Informazione


I Balcani scacchiere della guerra della NATO contro la Russia

1) Gli avvoltoi atlantici tornano a volteggiare sui Balcani (di A. Fazolo)
Sul convegno \"I Balcani occidentali ad un bivio\" organizzato dalla NATO a Roma il 6-7/12 u.s.

2) I piani di Washington per i Balcani (di Luca Susic)
Sullo studio pubblicato dall\' Atlantic Council (AC) intitolato “Balkans Forward. A new US strategy for the region”

3) La ricetta choc Usa: «I confini di Tito da ridisegnare» (di Mauro Manzin)
L’analista Schindler sul New York Observer, quotidiano del genero e consigliere di Trump, vuole cancellare Dayton 


Sulle incessanti sollecitazioni eversive angloamericane verso i Balcani si veda anche, ad esempio:
British diplomat [Timothy Less] advocates reshaping of Balkan boundaries (Dic. 2016)


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Gli avvoltoi atlantici tornano a volteggiare sui Balcani

di Alberto Fazolo*, 12/12/2017


Dai primissimi anni \'90 la Jugoslavia si trasformò in un laboratorio per le ingerenze occidentali, vi vennero sperimentate tutte le tecniche di destabilizzazione che poi abbiamo visto applicate nel resto del mondo per un quarto di secolo. Dapprima ci si adoperò per smembrare lo Stato fomentando l\'odio etnico (da cui venne coniato il neologismo \"balcanizzazione\") poi si scatenarono sanguinose guerre fratricide. Dove la NATO non riuscì ad arrivare con le bombe, arrivò con la guerra non convenzionale, varando il modello di regime change chiamato \"rivoluzioni colorate\". Gli avvoltoi atlantici hanno divorato il cadavere della Jugoslavia causando danni immani.

I Balcani si trovano in una fase più avanzata rispetto ai paesi che successivamente subirono la stessa ingerenza, anche per questo è d\'interesse studiare la loro storia e scrutarne il futuro prossimo. A Roma il 6 e 7 dicembre 2017 si è tenuta una conferenza pubblica organizzata dal NATO Defence College dal titolo \"I Balcani occidentali ad un bivio\". Questa è stata l\'occasione per capire quali siano le intenzioni della NATO e cosa potrebbe succedere a breve.

Il dramma dei Balcani sono le tensioni etniche, tuttavia ci sono anche dei problemi consolidati relativi alla criminalità che in particolare si dedica a traffici di droga, sigarette, armi, esseri umani, ecc. In questa fase la NATO individua ulteriori e più pericolose minacce (almeno dal suo punto di vista), rappresentate dall\'azione di tre entità: Russia, Cina e paesi arabi.

La NATO si lamenta dell\'efficace penetrazione russa tra le popolazioni d\'etnia Serba, questa azione si attuerebbe prevalentemente attraverso la cooperazione e l\'informazione. In questo quadro, la NATO è molto allarmata dal fatto che la Serbia abbia deciso di comprare degli aerei da combattimento e dei carri armati di produzione russa. Il timore della NATO è che la penetrazione russa si rafforzi sul piano politico arrivando a trasformarsi in una presenza militare, teme cioè che la Russia possa costruire una \"testa di ponte\" all\'interno della UE: cosa che la NATO impedirà ad ogni costo.

La penetrazione cinese nei Balcani è solo di tipo commerciale, con investimenti in impianti industriali e in infrastrutture. La NATO e la UE vogliono impedire che la Cina diventi un competitor nella regione, non ammettono cioè che altri si intromettano in quello che considerano un terreno di conquista esclusivo.

Più particolare è la minaccia rappresentata da alcuni paesi arabi, nello specifico monarchie del Golfo e Turchia, che stanno promuovendo la radicalizzazione religiosa in Bosnia, Kosovo e Albania.

Si stima che in Siria attualmente combattano circa 800 integralisti islamici balcanici che con l\'imminente capitolazione del Califfato potrebbero tornare nelle proprie terre. La NATO teme che questi possano compiere attentati terroristici in Europa. La vicenda ha degli aspetti grotteschi, infatti da un lato ci si lamenta che alcuni di questi combattenti dell\'ISIS in precedenza lavoravano per la NATO, dall\'altro non ci si interroga su chi sia a sostenere la radicalizzazione: la Turchia è uno dei più importanti membri della NATO e le monarchie del Golfo sono degli stretti alleati degli USA. Se solo lo volessero, gli USA sarebbero in grado d\'arrestare il fenomeno, ma non lo stanno facendo; la cosa è molto interessante, perché potrebbe essere la manifestazione di qualcosa di diverso dalle apparenze.

La Bosnia, la Serbia e il Kosovo non sono né nella UE, né nella NATO, e probabilmente non vi entreranno mai, sono tre distinte testimonianze del fallimento delle ingerenze. La Bosnia non ha risolto gli scontri etnici, vive in un equilibrio estremamente fragile. La Serbia non si doma e non perdona. Il Kosovo è un narco-Stato che non sarà mai presentabile e soprattutto non si sa autorganizzare. In queste tre entità regna un caos che determina un vuoto politico in cui si può inserire l\'azione di Russia, Cina e paesi arabi. L\'unica soluzione che la NATO ha per scongiurare questa evenienza è di andare contro la volontà dei popoli e imporre l\'integrazione, magari ricorrendo anche a qualche forma di commissariamento (andrebbe insediato un plenipotenziario che possa essere espressione della NATO o dell\'OSCE). La NATO è pronta a forzare la mano, i Balcani sono di nuovo ad un bivio: o la sudditanza, o la guerra.

La crisi tra EU e USA non è un mistero, si era già manifestata in molte occasioni (come in Libia e poi in Ucraina), ma forse ora si potrebbe acuire. Facendo la forzatura d\'imporre l\'ingresso di Serbia, Bosnia e Kosovo nella UE si crea una contraddizione che potrebbe far crollare tutti gli equilibri del continente. Dopo aver infiammato il Medioriente con la provocazione di Gerusalemme, ancora una volta gli USA accenderebbero un fuoco nella polveriera balcanica destabilizzando l\'Europa.

Forse il cadavere che gli avvoltoi atlantici vogliono divorare non è solo quello dell\'ex-Jugoslavia.
 

*Articolo esce in contemporanea Contropiano e Antidiplomatico


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I piani di Washington per i Balcani (secondo l’Atlantic Council)

di Luca Susic, 10 dicembre 2017
 

Nel mese di novembre, il think tank statunitense Atlantic Council (AC) ha pubblicato uno studio di 20 pagine intitolato “Balkans Forward. A new US strategy for the region”, partendo dal presupposto che “mentre gli Stati Uniti e l’Europa sono concentrati sui propri problemi interni, la Russia e altri paesi stanno ridisegnando il paesaggio geopolitico della regione”. Gli autori, infatti, hanno evidenziato quelle che a loro modo di vedere sono le principali azioni con cui Mosca tenta di far precipitare la regione verso uno stato di caos (indebolendo così sia Bruxelles che Washington), nonché le possibili soluzioni per contrastare questa “influenza maligna”.

Per comprendere il testo è innanzitutto fondamentale notare come secondo l’AC lo scopo finale della politica statunitense verso i Balcani dovrebbe essere quello di giungere all’integrazione euroatlantica dell’area, facendo quindi entrare quanto prima nella NATO e nella UE gli Stati non ancora membri. Questa tesi viene ritenuta in linea con lo sforzo intrapreso in seguito agli accordi di Ohrid del 2001, quando emerse l’idea che la partecipazione all’Alleanza Atlantica avrebbe garantito i confini allora esistenti, mentre la possibilità di accedere ai mercati europei avrebbe spinto i governi locali a intraprendere con decisione la via delle riforme interne e ad abbandonare le tradizionali divisioni.

L’insuccesso della politica appena menzionata, viene però fatta dipendere non tanto dagli errori commessi dai cosiddetti policymakers o dagli atteggiamenti spesso paternalistici con cui Bruxelles e Washington si relazionano con gli attori ex – jugoslavi, ma alla combinazione di diversi fattori quali l’influenza russa (Mosca viene apertamente accusata del presunto tentativo di golpe in Montenegro), la Brexit e il referendum olandese sull’Ucraina, nonché le dichiarazioni di Trump sulla politica estera statunitense.

Il risultato di ciò, sempre secondo gli autori, è che “i Balcani occidentali sono diventati un posto molto più pericoloso”, mentre la credibilità dell’Unione Europea, soprattutto dopo la moratoria sull’allargamento imposta da Juncker, è rimasta intatta solo grazie al ruolo della Germania, che ha creato una sua politica indipendente verso l’area sud-orientale del continente.

Partendo quindi da questi presupposti, vengono sviluppate una serie di altre considerazioni, che per semplicità del lettore verranno riassunte nell’ordine in cui compaiono nel paper.

  • LE DIVISIONI ABBONDANO: in questo primo capitolo, grande attenzione viene data all’ascesa al potere di Aleksandar Vucic e alla sua promessa iniziale di avvicinarsi alla UE e trovare una soluzione accettabile per la Serbia sulla questione kosovara. In particolare il presidente serbo viene criticato per aver cercato il supporto della Russia, vista come un possibile appoggio nel caso in cui il progetto europeo dovesse continuare ad affondare. Mosca, dal canto suo, viene attaccata a causa dei suoi stretti rapporti con Milorad Dodik (presidente della Rep. Srpska), ossia il leader che assieme ai suoi più stretti collaboratori avrebbe “speso un decennio a cercare di distruggere le fragili strutture della Bosnia”. Sorprendentemente, però, nell’ambito della crisi del Paese viene anche riconosciuta una certa responsabilità alla comunità croata di Bosnia e, in misura minore, a quella musulmana. La responsabilità del Cremlino, comunque, secondo l’AC si estende ulteriormente al Kosovo, in cui viene accusato di aver realizzato “fake news” per aizzare i serbi contro gli albanesi, al Montenegro e, soprattutto, alla Macedonia. Proprio quest’ultima è l’oggetto di un lungo approfondimento, nel quale, viene elogiato il nuovo Primo Ministro Zoran Zaev, capace di spodestare il VRMO-DPMNE, ossia il partito dell’ex premier Gruevski, considerato troppo vicino alla Russia. Ciò che stupisce di più, però, è l’ammissione che anche in Kosovo il nazionalismo spinto rappresenti una preoccupazione, nonostante Pristina venga spesso rappresentata come un alleato di ferro degli USA e la dimostrazione più chiara del successo della politica estera americana nell’area.
  • COSA VUOLE LA RUSSIA? Si tratta del passaggio probabilmente più controverso dell’intero studio, in quanto, più che di un’analisi, assume i toni di un vero e proprio attacco nei confronti di Mosca. Questa, infatti, viene accusata di condurre una politica distruttiva incentrata sull’ottenimento di 3 obiettivi separati:
    1. Distrazione: ossia la creazione di confusione nell’area balcanica allo scopo di spostare il focus euro-atlantico dalle zone di maggiore interesse (come l’Ucraina) ai Balcani;
    2. Minaccia: destabilizzare scientemente l’ex-Jugoslavia, in quanto un’eventuale escalation (viene fatto esplicito riferimento ad una nuova guerra civile) rappresenterebbe appunto una minaccia diretta all’Europa;
    3. Precedente: mettere cioè in discussione i confini post-Dayton per modificare anche quelli della Crimea, del Donbass e delle Repubbliche Baltiche.

Come già avvenuto nel caso delle simulazioni della Rand e di altri think-tank su un’ipotetica invasione russa del Baltico, emerge qui l’idea che Mosca rappresenti ormai un chiaro nemico non solo dell’Occidente, ma anche delle stesse popolazioni destinate ad essere vittime della Sua politica estera. Proprio l’aspetto relativo alla volontà di queste nazioni assume una notevole importanza in quanto, contrastando parzialmente con quanto scritto nelle pagine precedenti, l’AC evidenza come “la popolazione della regione sa che non c’è futuro assieme alla Russia” che “rimane un attore relativamente debole nella regione”. Questi aspetti, quindi, vengono usati in quella che sembra essere a tutti gli effetti la riproposizione della missione universalistica americana per la liberazione dei popoli oppressi da regimi o influenze non democratiche.

  • SOTTO I RIFLETTORI: CORRUZIONE, NON “ODI ANTICHI”: abbandonando per un attimo il ruolo “malefico” di Mosca, in questa sezione l’accento viene messo sulle ragioni che hanno portato le diverse etnie a combattersi nel corso dei secoli. Secondo gli autori, la causa scatenante di questo fenomeno è da ricercare nella presenza di stati disfunzionali, corrotti e frutto di una scarsa esperienza nell’autogoverno. Conseguenza di ciò sarebbe l’affermazione costante, negli ultimi anni, di uomini forti, attorno ai quali si concentra l’intero potere istituzionale. A sostegno di tale tesi vengono portati i casi di Milo Đukanović (Montenegro), Hashim Thaçi (Kosovo) e Milorad Dodik (Rep. Sprska), ma anche di Aleksandar Vučić (Serbia), Dragan Ćović (Croati di Bosnia) e Bakir Izetbegović (comunità bosgnacca).

Il ragionamento, per quanto sensato, incontra però un grosso limite nel momento in cui ci si accorge che alcuni di questi “big men” sono stati e sono tutt’ora dei partner fondamentali per Washington e Bruxelles, nonché che la loro stessa ascesa al potere è stata fortemente caldeggiata dagli Stati Occidentali. Lo stesso procedimento è infatti attualmente in atto con Zoran Zaev, che sta lentamente sostituendo Gruevski nel ruolo di “uomo forte” della Macedonia. Infine, non va neppure dimenticato che buona parte della politica europea dell’ultimo secolo è stata, nel bene e nel male, dettata e plasmata da singoli leader carismatici o “illuminati”.

  • UNA SVEGLIA PER GLI STATI UNITI: partendo dall’assioma secondo cui i Balcani rappresentano il “ventre molle dell’Europa”, l’Atlantic Council ritiene che la chiave della sicurezza e di conseguenza dell’instabilità dell’area, sia rappresentata dalla Bosnia Erzegovina, la cui unità è messa a repentaglio da quello che viene definito “settarismo” (il nazionalismo). A questa considerazione vengono affiancati anche un approfondimento sulla cosiddetta “rotta balcanica” dell’immigrazione e una breve descrizione del fenomeno dell’estremismo islamico.Lo scopo è quello di evidenziare gli ambiti su cui la Russia (sempre lei) ha investito maggiormente per seminare discordia nella regione. Proprio in risposta a questo sforzo nemico, l’AC ritiene sia fondamentale che gli USA riprendano il proprio ruolo di stabilizzatori, il che sarebbe possibile attraverso 3 azioni potenzialmente in grado di mutare l’intero scenario locale:
  1. Stabilire una presenza militare permanente nell’Europa sud-orientalepartendo chiaramente dalla base di Bondsteel, già in grado di ospitare un contingente di 7000 uomini. Il tutto potrebbe essere facilitato dalla fine della missione KFOR, a cui dovrebbe seguire un crescente impegno militare statunitense nell’area. Come è facile immaginare, infatti, il Kosovo sarebbe ben felice di poter ospitare altri soldati statunitensi, mentre la popolazione serba non avrebbe altra scelta che affidarsi alle truppe straniere per veder garantita la propria sopravvivenza e permanenza. Un contingente “sostanzioso”, inoltre, garantirebbe gli attuali confini degli alleati e permetterebbe di accreditare gli USA come potenza realmente interessata alla difesa dello status quo. Secondo gli autori, inoltre, a ciò dovrebbe essere affiancata la proposta di fornire supporto agli “amici” nelle operazioni di controspionaggio, spingendoli magari proprio a richiedere un tale intervento.
  1. Perseguire uno “storico” riavvicinamento con la Serbia, ossia convincere Vučić ad annacquare i legami con Mosca e i media locali a dare “un’adeguata copertura mediatica” a quelli che sarebbero i risultati (positivi) di un avvicinamento agli USA. Quest’ultimo aspetto, in particolare, è interessante, in quanto evidenzia una parziale verità. Infatti, sebbene il Presidente sia in grado di influenzare pesantemente quotidiani e televisioni, non va dimenticato che una buona fetta dei media locali sono di proprietà straniera (soprattutto tedesca, americana e turca).
  1. Riguadagnare la reputazione statunitense di onesto intermediario, ossia sfruttare le debolezze europee per guadagnare terreno. Nella prima parte di questo paragrafo, infatti, viene ribadita l’attitudine (sbagliata) che ha portato l’Europa a credere che qualsiasi problema potesse essere risolto con la semplice promessa di entrare a far parte dell’unione, usando cioè una leva prettamente burocratica. Nella più classica versione dell’eccezionalismo statunitense, quindi, risulterebbe compito di Washington correggere la miopia di Bruxelles, soprattutto attraverso una diversa gestione del rapporto con gli uomini forti locali.
  • DALLA SICUREZZA ALLA PROSPERITÀ: l’ultimo capitolo, forse quello più politico e meno tecnico, può essere riassunto con una semplice frase: “dovrebbe essere reso chiaro ai Russi che stanno solo perdendo tempo e denaro cercando di spargere caos nella regione”.

Alla luce di quanto sopra, è ora possibile fare una serie di commenti tecnici sul paper. Il primo aspetto da portare all’attenzione è certamente che non si tratta di un lavoro qualitativamente interessante, quanto piuttosto di un manifesto programmatico che risponde ad una serie di esigenze.

La più importante è quella di dare una giustificazione al perseguimento di una politica anti-russa nei Balcani. Nonostante lo sforzo di inserire dei sondaggi relativi al supporto di cui godono gli USA nell’area, però, questa sembra essere motivata più da una chiara ostilità nei confronti del Cremlino unita ad una sorta di “fardello dell’uomo bianco” che da una reale paura delle popolazioni locali per quanto sia in grado di fare Mosca.

Inoltre, risulta anche peculiare il fatto che ad una presunta minaccia asimmetrica, l’Atlantic Council proponga di rispondere nel modo più convenzionale che gli USA conoscono, ossia mettendo sulla bilancia il peso delle proprie forze armate e della propria economia.

Oltre a ciò, emerge con chiarezza la sottovalutazione del pericolo rappresentato dall’estremismo islamico rafforzatosi lungo l’asse Bosnia-Sangiaccato-Kosovo-Albania, il che però non stupisce, in quanto il think tank gode di forte supporto proprio in alcuni dei paesi che hanno maggiormente investito per “reislamizzare” i Balcani. Questo “omissis” è particolarmente grave, in quanto si inserisce in quella diffusa tendenza a sottostimare il ruolo imperialista di alcuni stati musulmani per ragioni economiche e politiche.

Il terzo punto che colpisce è la totale assenza di fonti in lingua locale e la presenza di pochi riferimenti a studiosi o esperti provenienti dall’area. Se ciò è da un lato giustificato dall’oggettiva difficoltà del mondo accademico locale di realizzare opere di qualità, dall’altro finisce per limitare notevolmente le fonti e orientarle inevitabilmente in senso-filo occidentale, dato che solitamente i grandi network in lingua inglese non danno troppo spazio alle voci più critiche delle politiche euro-atlantiche.

Infine, sebbene vi siano numerosi riferimenti al ruolo complementare di USA e UE, il documento sembra tracciare piuttosto le linee guida per sostituire Bruxelles in loco, un’ambizione non esagerata visto che, come sottolineato in precedenza, a causa della debolezza italiana e del disinteresse francese, la politica europea nei Balcani si limita alle azioni tedesche e agli spunti individuali di Federica Mogherini.

Quanto sopra, sebbene non rifletta in pieno la linea dell’attuale amministrazione americana, deve rappresentare un campanello d’allarme per tutti quei paesi (Italia in primis) che hanno forti interessi nell’area e che rischierebbero seriamente di trovarsi “fuori dai giochi” qualora anche solo alcune delle linee guida proposte dovessero essere messe in pratica. In aggiunta a ciò, grande attenzione e cautela dovrebbe essere applicata anche alla tendenza di alcuni ambienti interventisti presenti fra i democratici e i conservatori americani a interpretare qualunque sfida geopolitica con il prisma dello scontro fra Est e Ovest, sia perché ci farebbe nuovamente finire sulla linea di fuoco, sia perché ci impedirebbe di prestare le dovute attenzioni ai competitors più attivi, come Turchia, monarchie del Golfo e Cina.

Foto: Reuters, EPA, KFOR e RT


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La ricetta choc Usa: «I confini di Tito da ridisegnare» 

L’analista Schindler sul New York Observer, quotidiano del genero e consigliere di Trump, vuole cancellare Dayton 

di Mauro Manzin, 15 maggio 2017


TIRANA Tirana strizza l’occhio al Kosovo per creare la Grande Albania, la Republika srpska non ha mai nascosto le sue ambizioni di diventare parte integrante della Serbia, in Bosnia-Erzegovina i croati chiedono di diventare entità come i serbi e i bosgnacchi. Insomma, tutti contro tutti. In mezzo un’Unione europea che rischia di fare la fine del vaso di coccio tra i due giganti mondiali d’acciaio: Usa e Russia. Lo scenario balcanico anche in vista del Summit di Trieste, prolungamento naturale del Processo di Berlino è decisamente oscuro e pieno di nubi.

A ulteriormente complicare le cose ci mette lo zampino anche la nuova amministrazione a stelle e striscie capitanata da Donald Trump. Il messaggio arriva chiaro dalle righe del New York Observer, il quotidiano è di proprietà di Jared Kushner, genero e consigliere del presidente Usa e reca la firma di John Schindler, esperto di difesa ed ex analista dell’agenzia per la sicurezza nazionale (Nsa) e riprese dal Delo di Lubiana. Ebbene, secondo Schindler, quanto sta succedendo ora nei Balcani altro non è se non il frutto del peccato mortale messo in atto dall’Occidente, Ue e Nato su tutti, che ha accettato le vecchie frontiere comuniste di Tito quali confini delle repubbliche nate sulle ceneri di quella che fu la Repubblica federativa socialista di Jugoslavia. Non è stato capito che quei confini, tra le repubbliche della Federativa, sostiene Schindler, altro non erano se non un capriccio dei funzionari comunisti e non rispecchiavano la realtà etnica del Paese.

