Informazione


Cronache della Carovana Antifascista 2017 in Donbass

2017: Link, brevi e commenti in ordine cronologico
2014--2016: Flashbacks


APPUNTAMENTI:

– Roma, lunedì 8 maggio 2017
alle ore 12 si terrà una conferenza stampa della delegazione rientrata in Italia presso la sede del parlamento europeo in via IV Novembre

– Roma, martedì 9 maggio 2017
dalle ore 16:30 a Piazzale Verano
REGGIMENTO DEGLI IMMORTALI
Il 9 maggio in tutti i paesi dell'ex Unione Sovietica si festeggia il GIORNO DELLA VITTORIA. Questa manifestazione è stata organizzata per la prima volta a Tomsk nel 2012 e da allora si svolge in moltissime città in Russia e dallo scorso anno, anche in molte città europee. Il 9 maggio 2017 vogliamo organizzare anche qui a Roma un appuntamento per questo giorno. Vogliamo ringraziare il Popolo Russo che ha sconfitto il nazifascismo, ricordando anche i caduti della Guerra di Liberazione. 
Ci daremo appuntamento ai giardini di Piazzale del Verano e poi tutti insieme porteremo dei fiori al Sepolcreto dei Caduti nella Lotta per la Liberazione.
Evento facebook: https://www.facebook.com/events/174656103051633/


=== 2017: Link, brevi e commenti in ordine cronologico ===

Parte la carovana antifascista per il Donbass. Intervista all’onorevole Eleonora Forenza (PandoraTV, 28 apr 2017)
Eleonora Forenza, europarlamentare nelle fila del GUE, eletta nella Lista Tsipras - L’Altra Europa, partecipa alla terza carovana antifascista per il Donbass. La carovana, organizzata dalla Banda Bassotti, si recherà a Donetsk e a Lugansk per portare farmaci e aiuti di prima necessità alle popolazioni del Donbass...

"Perché io, eurodeputata, parteciperò alla terza carovana antifascista in Donbass" (Maurizio Vezzosi, 28/04/2017)
Intervista ad Eleonora Forenza, Eurodeputata del PRC

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Primo maggio a Lugansk. Per la pace, per il lavoro!

Coordinamento Ucraina Antifascista, 1 Maggio 2017

I comunisti di Lugansk, assieme agli internazionalisti della Carovana Antifascista, giunta ieri assieme alla Banda Bassotti, hanno celebrato il Primo Maggio nella città che da tre anni resiste all'aggressione eurofascista di Kiev. 
"Non dovremmo dimenticare che il 1 Maggio, è soprattutto un giorno di lotta per i diritti dei lavoratori. E' per questo che c'è bisogno di parlare di più acuti e complessi temi che sono fonte di preoccupazione per tutti. Gli stipendi, le pensioni, i posti di lavoro, problemi di utilità delle città, prezzi e tariffe - davanti alla nostra gente ci sono molti problemi che devono essere affrontate " ha commentato all'evento il segretario dei comunisti di Lugansk, Maxim Chalenko.
La compagna Ekaterina Popova, membro del consiglio comunale di Lugansk , ha aggiunto:
"Il primo maggio ci ricorda la cosa principale - a proposito di solidarietà. Quando migliaia di persone si trovano nella stessa piazza, riconoscono di essere una enorme forza. Questa forza deve essere il punto di partenza dell' azione di qualsiasi autorità, che solo nel popolo può trovare legittimazione. Se la loro vita diventa migliore, la legittimazione sarà effettiva, altrimenti irrilevante ".


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Ultime dalla Carovana antifascista in Donbass

Pubblicato il 2 mag 2017

Si trova in questi giorni nel Donbass una delegazione composta dall’eurodeputata Eleonora Forenza, Andrea Ferroni, coordinatore dei Giovani Comunisti/e, Massimiliano Voza, sindaco di Santomenna, Antonio Perillo, con la terza edizione della Carovana antifascista promossa dalla Banda Bassotti e dall’Usb, con l’obiettivo di portare la solidarietà, anche concreta, alle popolazioni.
La carovana ha già avuto incontri con esponenti dei sindacati, in particolare nella giornata e in occasione della parata del Primo maggio, lavoratori, movimenti, e nelle prossime ore ci sarà anche quello con il presidente della Repubblica di Lugansk.
#DonbassResiste 


COMUNICATO STAMPA

Rifondazione Comunista e  Giovani Comunisti/e partecipano alla Terza Carovana Antifascista nel Donbass promossa dal gruppo musicale “Banda Bassotti”. La delegazione del partito della Rifondazione Comunista che si unirà alla terza carovana oltre a comprendere uno dei due portavoce nazionale dei Giovani Comunisti/e, Andrea Ferroni, vedrà la partecipazione della nostra eurodeputata Eleonora Forenza. Eleonora sarà la prima eurodeputata a recarsi nel Donbass, allo scopo di «riaccendere il più possibile i riflettori su un conflitto che continua a mietere vittime e nel quale continuano ad essere calpestati i diritti umani delle persone e di un popolo». La terza carovana antifascista – dal 30 aprile al 5 maggio – farà tappa, tra l’altro, a Lugansk e Donetsk, dove incontrerà esponenti delle Repubbliche popolari, delle organizzazioni antifasciste e delle realtà associative locali. Il primo maggio è previsto un concerto internazionalista.  Lo scopo della Carovana Antifascista è quello di portare la propria solidarietà concreta alle popolazioni martoriate dalla guerra voluta dalle potenze occidentali, con a capo UE, USA e NATO, che vogliono estendere il proprio dominio politico, economico e militare verso est. In quanto comunisti, e quindi internazionalisti, sentiamo il dovere di esprimere la nostra solidarietà attiva prendendo parte a questa spedizione. Questa decisione è frutto di una presa di coscienza e di un duro lavoro politico da parte di molti nostri compagni e compagne che fin dall’inizio, ancora prima del golpe dal carattere nazifascista, denunciavano quali fossero i piani dell’occidente imperialista nei confronti dell’Ucraina e della Russia. Contro ogni forma di fascismo, sempre dalla parte del popolo che lotta!
#DonbassResiste
Acerbo Maurizio Segretario Nazionale Rifondazione Comunista 
Ferroni Andrea Portavoce Nazionale Giovani Comunisti/e
29 aprile 2017


Report del primo giorno della Carovana antifascista in Donbass 

Arrivati all’ aeroporto di Rostov sul Don, si è composta pian piano la 3° Carovana antifascista, composta da compagni Antifascisti della Catalogna, della Grecia ed in particolare da compagne e compagni Italiani provenienti da più realtà politiche. Oltre ai compagni della Banda Bassotti, è presente una delegazione della USB e ci sono altri compagni e compagne di altre organizzazioni provenienti da tutta Italia.
A rappresentare Rifondazione Comunista c’è Eleonora Forenza, la prima europarlamentare a recarsi in Donbass, uno dei due Portavoce nazionale dei Giovani Comunisti/e, Andrea Ferroni, il sindaco di Santomenna Massimiliano Voza, Vincenzo Bellantoni della federazione di Roma ed Antonio Perillo della federazione di Napoli.
Dopo essere stati fermati per controlli per circa 5 ore alla frontiera tra la Russia e il Donbass, siamo riusciti a passare in direzione Lugansk! Lungo i circa 150 km di strade spesso non in perfette condizioni anche per gli scontri che le hanno attraversate in questi anni, siamo stati scortati dalla polizia e dall’esercito della repubblica indipendente.
Ci si accorge subito della difficoltà ed isolamento che vive questo popolo, ma è immediatamente evidente che anche in mezzo a mille problemi non è minimamente disposto a tornare indietro! Lungo la strada, in ogni luogo pubblico, che sia una scuola oppure un parco, si possono vedere i simboli dell’ orgoglio di questo popolo, dal classico nastro colorato di nero ed arancione, in ricordo del 9 maggio 1945, la giornata della vittoria sul nazifascismo da parte della gloriosa armata rossa, fino al carrarmato sottratto dalle milizie popolari all’esercito ucraino invasore e ora pieno di fiori freschi a ricordare il riscatto del popolo del Donbass in quello che fu il punto massimo di avanzamento dell’esercito ucraino!
Abbiamo concluso la giornata recandoci a Kirovsk ad incontrare il comandante in capo Alexey Markov della brigata comunista “Prizrak”, “la brigata fantasma”. Markov si è mostrato molto contento ed emozionato nell’incontrare i compagni/e della Carovana Antifascista ricevendoci all’interno del quartier generale della Brigata. Nel confronto con tutta la delegazione e soprattutto nella discussione con la nostra delegazione, ha tenuto a sottolineare lo spirito che dall’inizio lì ha guidati ed ancora lì guida. Per quei compagni non si tratta di una guerra nazionalista, non c’è necessità di conquistare territori ma quella di resistere in nome dell’antifascismo contro gli oligarchi neonazisti dell’attuale governo ucraino che provano a cancellare cultura e tradizione di questo popolo! Ha voluto anche sottolineare che la brigata non è composta da militari di professione, ma da militanti che hanno dovuto imbracciare le armi per poter resistere ma che si auspicano che il conflitto termini al più presto.

Andrea Ferroni Portavoce Nazionale Giovani Comunisti/e
1 maggio 2017

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Da Eleonora Forenza, 3 maggio 2017:


Sono appena intervenuta a nome del Partito della Rifondazione Comunista al Forum Antifascista Internazionale a Donetsk, organizzato dai Partiti comunisti delle due repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk.
Ho ribadito che la loro lotta contro il fascismo è la nostra lotta. Il fascismo è un problema complessivo dell'Unione Europea. La rappresentante della politica estera europea è italiana e socialista, Federica Mogherini, e sostiene il regime fascista di Kiev. 
L'imperialismo Usa sta portando il confine della Nato e della guerra in queste terre. 
Il loro confine è il nostro confine. 
Distruggeremo il fascismo qui ed in tutto il mondo.
#DonbassResiste


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Partito della Rifondazione Comunista, 3 maggio 2017

COMUNICATO STAMPA

DONBASS - ACERBO (PRC): «ORGOGLIOSI PER GLI ATTACCHI RICEVUTI DALL'AMBASCIATA UCRAINA, ORGOGLIOSI DELLA NOSTRA DELEGAZIONE, CON L'EURODEPUTATA ELEONORA FORENZA, IN QUESTI GIORNI IN DONBASS PER COSTRUIRE PONTI DI PACE»
Maurizio Acerbo, segretario nazionale di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, dichiara:
«L'ambasciata d'Ucraina in Italia in una nota attacca la delegazione di Rifondazione Comunista che con la Carovana Antifascista promossa dalla Banda Bassotti sta visitando le repubbliche del #Donbass per una missione di #pace e #solidarietà. Ci riempie d'orgoglio essere oggetto di attacchi da parte di un governo anticomunista che ha approvato vergognose leggi liberticide e ha riabilitato e celebrato i complici dei crimini nazisti. Siamo orgogliosi che sia una nostra compagna, Eleonora Forenza, la prima parlamentare europea a visitare le regioni sotto attacco da parte del governo di Kiev e dei paramilitari nazifascisti. Purtroppo è vero quel che scrive l'ambasciata: la nostra presenza è in contrasto con l'orientamento del governo italiano, dell'UE e della NATO che fanno finta di non vedere quali caratteristiche pericolose abbiano i gruppi di potere che stanno supportando sul piano politico, economico e militare. E' assurdo invece che l'ambasciata d'Ucraina lamenti violazioni del loro codice penale in quanto noi siamo già dei fuorilegge per quel governo filonazista. Infatti in Ucraina i comunisti sono stati messi al bando ed è vietato persino sventolare una bandiera rossa o cantare l'Internazionale.
La nostra delegazione è in Donbass per costruire ponti di pace rifiutando la logica della nuova guerra fredda e del riarmo che ha condotto all'escalation del conflitto armato in Ucraina.
Per favorire un processo di pace chiediamo al governo italiano di riconoscere le repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk e di porre fine alle sanzioni economiche alla Russia».

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Forenza e Bassotti clandestini in Donbass. L’ira ucraina

di Giulio AF Buratti, 3 maggio 2017

La carovana antifascista della Banda Bassotti, con la partecipazione dell’europarlamentare Eleonora Forenza, irrita l’ambasciata di Kiev: «Atto provocatorio»

«L’ambasciata d’Ucraina in Italia in una nota attacca la delegazione di Rifondazione Comunista che con la Carovana Antifascista promossa dalla Banda Bassotti sta visitando le repubbliche del Donbass per una missione di pace e solidarietà». Così Maurizio Acerbo, segretario del Prc, dopo la lettura del post dell’ambasciata ucraina che stigmatizza l’ingresso della delegazione nel settore fuori controllo dal governo di Kiev composto anche da ministri dichiaratamente nazisti ma fedeli amici del governo italiano e dell’Ue. E’ molto probabile che le “repubbliche popolari” non siano il paradiso socialista che pensano i novelli campisti ma il governo di Kiev è certamente il primo a vantarsi di ministri che si rifanno espressamente al Terzo Reich e occupano posti chiave. Riportava Infoaut:

Vice primo ministro, ministro della Difesa, segretario e vice segretario del Consiglio nazionale di Sicurezza e Difesa, ministro dell’Istruzione, ministro dell’Ambiente, ministro dell’Agricoltura, ministro della Gioventù e dello Sport, procuratore generale dell’Ucraina, presidente della commissione Anticorruzione.  

