croazia e Janez Janša per la Slovenia. Pace fatta sul nodo Ljubljanska Banka. Via libera all’ingresso di Zagabria nell’Unione europea. Il pericolo è passato e il prossimo primo luglio in Croazia ci sarà grande festa. Il documento è stato ufficialmente sottoscritto al castello di Mokrice, testimoni decine di fotografi che hanno immortalato il momento. Ora il Parlamento sloveno inizierà l’iter di ratifica del Trattato di adesione della Croazia all’Ue.
Una vicenda kafkiana che è stata giocata dalla Slovenia sul tavolo della politica interna. Anche perché la soluzione trovata, in realtà, non risolve nulla. Tutto è stato demandato, infatti, a un’ulteriore trattativa tra le parti che avverrà nel quadro della successione all’ex Jugoslavia e avverrà sotto la diretta supervisione della Banca dei regolamenti internazionali di Basilea come peraltro previsto al capo B dell’accordo sulla successione. Un punto a suo favore comunque Lubiana lo segna perché Zagabria si è impegnata a “congelare” tutte le cause contro le banche slovene intentate in territorio croato e si impegna inoltre a vigilare affinché non ne vengano depositate di nuove. E così, commentano gli esperti di cose balcaniche, la questione si dibatterà per altri duecento anni senza risolverla.
Ma a che cosa è dovuta questa accelerazione dell’ultimo mese? E come mai a fumare il calumet della pace con Zagabria sia il premier praticamente dimissionato e in carica solo per svolgere l’ordinaria amministrazione Janez Janša e non piuttosto la premier entrante Alenka Bratušek? Di sicuro Janša non è rimasto folgorato sulla via di Damasco. Dietro c’è un lavorio ben mirato e molto deciso da parte delle cancellerie internazionali con in prima fila la Germania e gli Stati Uniti. Più silenziosa, ma forse più efficace la prima, più caciarona e poco “diplomatically correct” la seconda con l’ambasciatore Usa a Lubiana, Jospeh Mussumeli pronto a rilasciare dichiarazioni di fuoco ai media sloveni conquistandosi così la sincera antipatia di tutta l’opinione pubblica che lo accusa di voler influire sulle decisioni di uno Stato che non è il suo, al punto che nella manifestazione di protesta di sabato scorso a Lubiana è spuntato un emblematico cartellone che recitava: «Yankee go home», mentre una delle richieste degli “arrabbiati” è proprio l’allontanamento dell’ambasciatore Mussomeli.
Più discreta, si diceva, l’azione di pressing di Berlino. Non dimentichiamo che la Merkel è stata una dei “grandi elettori” di Janša e per la Germania la Croazia rappresenta il principale e più appetibile mercato dell’intera area balcanica. Quindi l’ingresso nell’Ue va garantito anche se proprio il Parlamento tedesco qualche mese fa sollevò alcune perplessità sulla reale preparazione di Zagabria a diventare una stella d’Europa. Le pressioni riguardavano soprattutto il sistema giudiziario e la lotta alla corruzione. Ed è logico. Per investire in un Paese estero è importante che la sua giustizia funzioni secondo gli standard comunitari e che la corruzione sia opportunamente se non sconfitta per lo meno sotto controllo. Solo così quel Paese diventa veramente appetibile agli investitori esteri. La Slovenia, o meglio, il governo Janša ha tirato la corda fino all’ultimo, poi, quando si è accorto che la stessa rischiava di spezzarsi è corso ai ripari. Scatta il mandato ai due mediatori tecnici quando l’accordo sia Lubiana che Zagabria ce l’avevano praticamente già nel cassetto. E Janša ha fatto di tutto per essere lui a firmare l’accordo. «Missione compiuta frau Angela».

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La Germania dice sì alla Croazia nell’UE 

