Informazione

DISCENDENZA II


http://www.anvgd.it/notizie/12633-21feb12-marchionne-tra-gli-esuli-a-torino.html

21feb12 - Marchionne tra gli Esuli a Torino

Sorpresa tra gli Esuli giuliano-dalmati di Torino: l'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne (madre istriana) ha partecipato ad una delle celebrazioni organizzate dalla ANVGD nel capoluogo piemontese. Si trattava dell'omaggio alla Targa commemorativa distrutta lo scorso anno dai vandali e poi ripristinata. Nelle foto de La Stampa alcune istantanee del suo intervento. Al microfono è il presidente della Consulta ANVGD del Piemonte, Antonio Vatta.
In corso Cincinnato, lì dove una lapide di marmo su un muro di mattoni rossi ricorda i «350 mila istriani fiumani e dalmati» costretti ad abbandonare la «loro terra e i loro morti», Sergio Marchionne è arrivato senza preavviso. Barba bianca, maglioncino nero e qualche uomo della scorta. Un sorriso appena abbozzato, qualche stretta di mano: «Vi porto i saluti della mia mamma». 
All'invito alla cerimonia per il «Giorno del Ricordo» al Villaggio Santa Caterina di Lucento hanno risposto quasi trecento persone. Anziani fuggiti all’odio dei titini, le ultime generazioni delle famiglie dell’esodo e l’ospite dell'ultima ora. «E’ stata una sorpresa - dice Fulvio Aquilante, presidente dell'Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia - è venuto a rendere omaggio alle radici famigliari di sua madre».
Prima di allontanarsi l'ad Fiat ha trovato il tempo per scambiare qualche parola in dialetto istriano. «La prossima auto che producete chiamala Istria...», gli ha proposto un anziano esule.

 

(fonte La Stampa)

GALLERIA FOTOGRAFICA: http://www.anvgd.it/notizie/12633-21feb12-marchionne-tra-gli-esuli-a-torino.html

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La messa Fiat nell’acquario per annullare la dignità operaia

Pomigliano: autoflagellazione e delazione

di Antonio Di Luca* *operaio a Pomigliano ed ex delegato Fiom, quindi cassintegrato


da “il Manifesto” del 21 febbraio 2012

rubrica: “insindacabile”, p.4


Sono poco più di 2000 dipendenti, e solo 1750 gli operai finora richiamati a Pomigliano. In linea con il 40% dichiarato all’esame congiunto di Roma dalla Fiat nel luglio 2011. Passaggio necessario, per rinnovare di un altro anno la cassa integrazione per cessazione di attività per i restanti 3200 operai ancora fuori dal processo produttivo.

A oggi lo stabilimento produce 800 vetture al giorno su due turni per cinque giorni alla settimana. Dalle 6 alle 14 e dalle 14 alle 22. Il turno di notte è saltato, compromettendo anche quel poco di aumento salariale portato dall'indennità notturna. Questo significa concentrare l'innalzamento della salita produttiva solo su due turni anziché tre, e aumentare lo sfruttamento intensivo psicofisico degli operai, costretti a ritmi massacranti oltre ogni limite di ragionevolezza.

La salita produttiva nei prossimi giorni porterà a produrre 420 vetture a turno, una macchina al minuto. Meno di una margherita nel forno di una pizzeria. Una follia, mentre diversi capannoni sono in disuso e oltre 3000 operai in cassa integrazione.

Ma è questo il punto: non poteva essere altrimenti. Quando si produce una sola vettura, per quanto bella ma con un bassissimo valore aggiunto, comprimere i costi per l'azienda diventa necessario. Ed è in questo quadro che i delatori diventano essenziali per annientare la dignità degli operai.


Le testimonianze che ci giungono quotidianamente hanno dell'inverosimile, spesso accompagnate da pianti. Ecco il motivo umano, prima che sindacale o legale che ci spinge a svelare questo abominio.


Da quando è partita la produzione della nuova Panda le pause saltano, senza avvisi, scuse o particolare rispetto delle relazioni minime sindacali: «La pausa dalle 18 alle 18,10 salta», è il freddo ordine del capo.

Per chi aspetta quella pausa, già scelleratamente ridimensionata da «accordi» imposti dal «manager dei due mondi», per riposarsi dalla fatica di una catena che corre all'impazzata, è il baratro. Lavorare ancora due ore in quelle condizioni: con la schiena a pezzi, le gambe pesanti, la bocca secca e dolori alle articolazioni, ti sembra di impazzire.

Ma è a fine turno che si compie l'atto drammaturgico più grave, Sheakespeare e Brecht a confronto sembrerebbero dei dilettanti: «la messa nell'acquario».

Vi ricordate la lettera scritta al Corsera del prof. Ichino su Pomigliano?: « gli uffici con le pareti di cristallo collocati in mezzo al percorso del montaggio, quasi a sottolineare il superamento di ogni distinzione tra operai e impiegati».

Bene, quelle pareti di cristallo, che gli operai chiamano acquario, sono gli uffici che alla fine di ogni turno sono adibiti alla pièce. C'è un microfono, c'è il direttore con tutti i preposti aziendali al cui cospetto sono convocati gli operai.

La riunione si apre con la dettagliata delazione dei capi e/o dei team leader sugli errori commessi durante il turno dagli inconsapevoli operai, tralasciando naturalmente errori e ritardi provocati dal processo o dal prodotto.

L'audizione è obbligatoria per gli operai e lo spettacolo viene rappresentato nella pausa mensa. Quindi senza mangiare, dopo che quei poveracci hanno trascorso 10-11 ore lontano da casa, e dopo un turno massacrante di lavoro. Per espiare i propri peccati, il povero operaio messo in mezzo dalle gerarchie di fabbrica è costretto, al microfono, a scusarsi dinanzi a tutti magari di errori che neanche ricorda, vista la densità delle operazioni cui è stato sottoposto. Deve fornire convincenti prove del suo pentimento, nella speranza che la sua esibizione sia accolta con benevolenza dai capi e dal direttore e che scongiuri l'inevitabile contestazione e la multa.

Provvedimenti che scatteranno comunque in automatico dopo tre «messe», fino a provocare il licenziamento del malcapitato dopo alcune contestazioni disciplinari.

Molti obietteranno che è normale in una grande azienda effettuare un brainstorming, o un semplice feedback della giornata; senza scomodare Marx, credo sia inconcepibile imporlo in queste forme a operai già provati da una giornata alla catena per poche decine di euro al giorno e in un quadro di delazioni tipiche solo in un «universo concentrazionario», dove l'unico obiettivo è l'annullamento della persona umana, prima ancora che dell'operaio.


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Da: "Coord. Naz. per la Jugoslavia" 
Data: 13 gennaio 2011 23.56.06 GMT+01.00
Oggetto: [JUGOINFO] Visnjica broj 855



DISCENDENZA

<< Il padre Concezio fu un maresciallo dei Carabinieri d'origine abruzzese trasferitosi in Istria negli anni trenta, dove risiedette e prestò servizio fino al termine della II guerra mondiale quando venne occupata dalla Jugoslavia. Ivi conobbe la madre, Maria Zuccon, istriana del luogo. Negli anni della guerra la famiglia materna fu colpita da due tragici lutti: nel settembre del 1943 il nonno di Sergio, Giacomo Zuccon, fu sequestrato e infoibato da partigiani titini (i suoi resti verranno in seguito recuperati, assieme ad altri, nella foiba di Terli dai Vigili del Fuoco e riconosciuti dall'altra figlia Anna). Alcune settimane dopo, anche lo zio Giuseppe, fratello della madre, messosi alla ricerca del padre di cui non si avevano più notizie, cadde in un rastrellamento dei militari tedeschi che, scambiandolo per un partigiano o disertore, lo passarono per le armi.
A seguito di questi fatti e della seguente occupazione dell'intera regione da parte delle milizie iugoslave, i genitori di Sergio decisero di rifugiarsi presso i familiari del futuro marito a Chieti, dove subito dopo si sposano e dove nascerà nel 1952, Sergio. Quando Sergio aveva 14 anni, la famiglia Marchionne si sposta ancora, emigrando in OntarioCanada, dove si era già stabilita, esule dall'Istria, Anna Zuccon, zia materna di Sergio. >>


(credits: Serena M.)

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SEGNALIAMO DUE IMPORTANTI REPORTAGE DELLA RAI: L'UNO RECENTISSIMO, L'ALTRO DELLO SCORSO AUTUNNO.
ESSI DESCRIVONO LA COLONIZZAZIONE DEL CAPITALISMO ITALIANO A VALJEVO - ZRENJANIN - KRAGUJEVAC ...
E CHIARISCONO LO SCOPO DEI BOMBARDAMENTI DI MASSIMO D'ALEMA SULLA SERBIA.

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Recessione. Che fine faranno le operaie della Omsa?

Era veramente necessario spostare gli stabilimenti in Serbia? E i lavoratori dell’ azienda farmaceutica Sigma Tau che stanno lottando per salvare il posto di lavoro ci riusciranno? Alcuni imprenditori sono schiacciati tra lo Stato che non onora in tempo i debiti e le banche che non prestano soldi. Stiamo andando dritti verso la deindustrializzazione? Cosa si potrebbe fare? Esistono ancora soluzioni possibili? Il ministero dello sviluppo ha messo in atto un vero e proprio pronto soccorso per risolvere le questioni più spinose e noi stiamo seguendo le trattative tra le imprese, i sindacati e i lavoratori con la mediazione dei tecnici del ministero.
“Presadiretta” entra nel cuore di due vicende molto calde (la Omsa e la Sigma Tau) il cui epilogo si chiarirà proprio in questi giorni.
Nella puntata “Recessione” ci sarà anche una vicenda finita bene: quella dello stabilimento della Saint Gobain a Pisa, che è stato recuperato e salvato… Come ha fatto la dirigenza italiana a convincere la grande multinazionale francese a investire e a credere ancora alla possibilità di produrre nel nostro paese?

“Recessione” è un racconto di Francesca Barzini,Vincenzo Guerrizio, Raffaella Pusceddu e Rebeca Samonà.

RaiTre - Presa Diretta - puntata di domenica 19 febbraio 2012 ore 21.30

SI VEDANO IN PARTICOLARE LE RIPRESE DALLA SERBIA - dal minuto 01:15:40 al minuto 01:26:05

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Figli della Fiat

Nel 2011 inizia il piano di allargamento all'Est Europa della FIAT, guidata da Sergio Marchionne: dopo anni di trattative, i vertici aziendali italiani decidono di "azzerare" il comparto auto della storica Zastava di Kragujevac in Serbia, la "Torino dei Balcani", duramente provata dai bombardamenti NATO del 1999, assumere solo alcuni operai in una "nuova azienda", una NewCo sul modello di Pomigliano, sostenuti da soldi pubblici dello stato serbo, molti altri invece vanno a cassa integrazione.

di Danilo Licciardello, Simone Ciani e Bruno Federico. Traduzioni a cura di Carlotta Caldonazzo 

RaiNews24 - 27 ottobre 2011

VIDEO: http://www.rainews24.rai.it/it/canale-tv.php?id=24899

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(srpskohrvatski / english)

GERMAN COLONIAL GOUVERNEUR TEACHES N.A.T.O. LANGUAGE TO SERBS


[Nel corso di una conferenza sulla annessione della Serbia alla NATO, tenuta a Belgrado alla fine dello scorso ottobre, il governatore coloniale tedesco, Wolfram Maas, ha esortato la popolazione serba a parlare la lingua della NATO. Per esempio, d'ora in poi i bombardamenti della NATO non dovrebbero più essere definiti "bombardamenti della NATO" perché i bambini potrebbero farsi delle idee sulla stessa NATO ed il suo ruolo passato e presente. Questo non è consentito in un paese-colonia quale è oggi la Serbia, tantomeno in previsione della sua formale annessione alla NATO. (IS)]



13 years since the start of the NATO aggression against Serbia (FRY)(SRY)!!!

Germany's ambassador to Serbia, Wolfram Maas:

Serbs must explain to their children that 78 days of the NATO bombardment in 1999 was justified, so that they would not hate the Atlantic Alliance. ...

At a press conference in Belgrade regarding NATO, Germany's ambassador to Serbia, Wolfram Maas, said Serbs must explain to their children that the bombardment [78 days in 1999] was justified, so that they won't hate the Atlantic Alliance. "I must criticize government figures in Belgrade who continue to use expressions like 'NATO bombing'. "

Imagine you are walking down Knez Milosh street and your child asks you 'Daddy, who did this?' You answer him 'NATO'. And what do you expect that child to think about NATO? "

"That's not," Maas explained, "like when I was a boy in Germany and looked at the ruins in my city. I did not hate the one who had done that, because there were people who could tell me why he did that."

Besides, he insisted, "this country is much different than three years ago, when hooligans attacked my embassy.

"For me It was heart-warming to see the Democratic Party, the Serbian National Party, the Socialist Party of Serbia, G17 and Liberal Democratic Party assembled with Guido Westerwelle and declare in solidarity that integration in the EU is priority Number One."

"That," declared Ambassador Maas, " is fantastic progress in comparison to three years ago." He stressed that the questions of the EU and NATO are connected.

"In the case of Serbia, it is logical that she should first become a member of the EU, then in stages become a NATO member. And it is logical, after a given period of time, that an EU member should become a member of NATO. Serbia's NATO membership is not a question of 'if', but 'when'," according to the ambassador.

Maas attended a conference "Serbia, the Western Balkans and NATO -- by 2020," convening leading pro-NATO forces in Serbia, as well as the ambassadors of the US, Germany and the head of the EU delegation to Serbia, Vincent Degert. (October 28th, 2011.)



http://www.beoforum.rs/forum-prenosi-beogradski-forum-za-svet-ravnopravnih/303-volfram-mas-wolfram-maas-uoci-13-e-godisnjice-pocetka-agresije-nato-protiv-srbije.html

Уочи 13-е годишњице почетка агресије НАТО против Србије (СРЈ)!!!

Немаčки амбасадор у Србији Волфрам Мас:

Срби морају својој деци да објасне да је бомбардовање НАТО 1999. било исправно

 

Немачки амбасадор у Србији Волфрам Мас изјавио је на конференцији о НАТО у Београду да Срби морају својој деци да објасне да је бомбардовање било исправно, како она у будућности не би мрзела Атлантску алијансу.

“Морам да критикујем власти у Србији што и саме још увек користе термине попут “НАТО бомбардовања”. Замислите да шетате улицом Кнеза Милоша и да вас ваше дете упита: “Тата, ко је ово урадио?”. Ви ћете му одговорити: “НАТО”. И шта онда очекујете од тог детета да мисли о НАТО? За разлику од тога, ја сам као младић у Немачкој гледао рушевине у мом граду, али ја нисам мрзео оног ко је ту учинио јер је било оних који су могли да ми кажу засшо је то учинио”, изјавио је Мас.

Он је истакао да је, и поред тога, “ова земља много другачија него пре три године, када су хулигани напали моју амбасаду”.

“Било ми је топло око срца када сам видео ДССНССПСГ17 и ЛДП на састанку са Гвидом Вестервелеом како сложно изјављују да им је интеграција у Европску унију приоритет број један. То је фантастичан напредак у односу на пре три године”, истакао је Мас.

Он је инсистирао на томе да су питања ЕУ и НАТО повезана.

“У случају Србије, логично је да прво постане чланица ЕУ, па тек онда на средње и дуже стазе постане чланица НАТО. Логично је да једна чланица ЕУ после одређеног времена постане чланица НАТО. Питање чланства Србије у НАТО није “да ли” него “када”, оценио је немачки амбасадор.

Мас је учествовао на конференцији “Србија, Западни Балкан и НАТО – ка 2020. години” која је окупила водеће про-НАТО снаге у Србији, амбасадоре САД и Немачке и шефа делегације ЕУ у Србији Венсана Дежера. (28. октобар 2011.)


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Da Gene Sharp ad Avaaz, come si aggrediscono i paesi sovrani

1) Come si abbattono i regimi - di Giulietto Chiesa
2) Sostenere il governo USA senza saperlo: il grave esempio di “Avaaz” - dal sito sinistra.ch


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http://www.megachip.info/tematiche/democrazia-nella-comunicazione/7755-come-si-abbattono-i-regimi.html



Scritto da Giulietto ChiesaSabato 18 Febbraio 2012


Raramente scrivo recensioni. In genere, quando non sono costretto a farlo da ragioni di convenienza, o per soddisfare le pretese di autori molto insistenti, scrivo di libri che mi piacciono, o che intendo proporre ad altri lettori perchè li ritengo utili, o perchè offrono angoli visuali originali. 
In questo caso il libro in questione non mi è piaciuto per niente. Anzi l’ho trovato irritante. Il suo autore è sostanzialmente un poveraccio (intellettualmente parlando s’intende), che esce come un pulcino inzuppato di ideologia – intesa come falsa coscienza – dalla lavatrice del pensiero unico. Un esegeta, dunque, della Matrix in cui ha vissuto, del tutto incapace di vedere i suoi confini. Una specie di protagonista da “Truman show”, ma privato di ogni possibilità di redenzione.

Perchè ne scrivo, dunque? Perchè – come avrebbe detto Leonardo Sciascia – il contesto che rappresenta è straordinariamente interessante, ricco di informazioni su come si pensa, cosa si pensa, come si agisce nei centri della sovversione, quei posti dove vengono elaborate le vere strategie e tattiche rivoluzionarie dei tempi moderni. Tempi in cui, per essere precisi, le rivoluzioni le fa il Potere, non i rivoluzionari d’un tempo, non i mitici anarchici, non i popoli, non i partiti, non i soviet, o comunque si siano chiamati in passato, fino al secolo XX incluso.

E qui è subito opportuna una serie di notazioni non a margine. Forse utile per quei lettori che ancora pensano, appunto, con le categorie dei tempi andati; di quelli che, non essendosi aggiornati, non avendo fatto alcuno sforzo per capire quali cambiamenti sono intervenuti nei rapporti di forza, nelle dinamiche economiche e sociali, nei sistemi di informazione e comunicazione, nelle tecnologie della manipolazione, continuano ad applicare le teorie rivoluzionarie dell’epoca delle lotte di classe così come fu descritta, e creata, a partire dalla rivoluzione francese. 
Ma queste note a margine, che sono la ragione vera per cui scrivo queste righe, potrebbero forse servire anche per coloro che rivoluzionari non sono, e non intendono essere, ma che semplicemente non hanno mai provato a cimentarsi intellettualmente con il problema del Potere. E, essendo totalmente impreparati a farlo, non sono capaci di capire come il Potere agisce per mantenere se stesso. Con quale ferocia, un Potere – ferocia tanto più grande quanto più grande è questo potere – usa gli strumenti dei quali dispone. Il Potere non è mai “dilettante”. E’ un mestiere. E agisce sempre per la vita o per la morte.

Ora gl’intellettuali sono spesso inclini a ragionare proiettando sugli altri la loro visione del mondo. Quando lo fanno sulle persone prive di potere commettono sempre dei guai, ma talvolta questi guai sono di secondaria importanza, perchè  le persone normali non hanno potere. Ma quando questa proiezione si esercita nei confronti del Potere, essa può divenire esiziale, sia per chi la fa (cioè per gl’intellettuali stessi), sia per chi ci crede, cioè per i lettori dei loro libri, dei loro scritti, dei loro articoli, delle loro conferenze.

Se dunque tu cercherai di descrivere una lotta politica del Potere contro i suoi antagonisti come se fosse una partita di scopone, probabilmente finirai male (soprattutto se sei dalla parte degli oppositori al Potere). Il quale non gioca a carte, se si sente in pericolo: liquida, squalifica, esclude, se necessario uccide. Questo dettaglio sfugge alla gran parte degl’intellettuali e a quasi tutti i giornalisti. Quelli, tra questi ultimi, cui non sfugge, di regola si mettono dalla parte del Potere e così smettono di giocare a carte anche loro. Gli altri, i maggiormente stupidi, continuano a giocare a carte, essendo spesso utili a impedire a tutti gli altri di capire cosa fa il Potere. Questo spiega perfettamente perchè il libro di Gene Sharp è stato scritto: per loro.

Ovvio che con quelle categorie interpretative autoreferenti, non solo non si può vincere niente, ma non è più nemmeno possibile capire chi attacca e chi si difende, dov’è il campo di battaglia, chi sono i contendenti. Quando si discute con questi orfani della ragion politica non è difficile rendersi conto, per esempio, che questo vacuum quasi assoluto di analisi porta spesso costoro a pensare di essere all’offensiva su inesistenti tenzoni, mentre stanno subendo sconfitte clamorose nei campi reali dove la battaglia è in corso, ma dove loro non ci sono. Appunto perché sono altrove. I mulini a vento sono ciò che vedono questi Don Chisciotte modernissimi. La differenza tra loro e il loro prototipo consiste in un solo, enorme dettaglio. Quello della Mancia sognava per conto proprio. Questi sono stati ipnotizzati dal Potere, e vengono condotti per mano dove questo vuole.

Il libro è, in sostanza, la descrizione di come l’Impero, morente, diventa sovversivo per difendersi. E’ un manuale della “rivoluzione regressiva”: l’unica rivoluzione esistente, che segnerà gli ultimi decenni che precedono il crash finale di questo sistema. Il quale, non avendo più futuro, è costretto a pensare a ritroso. E lo fa utilizzando l’ultimo strumento che ha a disposizione: le tecnologie. E’ per questo che riesce ad apparire moderno agli occhi di milioni di giovani, che – immersi come sono nella Grande Piscina dei Sogni e delle Menzogne  – non riescono a guardare “fuori” e a vedere la complessità della manipolazione cui sono soggetti.

 

L’autore si chiama Gene Sharp e non è un ragazzino, visto che è classe 1928. Come abbia vissuto fino ai giorni nostri è faccenda non misteriosa. Basta guardare su Wikipedia la sua modesta carriera di sovversivo.

In questa specialità emerge al termine di una lunga vita nell’ombra, pubblicando un libro il cui titolo originale – “From Dictatorship to Democracy” – richiama subito alla memoria Francis Fukuyama, quello della “fine della storia”. L’editore italiano è Chiarelettere, per altri aspetti benemerito, ma in questo caso completamente abbacinato anch’esso dall’ideologia imperiale.

I confini di Matrix, come sappiamo, sono vasti e appiccicosi. Nell’ultima di copertina l’editore italiano ci informa che Sharp “è ritenuto tra i principali ispiratori delle rivoluzioni che stanno sconvolgendo il mondo arabo”. Definizione riduttiva. In realtà Gene Sharp (diciamo la sua scuola di pensiero, sebbene chiamarla in questo modo faccia correre qualche brivido nella schiena) è l’ispiratore di tutte le esportazioni della democrazia americano-occidentale dell’ultimo trentennio. Di quelle innescate e vinte, come di quelle tentate e perse. E’ bene ricordarlo, perchè nonostante il Potere sia l’unico rivoluzionario esistente, non è detto che le rivoluzioni che tenta le vinca tutte. Qualche volta le perde. Comunque Sharp è  il profeta, appunto, delle “rivoluzioni regressive”. Per questo merita tutta l’attenzione da parte nostra, di noi che siamo le sue vittime, i suoi bersagli.

Lui, di sè, dice: “Ero a Tien an men quando i carri armati ci sono venuti addosso” (La Repubblica, 17 febbraio 2011). Capito dove stava? Forse era lui quel giovanotto che fermò la colonna dei carri armati sotto l’Hotel Pechino. A quanto pare fu dappertutto. C’era lui dovunque sorgessero le rivoluzioni , come i funghi, specie dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Sicuramente Gene Sharp era anche quel rude picconatore che sgretolava a martellate il famoso Muro di Berlino. E’ stata la sua tavolozza a fornire i colori delle varie rivoluzioni del ventennio passato, da Belgrado a Tirana, a Pristina a Kiev, a Tbilisi. Quando Gene Sharp non era presente di persona, sembra di capire che “ispirava” da lontano.

Il libro risulta tradotto in quasi trenta lingue, sicuramente in arabo, in russo e in cinese. E si capisce il perché, leggendolo. Perché le centrali sovversive guardano già a Mosca e  San Pietroburgo, a Pechino e Shanghai. Si capisce anche che contenga qualche contraddizione, come accade a tutti i bestsellers. La tesi centrale  del libro è che ogni dittatura può essere abbattuta, “purchè la ribellione nasca dall’interno”. Ovvero: purchè sembri che essa nasca dall’interno.

Viene in mente subito la Libia. E, ai giorni nostri, la Siria, o anche la Russia.