 
E non è tutto. Due di queste persone sono legate a Doku Khamatovich Umarov (conosciuto col nome islamico di Dokka Abu Usman), uno dei più feroci comandanti dei ribelli ceceni, nonché autoproclamatosi ex Emiro dell’Emirato del Caucaso. Abu Usman ha rivendicato sia l’attentato del 29 marzo 2010 alla metropolitana di Mosca (quarantuno morti), sia quelo all’aeroporto di Mosca del 2011 (trentasette morti). L’Emirato islamico del Caucaso è iscritto dalle Nazioni Unite come organizzazione appartenente alla galassia di Al Qaida. Uno di questi due politici ha anche personalmente combattuto in Cecenia contro i russi.

Ecco la nota dell’ambasciata: 

«In riferimento alla recente visita dei rappresentanti del partito comunista italiano nel territorio occupato dell’Ucraina del Donbass, l’ambasciata dell’Ucraina in Italia condanna con fermezza questa provocazione e la violazione della sovranità e integrità territoriale dell’Ucraina.
La visita di cittadini stranieri nella regione dell’Ucraina nel Donbass, di essere in contrasto con le norme del diritto internazionale, è una grave violazione del regolamento di procedura che norma di ingresso e di uscita temporaneamente occupato il territorio dell’Ucraina con l’eventuale responsabilità penale per violazione Della legislazione vigente in Ucraina (art. 332, comma 1 del codice penale dell’Ucraina).
Anche questa visita è in contraddizione con la posizione aperta sul tema da parte del governo italiano, e le norme e le decisioni delle organizzazioni internazionali.
Nonostante sia un grave atto provocatorio, questa pagina vergognosa di certo non avrà ripercussioni sui successi conseguiti nei rapporti tra l’Italia e l’Ucraina sul fronte degli scambi culturali, commerciali e gli esseri umani che hanno arricchito le due nazioni da sempre uniti da amicizia e valori condivisi».

«Ci riempie d’orgoglio essere oggetto di attacchi da parte di un governo anticomunista –  riprende Acerbo – che ha approvato vergognose leggi liberticide e ha riabilitato e celebrato i complici dei crimini nazisti. Siamo orgogliosi che sia una nostra compagna, Eleonora Forenza, la prima parlamentare europea a visitare le regioni sotto attacco da parte del governo di Kiev e dei paramilitari nazifascisti. Purtroppo è vero quel che scrive l’ambasciata: la nostra presenza è in contrasto con l’orientamento del governo italiano, dell’UE e della NATO che fanno finta di non vedere quali caratteristiche pericolose abbiano i gruppi di potere che stanno supportando sul piano politico, economico e militare. E’ assurdo invece che l’ambasciata d’Ucraina lamenti violazioni del loro codice penale in quanto noi siamo già dei fuorilegge per quel governo filonazista. Infatti in Ucraina i comunisti sono stati messi al bando ed è vietato persino sventolare una bandiera rossa o cantare l’Internazionale.
La nostra delegazione è in Donbass per costruire ponti di pace rifiutando la logica della nuova guerra fredda e del riarmo che ha condotto all’escalation del conflitto armato in Ucraina.
Per favorire un processo di pace chiediamo al governo italiano di riconoscere le repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk e di porre fine alle sanzioni economiche alla Russia».


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Intervista all'eurodeputata Eleonora Forenza dopo i gravi fatti del 2 maggio 2017 (MIA Napoli, 4 mag 2017)

Carovana / Il governo di Kiev chiede l’arresto della delegazione italiana nel Donbass (di Redazione Contropiano, 5 maggio 2017)
Incredibile ma vero. L'Ucraina di Poroshenko rende noto che chiederà l'arresto e l'estradizione di Eleonora Forenza e dei delegati della carovana antifascista nel #Donbass (tra cui Giorgio Cremaschi, Paola Palmieri della Usb, Banda Bassotti, il nostro Marco Santopadre ed altre decine di attivisti. Il governo di Kiev vuole processarli con l'accusa di violazione delle leggi anti-terroristiche ucraine. Il governo ucraino, per bocca del ministro degli Esteri, chiede alle autorità dell'Unione europea di arrestare i delegati al loro ritorno in Italia per consentire poi l'estradizione.
Il ministero degli Esteri italiano, dicono da Kiev, ha ricevuto il 28 aprile circa, la loro nota: «Abbiamo chiesto che sia arrestata e che il suo gruppo sia fermato prima di arrivare fisicamente al Donbass», ha detto la portavoce del ministro degli Esteri Maryana Betsa. E «come risultato di questi contatti, il ministero degli Esteri italiano ha inviato alle autorità competenti e agli organizzatori di questa provocazione le informazioni sulla responsabilità penale per violazione della legge ucraina. L'Italia ha sottolineato che il suo governo sostiene l'integrità territoriale e la sovranità dell'Ucraina e questa posizione rimane invariata».
Lunedì 8 maggio alle ore 12, si terrà una conferenza stampa della delegazione rientrata in Italia presso la sede del parlamento europeo in via IV Novembre.

Bentornati a Roma (ANPI ROMA, 6 maggio 2017)
Solidarietà all'europarlamentare Eleonora Forenza, alla Banda Bassotti e alla carovana antifascista di ritorno dal Donbass, ridicolmente accusati di terrorismo dal governo Ucraino che ne ha chiesto all'Italia l'estradizione per accusarli di aver incontrato le popolazioni, i partiti, i sindacati, gli atenei, di aver portato medicine, materiale scolastico e giocattoli...

Forenza (Eurodep. PRC): "Accusata di terrorismo da Kiev perché antifascista" (Maurizio Vezzosi, 7 mag 2017)
Intervista di Maurizio Vezzosi. Roma, 6 Maggio 2017. Eleonora Forenza replica all'accusa di terrorismo ed alla richiesta di estradizione inviata dal Ministero degli Esteri ucraino al governo italiano in seguito alla sua partecipazione alla carovana di solidarietà con la popolazione del Donbass promossa dalla Banda Bassotti.

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Poroshenko chiede l’estradizione per noi, ma a meritare la galera sono lui e i fascisti di Kiev

di Giorgio Cremaschi, 6 maggio 2017

In un loro comunicato i governanti del regime di Poroshenko e delle bande armate neonaziste chiedono l'arresto di tutti noi che abbiamo portato solidarietà alle popolazioni martoriate del Donbass. Nelle specifico dovrebbero essere arrestati per violazione delle leggi antiterrorismo di quel paese la Banda Bassotti, la parlamentare europa Eleonora Forenza con i compagni di Rifondazione comunista, le compagne e i compagni della USB, e l'intera delegazione di cui sono parte come Eurostop.
Attendiamo un segno di vita da parte del governo italiano a cui vogliamo solo ricordare che tutto il governo che egli vergognosamente riconosce dovrebbe essere arrestato e condotto al tribunale de L'Aia per i loro crimini di guerra. Questi crimini noi li abbiamo visti ed è per questo che i signori di Kiev si sono inalberati. Abbiamo visto in ogni centro abitato delle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk le foto delle donne, degli uomini, dei bambini uccisi dalle loro bombe. Abbiamo visto le case, le scuole e le università, la vie del passeggio crivellate dai colpi delle loro artiglierie, che continuano ogni giorno a terrorizzare la popolazione, anche noi li abbiamo sentiti. Siamo stati testimoni scomodi e in più abbiamo commesso un reato gravissimo per Kiev, abbiamo portato giocattoli e medicinali, quest'ultimo è una colpa per cui le bande fasciste del governo ucraino possono uccidere chi la commette.
Tell the truth, dite la verità ci hanno detto i cittadini delle repubbliche del Donbass ovunque li abbiamo incontrati. Anche coloro che sanno solo il russo, la lingua che tutti parlano da sempre lì, oggi sanno due frasi in lingue estere: No Pasaran e Tell the truth. La verità è che quella del regime di Kiev è una guerra di sterminio condotta ai fini della pulizia etnica e per questo non vogliono testimoni. Noi siamo prima di tutto questo, semplici testimoni di verità a cui speriamo si aggiungano molti altri. In modo di distruggere la bolla di fakenews con la quale UE e NATO giustificano il loro sostegno alla guerra dei golpisti ucraini, che devono finire nel solo posto che meritano: la galera.

[Nelle foto: L'università bombardata e gli studenti uccisi; e la festa del Primo Maggio a Lugansk:

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Altre cronache e fotografie: 
https://www.facebook.com/bandabassottiband/


=== 2014--2016: Flashbacks ===


*** 2014:

LA PRIMA CAROVANA ANTIFASCISTA PROMOSSA DAL GRUPPO BANDA BASSOTTI


*** 2015:

La SECONDA CAROVANA ANTIFASCISTA promossa dal gruppo musicale Banda Bassotti (maggio 2015)

8 maggio a Lugansk: i comunisti da tutto il mondo per sostenere il Donbass (11 aprile 2015)


*** 2016: 

Comunicato della Banda Bassotti (9 Maggio 2016)
9 maggio 2016 - 71° anniversario della Vittoria dell'Unione Sovietica sul nazifascismo. Il 23 maggio ricorrenza dell'assassinio del Com. Mozgovoy e della sua scorta, saremo presenti con una delegazione della Carovana Antifascista, in Donbass. 
http://www.marx21.it/index.php/internazionale/area-ex-urss/26865-comunicato-della-banda-bassotti
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=pLrwyKN-H0c

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STATEMENT FROM BANDA BASSOTTI, 24.10.2016
English/espanol/euskera/german/french
https://www.facebook.com/bandabassottiband/videos/10153795759516574/

Since May 2nd 2014 we are active supporting the fight of the Donbass Antifascist, we share this fight with several other comrades that in such hard time haven’t left us alone.
Since the beginning of this war, Western media - like in many further cases - stand out for the silence and the falsification of the reality covering the crimes of the central Government of Kiev.
The truce of Minsk have not been enforced by the puppet Ukrainian Government; Bombs keep falling and kill civilians. Commanders and fighters of the Novorossia resistance are brutally killed. People keep living with the constant fear of bombs and of a new aggression of the nazi-fascist troups of Poroscenko Government.
The population of Donbass urges us to organize a new Antifascist Caravan to bring humanitarian aid.
We plan to visit them on the 1st of May, International Labor day. In that day we will deliver food and medicines to the population of the two Republic and we will play two concerts in Donetsk and Lugansk. With this statement, we invite all the Comrades that in Europe and in the World helped us and the Antifascist fight to collect food, medicines, copybooks, pens and pencils for children.

IN SOLIDARITY OF THE ANTIFASCIST NOVOROSSIA
BANDA BASSOTTI – Roma -
PLANET EARTH OCTOBER 2016
NO PASARAN!



(srpskohrvatski / français / english / italiano)

Impunità assoluta

1) Arresto, squallido teatrino ed ovvio rilascio del criminale UCK-NATO Ramush Haradinaj in Francia 
– Р. Крсмановић: Застрашујућа победа неправде 
– SUBNOR: Зауставите ратне хушкаче!
– RT: Ex-Kosovo PM arrested in France on Serbian warrant 
– Ramush Haradinaj subito rilasciato su cauzione
– Links
2) Le ultime vergogne di UNMIK ed EULEX
– EULEX e il caso dei giornalisti scomparsi
– Kosovo, EULEX continua con poteri ridotti
– 2016: Cronaca di “ordinarie” violenze in Kosovo Metohija 


Su precedenti arresti e rilasci di Haradinaj si vedano: 
2010: https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/topics/6808 (con numerosi link per un profilo di Haradinaj)
Sullo stato di illegalità cronica vigente in Kosovo si veda anche: https://www.cnj.it/documentazione/interventi/dirittorovescio2015.htm


=== 1 ===

Arresto, squallido teatrino ed ovvio rilascio del criminale UCK-NATO Ramush Haradinaj in Francia 

In ordine cronologico inverso:

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Ратко Крсмановић  

ЗАСТРАШУЈУЋА ПОБЕДА НЕПРАВДЕ 

Истражно веће Апелационог суда у Колмару одбацило је захтев Србије за изручење Рамуша Харадинаја, којег српско тужилаштво терети за ратне злочине на Косову и Метохији 1998. и 1999. и укинуло му меру забране напуштања територије Француске. 
Бивши лидер терористичке ОВK, а данас лидер Алијансе за будућност Kосова, Рамуш Харадинај је одлуком суда на коју Србија више нема право жалбе, ослобођен и вратио се на Kосово. То су најновији показатељи вишедеценијске стратегије једне од водећих чланица НАТО и ЕУ. Француска је оглушивши се о начела права и правде, искористила политичке полуге да настави са понижавањем Србије и са вређањем жртава злочина једног од вођа терористичке ОВК.  
Тиме се директно охрабрују екстремисти међу Албанцима, а девалвира и слаби утицај Србије као политичког и економског фактора на Балкану. Истовремено се награђују албански екстремисти за послушност у улози реметилачког фактора на Балкану и асистента глобалних империјалистичких пројеката. Само славље поводом овакве одлуке суда у Колмару, било је подстицајно за еуфоричну најаву оживотворења „Велике Албаније“ и скорашњег споразума из Тиране, за реафирмацију примитивне етно-спаситељске балистичке демагогије у којој се једном рађао и развијао фашизам у свом најсвирепијем лику, односно покретање новог балканског сукоба.  
Отуда је оправдано питање - да ли ће Србија и даље пристајати на таква лицемерства водећих чланица ЕУ, истрајавајући на својој безрезервној „европској“ политици, и наставити поводљиву политику самопонижавања, самообмањивања и бесконачних уступака на рачун животних националних и државних интереса? Према реакцијама премијера Александра Вучића и официјалних структура, Србија је одлучна да истраје у одбрани истине, правде, права и националног достојанства. То и није увек у сагласности са праксом ЕУ. 
Француска се на овај начин сврстала у ред оних држава које дискриминишу жртве када су у питању сукоби на КиМ и оних који селективно прилазе кажњавању починилаца најтежих ратних злочина. Није сувишно подсетити да се сам фашизам зачиње, рађа и живи као велика лаж. У Колмару је страдала истина а награђена лаж и злочин.  
Француска је овим поступком открила део свог лица, за које, неспорни злочини, убијање, насиље, криминал, пљачка и тероризам, постају природан начин социјалне егзистенције. Иако смо веровали да су такви, деструктивни обрасци понашања цивилизацијски поражени, они и даље пулсирају и делују као прикривена опција. Да су радикални елементи Космета у минуле три деценије имали тајну подршку Француске, за већину и није неко посебно откриће, али је сада свака рукавица дугих француских руку поцепана.  
Нама је стало до жртава, до истине о ратним злочинима, до правде, до међународног правног поретка... Тако су реаговали српски званичници, суочени са болном чињеницом, да право и правда нису успели да надвладају политику. 
Французи су своје милосрђе према терористима ОВК показивали и кроз понашања Кушнера, Ширака и других званичника, који су директни саучесници почињених злочина на Косову и Метохији. Одлука Истражног већа Апелационог суда у Колмару се показала као наставак непромењене улоге француске политике на Балкану и њеног тријумфа над правдом и истином. Отуда су била илузорна очекивања да ће француско правосуђе проговорити језиком великог Де Гола, Сартра или Митерана, док савремена Француска носи терет кршења међународног права у виду НАТО агресије на Србију (СРЈ) 1999. године, етничког чишћење које је уследило и проглашења независности Косова.  
Заиста је било илузорно очекивање да ће таква Француска признати своје грешке, јер то и није њој својствена особина и поред одговорности за многа страдања, ратове и милионе жртава широм света. 