di Stefano Giantin, su Il Piccolo del 17 maggio 2013

Come innamorati che, col tempo, si erano un po’ allontanati, il riavvicinamento è stato cauto e lento, ma alla fine è arrivato. Ieri, con l’atteso voto del Bundestag, la Germania ha fatto cadere l’ultimo ostacolo formale e detto sì all’entrata di Zagabria nell’Ue, ratificando con 583 voti a favore, nessun contrario e sei astensioni, il trattato d’adesione della Croazia.
E così quella Germania che fu fra i primi Paesi a riconoscere l’indipendenza croata è stata ieri l’ultimo membro Ue a ratificarne l’ingresso nel “club europeo”. Un segnale significativo dei dubbi, questo ritardo, manifestati negli scorsi mesi da vari politici tedeschi, in testa Norbert Lammert (Cdu), sulla reale preparazione croata. «Non tutti i requisiti sono stati soddisfatti», ha ripetuto ieri Lammert a Die Welt.
Ma nel Bundestag voci critiche verso la Croazia non si sono ieri levate. «Possiamo con gioia affermare che un secondo Stato dell’ex Jugoslavia è pronto a entrare nell’Ue», ha esordito il parlamentare Oliver Luksic (Fdp). È un successo, l’ingresso di Zagabria, che conferma la giustezza del «premio Nobel per la pace assegnato all’Ue, il più grande promotore della democrazia». «La Croazia è pronta», ha poi rimarcato Luksic. «I croati si rallegrano per l’ingresso nell’Ue, mentre in altre parti d’Europa cresce l’euroscetticismo», per cui «dobro dosla Hrvatska», gli ha fatto eco Dietmar Nietan (Spd). «Non deve però fare l’errore di stoppare le riforme» nei campi della «corruzione e della lotta alla criminalità», ha ammonito il socialdemocratico.
Thomas Doerflinger, Cdu-Csu, ha invece ricordato il referendum per l’indipendenza della Croazia dalla Jugoslavia, nel 1991, descritto come l’inizio del processo verso l’Europa [e causa prima dello scoppio della guerra fratricida]. Zagabria che può oggi far parte, da pari, del consesso Ue, ha assicurato Doerflinger. E «ziveli».
Guido Westerwelle, infine, ministro degli Esteri. «Integriamo la Croazia nell’Ue, un Paese profondamente europeo». Questo «risultato è storico», «mi congratulo con il popolo croato».
Unico a esprimere qualche perplessità, Thomas Nord (Die Linke), che ha specificato che «ci sono anche preoccupazioni, in Croazia», non solo entusiasmo. Preoccupazioni per la grave situazione economica, innescata anche dalla «pressione Ue per le privatizzazioni, che ha creato più danni» che vantaggi, ha ricordato Nord, richiamando l’attenzione sulla disoccupazione da codice rosso, oggi al 18%, frutto di quattro anni di recessione.
Ma nonostante la crisi, la Croazia - anche secondo Berlino - si è meritata l’adesione, il primo luglio. «Danke Deutschland», dunque, benvenuta Croazia. Un benvenuto che sarà esteso a Zagabria dal premier Letta, in Croazia il 30 giugno, che ha sottolineato ieri «la soddisfazione per l’adesione, un passo avanti importante perché dimostra che l’Europa è un successo».

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Napolitano a Zagabria il 30 giugno per l'ingresso in UE 

di Christiana Babić, su La Voce del Popolo (Fiume/Rijeka), 24 maggio 2013

Gesti simbolici a livello politico ed eventi culturali di primo piano s’intrecciano nel programma delle manifestazioni che si stanno predisponendo nell’ambito delle celebrazioni per l’ingresso della Croazia nell’Unione europea. Il grande giorno si avrà il 1.mo luglio, ma i preparativi sono già in corso e gli eventi di certo non si esauriranno in un’unica giornata. Tutt’altro. Alcuni sono già in corso, altri sono attesi impazientemente, terzi ancora per la loro valenza non possono che essere definiti storici esattamente quanto il traguardo che vanno a celebrare. E in tutto questo l’Italia svolge un ruolo di primo piano proprio come lo ha svolto anche nel cammino di avvicinamento di Zagabria alla Casa comune europea. Roma, infatti, è cosa ben nota, ha da sempre sostenuto la Croazia nel suo percorso europeo. Un’ulteriore conferma arriva direttamente dal Quirinale. Il Capo dello Stato italiano, Giorgio Napolitano, il 30 giugno sarà a Zagabria.
Ad annunciarlo è stato lo stesso Napolitano nel corso di un colloquio telefonico avuto nei giorni scorsi con il Presidente della Repubblica di Slovenia, Borut Pahor, nel corso del quale quest’ultimo gli formulato i migliori auguri per il rinnovo del mandato. Infatti, stando a quanto si legge nella nota, “al termine del cordiale colloquio i due Presidenti si sono dati appuntamento a Zagabria il 30 giugno prossimo per le celebrazioni previste in occasione dell’adesione della Croazia all’Unione europea”.
Il sostegno italiano al cammino europeo della Croazia, va detto, è stato ricordato di recente anche dall’Ambasciatore d’Italia a Zagabria, Emanuela D’Alessandro, che presentando l’esposizione “Un Caravaggio per l’Europa: La Cena in Emmaus della Pinacoteca di Brera a Zagabria”, che sarà allestita al Museo dell’Arte e dell’Artigianato (MUO) della capitale croata dal 5 giugno al 22 agosto – ha detto: “L’adesione, il primo luglio 2013, della Croazia all’Unione europea rappresenta un passaggio di straordinaria importanza, che l’Italia ha favorito e sostenuto con convinzione e che, alla luce dell’eccellenza delle relazioni politiche, economiche e culturali che legano i nostri due Paesi, ha voluto celebrare con il prestito, da parte della Pinacoteca di Brera al Museo dell’Arte e dell’Artigianato di Zagabria, del capolavoro di Caravaggio ‘La Cena in Emmaus’.”
Un evento che Furio Radin, presidente dell’Unione Italiana, ha definito “un gesto simbolico importante, un abbraccio con il quale si accompagna un amico in un evento comune importante”. “L’Unione Italiana è orgogliosa di questo evento italiano, croato ed europeo, ed è felice di avere contribuito alla sua realizzazione”, ha aggiunto Radin, ricordando che l’UI ha destinato una parte dei mezzi assicurati dal governo italiano per la realizzazione delle attività della CNI appunto per il programma dei grandi eventi che sono stati inseriti nella Convenzione MAE-UI-UPT per il 2013.
Un programma che, ricordiamo, oltre a “La Cena in Emmaus” di Caravaggio prevede pure l’allestimento della mostra itinerante “Omaggio a Verdi”, bozzetti e costumi storici del Teatro dell’Opera di Roma (attualmente esposta al Museo civico di Fiume, e che di seguito sarà allestita a Zara e a Zagabria), la rappresentazione dell’“Attila” di Verdi nella piazza principale di Zara e l’organizzazione di numerosi eventi nell’ambito della Settimana della lingua italiana.
Soffermandosi poi sull’annunciata presenza del Presidente Napolitano a Zagabria il 30 giugno, Furio Radin ha dichiarato: “È un gesto che ribadisce i buoni rapporti tra l’Italia e la Croazia, rapporti che hanno vissuto un momento straordinario all’Arena di Pola nel settembre del 2011, quando migliaia di persone, connazionali ma non solo, hanno avuto modo di partecipare a una serata unica e molto emozionante, culminata con l’esecuzione del ‘Va pensiero’ di Verdi per voce dei cori riuniti delle nostre Comunità degli Italiani. Noi della CNI e l’UI, nel nostro piccolo, abbiamo contribuito alla qualità dei rapporti e, cosa ancora più importante, contiamo di contribuire in maniera ancora più incisiva e significativa ora che la Croazia sarà Paese membro dell’UE. L’UI – ha concluso – è orgogliosa dell’altissimo livello dei rapporti tra i due Paesi”.