Infatti Gene Sharp spiega subito che, per nascere dall’interno, se non ci arriva da sola, la ribellione, deve “essere ispirata” da qualcuno. Ecco: il libro di Sharp è un manuale per formare gli “ispiratori”. Per questo – ma Sharp non lo dice – è sufficiente avere molti soldi, a decine e centinaia di milioni. Infatti, queste ribellioni avvengono di regola – così è stato fino ad ora – nei luoghi dove i redditi sono bassi, più bassi, e dove il denaro è l’arma principale per “ispirare”. Senza questo “differenziale” di ricchezza, non c’è ispirazione che tenga. E il primo suggerimento da dare agl’ingenui che non conoscono il Potere è proprio quello di chiedersi: come mai gl’«ispirati» che Gene Sharp cerca sono tutti nei paesi che soffrono di quel differenziale?

Non sarà che, ad essere «ispirati», sono gl’intellettuali dei paesi più poveri? Con i proventi di quel differenziale  si possono finanziare centinaia e migliaia di borse di studio, di grants per professori universitari, che accorreranno nelle università britanniche, americane, francesi, tedesche, nei think-tank occidentali, dove verranno educati in piena libertà ad amare solo i valori occidentali, e dove vedranno aprirsi autostrade per le loro carriere future. In patria dopo la vittoria, all’estero in caso di sconfitta. E’ così che si delinea il provvidenziale aiuto dall’esterno. C’è, per questo, e opera da decenni, una possente rete di istituzioni specificamente ad esso destinate, costruite, finanziate. Da “Giornalisti senza frontiere”, solo per fare qualche esempio, ai vari Carnegie Endowment for International Peace, agli Avaaz che raccolgono firme a tutto spiano, e che a volte sembrano davvero delle centrali missionarie, moralizzatrici, libertarie, ecologiche, verdi, comunque molto colorate. Ci sono, per questa bisogna, radio come Free EuropeRadio LibertyDeutsche Welle e via elencando. Ci sono televisioni satellitari, una marea di siti web, che sono impinguate di piccoli eserciti di “ispiratori” dall’esterno, che trasmettono incessantemente, foraggiano, spingono, descrivono le lotte per i diritti umani, per la democrazia; che fissano le scadenze delle rivoluzioni, delle “primavere”, degli aneliti alla libertà d’impresa, al mercato.

Se, per esempio – com’è accaduto recentemente – il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite deve votare una risoluzione di condanna del governo siriano che troverà il veto di Russia e Cina, ecco che l’”ispirazione” giungerà puntuale a muovere tutti i media occidentali perchè annuncino stragi in diverse città siriane. Mancheranno fonti attendibili e conferme, ma basterà per questo pubblicare i dati forniti da Avaaz, non si sa come raccolti, oppure quelli di Al Jazeera e di Al Arabiya, la cui attendibilità è ormai pari a quella della CNN, cioè uguale a zero. Non insisterei su tutti questi noiosi dettagli se non avessi assistito di persona alle modalità con cui sono state finanziate e organizzate le rivoluzioni colorate in Jugoslavia, in Ucraina, in Georgia, in Cecoslovacchia, e prima ancora con il meraviglioso prototipo di Solidarność in Polonia, che ebbe come “ispiratore” principale, sotto il profilo ideologico e finanziario, niente meno che il Vaticano del – per questo – beatificato Karol Wojtyła.

Operazioni che, nel centro d’Europa, continuano tutt’ora attorno all’”ultima dittatura”, quella di Aleksandr Lukašenko in Bielorussia, accerchiata dalle radio e dalle televisioni che, pagate dall’Unione Europea, trasmettono dai territori appena conquistati del Prebaltico e della Polonia.

Naturalmente – sarà opportuno ricordarlo per prevenire le geremiadi di coloro che mi accuseranno di sostenere i dittatori  più o meno sanguinari – in molti di questi casi le repressioni sono esistite ed esistono. Naturalmente la corruzione e la palese assenza di democrazia di alcuni di quei regimi esistono e sono esistite. Naturalmente esistono e sono esistite forme di resistenza dei diritti umani che meritano tutta la nostra solidarietà. Esse esistono, combattono in condizioni impari contro un Potere che è più forte di loro. Ed è appunto su di esse che si esercita l’”ispirazione” di cui scrive Gene Sharp. Ed essa può fare conto sulla potenza sterminata del denaro, quando è sterminato; ma anche sull’ingenuità dei destinatari. I quali, costretti come sono sulla difensiva, sono straordinariamente penetrabili alle forme più sottili, più innocenti, più “giustificabili”, di corruzione. E’  appunto maneggiando questa trappola che agiscono gl’”ispiratori” come Gene Sharp e i finanziatori che sono appollaiati sulle sue spalle.


Dunque la prima cosa che occorre fare, per capire cosa è successo e succede in tutti i paesi che si trovano dalla parte bassa del differenziale di ricchezza, è osservare l’evoluzione che si verifica proprio nei movimenti di ribellione: cioè come essi sono prima della cura cui vengono sen’altro sottoposti dagl’”ispiratori”, e poi dopo. Questa analisi rivelerebbe curiose somiglianze tra la trasformazione che fu subita, per esempio, da movimenti come “Otpor”, a Belgrado e nella ex Jugoslavia, e la  rinomata e ormai defunta “Rivoluzione Aarancione” in Ucraina. Si parte da qualche vecchio ciclostile, e si arriva con un contratto di insegnamento magari a Harvard. Resistere è difficile, per non dire impossibile. All’inizio sono “ispirazioni”, poi diventano ordini, ai quali è impossibile resistere. E più il differenziale è alto, più è facile trovare decine, poi centinaia, poi migliaia di sinceri, sincerissimi “ispirati”.

Hic Rhodus, hic salta. E’ qui che bisogna avere il coraggio e la forza di distinguere i diritti sacrosanti che vengono violati, dai profittatori politici esterni (o anche interni) che li utilizzano per fini di conquista. C’è un criterio abbastanza semplice per distinguere. Basta conoscere chi finanzia. Se, per esempio, ci sono buone ragioni per pensare che sia l’Arabia Saudita a comprare armi e a assoldare eserciti, ecco che si può stare certi che, appoggiando una data rivolta, non si lavora al servizio della democrazia e dei diritti, bensì si sostiene la barbarie e l’oppressione.

Ti mostreranno il contrario, naturalmente. E’ il loro mestiere. Lavorano per questo, ben pagati, 24 ore al giorno, tutti i giorni. Esempi preclari di questa circostanza sono l’UCK del Kosovo  e la rivolta siriana. Nel primo caso fu un intero esercito a essere organizzato, finanziato, istruito, appoggiato da  fiumi di denaro provenienti da Riyād, da Washington, da Berlino, dalla Nato. E non è un caso se il governo di Pristina che ne è emerso è un covo di criminali, le cui mani insanguinate vengono strette ora con calore a Bruxelles, in pieno ludibrio di ogni diritto umano e di ogni principio europeo di libertà e di rispetto dei diritti umani.


L’altro esempio è ora sotto i nostri occhi in Siria, dove l’evidenza mostra un intreccio complesso ma trasparente di aiuti esterni, ai ribelli provenienti da Israele, dalla Turchia, dall’Arabia Saudita, dagli Stati Uniti d’America. Non sono singole unità, sono centinaia, e poi migliaia di stipendi, di prebende, di consiglieri, di esperti. E poi, quando non bastassero i consigli e si dovesse fare ricorso alla forza, è la volta degli eserciti mercenari. E, quando essi vanno al potere e vincono, segue una lunga scia di sangue, di violenze, di vendette, di illegalità e di soprusi.  E, dunque, si può essere certi che, in caso di caduta del regime di Bashar el-Assad, quello che verrà dopo non sarà certamente il trionfo della libertà e dei diritti umani. Si veda il caso, di nuovo, della Libia appena liberata dal “sanguinario” dittatore Gheddafi e in preda amasnade criminali che erano già tali prima che il conflitto cominciasse e che ora sono divenute padrone.

Insomma basta applicare l’antica regola del cui prodest. Che non è criterio certo al 100%, ma che funziona, in politica, quasi sempre. Ovviamente usando norme di cautela elementari, come quella di stare sempre attenti che gli organizzatori delle provocazioni le costruiscono sempre utilizzando alla rovescia proprio il principio del cui prodest. Così, quando vi capiterà di trovarvi di fronte a un attentato terroristico qualunque, basterà che analizziate bene – per disinnescarlo - il cui prodest che vi viene offerto su un piatto d’argento. Per esempio quando qualcuno assassinasse  Vittorio Arrigoni, e voi sentiste da tutti i mass media, all’unisono, la rivendicazione di un non meglio identificato “gruppo salafita”, con tanto di sito internet e musichetta rivoluzionaria araba, dovreste immediatamente pensare che gl’ispiratori sono stati – faccio un esempio a caso -  i servizi segreti israeliani.

L’edizione italiana di Gene Sharp mette in caratteri minori il titolo inglese e offre una nuova titolazione: “Come abbattere un regime”, e come sottotitolo offre un condensato ideologico da cento tonnellate di peso: “Manuale di liberazione non violenta”. Come non applaudire? Qui, sommersi nella melassa libertaria, si possono intravvedere diversi contenuti complementari. Il primo è chiarissimo: noi siamo la democrazia, la libertà e la verità. Dunque abbiamo il diritto, se non addirittura il dovere, si insufflarla sugli altri. Meglio se negli altri. Chiunque si opponga al trionfo dei nostri ideali è parte del “Male”.

I dittatori sono tutti brutti e cattivi, e sono tutti gli altri: quelli che contrastano il Bene. Chi non li combatte con sufficiente convinzione è un alleato del Male.

Perchè esistano i dittatori, da dove vengano, come si siano formati, se abbiano qualche legittimità, se siano stati un prodotto della storia, chi li ha portati al potere, se siano stati nostri amici e alleati, se siano capi di stato o di governo riconosciuti dalle Nazioni Unite, se abbiano quindi diritti riconosciuti dalla comunità internazionale, se abbiano ragioni da rivendicare, di carattere storico o di emergenza, tutte queste sono questioni che non meritano di essere neppure prese in considerazione. Essi infatti sono “oppressori di popoli”. I quali popoli, ipso facto, vengono sussunti all’interno del nostro sistema di valori. Essi, cioè, hanno i nostri desideri, i nostri impulsi, i nostri bisogni, le nostre aspirazioni. La storia, le diverse storie dei popoli vengono, come per incanto, cancellate. E, come passo successivo immediato, occorre immaginare per loro conto quale dovrà essere la forma di governo che essi devono avere.

Il secondo contenuto implicito è questo: loro, i dittatori, sono violenti; noi, i democratici, dobbiamo essere non violenti. Purchè, naturalmente, il dittatore non riesca a mantenere soggetto il suo popolo. Nel caso ci riesca, poichè noi abbiamo deciso che può farlo solo grazie alla violenza, allora saremo autorizzati a esercitare a nostra volta la violenza. O, per meglio dire, saremo autorizzati a “ispirare” l’uso della violenza da parte degli oppressi contro il “dittatore” che, nel frattempo avremo già definito “sanguinario”, autore di “massacri indiscriminati”. E, giovandoci del differenziale a nostro favore, incluso quello mediatico, saremo riusciti a far diventare dominante la nostra narrazione degli eventi in tutto il mondo esterno.

Dunque, se vi sarà violenza, questa sarà interamente da attribuire alla “sacrosanta” reazione popolare alla “repressione” del dittatore. S’intende che questa “sacrosanta” reazione popolare sarà armata e organizzata mediante il differenziale di armi, munizioni, organizzazione, informazione, tecnologia. Ma saranno comunque i pacifici manifestanti per la libertà a usare le armi contro il sanguinario dittatore e i suoi scherani. E i morti saranno tutti, indistintamente pacifici cittadini, la popolazione civile innocente. Va da sé, inutile ricordarlo, che effettivamente la popolazione civile morirà in grande quantità. L’essenziale è che i racconti e i filmati assegnino la responsabilità degli eccidi esclusivamente al dittatore sanguinario e ai suoi scherani. Che magari sono effettivamente scherani e sanguinari, ma che avranno la malasorte di essere considerati gli unici criminali che agiscono sul terreno.

Sarà utile non dimenticare che, mentre noi - che stiamo sulla parte alta del differenziale, e che leggiamo le cronache dalle nostre alture - applaudiremo alla rivolta pacifica dei popoli oppressi presi di mira dai dittatori efferati che abbiamo preso di mira, altri dittatori, proprio lì a fianco, insieme ai loro scherani sanguinari, saranno lasciati in piena tranquillità a opprimere i rispettivi popoli, godendo, nel fare ciò, del nostro più cordiale appoggio e sostegno. Questo dettaglio – lo ricordo di passaggio – viene sempre dimenticato dagl’intellettuali amanti dei diritti umani che ci stanno intorno e a fianco. E, se glielo fai ricordare, si irritano accusandoti di cambiare discorso. Infatti uscire dalla narrazione del mainstream significa, per loro “cambiare discorso”. E, a pensarci bene, per chi conosce solo la narrazione del mainstream, uscirne anche solo per un attimo significa cambiare discorso.

Ma procediamo oltre. A questo punto il paese astratto che stiamo considerando si trova già in piena guerra civile. Il movimento di protesta ha già ricevuto le necessarie istruzioni per l’uso per colpire i “talloni d’Achille” di quel determinato regime. Perchè Gene Sharp sa perfettamente che ogni regime ha i suoi talloni d’Achille che, se bene individuati e colpiti, potranno farlo crollare di schianto.  Da qualche parte, possibilmente in un paese confinante, si trova già un’avanguardia bene organizzata, bene collegata con l’interno, bene integrata con il sistema informativo occidentale, capace di usare al meglio i social networks (tutti sotto il controllo e la guida dei centri di analisi occidentali). Non sarà mica stato casuale se,all’inizio del 2011, poco dopo l’avvio della cosiddetta “primavera araba”, Obama e Hillary Clinton convocarono proprio i chief executive officers dei principali social network, di Google, Facebook, Yahoo and companies?  Per la verità quest’ultima è una evoluzione tecnologica che Gene Sharp non include nel suo manuale. Il libro è stato scritto prima che essa diventasse utilizzabile su larga scala e, sotto questo profilo, appare datato.

Ma il manuale di Sharp ha un pregio indubbio, quello di aiutarci a capire bene i meccanismi tradizionali, quelli che sono stati usati negli ultimi decenni e che – si può essere certi - non usciranno di moda. Adesso in Siria, superata la fase dell’innesco della guerra civile, non c’è più nemmeno bisogno di fingere che, a combattere, siano solo i pacifici dimostranti armati oppositori del regime di Bashar el-Assad. Ora si dice apertamente che centinaia di agenti americani, sotto la guida diDavid Petraeus, attuale direttore della Cia, sono impegnati a reclutare, in Iraq, miliziani delle tribù di confine perchè vadano a combattere in Siria. La stessa cosa avviene attraverso la frontiera turca, dove agiscono i contingenti militari provenienti da Bengasi di Libia, comandati dai leader fondamentalisti islamici che, con l’aiuto della Nato, hanno abbattuto il regime libico. E, dalla frontiera libanese, agiscono le bande del deputato di Beirut Jamal Jarrah, reclutatore di mercenari per conto dell’Arabia Saudita, uomo che fa da cerniera tra il pincipe Bandar, da un lato, e dall’altro – attraverso il nipote Ali Jarah – i servizi segreti israeliani.

Come dire: da un lato i dollari a camionate, dall’altro i migliori consiglieri militari e i più evoluti sistemi di  intelligence di tutto il Medio Oriente. Si aggiungano le bande di commandos che già da mesi operano dentro i confini siriani, con l’obiettivo specifico di uccidere Bashar e i suoi più stretti collaboratori, di collocare bombe, di far saltare gli oleodotti.

Sarebbe evidente, il tutto, se i pubblici occidentali lo sapessero. Ma non lo sanno, perchè la cronaca è scritta all’incontrario. E i “diritti umani” della popolazione siriana sono giù stati avvolti nello stesso sudario in cui è imbavagliata ogni verità. Ma gl’intellettuali occidentali, insieme ai giornalisti, e assieme a una certa dose omeopatica di pacifisti, credono di sapere. L’esistenza del sudario non riescono nemmeno a immaginarla. Sentenziano con l’aria di farci sapere che “a loro non la si fa”. Pensano di essere più intelligenti – avendo letto qualche romanzo giallo, o perfino avendolo scritto – dei professionisti che lavorano a tempo pieno per conto di un Potere che non sta giocando a carte.

Così, m’è venuto in mente, usando un altro gioco, di provare una mossa del cavallo. Cioè di andare a vedere, in retrospettiva, cosa avvenne, una ventina d’anni fa, in Lituania. Anche lassù, molto lontano dal Medio Oriente, ci fu un inizio di guerra civile, quando l’Unione Sovietica stava per crollare. I lituani volevano l’indipendenza, e avevano diritto di chiederla. C’era un genuino movimento popolare che si batteva per questo. Fu sufficiente un inizio. Poi tutto si concluse con la sconfitta dell’Impero del Male. Ci furono una ventina di morti a Vilnius, quando le truppe russe e il KGB occuparono la torre della televisione. L’accusa cadde su Gorbaciov, sui russi, i cattivi di turno, che furono accusati di avere sparato a sangue freddo sulla folla.

Quell’episodio è diventato il momento fondante della Repubblica indipendente di Lituania, ora uno dei 27 paesi dell’Unione Europea. Ma adesso sappiamo che tutta quella storia fu scritta da altre mani, ben diverse da quelle del “popolo lituano”.

Lo racconta ora Audrius Butkevičius, che divenne poi ministro della difesa della repubblica, e che, quel 15 gennaio 1991, organizzò la sparatoria.

Fu una operazione da servizi segreti, predisposta, a sangue freddo, con l’obiettivo di sollevare la popolazione contro gli occupanti.

Chiedo al lettore di sopportare la lunga citazione dell’intervista che venne pubblicata nel maggio-giugno 2000 dalla rivista “Obzor” e che è stata recentemente ripubblicata sul giornale lituano “Pensioner”. Sarà una fatica non inutile, perchè coronata da una preziosa scoperta, che ci aiuterà a capire diverse cose del libro di cui stiamo parlando.

«Non posso giustificare il mio operato di fronte ai familiari delle vittime – dice Butkevičius, che allora aveva 31 anni – madavanti alla storia io posso. Perchè quei morti inflissero un doppio colpo violento contro due cruciali bastioni del potere sovietico, l’esercito e il KGB. Fu così che li screditammo. Lo dico chiaramente: sì, sono stato io a progettare tutto ciò che avvenne. Avevo lavorato a lungo all’Istituto Einstein, insieme al professor Gene Sharp, che allora si occupava di quella che veniva definita la difesa civile. In altri termini si occupava di guerra psicologica. Sì, io progettai il modo con cui porre in situazione difficile l’esercito russo, in una situazione così scomoda da costringere ogni ufficiale russo a vergognarsi. Fu guerra psicologica. In quel conflitto noi non avremmo potuto vincere con l’uso della forza. Questo lo avevamo molto chiaro. Per questo io feci in modo di trasferire la battaglia su un altro piano, quello del confronto psicologico. E vinsi». 

Spararono dai tetti vicini, con fucili da caccia, sulla folla inerme. Come hanno fatto in Libia, come hanno fatto in Egitto, come stanno facendo in Siria.

Adesso avete capito. Gene Sharp era là, in spirito. Fu lui che insegnò a Butkevičius come vincere, “trasferendo la lotta sul piano psicologico”. Peccato che, lungo la strada, morirono 22 persone innocenti. Ma, “di fronte alla storia”, cosa pretenderanno i nostri difensori dei diritti umani?

Il libro di Sharp va dunque letto sotto un’altra luce. Ed è, sotto questa luce, un’opera geniale. E’ stato scritto proprio per le giovani generazioni, che sono ormai totalmente prive di ogni memoria storica, già omologate dalle televisioni, ora intrappolate nei social network, che non hanno mai fatto politica, che sono digiune di ogni forma di organizzazione. Per questo è scritto con sconcertante semplicità, per essere compreso da un ragazzo o una ragazza della scuola media: per introdurli nella lotta politica e psicologica rese possibili dai tempi moderni, ma in modo tale che siano strumenti non in grado di capire ciò che fanno e per chi lavoreranno. E’ un manuale per organizzare la “sovversione dall’interno”, di tutti i paesi “altri” rispetto all’America e all’Europa; per armare, con la “non violenza” le quinte colonne che devono far cadere tutti i regimi che sono esterni al “consenso washingtoniano”.

Questa operazione ha un solo “tallone d’Achille”. Che si potrebbe vedere, come fosse fosforescente, non appena si strappasse il tendaggio principale: l’assioma indiscutibile che “noi siamo la democrazia”. Perché capiremmo tutti che la ribellione “non violenta”, che suggerisce Sharp, può essere diretta contro i nostri oppressori “democratici”, che hanno trasformato la democrazia in una cerimonia manipolatoria e senza senso. Potremmo anche noi attuare tutti i suggerimenti di Sharp: dileggiare i funzionari del regime, fare marce, boicottare certi consumi, esercitare la non collaborazione generalizzata, attuare la disobbedienza civile.

In realtà, a ben pensarci, grazie professor Sharp, lo stiamo già facendo. Solo che non abbiamo, a sostenerci, i mercenari pagati con i denari dell’America. E possiamo anche noi citare, come fa Sharp, il deputato irlandese Charles Stewart Parnell (1846-1891) : “Unitevi, rafforzate i deboli tra voi, organizzatevi in gruppi. E vincerete”.

Solo che questa nostra democrazia è molto più subdola delle dittature. E dobbiamo sapere che, quando cominceremo ad abbatterla, per costruirne una vera, magari tornando alla nostra Costituzione, non avremo nessun aiuto dall’esterno.


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Sostenere il governo USA senza saperlo: il grave esempio di “Avaaz”


–  18 FEBBRAIO 2012
L’associazione non governativa “Avaaz” sta spopolando su internet e nei circoli della sinistraliberal occidentale in nome della difesa dei diritti umani. Pochi conoscono però chi si cela dietro questa organizzazione che di umanitario ha solo l’apparenza e che è stata creata per “coprire a sinistra” gli interessi geopolitici ed economici dei poteri forti occidentali, soprattutto americani. La tattica è molto semplice: si promuovono decina se non centinaia di petizioni su temi umanitari, democratici, anti-corruzione che trovano immediato consenso fra il pubblico di sentimenti progressisti (ad esempio la lotta contro la censura su internet oppure il riconoscimento della Palestina). Fra di essi vi sono anche attacchi ai governi occidentali e contro lo strapotere delle banche,  così da convincere questo pubblico particolare della bontà della ONG. Fra tutti questi temi – che poi non sortiranno in gran parte comunque nessun risultato – si inseriscono invece questioni strategiche per i padroni nascosti di “Avaaz” (governi, multinazionali, eserciti) che così potranno più facilmente superare la diffidenza da parte della popolazione genericamente di “sinistra”, che non sospetterà mai che dietro a questi presunti critici degli USA è nascosto proprio il Partito Democratico del presidente Obama e dell’ex-presidente Cliton, attraverso l’organizzazione “MoveOn” che sta alla base di “Avaaz”, e che ha ricevuto un finanziamento di 1,46 millioni di dollari da George Soros per utilizzarla nella battaglia elettorale contro il Partito Repubblicano.

Una ONG schierata coi potenti

“Avaaz” è infatti una ONG creata da Ricken Patel, personaggio politicamente ben schierato a destra che gode del sostegno finanziario del patron della multinazionale informatica “Microsoft” Bill Gates e della Fondazione Rockefeller (il cui ruolo a favore dei governi americani è ben spiegato in quest’altro articolo). Non è tutto: “Avaaz” collabora strettamente con la famosa Fondazione Soros, una struttura vicina all’attuale governo statunitense e ai suoi servizi segreti che viene utilizzata per organizzare disordini e golpi nei paesi che in qualche modo non ubbidiscono ai diktat di Washington oppure che non autorizzano le grandi aziende occidentali a entrare nel loro mercato nazionale. Non a caso la Cina, che dispone di un mercato ancora fortemente controllato dallo Stato, è una delle vittime preferite di Soros e della ONG di cui stiamo parlando. Naturalmente “Avaaz” non parla di “libertà economica mancante” ma attacca la Cina in altro modo, ad esempio strumentalizzando la questione della pena di morte o del separatismo feudale del Dalai Lama in Tibet. Secondo altre fonti dietro “Avaaz” vi sarebbero mandanti di ben più alta caratura come si evince ad esempio da Indymedia Barcellona, dalla discussione interna a PeaceLink, oppure da questo blog molto dettagliato. Proponiamo ora alcuni dei tanti esempi che rendono perlomeno poco credibile “Avaaz” per chi, come la nostra redazione, si dichiara di sinistra.

Avaaz truffa gli ecologisti

A fine 2011 dichiarazioni, articoli, lettere circolano su Internet chiedendo la fine della “distruzione dell’Amazzonia”: “Avaaz” si tinge insomma di verde per ingannare gli attivisti ecologisti che mai si sognerebbero di sostenere i veri mandanti della campagna. 
 L’obiettivo che queste iniziative si pongono, infatti, non è certo quello di colpire le corporazioni transnazionali o i potenti governi filo-americani che le appoggiano, ma il governo popolare del primo presidente indigeno della Bolivia, Evo Morales. Al centro del dibattito c’è la controversa proposta di Morales di costruire un’autostrada attraverso il Territorio Indigeno del Parco Nazionale Isidoro Sécure (TIPNIS).