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Општи апел – Објављено под Актуелно |  28. априла 2017.

ЗАУСТАВИТЕ РАТНЕ ХУШКАЧЕ!

Председништво СУБНОР-а Србије, традиционалне и антифашистичке организације са преко 130.000 чланова, са огромном забринутошћу прати ратнохушкачка кретања на Балкану и оштро се супротставља поновном ширењу ратног пожара у организацији и спонзорисању  гарнитура на власти у Албанији и других  који сањају као у кошмарним ноћима прекрајање граница и стварања неких нових држава по националистичком рецепту.
Изазивање немира у Македонији прети и осталим државама у региону, а уље на ватру долио је суд у француском Колмару који је одбио крајње објективан захтев државе Србије да изручи ратног злочинца Харадинаја. Та одлука је још један доказ непринципијелности појединих европских држава и кршење међународних прописа и правила и у исто време прети, као опасан преседан, читавом европском континенту да се претвори у зону безакоња и легализовања најтежих злочина попут оних што су албански терористи током деведесетих година прошлог века починили српском и другим народима на Косову и Метохији.
СУБНОР Србије, као активни и уважени учесник најважнијих светских ветеранских организација, обавестио је о овој тешкој и крајње забрињавајућој ситуацији челнике тих организација са седиштем у Паризу и Берлину, као и пријатељска удружења попут Сверуског савеза ветерана Руске Федерације.
СУБНОР Србије је уверења, остајући привржен антифашизму и миру и разумевању међу народима и државама, да ће и сродне ветеранске организације у том погледу реаговати и дати допринос стабилизовању стања у интересу човечанства.

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KOSOVO : LA JUSTICE FRANÇAISE REPORTE ENCORE SON VERDICT SUR L’EXTRADITION DE RAMUSH HARADINAJ VERS LA SERBIE (Par Laurent Geslin / CdB, 6 avril 2017)
La justice française a, pour la troisième fois, reporté son verdict dans l’affaire Ramush Haradinaj. La Cour d’appel de Colmar a annoncé cet après-midi qu’une nouvelle audience aurait lieu le 27 avril...
https://www.courrierdesbalkans.fr/Kosovo-la-justice-francaise-reporte-encore-son-verdict-sur-l-extradition-de

JUSTICE : RAMUSH HARADINAJ SERA FIXÉ LE 2 MARS PROCHAIN SUR SON SORT (Courrier des Balkans, 9 février 2017)
Lors de l’audience du jeudi 9 février, la Cour d’appel de Colmar a expliqué qu’elle rendrait sa décision sur l’extradition de Ramush Haradinaj vers la Serbie le 2 mars prochain...

Kosovo stato (inventato) canaglia (PandoraTV, 5 gen 2017)

France : arrestation d'un criminel de guerre kosovar - Pour un juste procès ! (Daniel Salvatore Schiffer)
Un important criminel de guerre Kosovar, Ramush Haradinaj, ancien Premier Ministre du Kosovo, vient d'être appréhendé en France suite à un mandat d'arrêt international lancé par la Serbie. C'est là l'une des conséquences de la terrible guerre qui ravagea en 1999, avant l'intervention de l'OTAN, l'ex-Yougoslavie...
Cet article a été publié aussi à la "une " du site d'information français "AgoraVox". En voici le lien:

KOSOVO : RAMUSH HARADINAJ ARRÊTÉ EN FRANCE SUR LA BASE D’UN MANDAT SERBE (CdB, 4 janvier 2017)
Ramush Haradinaj, ancien commandant de l’UÇK et ancien Premier ministre du Kosovo, a été arrêté mercredi après-midi dans la partie française de l’aéroport international de Bâle-Mulhouse-Fribourg, sur la base d’un mandat d’arrêt international émis par la Serbie en 2004...
http://www.courrierdesbalkans.fr/le-fil-de-l-info/kosovo-ramush-haradinaj-arrete-en-france-sur-la-base-d-un-mandat-serbe.html

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Ex-Kosovo PM arrested in France on Serbian warrant

5 Jan, 2017 – French police arrested former Kosovo Prime Minister Ramush Haradinaj on an international warrant filed by Serbia in 2004. Haradinaj is wanted for alleged war crimes committed during his late-nineties insurgency campaign in the southern Serbian province.
Haradinaj, a former commander in the ‘Kosovo Liberation Army’ (KLA) turned politician, was charged with atrocities during the 1998-1999 conflict. Serbia considers the KLA a terrorist organization.
French police detained Haradinaj on arrival at Basel-Mulhouse airport from Pristina, according to sources who spoke to Reuters. He was reportedly travelling on his diplomatic passport.
A statement by Kosovo’s foreign ministry, cited by Reuters, said Haradinaj “was stopped by French authorities based on an arrest warrant issued by Serbia in 2004, which for us is unacceptable.” The ministry added it was doing everything in its power to secure Haradinaj’s release.
"With these primitive acts, Serbia is not only hurting the spirit of the dialogue to have good neighborly relations, but is proving that it is a destabilizing factor in the whole region”, Edita Tahiri, Kosovo's minister for dialogue with Serbia, is quoted as saying by Reuters.
Haradinaj will remain in custody until Serbia makes a formal extradition request, a French appeal court said on Thursday.
“Our prosecutor's office has numerous pieces of evidence against Mr. Haradinaj," Serbia’s Prime Minister Aleksandar Vucic said on Thursday, as quoted by AP.
“He is accused of so many [crimes] that they are impossible to list,”he added. Vucic also noted that West European countries would have to stop "patronizing" his country on judicial reforms for EU accession if Paris fails to extradite Haradinaj.
Haradinaj, who currently heads the opposition party Alliance for the Future of Kosovo (AAK) was previously detained in Slovenia in 2015, but released two days later after diplomatic pressure from the EU.
The former prime minister has already been tried twice before the war crimes tribunal in The Hague but was acquitted both times, as witnesses against him turned up dead or unwilling to talk.
 He served as prime minister of Kosovo in 2004-2005, while the southern Serbian province was occupied by NATO and under UN administration.
NATO attacked Serbia in 1999 to aid the ethnic Albanian insurgency in Kosovo. The breakaway province unilaterally declared independence from Serbia in 2008, with the backing of Western powers.

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Ramush Haradinaj è stato rilasciato su cauzione, ma ha l’obbligo di non lasciare la Francia. 

L’ex premier kosovaro era stato arrestato all’aeroporto di Mulhouse in vrtù di un mandato di cattura internazionale richiesto dalla Serbia che lo vuole processare per crimini di guerra. Haradinaj deve restare a disposizione in attesa dell’esame della richiesta di estradizione presentata da Belgrado. L’ex leader delle milizia kosovara Uck è tra l’altro accusato dell’uccisione di 60 civili, di atti di tortura e rapimenti. Per i kosovari, invece, è un eroe.

[Fonte: da Intopic . Si decidessero, gli articolisti, definire chi sono, questi "kosovari"...! Ivan]

KOSOVO : LA JUSTICE FRANÇAISE ORDONNE LA REMISE EN LIBERTÉ DE RAMUSH HARADINAJ (Courrier des Balkans | Par la rédaction | jeudi 12 janvier 2017)
La Cour d’appel de Colmar a ordonné ce jeudi la remise en liberté de Ramush Haradinaj, arrêté le 4 janvier en France à la suite d’un mandat d’arrêt international émis par la Serbie, une décision qui avait provoqué la colère dans le monde albanais...
LA SERBIE MET EN GARDE LA FRANCE CONTRE TOUTE IMPUNITÉ ACCORDÉE À RAMUSH HARADINAJ (Courrier des Balkans | vendredi 13 janvier 2017)
La réaction de Belgrade à l’annonce de la libération, jeudi, de Ramush Haradinaj par la justice française ne s’est pas faite attendre. La Serbie menace de « réciprocité » la France, notamment pour les affaires de terrorisme, si l’ancien commandant de l’UÇK n’est pas extradé...


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Le ultime vergogne di UNMIK ed EULEX

In ordine cronologico inverso:

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En français: KOSOVO : EULEX ET L’ÉTRANGE AFFAIRE DES JOURNALISTES DISPARUS
Osservatorio Balcani e Caucaso | European Center for Press and Media Freedom | Traduit par Béranger Dominici |vendredi 10 mars 2017
« Il n’existe aucune archive secrète, aucun document relatif aux enlèvements et aux assassinats commis au Kosovo qui ne soit déjà entre les mains d’Eulex. » C’est en tout cas ce que soutient la Mission des Nations unies au Kosovo (Minuk). Pourtant, sur les douze cas de journalistes disparus durant la guerre de 1999 ou juste après, ni la Minuk ni Eulex n’ont traduit le moindre suspect en justice...



Eulex e il caso dei giornalisti scomparsi

Dopo più di quindici anni dai fatti, né Unmik né Eulex sono riuscite a fare chiarezza sulla scomparsa di 12 tra giornalisti e operatori dell'informazione serbi durante e subito dopo il conflitto in Kosovo

02/03/2017 -  J. L. Petković

(Originariamente pubblicato da Vesti  , il 19 febbraio 2017, titolo originale Euleksu dokazi kucaju na vrata, nema ko da otvori  )

"Non c'è alcun archivio 'segreto', nessun documento relativo alle indagini su rapimenti e omicidi contro la popolazione civile in Kosovo che non sia già in mano ad Eulex" sostengono alla missione UNMIK. Fino ad oggi però né Eulex né Unmik sono riuscite a portare davanti alla giustizia nemmeno un sospettato del sequestro e omicidio di 12 tra giornalisti e operatori dell'informazione scomparsi durante o subito dopo il conflitto in Kosovo.

Da Unmik a Eulex e ritorno 

La Commissione consultiva per i diritti umani (Human Rights Advisory Panel), istituita nel 2006 sotto l'egida dell'Unmik (United Nations Interim Administration Mission in Kosovo), divenne operativa nel 2008, anno in cui tutta la documentazione prodotta nel corso dell'attività investigativa di questa amministrazione provvisoria, ovvero le sue competenze in materia di tutela dello Stato di diritto furono trasferite all'Eulex (European Union Rule of Law Mission in Kosovo). Lo scopo della Commissione era quello di esaminare le denunce mosse dai familiari di persone uccise o scomparse, che erano convinti che la missione dell'Onu in Kosovo non avesse fatto nulla per scoprire la verità su quanto accaduto.

A rivolgersi a questa Commissione erano soprattutto i familiari delle vittime di nazionalità serba, tra cui anche quelli di quattro giornalisti e operatori dell'informazione scomparsi o uccisi in Kosovo. Dal momento che tutta la documentazione prodotta sia dall'Unità per le persone scomparse che dall'Ufficio legale dell'Unmik era già stata consegnata alla Procura di Eulex, la Commissione, ogni volta che doveva esaminare una denuncia, era costretta a chiederla indietro.

Come affermato dagli ex dipendenti del Segretariato della Commissione, il cui mandato è scaduto nel 2016, “nell'assoluta maggioranza dei casi relativi a persone scomparse, i documenti esaminati dalla Commissione sono stati ottenuti da Eulex, innanzitutto dall'Ufficio del procuratore speciale per i crimini di guerra. Non esiste nessun archivio 'segreto' dell'Unmik, che conterebbe documenti della cui esistenza Eulex non è a conoscenza. A prescindere da quali fossero state le conclusioni della Commissione consultiva – senza eccezione rese pubbliche e contenenti, tra l'altro, un resoconto delle attività investigative con informazioni dettagliate su possibili sospettati – Eulex è in possesso di tutti questi documenti, sia che si tratti di originali o di copie“.

Informazioni “non disponibili“ si trovano sul web

Queste affermazioni sono in netto contrasto con quanto dichiarato dall'attuale capo della missione Eulex Alexandra Papadopoulou durante una recente conferenza sulla sicurezza dei giornalisti organizzata dall'OSCE. In quell'occasione la Papadopoulou ha precisato che, per quanto riguarda i quattro casi di giornalisti rapiti e uccisi, Eulex non dispone di nessuna informazione, aggiungendo che nel loro archivio non vi è nessun dato su Mile Buljević, dipendente della RTV Pristina scomparso nel 1999. Il fatto che la Commissione consultiva, nel prendere posizione sulla denuncia presentata nel 2013 dalla sorella di Mile, Ljubica Buljević, si era avvalsa di informazioni fornitele proprio da Eulex, solleva però molte questioni. Innanzitutto quella di una presunta “sparizione“ di documenti dall'archivio di Eulex.