=== 2: ELEZIONI EUROPEE 2013, CLAMOROSO ASTENSIONISMO ===


http://www.u-p-r.fr/presse/communiques-de-presse/la-spectaculaire-abstention-aux-premieres-elections-europeennes-en-croatie-est-un-nouveau-signe-de-necrose-de-leuropeisme

La Spectaculaire abstention aux premières élections européennes en Croatie est un nouveau signe de nécrose de l'Européisme

Publié le 15 avril 2013 dans Communiqués de presse

La Spectaculaire abstention aux premières élections européennes en Croatie est un nouveau signe de nécrose de l’Européisme 

COMMUNIQUÉ DE PRESSE


Objet :  Abstention de 79% aux premières élections européennes en Croatie. Pour François Asselineau, Président de l’UPR, c’est un nouveau signe de nécrose de la Tour de Babel bruxelloise.

Les dirigeants euro-atlantistes, qui ont mené la Croatie à marche forcée vers l’intégration européenne – là comme ailleurs à grand renfort de fausses promesses et de verrouillage médiatique -, viennent de subir un nouveau et spectaculaire camouflet de la part du peuple croate.

Le référendum d’adhésion de la Croatie à l’Union européenne, qui s’était tenu le 22 janvier 2012, n’avait déjà mobilisé que 44% des inscrits et le « oui » n’avait représenté que 29% des inscrits. Ce dimanche 14 avril 2013, c’est un taux d’abstention record, supérieur à 79 %, qui vient de ridiculiser le sens même des premières élections des députés européens en Croatie.

  • L’Union Populaire Républicaine relève avec intérêt que c’est donc avec la défiance de 4 électeurs sur 5 que la Croatie va devenir officiellement , le 1er juillet 2013, le 28ème État membre de l’Union européenne.
  • L’UPR souligne aussi l’insulte au bon sens que représente ce nouvel élargissement. Alors que même les plus fanatiquement pro-européens de nos dirigeants s’accordent à reconnaître en privé qu’une Union européenne à 27 États est ingouvernable, et qu’il n’aurait jamais fallu procéder aussi vite à l’élargissement aux pays de l’est en 2005 et 2007, leur acquiescement à l’arrivée d’un 28ème État membre prouve qu’ils ne sont même plus en mesure de tirer les conséquences logiques de leur propre diagnostic.

Face au désastre économique, social et moral tous azimuts qu’elle a provoqué et qui ne cesse de s’aggraver, la prétendue “construction européenne” ne trouve donc comme seule réponse que d’accélérer encore sa fuite en avant, au mépris de la volonté profonde des peuples d’Europe.

Pour François Asselineau, Président de l’UPR, l’abstention record en Croatie est un nouveau signe de l’irrésistible processus de nécrose qui mine la Tour de Babel bruxelloise.

Bien que l’espace public en Croatie ait été envahi, de façon quasiment totalitaire, par les emblèmes du dogme européiste, 4 électeurs croates sur 5 ont administré un camouflet cinglant à leurs dirigeants en refusant d’aller voter aux premières élections au parlement européen organisées dans leur pays.

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Isti clanak na srpskohrvatskom: 
http://www.balcanicaucaso.org/bhs/zone/Hrvatska/Hrvatska-u-EU-salje-deklariranog-ksenofoba-i-protivnika-Unije-134258
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http://www.balcanicaucaso.org/aree/Croazia/La-Croazia-al-Parlamento-europeo-con-una-xenofoba-contraria-all-UE-134258/

La Croazia al Parlamento europeo con una xenofoba contraria all’UE


Scarsa affluenza dei cittadini croati alle loro prime elezioni per il Parlamento europeo. Elezioni che segnano però la vittoria di misura dell’opposizione che manda a Strasburgo una deputata xenofoba ed euroscettica

Due mesi e mezzo prima dell’entrata nell’Unione, la Croazia non può certo vantarsi dello stato d’euforia dei suoi cittadini per l’ingresso nella grande famiglia europea. Alle prime elezioni per il Parlamento europeo, ha votato soltanto il 20,84% dei cittadini.
La già scarsa percentuale sarebbe stata ancora più bassa se il ministero della Pubblica Amministrazione, una decina di giorni prima delle elezioni del 14 aprile, non avesse pubblicato l’elenco aggiornato degli aventi diritto di voto. Questo elenco ha addirittura 763.814 elettori in meno rispetto a quelli che hanno votato alle ultime elezioni politiche alla fine del 2011.
È solo grazie a questa manovra che la Croazia ha evitato il record di assenteismo alle elezioni per il parlamento europeo. Soltanto la Slovacchia nel 2004, alle sue prime elezioni per i rappresentanti  all’Unione, ha registrato un’affluenza più bassa.