Per l’analista americano la Ue e la Nato hanno con cocciutaggine predicato l’illusione di una convivenza interetnica che presupponesse che nella regione fosse possibile vivere nell’unità e nella fratellanza (guarda caso uno dei concetti fondamentali di Tito ndr.).

È una triste realtà, invece, obietta Schindler, che Tito ha preservato la Jugoslavia con una combinazione fatta di carisma personale, saggezza politica e di una sgradevole polizia segreta. L’Occidente, ribadisce l’analista Usa, ha con insuccesso cercato di mantenere i confini comunisti. In Bosnia e in Kosovo poi, continua Schindler, le minoranze che sono fuggite di fronte alla guerra non vogliono tornare nei loro luoghi d’origine. Forse per paura o forse per una sorta di particolarismo etnico. Sta di fatto che non tornano.

Quindi, e qui c’è veramente da aver paura, l’analista statunitense propone di ridisegnare i confini della ex Jugoslavia. Su tutto va, per Schindler, “rettificata” la Bosnia-Erzegovina permettendo che la Republika srspka si unisca alla Serbia e che l’Erzegovina occidentale si riunisca alla Croazia visto anche in quell’area la stragrande maggioranza dei cttadini ha già oggi il passaporto croato. Schindler definisce l’architettura istituzionale degli Accordi di Dayton del 1995 «grottesca» che impedisce il funzionamento di qualsivoglia istituzione statale, e, in effetti, la crisi politica e lo stallo istituzionale permanente a Sarajevo lo sta ampliamente dimostrando.

Ma non finisce qui. Schindler invita la Serbia a riconoscere il Kosovo non prima di aver ottenuto in cambio la regione di settentrionale (serba) e della valle di Preševo. L’analista poi giudica «irrevocabile» la futura unione di Kosovo e Albania nella cosiddetta Grande Albania che comprenderebbe però anche parti della Macedonia. Perché lasciare che ciò avvenga autonomamente e quindi con un conflitto e non pilotare meglio il tutto a livello di mediazione internazionale dando alla Russia lo status di Paese equivalente a quello degli altri attori occidentali? Come contropartita ci sarebbe l’ingresso nell’Ue dei nuovi Balcani occidentali che otterrebbero anche una buona iniezione di finanziamenti. Una compensazione che dovrebbe giungere soprattutto alla Macedonia che in questo processo avrebbe il ruolo di agnello sacrificale.

Diverso però è l’approccio russo. Jelena Ponomarjova, una dei principali esperti di Mosca per i Balcani sostiene che la crisi politica in Macedonia e l’idea di Grande Albania sono strumenti degli Usa per destabilizzare l’Europa e, contemporaneamente, per cercare di togliere l’area dall’influenza russa. Ponomarjova non esclude neppure una guerra civile in Macedonia che spezzerebbe il Paese in due.

Insomma, dipinto da Washington o da Mosca lo scenario balcanico minaccia nuovamente di grondare sangue. Sangue di innocenti nel nome della nuova Guerra fredda.



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(italiano / serbocroato)

Solidarietà / Solidarnost s palestinskim narodom

1) Zajednička deklaracija komunističkih i radničkih partija u znak solidarnosti s palestinskim narodom
2) SRP: A proposito del riconoscimento di Gerusalemme quale capitale di Israele / Povodom priznanja Jeruzalema za glavni grad Izraela
3) NKPJ: Stop zločinina nad narodom Palestine
4) Comitato Contro La Guerra Milano: PER IL RISPETTO DELLA CAUSA PALESTINESE


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Zajednička deklaracija komunističkih i radničkih partija u znak solidarnosti s palestinskim narodom

15. prosinca 2017.

Komunističke i radničke partije koje potpisuju ovu zajedničku deklaraciju:

1. Oštro osuđuju neprihvatljiv stav predsjednika SAD-a, Donalda Trumpa, putem kojeg SAD priznaju Jeruzalem kao glavni grad Izraela.

2. Ova odluka snažno potkopava pravednu borbu palestinskog naroda protiv izraelske okupacije i za stvaranje i priznanje palestinske države u granicama iz 1967. godine, s Istočnim Jeruzalemom kao glavnim gradom. Štoviše, ova odluka, koja predstavlja opasnu provokaciju protiv naroda Bliskog istoka, ide u smjeru povećanja sukoba u regiji radi omogućavanja američkih imperijalističkih planova.

3. EU i općenito vodstvo njenih država članica također snose odgovornosti za takvu odluku, budući da produbljuju svoje odnose s izraelskom državom u isto vrijeme kada izraelska država tlači i ubija palestinski narod.

4. Pozivamo radnike i sve narode svijeta da ojačaju svoju solidarnost s palestinskim narodom kako bi oslobodili tisuće političkih zatvorenika iz izraelskih zatvora; razbili zid sramote; prisilili na povlačenje izraelsku vojsku sa svih okupiranih područja od 1967. godine, uključujući i Golansku visoravan (Siriju) i farme Šeba (Libanon); okončaju sve blokade palestinskog naroda na Zapadnoj obali i Pojasu Gaze; kampanju za povratak palestinskih izbjeglica na svoja ognjišta, u temeljem relevantnih rezolucija UN-a; nastaviti borbu za priznavanje neovisne, suverene i održive palestinske države unutar granica 1967. s Istočnim Jeruzalemom kao glavnim gradom.

 

Komunistička partija Albanije
PADS, Alžir
Komunistička partija Australije
Partija rada Austrije
Komunistička partija Azerbajdžana
Progresivna tribina u Bahreinu
Komunistička partija Bangladeša
Komunistička partija Wallonije – Bruxelles
Radnička partija Belgije
Brazilska komunistička partija
Komunistička partija Brazila
Socijalistička radnička partija Hrvatske
AKEL
Komunistička partija Češke i Moravske
Komunistička partija u Danskoj
Komunistička partija Estonije
Komunistička partija Ekvadora
Komunistička partija Finske
Njemačka komunistička partija
Ujedinjena komunistička partija Gruzije
Komunistička partija Grčke
Mađarska radnička partija

Komunistička partija Indije
Komunistička partija Indije (marksista)
Partija Tudeh  Irana
Iračka komunistička partija
Komunistička partija Irske
Radnička partija Irske
Komunistička partija (Italija)
Socijalistički pokret Kazahstana
Korejska radnička partija

Socijalistička partija Latvije
Komunistička partija Luksemburga
Komunistička partija Malte
Komunistička partija Meksika
Narodna Socijalistička partija Meksika
Nova komunistička partija Nizozemske
Komunistička partija Norveške
Palestinska komunistička partija

Palestinska narodna partija

Paragvajska komunistička partija
Filipinski komunistička partija [PKP 1930]
Portugalska komunistička partija
Rumunjska Socijalistička partija

Komunistička partija Ruske Federacije
Ruska komunistička radnička partija

Savez komunista – KPSS
Komunistička partija Sovjetskog Saveza
Nova komunistička partija Jugoslavije
Partija komunista Srbije
Južnoafrička komunistička partija
Komunistička partija naroda Španjolske
Komunistička partija Šri Lanke
Sirijska komunistička partija
Komunistička partija Turske
Komunistička partija Ukrajine
Savez komunista u Ukrajini
Komunistička partija SAD


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DICHIARAZIONE DEL PARTITO SOCIALISTA DEI LAVORATORI DELLA CROAZIA (SRP) 
A PROPOSITO DEL RICONOSCIMENTO DI GERUSALEMME QUALE CAPITALE DI ISRAELE

Il riconoscimento e la dichiarazione del presidente USA Donald Trump, per cui Gerusalemme sarebbe la capitale di Israele, secondo uno schema già noto e tradizionale di sostegno alla aggressiva politica israeliana, non conduce ad alcuna soluzione che soddisfi le parti in conflitto bensì intensifica la crisi nel Vicino Oriente.
Gli USA, con le loro attività nella zona menzionata, proseguono con una furia imperialista e sostengono vergognosamente il regime politico, logistico e militare che da decenni opprime il popolo palestinese, il quale per la sua lotta merita l\'appoggio di tutti gli individui progressisti e amanti della libertà. I grotteschi rapporti degli USA con il governo israeliano e con i regimi reazionari arabi che interloquiscono con il governo statunitense, mettono direttamente in discussione il diritto del popolo palestinese alla autodeterminazione con obiettivo la fondazione di uno Stato palestinese con Gerusalemme Est come capitale, in base alla Risoluzione ONU ed ai confini stabiliti prima del 4 giugno 1967, data in cui ebbe inizio l\'occupazione. Tale decisione calpesta tutte le vittime che il popolo palestinese ha sacrificato dall\'inizio del conflitto e porterà sicuramente a nuove impennate di violenza, di cui siamo già testimoni.
Il presidente americano, con i suoi fedeli alleati, chiarisce che non gli interessano la pace e la giustizia, bensì, deluso per la sconfitta dello Stato Islamico e dalla politica americana in Iraq e Siria, ostinatamente dimostra al mondo la continuità dell\'imperialismo americano con l\'interferenza non richiesta nella politica interna di paesi sovrani ovunque nel mondo.
SRP condanna con la massima decisione la politica imperialista degli USA e delle loro diramazioni nel mondo. Ci battiamo per la fine della occupazione fino alla creazione di uno Stato di Palestina con Gerusalemme Est capitale come base della coesistenza per il bene dei popoli arabo ed ebraico.

11 dicembre 2017
Kristofor Štokić a nome del SRP



IZJAVA SRP-a POVODOM PRIZNANJA JERUZALEMA ZA GLAVNI GRAD IZRAELA

Priznanje i objava američkog predsjednika Donalda Trumpa da je Jeruzalem glavni grad Izraela, u već poznatoj i tradicionalnoj maniri podrške agresivnoj izraelskoj politici, ne dovodi do rješenja koje će zadovoljiti sukobljene strane, već produbljuje sukob na Bliskom Istoku.
SAD, u svojem djelovanju u navedenom području, nastavlja s imperijalističkim divljanjem i besramno podržava politički, logistički i vojni režim koji desetljećima ugnjetava palestinski narod koji u svojoj borbi zaslužuje podršku svih progresivnih i slobodoljubivih ljudi. Nakaradna suradnja SAD-a s izraelskom vladom i reakcionarnim arapskim režimima, koji surađuju s vladom SAD-a, direktno osporavaju pravo palestinskog naroda na samoopredjeljenje u vidu stvaranja palestinske države s Istočnim Jeruzalemom kao glavnim gradom, sukladno rezoluciji UN-a i u granicama utvrđenim prije 4. lipnja 1967. od kada traje okupacija. Ovakva odluka direktno je gaženje svih žrtava koje je palestinski narod podnio od početka sukoba i sigurno će dovesti do nove eskalacije nasilja, čemu smo već i svjedoci.
Američki predsjednik, sa svojim vjernim saveznicima, potvrđuje da mu nije stalo do mira i pravde, već, razočaran propašću Islamske države i uloge američke politike u Iraku i Siriji, nepomirljivo pokazuje svijetu kontinuitet američkog imperijalizma nepozvanim uplitanjem u unutrašnje politike suverenih država diljem svijeta.
SRP najenergičnije osuđuje imperijalističku politiku SAD-a i njegovih ekspozitura u svijetu. Zalažemo se za završetak okupacije te za formiranje palestinske države s Istočnim Jeruzalemom kao glavnim gradom kao temeljem suživota na dobrobit arapskog i židovskog naroda.

11. XII. 2017.

u ime SRP-a,
Kristofor Štokić


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STOP ZLOČININA NAD NARODOM PALESTINE

Nova komunistička partija Jugoslavije izražava najoštriji protest povodom cinične odluke SAD-a da prizna Jerusalim kao glavni grad države Izrael.

Ovo je još jedan pokazatelj aktivne imperijalističke podrške Izraelu i njihovoj krvavoj politici nastavka okupacije Palestine, nasilja protiv palestinskog naroda, stotine ubistva civila, političkih progona, hapšenja i uskraćivanja elementarnih prava palestinskom narodu.

Potez aktuelnog predsednika Donalda Trampa vodi ceo region Bliskog istoka u pravcu jedne nove eskalacije sukoba i ratnih dejstava i direktno je u suprotnosti sa rezolucijom Saveta bezbednosti UN o statusu grada Jerusalima.

NKPJ polazi od jasnog stava koji je izrečen mnogo puta - postizanje pravičnog i održivog rešenja koje podrazumeva okonačanje okupacije Palestine od strane Izraela i uspostavljanje međunarodno priznate države Palestine u granicama od pre 4. juna 1967. godine sa Istočnim Jerusalimom kao svojim glavnim gradom, uz pravo na povratak palestinskih izbeglica i oslobađanje svih palestinskih političkih zatvorenika iz izraelskih zatvora. Ujedno zahtevamo priznanje Palestine kao punopravne članice UN-a!

Sekretarijat NKPJ, 08. 12. 2017.


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Per il rispetto della causa palestinese

Il Comitato Contro La Guerra Milano si riconosce nel comunicato del PCPS (https://comitatocontrolaguerramilano.wordpress.com/2017/12/11/comunicato-del-pcps-comitato-palestinese-per-la-pace-e-la-solidarieta), membro del World Peace Council (Consiglio Mondiale per la Pace).

E’ dunque imbarazzante per noi vedere come, in occasione del presidio tenutosi a Milano il 9 dicembre contro la decisione degli Stati Uniti di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele, si possano mostrare le bandiere di presunti “eserciti liberi” addestrati proprio dagli USA e che hanno goduto del sostegno di guerrafondai come il senatore John McCain nonché del supporto di Israele, che ha curato nei propri campi ospedalieri, nel Golan occupato, i cosiddetti “ribelli siriani” feriti in battaglia.

Ciò costituisce una grave provocazione contro il codice di onestà e coerenza a cui dovrebbero ispirarsi tutti i sinceri progressisti che sono in difesa dell’emancipazione della Palestina.

A più riprese, dal 2013, la causa palestinese è stata strumentalizzata da organizzazioni vicine al Free Syrian Army, esercito mercenario formato nel 2011 per combattere il governo siriano, e i cui miliziani sono spesso confluiti tra le fila di al-Nusra, di ISIS e poi all’interno delle forze curde nel Nord della Siria, a seconda della convenienza strategica di fronte ai meriti ottenuti dall’Esercito Arabo Siriano nella lotta contro il terrorismo.

Permettere che certe bandiere compaiano ancora nelle mobilitazioni pro-palestinesi significa non voler comprendere che l’eventuale disgregazione di Paesi come la Siria, così come l’Iran, da parte dell’alleanza tra Stati Uniti, Israele e Arabia Saudita, sarebbe disastrosa per la stessa Palestina.

Le organizzazioni più coerenti, come il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), si sono espresse più volte sulla questione e sanno bene da che parte stare: con l’Asse della Resistenza, che comprende la Siria nella sua integrità e la rispettiva bandiera panaraba con le due stelle verdi.

Comitato Contro La Guerra Milano




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(srpskohrvatski / italiano)

Tribunale di guerra

1) Izjava Socijalističke Radničke Partije povodom donošenja pravomoćne presude BiH šestorki / Dichiarazione del SRP in occasione della sentenza definitiva contro i sei accusati per crimini di guerra in Bosnia-Erzegovina

2) Rusija je danas u Savetu bezbednosti UN ocenila da je Haški tribunal \"diskreditovao celu ideju međunarodne pravde / Al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite la Russia denuncia che il Tribunale dell\' Aia \"ha completamente discreditato l\'idea della giustizia internazionale\"

3) INTERVJU: Nikola Šainović
 

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DICHIARAZIONE DEL PARTITO SOCIALISTA DEI LAVORATORI DI CROAZIA IN OCCASIONE DELLA SENTENZA DEFINITIVA CONTRO I SEI ACCUSATI PER CRIMINI DI GUERRA IN BOSNIA ED ERZEGOVINA

Non c\'è dubbio che il Tribunale internazionale per i crimini commessi sul territorio dell\'ex Jugoslavia durante il suo lavoro ha emesso anche decisioni condizionate politicamente. Non c\'è dubbio che questo Tribunale ha esercitato la giustizia, in relazione alle tre parti in causa nei crimini commessi, con il criterio dei \"due pesi e due misure\". È evidente che il Tribunale ha emesso alcune sentenze favorevoli alla parte croata ed è indiscutibile che molti dei crimini commessi non sono stati processati, il che significa che dopo le sentenze dei processi, durati per quasi un quarto di secolo, le vittime non sono state formalmente risarcite né puniti gli artefici.

In casi come questi non ci sono e non possono esserci parti soddisfatte e le loro lamentele sono naturali e comprensibili, ma l\'esplosione di rabbia dei media e delle istituzioni della Croazia, iniziata il 29 novembre, dopo la lettura della condanna dei 6 croati bosniaco-erzegovesi incriminati, mentre uno di loro si è tolto la vita pubblicamente e teatralmente, esula da ogni comportamento normale e civile.

Non abbiamo il diritto né la competenza per mettere in discussione le decisioni del Tribunale ed ancora meno per replicare come sta facendo la presidente croata, ma abbiamo il diritto ed il dovere di indicare e condannare gli aspetti risultanti, e questa unità quasi plebiscitaria della politica croata, fino ai più alti incarichi di governo, che vorrebbe amnistiare i sei condannati per crimini di guerra e celebrare loro e le loro azioni. Contemporaneamente, la stessa retorica è utilizzata da quasi tutti i media croati, con poche eccezioni.

Tale clima ad altro non serve che ad aizzare la pubblica opinione in una atmosfera di linciaggio, con esplicite minacce alla vita di quelli che vogliono esaminare tutto l\'insieme in modo critico – al che il Governo è rimasto indifferente e sordo.

Non vogliamo occuparci dei casi singolarmente, ma ci interessa il merito delle cose, e questo è che il Tribunale \"un attimo prima\" della sua fine ha confermato quello che sapevamo e sapevano sin dall\'inizio quelli aperti al dialogo – cioè che gli stessi vertici di governo di allora, con a capo il partito HDZ [fondato da Tudjman, ndt], dettero inizio e furono profondamente coinvolti nei fatti che si svolgevano in Bosnia ed Erzegovina, e che questa politica dura tuttora. La reazione collerica del governo croato, dei media e della pubblica opinione sulla questione che riguarda il vicino Stato non giova alla reputazione della Croazia, viceversa evidenzia il suo autismo politico.

Questo, assieme tante altre cose ben note, rafforza la conclusione per cui nelle guerre civili ci sono tante verità quante sono le parti in causa.

A Zagabria, 2 dicembre 2017
La Presidenza del SRP di Croazia



IZJAVA SOCIJALISTIČKE RADNIČKE PARTIJE POVODOM DONOŠENJA PRAVOMOĆNE PRESUDE BiH ŠESTORKI

Nije sporno da je Međunarodni sud za zločine počinjene na području bivše Jugoslavije tokom svog rada donosio i politički uvjetovane odluke. Nije sporno da je taj sud primjenjivao i nejednakomjerne kriterije u odnosu na učesnike triju strana u počinjenim zločinima. Nije sporno da je taj sud donio i neke vrlo povoljne odluke za hrvatsku kvotu u postupku, a najmanje je sporno da je ogromna količina počinjenih zločina ostala neprocesuirana, što znači da žrtve nisu formalno obeštećene, a počinioci kažnjeni, nakon suđenja koja su trajala skoro četvrt stoljeća.

U slučajevima poput ovoga, nema niti može biti zadovoljnih strana i njihovo lamentiranje je prirodno i razumljivo, ali erupcija bijesa koja je 29. novembra krenula u hrvatskim medijima i institucijama, nakon što je tokom čitanja presuda zadnjoj grupi haških optuženika, šestorici bosansko-hercegovačkih Hrvata, u javnom nastupu na teatralan način jedan od pravomoćno osuđenih sam sebi oduzeo život, izvan je uzanci normalnog i civiliziranog ponašanja.

Nemamo pravo ni kompetencije da propitujemo odluku suda, a još manje da sudu dociramo kao što to čini hrvatska predsjednica, ali imamo pravo i dužnost da ukažemo i osudimo nastale pojave, a to je skoro pa plebiscitarno jedinstvo hrvatske politike i najviših vlasti u pokušaju amnestiranja „šestorke“ pravomoćno osuđene za ratne zločine i uzdizanje njih i njihovih djela. Istovremeno, s istom retorikom krenuli su i gotovo svi mediji u Hrvatskoj, uz nekolicinu izuzetaka.

Takva klima bila je samo podsticaj naelektriziranoj ulici da pokrene atmosferu linča s eksplicitnim prijetnjama prema životu onih koji su imali potrebu da kritički sagledaju ukupnost stvari – na što je vlast ostala indiferentna i gluha.

Mi se ne želimo baviti pojedinim slučajevima, već nam je bitan meritum stvari, a to je da je sud u svojoj završnici, „tik pred ciljem“, potvrdio ono što smo znali od početka, ali i drugi slobodnomisleći pojedinci – da je sam tadašnji vrh hrvatske države, s HDZ-om na čelu, inicirao i bio duboko involviran u procese koji su se odvijali u Bosni i Hercegovini i ta politika traje i danas. Kolerično reagiranje hrvatskih vlasti, medija i ulice, koje se odnosi na predmet iz susjedne države, neće doprinijeti ugledu Hrvatske, nego naprotiv – podcrtava njen politički autizam.

To, uz sva ostala saznanja, potkrepljuje stav da u građanskim ratovima ima onoliko istina koliko je strana u njima.

U Zagrebu, 2. XII. 2017.
Predsjedništvo Socijalističke radničke partije Hrvatske


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Russia: Chi sono i colpevoli dei feroci crimini commessi contro i serbi
Al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite la Russia denuncia che il Tribunale dell\' Aia \"ha completamente discreditato l\'idea della giustizia internazionale\"


Rusija: Ko je kriv za varvarske zločine nad Srbima

Autor: MONDO/Agencije
Rusija je danas u Savetu bezbednosti UN ocenila da je Haški tribunal \"diskreditovao celu ideju međunarodne pravde\".
06.12.2017.