Il 13 dicembre 2013 la Commissione ha reso pubblica la propria posizione su questo caso, dopodiché, più precisamente il 2 aprile 2014, il Rappresentante speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite in Kosovo ne ha ufficialmente informato Eulex.

“Dopo che la Commissione ha constatato che l'Unmik non aveva adeguatamente indagato su questo caso, chiedendo al Rappresentante speciale di porgere pubbliche scuse alla famiglia [di Buljević] nonché di sollecitare Eulex a provvedere allo svolgimento di opportune indagini, egli ha accolto positivamente tali raccomandazioni, il 6 gennaio 2014 inviando una lettera di scuse alla famiglia della vittima e qualche tempo dopo, il 2 aprile 2014, informando Eulex dell’intera vicenda”, ha spiegato, fornendo documentazione al riguardo, Andrey Antonov, ex responsabile del Segretariato della Commissione.

Da alcune testimonianze, integralmente riportate nei documenti dell'Unmik, emerge che Buljević fu rapito in pieno giorno nel centro di Pristina: il 25 giugno del 1999, verso mezzogiorno e mezzo, nei pressi di un centro per i rifugiati, Buljević fu fermato da alcune persone che gli chiesero di aiutarle a caricare della merce su un camion. Pochi istanti dopo, apparve una jeep nera con dentro tre uomini e una donna che indossavano uniformi dell'Uçk (Esercito di liberazione del Kosovo). Questi aggredirono fisicamente Buljević e, dopo avergli fatto perdere i sensi, lo buttarono dentro alla macchina, insieme a M. J, marito di una testimone. Stando al racconto della donna, suo marito venne buttato fuori dalla macchina fermatasi a circa 50 metri dall'accaduto, mentre Buljević rimase dentro. La testimone e suo marito avevano immediatamente informato il fratello di Mile nonché la Kfor di quanto era avvenuto.

Diversi sospettati, nessuna indagine

Stando alle parole di Alexandra Papadopoulou, nemmeno sul caso del rapimento del giornalista Ljubomir Knežević, di cui i media hanno più volte parlato (appellandosi proprio alle conclusioni della Commissione consultiva, risalenti al 2014), ci sarebbero informazioni disponibili. Tuttavia, il testo del parere emesso dalla Commissione consultiva in merito a questo caso, e consultabile sul suo sito ufficiale, contiene un resoconto delle attività investigative svolte dall’Unità per le persone scomparse che include informazioni su due possibili colpevoli.

Nello stesso testo si fa riferimento anche ad altra documentazione prodotta nel corso delle indagini su questo caso, dalla quale emergono indizi su almeno altri nove possibili sospettati. Tra i vari documenti citati vi è un elenco, originariamente redatto dal Centro di coordinamento per il Kosovo e Metohija, contenente i nomi delle persone legate all’Uçk presumibilmente coinvolte in crimini contro la popolazione civile. Tra queste vi sono due membri dell’unità dell’Uçk di Vučitrn, un certo G.I. sospettato di aver preso parte al rapimento di 23 persone di nazionalità non albanese, tra cui anche Ljubomir Knežević, e un tale S.S., anch’egli sospettato del “rapimento e omicidio” di Knežević.

Giustizia inerte

Per quanto riguarda il caso di Aleksandar Simović, soprannominato Sima, giornalista di Media Action International e traduttore, sia l’Ufficio del procuratore speciale del Kosovo sia il capo di Eulex hanno confermato che l’indagine sul suo rapimento è stata sospesa il 22 luglio 2009. Entrambi i garanti dello stato di diritto in Kosovo hanno dichiarato che le indagini saranno riaperte qualora dovessero emergere nuove prove.

Aleksandar Simović fu rapito a Pristina il 21 agosto 1999 e da allora si perde ogni sua traccia. Suo padre Stevan ne aveva immediatamente denunciato la scomparsa a tutte le autorità internazionali, chiedendo una scorta che lo accompagnasse dal comandante dell’Uçk, presumibilmente coinvolto nel sequestro. Le autorità si rifiutarono di ottemperare a tale richiesta.

Nel corso delle indagini svolte dall’Unmik è emersa la testimonianza di V.S., che raccontò di aver visto Simović nel jazz bar “Ćafa”, dove era in compagnia di una donna che lo avvertì di essere prudente perché al tavolo accanto a loro erano seduti tre membri dell’Uçk che lei aveva “già visto a Tetovo, in Macedonia”. Simović fu rapito nel bar “Pikaso” a Pristina, insieme ad un amico albanese, che poi fu rilasciato. Una parte delle sue ossa venne trovata nel villaggio di Obrinje, nei pressi di Glogovac.

Nella parte conclusiva del suo parere in merito a questo caso, reso pubblico il 24 ottobre 2015, la Commissione consultiva ha chiesto all’Unmik di riconoscere pubblicamente, anche tramite i media, la propria responsabilità per il mancato svolgimento di adeguate indagini sul rapimento e l’omicidio di Simović, nonché di rendere pubbliche scuse alla sua famiglia, sollecitando inoltre Eulex ad avviare opportune indagini. Cosa, quest’ultima, che fino ad oggi non è avvenuta.

Lacune nell’operato dell’Unmik

Quanto invece al caso della scomparsa del giornalista Marjan Melonaši, esso è stato inoltrato al Tribunale di primo grado di Pristina il 3 maggio 2011. Melonaši, giornalista della redazione serba della Radio Televisione Kosovo, fu visto per l’ultima volta il 9 settembre 2000 nel centro di Pristina, mentre saliva su un taxi. Da quel momento di lui si perde ogni traccia. Nonostante sua madre avesse immediatamente avvisato (dell’accaduto) tutti gli organi competenti, l’Unmik ha aspettato cinque anni per avviare un’indagine. Nel frattempo nessuno fu indagato né furono eseguite perquisizioni nella casa e nel luogo di lavoro della vittima.

Fu solo nel 2005 che le informazioni sulla scomparsa di Melonaši vennero inserite nella banca dati della polizia, ma il caso fu subito chiuso. Resta ignoto se qualcuno ne fosse stato ritenuto responsabile. Il capo dell’Unmik ha informato Eulex riguardo a questo caso, seguendo le raccomandazioni della Commissione consultiva che, nel suo parere del 14 ottobre 2014, ha ritenuto che la polizia dell’Onu in Kosovo non si fosse dimostrata pronta a fare chiarezza sui crimini che si sospettava fossero stati commessi dai membri dell’Uçk.


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Kosovo, EULEX continua con poteri ridotti

La missione EULEX rimane sul campo in Kosovo fino al 2018, ma con responsabilità largamente ridotte. Per le istituzioni locali il passo indietro dell'UE è un'opportunità e una sfida


19/07/2016 -  Violeta Hyseni Kelmendi Pristina 

Sebbene sia stata duramente criticata per i risultati ottenuti nel processo di rafforzamento dello stato di diritto e nella lotta alla corruzione in Kosovo, la missione europea EULEX (European Union Rule of Law Mission in Kosovo) continuerà ad operare nel paese almeno fino al giugno 2018. Il suo mandato è stato infatti rinnovato dal Consiglio Europeo per la terza volta, ma la missione avrà meno competenze nei prossimi due anni.

L'UE ha accolto le richieste del Kosovo di ridurre la portata di lavoro di EULEX, che da ora si limiterà al ruolo di controllore, guida e di consulenza delle istituzioni locali, pur mantenendo alcune responsabilità esecutive. Lanciata nel 2008 sulla scia dell'indipendenza del Kosovo, EULEX prevede di continuare a lavorare ai processi più delicati ancora in corso, relativi a crimini di guerra, terrorismo, criminalità organizzata e corruzione, e affronterà nuovi casi solo in circostanze eccezionali, con l'approvazione della magistratura del Kosovo.

Attraverso la sua funzione esecutiva, la missione sosterrà le decisioni della giustizia costituzionale e civile, così come il perseguimento e il giudizio delle cause penali selezionate. Allo stesso tempo, i casi EULEX saranno continuamente valutati e riqualificati come casi comuni, impegnando ulteriormente i tribunali kosovari, le procure e le autorità investigative al fine di migliorare le capacità del Kosovo in questi settori.

Missione a poteri ridotti

"In linea di principio, tutte le indagini e i nuovi processi penali saranno condotti da autorità kosovare, in camere giurisdizionali composte da giudici kosovari. Solo in circostanze eccezionali un caso può essere assegnato ad un procuratore dell'EULEX o ad una camera composta da una maggioranza di giudici EULEX", spiega un comunicato emesso dalla stessa missione in seguito alla decisione di estenderne il mandato.

La missione inoltre, in stretta cooperazione con il Rappresentante Speciale dell'UE in Kosovo, fornirà sostegno al dialogo tra Belgrado e Pristina al fine di facilitare l'attuazione di accordi riguardanti lo stato di diritto.

L'Ufficio UE in Kosovo/Rappresentante speciale dell'UE ha sottolineato che con il nuovo mandato EULEX, il Kosovo sarà responsabile dello stato di diritto e della lotta contro la criminalità organizzata e la corruzione. L'Ufficio UE afferma: "Le autorità devono utilizzare il nuovo mandato per continuare il chiaro passaggio di proprietà e di responsabilità da EULEX al Kosovo. Dal momento che questo richiederà ancora del tempo, è importante che il cambiamento sia graduale, in modo da non mettere a repentaglio ciò che è stato realizzato finora per il rafforzamento dello stato di diritto".

Il Kosovo prende responsabilità

Dren Ajeti, ricercatore del Gruppo di Studi Giuridici e Politici a Pristina ha sottolineato che con le due nuove leggi introdotte, approvate dall'Assemblea del Kosovo, la nuova Missione EULEX dovrebbe essere soggetta alla perdita di diverse competenze, che saranno reindirizzate alle istituzioni giudiziarie del Kosovo, vale a dire, l'azione penale e i tribunali.

"EULEX continuerà a partecipare alla gestione di tali casi, tuttavia non avrà il ruolo principale nel processo. Secondo la nuova legge che regola il mandato di EULEX (che tra l'altro ha esteso il mandato della Missione in Kosovo fino al 2018), i tribunali saranno costituiti principalmente da giudici kosovari. Lo stesso vale anche per il pubblico ministero. In linea di principio, tutti i casi saranno oggetto d'indagine da parte del Procuratore di Stato, a meno che, con la richiesta del capo della Procura, il Consiglio giudiziario permetta che i casi siano oggetto di indagine da parte di EULEX. Quindi, il ruolo di EULEX è stato limitato tanto da poter prevedere che, dopo il 2018, la Missione potrà essere ulteriormente limitata o cessare di esistere", dice Ajeti.

Missione sotto accusa

EULEX è accusata di aver fallito nel soddisfare le aspettative della popolazione del Kosovo considerando sopratutto le centinaia di milioni spesi dall'UE per questa missione. La sua reputazione è stata danneggiata particolarmente nel 2014, quando un procuratore britannico di EULEX, Maria Bamieh, ha sostenuto che alcune prove di potenziale corruzione all'interno della Missione siano state insabbiate. EULEX veniva continuamente accusata di ignorare i casi relativi a personaggi di alto profilo e invece di concentrarsi su casi di basso livello. Ma la missione ha negato ogni accusa.

Nonostante il diffuso giudizio negativo dei cittadini sui risultati della missione EULEX, secondo le istituzioni del Kosovo il ritiro totale della missione sarebbe prematuro. Gli esperti legali concordano sul fatto che la presenza di EULEX in Kosovo sia ancora indispensabile. L'avvocato Kujtim Kerveshi ha detto a OBC che il ruolo di EULEX è un'occasione per far sopravvivere lo stato di diritto in Kosovo. "Nel corso degli ultimi anni alcune accuse sono state presentate alla corte di Pristina per reati gravi, tuttavia le indagini sono state condotte per lo più da EULEX, prima che il mandato venne rivisto. Credo che EULEX continuerà completando i casi in corso, tra cui quelli dei reati gravi ".

Dopo oltre 17 anni di amministrazione internazionale del Kosovo e dei poteri esecutivi esercitati da missioni come l'UNMIK prima e EULEX poi, la situazione dello stato di diritto, secondo gli esperti legali, rimane debole. Si ritiene che le istituzioni giudiziarie del Kosovo non siano ancora in grado di condurre indagini indipendenti contro alti funzionari presumibilmente coinvolti in casi di corruzione e nella criminalità organizzata.

"Ho paura che le missioni internazionali abbiano provocato un gap delle realtà locali nell'assumere competenze forti e fondamentali. Le istituzioni locali dello stato di diritto dipendono dalla missione EULEX ed è un dato di fatto che le istituzioni locali non siano attive nei casi di gravi reati come invece fa EULEX, anche se EULEX non ha più le ampie competenze che aveva prima. Credo che le istituzioni locali stiano usando la Missione EULEX come scudo di protezione per la loro mancanza di attività nell'esecuzione dei casi di corruzione e di criminalità organizzata, nascondendosi dietro la copertura di EULEX ", dice l'esperto legale Kujtim Kerveshi.

Dren Ajeti, del Gruppo di Studi Giuridici e Politici, concorda sul fatto che, anche se EULEX ha una cattiva immagine agli occhi dell'opinione pubblica kosovara, i cittadini del Kosovo considerano la presenza internazionale come necessaria per il processo di state building. "Inoltre il nostro sistema giudiziario ha bisogno del sostegno e dell'esperienza dei giudici internazionali in quanto è ancora ritenuto incapace di occuparsi di reati come la tratta di esseri umani, droga, ecc. per non parlare di crimini come la corruzione o l'abuso di potere".