La sconfitta del centrosinistra

Nonostante le elezioni croate per il Parlamento europeo siano state le meno interessanti dalla sua indipendenza nel 1991, con una campagna elettorale noiosissima e totalmente irrilevante, esse hanno comunque lanciato dei segnali forti. La coalizione di centro sinistra al governo, guidata dal premier socialdemocratico Zoran Milanović, ha subito una sconfitta.
Anche se  il numero di voti che hanno segnato il vantaggio del partito di opposizione Unione democratica croata (HDZ) si può misurare col bilancino del farmacista (5.876 voti in più rispetto al SDP), questo dato segnala comunque l’umore dell’opinione pubblica, delusa dagli scarsi risultati di un anno e mezzo del governo di centrosinistra.
Ecco quindi che l’HDZ - nonostante tutti gli scandali di corruzione, il più grande dei quali è quello relativo all’ex premier Ivo Sanader che sta già scontando la condanna in prigione, ed è sotto processo per altri gravi reati - avrà nel Parlamento UE sei rappresentanti. L’SDP ne avrà cinque, e i laburisti uno.


Una deputata xenofoba ed euroscettica

La grande sorpresa delle elezioni  è certamente l’ingresso al Parlamento europeo della presidentessa di una delle frazioni del Partito croato del diritto (HSP dr. Ante Starčević), Ruža Tomašić, che, come partner di coalizione, era sulla lista insieme con i candidati dell’HDZ.
Tomašić non solo è entrata nel Parlamento europeo, ma sulla lista comune ha ottenuto anche il numero più alto di preferenze.  Ruža Tomašić negli anni scorsi si è distinta per la sua netta opposizione all’ingresso della Croazia nell’Unione. Su questa posizione ha costruito la politica del partito, spaventando i cittadini croati con lo spauracchio della perdita di sovranità e di identità nazionale, se la Croazia fosse entrata nell’UE.
Ma si è distinta ancora di più con la recente dichiarazione secondo la quale  “la Croazia  è dei croati, e tutti gli altri sono solo suoi ospiti”. Dichiarazione che ha incontrato la condanna di grande parte dell’opinione pubblica ed anche della politica ufficiale. Fra i vari che hanno reagito alla sua uscita xenofoba anche il premier Milanović, il quale, dopo che si è saputo che la Tomašić andrà al Parlamento europeo, ha detto: “Ruža Tomašić è peggio di una  calamità naturale”, ricordando la frase con la quale la Tomašić ha definito tutti i cittadini della Croazia che non sono di nazionalità croata “ospiti”.
Ad ogni modo, la Croazia nel Parlamento europeo per un anno avrà la stessa presenza di destra e sinistra, perché insieme ai rappresentanti del SDP c’è anche  il rappresentante  del Partito  laburista croato, che è un partito di sinistra.


Il Partito delle schede nulle

Una delle particolarità delle prime elezioni per il Parlamento UE è certamente il fatto che c’è stato addirittura il 5,07% di voti non validi. Siccome il cinque percento era lo sbarramento per l’ingresso di un rappresentante nel Parlamento europeo, sui social network già circolano le barzellette sul fatto che a Bruxelles la Croazia sarà rappresentata anche dal Partito dei voti nulli.
Gli analisti però spiegano questa alta percentuale di voti nulli in un duplice modo: il primo è che alla maggior parte dei cittadini non era ben chiaro come votare per il Parlamento UE, e il secondo che annullando la scheda elettorale una parte degli elettori ha voluto esprimere una forma di protesta personale. Anche questa protesta può essere duplice: alcuni  hanno votato in questo modo per esprimere l’insoddisfazione dell’ingresso della Croazia nell’UE; altri perché erano contrari alla separazione delle elezioni europee da quelle locali, che si terranno solo fra un mese.


Amministrative in arrivo

Siccome le amministrative in Croazia sono state fissate per il 19 maggio, alcuni partiti politici, media e parte dell’opinione pubblica erano d’accordo per unire le elezioni europee e quelle locali. Così, affermavano i sostenitori di tale idea, l’affluenza degli elettori sarebbe stata più alta e, cosa più importante, si sarebbero risparmiate circa 80 milioni di kune (poco più di 10 milioni di euro). Chi era a favore di questa soluzione ha ricordato che spendere una tale somma di denaro era assurdo, perché i rappresentanti vengono eletti per il periodo di un anno, dato che nel 2014 comunque si terranno le elezioni per il Parlamento europeo in tutti gli stati membri. Ma il presidente della Repubblica ha fissato le elezioni europee per il 14 aprile. Il motivo: un’unica campagna per le europee e le amministrative avrebbe del tutto messo in ombra la sfida per i 12 posti croati a Bruxelles.
Bruxelles è del tutto insoddisfatta della debole risposta dei cittadini croati alle elezioni per il Parlamento UE. Dalla sede dell’Unione giungono voci di “lamentela e dispiacere” per la scarsa affluenza. “Ci rammarichiamo per questa debole risposta, ma spero che l’ingresso della Croazia nell’Unione europea e il lavoro dei suoi rappresentanti eletti aumenteranno la partecipazione alle elezioni dell’anno prossimo”, ha sottolineato Hannes Swoboda il capo del gruppo dei rappresentanti socialisti al Parlamento europeo.
Già l’anno prossimo si vedrà se sarà effettivamente così.