 Quest’ultimo, che copre una superficie di più di 1 milione di ettari di foresta, ha ottenuto lo statuto di territorio indigeno dal governo di Evo Morales nel 2009. Circa 2’000 persone vivono in 64 comunità all’interno del TIPNIS.

 Il 15 agosto, rappresentanti di tali comunità hanno iniziato una marcia verso la capitale, La Paz, per protestare contro il piano dell’autostrada.

 Sono subito partite petizioni internazionali da parte, naturalmente, di “Avaaz” che solidarizzando con gli indigeni, condannano il governo boliviano per avere indebolito i diritti indigeni.

 La gente del TIPNIS ha preoccupazioni legittime sull’impatto dell’autostrada. 

Disgraziatamente, però, la campagna di “Avaaz” strumentalizza queste preoccupazioni per indebolire politicamente Morales, il cui sentimento ostile al capitalismo americano non piace ai padroni di “Avaaz”. Con una lettera aperta firmata da più di 60 gruppi ecologisti, in maggioranza però fuori dalla Bolivia, “Avaaz” distorce i fatti e con una retorica progressista afferma “che le imprese straniere si spartiscano l’Amazzonia… e si scatenerà una febbre depredatrice su una delle selve più importanti del mondo”. Ma non menziona il fatto che la distruzione ha già luogo nell’area e che proprio il governo di Morales sta promuovendo una legge per aggiungere nuove norme protettive del parco nazionale. 

La legge proposta comminerebbe pene detentive tra i 10 e i 20 anni di carcere per insediamenti illegali, la coltivazione della coca o il taglio degli alberi nel parco nazionale.

 Avaaz questo non lo dice, ma trasmette l’idea alla sinistra e agli ecologisti che Morales (che è di sinistra e pure ecologista) non vada sostenuto. Al resto ci penseranno poi i “dissidenti” interni alla Bolivia.

Dalla Bolivia all’Iran: il caso Sakineh

A fine 2010 parte un appello mediatico globale che chiede di salvare dalla condanna a morte per lapidazione una donna iraniana, Sakineh Ashtiani. In quello stesso periodo l’Iran era il nemico numero uno dell’amministrazione Obama, si stava preparando una possibile guerra e occorreva che l’opinione pubblica avesse un’immagine demoniaca del paese. Ecco allora che “Avaaz” entra in gioco e inventa il caso Sakineh, subito dato in pasto ai giornalisti occidentali (sì, perché i giornalsti latinoamericani e orientali, invece, hanno evitato questa figuraccia andando a verificare le informazioni!). Sakineh sarebbe condannata alla “lapidazione” perché “adultera”. In realtà si verrà a sapere che Sakineh è stata condannata per aver assassinato il marito, non per averlo tradito; e in ogni caso la lapidazione nel codice penale iraniano non esiste più da decenni. Queste confutazioni sono state documentate non solo da siti di approfondimento come quello di “Come Don Chisciotte“, ma ha suscitato qualche dubbio infine anche ai giornalisti dei quotidiani italiani come “La Stampa”. Insomma “Avaaz” ha strumentalizzato politicamente questa vicenda e pochissimi media occidentali, dopo aver demonizzato l’Ira, raccontando notizie non verificate, hanno però avuto l’etica professionale di scusarsi e di rettificare, cosa che peraltro non ha fatto nemmeno l’ONG stessa, a dimostrazione che non si è trattato di un errore in buona fede.

Pacifisti che preparano la guerra

Di recente di fronte alle rivolte di alcune tribù feudali contro il governo della Libia Popolare, “Avaaz” – sempre con la scusa dei diritti umani – ha sostenuto e diffuso la rivendicazione di una “Non-Fly-Zone” contro la Libia, la quale altro non era che il primo passo per l’invasione militare del paese nordafricano da parte delle truppe della NATO che, con bombardamenti a tappeto, hanno ucciso migliaia di civili e hanno permesso ai rivoltosi di assumere il controllo del Paese e di uccidere Muammar Gheddafi. Una scelta duramente condannata, ad esempio, dal gruppo anti-militarista di Alicante (leggi). Va ricordato che oggi in Libia il governo “democratico” sostenuto da “Avaaz”  e dalle diplomazie occidentali è di carattere liberista (vedi filmato), ha riabilitato non solo la figura del dittatore fascista Benito Mussolini, ma ha pure definito quale “periodo fiorente” l’epoca in cui il fascismo italiano aveva colonizzato e saccheggiato la Libia. Sul fronte dei diritti umani, inoltre, la Libia odierna si caratterizza per violenza di vario genere spesso di tipo razziale contro i neri accusati di essere  tutti “mercenari al soldo di Gheddafi”, come documentato dai video pubblicati dal sito di “Fortresse Europe“. Stranamente, però, “Avaaz” ora della Libia non si occupa più, evidentemente ha raggiunto il suo vero scopo.

Esportare la democrazia e rubare il petrolio

“Normalizzata” la situaz

(Message over 64 KB, truncated)


(english / italiano)

Orwell e la Siria / 1

1) Road to Damascus... and on to Armageddon? - by Diana Johnstone  
2) A House of Sand and Fog - by Nebojsa Malic
3) PSY...OPS! Quando la guerra si fa con le parole - di Ermete Ferraro


=== 1 ===

http://www.en.beoforum.rs/comments-belgrade-forum-for-the-world-of-equals/235-diana-johnstone-road-to-damascus-and-on-to-armageddon.html

Wednesday, 15 February 2012

by DIANA JOHNSTONE  

What if pollsters put this question to citizens of the United States and the European Union :

“Which is more important, ensuring disgruntled Islamists freedom to overthrow the secular regime in Syria, or avoiding World War Three?”

I’ll bet that there might be a majority for avoiding World War III.

But of course, the question is never framed like that.

That would be a “realistic” question, and we Westerners from the heights of our moral superiority have no time for vulgar “realism” in foreign policy (except the eccentric Ron Paul, crying out in the wilderness of Republican primaries).

Because, in the minds of our political ruling class, the United States has the power to “make reality”, we need pay no attention to the remnants of whatever reality we didn’t invent ourselves.

Our artificial reality is coming into collision with the reality perceived by most or at least much of the rest of the world.  The tenants of these conflicting views of reality are armed to the teeth, including with nuclear weapons capable of leaving the planet to insects.

Theoretically, there is a way to deal with this dangerous situation, which has the potential of leading to World War.  It is called diplomacy.  People capable of grasping unfamiliar ideas and understanding viewpoints other than their own, examine the issues underlying conflict and use their intelligence to work out solutions that may not be ideal but will at least prevent things from getting worse.

There was even an organizational structure created for this: the United Nations.

But the United States has decided that as sole superpower it doesn’t really need to stoop to diplomacy to get what it wants, and the United Nations has been turned into the instrument of US policy. The clearest evidence of this was the failure of the UN Security Council to block the NATO powers’ abuse of the ambiguous and contested Responsibility to Protect (“R2P”) doctrine to overthrow the Libyan government by force.

Early this year, UN Secretary General Ban Ki-moon rejoiced that: “The world has embraced the Responsibility to Protect – not because it is easy, but because it is right. We therefore have a moral responsibility to push ahead.”  Morality trumps the basic UN principle of national sovereignty. Ban Ki-moon suggests that pushing ahead with R2P is no less than the “next test of our common humanity”, and announces: “That test is here – in Syria.”

So, the Secretary General of the UN considers the “moral responsibility” of R2P his main guideline to the crisis in Syria.

In case there was any doubt, the Libyan example demonstrated what that means.

A country whose rulers do not belong to the Western club made up of NATO countries, Israel, the emirs of the Gulf states and the ruling family of Saudi Arabia, is wracked by opposition demonstrations and armed rebellion, with the mix of the two making it difficult to sort out which is which.  Western mainstream media hasten to tell the story according to a standard template:

The ruler of the country is a “dictator”.  Therefore, the rebels want to get rid of him simply in order to enjoy Western-style democracy.  Therefore, the people must all be on the side of the rebels. Therefore, when the armed forces proceed to repress the armed rebellion, what is [foolscrusadejohnstone] happening is that “the dictator is killing his own people”.  Therefore, it is the Responsibility 2 Protect of the international community (i.e. NATO) to help the rebels in order to destroy the country’s armed forces and get rid of (or kill) the dictator.

The happy ending comes when Hillary Clinton can shout gleefully, “We came, we saw, he died!”

Thereupon, the country sinks into chaos, as armed bands rove, prisoners are tortured, women are put in their place, salaries are unpaid, education and social welfare are neglected, but oil is pumped and the West is encouraged by its success to go on to liberate another country.

That at least was the Libyan model.

Except that in the case of Syria, things are more complicated.

Unlike Libya, Syria has a fairly strong army.  Unlike Libya, Syria has a few significant friends in the world. Unlike Libya, Syria is next door to Israel. And above all, the diversity of religious communities within Syria is much greater and more potentially explosive than the tribal divisions of Libya.  The notion that “the people” of Syria are unanimously united in the desire for instant regime change is even more preposterous.

Electoral democracy is a game played on the basis of a social contract, a general consensus to accept the rule that whoever gets the most votes gets to run the country.  But there are societies where that consensus simply does not exist, where distrust is too great between different sectors of the population. That could very well be the case in Syria, where certain minorities, including notably the Christians and Alawites, have reason to fear a Sunni majority that could be led by Islamists who make no secret of their hostility to other religions.  Still, perhaps the time has come to overcome that distrust and build an electoral democracy with safeguards for minorities.  However, the one sure way to set back such a move toward democracy is a civil war, which is certain to revive and exacerbate hatred and distrust between communities.

Last month, on this site Aisling Byrne called attention to results of a public opinion poll funded by no less than the Qatar Foundation, which cannot be suspected of working for the Assad regime, given the Qatar royal family’s lead position in favor of overthrowing that regime. The key finding was that “while most Arabs outside Syria feel the president should resign, attitudes in the country are different. Some 55% of Syrians want Assad to stay, motivated by fear of civil war – a specter that is not theoretical as it is for those who live outside Syria’s borders. What is less good news for the Assad regime is that the poll also found that half the Syrians who accept him staying in power believe he must usher in free elections in the near future.”

This indicates a very complex situation.  Syrians want free elections, but they prefer to have Assad stay in power to organize them.  This being the case, the Russian diplomatic efforts to try to urge the Assad regime to speed up its reforms appear to be roughly in harmony with Syrian public opinion.

While the Russians are urging President Assad to speed up reforms, the West is ordering him to stop the violence (that is, order his armed forces to give up) and resign.  Neither of these exhortations is likely to be obeyed.  The Russians would almost certainly like to stop the escalation of violence, for their own good reasons, but that does not mean they have the power to do so.  Their attempts to broker a compromise, decried and sabotaged by Western support to the opposition, merely put them in line to be blamed for the bloodshed they want to avoid.  In a deepening civil war situation, the regime, any regime, is most likely to figure it has to restore order before doing anything else.  And restoring order, under these circumstances, means more violence, not less.

The order to “stop killing your own people” implies a situation in which the dictator, like an ogre in a fairy tale, is busily devouring passive innocents.  He should stop, and then all the people would peacefully go about their business while awaiting the free elections that will bring the blessings of harmony and human rights. In reality, if the armed forces withdraw from areas where there are armed rebels, that means turning those areas over to the rebels.

And who are these rebels?  We simply do not know.  Someone who may know better than we do is Osama bin Laden’s successor as head of al Qaeda, Ayman al-Zawahiri, who is seen on a video urging Muslims in Turkey and neighboring Arab states to back the Syrian rebels.

With uncontrolled armed groups fighting for control, the insistent Western demand that “Assad must step down” is not really even a call for “regime change”.  It is a call for regime self-destruction.

As in Libya, the country would de facto be turned over to rival armed groups, with those groups that are being armed covertly by NATO via Turkey and Qatar having an advantage in hardware.  However, the likely result would be a multi-sided civil war much more horrific than the chaos in Libya, thanks to the country’s multiple religious differences.  But for the West, however chaotic, regime self-destruction would have the immediate advantage of depriving Iran of its potential ally on the eve of an Israeli attack.  With both Iraq and Syria neutralized by internal religious conflict, the strangulation of Iran would be that much easier – or so the Western strategists obviously assume.

At least initially, the drive to destroy the Assad regime relies on subversion rather than outright military attack as in Libya.  A combination of drastic economic sanctions and support to armed rebels, including fighters from outside, notably Libya (whoever they are), reportedly already helped by special forces from the UK and Qatar, is expected to so weaken the country that the Assad regime will collapse.  But a third weapon in this assault is propaganda, carried on by the mainstream media, by now accustomed to reporting events according to the pattern: evil dictator killing his own people.  Some of the propaganda must be true, some of it is false, but all of it is selective.  The victims are all victims of the regime, never of the rebels.  The many Syrians who fear the rebels more than the present government are of course ignored by the mainstream media, although their protests can be found on the internet. A particular oddity of this Syrian crisis is the way the West, so proud of its “Judeo-Christian” heritage, is actively favoring the total elimination of the ancient Christian communities in the Middle East.  The cries of protest that Syrian Christians rely for protection on the secular government of Assad, in which Christians participate, and that they and other minorities such as the Alawites may be forced to flee if the West gets its way, fall on deaf ears.

The story line of dictators killing their own people is intended primarily to justify harsh Western measures against Syria. As in Bosnia, the media are arousing public indignation to force the US government to do what it is in fact already doing: arm Muslim rebels, all in the name of “protecting civilians”.

Last December, US National Security Advisor Tom Donilon said that the “end of the Assad regime would constitute Iran’s greatest setback in the region yet – a strategic blow that will further shift the balance of power in the region against Iran”.  The “protection of civilians” is not the only concern on the minds of US officials.  They do think of such things as the balance of power, in between their prayer breakfasts and human rights speeches.  However, concern with the balance of power is a luxury denied less virtuous powers such as Russia and China. Surely the shift in the balance of power in the region cannot be limited to a single country, Iran.  It is meant to increase the power of Israel, of course, but also the United States and NATO.  And to decrease the influence of Russia.  Thrusting Syria into helpless chaos is part of the war against Iran, but it is also implicitly part of a drive to reduce the influence of Russia and, eventually, China.  In short, the current campaign against Syria, is clearly in preparation for an eventual future war against Iran, but also, obscurely, a form of long term aggression against Russia and China.

The recent Russian and Chinese veto in the Security Council was a polite attempt to put a brake on this process. The cause of the veto was the determination of the West to push through a resolution that would have demanded withdrawal of Syrian government forces from contested areas without taking into consideration the presence of armed rebel groups poised to take over. Where the Western resolution called on the Assad regime to “withdraw all Syrian military and armed forces from cities and towns, and return them to their original home barracks”, the Russians wished to add: “in conjunction with the end of attacks by armed groups against State institutions and quarters and towns.”  The purpose was to prevent armed groups from taking advantage of the vacuum to occupy evacuated areas (as had happened in similar circumstances in Yugoslavia during the 1990s).  Western refusal to rein in armed rebels was followed by the Russian and Chinese veto on Febuary 4.

The veto unleashed a torrent of insults from the Western self-styled “humanitarians”.  In an obvious attempt to foster division between the two recalcitrant powers, US spokespersons stressed that the main villain was Russia, guilty of friendship with the Assad regime.

Russia is currently the target of an extraordinary propaganda campaign centered on demonizing Vladimir Putin as he faces an lively campaign for election as President.  A prominent New York Times columnist attributed Russian support to Syria to an alleged similarity between Putin and Assad.  As we saw in Yugoslavia, a leader elected in free multi-party elections is a “dictator” when his policies displease the West. The pathetically alcoholic Yeltsin was a Western favorite despite shooting at his parliament.  The reason was obvious: he was weak and easily manipulated.  The reason the West hates Putin is equally and symmetrically obvious: he seems determined to defend his country’s interests against Western pressure.

The European Union has become the lapdog of the United States. This week the European Union is continuing to impoverish the Greek people in order to squeeze out money, among other things, lent by German and French banks to pay for expensive modern weaponry sold to Greece by Germany and France.  Democracy in Europe is being undermined by subservience to a dogmatic monetary policy.  Unemployment and poverty threaten to destabilize more and more member states.  But what is the topic of the European Parliament’s main monthly political debate this week?  “The situation in Russia.”  One can count on orators in Strasbourg to lecture the Russians on “democracy”.

American pundits and cartoonists have totally interiorized their double standards, so that Russia’s comparatively modest arms deliveries to Syria can be denounced as cynical support to dictatorship, whereas gigantic US arms sales to Saudi Arabia and the Gulf States are never seen as relevant to the autocratic nature of those regimes (at most they may be criticized on the totally fictitious grounds of being a threat to Israel).  To be “democratic”, Russia is supposed to cooperate in its own subservience to Washington, as the United States pursues construction of a missile shield which would theoretically give it a first-strike nuclear capability against Russia, arms Georgia for a return war against Russia over South Ossetia, and continues to encircle Russia with military bases and hostile alliances.

Western politicians and media are not yet fighting World War III, but they are talking themselves into it. And their actions speak even louder than words... notably to those who are able to understand where those actions are leading.  Such as the Russians. The West’s collective delusion of grandeur, the illusion of the power to “make reality”, has a momentum that is leading the world toward major catastrophe.  And what can stop it?

A meteor from outer space, perhaps?


=== 2 ===

http://original.antiwar.com/malic/2012/02/10/a-house-of-sand-and-fog/

A House of Sand and Fog


Lies, Revolutions and Wars

by Nebojsa Malic, February 11, 2012

Last summer, as the Sandstorm mistakenly dubbed the “Arab Spring” swept across North Africa, a cadre of professional revolutionaries the Empire created in Serbia bragged about their role in the revolts to some European videographers. Sure, the revolts in Tunisia and Egypt may have begun spontaneously, but Empire-trained activists soon took control and channeled the rage into “regime change.” It’s what they get paid for.

Staging revolts and coups to replace foreign governments with more pliable ones is nothing new; only the techniques have changed, with “democracy activists” replacing Agency assets as the executors. But with the acceleration of information dispersal in the digital age came the shortening of the blowback window as well. It took twenty-six years for Persian resentment at the 1953 ousting of Mossadegh to manifest itself as Khomeini’s Islamic Revolution. Now mere months are enough.

“The Cairo 19”

Last week, the military government in Cairo – caretakers of the country until the Muslim Brotherhood takes over - arrested some forty-odd “democracy activists,” including 19 Americans. Reactions in Washington ranged from shock to outrage: how dare these foreigners touch the sacred missionaries of Democracy? Sure, these young people get paid big money by the unwitting American taxpayers, to foment unrest and subvert governments the world over, but isn’t that the prerogative of Empire? Isn’t it, like, oppressive and stuff, to prevent Serbian sellouts and sons of American government officials to earn their own private islands?

Even though foreign activism in the electoral process is strictly illegal in America itself, the rest of the world objecting to America interfering in their elections is just, well, “illiberal”! That’s what passes for logic in the Empire these days.

Furthermore, the revolution business is booming, quickly becoming the Empire’s major export. Granted, successful businesses are supposed to bring in profit, and the coups around the world are only sowing anti-American resentment – but what’s logic got to do with the thrill of fame and power?

Julija Belej Bakovic, described by the Washington Post as a “former student activist in Serbia”, now heads a regional office of the International Republican Institute (IRI) for Asia. She still believes what happened in Serbia is a “light at the end of the tunnel” for people everywhere. It certainly worked out well for her: she parlayed her “activism” into a well-paid international career. Most of her colleagues are lucky if they have jobs at all, in the “democratic” Serbia turned into a corrupt hellhole by Julija’s revolution that wasn’t.

It brings to mind a saying from Serbia, “What a wise man is ashamed of, the fool parades with pride.”

By The Numbers

Bolstered by the alleged success of the “Arab Spring,” the Empire set its crosshairs on Moscow. In December last year, “activists” began organizing protest marches and claiming that elections for the Russian federal legislature were stolen. This is a trope right out of the handbook, by the way – and easily disproved by doing actual math and statistics.

While shaken initially, the government of Vladimir Putin has rallied and charged the demonstrators with being foreign mercenaries. Trite but true, the charge resonated in a country stripped to the bone in the 1990s by a quisling regime beholden to the Empire. Nor does it help the Empire’s cause that Russians remember all too well the 2004 “Orange Revolution” in nearby Ukraine.

On February 4, as Empire’s activists rallied in freezing weather at Moscow’s Bolotnaya Square, a much larger crowd gathered to support the government at Poklonnaya Hill. The Western media promptly lied about the size of the demonstrations, but in Russia the difference was clear to anyone with eyes to see: the pro-government demonstrators vastly outnumbered the astroturfers. According to some observers, this may have taken the wind out of the revolutionaries’ sails, at least for now.

The Road to Damascus

Last weekend, Russia and China vetoed a resolution at the UN Security Council that would have backed “regime change” in Syria. Imperial officials predictably denounced this as a “travesty.” But was it?

Back in March 2011, both countries agreed to a resolution (UNSCR 1973) authorizing the no-fly zone over Libya, allegedly to protect innocent civilians. Supposedly, these civilians – or rather, the armed rebellion in Cyrenaica – were threatened by the Libyan air force. Within hours, the resolution became a fig leaf for a massive air campaign and special forces intervention on behalf of an Empire-backed rebellion. The Emperor argued it wasn’t a war but a “kinetic military action.” Is there another kind?

In Libya, the Bosnia scenario played out in fast-forward. Something similar began taking shape in Syria. However, a designated propaganda star of the Syrian revolt was exposed as a hoax early on, while the Libyan expedition took much longer than expected. For a while it seemed the Empire’s next target might be Iran, but currently the war drumline is beating a march to Damascus.

Empire’s moral outrage at Russia and China is hypocrisy at its finest. The warmongers in Washington and London are already bringing up Bosnia and Kosovo - two celebrated “successful” interventions that were nothing of the sort. There is definitely a pattern of aggression at work, but its source is not Assad.

Faced with a belligerent American Empire prone to attacking other countries with flimsy justification (or none at all), conducting drone wars worldwide, and organizing Astroturf revolutions in countries it finds too difficult to invade, it is honestly a miracle that Moscow and Beijing have waited this long.

Trouble in Paradise

Odds are the Chinese and Russian governments hardly think that a UN veto would keep the Empire in check; after all, lack of UN authorization didn’t stop the 1999 Kosovo War, or the 2003 invasion of Iraq. A Russian Navy task force anchored in Syria, however, just might.

Simply put, it is no longer 1999. Actions have consequences, and the Empire has lied, stolen, killed and cheated enough over the past two decades for the rest of the world to take notice and take action. Worst of all, the Imperial officials are actually convinced their actions have created a favorable reality on the ground – where in actuality, they’ve build a house of sand and fog that’s already falling apart.

Last April, the Maldives government – which came to power thanks to the efforts of professional revolutionaries – rewarded the activists with their very own tropical island. But that government is collapsing now, while angry mobs of militant Muslims destroy priceless statues in the museums. An AFP report from the islands includes this aside: “Islam is the official religion of the Maldives and open practice of any other religion is forbidden and liable to prosecution.”

Some “democracy,” indeed.


=== 3 ===

http://ermeteferraro.wordpress.com/2012/02/04/psy-ops-quando-la-guerra-si-fa-con-le-parole/

PSY...OPS! Quando la guerra si fa con le parole.