Gli esperti avvertono che ora, con la riduzione delle responsabilità di EULEX, nessuna delle attività principali sarà condotta dalla missione dell'Unione europea e a partire da adesso, i nuovi potenziali fallimenti del sistema giudiziario kosovaro non potranno venire attribuiti ad altri, ma solo alle autorità locali.


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Cronaca di “ordinarie” violenze in Kosovo Metohija 

Scritto da Enrico Vigna

Assaltata con bombe e armi automatiche una sala pubblica a Zubin Potok 

A Zubin Potok il 2 aprile alle tre della notte, nella sala dove il giorno dopo doveva parlare il Primo Ministro serbo A. Vucic, è stata lanciata una bomba e sono state sparate raffiche di armi automatiche da una macchina. Nella sala al momento dell’attacco si trovavano dieci persone, che stavano preparando la sala, ma non ci sono stati feriti. 


Da sei settimane bloccati i camion di merci della Serbia

Al confine di Merdare è stato bloccato l'accesso ai camion e agli autisti diretti dalla Serbia centrale verso le enclavi del Kosovo, con il pretesto che le leggi kosovare di Pristina non riconoscono i certificati ADR per il trasporto delle merci.
Il Primo Ministro del Kosovo Isa Mustafa ha confermato che agli autocarri della Serbia non sarà permesso di entrare in Kosovo fino a quando non verrà raggiunto un accordo.
Prima della decisione del governo del Kosovo arrivavano ogni giorno ​​tra 15 e 20 camion.
Il Kosovo, secondo i dati ufficiali locali, perde ogni giorno oltre centomila euro, la Serbia tra i 20 e i 70 mila euro.
Il Kosovo nei giorni scorsi ha aumentato il prezzo del petrolio tra i sette e i dieci centesimi al litro.

 

Militanti del Movimento Vetevendosje (Autodeterminazione) kosovaro, hanno assaltato e rovesciato un altro camion serbo

L’11 marzo attivisti del Movimento albanese Vetevendosje (Autodeterminazione) hanno assaltato e fatto andare fuori strada un secondo camion serbo, dopo quello attaccato 3 marzo.
Esponenti di Vetevendosje hanno detto che i suoi attivisti hanno sequestrato l'autocarro con targhe serbe su una strada in Kosovo, come protesta contro le politiche di Belgrado in Kosovo. 
"Per questo motivo, gli attivisti del movimento Vetevendosje hanno ribaltato un camion con prodotti serbi sulla strada nazionale. Tali azioni proseguiranno fino a quando il governo della Serbia non cambierà la sua posizione nei confronti del Kosovo, e non smetterà di negare i diritti della nostra nazione", ha avvertito Vetevendosje.
Vetevendosje pratica simili azioni di protesta dal 2012, con diversi camion dalla Serbia rovesciati nel tentativo di impedire alle merci serbe di entrare in Kosovo.

 

La polizia EULEX ha arrestato dieci serbi e li ha portati a Pristina

22 aprile 2016 

La polizia EULEX ha arrestato nella mattinata del 22 aprile (poco prima delle 11) dieci serbi e li ha portati a Pristina.

Nota soprattutto per le continue pressioni sui serbi e per la corruzione nel suo governo, emersa nello scandalo dello scorso anno, la polizia dell'Unione europea in Kosovo, EULEX, ha fermato e arrestato dieci serbi, verso le 11 del mattino. Il fatto è avvenuto nella zona di Leska, vicino al confine amministrativo di Vracevo.

Come riportato dai media locali, EULEX ha intercettato un pulmino di una ditta di trasporti proveniente da Kragujevac; il veicolo non era passato attraverso i confini amministrativi, controllati dalla polizia albanese kosovara. Con un dispiegamento di molte jeep, EULEXha arrestato i viaggiatori serbi che erano sul pulmino e li ha portati a Pristina.

Sul furgone fermato c'era anche il medico Aleksandra Djukic, che vive a Kragujevac e lavora nel centro di salute a Zubin Potok.

Gli arrestati sono accusati di essere "entrati illegalmente" nel territorio del Kosovo, perché non volevano rispettare i controlli della polizia kosovara ai valichi amministrativi tra Belgrado e Pristina, stabiliti in seguito dell'attuazione degli accordi di Bruxelles del 2013.






(srpskohrvatski / english / italiano)

I bombardamenti di Belgrado  1941--1999

*** Primavera 1999... 2017 ***
1) NKPJ i SKOJ obeležili godišnjicu NATO agresije
2) Srbin usred Ciriha pretukao NATO pilota koji je bombardovao Srbiju! 
[Picchia l'inglese, ex pilota della NATO che si vanta di aver bombardato i "fucking Serbs" ]
3) Ricordo di Ljiljana Žikić - Karadjordjević, Miss Serbia nel 1978, uccisa il 1. aprile 1999 dai bombardamenti NATO 
4) NATO used doctored video to justify bombing of passenger train
*** 16 aprile 1944 ***
5) The British and Americans started bombing Belgrade on Easter Sunday, April 16, 1944
*** 6 aprile 1941... 2017 ***
6) Epistola serba 1941 B. Brecht - Enrico Vigna


Also to read:
Washington Post thinks Russian radio, not NATO bombing, turned Serbs against the Alliance (26 Sep, 2016 – Bryan MacDonald)
The Washington Post expects its readers to believe Serbia’s lack of enthusiasm for NATO membership is because of “Russian disinformation.” Naturally, it has nothing to do with the “defensive alliance” bombing the country seventeen years ago...

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NKPJ I SKOJ OBELEŽILI GODIŠNJICU NATO AGRESIJE

NKPJ i SKOJ su obeležili 18. godišnjicu NATO bombardovanja na skupu koji je održan ispred spomenika Večne vatre. Na skupu su bili prisutni predstavnici ambasada Kube, Venecuele, Belorusije i Rusije.


Spomenik „Večna vatra“ je podignut u slavu i spomen svim žrtvama NATO agresije, a danas je u razočaravajuće zapuštenom stanju. Ovo stanje realno oslikava odnos koji buržoaske vlasti u Srbiji imaju prema velikoj tragediji i nepravdi koja je zadesila naš narod i našu zemlju. Podsećamo da su oni koji su najodgovorniji za brojna zlodela počinjena tokom i posle NATO agresije, i posle sedamnaest godina, i dalje na slobodi, da niko nije osuđen, a da su marionete zapadnog imperijalizma, buržoaske vlasti u Srbiji, povukle optužnicu pred Međunarodnim sudom pravde za zlodela koja su njihove gazde počinile.

Pored komemorativnog, ovaj skup je imao i jasan antiimperijalistički karakter jer su na njemu kritikovane i današnje okolnosti u kojima se nalazi naša država, koje su proizašle iz bombardovanja i kasnijeg poslednjeg udarca imperijalizma kojim smo potpuno pokoreni, petooktobarskim promenama.

Kritikovane su imperijalističke institucije kao što su MMF, Svetska banka, Evropska unija i NATO. 

Naši aktivisti su delili novi broj Glasnika SKOJ-a i držali transparent sa porukom "Ne zaboravljamo, ne opraštamo, ne u NATO!"

Sekretarijat NKPJ,

Sekretarijat SKOJ-a,

24. 03. 2017.



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Fonte: http://www.informer.rs/vesti/drustvo

Si vendica per il 1999! Il serbo Rade Stančić in un caffe' di Zurigo malmena l' inglese, ex pilota della NATO che si vanta di aver bombardato i "fucking serbian"...


OSVETIO SE ZA 1999! Srbin usred Ciriha pretukao NATO pilota koji je bombardovao Srbiju!

Rade Stančić u kafiću u centru Ciriha prebio Engleza, bivšeg NATO pilota, koji se hvalio kako je bombardovao 'jebene Srbe' 1999. Sad kad se pogledaš u ogledalo, setićeš se Srba, rekao mu je Stančić

M. D. 31. 03. 2017. 20:21

Rade Stančić, rodom iz Loznice, juče ujutru je u švajcarskom gradu Cirihu brutalno pretukao engleskog pilota u jednom kafiću, jer ga je čuo kako za susednim stolom s ponosom priča da je bombardovao Srbiju 1999. godine! Nakon što ga je dobro naučio pameti, Stančić mu je rekao: "Od sada kad god se pogledaš u ogledalo, setićeš se Srba koje si ubijao!"
Ubrzo nakon toga Stančić je napustio Švajcarsku.

Psovao žrtve

Kako saznajemo od našeg gastarbajtera iz Ciriha, koji je prisustvovao incidentu u centru Ciriha, Rade je sa jednim prijateljem iz BiH sedeo za stolom i razgovarao o poslu.

- Englez je za susednim stolom sedeo sa jednim lokalnim političarem iz Ciriha, razgovarali su o svemu i svačemu. U jednom trenutku Englez je kazao da je bio vojni pilot, a njegov prijatelj ga je upitao da li je učestvovao u nekim ratnim operacijama - navodi naš sagovornik.

Maliciozni Englez je, kaže on, s ponosom pričao kako je 1999. bombardovao "jebene Srbe".
- U tom trenutku Rade i njegov drugar su prestali da pričaju, jer mu se učinilo da Englez pored njega pominje Srbe i 1999. godinu. Pre toga su bili nasmejani jer su dogovarali neki posao oko posete nekih srpskih pevača koje su hteli da dovedu u Švajcarsku. Međutim, Rade je zaćutao kad je čuo šta priča Englez i načuljio uši - priča on.

Zatim je Stančić ustao i krenuo ka Englezu i njegovom prijatelju.
- Lepo mu se obratio, ljubazno. Izvinio se i rekao da je slučajno načuo da su pričali o bombardovanju Srbije i da je jedan od njih učestvovao u toj vojnoj akciji. Kada je Britanac rekao da je to tačno, Rade mu je rekao: "E sada ćeš dobro zapamtiti Srbe." Počeo je da ga udara šakama, a zatim je zgrabio staklenu posudu za šećer, pa ga je i njome izudarao u glavu. Englez je bio sav krvav, a njegov prijatelj je sve to gledao u potpunom šoku - ispričao je očevidac.

Gledali u šoku

Avijatičar NATO pakta je, prema njegovim rečima, za to vreme zapomagao i urlao od bolova, ali niko u kafiću nije smeo da se umeša u tuču.
- Tad mu je Rade rekao: "Kad god se budeš pogledao u ogledalo, setićeš se svih Srba i nedužne dece koje si pobio" - navodi naš sagovornik.

Nakon toga, Stančić je izašao iz kafića i pobegao. Nezvanično saznajemo da je odmah nakon toga napustio Švajcarsku.
Redakcija Informera je uspela da stupi u kontakt sa njim, ali on nije želeo da priča detaljnije o obračunu sa Englezom. Samo nam je kratko rekao: "Živela Srbija!"
Englez je sa brojnim podlivima i rasekotinama po licu završio u bolnici.

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RADE STANČIĆ, SRBIN KOJI JE NAUČIO PAMETI BAHATOG ENGLEZA: Prebio sam NATO pilota kad je rekao da smo go*na! (M. Dobromirović 01. 04. 2017.)
Taj Englez je u kafiću u Cirihu najstrašnije vređao Srbiju, hvalio se kako nas je bombardovao. Kad je rekao da su Srbi govna koja samo silu razumeju, nisam mogao da prećutim, kaže Rade...
http://www.informer.rs/vesti/drustvo/126857/RADE-STANCIC-SRBIN-KOJI-NAUCIO-PAMETI-BAHATOG-ENGLEZA-Prebio-sam-NATO-pilota-kad-rekao-smo

SRBIN KOJI JE PREBIO NATO PILOTA STIGAO U BEOGRAD: Pao mi je mrak na oči kad sam se setio male Milice! (T. I. 03. 04. 2017.)
Rade Stančić, koji je pretukao NATO pilota što se u švajcarskom kafiću hvalio da je bombardovao Srbiju, kaže da se ne kaje zbog toga što je "patosirao" Engleza... Moja deca su ponosna na mene i pružaju mi podršku...


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Ljiljana Žikić - Karadjordjević, nata a Kragujevac. E' stata eletta Miss Serbia nel 1978. Laureatasi all' Universita' di Belgrado in qualita' di Ingegnere di scienze organizzative.

Morta il 1. di aprile 1999 sotto i bombardamenti NATO vicino il villaggio di Ljubenić. 

Nella poesia "Difendero' la Serbia anche da morta", pubblicata il 26 aprile 1999, avverte il suo popoloche e' importante salvaguardare almeno un grano di vergogna in noi. La raccolta delle sue poesie "Kako ti je" (Come stai) e' dedicata ai suoi sei bambini. 


Ona je u pesmi "Braniću Srbiju i kad budem mrtva" koja je objavljena 26. aprila 1999. godine u listu "Svet" opomenula svoj narod da je važno da sačuvamo barem zrno stida u nama. Njena zbirka pesama "Kako ti je" posvećena je njenoj deci. 

Braniću Srbiju i kad budem mrtva

I kad umrem ja ću nogom opet stati 

da stojim k'o hrabra i visoka stena 

pogled će večno granicu da prati 

ni grob mi neće reći da me nema. 

Izniknuću svuda gde se miče cveće 

gde vazduha ima i gde nema, tamo 

za sve ću biti i za šta se ne zna 

i za ono kol`ko možemo da znamo. 

Stražar ću biti surovi i strašni 

tuđin i lopov da stalno plaši 

jer Srbin ne može da se zove robom 

Srbija tu su svi vekovi naši. 