Na sednici o poslednjem izveštaju o radu Tribunala, ruski ambasador rekao je da je taj sud primenjivao \"dvostruke aršine\" u svom radu jer niko nije osuđen za \"varvarske\" zločine nad Srbima.

Rusija je ocenila da je Tribunal \"potkopao napore\" da se u bivšoj Jugoslaviji \"uspostavi mir postizanjem pravde\" time što su njegove presude izazivale nove sporove među državama i narodima u regionu.

\"Tribunal će ostati zabeležen u istoriji kao sud koji je Vojislava Šešelja držao 11 godina u pritvoru\", kazao je zastupnik Rusije.

Prema njegovim rečima, Tribunal nije optuženima pružao primerenu zdravstvenu negu, sve vreme tvrdeći suprotno.

Ruski ambasador rekao je da je bivši predsednik Srbije Slobodan Milošević 2006. umro u pritvoru, pošto je sud odbio da ga pusti na lečenje u Rusiju.

\"Ljudi nisu mogli biti lečeni u Rusiji, uprkos našim garancijama\", rekao je ruski predstavnik, aludirajući i na generala Ratka Mladića, koga Tribunal, takođe, nije pustio na lečenje u Rusiju.

Rusija je podvukla i da samoubistvo Slobodana Praljka u sudnici Haškog tribunala prošle srede, dovodi u pitanje bezbednosne procedure u tom sudu.


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INTERVJU NEDELJE

HAG MI NUDIO PROMENU IDENTITETA AKO OPTUŽIM MILOŠEVIĆA: Šokantna ispovest Nikole Šainovića!

Razgovarao Boban Karović
POLITIKA 10.12.2017.

Ponudili su da svedočim protiv Miloševića i da onda „nestanem“, da se moja porodica i ja sklonimo u neku zemlju po izboru, da dobijem novi identitet... Očekivali su da ću to da prihvatim, a ja to nisam ni uzimao u razmatranje. Milošević zaslužuje spomenik u Beogradu. On je veliki državnik iz teškog vremena, ogromna je njegova uloga u odbrani interesa srpskog naroda
Nikola Šainović, bivši premijer Srbije i potpredsednik vlade Jugoslavije, iz Haga se vratio pre dve godine i taj dan, kako kaže u intervjuu za Kurir, slavi kao novi rođendan.

Ovih dana je izabran za člana najvišeg rukovodstva SPS, ali ističe da ne vidi sebe u parlamentu i Vladi, već da će se angažovati u rešavanju sudbine RTB „Bor“. Uz to, nastaviće da mladima govori o onome što je naša država prošla burnih devedesetih.
- Mi, učesnici svega toga, dužni smo da mladim generacijama kažemo celu težinu drame kroz koju smo prošli. Naravno, uvek uz vođenje računa o žrtvama, istorijskim elementima i o neizazivanju novih konflikata. Ključno je da govorimo istinu i da idemo ka pomirenju - kaže Šainović. On za Kurir otkriva i kako su izgledali njegovi haški susreti sa Slobodanom Miloševićem, kakvu ponudu je dobio od Haga, ali se priseća i kako su devedesetih izgledali susreti s američkom državnom sekretarkom Madlen Olbrajt.

Na čiji predlog ste izabrani u vrh SPS?
- Ivica Dačić je predložio Glavnom odboru, koji je to jednoglasno prihvatio. Meni je drago, jer je to poštovanje od onih koji su meni najdraži - moji drugovi. To je pažnja prema jednom dugogodišnjem radu i naporu.

Neki su se pobunili i kritikovali vaše ponovno političko angažovanje nakon povratka iz Haga?
- Hag je međunarodni sud. Sa svim svojim manama. On me je optužio, ja sam pred sud izašao. Branio sam se koliko god sam znao i umeo. Sud je odlučio svoje, nigde mi nije zabranjeno ljudsko pravo na resocijalizaciju, koja podrazumeva i političko delovanje. Niko nema selektivno pravo da zatvara usta bilo kome.

Da li Dačić sluša savete stare garde socijalista?
- Dačić je vrlo dostupan za razgovor. Posebno cenim njegov napor da sačuva partiju u vremenu kad je sve bilo predodređeno i organizovano da partija nestane. To ne sme da se zaboravi. Pozivam svoju generaciju članova SPS da pomognu borbi stranke u jačanju međunarodnog položaja Srbije, koji se postiže, pre svega, jačanjem unutrašnje stabilnosti i delovanjem prema svetu na bazi naših starih dubokih ubeđenja.

Jeste li se privikli na slobodu nakon povratka iz Haga?
- Sad već mogu da kažem da jesam. Obeležio sam drugi rođendan, taj povratak računam kao rođendan. Nije nimalo bilo jednostavno 12 godina živeti u izolaciji, i to pod strahovitim optužbama i pritiscima. Ljudi me obično pitaju kakav je zatvor. Zatvor je u Hagu manji problem. Problem je sud. U zatvoru znate neka pravila, dok ih na sudu ne znate. Ja sam to obeležio sa tri N - neizvesnost, nesigurnost i nemoć. To je strahoviti psihološki pritisak koji ne može da ne ostavi trag. Ali, evo, sloboda je lek, kao i porodica i drugovi. Takođe, polako se vraćam i u svoju profesionalnu sferu, nikada se nisam odvojio od rudarstva, metalurgije i energetike... Pokušavam da malo pomognem u rešavanju sudbine RTB „Bor“.

Koliko vam je bilo teško po povratku iz zatvora?
- Ilustrovaću vam - vežbao sam da sam prođem pešice preko Terazija. Godinu dana mi je trebalo da neke za ljude obične stvari i meni postanu obične.

Haški tribunal je završio s radom ovog meseca. Kako biste oceniti njegov rad?
- Ogromna ratna drama na prostoru bivše Jugoslavije donela je ogromne nepravde i ogromnu glad za pravdom. Haški tribunal je na to trebalo da odgovori. Imao je istorijsku šansu za to, ali mislim da je nije na pravi način iskoristio. Umesto da odabere poznati pravni mehanizam, on je izmislio svoj, koji ga je odveo u selektivnu pravdu i kod tuženja i kod suđenja, i kod primene od slučaja do slučaja... A selektivna pravda odmah asocira na nepravdu. On nije doneo efikasnu pravdu. Bilo bi najbolje da je Hag sve žrtve na prostoru Jugoslavije tretirao kao jednu oštećenu stranu, a sve odgovorne stavio na jednu optuženičku klupu i sudio im ravnopravno.

Hrvatski general Slobodan Praljak se, pred kamerama i sudijama, ubio nakon osuđujuće presude. Kako vidite taj čin?
- On mi je bio sused u Hagu. Znam ga godinama, to je čovek duboko posvećen svojim ubeđenjima. Bio sam tamo kada mu je izrečena prvostepena presuda, on je bio duboko nezadovoljan, nije mogao da se pomiri s tim da je zločinac... Bilo mi je predvidivo da će napraviti jedan dramatičan gest protivljenja ako mu se potvrdi presuda, ali nisam očekivao ovako nešto. Pitaju se kako je uneo otrov... Pustite tehnička pitanja. Kako je mogao to da odluči? Kad takav čovek donese takvu odluku, on će je i izvršiti. To je treće samoubistvo u Hagu, to sud nosi kao deo svog nasleđa.

O čemu ste razgovarali s njim?
- Haški način komunikacije podrazumeva da prvo ustanovite pitanja o kojima ne možete da razgovarate jer se ne slažete potpuno. Kad to ustanovite, onda možete o svemu. Razgovarali smo o istoriji, tehničkim pitanjima, porodičnim problemima...

Vi ste jedan od retkih koji za sebe govori da nije baš nevin robijao?
- Kad je čovek na odgovornom položaju, odgovoran je i za dobro i za zlo. Desila su se ogromna stradanja, velike žrtve na svim stranama i, nažalost, neki naši ljudi su počinili zločine. Nekima je suđeno, nekima neće biti suđeno. Svestan sam da neko to mora da plati. Palo je na mene i ja nosim taj deo tereta. Nije sve bilo onako kako me je osudio sud, ali nije da nisu mogli da me osude.

Šta vam je nudio haški tužilac?
- Ponudili su mi da svedočim protiv Slobodana Miloševića i da onda „nestanem“, da se moja porodica i ja sklonimo u neku zemlju po izboru, da dobijem novi identitet... Očekivali su da ću to da prihvatim, a ja to nisam ni uzimao u razmatranje. Smatrao sam da nemam pravo da se sklonim. A pretnja, ako ne prihvatim, bila je - doživotna robija. Međutim, mislio sam da je ta alternativa gora doživotna robija.

Kako su izgledali vaši haški susreti i razgovori s Miloševićem?
- Mi smo bili dugo bliski i ranije, znali smo se još dok je on radio u banci. On me je u Hagu stavio na spisak svojih svedoka, a pošto se sam branio, to smo koristili da se srećemo češće, radi konsultacija. Bio je potpuno posvećen odbrani i svom nastupu u sudnici. Osim o tome, razgovarali smo i o zdravlju, porodici... Poslednji put smo se videli prilikom mog puštanja na privremenu slobodu, kad mi je rekao da me u to vreme neće pozivati za svedoka. Kazao je: „Videćemo se posle.“ Nažalost, on je umro u međuvremenu..

S vremena na vreme se aktuelizuje pitanje njegove smrti u Hagu... Je li on ubijen, kako to neki tvrde?
- Objavljena je knjiga dr Vukašina Andrića, koji je bio njegov lekar, i sada je poznat ceo Miloševićev zdravstveni dosije. Tu ima veoma dramatičnih upozorenja da je Miloševićevo zdravlje bilo ugroženo neadekvatnim lečenjem. Sud ga je pritiskao da se odrekne da se sam brani i taj pritisak se odrazio i na odlaganje njegovog lečenja, što nije smelo da se desi.

Oštra je polemika i o predlogu za podizanje spomenika Miloševiću u Beogradu.
- Da li će se podići spomenik je uvek političko pitanje, a ja lično mislim da on to zaslužuje. Milošević je veliki državnik iz teškog vremena, ostavio je trag u istoriji koji različiti ljudi vide na različite načine, ogromna je njegova državnička uloga u odbrani interesa srpskog naroda...

Presuda Ratku Mladiću, odnosno fusnota iz tog dokumenta, pokazala je da Milošević nije bio član udruženog zločinačkog poduhvata u BiH. Kako to vidite?
- Ta fusnota prvo razbija krajnje pojednostavljeno tumačenje da se cela jugoslovenska drama objašnjava Miloševićem. Zatim, ta fusnota pokazuje da je borba i potreba za državnošću i slobodom srpskog naroda u Bosni autentično njihova. Drama i zločini koji su se tu desili su odvojeni od onoga što je bila uloga Srbije. A uloga Srbije je bila samo da im pomogne u borbi za slobodu.

Hrvatski predsednik Franjo Tuđman, međutim, jeste bio kreator zločinačkog poduhvata u Bosni?
- Tuđman je imao jedan jedinstveni poduhvat, koji obuhvata i Bosnu i Hrvatsku i definisanje Herceg-Bosne i progon Srba iz Hrvatske. U haškoj dokumentaciji je to očigledno, jer je on za sobom ostavio sve snimljeno i zabeleženo. A za Miloševića se ne može vezati ideja o velikoj Srbiji. I haški tužilac Džefri Najs je u sudnici, pred živim Miloševićem, povukao optužnicu za veliku Srbiju.

Da li vas je iznenadila doživotna robija za Mladića?
- Nije me, nažalost, iznenadila, jer su neke prethodne presude presudile sve elemente koji su se našli i u Mladićevoj presudi. Ne znam dovoljno srebreničku dramu, te ne mogu da sudim o tome. Međutim, u presudi se ne vidi direktna Mladićeva odgovornost. Srebrenica je veliki zločin, ali i u tim prethodnim presudama piše da su taj zločin izvršili delovi vojske i delovi MUP. Dakle, ni vojska kao celina, ni MUP kao celina, pogotovo ne Republika Srpska i srpski narod. Zato u oceni Srebrenice ne treba da budemo gori Hag od Haga. Dovoljan je jedan Hag.

Zašto Srbija nikako ne može da reši pitanje Kosova? Vi ste i devedesetih to pokušavali...
- Devedesetih smo imali jednu dramatično nepovoljnu međunarodnu situaciju za nas - nemamo Rusiju na političkoj sceni. Odnosno, još gore, imamo Rusiju koja glasa ili se uzdržava za sve ono nepovoljno - od sankcija do Haškog tribunala. Danas se ta pozicija razlikuje za celog jednog Putina i za novu poziciju Rusije. Milošević je 1998, posle naše antiterorističke operacije, otišao kod Jeljcina za podršku da možemo da kažemo da je uspostavljen mir, koji želimo da se međunarodno potvrdi. Od njega je pak dobio zahtev da prihvati Misiju OEBS i Vokera. Ova Rusija je sada drugačija.

A šta sad s Kosovom?
- Ovde je sada ključno pitanje vojne neutralnosti, pa tek onda druga pitanja poput suvereniteta, svetinja... Put ka EU treba usmeriti ka modelu onih zemalja koje su deo Unije, a vojno su neutralne. To je ključno kako bi prestala borba za vojnu dominaciju nad Srbijom. Onda se kosovskom pitanju pristupa kao pitanju stabilnosti na Balkanu, a ne kao oružju koje velike sile koriste za ostvarivanje svoje dominacije. Očigledno je da nas Zapad putem Kosova pritiska..

Ali čekajte, Milošević je nudio predsedniku SAD Klintonu da Srbija uđe u NATO, a da zauzvrat Kosovo dobije autonomiju, bez nezavisnosti?
- Krajem devedesetih smo bili svesni da je Amerika toliko pritisla pitanje Kosova, a da mi nemamo nikakvu odstupnicu, zaleđinu, saveznika... Ta ponuda je bila krajnji pokušaj da sačuvamo Kosovo u sastavu Srbije. Milan Milutinović je to preneo američkom diplomati Kristoferu Hilu, koji mu odgovara: „To sad nije tema.“

Vi ste 1999. učestvovali u pregovorima u Rambujeu kako bi se kosovska kriza rešila mirnim putem. Zašto je zapravo to propalo?
- Svaki pokušaj da se otvori neki dijalog sa albanskom stranom je slomljen novim pritiskom na vojno pitanje, vojno prisustvo... Na kraju smo dobili dokument koji je podrazumevao okupaciju cele Jugoslavije - da dolaze snage NATO, da njihovi vojnici nose oružje po svom nahođenju, da mogu da liše slobode koga oni hoće i da ga izvedu pred odgovarajućeg službenika. Klasična okupaciona ponuda za koju su znali da ćemo odbiti. A pošto smo odbili - evo bombardovanje. To su otvoreno govorili. Najtvrđi „savet“ nam je saopštila američka državna sekretarka Madlen Olbrajt, i to na srpskom jeziku. Rekla je da je jedini spas srpskog naroda da prihvati to iz Rambujea. To je bila direktna pretnja.

Po čemu pamtite Olbrajtovu?
- Bila je u Rambujeu tri dana, što je ogromno angažovanje za jednog državnog sekretara. Ona je smrknuta, žena ledenih očiju, govori brutalno....

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Milošević znao šta ga čeka
SPASAO BULATOVIĆA HAGA

Milošević je krajem devedesetih znao da ga čeka Hag?
- Mi smo bili svesni da se moramo odupreti nekim stvarima. A kad se odupremo, onda nam preti Hag. On je bio potpuno svestan šta sledi. I Momir Bulatović je, kao predsednik savezne vlade, leta 1998. predlagao neko svoje angažovanje u vezi sa Kosovom. Milošević je rekao: „Momo, nemoj ti u to da se uključuješ, jer mi koji se bavimo Kosovom završićemo u Hagu, sa mnom na čelu.“ Eto, recimo, da ga je spasao Haga.

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O dejtonskoj Bosni i Hercegovini
BOLJE KOMPLIKOVANO FUNKCIONISANJE NEGO RAT

Sprovodili ste Dejtonski mirovni sporazum. Da li on funkcioniše u praksi?
- Bosni veliku štetu nanose oni koji olako pričaju o nekom mogućem „Dejtonu 2“. To su mnogo neozbiljne stvari. Ovo je ozbiljan međunarodni sporazum i treba ga čuvati. Svaka ideja o prepravci tog sporazuma je opasna. Dejtonska BiH funkcioniše. Funkcionisanje je komplikovano, ali to je mnogo lakše nego rat.

U Dejtonu se odlučivalo o Bosni, ali je izaslanik SAD Voren Kristofer želeo tada da s Miloševićem reši i pitanje Kosova?
- Amerikanci su mu, pre rasprave o Bosni, ponudili da se reši i Kosovo. On je pitao kako. Rekli su mu da iz zapadne Slavonije potpuno treba da se povučemo do kraja 1996, a do kraja 1997. s Kosova. Milošević je rekao da o tome nema razgovora, na šta su Amerikanci odgovorili da onda nema ni razgovora o Bosni. Milošević na to kaže: „Nek nema.“ I naredi da se delegacija spremi za povlačenje. Onda su Amerikanci rekli da će se ipak govoriti samo o Bosni.



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Fascismo e antifascismo dei padroni

1) Antifascismo padronale: Quant’è fasullo l’antifascismo recitato dal Pd (Contropiano)
2) Fascismo padronale: Un’altra piccola storia ignobile di servi e servizi (Militant Blog)


Sulla responsabilità del PD nella instaurazione di un regime neonazista in Ucraina si veda ad esempio:
Sulla responsabilità del PD nello smantellamento del Memoriale delle vittime italiane ad Auschwitz si veda ad esempio:
Sulla astensione dell\'Italia a governo PD alla votazione delle Risoluzioni ONU sul neonazismo si vedano ad esempio:


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Quant’è fasullo l’antifascismo recitato dal Pd

di Redazione Contropiano, 10 dicembre 2017

Il fascismo c’è ancora? C’è, esso si annida nei centri studi e nei consigli di amministrazione delle banche e della grande industria (e.. delle multinazionali), nelle cattedre universitarie, nelle aule dei tribunali……”.
“Ha il viso della conservazione (e.. dello sfruttamento..) affinché il poco fascismo visibile mascheri meglio il molto fascismo invisibile…

Franco Fortini, commentando il film documento “Allarmi siam fascisti..” (1962)

Che la gente scenda in piazza contro il fascismo è un bene. Semmai il problema è che lo si fa troppo poco, in modo occasionale, solo quando dall’alto arriva l’invito a farlo.

Peggio ancora. In Italia vendiamo ogni giorno che ai fascisti dichiarati è consentito di tutto, mentre agli antifascisti veri che contrastano il tentativo dei fascisti di infiltrarsi nei quartieri e nelle scuole lo Stato riserva abitualmente manganellate, cariche, denunce, arresti, fogli di via…

C’era insomma – e fin da subito – puzza di imbroglio nella “chiamata antifascista” arrivata dal Pd e dai vertici istituzionali.

Certo, il gruppetto di skinhead veneti in trasferta a Como solo per intimidire un’associazione (cattolica, peraltro) impegnata nell’accoglienza ai migranti meritava risposte all’altezza. Sia di massa che istituzionali.

Purtroppo, agli studenti antifascisti comaschi è stato vietato di manifestare in corteo. Il che appare quantomeno singolare. Dà insomma la sensazione che il Pd doveva avere il monopolio del tema…

Certo, gli episodi di provocazione o aperta aggressione neofascista sono numerosi e sempre più frequente.

Ma c’è qualcosa che non convince…

Le manifestazioni e i cortei sono un modo della “società civile” di richiamare l’attenzione dei governanti su certi temi. Si manifesta contro la riforma delle pensioni (con molti ostacoli polizieschi) per pretendere che il governo smetta di allungare l’età pensionabile e di ridurre gli assegni. Si manifesta contro il razzismo e per i diritti ai migranti. Si manifesta per l’occupazione e contro i licenziamenti (sempre più ostacolati dalle “forze dell’ordine”). E si manifesta contro i fascisti che ci sono, qui e ora, non soltanto contro una parola infame.

In tutti i casi è una parte di popolo che fa vedere di non essere d’accordo col potere, col suo modo di affrontare e risolvere i più vari problemi.

In piazza, ieri, si sono presentati ministri in carica, segretari di partiti di governo, alte cariche istituzionali, oltre a molta gente che aveva molte ragioni per manifestare contro i fascisti. Comprendiamo le persone, ma i governanti perché?

Se un ministro – o il segretario del partito principale del governo – vuol far vedere di essere davvero preoccupato per il pericolo rappresentato dai fascisti ha tutti i poteri per agire e risolvere il problema.

Ci sono infatti numerose leggi che vietano la ricostituzione del partito fascista, che definiscono reato l’apologia di fascismo, che permettono insomma di confinare le nostalgie mussoliniane alle cantine maleodoranti da cui certi esseri provano a venir fuori. I ministri agiscono contro i pericoli, non manifestano per dire che ci sono.

E invece no. Il governo, lo Stato, il partito principale del governo, la Rai (che è statale), i grandi media mainstream, fa anni rifocillano amorosamente le scarse milizie fasciste attive in questo paese. Invece di reprimerle – come Costituzione e leggi prescrivono – le coccolano, le giustificano, le portano in televisione a spiegare cosa vogliono fare e come, ne condividono le pulsioni razziste e le propongono come accordi internazionali con qualche milizia libica “di fiducia”.

E poi lamentano che il fenomeno cresce, conquista (scarso, ma comunque troppo) consenso.

O sono scemi, o mentono. E a noi non sembrano davvero scemi…

E allora la conclusione può essere soltanto una. La manifestazione di ieri – al netto della brava gente che vi ha partecipato perché preoccupata – è uno spot elettorale di una classe dirigente in affanno, che sente avvicinarsi il momento della propria individuale defenestrazione. 