Pubblicato il 04/02/2012 da erferraro

Dal Grande Fratello orwelliano alla guerra psicologica
In un suo recente intervento, Alessandro Marescotti (www.peacelink.it ) ha giustamente messo in evidenza, a proposito di quanto sta accadendo in Siria, che le varie fonti d’informazione si ritrovano stranamente nel definire “disertori” quelli che, a rigor di logica e di vocabolario, dovrebbero essere chiamati “insorti” o partecipanti ad una“sedizione” militare. Questa osservazione gli dà lo spunto per una riflessione sull’uso propagandistico degli strumenti informativi e sulla preoccupante diffusione – dal secondo dopoguerra ad oggi – di una vera e propria strategia di manipolazione del pensiero e del linguaggio, come strumenti di guerra psicologica.
Il riferimento d’obbligo, in questo caso, è l’incredibilmente profetico romanzo di George Orwell “1984” (Nineteen Eighty-Four), quello che – tanto per intenderci – ha avuto, suo malgrado, la sventura di dar origine alla fin troppo nota espressione “Grande Fratello”. E’ questa, infatti, la traduzione di “Big Brother”, il “deus ex machina” che controlla e dirige come automi telecomandati tutti coloro che vivono sotto il regime assoluto e totalitario guidato dal partito chiamato Socing/Engsoc”.
E’ davvero incredibile come Orwell sia riuscito ad avere, già nel 1948, una visione talmente netta e dettagliata di quella realtà – massmediatica prima ed informatica poi – dalla quale milioni di esseri umani sarebbero stati sempre più condizionati, se non asserviti del tutto, grazie ad una sottile revisione del pensiero e dell’espressione linguistica, che lo veicola e ne è l’ovvio interfaccia.
Mi sono ricordato allora di un mio vecchio scritto – datato non a caso 1984...- nel quale analizzavo questa manipolazione logica (“Bispensiero/Doublethink”) e linguistica (“Neolingua/ Newspeak”), suggerendo anche una strategia per opporsi, nonviolentemente, ad entrambi. Ecco uno dei brani del romanzo che citavo:
“Se si vuole comandare e persistere nell’azione di comando, bisogna anche essere capaci di manovrare e dirigere il senso della realtà... [...] Bispensiero sta a significare la capacità di condividere simultaneamente due opinioni palesemente contraddittorie ed accettarle entrambe [...] La Neolingua era intesa non ad estendere ma a diminuire la possibilità di pensiero; si veniva incontro a questo fine, indirettamente, col ridurre al minimo la scelta delle parole...”  (questa e le successive citazioni erano tratte dall’ediz. italiana, Milano, Mondadori,1983).
Rileggere, oggi, questi brani del romanzo orwelliano fa venire i brividi. Come non restare  stupiti, poi, di fronte alla constatazione che questi due processi di “addomesticamento” e massificazione del pensiero e del linguaggio, mediante un’accurata programmazione della mente umana, erano stati previsti dall’autore intimamente legati all’uso delle tecnologie informatiche?
Programmare un linguaggio-macchina, sottolineava già negli anni ’70 il cibernetico Silvio Ceccato, comporta l’eliminazione di ogni forma di originalità biologica e culturale, allo scopo di perseguire una “oggettività” ed “universalità” comunicativa, sì da “...sopprimere i contenuti del pensiero-linguaggio che fanno riferimento alla personalità dei parlanti...”  (S. Ceccato, La terza cibernetica. Per una mente creativa e responsabile, Milano, Feltrinelli, 1975)


http://www.disarmiamoli.org/

Perchè non aderiamo alla manifestazione del 19 febbraio sulla Siria

  

Lettera aperta alla Cgil, alla Tavola della Pace e alle associazioni che aderiscono alla manifestazione del 19 febbraio indetta dal Consiglio Nazionale Siriano a Roma.

 

Con questa lettera aperta intendiamo dissociarci nettamente dalla manifestazione indetta dal CNS a Roma per il 19 febbraio e non possiamo condividere le ragioni di quanti aderiscono a quella piattaforma.

Ciò perché non vogliamo assolutamente un'altra guerra “umanitaria” che, come è avvenuto in Libia, sotto la pretesa di proteggere i civili ha scatenato invece la ferocia dei bombardamenti e dell'intervento NATO ed ha aggiunto alla guerra civile, in corso sul terreno, un altro bagno di sangue molto, molto più grande. Crediamo perciò che grazie al veto di Russia e Cina la minaccia di un "intervento umanitario" solo per il momento sia stata scongiurata.

Pensiamo però che sia necessaria una piattaforma di pace alternativa che ,a partire dalla cessazione delle violenze da entrambe le parti (governo e bande armate della cosiddetta opposizione), rivendichi un vero negoziato di pace. Ciò perché il massacro dei civili in corso sul terreno in Siria è frutto di una guerra civile tra due entità armate, come ha dimostrato il rapporto degli osservatori della Lega Araba-censurato dal Qatar- e come dimostrano numerose violenze sui civili, gli attentati terroristici, il cecchinaggio e numerose efferatezze compiute proprio dall'Esercito Siriano di Liberazione di cui è alleato il CNS.

Questo ultimo attribuisce le violenze solo all'esercito governativo e invoca nel volantino del 19 febbraio (e nella piattaforma su cui chiede le adesioni ) “le dimissioni di Assad e del suo staff” e inoltre “la difesa internazionale dei civili secondo lo Statuto dell'ONU”, il che equivale a chiedere nei fatti il cambio di regime a mano armata e nuovamente quell'intervento militare internazionale che è stato momentaneamente fermato dal veto in Consiglio di sicurezza dell'ONU. Questa strada porta direttamente alla guerra”umanitaria” della NATO contro la Siria ed a legittimare l'intervento militare già in atto in Siria con truppe della Turchia, del Qatar, della Libia, dell'Arabia Saudita e di tutte le petrolmonarchie del Golfo che stanno da tempo fomentando la guerra, appoggiando con mezzi militari e mediatici l'opposizione armata in Siria.

L'esperienza delle cosiddette guerre umanitarie dell'ultimo quindicennio ci ha insegnato che nessuna retorica dei diritti umani o di “contingenti necessità” può mascherare la realtà della guerra con i suoi lutti e le sue devastazioni senza fine. L'unica strada per fermare il massacro di civili è quella di fermare le violenze, non di amplificarle invocando l'intervento occidentale.

Invitiamo pertanto tutte le associazioni che ripudiano la guerra a dissociarsi apertamente dal CNS e dalla sua piattaforma.

 

Alleghiamo alla presente lettera:
a) una scheda informativa sul CNS con l'indicazione delle fonti;
b) un estratto in italiano del rapporto degli osservatori della Lega Araba;
c) la piattaforma di pace da noi proposta.

 

FIRME:

 

RETE NOWAR, PEACELINK, WILPFITALIA, UNPONTEPER, STATUNITENSI CONTRO LA GUERRA FIRENZE, U.S. CITIZENS FOR PEACE AND JUSTICE, RETE DISARMIAMOLI, CONTROPIANO, ASSOCIAZIONE NAZIONALE DI AMICIZIA ITALIA-CUBA circolo di Roma, ASSOCIAZIONE AMICI DELLA MEZZALUNA ROSSA PALESTINESE.

 

 


a)

SIRIA. l Cns (Consiglio nazionale siriano organizzatore della manifestazione del 19 febbraio a Roma) e le violenze su civili e militari


 

Marinella Correggia

 

E’ stato il nuovo governo della Libia, frutto della guerra della Nato, il primo a riconoscere già lo scorso ottobre come “legittimo rappresentante del popolo siriano” il Consiglio nazionale siriano (Cns), in inglese Syrian National Council (http://latimesblogs.latimes.com/world_now/2011/10/syria-libya-opposition.html). Il Cns a sua volta aveva riconosciuto il Cnt libico già prima della conquista di Tripoli.

Del resto, come ricorda Mustafa el Ayoubi su Confronti, nel 2011 “nell’ambito della Lega araba, la Siria aveva votato contro l’intervento militare in Libia. Era insomma un regime scomodo, non per il fatto che fosse anti-democratico ma perché anti-americano”. Così poco dopo, puntualmente scoppia una rivolta in Siria, “il 17 marzo a Daraa, una piccola città di 75mila abitanti. Non è stata una rivolta pacifica in quanto molti insorti erano armati e non esitavano a sparare sui civili e sulle forze dell’ordine”.

Il Cns, basato in Turchia (ma il suo leader Bhuran Ghalioun vive a Parigi da decenni; sostiene però di rappresentare l’80% dei siriani), il Cns, attraverso i suoi “osservatori sui diritti umani” da Londra e i cosiddetti “Comitati di coordinamento locale”, è la fonte quasi esclusiva delle notizie pubblicate sui media che accreditano la versione di una “rivolta a mani nude contro il dittatore”. Peraltro c’è uno scontro interno fra “attivisti” che si accusano reciprocamente (vedi la Seconda puntata di questa serie).

A differenza dell’altra opposizione che vuole il negoziato e non accetta la lotta armata né l’ingerenza, il Cns rifiuta ogni possibile negoziato e mediazione (come il Cnt libico, a suo tempo). Non ne ha bisogno, perché ha trovato molti alleati fra i paesi occidentali e petromonarchici, ai quali ha chiesto da tempo l’imposizione di una no-fly zone “per la protezione dei civili” (per esempio in ottobre: http://globalpublicsquare.blogs.cnn.com/2011/10/11/time-to-impose-a-no-fly-zone-over-syria/; e in gennaio: http://www.wallstreetitalia.com/article/1307700/siria-opposizione-invoca-intervento-onu-serve-no-fly-zone.aspx). Del resto come vari analisti hanno spiegato, anche nel caso siriano la no-fly zone non avrebbe senso e dovrebbe piuttosto sfociare in un vero e proprio sostegno aereo anti-governativo o Cas (close air support).

Il Cns ha stretto in dicembre un patto di collaborazione (http://www.nytimes.com/2011/12/09/world/middleeast/factional-splits-hinder-drive-to-topple-syrias-assad.html?_r=1&pagewanted=all) con il cd Esercito siriano libero (Free Syrian Army-Fsa).

Il rappresentante del Cns in Italia e organizzatore della manifestazione a Roma del prossimo 19 febbraio (che ha già avuto diverse adesioni di associazioni italiane) è Mohammed Noor Dachan. Sul sito del Syrian National Council risulta affiliato come appartenente alla Muslim Brotherhood Alliance (http://www.syriancouncil.org/en/members/item/241-mohammad-nour-dachan.html). Egli sostiene che la Fsa è formata da “soldati, sottufficiali e ufficiali che hanno scelto di rifiutare di sparare alla gente comune disarmata e non è un esercito di guerra, ma ha solo l'obiettivo di difendere le manifestazioni”. La realtà appare molto diversa.

Il cd Esercito libero appare responsabile di uccisioni di soldati e civili siriani (ci sono elenchi nominativi documentati, vedi puntata 3 di questo dossier) e atti di sabotaggio e terrorismo. Anche a Homs nella fase attuale (http://www.megachip.info/tematiche/guerra-e-verita/7707-homs-un-testimone-racconta-il-terrore-gruppi-armati-non-damasco.html). Lo stesso il giornalista francese Jacquier è stato ucciso da gruppi armati dell’opposizione, secondo quanto raccolto da Le Figaro presso gli stessi osservatori della Lega Araba. Venerdì 10 febbraio, decine di morti in esplosioni ad Aleppo: la Fsa prima rivendica (“una risposta ai bombardamenti di Homs” dichiarava all’agenzia spagnola Efe il colonnello Riad Assad) poi smentisce e infine costruisce un’altra narrazione: surrealmente dichiarando ad Al Jazeera che effettivamente il gruppo ha attaccato Aleppo e le due basi militari con razzi e altro per “proteggere i civili che sarebbero scesi in piazza”, ma che gli attentati sono avvenuti dopo il ritiro dei suoi uomini. Secondo il McClatchi Newspaper, dietro i terroristi ad Aleppo c’è Al Qaeda. Del resto, leggiamo su TMNews, il leader di al Qaida, Ayman al-Zawahiri, ha espresso il suo sostegno alla ribellione siriana contro un regime definito antislamico, in un messaggio video diffuso su alcuni siti internet islamici: lo ha reso noto il centro di sorveglianza informatica Site. La stessa solidarietà a suo tempo espressa ai “ribelli” libici.

E il Ministro degli Interni dell’Iraq ha annunciato all’Agence France Press che molti jihadisti iracheni stanno andando in Siria. Nelle stesse ore la Lega Araba di cui l’Iraq fa parte ha deciso di chiedere alla “comunità internazionale” più sostegno per l’opposizione (che è armata).

Alla tivù satellitare saudita pro.opposizione al-Arabyiya, Ammar Alwani della Fsa dichiara: “Ogni soldato e ufficiale sono nostro obiettivo”; e “colpiremo Damasco”; poi l’inviato della tivù lo corregge e imbocca: “Vuol dire che colpirete obiettivi militari, non civili, vero?”.

 
Mentre la Turchia offre la base logistica alla Free Syrian Army, Qatar, Gran Bretagna e altri paesi non fanno mistero del loro appoggio “diplomatico” e finanziario e in armi; a metà gennaio lo sceicco Bin Khalifa Thani ha dichiarato la volontà di mandare truppe. E un video darebbe atto di una conversazione fra un militare israeliano e un armato della Fsa. Inglesi e francesi hanno confermato di aver mandato unità ad assistere i rivoltosi. Sono state scoperte armi inglesi avviate clandestinamente. Sul suolo siriano sono già operativi commandos e forze speciali. L’obiettivo è di creare delle “zone liberate” così da rendere legittimo l’intervento “umanitario” esterno. Uno scenario di destabilizzazione.


Da tempo l’opposizione siriana ottiene quotidianamente partite di armi (http://rt.com/news/syria-opposition-weapon-smuggling-843/). Obama chiede apertamente di sostenere gli armati anti-Assad e pensa di replicare i successi libici: nessun uomo, nessun morto, ma consiglieri e molti soldi. Fonti americane rivelano al Times un piano in fase di elaborazione da parte di Stati Uniti e alleati per armare i ribelli. Indiscrezioni che si incrociano con quelle del Guardian sulla presunta presenza di reparti speciali britannici e americani al fianco degli insorti. A Homs truppe inglesi e qatariote dirigono l’arrivo di armi ai ribelli e consigliano sulle tattiche della battaglia, secondo il sito israeliano Debka file (ne riferisce la RT, Russian Tv).

Del resto l’estate scorsa John Negroponte è arrivato all’ambasciata Usa a Damasco; quello stesso Negroponte che organizzò le squadre della morte in San Salvador che uccisero il Vescovo Oscar Romero; e che a Bagdad organizzò squadre della morte a danno degli iracheni.

A queste indiscrezioni la Russia ha reagito affermando che si tratta di informazioni ''allarmanti'', secondo il portavoce del ministero degli Esteri, Aleksandr Lukashevich (http://www.blitzquotidiano.it/cronaca-mondo/siria-homs-strage-senza-fine-times-piano-1113360/www.peacelink.it).


Poi ci sono i mercenari libici. A dicembre il presidente del Consiglio nazionale siriano Burhan Ghalioun incontra a Tripoli i nuovi dirigenti. E scatta il piano che porta diverse centinaia di volontari libici in Siria, sparpagliati tra Homs, Idlib e Rastan (http://www.corriere.it/esteri/12_febbraio_10/olimpio-siria-insorti_a9528996-53da-11e1-a1a9-e74b7d5bd021.shtml). La missione è coordinata dall’ex qaedista Abdelhakeem Belhaj, figura di spicco della nuova Libia, e dal suo vice Mahdi Al Harati.
 

Intanto il sito di petizioni Avaaz, dopo aver diffuso per la Libia notizie di bombardamenti su civili (http://www.avaaz.org/it/libya_stop_the_crackdown_eu) in seguito ampiamente smentite, invita alla "battaglia mondiale" per la Siria dicendo: "Questo è il culmine della primavera araba e della battaglia mondiale contro i despoti sanguinari.

In conclusione, ecco quanto denuncia la stessa opposizione non armata (nelle parole di un esponente che preferiamo non citare per tutelarlo) “il Cns sembra fare il gioco degli sceicchi e del petrolio, sono in maggioranza fratelli musulmani che se ne fregano della democrazia e sanno benissimo che la Siria è abbastanza laica per poter arrivare al potere in modo democratico, non arriveranno senza armi, perciò stanno facendo di tutto per armare la rivoluzione, da altro canto, c'è la Turchia che si sente la nostalgia attraverso il partito di Erdogan per ottomanizzare la regione contro un'Europa ancora ostile nei suoi confronti. Non dimentichiamo che la rivoluzione siriana è la più importante in assoluto nel caso un probabile successo. Gli sceicchi del Golfo Persico temono per il futuro della loro monarchie basate comunque sulla dittatura e sull'ingiustizia”.

 


b) 

Oggetto: Rapporto degli Osservatori della Lega Araba in Siria (alcuni estratti)

 
 

La traduzione completa è disponibile al link http://www.peacelink.it/conflitti/a/35517.html.

Fonte: Il Rapporto in lingua inglese è qui http://www.innercitypress.com/LASomSyria.pdf

 


VI. L'attuazione del mandato della Missione nell'ambito del protocollo

24. Il capo della missione sottolinea che la valutazione in termini di disposizioni del protocollo riassume i risultati dei gruppi, come trasmesso dai leader del gruppo in occasione della riunione con il capo della Missione il 17 gennaio 2012.

A. Monitoraggio e osservazione della cessazione di ogni violenza da tutte le parti in città e residenziali aree

25. All’assegnazione delle loro zone di lavoro e come punto di partenza, gli osservatori sono stati testimoni di atti di violenza perpetrati da forze governative e ad uno scambio di fuoco con elementi armati a Homs e Hama. Come risultato delle insistenze della missione per una totale fine della violenza e il ritiro di veicoli e attrezzature dell'esercito, questi sono stati ritirati. I rapporti più recenti della missione indicano una situazione considerevolmente più calma su entrambe le parti in campo.

26. A Dera'a e Homs, la Missione ha visto gruppi armati commettere atti di violenza contro le forze governative, causando morti e feriti nelle loro file. In certe situazioni, le forze governative hanno risposto agli attacchi condotti con forza contro di loro. Gli osservatori hanno notato che alcuni dei gruppi armati stavano usando razzi e proiettili perforanti.

27. A Homs, Hama e Idlib, le missioni degli osservatori hanno assistito ad atti di violenza commessi contro Forze governative e civili, che hanno causato diversi morti e feriti. Esempi di tali atti includono il bombardamento di un autobus di civili, che ha  ucciso otto persone e ferito altri, tra cui donne e bambini, e il bombardamento di un treno che trasportava gasolio. In un altro incidente a Homs, un autobus della polizia è stato fatto saltare in aria, uccidendo due ufficiali di polizia. Sono stati bombardati anche una conduttura di carburante e alcuni piccoli ponti. 

28. La Missione ha osservato che molti partiti hanno riferito falsamente di esplosioni o di violenze si erano verificate in diverse località. Quando gli osservatori sono andati in quei luoghi, hanno scoperto che quei rapporti erano infondati.

29. La Missione ha inoltre osservato che, secondo le squadre in campo, i media hanno esagerato la natura degli incidenti,  il numero di persone uccise in incidenti e le  proteste in alcune città.

B. Si sta controllando che i servizi di sicurezza siriani e i così chiamati “shabiha gangs” non ostacolino le manifestazioni pacifiche

30. Secondo gli ultimi rapporti ed incontri della “Head of the Mission” il 17 gennaio 2012 durante la preparazione di questa relazione, i leader del gruppo hanno testimoniato manifestazioni pacifiche sia da parte dei sostenitori del governo, sia dall’opposizione in numerosi luoghi.
Nessuna delle manifestazioni è stata interrotta, a eccezione di alcuni scontri minori con la Mission e tra i conservatori e l’opposizione. Questi non hanno avuto conseguenze fatali dall’ultima presentazione prima dell’incontro dell’8 gennaio 2012 della Commissione Ministeriale Araba sulla situazione in Siria.

31. Le relazioni e gli incontri dei leader del gruppo affermano che i cittadini affini all’opposizione circondano la Mission al suo arrivo e usano l’incontro come barriera contro i servizi della sicurezza. Comunque, tali incidenti sono gradualmente diminuiti.

32. La Missione ha ricevuto alcune richieste dai sostenitori dell’opposizione a Homs e Deraa affinché rimanga sul luogo e non parta, qualcosa che potrebbe essere attribuito alla paura dell’attacco dopo la partenza della Missione.


C. Si sta verificando la liberazione dei trattenuti durante gli eventi attuali

33. La Missione ha ricevuto relazioni dai partiti esterni alla Siria indicando che il numero di trattenuti era di 16.237. Si ricevono anche informazioni dall’opposizione interna al paese secondo cui il numero dei trattenuti era 12.005. Convalidando i numeri, le squadre sul campo hanno scoperto che c’erano alcune discrepanze fra le liste, che le informazioni erano errate e inaccurate, e che i nomi erano ripetuti. La Missione sta comunicando con le agenzie del Governo interessate per confermare tali numeri.

34. La Mission ha inviato al governo siriano tutte le liste ricevute dall’opposizione siriana interna ed esterna alla Siria. Secondo il protocollo, è stato richiesto il rilascio dei trattenuti.

35. Il 15 gennaio 2012, il presidente Bashar Al-Assad ha emesso un decreto legislativo che garantisce un’amnistia generale per i crimini commessi nel contesto degli eventi dal 15 marzo 2011 tramite l’emissione del decreto. Durante l’attuazione dell’amnistia, le autorità governative competenti si stanno periodicamente liberando dei trattenuti nelle varie regioni fintanto che essi non sono ricercati per altri crimini. La Missione sta supervisionando i rilasci  e sta monitorando il processo insieme all’ attiva e piena coordinazione del Governo.

36. Il 19 gennaio 2012, il governo siriano ha affermato che 3.569 prigionieri sono stati liberati dai servizi di persecuzione militari e civili. La Missione ha verificato che 1.669 di quei trattenuti finora sono stati liberati. Si continua ad esaminare ulteriormente insieme al Governo e all’opposizione, facendo notare al Governo che i trattenuti dovrebbero essere liberati alla presenza di osservatori così che l’evento possa essere documentato.

37. La Missione ha convalidato i seguenti numeri per un numero totale di trattenuti che il governo Siriano ha finora affermato di aver liberato:
-    Prima dell’amnistia: 4.035
-    Dopo l’amnistia: 3.569
Il Governo ha perciò sostenuto che 7,604 prigionieri sono stati liberati.

38. La Missione ha verificato il corretto numero di prigionieri liberati, e si è arrivati ai seguenti numeri:
- Prima dell’amnistia: 3.483
- Dopo l’amnistia: 1.669
Il numero totale dei rilasciati confermati è perciò 5.152. La Missione sta continuando a monitorare il processo e a comunicare con il Governo Siriano per il rilascio dei prigionieri rimasti.

D. Si conferma il ritiro della presenza militare dai quartieri residenziali in cui ci sono e ci sono state manifestazioni e proteste

39. Sulla base delle relazioni dei leader del team sul campo e dall’incontro tenutosi il 17 gennaio 2012 con tutti i team-leader, la Missione ha confermato che i veicoli militari, i carri armati e armi pesanti sono stati ritirati dalle città e dai centri residenziali. Sebbene ci siano ancora alcune esistenti misure di sicurezza sotto forma di argini e barriere di fronte ai palazzi più importanti e nelle piazze, tutto ciò non ha effetto sui cittadini. Si deve notare che il Ministero della Difesa Siriano, in un incontro con “The Head of the Mission” che si è svolto il 5 gennaio 2012, ha affermato la sua prontezza nell’accompagnare “The Head of the Mission” in tutti i luoghi e città designate da questi ultimi e nei luoghi in cui secondo la Missione si sospetta che la presenza militare non sia ancora sparita, in vista dell’invio degli ordini sul campo e rettificando ogni violazione immediatamente.

40. Veicoli blindati (truppe militari) sono presenti in alcune barriere. Una di queste barriere si trova a Homs e anche a Madaya, Zabadani e Rif Damascus. La presenza di questi veicoli è stata riferita e di conseguenza sono stati ritirati da Homs. E’ stato confermato che i residenti di Zabadani e Madaya hanno raggiunto un accordo bilaterale con il governo in modo che direzioni la rimozione di tali barriere e veicoli.

E. Si conferma il riconoscimento da parte del governo siriano delle organizzazioni internazionali e arabe dei media e che a tali organizzazioni è permesso di muoversi liberamente ovunque in Siria

41. Parlando a nome del Governo, il Ministero Siriano dell’Informazione ha confermato che, dall’inizio di dicembre 2011 al 15 gennaio 2012, il Governo ha autorizzato 147 organizzazioni mediatiche arabe e straniere. Alcune di queste 112 organizzazioni sono entrate in territorio siriano, unendosi alle altre 90 accreditate organizzazioni che operano in Siria tramite i corrispondenti a tempo pieno.

42. La Missione ha esaminato questo problema. Sono stati identificati 36 organizzazioni mediatiche arabe e straniere e diversi giornalisti dislocati in un gran numero di città siriane. Sono state ricevute anche lamentele secondo cui il Governo siriano ha concesso ad alcune organizzazioni mediatiche l’autorizzazione ad operare per 4 giorni soltanto, tempo non sufficiente, soprattutto secondo le organizzazioni. Inoltre, per impedire che essi entrino nel paese fintanto che le loro destinazioni non vengono accertate, ai giornalisti è stato richiesto di ottenere ulteriori autorizzazioni una volta entrati nel paese e gli è stato impedito di raggiungere determinate zone. Il Governo Siriano ha confermato che garantirà alle organizzazioni mediatiche sul campo dei permessi validi per 10 giorni, con la possibilità di rinnovo.

43. Relazioni ed informazioni da alcuni settori (gruppi) indicano che il Governo ha imposto restrizioni sul movimento dei media nelle zone dell’opposizione. In molti casi, tali restrizioni hanno causato ai giornalisti ritardi nello svolgimento del proprio lavoro.