Čuvaću granicu srpske zemlje moje 

oprost za grumen neću dati nikom. 

Moje će ruke hleb svakom da nude, 

al` Srbiju nikad, to je sve što imam! 

Ni ognjišta, groblja, ni dedove moje, 

zbog njih će pogača i otrov da bude. 

I kad umrem ja ću nogom opet stati 

da stojim k`o hrabra i visoka stena 

pogled će večno granicu da prati, 

ni grob mi neće reći da me nema 

Uspomenu na Ljiljanu, njen život i hrabrost čuva njeno šestoro dece. Postoji inicijativa da neka ulica u Kragujevcu dobije njeno ime.




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How Frankfurter Rundschau exposed another US/NATO lie
NATO used doctored video to justify bombing of passenger train 

January 19, 2017 by Grey Carter

This has passed almost unnoticed and suppressed by global media: January  2000 German newspaper Frankfurter Rundschau  exposing the lies of NATO commander in Europe, General Wesley Clark after the bombing of a passenger train on the bridge across the South Morava in Grdelica Gorge in April 1999, when at least 15 civilians have been killed.
In the Frankfurter Rundschau reporter Arnd Festerling documented how NATO used ‘ediited’ video recordings to justify its conduct of the war against Serbia.
[VIDEO: Nato Bombing on Grdelica Bridge - first strike

At least 15 people died on April 12, 1999 when a US Airforce bomber fired on a railway bridge near the Serbian village of Grdenicka just as a passenger train was crossing the bridge. Following the initial strike of the train, the pilot returned to make a second sweep of the burning bridge and dropped a bomb on a carriage that had not been hit by the first assault.

[VIDEO: Nato Bombing on Grdelica Bridge - second strike

At the time NATO described the bombing of the commuter train as a tragic accident. NATO’s presentation of events, it now emerges, was based on doctored video recordings and misleading descriptions of what took place aboard the fighter plane.

[VIDEO: Nato bombardovanje voza

One day after the strike, in an effort to demonstrate that the attack was a case of inadvertent “collateral damage”, General Wesley Clark, the Supreme Commander of NATO forces, called a press conference and showed two video films taken by cameras located in the noses of the remote control-guided bombs. According to Clark, the films made clear that the passenger train was approaching too fast for the pilot, who was concentrating on the difficult business of guiding the bombs, to react. The pilot had “less than a second” to abort the strike, Clark asserted.

Of course, this version of events did not explain why the plane turned round and dropped a second bomb. But the official NATO account given by Clark was misleading in two further respects.
First, the video film sped up the actual sequence by a factor of at least three. Second, the fighter plane used in the attack—type F15E—had a crew of two, a pilot and a weapons systems officer. The pilot played no role in directing the bombs and could not have been diverted by that task. In this type of plane the bombs find their own way to the target as soon as the target co-ordinates have been set by the weapons systems officer, who can, however, intervene to stop or divert them.
Festerling pointed out that status signals giving technical information and a running clock normally shown on such videos did not appear on the videos shown to the press public by Clark. Festerling explained:
“According to the video 2.3 seconds elapse from the time the train clearly enters the field of vision to the time the bomb strikes home. This implies the train was travelling at 300 kilometres per hour. If one assumes, for the purpose of making calculations, that the train was actually travelling at 100 kilometres per hour (a figure which is probably far too high, bearing in mind the antiquated state of the Serbian rail system) the video [shown by Clarke] is running at least three times faster than real time. This means the weapons systems officer had at least 6.9 seconds to react, instead of 2.3 seconds—which Clark, in his presentation, had reduced to ‘less than a second’.
“NATO therefore showed a film which was totally unreliable with regard to the crucial question of when the attack took place. On the basis of these unreliable videos and a misleading choice of words, the NATO Supreme commander in Europe led the public to believe that the attack on the train was unavoidable because of time pressure.”
NATO has now largely conceded that this is, in fact, what happened.
Festerling quoted an official of Shape, the central NATO command in Europe, who said, “Yes, the video ran considerably faster.” The headquarters of the US Air Force in Europe, located in Ramstein, Germany, also confirmed this fact, but then went on to speak of a regrettable hardware error, which they attributed to the firm of Sun Microsystems.
According to their account, the speeding up of the film took place unnoticed as the video was being transformed into mpeg-format. The main concern was to make the material available to the public as soon as possible, and therefore a supposedly arduous stage in the conversion of the film was neglected. The status signals did not appear on the video because, for some unexplained reason, the film taken came from the accompanying plane and not the plane responsible for the attack. The bombing videos from the attack plane itself are no longer available.
This whole explanation is extremely dubious. One can only assume that anybody with experience working with of this type of weapons technology would have been able to immediately identify the speeding up of the tape. Furthermore, the technology necessary for the supposedly arduous conversion of the film into mpeg-format takes, in fact, just a few minutes. At a cost of a few hundred dollars it can be loaded onto any standard personal computer. NATO’s explanation assumes that it possesses technology inferior to that at the disposal of the average video amateur.
The revelations concerning the bombing of the passenger train are only the latest exposure of NATO lies and distortions in connection with the Kosovo War. Last October the British newspaper Observerpublished reports detailing the NATO bombardment of the Chinese embassy in Belgrade. The reports made clear that, contrary to NATO’s version of events, the bombing was deliberate.

[Sources: 


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The British and Americans started bombing Belgrade on Easter Sunday, April 16, 1944 

Posted on April 16, 2017 by Grey Carter

Poet Charles Simic was 3 years old when Nazi forces targeted his city for destruction, and when he was  6,  allies Americans and Brits bombed it on Orthodox Easter 1944.
In an excerpt from his new memoir, A Fly in the Soup, Simic returns to the days when the Allied bombs rained on Belgrade. Excerpts from A Fly in the Soup, ©University of Michigan Press, 2000.

[PHOTO: Simic and his mother during German bombardment of  Belgrade 1941.  Three years later, they will be bombed by so called Allies as well] 
The official version from the United States Air Force speaks about heavy bombers “conducting strikes against Luftwaffe in occupied Serbia and aviation targets” with “approximately 397 tons of bombs.” It also says: “According to one report, these operations of 17 of April resulted in some damage to a residential area northwest of Belgrade/Zemun airdrome. Most of the destruction wrought by the two days’ activities, however, appears to have been military in nature.” It’s that word appears, judiciously inserted in the report, that is the crux of the matter.
It was just before lunchtime. The dining room table was already set in a festive way with our best china and silverware when the planes came. We could hear them drone even before the sirens wailed. The windows were wide open, since it was a balmy spring day. “The Americans are throwing Easter eggs,” I remember my father shouting from the balcony. Then we heard the first explosions. We ran down to the same cellar, where today some of the original cast of characters are still cowering. The building shook. People covered their ears. One could hear glass breaking somewhere above. A boy a little older than I had disappeared. It turned out that he had slipped out to watch the bombs fall. When the men brought him back, his mother started slapping him hard and yelling she’s going to kill him if he ever does that again. I was more frightened of her slaps than of the sound of the bombs.
[PHOTO: Easter 1944. –  Belgrade under bombs  – victims. Anglo Americans new know mercy]
At some point it was all over. We shuffled out. The enthusiasts of aerial bombardment either lack imagination for what happens on the ground, or they conceal their imaginings. The street was dark with a few flames here and there. With all the dust and smoke in the air, it was as if the night had already fallen. A man came out of the gloom covered with fallen plaster, telling us that a certain neighborhood had been entirely leveled. This was typical. One heard the most outrageous rumors and exaggerations at such times. Thousands of deaths, corpses lying everywhere, and so forth. It was one of the poorest parts of the city he was talking about. There were no military objects there. It didn’t make any sense even to a child.

[PHOTO: After 1941. Nazi bombardment and years long occupation and sufferings, surprisingly the so called Allies decided to finish off with the single anti nazi state in Balkans.  They didn’t bomb  neither of Nazi allied states . monstrous  clerofascist Independent State of Croatia, nor Albania, Bulgaria, Romania, Hungary.]

The day after the first raid in 1944, the planes came again, and it was more of the same. “They dropped about 373 tons of bombs on the Belgrade/Save marshalling yards,” the official report continues. “This assault resulted in major destruction of freight and passenger cars, large fires, gutted warehouses, severe damage to the main passenger station, equally severe damage to the Railroad Bridge over the Sava River, etc. No report on this mission refers to the bombing of other than military objectives.” Actually, a bomb landed on our sidewalk in front of our building. It spun around but didn’t explode.

[PHOTO: Kicevska street, Belgrade]

In 1972, I met one of the men who bombed me in 1944. I had just made my first trip back to Belgrade after almost twenty years. Upon my return to the States, I went to a literary gathering in San Francisco, where I ran into the poet Richard Hugo in a restaurant. We chatted, he asked me how I spent my summer, and I told him that I had just returned from Belgrade.
Oh yes,” he said, “I can see that city well.”
Without knowing my background, he proceeded to draw on the tablecloth, among the breadcrumbs and wine stains, the location of the main post office, the bridges over the Danube and Sava, and a few other important landmarks. Without a clue as to what all this meant, supposing that he had visited the city as a tourist at one time, I inquired how much time he had spent in Belgrade.
“I was never there,” he replied. “I only bombed it a few times.”
When, absolutely astonished, I blurted out that I was there at the time and that it was me he was bombing, Hugo became very upsetIn fact, he was deeply shaken. After he stopped apologizing and calmed down a little, I hurried to assure him that I bore no grudges and asked him how is it that they never hit the Gestapo headquarters or any other building where the Germans were holed up. Hugo explained that they made their bombing runs from Italy, going first after the Romanian oil fields, which had tremendous strategic importance for the Nazis and were heavily defended. They lost a plane or two on every raid, and with all that, on the way back, they were supposed to unload the rest of the bombs over Belgrade. Well, they didn’t take any chances. They flew high and dropped the remaining payloads any way they could, anticipating already being back in Italy, spending the rest of the day on the beach in the company of some local girls.
I assured Hugo that this is exactly what I would have done myself, but he continued to plead for forgiveness and explain himself. He grew up in a tough neighborhood in Seattle, came from poor, working-class folk. His mother, a teenager, had to abandon him after his birth. We were two befuddled bit players in events beyond our control. He at least took responsibility for his acts, which of course is unheard of in today’s risk-free war, where the fashion is to blame one’s mistakes on technology. Hugo was a man of integrity, one of the finest poets of his generation, and, strange as it may appear, it did not occur to me to blame him for what he had done. I would have probably spat in the face of the dimwit whose decision it was to go along with Tito’s request and have the Allies bomb a city on Easter full of its own allies. Still, when Hugo later wrote a poem about what he did and dedicated it to me, I was surprised. How complicated it all was, how inadequate our joint attempt to make some sense of it in the face of the unspoken suspicion that none of it made a hell of a lot of sense.
Letter to Simic from Boulder
Dear Charles: And so we meet once in San Francisco and I learn
I bombed you long ago in Belgrade when you were five.
I remember. We were after a bridge on the Danube
hoping to cut the German armies off as they fled north
from Greece. We missed. Not unusual, considering I
was one of the bombardiers. I couldn’t hit my ass if
I sat on the Norden or rode a bomb down singing
The Star Spangled Banner. I remember Belgrade opened
like a rose when we came in. Not much flak. I didn’t know
about the daily hangings, the 80,000 Slav who dangled
from German ropes in the city, lessons to the rest.
I was interested mainly in staying alive, that moment
the plane jumped free from the weight of bombs and we went home.
What did you speak then? Serb, I suppose. And what did your mind
do with the terrible howl of bombs? What is Serb for “fear”?
It must be the same as in English, one long primitive wail
of dying children, one child fixed forever in dead stare.
I don’t apologize for the war, or what I was. I was
willingly confused by the times. I think I even believed
in heroics (for others, not for me). I believed the necessity
of that suffering world, hoping it would learn not to do
it again. But I was young. The world never learns. History
has a way of making the past palatable, the dead
a dream. Dear Charles, I’m glad you avoided the bombs, that you
live with us now and write poems. I must tell you though,
I felt funny that day in San Francisco. I kept saying
to myself, he was on the ground that day, the sky
eerie mustard and our engines roaring everything
out of the way. And the world comes clean in moments
like that for survivors. The world comes clean as clouds
in summer, the pure puffed white, soft birds careening
in and out, our lives with a chance to drift on slow
over the world, our bomb bays empty, the target forgotten,
the enemy ignored. Nice to meet you finally after
all the mindless hate. Next time, if you want to be sure
you survive, sit on the bridge I’m trying to hit and wave.
I’m coming in on course but nervous and my cross hairs flutter.
Wherever you are on earth, you are safe. I’m aiming but
my bombs are candy and I’ve lost the lead plane. Your friend, Dick.

(From 31 Letters and 13 Dreams by Richard Hugo [New York: Norton, 1977])


=== 6 ===


Bertolt Brecht ”Epistola serba”, in occasione del bombardamento di Belgrado il 6 aprile 1941

di Enrico Vigna, marzo 2017

…..Per NON dimenticare i bombardamenti NATO sulla Jugoslavia del 1999

 

Per ricordare e NON dimenticare questo 18° triste anniversario, ho ritrovato tra mille carte, queste righe che il grande scrittore tedesco scrisse nel lontano 1941.                                              

Tragico è che dopo 56 anni, la tragedia si è ripetuta e ancora una volta ha lasciato, come in ogni guerra di aggressione: tragedie, morte, miserie, devastazioni sociali e odio.

Qualcuno dice che è il prezzo per la “democrazia occidentale”…                                                                          

Forse quel qualcuno in quelle terre non ci va, o ci va da turista distratto e opulento.                     