L’ha lanciata, come idea, quello stesso Walter Veltroni che da sindaco ha regalato a CasaPound un palazzo nel centro di Roma. Ha fatto le sue brave dichiarazioni il ministro che per primo avrebbe dovuto attivare gli anticorpi antifascisti istituzionali, ossia quel Marco Minniti che invece – come ministro ora, come delegato al controllo dei servizi segreti prima (con Renzi premier) – accettava e accetta senza fiatare relazioni semestrali dei Servizi come questa, del 2016, che così descrivevano le attività della microgalassia neofascista:

“Il quadro della destra radicale ha continuato ad evidenziare divisioni interne e dinamiche competitive, che hanno precluso una più incisiva azione comune, nonostante l’esistenza di alcuni condivisi orientamenti sulle tematiche di maggiore attualità. 

Le formazioni più rappresentative, che ambiscono a un accreditamento elettorale, hanno incentrato l’attività propagandistica, rivolta soprattutto ai contesti giovanili e alle fasce sociali più disagiate, su argomenti di richiamo come la sicurezza nelle periferie degradate dei centri urbani, le problematiche economico-abitative “degli italiani” e l’occupazione, nonché la critica nei confronti del sistema bancario e dell’Unione Europea. 

In particolare l’emergenza migratoria, ritenuta tra i temi più remunerativi in termini di visibilità e consensi, ha ricoperto un ruolo centrale nelle strategie politiche delle principali organizzazioni che, nel tentativo di cavalcare in modo strumentale il fenomeno, facendo leva sul malessere della popolazione maggiormente colpita dalla congiuntura economica e dalla contrazione del welfare, hanno sviluppato un’articolata campagna propagandistica e contestativa (manifestazioni, presidi, attacchinaggi, flash mob) contro migranti e strutture pubbliche e private destinate all’accoglienza, influenzando indirettamente anche la costituzione di “comitati cittadini” di protesta. 

Dei “bravi ragazzi”, insomma, “impegnati nel sociale” (certo, un tantino strumentalmente) per soffiare sul fuoco delle difficoltà economiche e trasformarle in guerra tra poveri.

Sono utili, indubbiamente. Per questo i ministri “manifestano” con una faccia, e li promuovono con un’altra. Per questo, questi ministri e questo partito “Ha il viso della conservazione (e.. dello sfruttamento..) affinché il poco fascismo visibile mascheri meglio il molto fascismo invisibile…



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Un’altra piccola storia ignobile di servi e servizi

da Militant Blog, 13 dicembre 2017

Che i fascisti fossero manipolati dello stato è cosa nota, almeno tra i compagni, ma che a confermarlo siano loro stessi rappresenta davvero una divertente novità. Poche ore fa Repubblica ha pubblicato ( http://roma.repubblica.it/cronaca/2017/12/13/news/fiore_servizi_dietro_militia_casapound_e_con_la_lega_ci_ha_lavorato_delle_chiaie_-183971971/ ) alcuni stralci delle intercettazioni del 2014 di Roberto Fiore nell’ambito dell’inchiesta sui cosiddetti “Banglatour”. Il capo di FN parlando di Maurizio Boccacci ha definito il camerata testualmente, un uomo “a libro paga dei servizi”, mentre Alessio Costantini (fino a qualche settimana fa leader romano di FN) definiva lo stesso Boccacci, Castellino e il sempiterno Delle Chiaie “un gruppo di merde”. A rendere la cosa ancora più interessante è che tutti i protagonisti di questa vicenda si sono poi ritrovati dopo qualche anno riuniti dentro “Roma ai Romani” nel tentativo di rilanciare FN sulla piazza romana. Fiore, Boccacci e Castellino avevano addirittura sottoscritto con sprezzo del ridicolo un “patto d’acciaio” con tanto di foto e comunicato sui social ( http://www.fascinazione.info/2017/09/il-patto-boccaccicastellino-fiore.html ), un sodalizio talmente “forte” da andare in pezzi dopo solo qualche settimana spingendo Boccacci a ritirarsi a vita privata ( http://www.fascinazione.info/2017/11/dopo-il-blitz-montecitorio-boccacci.html?m=1 ) accusando Fiore di essere un pavido. E così finisce un’altra piccola storia ignobile di servi e servizi.





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Attenti alle fake news!

0) Le dieci migliori bufale del 2017 (L\'Antidiplomatico / F. Santoianni)
1) Le vere fake news. quelle che producono guerre (M. Correggia)
2) “Europa spesso bersaglio di fake news”. Lo denuncia Laura Boldrini dopo aver diffuso la madre di tutte le fake news (L\'Antidiplomatico / A. Bianchi)


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Le dieci migliori bufale del 2017

VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=6k1e4d8lKTs

(L\'Antidiplomatico, 16 nov 2017)

Per eleggere la migliore bufala dell’anno cliccare sul link qui sotto:

https://docs.google.com/forms/d/e/1FAIpQLSfK_0crmN5R7DBV14AtuOr3qe5HeIWC_hgAQqiI4kglhqJByQ/viewform

Link sulle bufale:

1) Il regime di Maduro reprime la pacifica e democratica “opposizione” 
https://youtu.be/v1yf1M76kJc
https://youtu.be/qha6WFnAsxU
https://youtu.be/aP968jN5vAg
https://youtu.be/84hopm_uwGs
https://youtu.be/no3zU-FD9lQ
https://youtu.be/JmVUkz-lRQg
https://youtu.be/aasHCFMJ68s

2) A Londra, per il morbillo sono morti centinaia di bambini
https://youtu.be/aHbrPL3NJVw

3) Curdi e americani cacciano dalla Siria i terroristi
http://www.lantidiplomatico.it/dettnews-«lo_Sporco_Segreto_Di_Raqqa»_Perché_Questo_Reportage_Della_Bbc_Non_è_Notizia_In_Italia/16658_22159/

4) Ci vogliono 150.000 migranti all’anno per salvare la pensione agli italiani
https://youtu.be/v3813GD3Ir4
http://www.lantidiplomatico.it/dettnews-Emma_Bonino_E_La_Bufala_Sui_“migranti_Che_Pagano_La_Pensione_Agli_Italiani”/6119_21347/

5)     Kim Jong Un fa assassinare il fratellastro all’aeroporto di Kuala Lumpur
http://www.lantidiplomatico.it/dettnews-_frecce_Avvelenate__O__spray_Chimico__Le_Ipotesi_Strampalate_Dei_Media_Bufalari_Sulla_Morte_Del_Fratellastro_Di_Kim/6119_18980/
http://www.lantidiplomatico.it/dettnews-Tutto_Quello_Che_Non_Torna_Del_Video_Virale_Dellassassinio_Di_Kim_Jong-nam/6119_19075/

6) Assad fa bombardare con il sarin gli ospedali pediatrici
https://youtu.be/KHOiqQKDGk0

7) Gli hacker di Putin hanno fatto eleggere Donald Trump
https://youtu.be/PuDnMx-svyE
http://www.lantidiplomatico.it/dettnews-Russiagate_Lo__scoop__Del_Fatto_Quotidiano_Ridiamo_Per_Non_Piangere/21163_22018/

8)   Bombe italiane sullo Yemen: rispettata la Legge 185/1990
https://youtu.be/Wo2OGjiRrw4

9)  Nessun impegno militare italiano a fianco del governo di Kiev
http://www.repubblica.it/esteri/2016/10/14/news/nato_pinotti_italiani_confine_russia_numeri_non_consistenti-149756061/
http://www.lantidiplomatico.it/dettnews-Tre_Anni_Di_Aiuti_Al_Regime_Corrotto_Di_Kiev_Cosa_Ha_Ottenuto_Litalia_In_Cambio/82_21528/
http://www.analisidifesa.it/2017/07/cresce-limpegno-italiano-sul-fronte-orientale-della-nato/
http://www.bloglobal.net/2014/03/crisi-ucraina-quale-ruolo-per-litalia.html
http://www.lantidiplomatico.it/dettnews-5_semplici_domande_ad_alfano_che_incontra_il_suo_omologo_del_regime_di_kiev/21163_21942/

10) Stiamo uscendo dalla crisi
Ma avete proprio bisogno di un link per non credere a questa bufala che si perpetua dal 2008?



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LE VERE FAKE NEWS. QUELLE CHE PRODUCONO GUERRE


Alla trasmissione “L\'aria che tira”, de La7, il deputato Andrea Romano del Partito democratico ha compiuto un triplo salto mortale in tema di fake news.

Citiamo testualmente. Dal secondo -1:20 a al secondo -0:55, Romano spiega: \"La Nato, l\'organizzazione internazionale che ci tutela in qualche modo dal punto di vista militare, è da qualche anno che investe soldi contro le fake news, ma non tanto per fare censure ma perché esse rappresentano uno strumento di conflitto geopolitico normalmente organizzato dalla Russia. O addirittura qualche giorno fa è venuto fuori che anche il Venezuela, che c\'ha i suoi guai, era coinvolto nei motori di fake news\".

Tralasciamo la fake news sul coinvolgimento del Venezuela nelle fake news: giorni fa il sito venezuelano Mision verdad aveva al contrario smascherato i finanziamenti statunitensi (Usaid, Ned, Dipartimento di Stato e Dip. della difesa) a chi poi produce bufale sul Venezuela per l\'appunto. Quindi è semmai il contrario, deputato. 

Tralasciamo anche l\'eufemismo con il quale Romano definisce la Nato: una specie di Madre Teresa, però più efficace nel proteggerci sotto il suo manto.  

Ma che della Nato si dica che combatte presunte fake news, è davvero un po\' troppo forte. Visto che quell\'organizzazione e i suoi Stati membri di menzogne ne producono in quantità. Anche di recente. E sono fake news mortali, perché legittimano l\'avvio di guerre e la loro prosecuzione. Il caso della Libia e della Siria è paradigmatico.

Peccato che in materia, il vignettista Vauro, anch\'egli presente in trasmissione, si sia ricordato solo della fake news di Bush e Powell nel 2003 riguardo all\'Iraq; dove non fu direttamente la Nato a bombardare. E questa sua sincera dimenticanza è un\'ennesima prova che negli ultimi anni ben pochi fra gli ex pacifisti si sono impegnati a contrastare  le vere fake news, quelle che con le quali l\'Asse delle Guerre Nato/Golfo agisce. Le hanno contrastate così poco che nemmeno le ricordano.

Marinella Correggia




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“Europa spesso bersaglio di fake news”. Lo denuncia Laura Boldrini dopo aver diffuso la madre di tutte le fake news

“Europa spesso bersaglio di fake news”. Scrive su Twitter Laura Boldrini.

<< @lauraboldrini
#Europa spesso bersaglio di #fakenews.  
Le migliaia di firme raccolte con l’appello http://www.bastabufale.it  ci hanno consentito di lanciare con il @Miursocial il primo progetto di educazione civica digitale in Italia #BastaBufale
18:21 - 30 nov 2017 >>

Ed ha ragione perché la distruzione di ex Jugoslavia, Afghanistan, Iraq, Libia, Siria e Ucraina è stata accompagnata da una montagna di fake news che hanno travolto l’Europa negli ultimi vent\'anni. La distruzione di diritti sociali, Welfare e Costituzioni degli stati membri dell\'Unione Europea è stata poi giustificata e perseguita con “il sogno europeo che avrebbe garantito più diritti, prosperità e benessere”. La madre di tutte le bufale recenti.

Ma ha talmente tanto ragione Laura Boldrini del fatto che l’Europa è bersaglio delle fake news…. che, pensate, un’ora solo prima il Presidente della Camera scriveva sempre sullo stesso social network:

<< lauraboldrini
#Europa ha garantito 70 anni senza guerre fra Stati, non era mai successo. Dedico il libro #LaComunitàPossibile ai nostri figli e alle nostre figlie augurando anche a loro un futuro di pace e prosperità
17:50 - 30 nov 2017 >>

Tralasciando i milioni di morti di cui l’Europa è direttamente responsabile per invasioni “umanitarie” e tralasciando anche le sanzioni criminali dell\'Unione Europea (come quelle contro la Siria che si accaniscono su una popolazione già allo stremo) e tralasciando la vendita di armi a stati canagli come l’Arabia Saudita che li utilizza per sterminare gli yemeniti. Tralasciamo insomma tutte le guerre e i morti prodotti fuori dall\'Europa per colpa dell\'Unione Europea e restiamo nella logica strettamente eurocentrica e neo-colonialista della Boldrini: ma i morti nelle guerre negli Stati dell’ex Jugoslavia e nel Donbass non sono in questo continente?

Sul secondo conflitto, del resto, Laura Boldrini dovrebbe essere ben informata di quello che sta accadendo, visto che ha recentemente firmato un memorandum con un noto neo-nazista del regime di Kiev.
 
La seconda parte del messaggio della Boldrini merita di essere analizzato punto per punto:

“Le migliaia di firme raccolte con l’appello http://www.bastabufale.it  - prosegue quasi ironicamente Laura Boldrini nel tweet facendo finta che le persone non sappiano che le firme sono state poche migliaia e senza nessun controllo (un fallimento totale insomma anche se sono stati coinvolti personaggi del calibro di Totti e Fiorello) 
 
“ci hanno consentito”  - ma chi vi ha consentito? Sandro il Bufalaro? Quale autorità e legittimazione ha questo progetto?

“di lanciare con il @Miursocial il primo progetto di educazione civica digitale in Italia”. Ecco ai milioni di studenti che saranno costretti a sorbirsi il “progetto di educazione civica”, diciamo: non siate i topi da laboratorio passivi di tutto questo. ribellatevi alla propaganda sulle fake news di chi vi ha mentito per anni ed è sempre dalla parte sbagliata della storia. Dalla parte delle guerre e della distruzioni di diritti sociali.

Alessandro Bianchi, 1/12/2017


P.s. Non dimenticate di votare per la \"Bufala dell\'Anno\". La faremo arrivare direttamente alla Boldrini: 
https://www.youtube.com/watch?v=6k1e4d8lKTs



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OTTOBRE / 4: 

Una inesauribile spinta propulsiva

1) La rivoluzione d\'ottobre e la resistenza europea (di Giuliano Cappellini)

2) La “forza propulsiva” della Rivoluzione d\'Ottobre è viva e presente in ogni angolo del pianeta (di Sergio Ricaldone – testo e VIDEO)

3) 1917. La Rivoluzione russa fu una rivoluzione contro la guerra (di Marinella Correggia)


Si vedano anche le parti precedenti:
OTTOBRE / 1: A-B-C della Rivoluzione d\'Ottobre
OTTOBRE / 2:  Appelli e campagne
OTTOBRE / 3: Liberazione nazionale, liberazione della donna

Ricordiamo inoltre che alla nostra pagina https://www.cnj.it/INIZIATIVE/1917.htm è riportata una rassegna di documenti fondamentali assieme al calendario delle iniziative promosse nel centenario della Rivoluzione d\'Ottobre


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La rivoluzione d\'ottobre e la resistenza europea

10 Novembre 2017

di Giuliano Cappellini

Riceviamo dal compagno Giuliano Cappellini e volentieri pubblichiamo

La celebrazione del 100° anniversario della Rivoluzione d’Ottobre in Russia ed in Italia 

Ricorre in questi giorni il centenario della Rivoluzione d’ottobre. In tutta la Russia questo anniversario è celebrato con grande partecipazione popolare, il Palazzo d’Inverno a San Pietroburgo è illuminato di rosso. Il popolo che, secondo la narrazione dell’odierna propaganda controriformista, più di ogni altro avrebbe sofferto del regime di terrore permanente instaurato in Russia dopo la Rivoluzione, sfila con le icone di Lenin e di Stalin

In Italia, si sa, il clima è diverso. Le classi dirigenti politiche nazionali sono impegnate a rafforzare la loro immagine di fedeli alleati degli Stati Uniti d’America – condizione imprescindibile per rimanere al governo. Ragion per cui i mass media nazionali devono sminuire la portata  di quella Rivoluzione che cambiò il mondo e caratterizzò il “secolo breve” come, forse il più importante storico inglese del ‘900, Eric J. Hobsbawm, definì il secolo scorso, confinandolo nella parabola temporale dell’URSS. Sono anche ben attenti a impedire che, Dio ce ne guardi, l’anniversario non offra alcuno spunto di ripensamento alle svolte “storiche” di una sinistra ormai passata armi e bagagli nel campo dell’imperialismo. E la morale implicita o esplicita delle narrazioni pseudo culturali che ci propina la TV è sempre la stessa,  che si trattò di una rivoluzione tradita [1] poi fallita, frutto di tempi di confusione e violenza.

In questo angusto e controriformista clima culturale non c’è spazio per una trattazione corretta di eventi che videro il prolungato protagonismo politico ed insurrezionale, alla fine vittorioso, delle grandi masse proletarie e la scomparsa di quello di una borghesia acquiescente o incapace di opporsi alle tragedie alle quali le loro classi dirigenti condannavano la Russia. Similmente la Resistenza europea ed italiana, denunciò le responsabilità delle classi dirigenti e pose la questione del protagonismo delle classi lavoratrici che effettivamente difesero la dignità nazionale durante la Guerra di Liberazione. Ma, come si diceva, in Italia, Rivoluzione d’ottobre e Resistenza sono eventi da ricordare secondo copioni pieni di retorica. Difficilmente, quindi, possono interessare una gioventù che non conosce niente della storia contemporanea e niente apprende da tali copioni. E non si tratta solo di questo che la narrazione mescola una buona dose di  falsificazione di quegli eventi e delle loro premesse, quanto basta per travisarne i risultati. Ad esempio, che non si riconosca il ruolo determinante che ebbero l’Unione Sovietica e Stalin nel movimento antifascista internazionale, è una bestialità che costa la censura perfino a De Gasperi, a Nenni e Pertini, e ai grandi leader della coalizione occidentale impegnata nella II Guerra Mondiale a fianco dell’URSS, come Roosevelt e Churchill, e a tanti altri che come quest’ultimo erano, pur sempre, accaniti anticomunisti. È cosa ardua, allora, ricordare che gli ideali che animarono la Rivoluzione d’Ottobre furono sempre presenti nel movimento resistenziale europeo e in particolare nella Resistenza italiana (oltre che, naturalmente, in quella jugoslava). Ideali di grandi trasformazioni sociali e di progresso. 

D’altronde le Controriforme tentano sempre di riscrivere la Storia e quella in cui siamo immersi dalla fine dell’URSS non è diversa dalle altre, ad esempio da quella che dopo la sconfitta di Napoleone trascinò nel fango le glorie della Rivoluzione Francese, della vittoria di Valmy sulle armate austro-prussiane che volevano invadere la Francia. Oggi i vincitori della guerra fredda negano all’Unione Sovietica persino il merito della vittoria sul nazifascismo in Europa. Una vittoria che quel paese pagò al prezzo altissimo di 24 milioni di morti (quasi la metà di tutti i caduti della II Guerra Mondiale) e la distruzione della sua parte occidentale più industrializzata. O, certo, come è stato scritto, i vincitori scrivono la storia, ma non possono cancellare la verità. In questa operazione di riscrittura l’Italia si è distinta al punto che ha disertato la celebrazione del 70° anniversario della vittoria della Grande Guerra Patriottica celebrato in Russia nel 2015. Guerra Patriottica, così oggi i russi chiamano la II Guerra Mondiale, quasi a relegarla ad un fatto nazionale, ma che, in realtà, consentì a tutti i paesi soggetti alla invasione nazista – praticamente tutta l’Europa continentale, esclusa la penisola iberica, la Svizzera e la Svezia –, di riappropriarsi della democrazia. E, per carità di Patria, fermiamoci qui, che ce n’è abbastanza per capire come si navighi contro corrente quando si cerca di rispettare la verità storica.

L’antifascismo, i Fronti  Popolari, la guerra di Spagna e il ruolo dell’Unione Sovietica

Fin dalla metà degli anni ’20 del secolo scorso, man mano che alla crisi economica colpiva le grandi masse lavoratrici dei paesi occidentali e le classi dirigenti dei paesi dell’Europa occidentale si orientavano sempre più verso soluzioni autoritarie e repressive se non dittatoriali come in Italia, i dirigenti dell’Unione Sovietica compresero il pericolo che incombeva sul mondo. Il movimento fascista infettò un’Europa le cui classi dirigenti capitaliste cullarono mostruose simpatie per Mussolini (Inghilterra e Stati Uniti compresi). Quando Hitler prese il potere in Germania, le classi dirigenti borghesi di Francia ed Inghilterra furono acquiescenti verso le imprese delle armate tedesche in Cecoslovacchia ed in Austria. All’Unione  Sovietica unico paese a contrastare il nazifascismo si rivolsero le speranze di tutti i partiti operai e democratici d’Europa. Fu l’epoca dei patti di unità d’azione tra i partiti comunisti e quelli socialisti, dei Fronti Popolari che, vinsero le elezioni in Francia e Spagna. L’adesione agli ideali di sinistra e comunista delle menti migliori dell’intellettualità europea, letterati, musicisti, pittori, scienziati fu enorme. Dopo l’aggressione alla Repubblica spagnola delle armate italo-tedesche, l’URSS fu l’unico paese che aiutò la democrazia spagnola, purtroppo con quello di cui disponeva allora, ossia con mezzi militari molto inferiori a quelli degli avversari ed in condizioni logistiche impossibili, e si attirò, ancor più, le simpatia di tutti i democratici europei. Le grandi potenze europee, Francia e Inghilterra, girarono ancora una volta la testa da un’altra parte, nascondendo a sé stesse ed ai loro popoli il pericolo che si preparava, sempre più concreto ed evidente dal momento che le mire della la Germania hitleriana non venivano contrastate. 