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Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell'Unione Europea.


=== 3: UE E FMI IMPONGONO MASSACRO SOCIALE - SCIOPERI E PROTESTE ===


Croazia, Fmi: bene tagli settore pubblico ma non basta

(fonte www.ansamed.ansa.it 27 febbraio 2013) La Croazia deve accelerare le riforme strutturali dell’economia e del settore pubblico, continuare sulla strada del consolidamento fiscale e dei risparmi e poi, dal primo luglio prossimo, usufruire dei vantaggi dell’ingresso nell’Unione europea. Lo ha detto oggi il Fondo monetario internazionale (Fmi), al termine di una missione esplorativa condotta nei giorni scorsi. «L’annuncio di una riduzione degli stipendi nel settore pubblico del tre percento e le riforme del sistema pensionistico e della sanità pubblica sono passi nella giusta direzione», scrive nel suo rapporto l’Fmi, indicando che tutto ciò però non basta e che al Paese ‘‘servono ulteriori e veloci riforme per contenere la spesa pubblica».
La missione del Fmi invita inoltre il governo di Zagabria «ad alzare l’età pensionabile a 67 anni e a fermare l’indicizzazione delle pensioni più alte, liberalizzando il mercato del lavoro ed eliminando le barriere burocratiche agli investimenti».
Dall’Fmi ricordano che nel 2012 il Pil della Croazia ha visto una contrazione di ulteriori due punti percentuali e che dopo il declassamento del rating creditizio allo status di “spazzatura” il Paese è esposto a rischi di tassi di interesse al limite del sostenibile.

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Protesta a Fiume, scontri con la polizia

di Andrea Marsanich, su Il Piccolo del 4 marzo 2013

Quando una pacifica manifestazione di protesta si trasforma in un quarto d’ora di paura, urla, spintoni e rumori di corpi sull’asfalto. Undici manifestanti sono stati fermati e denunciati dalla polizia a Fiume dopo la protesta svoltasi in pieno centro città, iniziativa promossa dai gruppi Anonymous e Occupy Rijeka, con la partecipazione di circa 200 persone.
Il tutto ha cominciato a dipanarsi nel tardo pomeriggio di venerdì in via della Ruota, proprio di fronte al noto ritrovo giovanile Palach. Stando a quanto raccontato ai media da alcuni testimoni, tra cui il noto attore del teatro fiumano Ivan de Zajc, Alen Liveric, la situazione era completamente tranquilla e una decina di manifestanti si apprestavano ad entrare nel Palach. Improvvisamente una coppia di giovani, Eugen Babic e Zorana Jancic, ha dovuto fronteggiare due sconosciuti che li hanno messi a terra con metodi spicci, urlando loro che dovevano stare fermi. I due fidanzati si sono opposti, aiutati da un paio di coetanei e quindi in via della Ruota è arrivato un drappello di poliziotti, che ha dato man forte ai due sconosciuti.
«Solo allora ho capito che eravamo stati presi di mira da agenti in borghese – parole di Babic – in un primo momento avevamo pensato si trattasse invece di malintenzionati e per questo abbiamo reagito, spinti dalla paura che ci potessero fare del male. Non ci hanno esibito i distintivi della polizia e allora ci siamo difesi, venendo poi ammanettati e portati al più vicino commissariato. Ho un dito della mano gonfio, per la qual cosa sono stato medicato al Pronto Soccorso». Un poliziotto, così il portavoce della Questura fiumana, Tomislav Versic, ha subito la frattura di un dito della mano, con 11 persone fermate e denunciate per violazione della quiete e ordine pubblici e per oltraggio a pubblico ufficiale.
«Nei confronti di tre persone – ha dichiarato Versic – la polizia è stata costretta ad esercitare la forza per bloccarle, senza però commettere alcun abuso». Interessante rilevare che il video di quanto successo in via della Ruota è stato postato su You Tube ed è l’argomento del giorno a Fiume. I manifestanti sono sfilati lungo il Corso e via Lodovico Adamich, protestando pacificamente a favore della tutela del patrimonio pubblico e dei diritti sociali e contro le forze politiche e il sempre più basso tenore di vita in Croazia. Hanno esibito cartelli con scritte tipo La strada vi giudicherà, Il popolo è il potere, Governo, vattene finché sei in tempo. Poi la colluttazione tra forze dell’ordine e manifestanti (tutti tra i 20 e 30 anni d’età), che ha avuto momenti drammatici. Il questore fiumano, Senka Subat, ha dichiarato che gli organizzatori della protesta saranno denunciati in quanto la manifestazione non era stata annunciata e dunque non aveva l’autorizzazione delle competenti autorità.

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http://www.contropiano.org/esteri/item/16128-croazia-sindacati-in-piazza-contro-lausterità

Mercoledì 24 Aprile 2013 11:16

Ormai non c'è paese dell'Europa meridionale o orientale - tranne in Italia - in cui i sindacati non scendano in piazza con scioperi e manifestazioni contro tagli, decurtazioni salariali e smantellamento del welfare.