44. A Homs, un giornalista francese che lavorava per il canale 2 francese è stato ucciso e un giornalista belga è stato ferito. Il Governo e l’opposizione si accusano a vicenda della responsabilità per gli incidenti, e da entrambi i lati vengono pubblicate dichiarazioni di condanna.  Il Governo ha istituito una commissione investigativa in modo da determinare la causa dell’incidente.Si può notare nelle relazioni della Missione da Homs, che il giornalista francese è stato ucciso da una bomba da mortaio dell’esercito dell’opposizione.




c)

PIATTAFORMA DI PACE

1. Cessate il fuoco e fine di ogni violenza da entrambe le parti in conflitto.

 

2. Condanna di ogni ingerenza militare esterna, diretta e indiretta, o minaccia dell'uso della forza e rispetto della sovranità nazionale della Siria nelle forme garantite dalla Carta dell'Onu. 

 

3. Rinnovo della missione degli osservatori internazionali che comprenda mediatori neutrali di alto profilo etico nonché attivisti per la pace e i diritti umani, con compiti di verifica delle informazioni sulle violenze, di individuazione dei responsabili delle violenze e di risoluzione nonviolenta dei conflitti

 

4. Richiesta di una commissione indipendente nominata dalla Assemblea Generale dell'ONU per l'accertamento delle reponsabilità dlle violenze-da qualunque parte siano provenute-al fine di applicare le norme delle Convenzioni internazionali a tutela dei diritti umani.

 

5. Sostegno al progetto di referendum e libere elezionicon la presenza di osservatori internazionali accettati dalle parti.

 

6. Il Governo e il Parlamento d'Italia agiscano come ponte di pace e come fautori di mediazione in piena conformità con l'art.11 della Costituzione italiana e secondo il principio di trasparenza del dibattito parlamentare.

 

Riteniamo necessario che tutte le associazioni pacifiste e della società civile che appoggiano la pace e la riconciliazione per il popolo siriano siano realmente neutrali tra le parti e non affianchino organizzazioni come il CNS che in questo momento approvano l'insurrezione armata in Siria.


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ALTRE INIZIATIVE SEGNALATE E AGGIORNAMENTI

* Roma - Borghesiana 17 febbraio: GUERRA, NAZIONALISMI, MASSACRI ETNICI E POLITICI IN VENEZIA GIULIA, SLOVENIA, CROAZIA 1941-1945
* Montereale Valcellina (PN) 18 febbraio: INAUGURAZIONE DELLA MOSTRA "QUANDO MORI' MIO PADRE" - esposizione fino al 4 marzo 2012
* Ventimiglia (IM) 18 febbraio: dopo l'irruzione squadristica alla mostra su "Foibe e Crimini Fascisti in Jugoslavia" PRESIDIO PARTIGIANO ANTIFASCISTA - la mostra è visitabile ancora per alcuni giorni! 
* Roma 23 febbraio: Davide Conti presenta il libro e la mostra sui CRIMINALI DI GUERRA ITALIANI
* Reggio Emilia 25 febbraio: RICORDIAMO. Pubblico dibattito con Davide Conti e Alessandra Kersevan

NB. Il sito di CNJ-onlus - www.cnj.it - sarà aggiornato con le necessarie rettifiche nei prossimi giorni.


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SULLA INIZIATIVA DELLA BIBLIOTECA BORGHESIANA - ROMA - GIA' ANNUNCIATA AGGIUNGIAMO I SEGUENTI DETTAGLI:



Jugoslavia e Venezia-Giulia: "Giornata del Ricordo" in biblioteca

Jugoslavia e Venezia-Giulia: "Giornata del Ricordo" in biblioteca


Conferenza con relazioni di storici mercoledì nei locali di largo Monreale a Borghesiana. Dalle 17,30 : "Guerra, nazionalismi, massacri etnici e politici in Venezia Giulia, Slovenia a Croazia"

di Mauro Cifelli 13/02/2012


Potrebbe interessarti:http://torri.romatoday.it/borghesiana/giornata-del-ricordo-foibe-biblioteca-largo-monreale.html
Seguici su Facebook:http://www.facebook.com/pages/RomaToday/41916963809


Jugoslavia e Venezia-Giulia: "Giornata del Ricordo" in biblioteca
"Giornata del Ricordo". Questo il nome dell'iniziativa che si terrà mercoledì 17 febbraio nella biblioteca Borghesiana di largo Monreale. "Guerra, nazionalismi, massacri etnici e politici in Venezia Giulia, Slovenia, Croazia: 1941-1945", questa la conferenza che si terrà a partire dalle 17,30.

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Jugoslavia e Venezia-Giulia: "Giornata del Ricordo" in biblioteca
INTERVENTI: Promossa dalla biblioteca Borghesina la conferenza vedrà la partecipazione di alcuni storici come Davide Conti, che dibatterà in relazione "all'occupazione italiana della Jugoslavia e la Resistenza 1941-45". Alberto Becherelli: "Rapporti tra Italia e Stato Indipendente Croato, 1941-1943". Giancarlo Bertuzzi: "Resistenza italiana e movimento di liberazione sloveno e croato nella Venezia Giulia". E Sandi Volk con : "La documentazione esistente sulle foibe".

LEGGI LA RISPOSTA SCOMPOSTA DELLA DESTRA NAZIONALISTA:
http://torri.romatoday.it/borghesiana/attacco-marsilio-giornata-del-ricordo-foibe-biblioteca-largo-monreale.html


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http://www.diecifebbraio.info/2012/02/montereale-valcellina-pn-dal-182-al-432012-quando-mori-mio-padre/

Montereale Valcellina
gennaio/marzo 2012

“GIORNO DELLA MEMORIA”
 
A cura del Circolo ARCI “Tina Merlin”
con il patrocinio del Comune di Montereale Valcellina
 


Sabato 18 febbraio 2012 alle ore 18:00
Sala Roveredo – Palazzo Toffoli
 
inaugurazione della mostra intitolata:
 
“Quando morì mio padre”
disegni e testimonianze dei bambini dai campi di concentramento del confine orientale (1942-43)
 
presentano:
 
-  Mag. Metka Gombac (Archivio di Stato Repubblica di Slovenia)
-  Dr. Boris M. Gombac (Museo Nazionale Repubblica di Slovenia)
-  Sigfrido Cescut (ANPI Pordenone)
-  Alessandra Kersevan (storica)
 
Seguirà un rinfresco presso i locali del Circolo ARCI con musica d’intrattenimento.
 


La mostra sarà visitabile durante gli orari di apertura della biblioteca:
martedì, mercoledì e giovedì dalle 17.00 alle 19.00, venerdì dalle 9.00 alle 12.00, sabato dalle 15.00 alle 18.00 e alla domenica dalle 10.00 alle 12.00 fino al giorno 04 marzo.
Per le scolaresche è possibile prenotare al numero
 
Collaborano: Centro Isontino di Ricerca e Documentazione Storica e Sociale ”Leopoldo Gasparini” Gradisca d’Isonzo (GO), ANPI PN, Istilib Pordenone, Biblioteca Civica di Montereale Valcellina, Circolo Culturale Menocchio, Università della Terza Età delle Valli del Cellina e del Colvera.
 
Per informazioni:  www.arcitinamerlin.it

“Quando morì mio padre. Disegni e testimonianze di bambini dai campi di concentramento del confine orientale (1942-1943)” , preparata dall’Istituto Gasparini di Gorizia. La mostra illustra i i crimini fascisti italiani contro la comunita’ slovena e croata al confine orientale italiano. Nello specifico descrive le condizioni di vita nel campo di concentramento nell’isola di Rab, attraverso le testimanianze di bambini internati nel campo, raccolte tra il 1944 e il 1945. Si articola in 26 grandi pannelli in italiano e in serbo.
La mostra è nata così: Metka Gombac, nel suo lavoro all’Archivio di stato sloveno, dirige il reparto dedicato alla resistenza. E’ uno degli archivi piu’ ricchi di documentazione su questo fenomeno in Europa. Proprio collaborando con le colleghe di Venezia (scrivevano un articolo sulle donne e sui bambini nella seconda guerra mondiale) si e’ riusciti a rintracciare una cinquantina di disegni e scritti datati nel 1944 e scritti da bambini sopravvissuti ai campi di concentramento che, tornati a casa, dovevano frequentare i corsi delle scuole riaperte dai partigiani. Il ‘direttore’ didattico, informato dalle maestre “che i bambini rimpatriati rivivevano i drammi trascorsi stando molto irrequieti e depressi e che bisognava fare qualcosa per rimuovere i patimenti patiti”, imparti’ alle maestre il consiglio di fare una specie di gara dove dovevano riscrivere e disegnare quello che avevano provato nei “campi”, affinche’ “dessero fuori il loro patimento”. E’ chiaro che si pensava a sanare il PTS (Post traumatic sindrom) e oggi i colleghi psicologi direbbero proprio cosi’, ma allora si penso’ solo di alleviare loro il peso del ricordo.
Ecco, alla mostra organizzata a Ljubljana sono stati invitati all’apertura quasi tutti i bambini sopravvissuti. Allora avevano l’eta’ dai sette ai dieci anni e oggi ne contano settanta in piu’. Gli organizzatori sono riusciti a creare un ambiente incredibile. I bambini di allora rivedevano i propri compiti dopo decine di anni e rivivevano l’ambiente e la situazione di allora. I sopravvissuti hanno rivisto per la prima volta i propri compiti di scuola di 70 anni prima . Non potevano credere che la storia si fosse ricordata di loro, dei loro patimenti e della loro gioventu’ provata dall’esperienza del lager.
La mostra indaga l’odissea dei bambini sloveni deportati nei campi di Gonars, Visco, Arbe-Rab e Monigo (Treviso) tra il 1942 ed il 1943. Disegni e scritti dei bambini vennero composti durante i corsi di terapia post traumatica avviati in strutture mediche partigiane dopo la liberazione dai campi, successiva all’8 settembre 1943. Ai tentativi di terapia, attuati stimolando i bambini a far riemergere la memoria delle sofferenze patite per poterle elaborare, ed ai temi svolti nelle scuole elementari organizzate dalle forze partigiane, dobbiamo la conservazione di questi materiali che costituiscono oggi una delle testimonianze più preziose e drammatiche di una delle pagine più buie della nostra storia.
 

SCARICA IL VOLANTINO IN FORMATO PDF: http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2012/02/monterealev180212.pdf



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IRRUZIONE FASCISTA E RISPOSTA ANTIFASCISTA E ANTINAZIONALISTA A VENTIMIGLIA:

info sulla mostra: http://www.sanremonews.it/2012/02/07/leggi-notizia/argomenti/eventi-1/articolo/ventimiglia-al-chiostro-di-santagostino-prosegue-con-successo-la-mostra-foibe-e-crimini-in-jugosl.html
reazioni scomposte della lobby neo-irredentista e dei nazionalisti:
comunicato sul sito ANVGD: http://www.anvgd.it/notizie/12597-07feb12-negazionismo-che-serpeggia-anche-al-confine-occidentale.html
comunicato ANVGD sul sito Riviera24.it: http://www.riviera24.it/articoli/2012/02/08/126706/associazione-nazionale-venezia-giulia-e-dalmazia-mostra-a-ventimiglia-e-giustificazionista
* azione di disturbo dei militanti de La Destra: 
su SanremoNews: http://www.rivieranews.it/2012/02/12/leggi-notizia/argomenti/ventimiglia-vallecrosia-bordighera/articolo/ventimiglia-giovani-de-la-destra-contestano-mostra-sulle-foibe-allestita-dallassociazione-inteme.html
su Riviera24.it: http://www.riviera24.it/articoli/2012/02/12/126981/gioventu-italiana-e-la-destra-contestano-la-mostra-foibe-e-crimini-fascisti-in-jugoslavia



Presidio Partigiano Antifà. ★ Contro il Revisionismo. Per la Memoria.


    • sabato 18 febbraio 2012
    • 10.30 fino a 16.30
  • Mostra sui Crimini Fascisti in Jugoslavia. Via Cavour, 65. Ventimiglia.
  • Nella scorsa Mattinata si è verificata a Ventimiglia una grave provocazione squadrista da parte dei fascisti di "Gioventù Italiana" e de La Destra di Storace.
    Approfittando del fatto che la mostra su Fojbe e Crimini Fascisti in Jugoslavia fosse presidiata soltanto da un paio di anziani compagni ultrasettantenni, i fascisti venuti da Sanremo e Imperia hanno iniziato a inveire e minacciare i presenti, fare saluti romani e insultare la memoria dei partigiani caduti.
    Dopodichè si sono pure rivendicati l'azione a mezzo stampa con tanto di comunicato e di foto:
    http://www.rivieranews.it/2012/02/12/leggi-notizia/argomenti/politica-1/articolo/ventimiglia-giovani-de-la-destra-contestano-mostra-sulle-foibe-allestita-dallassociazione-inteme.html
    Come antifascisti del Ponente Ligure non possiamo accettare questo genere di insulti alla nostra città, Medaglia d'Argento alla Resistenza. ★
    Invitiamo pertanto compagni e cittadini alla vigilanza e convochiamo nella mattinata di Sabato un Presidio Antifascista e Partigiano davanti alla Mostra sui Crimini Fascisti, in Via Cavour 65.
    Durante l'iniziativa saranno letti brani del libro "Operazione Foibe a Trieste" (potete scaricarlo gratuitamente a questo link: 
    https://www.cnj.it/foibeatrieste/) della studiosa e storica Claudia Cernigoi, che rivela la mistificazione politica sulla vicenda delle Fojbe utilizzata dai fascisti e dalla destra come arma di propaganda anticomunista e antipartigiana.
    Vi Aspettiamo!


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ROMA
Giovedì 23 febbraio ore 16:30 

Università La Sapienza - Facoltà di Fisica

Davide Conti presenta il libro e la mostra sui 
CRIMINALI DI GUERRA ITALIANI

E' previsto che la mostra sarà esposta a cura dell'ANPI presso il Museo del Risorgimento di Porta San Pancrazio, probabilmente dal 27 febbraio alla fine di marzo 2012. SEGUIRANNO DETTAGLI.



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http://www.diecifebbraio.info/2012/02/reggio-emilia-2522012-ricordiamo/


Reggio Emilia, sabato 25 febbraio 2012

ore 15:00, presso la Sala polivalente del centro sociale Rosta Nuova

in Via Medaglie d’Oro della Resistenza 6

RICORDIAMO

Pubblico dibattito con Davide Conti e Alessandra Kersevan


SCARICA LA LOCANDINA: http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2012/02/reggioemilia250212.jpg


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http://www.lucidamente.com/13239-in-slovenia-la-cultura-resiste/

In Slovenia gli artisti resistono


10 febbraio 2012


La testimonianza di uno scrittore. Anche nel paese limitrofo al nostro comincia a imperare il “liberismo anticultura”. Ma, a differenza dell’Italia...


Un popolo a volte dimostra la propria mancanza di rassegnazione anche senza mettersi a bestemmiare o a sfasciare vetrine in piazza. Testimonianza ne sia la manifestazione pacifica che circa trecento scrittori e intellettuali hanno tenuto il pomeriggio del 7 febbraio 2012 nel centro di Lubiana, con l’intenzione di aggiungere una nota polemica alla cerimonia ufficiale di premiazione del Premio Prešeren 2012, che si teneva la medesima sera in una sala congressi del grande Cankarjiev dom (palazzo destinato a incontri culturali, spettacoli, ecc. Ogni anno a novembre vi si tiene anche la fiera del libro nazionale).

Cosí quei trecento – dopo aver firmato, con altri cinquemila operatori culturali, una petizione che esprimeva la loro posizione rispetto al problema – si sono radunati all’aperto (il termometro segnava dieci sotto zero) e hanno discusso assieme, scandito tranquilli slogan, acceso lumini e... bruciato simbolicamente un violoncello autentico e funzionante. Perché? Qual era il “problema” che univa musicisti, scrittori e redattori, uomini di spettacolo e traduttori?

Semplice: il problema era che il governo ha deciso di eliminare il Ministero della Cultura, accorpandone le funzioni (e i funzionari) a quello dell’Istruzione. Prevedendone le probabilissime (io direi le ovvie) ricadute negative sul mondo dell’editoria e della cultura in genere, tutti si sono alquanto arrabbiati. La televisione nazionale ha dedicato servizi alla protesta sul primo canale. I giornali ne parlano tuttora (e anch’io, pur essendo un italiano vivente a Lubiana, faccio il mio dovere divulgando la faccenda, che dovrebbe far profondamente vergognare l’attuale governo sloveno). La cosa, insomma, non è restata incastrata nel “vuoto pneumatico” dell’omertà massmediatica – che invece in Italia funziona tanto bene quando c’è da annullare un evento “minoritario” sgradito al potere. Esempio: tu, cittadino, o tu piccolo coordinamento, scrivi alla Rai per dirle che il servizio fa schifo e spieghi con civiltà le tue ragioni? Nessuno ti risponde. È il “vuoto pneumatico”, il silenzio del potere che ti isola e ti uccide in quanto cittadino o piccola aggregazione di cittadini.

Ebbene, in Slovenia questo silenzio (nonostante un certo imbarbarimento evidente anche qui) è considerato immorale: se tu scrivi e spieghi civilmente le tue ragioni, esiste un funzionario che ti risponde, alla tv come in qualsiasi altro ente pubblico. E della cultura nessuno oserebbe addirittura dire, come il nostro Tremonti, che «non si mangia». E se anche qualche imbecille lo dice, c’è chi gli risponde a tono. E brucia i violoncelli sotto lo Cankarjiev dom.

Dunque, ovunque in Europa, davanti ai liberisti e ai liberomercatisti culturali, ai darwinisti sociali della cultura, agli ottusi nonlettori o lettori danbrowniani: resistere! Resistere! Resistere! Solidarietà alla lotta degli operatori culturali sloveni. E ai politici italiani: tagliassero le proprie scorte, non il bilancio della cultura, che già è uno dei piú bassi dell’Unione Europea!

L’immagine: il violoncello arso nel corso della manifestazione di Lubiana dello scorso 7 febbraio.

Sergio Sozi

(LM MAGAZINE n. 22, 14 febbraio 2012, supplemento a LucidaMente, anno VII, n. 74, febbraio 2012)

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http://www.forumpalestina.org/news/2012/Febbraio12/10-02-12GuerraMediatica.htm

SIRIA. Guerra mediatica (1°Puntata)

di Marinella Correggia

 
Come si usano i neonati di Homs. Domani la seconda puntata della controinchiesta.

La tempesta mediatica imperversa sulla Siria. I cosiddetti Comitati di coordinamento locale (Lcc), appartenenti all’opposizione, hanno detto alla tivù del Qatar Al Jazeera che almeno 18 neonati sarebbero morti nelle incubatrici dell’ospedale pediatrico al Walid perché i colpi di artiglieria pesante dell’esercito siriano contro il centro di Homs avrebbero causato un black-out elettrico, togliendo l’alimentazione agli apparecchi. Il governo nega e sostiene che gli ospedali funzionano correttamente; anzi insieme a molte altre denunce circa atti di violenza e sabotaggio compiuti da gruppi armati, riferisce che l’ospedale al Naimi in provincia è stato preso di mira da gruppi armati che l’hanno saccheggiato.

La notizia sui 384 bambini uccisi in Siria era già stata diffusa dall’agenzia Reuters il 27 gennaio (http://blogs.reuters.com/stephanienebehay) ma – curiosamente - è esplosa sui massa media solo il 7 febbraio, cioè dodici giorni dopo, ovvero quando l’escalation politico-mediatica sulla Siria aveva trovato una doppia difficoltà con l’occultamento del rapporto degli Osservatori della Lega Araba che era venuto alla luce e con Russia e Cina che avevano posto il veto al Consiglio di Sicurezza sulla risoluzione contro la Siria. Inoltre nel report ufficiale delle Nazioni Unite, la responsabile dell’Unicef Marixie Mercado riporta testualmente qual è la fonte delle sue informazioni e cioè che "secondo le organizzazioni siriane dei diritti umani oltre 400 bambini sono stati uccisi e altri 400 sono in custodia". Vedi:(http://www.unog.ch/unog/website/news_media.nsf/%28httpNewsByYear_en%29/36191A0CEBA1AED2C125799D0037EF1F?OpenDocument)

Ma la notizia dei neonati di Homs ha avuto grande risonanza soprattutto in Italia. E’ lecito sollevare più di un dubbio. E non solo perché nemmeno i regimi più brutali avrebbero interesse a colpire neonati e ospedali (per la verità ad eccezione di Israele che gli ospedali palestinesi o libanesi li ha sempre colpiti e sempre ne è uscita impunita)-

La fonte (gli Lcc) è di parte e non dà alcuna prova. Oltretutto, tutti gli ospedali hanno generatori; se c’è un black-out elettrico funzionano quelli. Succedeva perfino nell’Iraq e nella Libia sotto le bombe, dove l’elettricità andava a singhiozzo.

Poi l’accusa di tagliare la spina alle incubatrici ha più di un precedente e non solo in Siria. Sempre smentito. La scorsa estate i social network (twitter a partire dal 30 luglio) diffondono l’atroce notizia: tutti i bambini prematuri sono morti nelle incubatrici ad Hama perché gli shabiba (milizie di stato) hanno tagliato l’elettricità durante l’assalto alla città. Si parla di qaranta in un solo ospedale; senza precisare quanti sarebbero negli altri. Il 7 agosto la Cnn riferisce: l’Osservatorio siriano per i diritti umani di Londra (sempre quello) denuncia l’assassinio di otto bambini prematuri, “martiri” nell’ospedale al Hurani, sempre a causa dei black-out. Ovviamente nessuna notizia circa il lavoro dei generatori….Una foto corredava la denuncia: un gruppo di neonati, arrossati, tutti insieme in un unico lettuccio. Dopo qualche tempo viene fuori che la foto era stata pubblicata mesi prima sul giornale egiziano al Badil al Jadid e si riferiva a un problema meno grave, ed egiziano: un ospedale sovraffollato di Alessandria. I bambini erano rossi e vivi, anche se in spazi ristretti.

Del resto, chi non ricorda l’altro falso, datato 1990? Gli invasori iracheni avevano rubato le incubatrici negli ospedali pediatrici, causando la morte di diversi bambini prematuri. Venne poi fuori che il tutto era stato orchestrato dall’ambasciata kuwaitiana negli Usa, che agiva sotto le mentite spoglie del Comitato “Citizens for a Free Kuwait” e con l’assistenza da parte dell’agenzia di public relations Hill & Knowlton - per la modica cifra di 1 milione di dollari.

Del resto anche l’ultima denuncia dell’Unicef riguardo alla Siria (400 fra i minori – in inglese children) è molto vaga quanto alle fonti; si riferisce a “media presenti a Homs” e a “rapporti” (all'Unicef internazionale abbiamo chiesto più dettagli, finora invano). Il non avere avuto riscontro ci fa supporre, e ovviamente sperare, che la notizia sia falsa. Ma la sua diffusione sarà utilizzata per convince tanti pacifisti della giustezza di un’azione di guerra che di vittime bambine ne vedrà ben più di 400.



http://www.forumpalestina.org/news/2012/Febbraio12/11-02-12GuerraMediatica2.htm

SIRIA. Guerra mediatica (2°Puntata)

di Marinella Correggia

 

Notizie sulla fonte principale delle notizie (anche recenti) sui morti in Siria: L’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani. Due "Osservatori" in contrasto tra loro . Una decostruzione dei dati della prima settimana di febbraio.

Le ultime denunce diffuse da tutti i media sono provenienti come sempre da fonti dell’opposizione siriana (la Reuters almeno dice di non poter verificare): l’Osservatorio siriano per i diritti umani di Londra (Sohr), i Comitati di coordinamento locale, il Cns (Consiglio nazionale siriano) e i Fratelli musulmani parlano di un “massacro di civili” a Homs venerdì sera, con oltre duecento morti e centinaia di feriti, vittime dei colpi di artiglieria e mortaio dell’esercito nei quartieri presi dagli insorti, soprattutto Khalidya; si riportano le voci di alcuni “residenti”. L’agenzia nazionale Sana nega i bombardamenti e afferma che i video di corpi morti sono di gente uccisa dalle squadre armate, le stesse che compiono rapimenti di civili e attentati contro infrastrutture civili.

Il fatto certo sono gli scontri fra armati dell’opposizione e l’esercito. Un contesto di guerriglia urbana dove certamente la popolazione è esposta. In conferenza stampa il capo degli osservatori della Lega Araba, il generale sudanese al-Dhabi, ha affermato che soprattutto a Homs “la violenza delle forze dell’ordine è una risposta agli attacchi dell’opposizione”.

Ma quel che è interessante è la lotta intestina nel principale informatore dei media occidentali e arabi in materia di morti in Siria: il già citato Sohr di Londra.