Nonostante la defezione delle grandi potenze europee, la Repubblica Spagnola poté, però, contare sull’aiuto delle brigate internazionali formate da 59mila volontari accorsi da 53 nazioni dei 5 continenti [2]. I rappresentanti di tanti popoli fornirono quell’aiuto internazionale che l’ignavia dei loro governi avevano mancato di dare. I 4050 volontari italiani erano inquadrati nel battaglione (poi brigata) Garibaldi. Il principale dirigente delle Brigate Internazionali, fu Luigi Longo, ma alla guerra di Spagna parteciparono anche Nenni, Pacciardi, Togliatti e tanti altri esponenti politici italiani che furono poi i dirigenti politici e militari della Resistenza italiana e promotori  della Costituzione della Repubblica varata nel 1948. Guidate dal generale russo Emil Kléber, le Brigate internazionali ebbero un ruolo determinante nella difesa di Madrid, distinguendosi nella battaglia di Guadalajara nel marzo 1937, dove di fronte gli antifascisti italiani del battaglione Garibaldi si trovavano i cosiddetti volontari fascisti del Corpo Truppe Volontarie, e nelle grandi offensive repubblicane su Belchite (agosto) e Teruel (dicembre 1937 - gennaio 1938) e sull\'Ebro (luglio 1938). Ma non furono sufficienti a capovolgere l’esito del conflitto.

Ma la celebre frase di  Carlo Rosselli: “Oggi in Spagna, domani in Italia” fu l’impegno solenne delle forze politiche democratiche, socialiste e comuniste in esilio. L’antifascismo in esilio aveva conosciuto la prova del fuoco e imparato i compiti dell’organizzazione della guerra e della guerriglia, una lezione preziosa che non dimenticherà più.

Intanto, mentre nell’impari lotta la Repubblica Spagnola soccombeva, anche in Francia cadeva il governo del Fronte Popolare. Il governo reazionario che lo sostituì mise fuori legge il Partito Comunista Francese e rese dura la vita degli esuli antifascisti in Francia, nonché dei reduci antifranchisti che sfuggivano alla repressione al di là dei Pirenei

Ora era chiaro, l’Unione Sovietica era isolata e caddero nel vuoto i suoi tentativi di suggellare un patto con le potenze europee di difesa contro la Germania nazista. Altresì era chiaro che Francia ed Inghilterra, avrebbero tollerato che le prossime mire espansioniste di Hitler fossero dirette ad est, ossia contro la Russia. Stalin comprese che doveva prendere tempo, aggiornare e rafforzare le sue forze armate a livello di quelle tedesche e, anche, che avrebbe potuto sperare di realizzare una coalizione anti tedesca solo dopo l’inizio della guerra ad ovest, anzi dopo aver dimostrato che. quando fosse arrivato il suo turno, la Russia non si sarebbe arresa, ma avrebbe continuato a combattere. Il patto Ribbentrop-Molotov concesse all’URSS del tempo prezioso, ma i tedeschi colsero l’occasione per invadere la Francia e tentare di piegare l’Inghilterra  

Condotta da un capo prestigioso, Winston Churchill e forte di un popolo tenace e determinato, l’Inghilterra non cadde nelle mani di Hitler. Il capo nazista, ritenendo prematura l’invasione dell’isola britannica difesa ancora dalla più forte marina da guerra dell’epoca, volse la sua attenzione alla Russia. Accelerò, quindi, l’attacco all’Unione Sovietica, che con le sue immense risorse minerarie e agricole costituiva un obiettivo strategico fondamentale per il proseguire la guerra. Quella contro la Russia non si poneva solo compiti strategici contingenti ma doveva coronare il sogno di sottomettere in schiavitù gli “slavi”, per la gloria del III Reich, una quantità immensa di uomini e risorse, come aveva scritto, qualche anno prima Hitler su Mein Kampf, teorizzando la necessità per la Germania di avere un suo Impero ad est. Inoltre i rapporti del suo ramificato Servizio Segreto segnalavano che l’URSS era ancora impreparata sul piano militare, quindi, stracciando il trattato di non belligeranza firmato due anni prima iniziò l’aggressione al paese del socialismo. L’operazione Barbarossa avrebbe dovuto conquistare Mosca prima dell’inverno del 1941. Effettivamente l’URSS fu colta di sorpresa, ma al prezzo di perdite enormi, col sacrificio di milioni di soldati, civili, villaggi e città distrutte, la resistenza sovietica fu enormemente superiore a quella che i generali tedeschi si aspettavano sulla scorta delle precedenti conquiste nell’Europa occidentale.  Pur avanzando, dovettero modificare i loro piani di invasione, disperdere il loro esercito su un fronte che andava da Leningrado al Caucaso. Solo dopo che l’esercito sovietico – i cui reparti erano sfilati nella Piazza Rossa nel XXIV anniversario della Rivoluzione (novembre 1941) –, ricacciò le truppe tedesche di fronte a Mosca, all’inizio del 1942 fu ufficializzata l’alleanza tra Inghilterra, Stati Uniti e Unione Sovietica e arrivarono aiuti dagli Stati Uniti. L’alleanza fu chiamata delle Nazioni Unite. I sovietici bloccarono il piano strategico tedesco di impadronirsi dei giacimenti petroliferi del Caucaso (cosa che anche gli angloamericani temevano perché avrebbe dato nuova linfa alla guerra in Europa occidentale) e passarono al contrattacco. La storia della riconquista dei territori russi, ucraini e bielorussi occupati dai nazisti, la sconfitta e la resa di intere armate tedesche è cosa ben nota, il contrattacco degli angloamericani in Africa seguì l’allentamento del pericolo sul fronte russo e le loro truppe sbarcarono in Sicilia. Siamo nel 1943. Dopo lo sbarco degli alleati in Sicilia caddero il governo Mussolini ed il fascismo ed iniziò la guerra partigiana per la difesa della Patria invasa dai tedeschi.

Le vittorie dell’Armata Rossa e la Guerra di Liberazione 

Mette ora il caso di ricordare quello che disse e scrisse Sergio Ricaldone, medaglia d’oro della Resistenza Italiana. “In quei giorni eravamo incollati alla radio per seguire gli esiti della battaglia di Kursk (sett. 1943), la più grande battaglia tra carri armati mai combattuta, in cui i carri del III Reich furono sconfitti e l’URSS dimostrò al mondo di aver recuperato il suo gap tecnologico nei confronti della Germania. E non era la curiosità a mantenerci incollati alla radio, ma la comprensione della portata galvanizzante delle straordinarie vittorie delle armate sovietiche, sul morale e la determinazione dei gruppi partigiani, le cui fila si stavano ingrossando attendendo ogni momento propizio per partire all’azione”. E così avvenne, che ogni progresso della lotta partigiana era legato alle vittorie delle armare di Stalin, alla demoralizzazione dell’avversario, che pur ferito reagiva con inaudita ferocia.

Trovo su Wikipedia una breve ma sufficientemente completa Storia della Resistenza Italiana dalla quale riporto un brano. “A giudizio delle stesse autorità alleate, la Resistenza italiana giocò un ruolo importante per l\'esito della guerra in Italia e, a costo di grandi sacrifici umani, cooperò attivamente ad indebolire le forze nazifasciste, a minarne il morale ed a renderne precarie le retrovie, impegnando notevole parte delle unità militati o paramilitari del nemico. Anche le fonti tedesche documentano che le forze partigiane furono causa di problemi e difficoltà militari per i comandi e le truppe della Wehrmacht. Secondo il Center for the Study of Intelligence della Central Intelligence Agency, i partigiani italiani \"tennero sette divisioni tedescheoccupate lontano dal fronte [con gli Alleati], e con l\'insurrezione finale dell\'Aprile 1945 ottennero la resa di due divisioni tedesche, che portò direttamente al collasso delle forze tedesche entro ed attorno Genova, Torino e Milano”.

Lo stesso succedeva in Francia, in Yugoslavia, nei Balcani, in Polonia, in Norvegia e, in varia misura, in tutti i paesi occupati di tedeschi. La molla del moto insurrezionale furono le vittorie degli eserciti dell’URSS. Per tutti, l’esempio più importante e iniziale del movimento partigiano internazionale fu quello che si era sviluppato in Russia, in Ucraina, in Bielorussia, in Crimea ed in altre regioni dove i massacri delle armate tedesche sulle popolazioni civili non arrestarono mai, ma non intaccarono né la determinazione a colpire l’invasore, né la fiducia in Stalin. Quel che ci preme sottolineare ora, è che con i successi dell’Armata Rossa e la sua marcia verso ovest, anche  la direzione strategica del conflitto passò nella sue mani. Gli angloamericani organizzarono un imponente sbarco sulle coste francesi, quello che Stalin aveva chiesto con insistenza ma di cui, spesso, si esagera l’importanza sul piano militare dal momento che la Wermacht impegnò sul fronte occidentale solo un decimo delle divisioni che manteneva su quello orientale, e la resistenza dei tedeschi alla pressione angloamericana fu ancora piuttosto efficace per circa un anno. Si decise a Yalta che la Russia poteva avere la sua sfera di influenza su molti paesi europei ed in Germania che avrebbe dovuto proteggere l’URSS dal pericolo di una nuova e aggressiva “cintura sanitaria” a suo danno. La guerra in Europa finì con la conquista di Berlino da parte delle truppe sovietiche. In Italia finì prima, perché tutte le principali città del nord furono liberate dai partigiani prima dell’arrivo degli Alleati.

Conclusioni

In queste brevi note mi sono sforzato di parlare non tanto della guerra e della guerra partigiana che l’antifascismo preparò nell’esilio, nella prova della Guerra civile spagnola, nelle galere fasciste, ma delle premesse politiche che precedettero la II Guerra Mondiale ed ne accompagnarono gli eventi tragici e gloriosi. Lascio ad altri, ben più capaci di me, l’analisi più completa e circostanziata.  Certo che in quel periodo ci furono anche ombre, fatti oscuri, furono commessi gravi  errori, con conseguenze negative immediate e nel dopoguerra. Ma ciò non basta certo a cancellare la verità storica, che la Resistenza e la Lotta di Liberazione in tutte le parti del mondo (in Cina, ad esempio) devono molto alla Rivoluzione d’Ottobre.

In senso stretto il rapporto tra la Resistenza e la Rivoluzione d’Ottobre non è Stalin, ma non si esaurisce neppure nell’elenco delle loro consonanze ideologiche. Tali consonanze divennero motivazioni importanti (non le uniche, naturalmente) alle scelte personali per cui combattere e morire di milioni di uomini, man mano che il mondo scopriva il ruolo rilevante dell’URSS e di Stalin prima e durante la II Guerra Mondiale. 

Ambedue gli eventi furono grandi movimenti di popolo animati dalla speranza di conquistare un futuro migliore, di giustizia e di pace. Speranze che molti chiamarono utopie, quelli, ad esempio, che pur avendo sofferto le privazioni della guerra, lo stress dei pericoli nei fronti in cui avevano combattuto, le case distrutte dai bombardamenti trovarono, tuttavia un “accomodamento” con la loro coscienza attraverso una visione pessimistica della razionalità della storia che, ripetitivamente è storia di ingiustizie contro le quali non c’è niente da fare se non attendere che la bufera passi. Stiamocene nascosti e aspettiamo che gli Alleati ci liberino! In questo senso questi eventi hanno segnato una divisione nel popolo, grosso modo tra chi non aveva niente da perdere e chi manteneva ancora qualcosa, almeno la speranza di riprendere, dopo la guerra, una vita dignitosa, come prima della guerra. I primi, quelli cui la guerra dava una sola certezza, che se avessero vinto i nazisti si sarebbero trovati più schiavi di prima, sempre ultimi nella scala sociale, accettarono più facilmente – anche quelli che non avevano mai sentito parlare di socialismo, di comunismo e di democrazia – il messaggio di liberazione di uomini usciti dalla galere fasciste o che venivano dall’esilio e che parlavano della necessità di continuare la lotta, per costruirselo il futuro. Lo stesso messaggio che animò la Rivoluzione d’Ottobre. Ma bisognava vedere i frutti di quella Rivoluzione, e questi furono il coraggio del popolo russo, il suo attaccamento alle conquiste sociali e le vittorie dell’Unione Sovietica, la sagacia strategica del suo capo, l’umiliazione dei superuomini tedeschi e dei loro lacchè fascisti. Ecco di cosa parlavano, oltre che di preparazione di attentati contro i nazisti, i dirigenti partigiani del PCI nelle riunioni clandestine nei casolari del Polesine in cui si ritrovava mezzo paese mentre fuori pattugliavano le SS; ecco l’animo degli operai delle fabbriche del milanese che stampavano e distribuivano i fogli clandestini che incitavano alla lotta contro i fascisti o che costruivano le armi per l’insurrezione. Tanto per citare alcuni degli infiniti esempi di coraggio degli operai e dei contadini nella Guerra di Liberazione. 

Altri, più acculturati, capirono anche prima da che parte stare. Una grande spinta fu quella della scelta unitaria di tutti i partiti democratici, il cui valore doveva essere mantenuto dopo la guerra. Ma tutti  riconoscevano il valore del sacrificio e della lotta dei popoli dell’Unione Sovietica. Con questo spirito, oltre ad un forte senso della dignità nazionale, ufficiali di un esercito portato allo sbaraglio in terre straniere, che avevano negli occhi l’orrore delle repressioni germaniche, diedero un importante contributo nell’organizzazione militare partigiana.

Come abbiamo scritto all’inizio, oggi la narrazione di quei fatti e dei loro rapporti è mistificata da una propaganda miserabile in cui si capovolgono anche gli esiti della guerra (vinta, naturalmente dagli americani…), si denigra l’Unione Sovietica, si irride alla Rivoluzione d’Ottobre. Noi dell’ANPI non abbiamo il diritto di aderire a tali mistificazioni, ma a me pare che finché non avremo il coraggio di ricordare completamente, nelle scuole e tra i giovani, ciò che successe realmente in quegli anni, non avremo fatto appieno il nostro dovere.


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SERGIO RICALDONE AL CENTRO CULTURALE CONCETTO MARCHESI, 7 NOVEMBRE 2012 (MILANO, ITALY) (etruscanwarrior, 8 nov 2012)
Mercoledì 7 novembre 2012, presso il Centro Culturale \"Concetto Marchesi\" di via Spallanzani 6 a Milano (zona di Porta Venezia), Lombardia, Italia. \"Nel 95esimo anniversario della Grande Rivoluzione Socialista di Ottobre del 1917\", i dieci giorni che sconvolsero il mondo, come li definì lo scrittore statunitense John Reed. Interventi di Bruno Casati (PRC), Alfredo Novarini del Centro Culturale \"Concetto Marchesi\", Onorio Rosati, segretario della Camera del Lavoro di Milano e Sergio Ricaldone della Casa Rossa, uno dei massimi esponenti marxisti con una gamma vastissima di contatti e relazioni internazionali. Iniziativa organizzata in collaborazione con l\'editrice Aurora e la Casa Rossa di Milano. In questo video un estratto dell\'intervento di Sergio Ricaldone



La “forza propulsiva” della Rivoluzione d\'Ottobre è viva e presente in ogni angolo del pianeta

di Sergio Ricaldone

In occasione del centenario della Rivoluzione d\'Ottobre, riteniamo opportuno riproporre l\'emozionante intervento del compagno Sergio Ricaldone all\'iniziativa del 7 novembre 2012, svoltasi presso il Centro Culturale “Concetto Marchesi” di Milano, rendendo omaggio alla splendida e indimenticabile figura di dirigente comunista che, con tanta passione e fino agli ultimi giorni della sua leggendaria vita di rivoluzionario e internazionalista, ha partecipato da protagonista di primo piano all\'iniziativa del nostro sito.

Compagne e compagni, siccome appartengo ad una specie in via di estinzione e non ho i titoli per proporre analisi storiche raffinate, mi limiterò a ricordare un paio di passaggi che considero altamente simbolici per il peso che hanno avuto sui cambiamenti geopolitici del 20° secolo e che hanno tuttora all\'alba del nuovo secolo.

Il primo di questi passaggi, chiedo scusa per la mia impudenza, lo recupero direttamente dal “museo degli orrori” del comunismo novecentesco nel quale molti di noi, io tra questi, siamo stati rinchiusi come inguaribili stalinisti.

La Rivoluzione d\'Ottobre è stata per la mia generazione il grande arsenale di idee rivoluzionarie dal quale abbiamo attinto la forza di combattere contro i moderni cavalieri dell\'Apocalisse che hanno sconvolto il pianeta : due guerre mondiali, il nazifascismo, la fame, il colonialismo e l\'imperialismo in tutte le sue espressioni.

Non mi risulta che altre culture politiche, il riformismo socialdemocratico, il liberalismo, l\'ecologismo, il terzomondismo, il pacifismo, la non violenza, né tanto meno le sacre scritture, pur con i meriti che hanno, possano esibire bilanci storici e di progresso neanche lontanamente paragonabili con quelli ottenuti dalle grandi lotte sociali e politiche del movimento operaio internazionale che si è ispirato alla Rivoluzione d\'Ottobre.

Ripensando a quegli anni mi sono spesso domandato quali siano stati i momenti cruciali che hanno segnato la vita di milioni di comunisti della mia generazione.

Il 7 novembre 1941, 24° anniversario dell\'Ottobre, è stato uno di quei momenti, di cui conservo, 70 anni dopo, un ricordo indelebile. Questo il primo dei due passaggi che voglio ricordare.

Tutto sembrava perduto in quei giorni. Le “democrazie” europee stavano crollando come cartapesta sotto i colpi delle divisioni corazzate del Terzo Reich e le croci uncinate dilagavano ovunque. Il fascismo e il terrore non conoscevano ostacoli e i regimi di Hitler e Mussolini sembravano destinati a durare mille anni.

Le speranze che l\'eroismo dell\'Armata Rossa e del popolo sovietico ci aiutassero a cambiare anche il nostro futuro di operai oppressi dal fascismo sembravano svanire di fronte al dramma che si stava consumando a pochi chilometri da Mosca. La macchina bellica tedesca sembrava invincibile. In pochi mesi le armate hitleriane avevano compiuto un\'avanzata travolgente in territorio sovietico e nell\'ottobre 1941 i panzer di Von Guderian si trovavano a 20 chilometri dal centro di Mosca.

La campagna di Russia sembrava dovesse concludersi come le altre guerre lampo condotte in tutta Europa da un esercito in apparenza invincibile. La stampa e la radio di Berlino – e quella di Roma – annunciavano come imminente la conquista della capitale sovietica, la sfilata dei panzer sulla piazza Rossa e la capitolazione dell\'URSS. In officina non si discuteva d\'altro. Incollati a Radio Mosca seguivamo con angoscia l\'esito di quella battaglia.

Poi improvvisamente, quando tutto sembrava perduto, il 7 novembre, il popolo sovietico e la generazione “di come fu temprato l\'acciaio”, trascinati dal loro leader, celebrano a loro modo l\'anniversario della Rivoluzione : si alzano in piedi come un gigante che spezza le catene, e trasmettono a tutti i popoli dell\'Europa oppressa dal nazifascismo un grande messaggio di speranza.

La sera di quel giorno udimmo per la prima volta la voce di Stalin tradotta in simultanea per l’Europa intera occupata dai nazisti. Traduttore un certo Ercoli alias Palmiro Togliatti. Devo dire che in quelle ore la mia modesta preparazione di operaio comunista, che mi ha poi sorretto per tutta la vita, ha subito un impulso straordinario, incancellabile. Le poche virtù che posseggo credo di averle imparate quasi tutte quella sera.

Stalin solo dentro al Cremino, con i tedeschi alle porte di Mosca, resta nella storia del secolo 20° (qualunque sia il giudizio su Stalin) come il migliore esempio su come un leader sappia guidare il suo popolo nei momenti più difficili. Persino Churcill lo ricorda nelle sue memorie.

Per ben due volte quel giorno, mentre Mosca era sotto il fuoco dei bombardieri tedeschi, Stalin fece sentire la sua voce. Al mattino, in una stazione della metropolitana di Mosca, davanti ai quadri del Partito e del Komsomol. Poi, più tardi, dopo che i caccia sovietici avevano ripulito il cielo dagli Junker tedeschi, dall’alto del mausoleo di Lenin davanti alle truppe di riserva dell’Armata Rossa e ai reparti di operai delle officine di Mosca che si apprestavano a raggiungere il fronte, distante pochi chilometri, pronunciò uno dei discorsi più celebri, mescolando in una stupefacente simbiosi i passaggi gloriosi della storia russa con quelli della Rivoluzione d’Ottobre.

“Compagni soldati e marinai rossi, comandanti e lavoratori politici, partigiani e partigiane! Il mondo intero vede in voi una forza capace di annientare le orde dei banditi tedeschi. I popoli asserviti d’Europa, caduti sotto il giogo degli invasori tedeschi guardano a voi come dei liberatori. Una grande missione liberatrice vi attende. Siatene degni. Quella che state conducendo è una guerra di liberazione, una guerra giusta. Possa ispirarvi in questa guerra il glorioso esempio dei nostri antenati, da Alexander Nevskij che sconfisse gli invasori svedesi, a Michail Kutuzov che sconfisse sulla nostra terra l’armata di Napoleone”

Dopo quel discorso, ai suoi collaboratori che lo scongiuravano di abbandonare Mosca e di partire per Kuibiscev, Stalin rispose tranquillo: “Nessuna evacuazione. Resteremo qui fino alla vittoria e voi tutti resterete con me”. Fu cosi che la battaglia di Mosca diventò per i nazisti l\'inizio della fine.

Per evitare di essere frainteso, ricordando quel lontano episodio che ha marchiato a fuoco la mia coscienza di giovane militante (e milioni di altre), non intendo dire che dopo l’Ottobre l’intera storia sovietica sia stata sempre una serie di lotte nobili ed eroiche e men che meno un pranzo di gala.

Tuttavia, da operaio comunista, cresciuto e trascinato dai grandi ideali dell\'Ottobre sovietico, la considero pur sempre la mia storia, quella che ha alimentato il mio impegno ideale e politico anche nelle condizioni più estreme, nella Resistenza nei lager nazisti e nelle mani della Gestapo.