I leader dei sindacati dei dipendenti pubblici e statali in Croazia hanno annunciato oggi che da maggio inizieranno una serie di manifestazioni di protesta e scioperi per, come hanno detto, ''costringere il governo a cambiare politica o a dimettersi''.

Dopo una prima manifestazione indetta per il Primo Maggio, sono previste altre proteste che dovrebbero culminare ''con il blocco dell'intero sistema pubblico''. ''Inviteremo i nostri membri a bloccare quasi tutti i servizi che l'amministrazione pubblica, la scuola, la cultura offrono ai cittadini per far vedere com'é la vita quando non lavorano tutti questi settori ora sottoposti a costanti tagli e risparmi'', ha dichiarato Branimir Mihalinec, uno dei leader sindacali.

L'iniziativa mira a far ripristinare tutta una serie di benefici, come la tredicesima, che nell'ultimo anno il governo ha ridotto o del tutto abolito, rinnovare i contratti collettivi scaduti da anni e fermare la decurtazione degli stipendi, da marzo tagliati di un 3% a fronte di un costo della vita che continua a salire. ''Cinque anni di costante recessione hanno mostrato che la politica di austerità non é la risposta giusta alla crisi e che il deficit e il debito pubblico possono essere diminuiti solo dopo una ripresa dell'economia'', sostengono i sindacati croati.

''Il diritto allo sciopero é sacrosanto, ma il governo non intende cambiare linea politica né rinunciare al consolidamento delle finanze pubbliche'', ha però replicato il ministro delle Finanze, Slavko Linic.

Per tentare di placare gli animi la procedura di ratifica del Trattato di adesione della Croazia all'Unione europea in tutti i 27 Paesi membri potrebbe essere completata già a maggio, un mese prima del previsto, ha annunciato nei giorni scorsi il ministro degli Esteri croato, Vesna Pusic.

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Mobilitata la polizia in difesa del monumento a Tuđman

http://danas.net.hr/crna-kronika/policija-cuva-kip-dr-franje-tudjmana-na-splitskoj-rivi

A Spalato, dopo che nella notte del 19 maggio 2013 alcuni attivisti avevano affisso uno striscione con su scritto "TITO 1962" in riferimento ad un famoso discorso tenuto in quell'anno da Tito a Spalato (qui il video http://www.youtube.com/watch?v=OLXXJCjAryg), e dopo uno striscione di contestazione durante l'inaugurazione pochi giorni fa ("Poleti Tuđmane poleti" -> "Tuđman salta/prendi il volo"), la polizia ha assunto la guardia del monumento a oltranza... (a cura di AD)

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Concluso lo sciopero di Croatia Airlines: raggiunto un accordo con piloti e assistenti di volo

da www.viedellest.eu
Croazia - 22 maggio 2013

Si è concluso con un accordo di compromesso lo sciopero dei dipendenti della compagnia di bandiera croata, Croatia Airlines, iniziato otto giorni fa per protesta contro un piano di risanamento della società che prevedeva forti tagli agli stipendi e licenziamenti. È stato infatti raggiunto un accordo con i piloti, e si è trovato anche un compromesso tra la direzione e il sindacato degli assistenti di volo. I dettagli non sono stati resi noti, ma la stampa riferisce che entrambe le parti hanno ceduto su alcuni punti. Il traffico aereo sarà normalizzato in settimana. Secondo la direzione della società, in maggioranza di proprietà dello Stato croato, alla compagnia - già fortemente indebitata - lo sciopero è costato circa un milione di euro.


=== 4: NELLA UE SENZA AVER RISOLTO LE DISPUTE CONFINARIE! ===


Meno code al confine sloveno-croato

di Mauro Manzin, su Il Piccolo del 5 febbraio 2013

Saranno i confini la più evidente cartina al tornasole che le cose in Croazia, con l’ingresso nell’Unione europea il prossimo 1 luglio, sono cambiate. Il Paese ex jugoslavo, infatti, diventando la 28esima stella d’Europa sarà contemporaneamente confine esterno dell’Ue. Il suo ingresso in Schengen è previsto nel 2015. Ma anche se le barriere non cadranno sui valichi di confine tra Slovenia e Croazia sono in vista grosse trasformazioni. Innanzitutto spariranno i doganieri visto che all’interno dell’Unione europea vige il libero scambio delle merci. Seconda, ma non per questo meno trascurabile novità, ci sarà al valico di confine sloveno-croato un unico punto di controllo che sarà gestito in comune dai poliziotti di Lubiana e di Zagabria.
«I controlli saranno più veloci - assicura il ministro croato del Turismo Veljko Ostojic - e così i transiti saranno più rapidi». «Per i croati spariranno così le fastidiose attese in colonna per recarsi in Slovenia, Ungheria o Italia - prosegue il ministro - e non si sentiranno più rivolgere la classica domanda: “Qualcosa da dichiarare?”». «Per l’ingresso nell’area Schengen - conferma Ostojic - dovremo attendere ancora due anni e ci servirà il concreto aiuto anche della Slovenia in questa delicata fase».
Il Ministero degli interni croato ha già annunciato l’avvio del cosiddetto progetto Ipa Twinning Light, progetto misto tra le polizie croate e slovene per il controllo integrato dei confini dell’Unione europea nella Repubblica di Croazia. Il progetto costa 91mila euro tutti finanziati da Bruxelles.
La polizia slovena è sicuramente quella maggiormente interessata al miglioramento della collaborazione con i colleghi croati e l’adeguamento degli standard operativi di questi ultimi a quelli europei per arrivare nei tempi stabiliti all’ingresso di Zagabria nell’area Schengen. Molti sono convinti, comunque, che il confine esterno dell’Ue nei Balcani sarà un vero e proprio limes tra Occidente e Oriente.