Un’inchiesta pubblicata sulla versione inglese di Al Akhbar rivela l’inattendibilità di quella che è la fonte principale dei media rispetto alla “conta dei morti e degli assassini” in Siria. Il famoso Osservatorio siriano per i diritti umani Sohr ha infatti due teste ora platealmente in lotta fra loro e due siti con “notizie” divergenti. I due siti sono www.syriahr.org e www.syriahr.net (o anche syriahr.com). Il primo si definisce “sito ufficiale dell’Osservatorio”. Il secondo…anche, precisando di essere “l’unico sito ufficiale”.

Su www.syriahr.org è in bella evidenza dal 17 gennaio una lettera collettiva firmata da siriani dell’opposizione che “sconfessa” Rami Abdul Rahman (alias Osama Ali Suleiman), “direttore” dell’Osservatorio stesso, con accuse anche piuttosto classiste (è “poco istruito”). Scusandosi con i lettori per la possibile “confusione”, i firmatari capitanati da un medico residente a Londra, Azzawi, affermano di aver chiesto tempo fa allo stesso “direttore” di lasciare perché egli scriveva anche di vittime fra le forze di sicurezza nazionali e altre notizie “non verificabili” oltre a non dare i nomi dei morti. Hanno poi aperto un loro sito, il syriahr.org.

Dietro la rottura c’è il fatto che Suleiman è vicino all’opposizione del Ncb (National Coordination Body for Democratic Change in Syria) di al-Manna che vuole una soluzione interna e negoziale alla crisi e condanna la lotta armata, mentre gli altri sono del Cns di Gharioun, filo-Occidente, finanziati dai paesi del Golfo e collaboratori del cosiddetto Esercito libero siriano che conta parecchi arruolati da altri paesi. Ovviamente i media e i governi occidentali e arabi danno molta più eco al Cns.

Suleiman ha denunciato le pressioni da parte degli altri membri (quelli pro-Cns) i quali gli hanno intimato di schierarsi per un intervento Nato e di non parlare dei morti fra i soldati siriani. Entrambi gli “Osservatorio siriano” sostengono di avere centinaia di “attivisti” in Siria dai quali ricevono video e notizie. Ma le verifiche?

Le notizie più efficaci propagate dalle due teste del Sohr sono quelle sui “martiri bambini” e sulle famiglie massacrate. Mère Agnès-Mariam de la Croix, superiora palestinese del monastero siriano di San Giacomo, che sta diffondendo dal canto suo liste di vittime delle bande armate, ha fatto ricerche su caso recente che ha fatto il giro del mondo: la mattanza nel quartiere Nasihine di Homs di dodici membri della famiglia Bahadour fra cui vari bambini. Gli assassini, ha raccontato a Le Monde un vicino che avrebbe visto tutto…praticando un buco fra i muri, sarebbero “sette uomini in divisa, lealisti del regime, che poi protetti dai cecchini dell’esercito sono saliti su un blindato”. Giorni dopo la storia è ripetuta dalla Cnn. Ma la religiosa si è messa in contatto con la famiglia: “Abdel Ghani Bahader era fratello di Ghazouan Bahader, autista dell’ufficio del governatore di Homs. Egli ci ha riferito quanto segue: ‘Siamo una famiglia sunnita che lavora per lo stato. Vogliamo essere neutri. Ma gli insorti ci hanno attaccati più volte tanto che mio fratello voleva spostarsi altrove dopo aver rifiutato l’invito a unirsi all’Esercito siriano libero. Ma non ha fatto in tempo”.



http://www.forumpalestina.org/news/2012/Febbraio12/12-02-12GuerraMediatica3.htm

SIRIA. Guerra mediatica (3°Puntata)

di Marinella Correggia

 

La conta dei morti che nessuno fa: gli uccisi da bande armate (metà gennaio). Domani la quarta puntata.


Il monastero di San Giacomo di Qara sta diffondendo le liste di “civili morti e feriti per opera di bande armate e non nel corso di proteste”, frutto della “violenza cieca di un’insurrezione sempre più manipolata”. Nomi, cognomi, età, indirizzo e circostanze. Le fonti sono gli ospedali, le famiglie e la Mezzaluna siriana (il cui segretario generale Abd al-Razzaq Jbeiro è stato ucciso mercoledì scorso). Ecco i numeri. Fra marzo e inizi di ottobre, la lista dei morti civili comprende 372 nomi, fra cui diversi bambini (il più piccolo era Moutasim al-Yusef di tre anni, morto ad Haslah il 6 settembre), donne (fra le quali Sama Omar, incinta, uccisa a Tiftenaz il settembre). La lista dei feriti per il solo mese di ottobre e per la sola provincia di Homs vede 390 nomi fra cui diversi bambini; il più piccolo, Ala Al Sheikh di Qosseir aveva un anno e mezzo). Fra gli ultimi uccisi, il curato greco ortodosso del villaggio di Kafarbohom. I cristiani starebbero abbandonando interi quartieri soprattutto a Homs e Hama.

Fra la pittura delle icone per la sopravvivenza del monastero, l’aiuto a famiglie in difficoltà e le preghiere quotidiane, la superiora madre Agnès-Mariam de la Croix sta pensando a un “bollettino settimanale che risponda con fatti e nomi di vittime alle false liste di propaganda dell’Osservatorio siriano dei diritti umani basato a Londra”. Quest’ultimo per la conta dei morti è - insieme ai Cosiddetti Comitati di coordinamento locale - la fonte quasi unica della stampa internazionale e dello stesso Commissariato Onu per i diritti umani, che diffonde la cifra di cinquemila morti attribuendoli alla repressione governativa. Qualcuno comincia a dubitare dell’Osservatorio londinese che, dice la Madre, “spesso non dà nomi e quando li dà non precisa che si tratta di uccisi da bande armate”. Secondo le cifre governative, sono stati uccisi duemila fra poliziotti e soldati.

Palestinese di nazionalità libanese, Agnès-Mariam de la Croix si è attirata gli strali della stampa francese (lei è francofona) che la accusa di essere pro-regime. Vede l’urgenza della verità, per contrastare “un piano di destabilizzazione che vuole portare a uno scontro confessionale e alla guerra civile, gli uni contro gli altri, in un paese che è sempre andato fiero della convivenza”. Nei mesi, il conflitto sembra essere passato “da una rivendicazione popolare di riforme e democrazia a una rivoluzione islamista con bande armate” (sostenuta dall’esterno, petromonarchie, Occidente, Turchia). La Madre ha ospitato nel monastero una riunione di oppositori disponibili a un dialogo nazionale, e ha anche mediato con l’esercito perché allentasse la pressione sugli abitanti di un villaggio.

Un gruppo di giovani siriani ha iniziato un analogo lavoro di indagine e “controinformazione”. Hanno creato un “Osservatorio siriano sulle vittime della violenza e del terrorismo” (Sovvt) e faranno indagini sul campo per preparare dossier e documenti.

Fanno strage, oltre ai colpi di arma da fuoco, gli ordigni esplosivi. Come quello che tra Ariha e Al Mastouma (provincia di Idlib) ha ucciso sei operi tessili ferendone altre sedici mentre viaggiavano sull’autobus aziendale. Vari altri cittadini sono rimasti vittime di un ordigno vicino a Majarez. Colpita alla testa su un altro bus aziendale una ingegnere di Maharda è morta per le ferite. Undici passeggeri sono morti e tre sono rimasti feriti su un autobus civile a Homs, attaccato da armati.

L’agenzia stampa ufficiale Sana riferisce quotidianamente di agenti uccisi o feriti, rapimenti, esplosioni di ordigni che prendono di mira infrastrutture pubbliche (treni, linee elettriche, strade), disinnesco di esplosivi e sequestri di armi pesanti.



http://www.forumpalestina.org/news/2012/Febbraio12/13-02-12GuerraMediatica4.htm

SIRIA. Guerra mediatica (4°Puntata)

di Marinella Correggia

 

Le violenze su civili e militari. Il Cns (Consiglio Nazionale Siriano) organizza una manifestazione del 19 febbraio a Roma) con l’appoggio dei pacifisti con l’elmetto.

E’ stato il nuovo governo della Libia, frutto della guerra della Nato, il primo a riconoscere già lo scorso ottobre come “legittimo rappresentante del popolo siriano” il Consiglio nazionale siriano (Cns), in inglese Syrian National Council

(http://latimesblogs.latimes.com/world_now/2011/10/syria-libya-opposition.html). Il Cns a sua volta aveva riconosciuto il Cnt libico già prima della conquista di Tripoli.

Del resto, come ricorda Mustafa el Ayoubi su Confronti, nel 2011 “nell’ambito della Lega araba, la Siria aveva votato contro l’intervento militare in Libia. Era insomma un regime scomodo, non per il fatto che fosse anti-democratico ma perché anti-americano”. Così poco dopo, puntualmente scoppia una rivolta in Siria, “il 17 marzo a Daraa, una piccola città di 75mila abitanti. Non è stata una rivolta pacifica in quanto molti insorti erano armati e non esitavano a sparare sui civili e sulle forze dell’ordine”.

Il Cns, basato in Turchia (ma il suo leader Bhuran Ghalioun vive a Parigi da decenni; sostiene però di rappresentare l’80% dei siriani), il Cns, attraverso i suoi “osservatori sui diritti umani” da Londra e i cosiddetti “Comitati di coordinamento locale”, è la fonte quasi esclusiva delle notizie pubblicate sui media che accreditano la versione di una “rivolta a mani nude contro il dittatore”. Peraltro c’è uno scontro interno fra “attivisti” che si accusano reciprocamente (vedi la Seconda puntata di questa serie).

A differenza dell’altra opposizione che vuole il negoziato e non accetta la lotta armata né l’ingerenza, il Cns rifiuta ogni possibile negoziato e mediazione (come il Cnt libico, a suo tempo). Non ne ha bisogno, perché ha trovato molti alleati fra i paesi occidentali e petromonarchici, ai quali ha chiesto da tempo l’imposizione di una no-fly zone “per la protezione dei civili” (per esempio in ottobre: http://globalpublicsquare.blogs.cnn.com/2011/10/11/time-to-impose-a-no-fly-zone-over-syria/; e in gennaio: http://www.wallstreetitalia.com/article/1307700/siria-opposizione-invoca-intervento-onu-serve-no-fly-zone.aspx). Del resto come vari analisti hanno spiegato, anche nel caso siriano la no-fly zone non avrebbe senso e dovrebbe piuttosto sfociare in un vero e proprio sostegno aereo anti-governativo o Cas (close air support).

Il Cns ha stretto in dicembre un patto di collaborazione con il cd Esercito siriano libero (Free Syrian Army-Fsa). (http://www.nytimes.com/2011/12/09/world/middleeast/factional-splits-hinder-drive-to-topple-syrias-assad.html?_r=1&;pagewanted=all)

Il rappresentante del Cns in Italia e organizzatore della manifestazione a Roma del prossimo 19 febbraio (che ha già avuto diverse adesioni di associazioni italiane) è Mohammed Noor Dachan. Sul sito del Syrian National Council risulta affiliato come appartenente alla Muslim Brotherhood Alliance (http://www.syriancouncil.org/en/members/item/241-mohammad-nour-dachan.html). Egli sostiene che la Fsa è formata da “soldati, sottufficiali e ufficiali che hanno scelto di rifiutare di sparare alla gente comune disarmata e non è un esercito di guerra, ma ha solo l'obiettivo di difendere le manifestazioni”. La realtà appare molto diversa.

Il cd Esercito libero appare responsabile di uccisioni di soldati e civili siriani (ci sono elenchi nominativi documentati, vedi puntata 3 di questo dossier) e atti di sabotaggio e terrorismo. Anche a Homs nella fase attuale (http://www.megachip.info/tematiche/guerra-e-verita/7707-homs-un-testimone-racconta-il-terrore-gruppi-armati-non-damasco.html). Lo stesso il giornalista francese Jacquier è stato ucciso da gruppi armati dell’opposizione, secondo quanto raccolto da Le Figaro presso gli stessi osservatori della Lega Araba. Venerdì 10 febbraio, decine di morti in esplosioni ad Aleppo: la Fsa prima rivendica (“una risposta ai bombardamenti di Homs” dichiarava all’agenzia spagnola Efe il colonnello Riad Assad) poi smentisce e infine costruisce un’altra narrazione: surrealmente dichiarando ad Al Jazeera che effettivamente il gruppo ha attaccato Aleppo e le due basi militari con razzi e altro per “proteggere i civili che sarebbero scesi in piazza”, ma che gli attentati sono avvenuti dopo il ritiro dei suoi uomini. Secondo il McClatchi Newspaper, dietro i terroristi ad Aleppo c’è Al Qaeda. Del resto, leggiamo su TMNews, il leader di al Qaida, Ayman al-Zawahiri, ha espresso il suo sostegno alla ribellione siriana contro un regime definito antislamico, in un messaggio video diffuso su alcuni siti internet islamici: lo ha reso noto il centro di sorveglianza informatica Site. La stessa solidarietà a suo tempo espressa ai“ribelli” libici.

Alla tivù satellitare saudita pro.opposizione al-Arabyiya, Ammar Alwani della Fsa dichiara: “Ogni soldato e ufficiale sono nostro obiettivo”; e “colpiremo Damasco”; poi l’inviato della tivù lo corregge e imbocca: “Vuol dire che colpirete obiettivi militari, non civili, vero?”.

Il cd Esercito libero non è solo siriano perché è anche formato da elementi esterni, non è un esercito perché vari gruppi agirebbero in autonomia e non è libero perché dipende da apporti esterni in armi, denaro e uomini. Accanto all’Esercito siriano libero, l’intervento armato occidentale e petromonarchico c’è già e da tempo. Non sotto forma di bombardamenti ma di finanziamenti e invio di armi, consiglieri e mercenari. In appoggio a gruppi armati anti-Assad. Che il Cns avalla e con i quali collabora.

Mentre la Turchia offre la base logistica alla Free Syrian Army, Qatar e altri paesi non fanno mistero del loro appoggio “diplomatico” e finanziario e in armi; a metà gennaio lo sceicco Bin Khalifa Thani ha dichiarato la volontà di mandare truppe. Inglesi e francesi hanno confermato di aver mandato unità ad assistere i rivoltosi. Sono state scoperte armi inglesi avviate clandestinamente. suolo siriano sono già operativi commandos e forze speciali. L’obiettivo è di creare delle“zone liberate” così da rendere legittimo l’intervento “umanitario” esterno.

Da tempo l’opposizione siriana ottiene quotidianamente partite di armi (http://rt.com/news/syria-opposition-weapon-smuggling-843/). Obama chiede apertamente di sostenere gli armati anti-Assad e pensa di replicare i successi libici: nessun uomo, nessun morto, ma consiglieri e molti soldi. Fonti americane rivelano al Times un piano in fase di elaborazione da parte di Stati Uniti e alleati per armare i ribelli. Indiscrezioni che si incrociano con quelle del Guardian sulla presunta presenza di reparti speciali britannici e americani al fianco degli insorti, così come quella del sito israeliano Debka su una infiltrazione sul terreno, a Homs. A Homs truppe inglesi e qatariote dirigono l’arrivo di armi ai ribelli e consigliano sulle tattiche della battaglia, secondo il sito israeliano Debka file (ne riferisce la RT, Russian Tv).

A queste indiscrezioni la Russia ha reagito affermando che si tratta di informazioni ''allarmanti'', secondo il portavoce del ministero degli Esteri, Aleksandr Lukashevich (http://www.blitzquotidiano.it/cronaca-mondo/siria-homs-strage-senza-fine-times-piano-1113360/www.peacelink.it).

Poi ci sono i mercenari libici. A dicembre il presidente del Consiglio nazionale siriano Burhan Ghalioun incontra a Tripoli i nuovi dirigenti. E scatta il piano che porta diverse centinaia di volontari libici in Siria, sparpagliati tra Homs, Idlib e Rastan (http://www.corriere.it/esteri/12_febbraio_10/olimpio-siria-insorti_a9528996-53da-11e1-a1a9-e74b7d5bd021.shtml). La missione è coordinata dall’ex qaedista Abdelhakeem Belhaj, figura di spicco della nuova Libia, e dal suo vice Mahdi Al Harati.

Intanto il sito di petizioni Avaaz, dopo aver diffuso per la Libia notizie di bombardamenti su civili (http://www.avaaz.org/it/libya_stop_the_crackdown_eu) in seguito ampiamente smentite, invita alla "battaglia mondiale" per la Siria dicendo: "Questo è il culmine della primavera araba e della battaglia mondiale contro i despoti sanguinari.

In conclusione, ecco quanto denuncia la stessa opposizione non armata (nelle parole di un esponente che preferiamo non citare per tutelarlo) “il Cns sembra fare il gioco degli sceicchi e del petrolio, sono in maggioranza fratelli musulmani che se ne fregano della democrazia e sanno benissimo che la Siria è abbastanza laica per poter arrivare al potere in modo democratico, non arriveranno senza armi, perciò stanno facendo di tutto per armare la rivoluzione, da altro canto, c'è la Turchia che si sente la nostalgia attraverso il partito di Erdogan per ottomanizzare la regione contro un'Europa ancora ostile nei suoi confronti. Non dimentichiamo che la rivoluzione siriana è la più importante in assoluto nel caso un probabile successo. Gli sceicchi del Golfo Persico temono per il futuro della loro monarchie basate comunque sulla dittatura e sull'ingiustizia”.



http://www.forumpalestina.org/news/2012/Febbraio12/14-02-12GuerraMediatica5.htm

SIRIA. Guerra mediatica (5° Puntata)

di Marinella Correggia

 

Le risposte dell’Unicef alle nostre domande sui “384 bambini uccisi” dal regime. Le fonti sono sempre le stesse e si alimentano a vicenda. In Siria si muore ma non da una sola parte.

Il 7 febbraio tutti i media danno grande risonanza a un “rapporto” dell’Unicef secondo il quale in Siria almeno 384 bambini sarebbero stati uccisi nei mesi di violenze e almeno altrettanti sarebbero imprigionati. L’Unicef è l’organismo delle Nazioni Unite per l’infanzia. Il suo attuale direttore è Anthony Lake, ex consigliere per la sicurezza di Clinton. In inglese il termine utilizzato è children; i media italiani traducono “bambini” per maggiore impatto mediatico, anche se in realtà nei rapporti dell’Onu children sono i “minori di 18 anni”. Perciò d’ora in poi useremo il termine “internazionale” children.

La notizia del “rapporto Unicef” passa subito come ennesima conferma del fatto che il regime uccide e incarcera bambini in quantità. In realtà a) l’Unicef non ha stilato di suo nessun rapporto, bensì ha utilizzato come fonti gli “attivisti per i diritti umani” b) la denuncia Unicef è di molti giorni prima (http://www.contropiano.org/it/esteri/item/6675-siria-guerra-mediatica-prima-puntata). In effetti la notizia sui 384 bambini uccisi in Siria era già stata diffusa dall’agenzia Reuters il 27 gennaio (http://blogs.reuters.com/stephanienebehay) ma è esplosa sui massa media solo il 7 febbraio, dodici giorni dopo, ovvero quando l’escalation politico-mediatica sulla Siria aveva trovato una doppia difficoltà con l’occultamento del rapporto degli Osservatori della Lega Araba che era venuto alla luce e con Russia e Cina che avevano posto il veto al Consiglio di Sicurezza sulla risoluzione contro la Siria.

Un primo problema è che non c’è un rapporto dell’Unicef:, la quale non ha condotto alcuna ricerca autonoma, bensì riporta quanto denunciano gli “attivisti”. Nel routinario briefing per la stampa da parte dell’Ufficio delle Nazioni Unite a Ginevra, la responsabile dell’organizzazione Marixie Mercado è citata così: "Secondo le organizzazioni siriane dei diritti umani oltre 400 children sono stati uccisi e altri 400 sono in custodia, torturati e abusati sessualmente”

(http://www.unog.ch/unog/website/news_media.nsf/%28httpNewsByYear_en%29/36191A0CEBA1AED2C125799D0037EF1F?OpenDocument ). Marixie Mercado ha anche parlato della città di Homs, affermando che l’Unicef non ha accesso alle aree interessate di Homs e non può confermare l’impatto degli attacchi sui children, ma che “ci sono rapporti credibili, anche da parte di media internazionali presenti, sul fatto che i children sono vittime della violenza”:

Il 27 gennaio l‘Unicef aveva riferito alla Reuters la cifra di 384 children uccisi alla Reuters e 380 detenuti e seviziati (“alcuni con meno di 14 anni”) precisando “le cifre vengono da organizzazioni per i diritti umani che riteniamo credibili perché si basano su rapporti degli ospedali e racconti delle famiglie”. Niente che sia stato raccolto di prima mano, dunque. Ci si fida degli “attivisti” (sulle cui performances a senso unico e prive di conferme, vedi puntate 1, 2 e 3).

In dicembre la Commissaria Onu per i diritti umani Navi Pillai aveva parlato di 307 children uccisi nella “repressione da parte delle forze siriane”. Quali sono le fonti del rapporto della “Commissione d’inchiesta indipendente” del Consiglio per i diritti umani? Interviste con “attivisti” e “disertori” (un approfondimento su questi è in cantiere per la settima puntata). Negli ultimi giorni Pillay ha così denunciato la “repressione a Homs” attribuendola al “fallimento del Consiglio di Sicurezza”: “Secondo fonti locali e rapporti di media indipendenti l’esercito siriano attacca in modo indiscriminato con carri armati, elicotteri, mortai aree civili di Homs”. Non ci sono verifiche, e testimoni da Homs attribuiscono la responsabilità all’opposizione armata (vedi la prossima sesta puntata), ma non sono stati presi in considerazione.

Nel “chi uccide chi e quanti”, il ruolo delle bande armate non è contemplato. Né ci si chiede se i numeri siano esatti. Allo stesso modo, i media, il rapporto dell’Onu di dicembre e le Ong, che hanno sempre come fonti “gli attivisti”, lanciano cifre non confermate sul numero totale di uccisi (5mila, poi seimila), e non indicano mai le responsabilità di bande armate dell’opposizione; eppure in diversi casi i nomi sono risultati falsi; e/o children e adulti uccisi erano membri di famiglie filogovernative e in altri i genitori stessi hanno affermato che se l’esercito fosse stato presente, i loro figli sarebbero ancora vivi. Emblematico ilo caso della piccola Afef Saraqibi, morta a 4 mesi. Indignazione e orrore: per gli “attivisti” era, incredibilmente, “la più piccola detenuta politica siriana, incarcerata con il padre e morta per le torture”. Finché la madre stessa ha dichiarato pubblicamente che Afef è morta in ospedale e di malattia.

Sono poi numerosi i video e le foto mistificanti. Un esempio: questa foto con il titolo “strage di bambini” (http://www.facebook.com/photo.php?fbid=10150588879226827&;set=p.10150588879226827&type=1&theater) è una delle foto del World Press Photo 2012 (mostra di fotogiornalismo internazionale) e non arriva dalla Siria,è stata scattata a Kabul dal fotografo afghano Massoud Hossaini http://www.facebook.com/massoud.hossaini?sk=info.

Le ultime dichiarazioni dell’Unicef, così tempisticamente riprese come “rapporto”, suonano approssimative: “Ci sono rapporti di children uccisi e detenuti”; “Ci sono rapporti di bombardamenti a Homs”. Abbiamo dunque chiesto qualche chiarimento sulle fonti al portavoce Unicef da New York Peter Smerdon. Quando dite “Ci sono rapporti di children arrestati e torturati”, a quali fonti vi riferite? Risposta: “A organizzazioni credibili, si veda il recente rapporto sulla Siria di Human Rights Watch e il rapporto dei tre esperti della Commissione Onu per i diritti umani. Quanto al rapporto di Human Rights Watch di metà dicembre: è stato redatto sulla base di interviste ad attivisti dell’opposizione e a “disertori”. L’organizzazione statunitense non si pronuncia sui gruppi armati e lancia anche denunce poco credibili, come: “C’è un eccidio di bambini e i campi sportivi sono stati trasformati in lager”.

Poniamo allora un’altra nostra domanda all’Unicef relativa al fatto che il governo siriano accusa la Free Syrian Army di distruggere le case in aree pro-governative. Risposta: “Ci sono molte accuse che circolano sulla violenza in Siria”. Ma come mai non fate mai riferimento alle violenze dell’opposizione armata, indicate anche dal rapporto degli Osservatori della Lega araba, unica fonte che è stata presente nel paese? Risposta: “Ci sono molti rapporti da varie fonti. Non possiamo citarli tutti”. Dunque non si cita il rapporto degli Osservatori (boicottato dal Qatar e dall’Arabia Saudita) in cui la natura non pacifica dell’opposizione è evidenziata. E su Homs, quali fonti indipendenti avete? Risposta Unicef: la Bbc che riferisce di bombardamenti che colpiscono i children”. Così, la Bbc che fa riferimento alle stesse fonti dell’opposizione, diventa essa stessa una fonte indipendente.