Mi rendo conto quanto sia difficile, coi tempi che corrono, riproporre passaggi di quella storia che si cerca di distruggere in tutti i modi con furia iconoclasta. Capisco anche che difendere la memoria e le ragioni del comunismo e dei comunisti del 20° secolo sia un po come proporre diete vegetariane ai cannibali della Nuova Guinea.

Mi sono tuttavia chiesto tante volte come sarebbe finita l’Europa e il mondo intero se quel 7 novembre 1941 le cose fossero andate in modo diverso e se al posto del tanto detestato georgiano ci fosse stato il Mahatma Gandhi (o peggio, Fausto Bertinotti).

Sono convinto che i “dieci giorni che sconvolsero il mondo” siano stati e rimangano l\'inizio della nostra storia e che non sia per nulla osceno rivendicarne la continuità.

Però attenzione! Dobbiamo anche saperci sottrarre alle tentazioni apologetiche di chi pretende di ridurla ad una serie ininterrotta di lotte immacolate, senza errori, senza eccessi e senza macchia. Nessuna rivoluzione (pensiamo ai giacobini di Robespierre) è stata compiuta in modo indolore. E non è certo l\'imperialismo che può darci lezioni su questo tema.

Abbiamo subito sconfitte enormi e arretramenti politici dolorosi. Ma sappiamo anche che quella storia ha prodotto cambiamenti sociali e geopolitici grandiosi chiaramente visibili nei nuovi modelli scaturiti dalle esperienze creative di altre rivoluzioni, cinese, vietnamita, cubana. Modelli di sviluppo che stanno trascinando altri continenti come l\'Africa e l\'America Latina fuori dalla schiavitù e dalla miseria.

Dunque un bilancio storico di tutto rispetto. Proprio per questo dobbiamo essere in grado di accogliere e fare nostre, insieme alle rose che ne esaltano i momenti più gratificanti, anche le spine, e dunque anche i lati oscuri, deprecabili, condannabili, che pure accompagnano e sono parte di quella storia.

Se rifiutassimo questo tipo di lettura materialistica e cedessimo all\'ipocrisia del buonismo e alle semplificazioni retoriche finiremmo per avallare in qualche modo la valanga di manipolazioni e di luoghi comuni che il revisionismo e il negazionismo ci stanno propinando da anni. Il modo migliore di celebrare la Rivoluzione d\'Ottobre è quello di continuare a interrogarci senza dogmi e senza nostalgie, ma cercando risposte nel grande potenziale creativo del marxismo e del leninismo.

Sebbene siano giorni molto lontani, c\'è materia su cui meditare per capire che posto occupa, nel diverso contesto geopolitico di oggi la nozione di comunismo. Facendo innanzitutto la necessaria distinzione tra quando questa parola viene usata come aggettivo del partito al potere, da quando viene usata come sostantivo di un sistema tutto da costruire.

Non mi risulta che ci sia mai stato a tutt\'oggi un solo paese al mondo che si possa definire comunista. Non basta che il partito al potere usi questo aggettivo per definire anche la natura dello Stato. E il Vietnam, come del resto la Cina non fanno eccezioni. Entrambi non sono paesi comunisti. Non ancora. Almeno in questa fase storica del loro sviluppo.

E\' perciò comprensibile che questi paesi non offrano le chiavi di accesso al paradiso. Il comunismo non è una scatola di montaggio, pronta all\'uso, chiavi in mano, ma un sistema sociale tutto da costruire e rimane, per il partito al potere, la prospettiva di un lungo e non facile processo storico tutto da sperimentare.

E\' più corretto dire che, correggendo errori precedenti e ripartendo dalle intuizioni leniniste della NEP (intuizione uscita dall\'esperienza compiuta dalla neonata rivoluzione), i comunisti hanno rimodulato la lunga marcia per il superamento del capitalismo – chiamata transizione – a partire da una rottura politica con un sistema di sottosviluppo pre-capitalistico (ereditato da secoli di mandarinato e di dominio coloniale), superando l\'illusione, a loro spese, di poter colmare la distanza tra quel medio evo e la fase socialista, saltando la fase intermedia. Quella del mercato, appunto.

E\' stato in apparenza un passo indietro. Detto questo credo che a nessuno possano sfuggire – dopo quel passo indietro – i sorprendenti passi in avanti compiuti da questi paesi le cui rivoluzioni sono state ispirate dalla Rivoluzione d\'Ottobre. Questa e non altra è stata la forza propulsiva dei loro sorprendenti risultati economici e politici.

Fino a qualche anno fa, prima della crisi devastante che ci sta travolgendo, sembravamo destinati, dopo la proclamata “morte del comunismo”, a vivere nel mondo rutilante del “grande sogno americano” descrittoci da Fitzgerald nel suo “Grande Gatsby”, simbolo dei ruggenti anni 20, l\'illusione di uno sviluppo senza fine.

Ma anche allora, nemmeno il tempo di un sospiro, e il “Furore” di Steinbeck ci ha restituito il clima della grande depressione degli anni 30 e la discesa nell\'inferno della povertà di milioni di persone senza lavoro e senza speranza. Esattamente quello che sta succedendo oggi in questa parte del mondo, con l\'aggravante dell\'assenza di una forza comunista organizzata simile al PCI degli anni 30

In questi anni ci siamo scontrati e logorati in sedi diverse, rifondate e non, sul significato da dare ad alcune parole : partito, imperialismo, stato nazione, socialismo, rivoluzione. Ci siamo a lungo interrogati e scontrati su quale esperienza trarre dal bilancio storico del comunismo nato dalla Rivoluzione d\'Ottobre. Ci siamo accorti quanto sia difficile portare a sintesi il pensiero di Gramsci e Togliatti con quello di Trotzki e di Bettelheim. Ora è arrivato il momento di chiudere quella stagione e di aprirne un altra.

Il momento è molto difficile, e noi ci troviamo caricati di una enorme responsabilità : quella di ricostruire un partito comunista che restituisca la fiducia dei salariati nella politica, nella lotta (di classe), nel cambiamento.

Il PCI di Gramsci, Togliatti, Longo, Secchia ha dato molto al mondo. Le opere di Gramsci le ho trovate tradotte ovunque : in Egitto e in tutto il mondo arabo, in Vietnam, persino in Nepal. Ora è arrivato il momento di ricambiare l\'interesse e di osservare con attenzione le esperienze dei partiti comunisti il cui peso politico cresce ogni giorno in ogni angolo del pianeta : in Brasile, India, Sudafrica, ma anche in Europa, in Ucraina, Russia, Belgio, Repubblica Ceca, Cipro, Portogallo, Grecia.

A tutti coloro che ci considerano dei cascami residuali di una ideologia seppellita sotto le macerie del \'900 e ci chiedono di rinnegare la nostra storia ricordo un passaggio del Don Chisciotte di Cervantes che provo a riassumere a memoria : mentre cavalcano nella notte Don Chisciotte e Sancho Panza sono inseguiti e molestati dal latrare dei cani. Sancho Panza vorrebbe fermarsi ed aspettare che i cani si calmino ma Don Chisciotte gli risponde : lasciamoli latrare e continuiamo a cavalcare nella notte. Anche noi dovremmo occuparci meno dei cani che abbaiano e continuare a cavalcare nella notte.


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1917. La Rivoluzione russa fu una rivoluzione contro la guerra

di Marinella Correggia, 8.11.2017

Il centenario della rivoluzione russa dovrebbe essere una celebrazione per la pace.

Infatti una pietra miliare della Rivoluzione d’ottobre (avvenuta in realtà il 7 novembre) fu l’uscita dalla prima guerra mondiale. “La Rivoluzione bolscevica fu una rivoluzione contro la guerra”, ci spiega una trasmissione di Telesur, Empire Files.

La rivoluzione d\'Ottobre del 1917 avvenne perché quella borghese di febbraio continuava a sottostare al ricatto delle potenze belligeranti europee e non si ritirava dal macello della Prima guerra mondiale. L’”inutile strage”, la chiamò papa Benedetto XV, nella sua lettera a “tutti i capi dei popoli belligeranti”.

Ebbene nel 1917, un paese entra nel crimine della guerra e un altro se ne sottrae, chiedendo a gran voce la pace. Il primo paese: gli Stati Uniti che, tempestivi, si fanno avanti per non rimanere fuori dalla spartizione della torta.

E invece, uno dei primi atti del governo bolscevico nato dalla Rivoluzione d\'ottobre in Russia, è la proposta rivolta a tutti i belligeranti di un immediato armistizio generale, per giungere entro breve tempo a una conferenza per una pace \"giusta e democratica». Lenin legge la risoluzione davanti ai soldati sopravvissuti alle trincee, e a un popolo affamato e mutilato: «Il governo operaio e contadino, creato dalla rivoluzione del 24 e 25 ottobre e basato sui soviet dei deputati operai, soldati e contadini, propone a tutti i popoli belligeranti e ai loro governi di iniziare immediatamente trattative per una pace giusta e democratica».

La rivoluzione si rivolge ai governi perché, senza quelli, la pace tarderebbe troppo ad arrivare, ma sostiene soprattutto che occorre «aiutare gli altri popoli a intervenire nelle questioni della guerra e della pace». Lenin spiega che la rivoluzione sarà accusata di violare i trattati ma ne è fiera: «Rompere le alleanze di sanguinose rapine è un grande merito storico». La Russia repubblicana e rivoluzionaria offre la disponibilità a esaminare qualunque proposta, senza precondizioni. Inascoltata, salvo che dalla Germania, la Russia esce dalla guerra unilateralmente, accettando dure condizioni.

Ma anziché imitare la saggezza rivoluzionaria, le potenze capitalistiche aggrediscono la Russia appoggiando, nella tremenda guerra civile che segue, i conservatori locali, i cosiddetti bianchi. Con i quali purtroppo combattono, contro i bolscevichi, anche sedicenti gruppi rivoluzionari…

La storia si ripete!

 


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(hrvatskosrpski / italiano)

Persecuzione anticomunista in Europa: Polonia

1) Rezolucija osude progona poljskih komunista (SRP)
2) Giù le mani dai comunisti polacchi! / La solidarietà internazionale: «L’anticomunismo non passerà»(PCI, PC/La Riscossa)
3) Delegacija KP Poljske u zvaničnoj poseti NKPJ


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Rezolucija osude progona poljskih komunista

1. prosinca 2017. / SRP 

U toku je suđenje KP Poljske zbog širenja komunističke ideologije na svojoj web-stranici i partijskoj štampi.

Učesnicima na XIX. Međunarodnoj konferenciji KP i RP u Petrogradu ponuđena je, među ostalim, i rezolucija kojom se osuđuje progon poljskih komunista. Tu rezoluciju je potpisala i delegacija SRP-a, a objavljena je na stranicama Solidneta.

U nastavku, donosimo vam prijevod teksta rezolucije na hrvatskom jeziku:

31. ožujka 2016. godine, četiri člana Komunističke partije Poljske osuđeni su od regionalnog suda Dąbrowe Górnicze na 9 mjeseci uvjetne kazne uz obavezni društveno korisni rad i novčane kazne.

Pravni postupak, na račun Komunističke partije Poljske i njenih članova, koji traje već dvije godine, ponovno će početi 27. studenoga s optužbama za „širenje komunističke ideologije“ u novinama „Brzask“ i na Internet stranicama KP. Ako ih sud proglasi krivima, prijeti im do dvije godine zatvora.

U isto vrijeme, Komunistička partija Poljske suočena je s novim nasrtajem poljske kapitalističke klase i vladajuće stranke Zakon i Pravda (PIS) koji pokušavaju staviti KP Poljske izvan zakona uz objašnjenje da je „program KP Poljske u suprotnosti s Ustavom“.

Komunističke partije, koja su prisutne na Međunarodnoj konferenciji komunističkih i radničkih partija, osuđuju pokušaje stavljanja komunističke ideologije van zakona u Poljskoj i osuđujemo progon naših poljskih drugova.

Ovi progoni, kao i progoni u drugim državama članicama EU, idu ruku pod ruku sa sve intenzivnijom ofanzivom kojoj je cilj izjednačiti komunizam s monstruoznošću fašizma. Cilj im je izbrisati postignuća socijalizma iz kolektivnog sjećanja naroda.

Sto godina nakon Oktobarske revolucije, narod može i mora donijeti zaključke na osnovu sve žešćih antikomunističkih političkih pozicija EU i buržujskih vlada. Narod mora vjerovati komunistima i tražiti zadovoljenje svojih potreba u suvremenom svijetu, vjerovati komunistima u organiziranju narodne borbe protiv kapitalističkog sustava i monopola te njihove moći.

Sve optužbe protiv KP Poljske i njenih članova moraju odmah biti odbačene!

Ne dirajte u poljske komuniste, komunističku ideologiju i omogućite im nesmetano djelovanje!

Solidarnost s KP Poljske!

Antikomunizam neće proći!


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Giù le mani dai comunisti polacchi! Dichiarazione di 67 partiti comunisti e operai

30 Novembre 2017
a cura di Marx21.it

Il 27 novembre è ripreso il processo contro il Partito Comunista della Polonia. Da due anni, i compagni del PCP sono oggetto di una campagna persecutoria, con la pretestuosa accusa “di propaganda dell\'ideologia comunista” nelle pagine del loro giornale \"Brzask\".
La repressione anticomunista delle autorità di Varsavia, che non ha mai suscitato la benché minima condanna da parte delle istituzioni di governo dell\'UE, di cui la Polonia fa parte, è stata denunciata in  una dichiarazione sottoscritta da 67 partiti comunisti, nel corso del 19° Incontro Internazionale dei Partiti Comunisti e Operai, tenutosi a San Pietroburgo. (...)

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Continua la persecuzione contro il PC di Polonia. La solidarietà internazionale: «L’anticomunismo non passerà»

25 novembre 2017 – dal sito de La Riscossa, organo ufficiale del Partito Comunista

Continua la persecuzione anticomunista contro il Partito Comunista di Polonia (KPP). Il 27 novembre riprenderà il procedimento giudiziario, che continua da due anni, che si basa sull’accusa di propaganda dell’ideologia comunista sul quotidiano “Brzask” e sul sito web del partito. Un processo che fa parte della campagna realizzata dal governo per rendere illegale il KPP.

Questa persecuzione sta avvenendo simultaneamente alla politica anticomunista di riscrivere la storia e rimuovere i monumenti e nomi delle strade associati al comunismo e al movimento operaio dallo spazio pubblico. Il KPP rivolge un appello ad organizzare proteste di solidarietà contro la persecuzione politica alle ambasciate polacche in tutto il mondo il 27 novembre.

La repressione anticomunista in Polonia è stata condannata da 67 partiti partecipanti al 19° Incontro Internazionale dei Partiti Comunisti e Operai attraverso una dichiarazione congiunta che riportiamo di seguito:

Denunciamo le persecuzioni contro i nostri compagni polacchi. Questa persecuzione, così come le persecuzioni portate avanti da altri stati membri dell’Unione Europea, va di pari passo con l’intensificazione dell’offensiva antipopolare, all’equiparazione del comunismo con il mostro fascista, e mira a cancellare le conquiste del socialismo dalla memoria collettiva dei popoli.

100 anni dopo la Rivoluzione d’Ottobre, i popoli possono e devono trarre delle conclusioni dalle anticomuniste posizioni politiche dell’UE e dei governi borghesi che divengono sempre più intense. Devono avere fiducia nei comunisti e esigere la soddisfazione dei loro bisogni moderni, organizzando la loro lotta contro il sistema capitalista, i monopoli e il loro potere. Tutte le accuse contro il PC di Polonia e i suoi quadri devono esser rimosse immediatamente. Giù le mani dai comunisti polacchi, dall’ideologia comunista e la loro azione. 

Solidarietà con il PC di Polonia!

L’anticomunismo non passerà!

  1. Partito Comunista d’Australia
  2. Partito del Lavoro d’Austria
  3. Partito Comunista d’Azerbaijan
  4. Tribuna Progressista del Bahrein
  5. Partito Comunista del Bangladesh
  6. Partito Comunista di Bielorussia
  7. Partito Comunista del Brasile
  8. Partito Comunista Brasiliano
  9. Nuovo Partito Comunista della Gran Bretagna
  10. Partito Comunista di Bulgaria
  11. Partito dei Comunisti Bulgari
  12. Partito Socialista dei Lavoratori di Croazia
  13. Partito Comunista di Cuba
  14. Akel, Cipro
  15. Partito Comunista di Boemia e Moravia
  16. Partito Comunista Egiziano
  17. Partito Comunista d’Ecuador
  18. Partito Comunista d’Estonia
  19. Partito Comunista Unificato di Georgia
  20. Partito Comunista Tedesco
  21. Partito Comunista di Grecia
  22. Partito dei Lavoratori Ungheresi
  23. Partito Comunista dell’India
  24. Partito Comunista dell’India (Marxista)
  25. Partito Comunista Iracheno
  26. Partito Comunista del Kurdistan
  27. Partito Tudeh d’Iran
  28. Partito Comunista d’Irlanda
  29. Partito dei Lavoratori d’Irlanda
  30. Partito Comunista d’Israele
  31. Partito Comunista (Italia)
  32. Partito Comunista Giordano
  33. Movimento Socialista del Kazakistan
  34. Partito dei Comunisti del Kirghizistan
  35. Partito dei Lavoratori di Corea
  36. Partito Socialista di Lettonia
  37. Fronte Popolare Socialista (Lituania)
  38. Partito del Congresso per l’Indipendenza del Madagascar
  39. Partito Comunista del Messico
  40. Partito dei Comunisti della Repubblica di Moldavia
  41. Partito Comunista del Nepal
  42. Partito Comunista di Norvegia
  43. Partito Comunista Palestinese
  44. Partito Comunista Paraguayano
  45. Partito Comunista del Perù (Patria Rossa)
  46. Partito Comunista Peruviano
  47. Partito Comunista Filippino (PKP-1930)
  48. Partito Comunista Portoghese
  49. Partito Socialista Rumeno
  50. Partito Comunista della Federazione Russa
  51. Partito Comunista Operaio Russo
  52. Nuovo Partito Comunista di Jugoslavia
  53. Comunisti di Serbia
  54. Partito Comunista dei Popoli di Spagna
  55. Comunisti di Catalogna
  56. Partito Comunista dello Sri Lanka
  57. Partito Comunista Sud Africano
  58. Partito Comunista Sudanese
  59. Partito Comunista di Svezia
  60. Partito Comunista Siriano
  61. Partito Comunista Siriano (Unificato)
  62. Partito Comunista del Tajikistan
  63. Partito Comunista di Turchia
  64. Partito Comunista d’Ucraina
  65. Unione dei Comunisti d’Ucraina
  66. Partito Comunista d’Uruguay
  67. Partito Comunista del Venezuela

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DELEGACIJA KP POLJSKE U ZVANIČNOJ POSETI NKPJ 

U sedištu Nove komunističke partije Jugoslavije (NKPJ) u Beogradu ugošćena je delegacija Komunističke partije Poljske koju je predvodila potpredsednica partije, drugarica Beata Karon, a uz nju je u delegaciji bio prisutan i drug Piotr Drosd.

Poljski komunisti upoznali su nas sa aktuelnom situacijom i dešavanjima u njihovoj zemlji, posebno s obzirom na novo zaoštravanje desničarskih napada, kako uopšte u Poljskom društvu, tako i posebno kada su u pitanju komunisti i progresivni ljudi, nasleđe izgradnje socijalizma u Poljskoj i slavne antifašističke tradicije. 

Naši prijatelji iz Poljske posebno su se zahvalili na podršci koju je na NKPJ pružila povodom farsičnih pokušaja zabrane simbola socijalizma i progresa, što se posebno teško prenelo na KP Poljske. Obavešteni smo da sudski procesi još nisu gotovi i da se 27. novembra proces nastavlja pred poljskim tužilaštvom.

Predstavnicima NKPJ je dostavljen ovom prilikom zvanični poziv za učešće u zajedničkim aktivnostima koje sprovode Poljski, Češki i Nemački komunisti jednom godišnje na velikom tradicionalnom komunističkom skupu na Poljsko-Češkoj granici koji se održava svake godine u avgustu.

Takođe, naši predstavnici su konstatovali i potvrdili važnost naše soliarnosti, saradnje i nastavka zajedničkog delovanja u okviru Inicijative komunističkih i radničkih partija Evrope, kao i u okviru Međunarodnog komunističkog pokreta. Značaj susreta ogleda se i u kontekstu internacionalističke važnosti momenta u kom je održan, neposredno po obeleženoj stogodišnjice Velike oktobarske socijalističke revolucije, čemu smo i mi i naši drugovi iz Poljske dali veliki značaj.

Sekretarijat NKPJ,

Beograd, 21.11.2017.