Per chi ha vissuto sotto le bombe del ’99 e oggi continua in un legame senza fine con quelle genti fiere, dignitose e tenaci…nonostante tutto e tutti, la realtà è un'altra. 

Vorrei portare quei “qualcuno” a conoscere, parlare, ascoltare le nostre vedove di guerra, le nostre madri dei rapiti del Kosovo Methoija, i figli dei disoccupati della Serbia, gli sventurati malati di sclerosi del Kosmet, i mutilati e i loro figli della guerra subita, i Padri del Monastero ortodosso di Decani, le donne, i bambini, gli anziani che vivono nelle enclavi…

Ma quei “qualcuno” ormai hanno altro da fare, altro su cui informare, altro di cui  giudicare circa “democrazia”, “diritti umani”, “sviluppo”. 

A loro delle condizioni di vita materiale della pena quotidiana del vivere delle persone, dei popoli, delle loro anime affrante, violentate ma non ancora dome…non interessa. 

Forse sono gli stessi che si sono poi occupati, di Libia, Siria, Donbass, Yemen…ed i risultati sono davanti i nostri occhi…Situazioni terrificanti. 

Eppure sono tutti popoli in ginocchio ma non piegati, neanche nella dignità. 

E questo non fa dormire sonni leggeri ai potenti e ai dominatori del mondo.

…Eppure si prova una tristezza profonda quando si riflette su tutto questo, e  ogni volta lascia buchi neri nell’anima. Perché in questa notte non c’è posto per sogni o illusioni, e la gente semplice e onesta non ha  un rifugio per scappare da questi scenari di vampiri e avvoltoi, non ha ripari, trincee, ma quel che è più triste …. neanche con un sogno si va via, perché oggi in quelle terre è anche sempre più difficile sognare oltrechè  ridere.                                                                                                                            

…Eppure con questo straordinario e fiero popolo si riesce ancora, qualche volta, a sorridere e a piangere, con l’anima ed il cuore, come si faceva “normalmente” non tanto tempo fa…., e come, forse, altri torneranno…un giorno, normalmente, a fare. 

E come si diceva allora nelle strade  e sui ponti della RFJ: 

FORSE CI VINCERANNO. MA NON CI CONVINCERANNO!

 

 “ Per attaccare i loro vicini,

i rapinatori hanno bisogno del petrolio
E purtroppo noi siamo sulla strada
che li porta ad esso ...


Il loro naso annusando il serbato del petrolio,

ha visto il nostro piccolo paese ...

  Hanno chiamato i nostri capi: dopo due ore di discussione

Essi ci hanno  venduto per una macchina da cucire e un assegno

Ma, quando siamo tornati, in carcere li abbiamo scaraventati  ...

Una mattina, abbiamo sentito il rombo degli aerei su di noi
e il cielo è diventato nero;
il rumore era così forte
che non abbiamo potuto nemmeno sentire le parole dei nostri addii ...

 

  Le bombe cadevano e alla sera davanti alle nostre case

  c’erano crateri più grandi delle stesse case,

  le nostre donne ei nostri bambini in fuga 
  ma i loro aerei volavano bassi su di loro e li braccavano

 

  per tutto il giorno tutta la nostra terra,

  le nostre colline e i campi venivano falciati;
  ma nello stesso tempo hanno anche scavato la loro fossa ...

Ma su queste colline si è scolpito il vostro volto, la vostra immagine,
 e i fiumi usciranno dalla vostra museruola 
finchè non avrete stritolato tutto con i vostri denti bestiali!”

.............


Bertold Breht            Srpska poslanica 

 



Dosi massicce di propaganda slavofoba

1) A chi giova la tensione con la Russia? (di Mauro Gemma, 12 aprile 2017)
2) Sulla “russofobia” (di Fosco Giannini, 26 aprile 2017)
3) Letteratura razzista slavofoba sul "Fatto Quotidiano" (V. Tomassini, C. Cernigoi)


(Sulla russofobia si vedano anche:

Guy Mettan 
Russofobia. Mille anni di diffidenza
Roma: Sandro Teti editore, 2016

Russofobia: intervista a Guy Mettan


EURODIPUTADO JAVIER COUSO (I.U.) DENUNCIA LA "RUSOFOBIA" DEL PARLAMENTO EUROPEO (tena carlos, 18 feb 2016)
El organismo continental debatía este jueves qué estrategias debe adoptar para defenderse en la guerra mediática, mencionando "la propaganda rusa" como una de las principales amenazas a las que tiene que hacer frente...
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=uB9xNWf-TF0

Liste di proscrizione a Bruxelles e Strasburgo per escludere i russi

Robert Charvin: FAUT-IL DÉTESTER LA RUSSIE ? Nouveau livre des éditions Investig'Action
http://www.michelcollon.info/boutique/fr/livres/39-faut-il-detester-la-russie-.html
Pour organiser débats ou interviews, contacter: relations@...
VIDEO: Regarder la présentation vidéo (1’): https://www.youtube.com/watch?v=PNAifAYfHg0

Hannes Hofbauer: FEINDBILD RUSSLAND. Geschichte einer Dämonisierung
ProMedia Verlag – ISBN 978-3-85371-401-0, br., 304 Seiten, 19,90 Euro
Buchvorstellung! Wann und Wo? am Dienstag, 10. Mai 2016 um 19.30 Uhr
im Saalbau Bornheim, Clubraum 1, Arnsburger Str. 24, 60385 Frankfurt am Main
Näheres zum Buch unter: http://www.mediashop.at/typolight/index.php/buecher/items/hannes-hofbauer---feindbild-russland )


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A chi giova la tensione con la Russia?

di Mauro Gemma, 12 Aprile 2017

In merito all'irresponsabile dichiarazione del responsabile esteri di “Sinistra Italiana”, mentre è in corso la visita di Mattarella a Mosca con lo scopo dichiarato di allentare le tensioni con la Russia.

La Rada ucraina (il parlamento) ha decretato la definitiva riabilitazione dei collaborazionisti hitleriani, approvando il 4 aprile scorso la legge “Sulla riabilitazione delle vittime della repressione politica” insieme alla concessione di vitalizi ai veterani dell'Organizzazione dei nazionalisti ucraini  - Esercito insorgente ucraino (OUN-UPA), molto più semplicemente i collaboratori e complici dei nazisti.

Il testo della legge è stato letto dalla tribuna da Yury Shukhevych, deputato della feccia nazi-fascista ucraina, che altri non è che il figlio di quel Roman Shukhevych che, per chi ne fosse all'oscuro, è stato, insieme a Stepan Bandera, uno dei più feroci comandanti delle bande "repubblichine" ucraine, responsabili del massacro di decine di migliaia di partigiani e civili e dei terribili pogrom di ebrei avvenuti nella repubblica allora sovietica, sotto l'occupazione di Hitler.

Ce ne sarebbe abbastanza per sollevare l'indignazione e la protesta di tutti gli antifascisti del nostro paese e dell'Europa intera.

E invece, una settimana dopo, nel parlamento italiano, un deputato di "Sinistra Italiana - Possibile", Erasmo Palazzotto (vice presidente della Commissione esteri della Camera e responsabile esteri di SI), che di quanto avviene in Ucraina evidentemente se ne frega (anche se, vista la sua collocazione nella Commissione esteri, dovrebbe esserne ampiamente informato) e il cui “antifascismo” sembra manifestarsi a corrente alternata, diffonde una dichiarazione sulla base di fantasiose e non meglio precisate “notizie di stampa”, battendo tutti in fatto di russofobia esasperata e falsificazioni, di cui è facile capire la provenienza: quella degli stessi che anni fa presentavano i terroristi ceceni come “eroi” di una guerra di liberazione e che oggi sono impegnati nell'ennesimo tentativo di “rivoluzione colorata”, secondo lo stesso copione applicato a Kiev nel 2014. Sono, del resto, gli stessi, identici argomenti che la propaganda dei nazisti ucraini usa quotidianamente nella sua guerra dell'informazione contro la Russia e a supporto della sua guerra criminale di aggressione nel Donbass.

Palazzotto getta altra benzina sul fuoco attizzato da chi sta inasprendo lo scontro con la Russia, negli Stati Uniti, nell'UE e in Italia. E lo fa proprio, con un tempismo che non può passare inosservato, nello stesso momento in cui il presidente della Repubblica si trova a Mosca, con il compito dichiarato di contribuire ad allentare la tensione con la Russia, che tanti danni ha già procurato al nostro paese, in particolare dopo le sanzioni.  

Questa è la notizia ANSA: "ROMA, 11 APR - "Notizie di stampa trapelate dall'estero hanno rivelato che in Cecenia alcune ex caserme militari sono state trasformate per "correggere uomini dall'orientamento sessuale non tradizionale o sospetto", veri e propri campi di concentramento per gay. Un orrore che si ripete a distanza di 70 anni". Lo afferma Erasmo Palazzotto, deputato di Sinistra Italiana-Possibile e Vicepresidente della commissione Esteri di Montecitorio. "L'Italia e l'Europa, prosegue Palazzotto, non possono restare in silenzio davanti a questo livello di violazione dei diritti umani. Il presidente Mattarella in visita a Mosca non può ignorare ciò che sta accadendo e dovrebbe manifestare la preoccupazione e la condanna del nostro Paese davanti a crimini di questa natura. La violazione dei diritti umani, le torture protratte nei confronti di gay, lesbiche e trans in Russia e Cecenia ci impongono di non chiudere gli occhi e di lanciare con forza un segnale a tutta la comunità' internazionale per fermare tali aberrazioni", conclude Palazzotto. (ANSA)."

Si resta letteralmente senza parole! Ma davvero questo è il destino della sinistra nel nostro paese?


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Sulla “russofobia”


di Fosco Giannini*, 26 aprile 2017

Lo scorso 12 aprile il direttore del sito “ Marx XXI”, il compagno Mauro Gemma, pubblica un suo indignato commento in merito ad una “irresponsabile” dichiarazione rilasciata il giorno prima da Erasmo Palazzotto, vice presidente della Commissione Esteri della Camera e responsabile esteri di Sinistra Italiana.

Il direttore di “Marx XXI”, ricordando, in apertura del proprio commento, che il quattro aprile ultimo scorso la Rada ucraina ( il Parlamento) ha decretato – fatto politicamente, culturalmente e moralmente inquietante – la definitiva riabilitazione dei collaborazionisti hitleriani ucraini; che il testo della legge è stato letto alla Rada da Yury Shukhevych, deputato nazi-fascista e figlio del massacratore di comunisti, di partigiani, di civili ed ebrei Roman Shukhevych; che rispetto a tale, raccapricciante, notizia non vi è stata, in Italia, nel Parlamento italiano, nella sinistra politica e istituzionale italiana nessuna reazione e solo silenzio; ricordando tutto ciò, Mauro Gemma rimarca, con giustificata indignazione, appunto, il fatto che invece – al posto di una condanna della riabilitazione dei filo nazisti nell’Ucraina filo-Usa e filo UE- il deputato di “SI” Erasmo Palazzotto diffonde alla Camera una dichiarazione secondo la quale “Notizie di stampa trapelate dall’estero hanno rivelato che in Cecenia alcune caserme militari sono state trasformate per correggere uomini dall’orientamento sessuale non tradizionale o sospetto…”. Naturalmente, rispetto a ciò, rispetto all’ambigua “credulità” con la quale si fanno proprie le più strampalate e feroci “fake news”, la stigmatizzazione di Gemma è tagliente: “Erasmo Palazzotto… che di quanto avviene in Ucraina evidentemente se ne frega (anche se, vista la sua collocazione nella Commissione esteri, dovrebbe esserne ampiamente informato) e il cui “antifascismo” sembra manifestarsi a corrente alternata, diffonde una dichiarazione sulla base di fantasiose e non meglio precisate “notizie di stampa”, battendo tutti in fatto di russofobia esasperata e falsificazioni, di cui è facile capire la provenienza: quella degli stessi che anni fa presentavano i terroristi ceceni come “eroi” di una guerra di liberazione e che oggi sono impegnati nell'ennesimo tentativo di “rivoluzione colorata”, secondo lo stesso copione applicato a Kiev nel 2014. Sono, del resto, gli stessi, identici argomenti che la propaganda dei nazisti ucraini usa quotidianamente nella sua guerra dell'informazione contro la Russia e a supporto della sua guerra criminale di aggressione nel Donbass. Palazzotto getta altra benzina sul fuoco attizzato da chi sta inasprendo lo scontro con la Russia, negli Stati Uniti, nell'UE e in Italia. E lo fa proprio, con un tempismo che non può passare inosservato, nello stesso momento in cui il presidente della Repubblica si trova a Mosca, con il compito dichiarato di contribuire ad allentare la tensione con la Russia, che tanti danni ha già procurato al nostro paese, in particolare dopo le sanzioni”.

La critica di Gemma non ha bisogno di ulteriori rafforzamenti e commenti, tanto è chiara, netta e condivisibile. Vogliamo invece, da questa critica, enucleare una parola: “russofobia” e il senso di questa parola indagare.

Innanzitutto: esiste la russofobia? Si, esiste: essa è un “sentimento”, una “forma dell’anima occidentale”, un delirante “bovarismo” pseudo culturale e pseudo politico borghese e piccolo borghese, una perversione ideologica che oggi – come un tempo – striscia nel corpo dell’ intero occidente capitalistico; una lucida follia che un tempo nacque in Europa per poi trasferirsi, espandersi endemicamente, nel nord America. 

E che cos’è, la russofobia? Essa è qualcosa di più, come suggerisce lo stesso suffisso utilizzato ( fobia) di una semplice paura della Russia; è molto di più: è il panico, la repulsione (dal greco φόβος, phóbos), l’irrazionale terrore verso la storia, la cultura, verso “l’anima russa”, il popolo russo e – dunque – verso il potere politico russo, dell’altro ieri storico, della storia russa di ieri e dell’oggi. 