Il 31maggio dell’anno scorso l’Unicef pareva più neutrale e chiedeva a “tutte le parti coinvolte” di risparmiare i civili, soprattutto children e donne. Riconoscendo dunque le violenze dell’opposizione. E aggiungeva: “non possiamo verificare i rapporti, ma chiediamo al governo di aprire un’inchiesta sui video di children detenuti e torturati”.

( Fonte: Contropiano.org )



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Lunedì 13 febbraio 2012

ALESSANDRA KERSEVAN

 

storica e titolare

della casa editrice Kappa Vu di Udine

INTERVERRA’

alla trasmissione televisiva “PORTA A PORTA”

RAI 1 ore 23 e 15

Argomento della puntata: FOIBE e LAGER FASCISTI



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                   * Jugoslavenski glas - Voce jugoslava *

            "Od Triglava do Vardara..." "Dal monte Triglav al fiume Vardar..."


Svakog drugog utorka od 13,00 do 13,30 na Radio Città Aperta, valu FM 88.9 za regiju Lazio,
                             *JUGOSLAVENSKI GLAS*
Moze se pratiti i preko Interneta: http://www.radiocittaperta.it/stream.htm
Pisite nam na jugocoord @ tiscali.it


Ogni due martedì dalle ore 13,00 alle 13,30 su Radio Città Aperta, FM 88.9 per il Lazio:                              
*VOCE JUGOSLAVA*
La trasmissione si può seguire, come del resto anche le altre della Radio, via Internet:
http://www.radiocittaperta.it/stream.htm
Scriveteci all'indirizzo email: jugocoord @ tiscali.it

La trasmissione è bilingue (a seconda del tempo disponibile e della necessità).
Brevi interventi durante la trasmissione al 06 4393512.


                      Program - utorak 14.II. 2012 martedì - Programma

- Dan sjecanja. Telefonski sa Aleksandrom Kersevan, goscom jucerasnje TV emisije RAI 1 (13.2.).
- Tu i tamo neke vijesti sa bivsih Jugo prostora...

- Giorno del ricordo. Telefonicamente con Alessandra Kersevan, ospite a "Porta a Porta" di ieri sera 13 febbraio.
- Qui e li, qualche notizia dagli ex territori jugoslavi...

In studio Ivan e Eleonora


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Claudia Cernigoi sul Giorno del Ricordo 2012

1) Foibe, la verità compromessa. Intervista alla studiosa Claudia Cernigoi
2) GIORNO DEL RICORDO O GIORNO DELLA MISTIFICAZIONE STORICA? di CLAUDIA CERNIGOI
3) POLEMICA A PARMA (P. Bocchi, Comitato antifascista e per la memoria storica, C. Cernigoi)
4) LE PERLE NERE DI RUSTIA SULLE FOIBE E SUI CRIMINI DI GUERRA ITALIANI, di CLAUDIA CERNIGOI


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http://baronemarco.blogspot.com/2012/02/foibe-la-verita-compromessa-intervista.html


Il 10 febbraio si celebra il Giorno del ricordo, istituito con la legge n. 92 del 30 marzo 2004, concede anche un riconoscimento ai congiunti degli infoibati. Cosa sono state realmente le foibe? Cosa è accaduto nella terra di Confine? Quale è la verità sul caso foibe? Esiste un caso foibe? Esiste un processo di revisionismo storico? Di tutto ciò ne parleremo con la giornalista e studiosa Claudia Cernigoi.

1) Come posso presentarti?

Sono una giornalista che dopo avere indagato sulla strategia della tensione (neofascismo, stragismo, “misteri d’Italia”), ad un certo punto ha iniziato a dedicarsi alla ricerca storica sulla seconda guerra mondiale, Resistenza, collaborazionismo e poi, di conseguenza, anche le “foibe”. In effetti sono diventata “famosa” proprio per via delle mie ricerche sulle foibe, anche se, voglio precisare, non ho studiato solo le foibe.

2) Il giorno del ricordo, così come strutturato, rientra nell'intento del processo di revisionismo storico? Come si può definire il revisionismo storico?

Revisionismo storico, di per se stesso, non dovrebbe avere un significato negativo. Ovvio che se si scoprono nuovi documenti che permettono di leggere in ottica diversa fatti prima interpretati in un certo modo, “rivedere” le interpretazioni storiche è doveroso e non negativo. Il fatto è che una parte della storiografia, che più che storia fa politica, anzi, propaganda politica, ad un certo punto ha deciso di dimostrare, storicamente, la negatività politica del movimento di liberazione comunista e non nazionalista, e pertanto si è iniziato a leggere i fatti storici in un’ottica che storica non èma politica. Ne consegue che si è iniziato anche a dare valutazioni politiche (e morali, cosa per me inaccettabile quando si parla di storia) sugli eventi storici. Faccio un esempio: quando si condannano le esecuzioni (sommarie o no) di oppositori politici da parte delle forze della Resistenza, senza considerare che tali eventi si sono svolti durante una guerra mondiale che causò milioni di morti, la maggior parte civili, si perde di vista ogni ricostruzione storica, pretendendo di valutare con i nostri valori morali del tempo di pace (“voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case”, scriveva Primo Levi) le azioni avvenute in un periodo in cui, come diceva una canzone partigiana “pietà l’è morta”. Dove la guerra non l’avevano iniziata i partigiani, né i comunisti, né, dalle nostre parti, la Jugoslavia, ma l’aveva iniziata il nazifascismo. Non ci fosse stato il nazifascismo a dichiarare guerra al mondo intero, gli aggrediti non si sarebbero difesi e non avrebbero avuto bisogno di ammazzare nessuno. Non riconoscere questo semplice dato di fatto è revisionismo storico in senso negativo.
Quanto al giorno del ricordo, è una ricorrenza voluta da una lobby trasversale che vuole negare i crimini fascisti cercando di trasmettere l’idea che la Resistenza, soprattutto quella jugoslava, è stata una cosa negativa e non una lotta popolare di liberazione.

 3) Cosa sono state realmente le foibe? Numeri reali di infoibati?

Gli storici Pupo e Spazzali scrivono che...Quando si parla di foibe ci si riferisce alle violenze di massa a danno di militari e civili, in larga prevalenza italiani, scatenatesi nell’autunno del 1943 e nella primavera del 1945 in diverse aree della Venezia Giulia e che nel loro insieme procurarono alcune migliaia di vittime. È questo un uso del termine consolidatosi ormai, oltre che nel linguaggio comune, anche in quello storiografico, e che quindi va accolto, purché si tenga conto del suo significato simbolico e non letterale.
Questo è un altro esempio di revisionismo storico in senso negativo. Come può uno storico serio parlare di “significato simbolico e non letterale” relativamente a dei fatti storici? Se una persona è stata fucilata non è stata infoibata, e quindi perché parlarne in modo “simbolico” se non per creare confusione in chi cerca di comprendere questi eventi?
Sintetizzando, possiamo distinguere due periodi storici. Il primo è quello immediatamente successivo all’8 settembre 43, in Istria, quando una sorta di jacquerie seguita al tracollo dell’esercito italiano causò circa 200 morti (effettivamente gettati nelle foibe), che coinvolsero esponenti del fascismo, vittime di rese dei conti e di vendette personali. Considerando che fonti nazifasciste sostennero che per ripristinare “l’ordine” in Istria dopo l’8 settembre vi furono circa 10.000 morti con devastazione di villaggi e campagne, esce spontanea la domanda di quale fu il vero martirio del popolo istriano.
Invece nel maggio 1945 a Gorizia, Trieste e Fiume, dove l’Esercito jugoslavo (che era un esercito alleato e non “cobelligerante” come era l’esercito del Sud italiano) prese il controllo del territorio, vi furono moltissimi arresti di membri delle forze armate (che, ricordiamo, essendo il Litorale Adriatico staccato addirittura dalla Repubblica di Salò per essere annesso al Reich germanico, avevano giurato fedeltà direttamente a Hitler) e di civili collaborazionisti. In tutto scomparvero da Trieste meno di 500 persone, 550 da Gorizia, circa 300 da Fiume. La maggior parte furono militari internati nei campi di prigionia e morti di malattia; da Gorizia e Trieste circa 200 furono i prigionieri condotti a Lubiana o nei posti ove avevano operato e processati per crimini di guerra (tra essi rastrellatori, torturatori, l’ex prefetto di Zara Serrentino che come Presidente del Tribunale speciale per la Dalmazia aveva comminato moltissime condanne a morte di antifascisti…); infine vi furono le vittime di esecuzioni sommarie e vendette personali,ma dalle “foibe” triestine furono riesumate in tutto una cinquantina di salme, 18 delle quali dall’abisso Plutone, dove gli assassini erano criminali comuni e membri della Decima Mas infiltrati nella Guardia del popolo, che a causa di ciò furono arrestati dalle autorità jugoslave (che li condannarono a varie pene). Per questo motivo io non ritengo storicamente valido il concetto di “foibe”, perché in esso vi è una tale diversità di casistiche da non poter rappresentare un “fenomeno” a sé stante, se si esclude la teoria che va per la maggiore sull’argomento, e cioè che queste furono le “vittime” della “ferocia slavo comunista”, teoria che non ha alcun valore storiografico.

4) Cosa voleva dire essere partigiani a Trieste? Cosa voleva dire vivere le persecuzioni nazi-fasciste in Città?

I partigiani a Trieste facevano parte dell’organizzazione Unità Operaia-Delavska Enotnost e lavoravano in clandestinità nelle fabbriche o facendo opera di propaganda e qualche azione specifica in città. Non si sa molto del loro lavoro, purtroppo, su questo la ricerca storica è stata carente. Le repressioni furono ferocissime, coinvolsero non solo i militanti ma anche i loro familiari, le persone arrestate venivano torturate con ferocia, inviate nei campi germanici, uccise in Risiera, molti morivano cercando di scappare o sotto le torture. Cito soltanto le esecuzioni di maggiore entità avvenute nel 1944: 71 ostaggi fucilati ad Opicina il 3 aprile, 51 impiccati il 23 aprile nell’attuale Conservatorio, 11 impiccati a Prosecco il 29 maggio, 19 fucilati ad Opicina il 15 settembre, i 5 membri della missione alleata Molina il 21 settembre…

5) Perchè è importante contestualizzare gli eventi nella questione foibe?

A questa domanda penso di avere già in parte risposto prima. Quando, in sede di dibattito pubblico, il professor Raoul Pupo, alla mia affermazione che parte del CVL di Trieste fu arrestata dagli Jugoslavi perché si erano rifiutati di consegnare loro le armi, come prevedevano gli accordi firmati dal CLNAI con gli Alleati (e la Jugoslavia era un Paese alleato, come Usa e Gran Bretagna), asserì che io ragiono come nel 1945, penso che in realtà mi abbia fatto un complimento come ricercatrice, al di là delle sue reali intenzioni. Per capire cosa accadeva nel 1945 dobbiamo considerare la situazione del 1945, cioè il fatto che l’Europa intera, e non solo Trieste, usciva da una guerra mondiale che aveva causato stragi, fame, distruzione e disperazione; che nella nostra zona le autorità italiane avevano cercato di annullare le minoranze slovena e croata, non solo impedendo loro di parlare nella propria lingua, ma anche con la violenza, bruciando villaggi e deportando civili, vecchi, donne e bambini, che per la maggior parte morirono di stenti nei campi di prigionia come Arbe e Gonars. Ed in una situazione simile a me viene in mente la poesia di Brecht, “noi che volevamo apprestare il terreno alla gentilezza, noi non si poté essere gentili”.

6) La visita prevista di Alemanno alle foibe di Basovizza, può essere considerata provocatoria verso la Resistenza ?

Non credo particolarmente. È da anni che tutti (dalle istituzioni statali e locali ai naziskin di varia estrazione, a Padania Cristiana, alle organizzazioni degli esuli…) vengono in pellegrinaggio sulla foiba di Basovizza. Escludendo le istituzioni, che semplicemente hanno fatto propria la teoria degli “opposti estremismi”, cioè vi sono stati sia i crimini dei nazifascisti che quelli dei partigiani (“accostamento aberrante”, lo definì più di trent’anni fa il professor Miccoli dell’Università di Trieste), in genere si tratta di un segno fideista di anticomunismo e di apologia del fascismo, con dovizia di saluti romani e grida “camerati presenti”. Alemanno non può certamente fare peggio di questi qua.

7) Quanto possono essere educative o diseducative le visite scolaresche alle foibe, che puntualmente ogni anno vengono organizzate per e nel Giorno del ricordo?

Sarebbero educative se si contestualizzasse e si spiegasse la reale entità del “fenomeno”. Ma dato che la visita alla foiba di Basovizza è vista normalmente come il contraltare a quella alla Risiera di San Sabba, ciò che rimane ai ragazzi è che vi furono appunto i due “opposti estremismi”, le due “ideologie” che provocarono i drammi in Europa, con il sottinteso elogio della “zona grigia”, del qualunquismo di coloro che non si schierarono e lasciarono che gli altri prendessero le decisioni (e le armi) aspettando che qualcuno vincesse.
Così come sono, in effetti, sono molto diseducative.

8) Giungono voci di una tua nuova opera...puoi dare qualche anticipazione?

Sì, si tratta di uno studio sull’Ispettorato Speciale di PS, la cosiddetta “banda Collotti”, nel quale oltre a raccontare l’operato di questo corpo di repressione nazifascista, finisco col parlare della Resistenza nella nostra zona ed anche delle ripercussioni che nel dopoguerra ebbero questi eventi.

Marco Barone


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http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-giorno_del_ricordo_2012%3A_giorno_della_mistificazione_storica..php
http://www.diecifebbraio.info/2012/02/giorno-del-ricordo-o-giorno-della-mistificazione-storica/

GIORNO DEL RICORDO O GIORNO DELLA MISTIFICAZIONE STORICA?

di CLAUDIA CERNIGOI

Dopo avere seguito interventi ufficiali, comunicati stampa, esternazioni varie e soprattutto avere visto il “documentario” di Roberto Olla sulle “foibe”, trasmesso dalla Rai la sera del 10 febbraio (e, da quanto si legge nel sito http://www.bellariafilmfestival.org/evento-2011-144.html “in proiezione permanente” presso il Museo della “foiba” di Basovizza), ho pensato che sarebbe il caso di cambiare l’intitolazione della ricorrenza del 10 febbraio da “Giorno del Ricordo” a “Giorno della Mistificazione Storica”.

 

Vorrei citare solo alcuni dei punti più significativi.

Il sindaco di Trieste Roberto Cosolini (centrosinistra) ha ripreso le (purtroppo infelici) posizioni del presidente Napolitano che aveva parlato, già anni fa, di “volontà espansionistica del nazionalismo jugoslavo”.

Parlare di “nazionalismo jugoslavo” è già di per se stesso falsificante, dato che il concetto di Jugoslavia era nato come concetto sovranazionale e non nazionalista, ma il fatto più grave è il voler attribuire alla Jugoslavia una “volontà espansionistica” che essa non ha mai avuto, né quando, Regno di Jugoslavia, fu invasa da Germania e Italia, smembrata ed annessa in parte ai due stati aggressori, né quando, riconosciuta come Stato alleato nella coalizione antinazifascista, sotto la guida del Maresciallo Tito, liberò il proprio territorio dagli occupatori e giunse fino a Trieste e Gorizia. Per liberarle, non per “occuparle”, come recita il filmato di Olla, perché la Jugoslavia faceva parte della coalizione alleata (e ricordiamo che l’Italia, il Regno del Sud, era solo cobelligerante).

Nessuno parla mai della volontà espansionistica italiana, che nel 1918 aveva conquistato militarmente Trieste, Gorizia, l’Istria e parte della Slovenia (dove nella zona di Postumia non c’era neppure una piccola comunità italiana, ciononostante divenne parte integrante dello stato italiano): dunque perché scandalizzarsi quando la Jugoslavia, dopo avere conquistato militarmente dei territori interamente sloveni e croati o mistilingue, ha mantenuto la sovranità neppure su tutti questi territori misti, restituendo Trieste e Gorizia all’Italia?

È poi scandaloso che si continui a parlare di “migliaia” di persone “inghiottite dalle foibe”, quando si sa che dalle foibe istriane dopo l’8 settembre del 1943 furono estratte 210 salme, e che nel 1945 gli “infoibati” nel senso letterale del termine furono meno di un centinaio mentre la maggior parte degli scomparsi (da Trieste meno di 500, da Gorizia circa 550, da Fiume circa 350), escludendo i militari fatti prigionieri e morti nei campi, furono arrestati dalle autorità jugoslave perché accusati di crimini di guerra, e probabilmente condannati a morte, se non morti in prigionia.

Particolarmente grave ed agghiacciante l’affermazione fatta (l’Ansa non dice da chi) nel corso della presentazione di una mostra dedicata alle “foibe e all’esodo” a Trieste, dove si sarebbe “sottolineato il ruolo che svolse personalmente il maresciallo Tito nell’organizzazione delle attività terroristiche contro la popolazione inerme, culminate nelle Foibe, che sono state determinanti nel costringere all’esodo 350 mila italiani”. Come se Tito, nel corso della guerra, non avesse altre gatte da pelare che prendersela con gli istriani di etnia italiana.

Ma qui troviamo la novità di quest’anno: dopo anni ed anni di divulgazione di dati storici risultanti dalle ricerche di un manipolo di volonterosi (spesso non considerati dalla storiografia ufficiale), che hanno messo dei punti fermi su alcuni “miti” in tema di foibe, da quest’anno i toni sono cambiati: dando per assodato un “esodo” di 350.000 persone, è logico che per motivare un esodo di questa entità era necessario un fattore a monte, e cioè il “terrore” diffuso dalle “foibe”.

Il primo punto è che ad esodare non furono 350.000 persone, ma molte di meno. I dati più attendibili parlano di circa 200.000, il che è comunque una cifra piuttosto consistente, ma se consideriamo che questo “esodo” durò dal 1943 al 1960 più o meno (quindi in fasi storiche diverse), ci si aprono altri orizzonti di dubbio.

Ad esempio: perché la famiglia di Norma Cossetto, che era stata uccisa dai partigiani, scappò in Italia (RSI) quando l’Istria era sotto controllo nazifascista e non jugoslavo, e come i Cossetto anche i Cernecca, altra famiglia che nel dopoguerra diede vita alla propaganda sulle foibe, avendo avuto dei familiari uccisi dai partigiani, si trasferirono nel Veneto già alla fine del 1943?

Nel 1945, subito alla fine della guerra lasciarono l’Istria alcune categorie di persone che sicuramente non potevano rimanere lì date le circostanze, e non solo la nomenklatura fascista, gli squadristi ed i gerarchi, ma gli stessi impiegati statali, poliziotti, militari, che erano arrivati in Istria dall’Italia e una volta cambiato stato e governo avrebbero avuto difficoltà a reinserirsi.

Questo il primo “esodo”: ma dobbiamo poi ricordare la propaganda che veniva fatta dall’Italia per invitare gli italiani a lasciare la Jugoslavia, che prometteva loro mari e monti, salvo poi sistemarli nei campi profughi di fortuna. Molti istriani vennero via per amore di patria, perché non volevano essere cittadini jugoslavi, molti perché erano anticomunisti, la maggior parte perché erano convinti che in Italia sarebbero stati meglio. Le foibe in tutto questo c’entrano poco: c’entra molto invece la propaganda sulle foibe, quella che fa dire a Licia Cossetto “mezza Istria è stata infoibata”: e dalla mezza Istria rimasta sarebbero venuti via ancora 350.000 abitanti? Se consideriamo che i dati del censimento del 1936 danno come abitanti (compresi sloveni e croati) per Istria, Fiume, isole del Quarnero e Zara 378.000 persone, i conti non tornano proprio.

Lasciando da parte l’esodo torniamo ad esaminare la propaganda di questi giorni, che ci presenta i “titini” come feroci criminali assetati di sangue, che non considera che il periodo storico di cui si parla corrisponde ad una guerra mondiale che fece milioni di morti, che la guerra non fu iniziata dalla Jugoslavia, che l’Italia deportò popolazioni intere dai territori che aveva occupato in Slovenia e Croazia, che appoggiò il regime fantoccio di Pavelic in Croazia (che operò una pulizia etnica nei confronti della popolazione serba), che l’Italia stessa commise in Jugoslavia (ma anche in Grecia e in Albania, per non parlare delle precedenti guerre d’Africa) crimini di guerra per cui fu denunciata alle Nazioni unite ma nessun responsabile fu mai punito, anzi, il gasatore di africani Pietro Badoglio fu colui che traghettò l’Italia fino alla fine della guerra dopo che il “duce” fu deposto il 25 luglio 1943.

È questa la storia che non è conosciuta nel nostro Paese dall’opinione pubblica, né viene insegnata nelle scuole, e sulla quale gli storici accademici , così come i divulgatori (salvo alcune ammirevoli eccezioni) tendono a glissare. È per cancellare questa storia, per impedire che criminali di guerra fossero processati e condannati che il Ministero degli Affari Esteri (MAE) diede alle stampe nel 1947, in prossimità della firma del Trattato di pace, una sorta di “libro bianco” intitolato “Trattamento degli italiani da parte jugoslava dopo l’8 settembre 1943”, che voleva dimostrare come gli jugoslavi avessero operato violenze ed esecuzioni sommarie (le “foibe”) sui militari prigionieri e sui civili italiani. Peccato che questo testo è ricco di “bufale” e di scritti apocrifi, ricordiamo la famosa “relazione Chelleri”, quella su cui si sarebbero basati tutti gli storici per parlare degli “infoibamenti” di Basovizza e del “sopravvissuto alle foibe”, quello che i telespettatori sanno essere Graziano Udovisi, il quale asserisce anche di avere “salvato un italiano”, ma che da altri documenti risulta essere invece Giovanni Radeticchio, il quale aveva dichiarato, già nel luglio del 1945, di essersi salvato da un “infoibamento” nel quale invece aveva trovato la morte Udovisi (su questo si veda il testo di Pol Vice “La foiba dei miracoli”, Kappa Vu 2008). A domanda dello storico Spazzali, il capitano Carlo Chelleri ha negato di avere scritto questa relazione (R. Spazzali, “Foibe un dibattito ancora aperto”, Lega Nazionale 1990): quale attendibilità può avere? Poi nel testo c’è anche una testimonianza attribuita ad un “sottocapo meccanico” di nome Federico Vincenti, che parla di atrocità commesse dagli Jugoslavi nei confronti dei prigionieri italiani a Lissa: dove Federico Vincenti, partigiano combattente friulano, negò di essere mai stato prigioniero degli Jugoslavi e di avere fatto le dichiarazioni citate nel “libro bianco” (su questo si veda l’intervento di Luciano Marcolin dell’Anpi di Cividale in http://www.storiastoriepn.it/blog/?p=3617).

Ed infine in questo “libro bianco” troviamo una serie di fotografie che documentano atti di violenza commessi contro serbi… da parte ustascia, cioè fascista, spacciati per “violenza jugoslava contro jugoslavi”, eliminando del tutto la questione politica ma esacerbando la questione etnica.

Perché mi sono dilungata tanto su questo libro? Perché è stato ripubblicato nel 2009, anastaticamente, e perché la Regione Lazio lo vuole diffondere nelle scuole. E la diffusione di falsità negli istituti scolastici è uno scandalo che si dovrebbe impedire.

Ecco, queste alcune riflessioni “a caldo” (nonostante le temperature polari di questi giorni di febbraio) sul Giorno del Ricordo 2012. Nella prima edizione del mio studio sulle foibe, “Operazione foibe a Trieste” pubblicato nel 1997, citavo in apertura alcuni versi di una canzone degli Africa Unite: “Ruggine, penna di velluto, lecca il livido inchiostro, fango rapido, colpire la memoria, riscrivere la storia…”.

Lo hanno fatto, lo stanno facendo. È come un fiume in piena, melmoso, velenoso, che ci sta soffocando. E nonostante tutti gli sforzi di questi anni, sembra sempre più difficile correre ai ripari.