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(srpskohrvatski / english / francais / italiano)

Lo schifo dei \"Tribunali ad hoc\"

1) MLADIĆ
– Russia Today: ‘It is NATO court!’ Former Bosnian Serb commander Mladic slams UN court that gave him life sentence
– C. Black: The Mladic NATO-Style Trial at the ICTY: A STAIN ON CIVILIZATION / МРЉА НА ОБРАЗУ ЦИВИЛИЗАЦИЈЕ
2) PRALJAK
– L. Bogdanic: Praljak condannato all’Aja, si avvelena in aula
3) EULEX
– Le chef des juges européens au Kosovo démissionne
– EULEX acquitte Fatmir Limaj


Sulle penose vicende dei \"Tribunali ad hoc\" istituiti da NATO e UE per i crimini commessi nei Balcani si veda anche l\'articolo
Diritto e ... rovescio internazionale nel caso jugoslavo
di Andrea Martocchia, segretario Coord. Naz. per la Jugoslavia ONLUS. Articolo pubblicato sul numero 1/2015 di MarxVentuno rivista


=== 1: MLADIĆ ===



‘It is NATO court!’ Former Bosnian Serb commander Mladic slams UN court that gave him life sentence

Russia Today, 22 Nov, 2017

A United Nations tribunal has convicted General Ratko Mladic on 10 out of 11 counts of crimes he was accused of committing during the Balkan Wars of the 1990s. Critics of the prosecution of crimes during the violent collapse of Yugoslavia question its fairness.
The International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia (ICTY) handed down its verdict on Wednesday. The justices found Mladic guilty on most of the allegations dating back to the 1992-1995 war, including the massacre of Bosnian Muslim men and boys in Srebrenica. Mladic pleaded not guilty on all charges.
Presiding Judge Alphons Orie said the court found that Mladic’s actions during the war were “among the most heinous known to humankind” and amounted to genocide. The court sentenced the Serb to life in prison.
Mladic heard the verdict from a separate room, having been ousted by bailiffs after an outburst of criticism against the judges. The former general said in the courtroom that everything the judges said was a lie, the general’s son, Darko, told TASS. According to Darko, his father said: “This is all lies, this is a NATO court!”
The tirade came in response to the court’s rejection of a request by Mladic’s lawyer to postpone the hearings due to the defendant’s high blood pressure. Darko added that he was not surprised by the ruling, saying: “The court was totally biased from the start.”
The conviction is likely to fuel resentment in Serbia that the international prosecution of crimes committed during the Balkan Wars was one-sided and failed to bring justice to victims of Albanians and Croats. Of the 161 individuals indicted by the ICTY, the body created specifically to prosecute wartime crimes, 94 are ethnic Serbs, compared to 29 Croats, nine Albanians and nine Bosniaks.
Only a handful of Serbs, including politician Milan Milutinovic, General Momcilo Perisic and Yugoslav army captain Miroslav Radic were acquitted by the tribunal, compared to well over a dozen defendants of other nationalities. The tribunal insists the statistics reflect the actual crimes committed during the hostilities.
The case of Mladic, 74, was the last for the ICTY to pass a verdict on. Among the crimes he was found guilty of were the killings of an estimated 8,000 Muslim males in the UN-designated safe zone in Srebrenica and the 43-month siege of the Bosnian capital, Sarajevo, during which over 11,000 civilians are estimated to have been killed. Mladic’s defense team said it would appeal the verdict, with his case joining some two dozen others pending new rulings.
Belgrade and Moscow have on various occasions criticized the tribunal for a perceived anti-Serb bias. In 2015, Russia used its UN veto right to block a resolution on the 20th anniversary of the Srebrenica tragedy, saying that the draft document depicted the Serbian people as the sole guilty party in the complex armed conflict in Yugoslavia.

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The Mladic NATO-Style Trial at the ICTY: A Stain on Civilization

By Christopher Black
Global Research, November 29, 2017

All that is a lie. This is a NATO-style trial.”

The defiant words of General Mladic to the judges of the NATO controlled ad hoc war crimes tribunal for Yugoslavia rang out loud and clear the day they pretended to convict him. He could have added ‘but history will absolve me” and a lot more but he was thrown out of the room by the chief judge, Orie, in his condescending style, as if he was dealing to a truant schoolboy, instead of a man falsely accused of crimes he did not commit.

The Russian Foreign Ministry spokeswoman, Maria Zakharova, echoed the general’s words on November 23,

“We have again to state that the guilty verdict, delivered by the International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia against Mladic, is the continuation of the politicized and biased line, which has initially dominated the ICTY’s work.”

Both General Mladic and the Russian government are correct. The document called a “judgment” proves it for it reads like a propaganda tract instead of a court judgment. In just over 2500 pages the trio of “judges” recite the prosecution version of events nonstop, from the first paragraph to the last. The defence is mentioned only in passing.

The ICTY rejects claims that it is a biased court, a NATO court but they proved it with the very first witnesses they called to set the stage for what was to follow. A man named Richard Butler was called to testify on general military matters and the political structure in Bosnia and the Republic Srpksa. He was introduced as a “military analyst” which he is, but not an independent one. No, at the time of his testimony he was a member of the United States National Security Agency, seconded to the ICTY as a staffer. So, the first witness against General Mladic was biased on two counts. He worked for the American intelligence services that supported the enemies of General Mladic and Yugoslavia, and he was part of the prosecution staff. It is as if the NSA and the prosecutor had, at the same time, stepped into the box to testify against the accused. Butler’s testimony plays a large role in the trial; the same role he played in the trial of General Krstic.

Another military analyst expert then appears, Reynaud Theunens, also working on the staff of the prosecution. Experts in criminal trials are supposed to be completely neutral. But not only was he acting on behalf of the prosecutor, he was at the same time a Belgian Army intelligence officer. So there we have it right at the opening of the trial. The stage is set; NATO is in charge of the case. 

NATO officers work inside the tribunal. It is a NATO tribunal in UN disguise. Accordingly, throughout the judgment NATO crimes, and the crimes of the opposing Bosnian forces are never referred to. The context is deliberately constricted to give a very narrow and distorted picture of events.

The judgment continues with detailed recitations of prosecution witness testimony. Defence witnesses, on the few occasions they are referred to, never have their testimony set out in like detail. One line is devoted to a witness and all of them are dismissed as biased if their testimony is at odds with the testimony of the prosecution witnesses.

And of what does the prosecution evidence consist? 

It consists of some oral testimony of NATO military officers involved in events and who were working in the UN forces against General Mladic and his forces, the testimony of opposing Bosnian Army soldiers or their families, and witness statements and “adjudicated facts,” that is “facts” held to be so by another set of judges in another case no matter whether true or false. A number of times, the judges state something to the effect that, “the defence claims X did not happen and relied on certain evidence to support that claim. Where this evidence conflicts with the adjudicated facts we reject it.”

There are many instances of reliance on hearsay. Time and again, a paragraph in the judgment begins with the words, “The witness was told…” Thanks to corrupt jurists like Canadian former prosecutor Louise Arbour, the use of hearsay, even double hearsay was allowed in as evidence in these trials when it is forbidden in the rest of the world because hearsay testimony cannot be verified or checked for reliability and accuracy.

I was not able to observe much of the trial and only by video from time to time so, I am not able to comment on all the factual findings of the trial judges set on in their long judgment in which they condemn General Mladic and his government in page after tedious page. Those who are aware of the real history of events will realize that every paragraph of condemnation is neither more nor less than the same NATO propaganda put out during the conflict but made to look like a judgment.

For it is not a judgment. A true judgment in a criminal trial should contain the evidence presented by the prosecution, the evidence presented by the defence, and the arguments of both sides about the evidence. It must contain references to witness testimony both as witnesses testified in chief and in cross-examination. Then there must be a reasoned decision by the judges on the merits of each party’s case and their reasoned conclusions. But you will be hard pressed to find a trace of any of the defence evidence in this document. I could find none except for a few references in a hand full of paragraphs and some footnotes in both of which testimony of a defence witness was briefly referred to in order to dismiss it and to dismiss it because it did not support the prosecution version of events.

Even more shocking is that there is little reference to verbal testimony, that is, witness testimony. Instead there are references to “experts” connected to the CIA or State Department, or other NATO intelligence agencies who set out their version of history, which the judges accept without question. There is no reference to any defence experts.

Consequently, there are no reasoned conclusions from the judges as to why they decided to accept the prosecution evidence but not the defence evidence. From reading this one would think no defence was presented, other than a token one. That is not a judgment.

But there is something even more troubling about this “judgment.” It is not possible to make out if many of the witnesses referred to testified in person because there are few references to actual testimony. Instead there are countless references to documents of various kinds and “witness statements.”

This is an important factor in these trials because the witness statements referred to are statements made, or are alleged to have been made by alleged witnesses to investigators and lawyers working for the prosecution. We know from other trials that in fact these statements are often drafted by prosecution lawyers as well as investigators, and then presented to the “witnesses” to learn by rote. We know also that the “witnesses” often came to the attention of the prosecution by routes that indicate the witnesses were presenting fabricated testimony and were recruited for that purpose.

At the Rwanda tribunal, we made a point in our trial of aggressively cross-examining these “witnesses” and they invariably fell apart on the stand, since they could not remember the scripts assigned to them. We further made a point of asking the “witnesses” how they came to meet with prosecution staff and how the interviews were conducted and how these statements were created. The results were an embarrassment to the prosecution as it became clear they had colluded with investigators to manipulate, pressure and influence “witnesses” and that they were complicit in inventing testimony.

Further, it is important for anyone reading this “judgment” to be able to refer to the pages in the transcripts at which the witnesses testified, what they testified to, and what they said in cross-examination, because a statement is not testimony. It is just a statement.

A statement cannot be used as evidence. That requires the witness to get in the box and to state under oath what they observed. Then they can be questioned as to the reliability as observers, their bias if any, their credibility and so on. But in this case we see hundreds of references to “witness statements.” This indicates that the judges based their “judgment” not on the testimony of the witnesses (if they were called to testify) but on their written statements, prepared by the prosecution, and without facing any cross-examination by the defence.

It is not clear at all from this judgment that any of the witnesses referred to in the statements actually testified or not. If they did then their testimony should be cited, not their statements. The only valid purpose the statements have is to notify the lawyers what a witness is likely to say in the trial, and to disclose the prosecution case to the defence so they can prepare their case and then use the statements in the trial to cross examine the witness by comparing the prior statement with their testimony under oath in the witness box.

The formula is a simple one. The prosecution witness gets in the box, is asked to state what he observed about an event and then the defence questions the witness,

Mr. Witness, in your statement dated x date you said this, but today you say that. …Let’s explore the discrepancy.”

That’s how it is supposed to go. But where is it in this case? It is nowhere to be found.

It would take a book to recite the problems with the “trial” as exposed by this judgment. But there is one example which highlights the rest relating to Srebrenica and concerns a famous meeting that took place at the Fontana Hotel on the evening of July 11, 1995 at which General Mladic meets with a Dutch peacekeeper colonel to arrange the evacuation of the civilians in the Srebrenica area and the possible laying down of arms of the 28th Bosnian Army Division. There is a video of that meeting available on YouTube.

I paraphrase but it shows General Mladic asking why NATO planes were bombing his positions and killing his men. He asks why the UN forces were smuggling weapons to the Bosnian military. He asks why the UN forces tried to murder him personally. To each question he receives an apology from the Dutch officer. He then asks the Dutch officer if he wants to die and he says no. Mladic replies, nor do my men want to die, so why are you shooting at them? No answer.

The rest of the video concerns discussion of a plan to evacuate the town during which Mladic offers the UN men cigarettes, and offers some wine to ease the tension. For me, as a defence lawyer, it is a crucial element of the defence to the charges concerning Srebrenica. But no reference to this video is made in the judgment. Instead the judges refer to the testimony of several UN-NATO officers who were at the meeting in which they totally distort and twist what was said. There is no clue that the defence cross-examined those liars using the video; “Sir you state that this was said, but here in the video it shows that you are wrong. What do you say?”

It is nowhere. Was it used and ignored by the judges or not used? I have no idea. But it is clear that the prosecution chose not to use it because it would mean the collapse of their case. For even on the prosecution evidence it is clear that the men of the 28th Division refused to lay down their arms and fought their way to Tuzla. Most were killed in the fighting on the way. Many were taken prisoner. A handful of Bosnian witnesses claim these prisoners were massacred. But their testimony is of the “I was the lone miraculous survivor of the massacre” variety they tend to use in these trials.

I won’t enter into the heavy use of the bogus legal concept of joint criminal enterprise to attach criminal liability to the general, guilt by association and without intent. That they used it shows they know they had no case against him.

In summary this document contains within it little sense of the defence case or what the facts presented by the defence were, what the defence arguments were on the facts, nor their full legal arguments.

But most importantly we have no idea what the testimony was of most of the prosecution witnesses and no idea what the testimony was of defence witnesses. It is as if there was no trial, and the judges just sat in a room sifting through prosecution documents writing the judgment as they went. We must suppose that this is not far from the truth.

This “judgment” and the trial are another humiliation of Yugoslavia and Serbia by the NATO alliance since it is clear from its creation, financing, staffing and methods that the ICTY is a NATO controlled tribunal. This is confirmed by the statement of the NATO Secretary-General, who said,

“I welcome the ruling…. the Western Balkans are of strategic importance for our Alliance…”

In other words, this conviction helps NATO to consolidate its hold on the Balkans by keeping the Serbs down and out. General Mladic is a scapegoat for the war crimes of the NATO alliance committed in Yugoslavia, which the ICTY covers up and so assists NATO in committing more war crimes, as we have seen since.

The ICTY has proven to be what we expected it to be, a kangaroo court, using fascist methods of justice that engaged in selective prosecution to advance the NATO agenda of conquest of the Balkans as a prelude to aggression against Russia. NATO uses the tribunal as a propaganda weapon to put out a false history of the events in Yugoslavia, to cover up its own crimes, to keep the former republics of Yugoslavia under its thumb, and to justify NATO aggression and occupation of Yugoslavian territory. It is a stain on civilization.

Christopher Black is an international criminal lawyer based in Toronto. He is known for a number of high-profile war crimes cases and recently published his novel “Beneath the Clouds. He writes essays on international law, politics and world events, especially for the online magazine “New Eastern Outlook.” where this article was originally published.

Featured image is from the author.

The original source of this article is Global Research
Copyright © Christopher Black, Global Research, 2017


--- PREVOD:


КРИСТОФЕР БЛЕК: 

СЛУЧАЈ МЛАДИЋ – МРЉА НА ОБРАЗУ ЦИВИЛИЗАЦИЈЕ

петак, 01 децембар 2017

„Све су то лажи. Ово је NATO суђење“. Пркосне речи генерала Младића судијама ad hoc сида за ратне злочине у Југославији, који је под NATO контролом, одјекнуле су јасно и гласно у дану када су одглумили да су му изрекли пресуду. Могао је додати: „али историја ће ме ослободити“, и много тога још да га главни судија Ори није избацио из суднице у свом покровитељском маниру као да се обраћа несташном ученику, а не човеку оптуженом за злочине које није починио.

Портпаролка руског Министарства спољних послова Марија Захарова поновила је генералове речи 23. новембра:

„Морамо опет истаћи да је пресуда Међународног кривичног суда за бившу Југославију против Младића наставак политизованог и пристрасног односа који од почетка доминира радом Хашког трибунала“.

Младић и руска влада су у праву. Документ под називом „пресуда“ то доказује будући да звучи као пропагандни летак, а не процена једног суда. На преко 2.500 страна трио „судија“ непрекидно рецитује своју верзију догађаја од прве до последње странице. Одбрана се помиње само успутно.

Хашки трибунал (ICTY) одбацује тврдње да је пристрасни NATO суд, али то доказује од позивања првог сведока, који је поставио позорницу за оно што ће уследити. Човек по имену Ричард Батлер (на слици испод) позван је да сведочи о војним питањима и политичкој структури у Босни и Републици Српској. Представљен је као „војни стручњак“, што и јесте, али није независан. У тренутку свог сведочења био је члан Националне безбедносне агенције (NSA) САД, додељен Хашком трибуналу у својству сарадника. Тако је први сведок у случају против генерала Младића био двоструко пристрасан – радио је за америчке обавештајне службе, које су подржавале непријатеље генерала Младића и Југославије, и био члан особља тужилаштва. То је као да су NSA и тужилац истовремено сведочили против оптуженог. Батлерово сведочење имало је важну улогу у судском процесу, а исту улогу одиграо је и у суђењу генералу Крстићу.
ОД ЧЕГА СЕ САСТОЈЕ ДОКАЗИ ТУЖИЛАШТВА?

Потом се појављује други војни стручњак Рејнод Тионенс, такође члан особља тужилаштва. Експерти у кривичним поступцима требало би да буду потпуно неутрални. А он није говорио само у име тужилаштва; истовремено је био и обавештајни официр белгијске војске. NATO официри раде у Трибуналу. Ради се о NATO суду под маском УН. Сходно томе, у пресуди се не помињу злочини NATO и супротстављених босанских снага. Контекст је намерно постављен тако да пружа врло уску и искривљену слику догађаја.

Пресуда се наставља детаљним сведочењима сведока оптужбе. У исказима сведока одбране – у пар наврата где се помињу – не улази се у детаље. Сви сведоци одбране су одбачени као пристрасни ако се њихово сведочење не поклапа са сведочењима сведока оптужбе.

А од чега се састоје докази тужилаштва? Од вербалног сведочења NATO војних официра, који су тада радили за УН против генерала Младића и његових снага; од сведочења бошњачких војника и њихових породица; и од изјава сведока о „потврђеним чињеницама“, односно „чињеницама“ које доказале судије које су радиле на другим случајевима, без обзира да ли су тачне или нису. У великом броју случајева судије су рекле нешто типа – „одбрана тврди да се то и то није догодило и износи одређене доказе за ту тврдњу, али ти докази нису у складу са потврђеним чињеницама и због тога смо их одбили“.

У много случајева пресуда се ослања на гласине. Изнова и изнова, параграфи пресуде почињу речима „Сведоку је речено…“. Захваљујући корумпираним правницима, попут бившег канадског тужиоца Луиз Арбур, докази из друге или чак треће руке на овим суђењима узимани су за легитимне, док су у остатку света забрањени, јер сведочење из друге руке не може бити потврђено, односно не може бити проверена његова поузданост и прецизност.

Нисам био у могућности да посматрам велики део суђења – изузев с времена на време путем видео линка – па не могу да коментаришем све чињеничне налазе судија који се појављују у њиховој дугачкој и монотоној пресуди, којом се осуђују генерал Младић и српска влада. Они који су упознати са правом историјом догађаја разумеће да се у сваком параграфу пресуде налази ни мање ни више него иста она NATO пропаганда која је изношена још за време конфликта, само прилагођена да личи на пресуду.
ОЗБИЉАН ПРОБЛЕМ СВЕДОЧЕЊА

Јер то и није пресуда. Права пресуда у кривичном поступку требало би да садржи доказе тужиоца, доказе одбране и аргументе обе стране о тим доказима. Мора садржати упућивање на исказе сведока, како на оне изнете самостално, тако и на доказе изнете током унакрсног испитивања. Затим мора постојати образложена одлука судија о валидности сваке стране и њихових образложених закључака. Али тешко ћете успети да пронађете било какав траг доказа одбране у овом документу (мисли се на пресуду; прим. прев.). Нисам успео да пронађем ништа осим неколико референци у гомили параграфа и пар фуснота у којима се искази сведока одбране кратко помињу само да би били одбачени јер се не слажу са тужиочевом верзијом догађаја.

Још шокантније је што има мало референци о вербалним сведочењима, тј. исказима сведока. Уместо тога помињу се искази „експерата“ повезаних са CIA, Стејт департментом или неком другом NATO обавештајном агенцијом која је изнела своју верзију историје, коју судије безусловно прихватају. Не постоји ниједна референца о било каквим експертима одбране.

Сходно томе, од судија нема образложених закључака о томе зашто су одлучили да прихвате доказе оптужбе, али не и доказе одбране. Читајући ово, намеће се закључак да одбрана није ни била присутна, осим визуелно. То није пресуда.

Али постоји нешто још проблематичније у вези са овом „пресудом“. Није могуће закључити да ли су многи сведоци на које се пресуда позива сведочили лично, јер је мало референци о самом суђењу. Уместо тога, имамо безбројна позивања на разне документе и „изјаве сведока“.

То је важан фактор на оваквим суђењима јер се поставља питање да ли су изјаве сведока заиста постојале или се ради о наводним изјавама које су наводни сведоци дали истражитељима и адвокатима који раде за тужилаштво. Из других случајева познато је да ове изјаве често конструишу адвокати за кривично гоњење, као и истражитељи, и потом их представљају као „сведочења“ по сећању. Такође знамо да „сведоци“ често доспевају у центар пажње тужилаштва због индиција да су унајмљени за изношење лажног сведочења.

На Руандском трибуналу смо вршили агресивна унакрсна испитивања оваквих „сведока“, који би неизбежно бивали раскринкани јер нису могли да запамте скрипте које су им додељене. Такође смо их испитивали о састанку са особљем тужилаштва, како су рађени интервјуи и како су настале њихове изјаве. Резултат је био срамотан за тужилаштво, јер је постало очигледно да су били у дослуху са истражитељима с циљем да манипулишу, изврше притисак и утичу на „сведоке“, односно да су саучесници у лажном сведочењу.

Даље, важно је да свако ко чита ову „пресуду“ има могућност да се позове на странице у транскриптима где се налазе искази сведока, шта су сведочили и шта су рекли у унакрсном испитивању. Јер изјава није исто што и сведочење; то је само изјава.
САСТАНАК У ХОТЕЛУ ФОНТАНА

Изјава не може бити коришћена као доказ. За то је потребно да сведок уђе у судницу и под заклетвом каже шта је видео. Они тада могу бити испитивани како би се проверила поузданост сведока, евентуална пристрасност, кредибилитет итд. Али у овом случају имамо стотине референци на „изјаве сведока“. То указује да судије своју „пресуду“ нису засновале на сведочењима сведока (као што би био случај да су позивани да сведоче), већ на њиховим писаним изјавама које је припремило тужилаштво, без икаквог унакрсног испитивања одбране.

Из пресуде се уопште не може закључити да ли је иједан од реферисаних сведока заправо сведочио или није. Ако јесу, онда би требало да буде цитирано њихово сведочење, а не изјаве. Једина ваљана сврха изјава јесте да адвокате обавесте шта ће сведок вероватно рећи у судници и да представе случај тужилаштва како би одбрана могла да се припреми и те изјаве искористи током унакрсног испитивања сведока, упоређујући их са сведочењем под заклетвом.

Формула је једноставна. Сведок тужилаштва улази у судницу, бива замољен да каже шта је видео о одређеном догађају и потом одбрана испитује сведока.

„Господине Сведок, у вашој изјави, дана тог и тог, рекли сте то и то, али данас кажете ово. Хајде да истражимо ову противречност“.

Тако би требало да иде. Али у овом случају од тога нема ни трага.