Fiat: Serbia, operaio frustrato per la paga da 306 euro danneggia 31 500L


L’episodio di protesta è avvenuto nello stabilimento del Lingotto di Kragujevac, dove sono stati intensificati i turni di lavoro. Il danno arrecato alle vetture ammonta a circa 50mila euro. Il lavoratore disperato ha usato un oggetto metallico per scrivere sulle vetture: "Italiani andatevene via"


Mentre le prime Fiat 500L destinate agli Stati Uniti sbarcano nel porto canadese di Halifax, dall’altra parte del mondo, in Serbia, un operaio scontento del salario e delle condizioni di lavoro ha danneggiato 31 vetture dello stesso modello. L’episodio di protesta è avvenuto durante il turno di notte fra venerdì e sabato scorso nello stabilimento del Lingotto di Kragujevac e il danno arrecato alle auto ammonta a circa 50mila euro.

La direzione di Fiat Serbia ha avviato un’inchiesta interna, interrogando tutti gli operai attivi in quel turno. L’operaio insoddisfatto avrebbe fatto uso di un oggetto metallico per graffiare pesantemente le parti di carrozzeria in catena di montaggio, scrivendo su alcune auto “mangiatori di rane (termine dispregiativo per indicare gli italiani, ndr) andate via dalla Serbia” e “Russo (un caporeparto, ndr), aumenta i salari”. I giornali locali non escludono che il lavoratore abbia avuto un litigio con il caporeparto a causa di una intensificazione dei ritmi di lavoro.

Zoran Mihajlovic, leader del sindacato interno allo stabilimento di Kragujevac, ha detto che la grafia dei messaggi ostili è identica e per questo si pensa che a danneggiare le auto sia stata la stessa persona. La paga media mensile a Fiat Serbia ammonta a 34mila dinari (306 euro circa), mentre il salario medio è stato calcolato per aprile a 46mila dinari (414 euro). Nelle ultime settimane, a causa di una forte domanda del nuovo modello di 500L, sono stati intensificati i turni di lavoro. All’impianto di Kragujevac lavorano attualmente 2.400 operai, che saliranno a 3mila entro l’anno.

“Condanniamo l’episodio, ma al tempo stesso va detto che la situazione in fabbrica non è affatto piacevole, con un gran numero di lavoratori sottoposti a forte pressione fisica e psicologica. Si lavora a ritmi infernali e sotto forte stress“, ha commentato Mihajlovic. Il sindacato ha condannato l’episodio e sollecitato un’inchiesta, ma ha tuttavia sottolineato al tempo stesso una situazione difficile in fabbrica e un’atmosfera di crescente insofferenza nei confronti del management. Per la nuova Fiat 500L c’è infatti una forte domanda, oltre all’Europa ha preso il via in questi giorni anche l’export negli Stati Uniti e in Canada, e i ritmi produttivi aumentano in continuazione.

“Occorre maggiore collaborazione e più attenzione alle condizioni psicologiche degli operai, alle relazioni interne”, ha osservato Mihajlovic secondo cui i ritmi di lavoro instaurati in fabbrica sono eccessivi. “Nel management della fabbrica ci sono circa 500 italiani, ma tra loro e i nostri operai ci sono incomprensioni che vengono spesso sottovalutate, e ciò causa insoddisfazione e litigi. Sarebbe meglio che nel management ci fosse anche qualche serbo, che conosce meglio la nostra mentalità”.

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(srpskohrvatski / italiano)

DAN MLADOSTI 2013

Almeno in diecimila a Kumrovec, ed in migliaia alla "Casa dei fiori" a Belgrado, in occasione della Giornata della Gioventù - 25 maggio 2013.

Beograd 
VIDEO: 
FOTO:
CLANCI:

Kumrovec 

Dan Mladosti u Makedoniji: 

Dan Mladosti u Sarajevu: 

Dan Mladosti u Mostaru: 

Jugoslavija ponovo popularna, čak i među mladima: 


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La Giornata della Gioventù nel comunicato del SUBNOR (associazione partigiani della Serbia)


МЛАДОСТ НИКАД НЕ СТАРИ

И ове године је 25. мај, некадашњи општенародни празник Дан младости у социјалистичкој федеративној Југославији, обележен са пијететом у Београду и разним крајевима наше државе.

Традиција се одржава и потврђује да младост никад не стари и без обзира на идеолошке и политичке промене у друштву.