Claudia CERNIGOI

 

Febbraio 2012


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POLEMICA A PARMA

Da:  Comitato antifascista e per la memoria storica - Parma <comitatoantifasc_pr @ alice.it>

Oggetto:  replica, sulle foibe, a P. Bocchi candidato sindaco di Parma per "La Destra"

Data:  12 febbraio 2012 00.56.12 GMT+01.00


da  la Repubblica Parma (on line)

Priamo Bocchi scrive:

Dopo oltre 60 anni di colpevole oblio la storia sembra riconsegnare una giusta memoria della drammatica vicenda delle Foibe e delle migliaia di civili italiani (fra i quali donne, bambini ed anziani) torturati ed uccisi dai partigiani di Tito (nonché di Togliatti), in nome del comunismo e della pulizia etnica. Oggi, finalmente si possono commemorare la morte ed il barbaro eccidio di tanti nostri connazionali, nonché le sofferenze di quei profughi che, rientrati in Italia, venivano insultati e minacciati secondo l’equazione, diffusa e propagandata dal partito comunista, per cui italiani = fascisti. Oggi, giornata nazionale del ricordo di questo ignobile genocidio, possiamo finalmente pensare alle foibe, non solo come erano descritte fino ad oggi nei libri scolastici , “varietà di doline ed anfratti frequenti in Istria”, ma come luoghi di martirio per tanti compatrioti (fascisti e non) e di bestiale sfogo anti italiano.
E’ triste, però, constatare come questa vicenda storica non sia ancora parte di una memoria nazionale condivisa. A Parma il Comitato Antifascista organizza in tale giornata il solito convegno negazionista nel quale si sostiene che le Foibe Titine sono solo (come quella di Bassovizza per esempio) una creazione mitologica e leggendaria. Probabilmente 60 anni di menzogne e di propaganda camuffata da Storia, non sono stati sufficienti a placare gli animi dei seguaci di quell’ideologia che si nutre di odio e intolleranza, che ieri voleva “sovietizzare” l’Italia e che oggi vorrebbe ancora “infoibare” la verità.
Ed allora mi si lasci ricordare qualcosa che difficilmente si sentirà in questo od altri convegni. Mi lasci ricordare che il comandante Oskar Pikulic (cittadino italiano), meglio conosciuto come il “boia di Pisino” (dove fece infoibare più di 100 persone) e condannato a 2 ergastoli per strage, fu graziato da quel simpatico “nonnetto” di Pertini e omaggiato di medaglia al valore e pensione per meriti patriottici. Mi lasci ricordare che un altro criminale, Mario Toffanin (detto “Giacca” e condannato all’ergastolo per omicidio plurimo), responsabile della strage di Porzus, e di altri crimini “comuni” fu aiutato dal PCI a fuggire all’estero ed ottenne medesimi onori (grazie alla legge Mosca), grazia e pensione ( di 700 mila lire e percepita fino alla morte).
Anche questa è stata l’Italia del dopoguerra. Occorre ricordarlo ai nostri giovani e a quelli un po’ smemorati che oggi ricordano sì ma parzialmente, omettendo di nominare l’ideologia comunista quale vera responsabile di questa ed altre tragedie del novecento.

Priamo Bocchi
(candidato sindaco “La Destra” Parma)


da  la Repubblica Parma (on line)

Comitato antifascista e per la memoria storica-Parma scrive:

OLTRE 700 CRIMINALI DI GUERRA ITALIANI FASCISTI,  E IL SIGNOR UDOVISI

Il sig. Bocchi, rappresentante de “La Destra”, una destra non liberale o gollista ma una destra fascista, pensa di cavarsela riportando qualche fatto tragico della lotta partigiana (Porzus), qualche “neo” presente nella parte giusta. Chè, com’è noto, la guerra abbruttisce un pò anche la parte giusta e bella. E, da questo punto di vista, è successo anche di peggio altrove, p.e. in Francia per i prigionieri tedeschi degli angloamericani e per i collaborazionisti francesi di Vichy. Dimentica appena, il rappresentante della destra fascista, che in Jugoslavia hanno operato oltre 700 (settecento) criminali di guerra italiani fascisti. A cominciare dai generali Roatta e Robotti, che ordinavano “testa per dente!” e “si ammazza troppo poco in Jugoslavia!”. Il dato dei criminali di guerra italiani non è inventato ma è della Commissione per i crimini di guerra della Nazioni Unite. E nessuno di costoro è mai stato processato, estradato e consegnato alle autorità jugoslave che ne avevano fatto richiesta; fosse stata soddisfatta tale richiesta, probabilmente ai militari italiani catturati e imprigionati dagli jugoslavi sarebbe andata meglio. Nessuno dei 700 criminali fascisti ha mai scontato un solo giorno di galera diversamente dai criminali nazisti che sono stati processati e condannati a Norimberga. Ma se anche fossero stati 70 anziché 700, se anche fossero stati 7 anziché 70, resta il fatto che è stata questa loro parte, è stata l’Italia fascista che ha intrapreso la guerra in Jugoslavia e nei Balcani, non viceversa. Non è la Jugoslavia che ha aggredito l’Italia, è l’Italia fascista che ha aggredito e occupato duramente la Jugoslavia, p.e. facendo di Lubiana (terra slovena dove nessuno parla italiano) una provincia d’Italia. E’ Mussolini che già nel 1920 a Pola affermava “Di fronte a una razza come la slava, inferiore e barbara, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino ma quella del bastone”. Non risulta che da parte slava vi sia stata un’affermazione simile nei confronti degli italiani, o mire espansionistiche o imperialiste. Non si possono scambiare o confondere cause e effetti, pena la falsificazione della storia: la causa prima è stata il fascismo, le foibe sono una conseguenza. E sul numero dei morti delle foibe è del tutto non dimostrato il dato delle decine di migliaia o degli oltre diecimila che riporta in questi giorni lo spot televisivo – sì spot, propaganda!- in onda sulle reti nazionali pubbliche statali. Tale spot cita il sig. Graziano Udovisi quale scampato a una foiba. Bisognerebbe dire anche che il tale Udovisi, lungi dall’essere persona “super partes”, era nel 1945 tenente della fascista (della Repubblica di Salò) Milizia Difesa Territoriale, forza sottoposta direttamente ai tedeschi, e rastrellatore di partigiani in Istria. Il suo racconto è apertamente messo in discussione dal libro “La foiba dei miracoli” scritto da Pol Vice (Paolo Consolaro) pubblicato dalla casa editrice Kappa Vu di Udine nel 2008.
Se nell’Italia liberata dal fascismo si può esprimere liberamente, il sig. Bocchi ringrazi anche i comunisti italiani e Togliatti che hanno contribuito in prima persona a scrivere una Costituzione, la Costituzione della Repubblica nata dalla Resistenza, fra le più democratiche e socialmente avanzate del mondo.


Da:  Claudia Cernigoi <nuovaalabarda @ yahoo.it>

Oggetto: I: replica, sulle foibe, a P. Bocchi candidato sindaco di Parma per "La Destra"

Data: 

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"E' mia intenzione, in una prossima già programmata visita in Friuli, rendere omaggio alle vittime dell'eccidio di Porzûs."
(dal Saluto del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano alla celebrazione del "Giorno del Ricordo", Palazzo del Quirinale 09/02/2012
VIDEO: http://www.quirinale.it/elementi/Continua.aspx?tipo=Video&key=2129&vKey=2009&fVideo=1 )

In merito al desiderio espresso dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, di rendere omaggio alla memoria di alcuni collaborazionisti dei repubblichini della Decima Mas giustiziati a Porzûs dai partigiani nel febbraio 1945, crediamo utile contribuire alla conoscenza dei fatti con questa sintesi di Alessandra Kersevan.


Alessandra Kersevan

Porzûs: il più grande processo antipartigiano del dopoguerra

Appendice dal volume: Foibe. Revisionismo di Stato e amnesie della Repubblica

Atti del Convegno: Foibe: La verità. Contro il revisionismo storico
tenuto a Sesto S. Giovanni (MI), 9 febbraio 2008

Collana di Resistenza Storica / Udine: Editrice KappaVu, 2008

 

Nel 1997 – in anticipo con la concezione della memoria alla 10 febbraio, secondo la quale i fatti storici esistono solo se vengono amplificati dai mass-media – la vicenda di Porzûs divenne di pubblico dominio con la presentazione al festival del cinema di Venezia del film Porzûs di Renzo Martinelli. Nonostante il titolo richiamasse in maniera diretta questa vicenda, il contenuto la riguardava solo a grandi linee, poiché erano inventati o stravolti i caratteri dei personaggi, le motivazioni, i comportamenti, il contesto in cui avvenivano, in linea con la revisione della resistenza che stava emergendo in quegli anni.[1] Negli articoli che apparvero sui principali giornali italiani a commento e critica del film, si disse in un primo tempo – e il regista non solo avvalorò questa tesi, ma ne fece la base del lancio pubblicitario – che finalmente emergeva la verità su Porzûs. In realtà Martinelli si avvalse della penna di Furio Scarpelli – autore di sceneggiature che hanno costruito l’immaginario collettivo dell’Italia del dopoguerra, come La grande guerra e Tutti a casa – per costruire un polpettone confusionario e anche un po’ razzista. In seguito alla querela per diffamazione da parte di Mario Toffanin, “Giacca”, il regista cambiò versione e disse che si trattava di una fiction.

In realtà la vicenda di Porzûs è stata nel dopoguerra trattata in molti giornali e libri a livello nazionale[2], e nel Friuli-Venezia Giulia non è passato anno senza che fosse ricordata in manifestazioni di varia natura, anzi, in questa regione Porzûs è stato uno dei miti fondanti del ceto politico dominante, in gran parte di origine osovana.

Su Porzûs inoltre si è per la prima volta evidenziata quella convergenza destra-sinistra tesa a ricostruire un immaginario condiviso anticomunista. Non è un caso che il film sia stato finanziato dall’allora governo di centro-sinistra, cioè dal ministro della cultura Walter Veltroni, ma apprezzato anche a destra.

In sostanza la tesi che passò – la stessa delle forze dominanti in tutti questi sessant’anni, ma con la differenza che veniva fatta propria anche dagli eredi del PCI – era quella della responsabilità dei comunisti friulani, e del PCI più in generale, presentati come asserviti agli interessi jugoslavi – mentre gli osovani risultarono i patriottici difensori dei confini dalle mire jugoslave.

 

La vicenda

In realtà non si sa ancora con precisione cosa sia successo a Porzûs: nella ricostruzione ufficiale ci sono soltanto certezze, ma se si analizzano i documenti quasi nulla corrisponde a ciò che viene dato per assodato.

Il 7 febbraio 1945 (così secondo la versione ufficiale e processuale, ma alcuni importanti documenti[3] e un ragionamento sui tempi dell’azione, la collocherebbero invece all’8 febbraio) un gruppo di circa un centinaio[4]di gappisti, partendo dal Bosco Romagno, una zona fra Cormons e Cividale in cui avevano la base, comandati da Mario Toffanin – Giacca, si diresse verso le malghe dette, in seguito, di Porzûs, ma in realtà chiamate a quel tempo di Topli Uork[5], dove aveva sede, dall’autunno precedente, il comando del Gruppo Brigate “Osoppo dell’Est” – composto dalla I e dalla VI Brigata, in realtà poche decine di uomini perché la gran parte erano in congedo in attesa della primavera – comandato da un capitano dell’esercito, Francesco De Gregori, “Bolla”.

Arrivati nei pressi delle malghe i gappisti finsero di essere un gruppo di sbandati o fuggiti dai convogli per la Germania che volevano aggregarsi ai partigiani. Questo inganno fu reso possibile anche dal fatto che chi li guidava era “Dinamite”, Fortunato Pagnutti, molto conosciuto alle malghe osovane perché in precedenza era stato partigiano dell’”Osoppo” e vi si recava spesso per prelevare esplosivi per operazioni di sabotaggio[6]. La presenza di Dinamite contribuì – si dice – a non creare sospetti negli osovani, che pur in quei giorni dovevano essere molto sospettosi, giacché Bolla non faceva altro che mandare relazioni ai propri comandi superiori in cui denunciava la presenza oltre al nemico palese (tedeschi e cosacchi) del nemico occulto(sloveni e garibaldini)[7].

A quel punto gli osovani dell’avamposto mandarono a chiamare qualcuno del comando e venne  “Enea”, Gastone Valente, commissario politico della VI Brigata, a vedere di che si trattava. Enea pensò di dividere glisbandati fra coloro che volevano andare con i garibaldini – e quindi  proseguire per un paese vicino, Canebola – e quelli che volevano rimanere con l’”Osoppo”. Ma subito si accorse che c’era qualcosa che non andava nel comportamento di questi sbandati e quindi mandò un biglietto a Bolla, che si trovava in una malga più in alto. Dopo che la “cernita”[8] era già iniziata, Giacca diede ordine di agire ai suoi e gli osovani vennero disarmati, bloccati e costretti ad atteggiarsi in maniera amichevole, per ingannare Bolla che intanto stava arrivando assieme a Aldo  Bricco, “Centina”. Quando i due furono arrivati vicino al gruppo dei gappisti, uno di questi avrebbe colpito Bolla, mentre Centina, con uno scatto, riuscì a fuggire giù per il dirupo, inseguito dai gappisti e dai loro spari, che lo ferirono in più punti. Centina si rifugiò poi nel paese di Robedischis, dove c’era un ospedaletto partigiano sloveno in cui venne curato[9].

A questo punto i gappisti si rivelarono: gli osovani vennero tutti disarmati, Enea e Bolla tenuti nella malga, altri inviati ad aprire i bunker, pieni di alimenti, di armi e di altri materiali.[10] In una delle malghe fu trovata Elda Turchetti, segnalata da Radio Londra come una pericolosa spia, collaboratrice dei tedeschi. Questo, in base alle testimonianze che Giacca diede ad alcuni giornalisti nel dopoguerra, sarebbe stato il fatto che portò alla decisione di uccidere sul posto i comandanti osovani, rei di proteggere una spia.

Infatti Bolla ed Enea, insieme con la Turchetti vennero fucilati nella malga. I bunker vennero svuotati e il materiale portato nella base gappista al Bosco Romagno, dove vennero anche portati gli altri osovani fatti prigionieri[11]. Nella zona delle malghe risulta ucciso anche il giovane Giovanni Comin, che, fuggito il giorno prima dal treno che lo avrebbe portato nei lager in Germania, stava raggiungendo il comando osovano, ma anche la ricostruzione della sua morte non è molto chiara.

Nella base del Bosco Romagno i prigionieri osovani vennero divisi fra i vari battaglioni gappisti e poi uccisi a gruppi nei giorni successivi. Ma due di essi, Leo Patussi, “Tin” e Gaetano Valente,  “Cassino”[12], si aggregarono ai gappisti e sopravvissero: sarebbero diventati poi i principali testimoni d’accusa. L’analisi del loro comportamento nel Bosco Romagno e delle loro dichiarazioni in sede istruttoria e dibattimentale solleva sconcerto, in quanto la gran parte delle loro testimonianze, se sottoposte ad analisi e confronto con altri testi e altri documenti, si rivelano chiaramente mendaci. Non è privo di significato che un personaggio come Tin, Leo Patussi, che in base alla ricostruzione ufficiale ha tradito i suoi compagni passando ai gappisti, sia diventato poi generale dell’esercito italiano.

Fra gli osovani uccisi c’era anche Guido Pasolini, il fratello di Pier Paolo.

Ciò che successe al Bosco Romano è tuttavia molto nebuloso e basato su testimonianze contraddittorie; il riconoscimento dei corpi riesumati è dovuto quasi esclusivamente ad alcuni preti, fra cui don Aldo Moretti[13], il fondatore e la vera mente dell’”Osoppo”.

 

I personaggi

Prima di passare a parlare del contesto in cui questa vicenda avviene e dei complicati intrecci e motivazioni, è necessario analizzare brevemente l’elenco dei nomi che si trovano sulla lapide a Porzûs, un elenco di 20 nomi, alcuni dei quali, come vedremo, sicuramente non centrano con questi fatti:

Comandante Bolla, Francesco De Gregori[14]: insignito di medaglia d’oro al valor militare. Era stato un ufficiale dell’esercito, volontario in Spagna (con i fascisti), combattente nei Balcani, monarchico. Aderì all’”Osoppo” nella primavera del ’44.  Era il comandante del Gruppo Brigate “Osoppo dell’Est”, ma proprio nel giorno dell’eccidio si stava trasferendo in pianura per assumere l’incarico di capo di stato maggiore del gruppo divisioni “Osoppo-Friuli”, ma anche per incontrarsi con il federale fascista di Udine, Mario Cabai. Il suo posto al gruppo di Brigate dell’Est doveva essere preso da Centina, Aldo Bricco (scampato all’eccidio fuggendo e curato dalle ferite in un ospedaletto sloveno).

Bolla viene sempre indicato come comandante della I Brigata, ma in realtà non lo era più dall’estate del ’44, quando era diventato vicecomandante della divisione unificata “Osoppo-Garibaldi” e poi, allo scioglimento di questo comando, era diventato comandante appunto del gruppo brigate “Osoppo dell’Est”. Dal momento che la I Brigata ha avuto altri comandanti, non si capisce perché questi siano stati oscurati, se non ipotizzando che per la ricostruzione di questa vicenda fosse meglio che i loro nomi non venissero ricordati. Avranno infatti tutti un ruolo importante nelle organizzazioni clandestine anticomuniste sorte in Friuli[15] già prima della fine della guerra e confluite poi in Gladio. Il comandante della I brigata al momento dei fatti di Porzûs era Marino Silvestri, futuro membro di Gladio/Stay Behind, che non fu mai chiamato a testimoniare, sebbene fosse stato fra gli artefici di un accordo con i repubblichini e i nazisti in funzione antigaribaldina noto come il Presidio di Ravosa, di cui si parlò molto al processo di Lucca[16].

Delegato Politico Enea, Gastone Valente: era del Partito d’Azione. Nel dopoguerra, in una sua intervista, Giacca avrebbe dichiarato che l’unica cosa di cui si dispiaceva riguardo all’azione che aveva comandato, era la morte di Enea. Era uno dei non numerosi azionisti rimasti nell’”Osoppo” dopo il cosiddetto golpe di Pielungo del luglio del ’44, quando la componente militare e democristiana dell’”Osoppo” con una sorta di putsch aveva allontanato i dirigenti azionisti, troppo inclini al comando unitario con i garibaldini. Tuttavia, secondo la testimonianza al processo di Maria Pasquinelli, agente al servizio della X Mas, a casa di Enea sarebbero avvenuti i primi contatti fra “Osoppo” e X Mas per costituire un fronte unitario antislavocomunista. Ma probabilmente la Pasquinelli si era fatta accogliere in casa con un ricatto.[17] Anche Enea viene di solito indicato con un ruolo sbagliato, come delegato politico[18] della I Brigata “Osoppo”, mentre lo era della VI, oppure si dice anche che stava per prendere il posto di Alfredo Berzanti[19] come delegato politico del gruppo Brigate dell’Est, cosa che non risulta dai documenti. È stato insignito della medaglia d’argento al valor militare. Non si capisce il perché di questa discriminazione rispetto a Bolla, medaglia d’oro, dal momento che sono morti nelle stesse circostanze e la storia partigiana di Enea era anche più intensa di quella di Bolla.

 

Sulla lapide poi ci sono i nomi di battaglia degli uccisi in ordine alfabetico; di questo elenco, si può rilevare:

-     il corpo di Egidio Vazzaz, “Ado”, non è mai stato trovato, né ci sono altre prove valide perché sia stato inserito fra gli uccisi;

-     “Rinato”, “Mache” e “Vandalo” sono morti in altre circostanze che già al processo di Lucca, nel 1951, erano emerse e non centrano con Porzûs;

-     “Flavio”, Erasmo Sparacino, risulta dai documenti presso l’anagrafe di Cividale fucilato dai nazisti il 12/02/45; anche dopo che nel mio libro ho dimostrato questo fatto, il suo nome continua ad essere citato fra le vittime di Giacca;

-     “Gruaro”, Comin Giovanni, non era osovano, ma garibaldino e il suo nome da partigiano era “Tigre”; non si capisce come mai i dirigenti osovani lo abbiano indicato sia nella lapide sia nel processo con questo nome di battaglia del tutto inventato[20];

-     Di fronte a tanti nomi sbagliati o che non dovrebbero esserci, nella lapide manca invece quello di Elda Turchetti, che pure  nei giorni precedenti all’eccidio era stata arruolata nelle file osovane, con un numero di matricola, 1755, e nome di battaglia, “Livia”. Ciò risulta dallo stesso diario di Bolla e da documenti presenti nell’Archivio “Osoppo”.

 

Elda Turchetti – indicata anche con il nome di copertura di Wanda Merlini – nell’estate del ’44 era stata segnalata da Radio Londra su indicazione degli stessi servizi informativi osovani come «spia accertata» al servizio dei nazisti. Nel dicembre del ’44 si consegnò a una formazione partigiana, per dimostrare la sua estraneità alle accuse. Ammetteva di essere stata al servizio dei tedeschi dalla fine di giugno del ’44, ma solo per une mese e di essersi poi accorta dello sbaglio e di aver lasciato l’incarico[21]. Ma a quale formazione partigiana si era consegnata? Al processo si disse, e questa naturalmente è la versione generalmente accettata, che si era consegnata a un garibaldino di nome Paura, il quale poi l’avrebbe passataagli osovani. Questo venne interpretato come uno degli elementi dell’inganno contro il gruppo di Bolla: infatti i garibaldini l’avrebbero consegnata agli osovani proprio per poter accusarli di proteggere una spia e aver il pretesto per l’eccidio. Ebbene, gli stessi documenti stilati da Bolla dicono che invece la Turchetti si consegnò a un osovano di nome “Gloster”, Alfonso Linda, e che questi la portò alle malghe. Anche su questo fatto, dunque, la ricostruzione processuale, ispirata dalla parte civile osovana, è falsa. Alle malghe sarebbe stata sottoposta a processo da Bolla e considerata innocente, tanto da essere arruolata nelle file osovane, eppure questo non fu mai detto al processo, né il suo nome è stato inserito nella lapide. Evidentemente la cosa risultava troppo compromettente dal momento che il suo nome come spia era stato ripetutamente fatto proprio da Radio Londra[22].

 

Bisogna ora ricordare chi furono i principali imputati gappisti e garibaldini.

Mario Toffanin, Giacca[23], operaio, originario di Padova, che già nel ’41 era a combattere nelle formazioni di Tito contro i nazifascisti. Arriva in Friuli nel 1944 e prende il comando di formazioni gappiste. Quelli che combatterono con lui gli erano molto affezionati, e nel dopoguerra andavano spesso a trovarlo nel paese vicino a Capodistria in cui era emigrato nel dopoguerra, per sfuggire all’arresto. Invece con alcuni dei comandanti garibaldini ebbe un rapporto conflittuale, specialmente con il commissario politico di tutte le “Garibaldi” friulane, Mario Lizzero – Andrea, e col commissario politico della “Garibaldi-Natisone”, Vanni Padoan, che lo consideravano insubordinato e settario. Nonostante questo – forse per il suo coraggio e determinazione nelle azioni – continuava ad essere comandante della brigata gappista. Dopo i fatti di Porzûs venne però allontanato e il comando della Divisione Gap costituita negli ultimi mesi prima della liberazione, passò a Valerio Stella, “Ferruccio”, il quale fu anche coinvolto nel processo per i fatti di Porzûs, incarcerato, ma assolto. Giacca non è mai stato arrestato e non ha mai testimoniato ufficialmente sui fatti. Nel dopoguerra ha rilasciato alcune interviste a giornalisti e una alla radio di Udine “Onde furlane”. Gli sono state attribuite molte dichiarazioni spesso contraddittorie.

Nella versione avallata a suo tempo dal PCI friulano guidato da Mario Lizzero, l’azione di Porzûs sarebbe stata un colpo di testa di Giacca. Secondo un’altra versione Giacca, a causa del suo carattere molto settario e poco riflessivo, avrebbe trasformato in eccidio quello che era solo un ordine di arresto di Bolla a causa delle sue trame con i repubblichini.

 

Degli altri gappisti coinvolti nelle inchieste si può dire che molti erano piuttosto giovani, di estrazione operaia o contadina, ma c’erano anche uno studente, un maestro e un medico. Alcuni  furono incarcerati, anche a lungo, ma poi ritenuti innocenti, molti altri fuggirono, quasi tutti in Jugoslavia per sottrarsi all’arresto; alcuni sono ritornati in Italia solo dopo l’amnistia alla fine degli anni cinquanta, altri sono rimasti in Jugoslavia.

42 furono i condannati a varie pene detentive, fra essi anche alcuni dei maggiori dirigenti della Resistenza friulana, come Ostelio Modesti, “Franco”, il segretario della federazione clandestina udinese del PCI e Alfio Tambosso, “Ultra”, responsabile organizzativo, considerati i mandanti. Nel processo vennero coinvolti anche i vertici della divisione “Garibaldi-Natisone”, il comandante Mario Fantini, “Sasso”, il commissario politico Giovanni Padoan, “Vanni”, e il massimo esponente militare garibaldino della resistenza friulana Lino Zocchi, “Ninci”, comandante del Gruppo Divisioni “Garibaldi-Friuli”. Di questi, Fantini e Zocchi, a lungo incarcerati, vennero assolti; invece Padoan, il maggior obiettivo delle montature osovane, assolto a Lucca venne condannato in appello a Firenze come mandante. Non fu coinvolto nel processo il commissario politico di tutte le formazioni garibaldine friulane, Mario Lizzero, Andrea. Nel dopoguerra sarebbe diventato il maggior esponente comunista, a lungo segretario della federazione e poi deputato al parlamento