Требало би написати књигу да се наведу сви проблеми са „суђењем“ који проистичу из ове пресуде. Један од репрезентативних примера односи се на Сребреницу и познати састанак који се у хотелу Фонтана у Братунцу одржао 11. јула 1995, на којем се генерал Младић срео са пуковником холандских миротвораца (ради се о Томасу Каремансу, заповеднику холандског батаљона; прим. прев.) како би се организовала евакуација цивила на подручју Сребренице и потенцијално полагање оружја 28. дивизије Армије БиХ. Постоји видео запис са тог састанка доступан на сајту Youtube.

Парафразирајући садржај снимка, види се како генерал Младић пита због чега су NATO авиони бомбардовали његове позиције и убијали његове људе. Пита због чега су снаге УН кријумчариле оружје за босанску војску. Пита због чега су снаге УН покушале лично да га убију. На свако од питања добија извињење од холандског официра. Потом га Младић пита жели ли да умре, на шта овај одговара одрично. Младић му реплицира да ни његови људи нису желели да умру и пита због чега је на њих пуцао. Нема одговора.
„ПРЕСУДА“ ЈЕ NATO ПОНИЖЕЊЕ ЗА СРБИЈУ

У остатку видеа дискутује се о плану за евакуацију града. Током дискусије Младић официрима УН нуди цигарете и вино да се спусти тензија. За мене као адвоката ово је кључни елемент одбране од оптужби за Сребреницу. Али у пресуди се ниједном не помиње тај видео. Уместо тога, позива се на сведочења неколико УН-NATO официра присутних на састанку који су тотално изокренули све што је речено. Нема индиција да је одбрана унакрсно испитала ове лажове уз помоћ снимка, по принципу „Господине, кажете да је речено то и то, али из снимка се види да нисте у праву. Како то коментаришете?“ Тога нема нигде. Да ли је то искоришћено па игнорисано од стране суда или уопште није коришћено? Не знам, али је јасно да се не налази у пресуди зато што би оборило цео случај. Јер чак и из овакве пресуде је јасно да су борци 28. дивизије одбили да положе оружје и да су почели да се пробијају ка Тузли. Већина их је погинула у борби. Многи су узети за затворенике. Део босанских сведока тврди да су ови затвореници масакрирани. Али њихово сведочење је било једно од оних „једини сам чудом преживео масакр“

(Message over 64 KB, truncated)

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(italiano / русский)

Iniziative segnalate

1) Sottoscrizione per Misha, invalido di guerra, in segno di solidarietà con l\'Ucraina antifascista e per la pace in Donbass

2) Bologna 1/12: Gli uomini di Mussolini, presentazione del libro di Davide Conti

3) Milano 2/12: Ucraina sotto gli attacchi dell\'imperialismo e dei nazifascisti, iniziativa con P. Simonenko (PCU)

4) Padova 2/12: La Rivoluzione d\'Ottobre e noi, dibattito, cena e performance audio-visiva

5) Arona (NO), 2-3/12: Partigiani sovietici nella Resistenza italiana


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Jugocoord Onlus è al fianco del movimento per l\'Ucraina antifascista e la pace in Donbass e lo sostiene mettendosi a disposizione per iniziative mirate come da indicazioni della nostra recente Assemblea dei Soci. Segnaliamo:

https://www.facebook.com/ucraina.antifascista.bo/posts/1601116269910924

Comitato Ucraina Antifascista Bologna, 27/11/2017

APPELLO IMPORTANTE IN ITALIANO E RUSSO

Cari compagni, per il prossimo Natale vi chiediamo un aiuto speciale:
Misha (Mihail Matvienko) è un giovane uomo di 22 anni, è nato e cresciuto a Donetsk, allevato dalla mamma e senza il papà. Studente del liceo e sportivo, nel maggio del 2014 si unisce al Battaglione Vostok per combattere il fascismo. Nel settembre del 2014 rimane gravemente ferito a causa dell\'esplosione di una mina e subisce l\'amputazione di entrambi i piedi e di una mano, purtroppo Misha perde anche la vista. Si trasferisce a Mosca, dove lo abbiamo incontrato, aiutato da alcuni volontari per sottoporsi a cure mediche. Attualmente frequenta l\'Università e coltiva il sogno di ritornare a Donetsk, crearsi una famiglia ed aprire una scuola che formi i ragazzi alla educazione e al rispetto per gli altri. 
Misha è solito ripetere: \" finché avrò sangue nelle vene non sono finito, la pace in Ucraina tornerà solo quando il popolo avrà consapevolezza che c\'è la guerra.\"
Decorato con due medaglie al valore per il suo coraggio e la difesa dello storico monumento di Saur Mogila, ha un animo cosacco che lo aiuta ad affrontare le durezze della vita.
Misha ha bisogno della nostra solidarietà, una importante operazione all\'occhio potrebbe ridonargli la vista.
Compagni, sottoscrivete, contattateci in privato o versate un aiuto concreto sul conto: 

CONTO BANCOPOSTA n. 88411681 intestato a JUGOCOORD ONLUS, Roma
IBAN: IT 40 U 07601 03200 000088411681. Causale \"Per Misha\".

Grazie

Миша (Mihail Matvienko) - молодой человек, 22-ух лет. Родился и вырос в Донецке. До войны учился, работал и занимался спортом, как и большинство молодых людей, его возраста. 
В мае 2014 вступил в батальон \" Восток \" и воевал против фашистов. В сентябре того же года, в результате минно - взрывного ранения, Миша получил тяжелые увечья : ампутация обеих нижних конечностей, ампутация правой кисти, потеря зрения , частичная потеря слуха. Благодаря неравнодушным людям, с целью получения медицинской помощи, Миша был приглашен в Москву, где и проживает вместе с мамой. В этом году он поступил в один из Московских вузов на факультет психологии. 
Награжден двумя медалями : \" За боевые заслуги \", \" Защитнику Саур-Могилы \". 
Справляться с жизненными трудностями Мише помагает козацкий дух, вера в добро и справедливость. Мечтает вернуться в Донецк, снова видеть, создать семью. 
Сейчас Мише необходима наша поддержка и солидарность. Товарищи, друзья подписывайтесь или пишите в личные сообщения. 
Спасибо!

\"Война на Украине закончится тогда, когда люди наконец поймут, что идет война \". ( Миша )


=== 2 ===

Bologna, 1-2-3 dicembre 2017
presso il Vag61 - via Paolo Fabbri 110

Su la testa! Festival della letteratura antifascista 1-2-3 dic
Il programma: https://www.facebook.com/events/1589719677755710/

Segnaliamo in particolare:

venerdì 1 dicembre alle h18.30: 

presentazione del libro di Davide Conti:
\"Gli uomini di Mussolini\" (Einaudi Storia - 2017).

Dialogheranno con l\'autore Wu Ming 1 e Renato Sasdelli, autore di \"Fascismo e tortura a Bologna\" (Pendragon, 2017)


=== 3 ===

Milano, 2 dicembre 2017
alle ore 14:30 nella Sala Convegni del centro culturale \"Concetto Marchesi\", Via L. Spallanzani 6

Ucraina sotto gli attacchi dell\'imperialismo USA, della NATO, dell\'UE e dei nazifascisti

intervengono:
V. Merlin (segr. reg. PCI)
B. Casati (pres. centro cult. C. Marchesi)
P. Simonenko (segr. gen. del Partito Comunista di Ucraina)
conclude:
F. Giannini (resp. dip. Esteri PCI)

Locandina e intervento introduttivo di Massimo Leoni (segreteria regionale PCI Lombardia):


=== 4 ===

Padova, sabato 2 dicembre 2017
dalle ore 17 alla Marzolo Occupata, via Marzolo 4 (zona Portello)

Serata dedicata al centenario della Rivoluzione

La Rivoluzione d\'Ottobre e noi - dibattito, cena e performance audio-visiva

★ Alle 17.00 interverrà la redazione della rivista #Antitesi con la presentazione della seconda parte del nuovo numero \"Comunisti: imparare dal passato, agire nel presente, trasformare il futuro\", all\'interno dell\'assemblea-dibattito \"La Rivoluzione d\'Ottobre e noi\" sull\'attualità degli insegnamenti dell\'esperienza sovietica nella fase attuale.

★ Alle 20.00 saremo in compagnia dell\'Associazione Nova Harmonia per una cena popolare, il cui ricavato sarà devoluto in solidarietà alle popolazioni del Donbass. (Per la cena è gradita la conferma della partecipazione entro venerdì 1). 

★ Alle 21.30 si terrà una performance audio-visiva: verrà proiettata la pellicola \"Ottobre\" del maestro Sergej Michajlovič Ėjzenštejn con la risonorizzazione live a cura del Collettivo Foa Boccaccio 003.

La memoria di ieri per la lotta di oggi!
Partecipa e diffondi. 

organizza Collettivo Tazebao collettivo.tazebao @ gmail.com www.tazebao.org


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Arona (NO), 2-3 dicembre 2017

PARTIGIANI SOVIETICI NELLA RESISTENZA ITALIANA




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La campagna Abiti Puliti svela le nuove schiavitù

su segnalazione di P. Cecchi)

Un nuovo rapporto della Clean Clothes Campaign, Europe’s Sweatshops, documenta i salari da fame endemici e le dure condizioni di lavoro nell’industria tessile e calzaturiera dell’Est e Sud-Est Europa. Ad esempio, molti lavoratori in Ucraina, nonostante gli straordinari, guadagnano appena 89 euro al mese in un Paese in cui il salario dignitoso dovrebbe essere almeno 5 volte tanto. Tra i clienti di queste fabbriche ci sono marchi globali come Benetton, Esprit, GEOX, Triumph e Vera Moda.
Per questi marchi i Paesi dell’Est e Sud-Est Europa rappresentano paradisi per i bassi salari. Molti brand enfatizzano l’appartenenza al “Made in Europe”, suggerendo con questo concetto “condizioni di lavoro eque”. In realtà, molti dei 1,7 milioni di lavoratori e lavoratrici di queste regioni vivono in povertà, affrontano condizioni di lavoro pericolose, tra cui straordinari forzati, e si trovano in una situazione di indebitamento significativo.
Queste fabbriche di sfruttamento offrono lavoratori economici, anche se qualificati e professionali. Troppo spesso i salari mensili della maggior parte della forza lavoro femminile raggiungono appena la soglia del salario minimo legale, che varia dagli 89 euro in Ucraina ai 374 euro in Slovacchia. Ma il salario dignitoso, quello che permetterebbe a una famiglia di provvedere ai bisogni primari, dovrebbe essere quattro o cinque volte superiore e in Ucraina, ad esempio, questo vorrebbe dire guadagnare almeno 438 euro al mese.
I salari minimi legali in questi Paesi sono attualmente al di sotto delle loro rispettive soglie di povertà e dei livelli di sussistenza. Le conseguenze sono terribili. “A volte semplicemente non abbiamo niente da mangiare”, ha raccontato una lavoratrice ucraina. “I nostri salari bastano appena per pagare le bollette elettriche, dell’acqua e dei riscaldamenti” ha detto un’altra donna ungherese.
Le interviste a 110 lavoratrici e lavoratori di fabbriche di abbigliamento e calzature in Ungheria, Ucraina e Serbia hanno rivelato che molti di loro sono costretti ad effettuare straordinari per raggiungere i loro obiettivi di produzione. Ma nonostante questo, difficilmente riescono a guadagnare qualcosa in più del salario minimo.
Molti degli intervistati hanno raccontato di condizioni di lavoro pericolose come l’esposizione al calore o a sostanze chimiche tossiche, condizioni antigieniche, straordinari forzati illegali e non pagati e abusi da parte dei dirigenti. I lavoratori intervistati si sentono intimiditi e sotto costante minaccia di licenziamento o trasferimento.
Quando i lavoratori serbi chiedono perché durante la calda estate non c’è aria condizionata, perché l’accesso all’acqua potabile è limitato, perché sono costretti a lavorare di nuovo il sabato, la risposta è sempre la stessa: “Quella è la porta”.
“Ci pare evidente che i marchi internazionali stiano approfittando in maniera sostanziosa di un sistema foraggiato da bassi salari e importanti incentivi governativi” dichiara Deborah Lucchetti, portavoce della Campagna Abiti Puliti, sezione italiana della Clean Clothes Campaign. “In Serbia, ad esempio, oltre ad ingenti sovvenzioni, le imprese estere ricevono aiuti indiretti come esenzione fiscale fino a per dieci anni, terreni a titolo quasi gratuito, infrastrutture e servizi. E nelle zone franche sono pure esentate dal pagamento delle utenze mentre i lavoratori fanno fatica a pagare le bollette della luce e dell’acqua, in continuo vertiginoso aumento” continua Deborah Lucchetti.
Le fabbriche citate nel rapporto producono tutte per importanti marchi globali: tra questi troviamo Benetton, Esprit, GEOX, Triumph e Vera Moda. La Campagna Abiti Puliti chiede ai marchi coinvolti di adeguare i salari corrisposti al livello dignitoso e di lavorare insieme ai loro fornitori per eliminare le condizioni di lavoro disumane e illegali documentate in questo rapporto.

Scarica il rapporto per la SERBIA:

Vedi anche:

Scarpe e abiti, la nuova frontiera della schiavitù è Made in Europa (di Patrizia De Rubertis, su Il Fatto Quotidiano del 27 novembre 2017)
Salari sotto la soglia di povertà e trattamento disumano: è quello che accade in molte aziende dell’Est che riforniscono il mercato italiano, secondo il report di “Abiti Puliti”. “Quando ho detto alla mia supervisore che non riuscivamo a respirare perché in fabbrica c’erano più di 30 gradi in fabbrica, lei ha preso il tubo di scarico della macchina e me l’ha puntato in faccia. E m’ha detto ‘Arrangiatevi, c’è un sacco di gente pronta a sostituirvi’...

Sui casi GEOX e BENETTON e le delocalizzazioni italiane nei Balcani, dall\'archivio JUGOINFO:

Sul caso GOLDEN LADY / OMSA:

La nostra pagina dedicata a Economia e questioni sindacali:




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Ancora su militarismo USA e UE

1) Nasce la Pesco costola della Nato (Manlio Dinucci)
2) Fermare il potenziamento della base USA di Camp Darby (Rete dei Comunisti - Pisa)


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VERSIONE VIDEO: L’arte della guerra - Nasce la Pesco costola della Nato (PandoraTV, 22 nov 2017)
Dopo 60 anni di attesa, annuncia la ministra della Difesa Roberta Pinotti, sta per nascere a dicembre la Pesco, «Cooperazione strutturata permanente» dell’Unione europea nel settore militare, inizialmente tra 23 dei 27 stati membri...



Nasce la «Pesco», costola della Nato

L’arte della guerra. La rubrica settimanale a cura di Manlio Dinucci (il manifesto, 21 novembre 2017)

Dopo 60 anni di attesa, annuncia la ministra della Difesa Roberta Pinotti, sta per nascere a dicembre la Pesco, «Cooperazione strutturata permanente» dell’Unione europea nel settore militare, inizialmente tra 23 dei 27 stati membri.

Che cosa sia lo spiega il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg. Partecipando al Consiglio degli affari esteri dell’Unione europea, egli sottolinea «l’importanza, evidenziata da tanti leader europei, che la Difesa europea debba essere sviluppata in modo tale da essere non competitiva ma complementare alla Nato». Il primo modo per farlo è che i paesi europei accrescano la propria spesa militare: la Pesco stabilisce che, tra «gli impegni comuni ambiziosi e più vincolanti» c’è «l’aumento periodico in termini reali dei bilanci per la Difesa al fine di raggiungere gli obiettivi concordati».

Al budget in continuo aumento della Nato, di cui fanno parte 21 dei 27 stati della Unione europea, si aggiunge ora il Fondo europeo della Difesa attraverso cui la Ue stanzierà 1,5 miliardi di euro l’anno per finanziare progetti di ricerca in tecnologie militari e acquistare sistemi d’arma comuni. Questa sarà la cifra di partenza, destinata a crescere nel corso degli anni.

Oltre all’aumento della spesa militare, tra gli impegni fondamentali della Pesco ci sono «lo sviluppo di nuove capacità e la preparazione a partecipare insieme ad operazioni militari».

Capacità complementari alle esigenze della Nato che, nel Consiglio Nord Atlantico dell’8 novembre, ha stabilito l’adattamento della struttura di comando per accrescere, in Europa, «la capacità di rafforzare gli Alleati in modo rapido ed efficace». Vengono a tale scopo istituiti due nuovi comandi. Un Comando per l’Atlantico, con il compito di mantenere «libere e sicure le linee marittime di comunicazione tra Europa e Stati uniti, vitali per la nostra Alleanza transatlantica».

Un Comando per la mobilità, con il compito di «migliorare la capacità di movimento delle forze militari Nato attraverso l’Europa». Per far sì che forze ed armamenti possano muoversi rapidamente sul territorio europeo, spiega il segretario generale della Nato, occorre che i paesi europei «rimuovano molti ostacoli burocratici». Molto è stato fatto dal 2014, ma molto ancora resta da fare perché siano «pienamente applicate le legislazioni nazionali che facilitano il passaggio di forze militari attraverso le frontiere». La Nato, aggiunge Stoltenberg, ha inoltre bisogno di avere a disposizione, in Europa, una sufficiente capacità di trasporto di soldati e armamenti, fornita in larga parte dal settore privato.

Ancora più importante è che in Europa vengano «migliorate le infrastrutture civili – quali strade, ponti, ferrovie, aeroporti e porti – così che esse siano adattate alle esigenze militari della Nato».

In altre parole, i Paesi europei devono effettuare a proprie spese lavori di adeguamento delle infrastrutture civili per un loro uso militare: ad esempio, un ponte sufficiente al traffico di pullman e autoarticolati dovrà essere rinforzato per permettere il passaggio di carrarmati.

Questa è la strategia in cui si inserisce la Pesco, espressione dei circoli dominanti europei che, pur avendo contrasti di interesse con quelli statunitensi, si ricompattano nella Alleanza atlantica sotto comando statunitense quando entrano in gioco gli interessi fondamentali dell’Occidente messi in pericolo da un mondo che cambia.

Ecco allora spuntare la «minaccia russa», di fronte alla quale si erge quella «Europa unita» che, mentre taglia le spese sociali e chiude le sue frontiere interne ai migranti, accresce le spese militari e apre le frontiere interne per far circolare liberamente soldati e carrarmati.


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Fermare il potenziamento della base USA di camp Darby, smascherare le amministrazioni PD, lottare contro l’imperialismo Usa e quello UE

di Rete dei Comunisti - Pisa, 22.11.2017

Con dovizia di particolari gli organi di stampa locali ci informano da mesi del futuro, enorme potenziamento della base statunitense di Camp Darby.
Un nuovo tratto ferroviario dedicato al trasporto di armi e munizioni da e per la base nord americana.
La costruzione di un ponte girevole sul canale dei Navicelli per agevolare il trasporto delle stesse verso il porto di Livorno.
L’abbattimento di 1.000 alberi per realizzare il progetto.
Tutto questo accompagnato dalla insopportabile ipocrisia di una classe politico/amministrativa (locale e regionale) che racconta di essere rimasta all\'oscuro del progetto per lungo tempo.
In questi anni le Giunte PD Filippeschi e Rossi hanno costruito “ponti d’oro” per il Pentagono, coadiuvando in tutti i modi il potenziamento di quella base di guerra, che dal dopoguerra ad oggi ha contribuito alla morte di milioni di persone nell’immenso raggio d’azione delle truppe USA / NATO. La lista dei paesi e dei popoli colpiti dalle micidiali armi di distruzione di massa che partono da quella base è così lunga che occorrerebbe un documento a parte. Le ultime vittime in ordine di tempo (centinaia di migliaia) sono libiche, siriane, yemenite, che dopo le aggressioni militari continuano a morire nei deserti e nei mari attraversati per fuggire ai bombardamenti.
La strategia di guerra e di morte della NATO e degli USA non cambia da una amministrazione all’altra. Obama e Trump in questo pari sono. Cambiano le forme, non la sostanza.
L’amministrazione Trump è l’espressione della debolezza di un sistema imperialista in declino, che usa la forza militare per tentare di perpetuare una centralità persa sul terreno economico e dell’egemonia a livello internazionale.
Le basi militari come camp Darby sono strumenti di guerra e controllo territoriale, di ingerenza diretta statunitense non solo sull’Italietta di Gentiloni/Renzi, ma soprattutto contro l’Unione Europea, che si sta emancipando economicamente e militarmente dagli USA. La cosiddetta “Cooperazione Strutturata Permanente sulla Difesa” firmata da 23 paesi UE lo scorso 12 novembre a Bruxelles è un ulteriore tassello nella costruzione di un esercito europeo che aumenta la distanza e lo scontro tra i due colossi imperialisti.
Le popolazioni locali (non solo di Pisa e Livorno ma di tutto il paese) subiscono da decenni la presenza di camp Darby, che mette in costante pericolo la nostra incolumità fisica, oltre ad essere un onere costante per le casse dello Stato, nonostante le chiacchiere sul finanziamento in dollari statunitensi di questa ultima ipotesi di ampliamento, che dovrebbe iniziare a dicembre.
Il movimento contro la guerra deve reagire, come ha fatto in questi anni, a questa ulteriore opera di potenziamento militare e di distruzione dell’ecosistema di Tombolo, territorio che deve tornare sotto il controllo della sovranità popolare locale, allontanando definitivamente le truppe e le armi USA dai nostri territori.
Il PD e il codazzo bipartisan di partiti che sostengono queste opere di devastazione umana e ambientale vanno indicate come nemiche della pace, smascherando le ipocrite campagne mediatiche che nascondono l’evidenza del loro ruolo.
Per la chiusura immediata della base USA di camp Darby e la sua riconversione a scopi civili, per l’uscita dell’Italia dalla NATO, contro l’imperialismo USA e l’imperialismo della Unione Europea.
Su questi obiettivi la Rete dei Comunisti scenderà in piazza insieme a tutte le forze politiche, sociali e sindacali coerentemente schierate contro la guerra.



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