Од 1945.до 1988.године трајале су на овим просторима различите манифестације младих, а у центру збивања била је – штафета. Прва је, готово непосредно по завршетку ослободилачког рата и сламања фашизма, кренула из слободарског Крагујевца и, ношена у рукама преко десет хиљада младића и девојака, стигла до маршала Тита као знак поштовања и захвалности за истрајну праведну борбу и ослобађање од окупацијског нацистичког ига.
Тек 1957.године манифестација је прерасла у Дан младости са завршном грандиозном свечаном приредбом на Стадиону ЈНА у Београду, где је председнику Титу уручивана штафета са поздравима омладине и народа Југославије. Последњи носилац те године био је Мико Трипало, у том периоду председник Централног комитета Народне омладине Југославије.
На истом месту, у ложи стадиона на Топчидерском брду у главном граду тадашње државе, председник Републике Јосип Броз Тито задњи пут је примио Штафету младости 25.маја 1979.године, а последњи носилац била је студенткиња из Приштине Санија Хисени.
После Титове смрти, у мају 1980, штафета се одржавала још неколико година, а последњи ”прималац”, на крцатом стадиону у Београду и уз спектакуларну спортску приредбу, био је 25. маја 1988. челник омладинске организације у Југославији, Хаим Реџепи. Штафету младости је, уз бурне овације, преко покретног моста, до централне ложе донела Рејмонда Броћај из Гњилана.
Био је то и крај Штафете младости и Дана младости у Југославији. Држава је систематски разбуцивана, сви атрибути заједништва директивно и уз нескривену помоћ из иностранства су уништавани као непотребни и штетни за даљи наводни развој, а што се тиче окупљања омладине око идеје коју је сублимирао Дан младости, за раскид су, као и у другим примерима, најбучнији били Словенци…
Руководство омладинске организације Југославије је, сигурно не само на своју руку, донело 1989. године одлуку о укидању Дана младости и свих осталих манифестација везаних за тај општенародни празник.
Овог 25.маја, чини се више него потоњих година, Кућа цвећа на Дедињу, у Београду, где је сахрањен председник СФРЈ Јосип броз Тито, масовно је посећена од младих и старих са свих страна негдашње велике и респектабилне у свету Југославије. Одржане су и пригодне скромне али упечатљиве манифестације, а испред Музеја историје Југославије прорадила је и пркосна ”Фонтана младости”.
Народ се, разне генерације, стари који памте Југославију и период маршала Тита, девојке и младићи, синови и кћери, унуци, наследници, поштоваоци, различите националности, са свих страна, из новоформираних држава, окупио да докаже како ни једна власт, ни у каквом времену, не успева да избрише традицију, сећање на постојање у времену које је било различито од садашњег и да се свест никако не може и неће мењати по налогу без обзира на то одакле и са којим претензијама долази.

 



Da: Kappa Vu sas <kappavu.ud @...>

Oggetto: errata corrige!

Data: 25 maggio 2013 11.48.49 GMT+02.00


Ciao a tutti!
Per un disguido non dipendente da noi, siamo a comunicarvi che la presentazione di oggi sabato 25 maggio presso la Casa del Popolo di Torre in via Carnaro 10 a Pordenone della nuova uscita Kappa Vu

"La banda Collotti" - Storia di un corpo di repressione al confine orientale d'Italia

di Claudia Cernigoi si terrà alle ore 18.00 e non alle ore 20.30 come precedentemente comunicato.
Saranno presenti l'autrice e Alessandra Kersevan.


Inizio messaggio inoltrato:

Da: "Coord. Naz. per la Jugoslavia" <jugocoord@...>
Data: 24 maggio 2013 22.25.21 GMT+02.00
A: Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli., Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli.
Oggetto: [JUGOINFO] Presentazioni del libro LA BANDA COLLOTTI

 

(slovenscina / italiano)

Presentazioni del libro LA BANDA COLLOTTI

1) a Pordenone, sabato 25 maggio 2013
2) a Trieste/Trst, venerdì 31 maggio 2013

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Claudia Cernigoi

LA BANDA COLLOTTI
Storia di un corpo di repressione al confine orientale d'Italia

Udine: KappaVu, 2013

Istituito da Mussolini nel 1942 espressamente come corpo di repressione antipartigiana nella Venezia Giulia, l’Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza con sede a Trieste, fu l’unica struttura dedicata esclusivamente a tale scopo in Italia. Si distinse per l’efferatezza dei metodi, con l’uso sistematico della tortura negli interrogatori degli antifascisti italiani e slavi catturati, ma anche dei semplici sospetti, in una sequenza di orrori che percorre tutta la documentazione presentata. 
L’Autrice ricostruisce qui il periodo storico dell’Ispettorato, in una ricerca a tutto campo, usando documentazione d’archivio, ma dedicando anche particolare attenzione alle interviste fatte ai sopravvissuti agli interrogatori della cosiddetta “banda Collotti”. 



=== 1 ===

Pordenone, 25 maggio 2013
alle ore 18.00 presso la Casa del Popolo di Torre in via Carnaro 10 

presentazione del libro 

LA BANDA COLLOTTI

Saranno presenti l'autrice e Alessandra Kersevan


=== 2 ===

Trieste/Trst, Venerdì 31 maggio 2013
ore 18.00, Casa del Popolo - Ljudski Dom - “Palmiro Togliatti” Borgo San Sergio - Via Di Peco 7

Presentazione del libro - Predstavitev knjige

LA BANDA COLLOTTI

Presenterà il libro Gorazd Bajc - Knjigo bo predstavil Gorazd Bajc
Sarà presente Claudia Cernigoi - Prisotna bo avtorica

Seguirà una cena, per prenotazioni telefonare al numero 040826921 dal martedì a domenica dalle ore 16.30 alle 20.30, entro martedì 28 maggio.

Sledila bo večerja, za rezervacije kličati na št. 040826921 od torka do nedelje, od 16.30 do 20.30, rezervacije se sprejmejo do torka, 28. maja.