In una famosa copertina di “The Economist” ( febbraio 2015, titolo: Putin’s war on the West), Putin – a tutta pagina e su sfondo ovviamente oscuro – appare come un uomo dal viso tanto algido quanto feroce, mentre con la mano destra – il grande e maligno Burattinaio – manovra i fili del mondo; in un’altra, altrettanto nota, successiva copertina della rivista britannica, la natura di Putin è ancora più definita: egli appare ( eloquente titolo “Putinism”, occhi rossi e infernali e sguardo terrorizzante ) direttamente nelle sembianze di Dracula.

Se, dunque, la russofobia esiste e ancora – come per le invasioni napoleoniche ed hitleriane – agisce nella storia ed è funzionale all’attacco ( culturale, politico, militare) occidentale contro la Russia, da dove essa trae origine, come e da dove nasce, come si riproduce ?

Affidiamoci, per comodità espositiva, all’incipit di una recente recensione che Eugenio Di Rienzo fa del libro di Guy Mettan “Russofobia, Mille anni di diffidenza”, Teti Editore. Scrive Di Rienzo: “La Russia è l’incarnazione del male assoluto, tutto il suo popolo ha lavorato nel corso dei secoli per la rovina degli altri popoli”. Questa frase non è tratta dalla sceneggiatura Doctor Strangelove di Stanley Kubrick… Questa frase, invece, è stata detta a chi scrive da un valoroso studioso di storia dell’Europa orientale nel corso di un’accesa discussione sulla crisi ucraina avvenuta poco più di un anno fa. Benvenuta allora, per avere a disposizione un efficace contro-veleno contro tali perversioni mentali, la traduzione italiana del volume del politico e giornalista Guy Mettan Russofobia”. 

Partendo dal Medioevo, fino ad arrivare al recente confronto tra Mosca e Kiev, Guy Mettan ricostruisce le linee di forza religiose, geopolitiche e ideologiche di cui si nutre la russofobia europea (britannica, francese polacca, tedesca) e americana. Attraverso una serrata discussione critica delle fonti, Mettan pone in luce le debolezze e le mistificazioni del pregiudizio che ancora oggi porta l’Occidente a demonizzare la Russia e a temere, anche contra evidentiam, il suo presunto imperialismo. La russofobia è un male antico radicatosi nella coscienza europea già alla fine del XVI secolo, quando, nel 1591, il letterato inglese Philip Sydney scriveva: “I Moscoviti, nati-schiavi, godono nel vivere sotto la tirannia e a opprimere le altre nazioni”. Parole cui avrebbe fatto eco, nel 1835, il giudizio del poligrafo francese Saint-Marc Girardin, secondo il quale se la Russia fosse riuscita a sottoporre al suo gioco tutti gli Slavi per servirsi di essi in modo da arrivare a dominare l’Europa, il Vecchio continente avrebbe perso ineluttabilmente la sua libertà, la sua cultura, la sua anima”.

 

Ma dopo Di Rienzo sentiamo le parole dello stesso Guy Mettan. In un’intervista rilasciata a Tatiana Santi nel 2016, Mettan afferma: “Può sembrare paradossale, ma la russofobia occidentale è più antica della Russia! In effetti, è iniziata con le rivalità politiche e religiose che hanno contrapposto l'Impero di Occidente, fondato dal Carlo Magno nell'anno 800, all'Impero d'Oriente basato a Costantinopoli; la Chiesa cattolica e quella ortodossa. Carlo Magno era un principe che si ribellò contro il sovrano legittimo dell'Impero romano d'Oriente che regnava a Bisanzio. I suoi successori, che hanno creato il Sacro romano Impero Germanico alla fine del X secolo, sono riusciti ad imporre ai Papi delle riforme religiose contro l'opinione delle Chiese greche d'Oriente, che si erano opposte perché ritenevano tutto ciò un colpo di Stato e non una decisione democratica presa in seno ad un concilio ecumenico universale. In seguito a questo scisma, ufficialmente risalente all'XI secolo, a Roma ebbe luogo una propaganda antiortodossa e antigreca con lo scopo di denigrare gli Orientali sia sul piano politico sia religioso. Quando gli Ottomani conquistarono Bisanzio nel 1453 questi pregiudizi negativi si trasposero sui russi, i quali avevano rivendicato l'eredità politica e religiosa di Bisanzio.

 I pregiudizi occidentali sono di due ordini. Innanzitutto i greci, e quindi i russi, sono dei barbari e i loro sovrani sono dei despoti e dei tiranni. Inoltre sono degli espansionisti, degli annessionisti, delle persone aggressive, le quali non fanno altro che sognare di conquistare e sottomettere l'innocente e virtuoso Occidente…Sono gli stessi pregiudizi che ritroviamo oggi sotto la piuma dei giornalisti occidentali antirussi. È da notare che la russofobia moderna è cominciata in Francia alla fine del XVIII secolo, quando il Gabinetto segreto del re Luigi XV ha forgiato un falso "Testamento di Pietro il Grande", nel quale il grande zar russo avrebbe comandato ai suoi successori di conquistare l'Europa. Napoleone lo fece pubblicare nel 1812 con lo scopo di giustificare meglio la sua invasione preventiva della Russia nel 1813. Gli inglesi tradussero il libro e lo usarono per giustificare la loro invasione della Crimea nel 1853. Questo pseudo testamento è stato denunciato come falso solo alla fine del XIX secolo, dopo aver ispirato decenni di russofobia francese e inglese…Si tratta della stessa manipolazione che gli americani hanno utilizzato nel 2003 per giustificare l'invasione dell'Iraq. Le false armi di distruzione di massa di Saddam Hussein ci rivelano la stessa mistificazione. Solo una volta commesso il crimine, la verità esplode. La storia è ancora troppo recente per vederci chiaro, ma potremmo scommettere che gli avvenimenti di Maidan in Ucraina a febbraio 2014 rilevano la stessa tecnica di manipolazione. Il putsch che ha permesso di travolgere il governo legale ucraino è stato saggiamente preparato durante lunghi anni da delle campagne finanziate da miliardi versati dagli Stati Uniti, come è stato ammesso dal segretario di Stato aggiunto Victoria Nuland davanti al Congresso (i famosi 5 miliardi di dollari), per essere attivati in favore delle manifestazioni popolari contro il governo, d'altronde legittime data la corruzione diffusa. Il risultato è che il governo attuale si rivela altrettanto corrotto che quello precedente, ma questo non interessa alcun media occidentale…Il discorso occidentale antirusso si appoggia sui due principi di cui parlavo prima: l'Occidente incarna il Bene, i valori universali, la democrazia, i diritti dell'uomo, la libertà (soprattutto economica), mentre la Russia rappresenta l'autocrazia, il nazionalismo revanscista, la negazione delle libertà dell'individuo. Questo discorso bianco-nero strumentalizza senza vergogna l'opinione pubblica, perché questa sostenga la rimilitarizzazione dell'Europa e il rafforzamento della NATO, che non ha smesso di allargarsi in 20 anni con l'integrazione di tutta l'Europa dell'Est, e ora del Montenegro. Senza parlare del vassallaggio dell'Ucraina, della Svezia, della Georgia e anche della Svizzera "neutra" che partecipa alle sue esercitazioni in nome di un "partenariato per la pace", che in realtà è solo un giro di parole…Più che dei professionisti interessati ad informare, i giornalisti dei principali media occidentali sembrano dei registi. L'opposizione fra i "buoni", gli Occidentali, e i "cattivi", i russi, nonché la demonizzazione della Russia, presentata come una minaccia per l'Occidente, diventano così degli elementi essenziali del discorso mediatico occidentale”.

La citazione di Guy Mettan è lunga, ma di grande efficacia e poiché, come diceva Balzac “ L’originalità è un mito della piccola borghesia”, è meglio utilizzare la compiuta chiarezza di Mettan, per far luce sui primordi e sulle degenerazioni della russofobia, piuttosto che rubargli le parole e intestarcele.

Certo è che la russofobia impiega, per costituirsi e radicarsi come una sorta di inconscio nella struttura psicologica e culturale dell’ “uomo occidentale” (non diciamo appositamente “europeo”, poiché sposiamo l’affermazione razionale di Charles De Gaulle: “L’Europa va dall’Atlantico agli Urali”, constatazione che tanto servirebbe, oggi, a chi, dalle postazioni dell’Unione Europea, demonizza sia la Russia che Putin e demonizza sino a giungere all’embargo economico e alle minacce di guerra) impiega, dicevamo, diversi secoli e si organizza su mille pregiudizi, travisamenti e falsità. Affermazione, questa, che peraltro non ha nulla di assolutamente nuovo: basterebbe rievocare l’opera di Edward Said ( “Orientalism”, del 1978) per capire come l’Occidente ha storicamente letto l’Oriente. Muovendo dalle riflessioni, tra gli altri di Antonio Gramsci e Michel Foucault, Said ha messo per sempre in luce il carattere mistificatorio della nozione occidentale di “Oriente”, funzionale – per Said – sia alla costruzione, per forzata contrapposizione ontologica, alla costruzione della stessa concezione di “Occidente”, sia per rinchiudere le cosiddette culture orientali in stereotipi e generalizzazioni che potevano giungere al “disumano” ( pensiamo alla demonizzazione e alla de-storicizzazione disumanizzante di Attila, di Ivan il Terribile o di Stalin, ad esempio…) e – infine – per fornire le basi materiali al dominio, sull’ “Oriente”, dell’imperialismo occidentale. 

Centinaia sarebbero le tappe della via crucis “culturale”, “filosofica”, “ideologica” occidentale lungo la quale è stata infine crocifissa la Russia e lungo la quale ha preso corpo la russofobia e le sue ramificazioni degenerative.

Di notevole importanza, ad esempio, è ciò che rievoca Eugenio Di Rienzo: “Subito dopo la fine della prima guerra mondiale, l’Ucraina divenne il perno del progetto Prometeizm, elaborato dal maresciallo Józef Piłsudski fin dal 1904 e perseguito dai suoi successori ancora alla vigilia del secondo conflitto mondiale con l’obiettivo di mettere la Polonia a capo di un movimento destinato ad emancipare le nazionalità non russe (ucraina, caucasiche, di etnia turca), un tempo sottomesse a San Pietroburgo e in seguito a Mosca. Il Prometeizm doveva portare alla creazione di una Federazione politico-militare (Międzymorze), diretta a provocare la distruzione della potenza economica e militare russa, estesa dal Mare del Nord, al Golfo di Botnia, al Baltico, al Mar Nero, al Mediterraneo, comprensiva in primo luogo dell’Ucraina e poi di Cecoslovacchia, Ungheria, Paesi scandinavi e baltici, Italia, Romania, Jugoslavia, Grecia.

Questo programma, significativamente riproposto nel 2012 in una versione solo leggermente modificata, all’attenzione del Dipartimento di Stato statunitense, ha dato luogo, in coincidenza con la crisi ucraina, al cosiddetto progetto Intermarium. Un patto di mutua assistenza, promosso dal Pentagono, esteso dal Baltico al Mar Nero al Caspio, che avrebbe dovuto essere sottoscritto da Polonia, Lituania, Estonia, Lettonia, Moldavia, Romania, Georgia, Azerbaigian, Turchia, indirizzato a rendere possibile lo smembramento della  Federazione Russa e la sua definitiva liquidazione come potenza eurasiatica. Si avverava così l’auspicio formulato da un altro polacco, Zbigniew Brzezinski (già consigliere della Sicurezza nazionale sotto la presidenza di Jimmy Carter), nel 1997, nel 2004 e ancora nel 2012, che puntava all’obiettivo di “una Russia frammentata in una Repubblica europea, una Repubblica di Siberia e una Repubblica asiatica, più idonee ad assicurare lo sfruttamento delle risorse e del potenziale economico di quella terra, troppo a lungo dilapidati dall’ottusa burocrazia moscovita”.

E serve ricordare con quali argomentazioni razziste ( “il bestiale popolo russo”) la Francia di Napoleone Bonaparte, nel 1812, prepara l’invasione in Russia? Un’invasione pari solo, nella sua spropositata forza militare ( 700 mila soldati, una Grande Armata di uomini provenienti da tutte le regioni e da tutti gli Stati dell’Impero), all’odio ideologico antirusso dell’intellighenzia imperialista francese. Ma ciò è conosciuto, mentre meno conosciuta, poiché strumentalmente rimossa dalla cultura egemonica occidentale, è la risposta “filosofica” ( la stessa che muoverà il popolo russo contro l’invasione hitleriana) con la quale la Russia resiste a Napoleone: Отечественная война, Otečestvennaja vojna, termine col quale ci si riferisce al carattere nazionale e popolare russo messo in campo contro l’invasore straniero. Quello spirito già identificato da Puskin (“il vasto, profondo, inestirpabile spirito popolare russo”) che il grande scrittore mette in contrapposizione alla coscienza che le “elite” intellettuali, sia russe che, soprattutto, occidentali, puntano a mettere in campo per formare “ la coscienza di una società sradicata, senza più terra”. Cioè, “traducendo” Puskin, una coscienza borghese senza più anima, se non quella segnata dall’egemonia del narcisismo individuale di carattere totalmente borghese. Muovendo da Puskin, peraltro, si potrebbe azzardare ( ma non è certo questo lo spazio consono per sviluppare la tesi) un confronto tra la profonda e ancora in gran parte inalterata spiritualità del pensiero religioso ortodosso russo e il pensiero religioso cattolico d’Occidente, molto attraversato ( come lo stesso Papa Francesco denuncia) dagli stessi violenti processi di mercificazione che segnano di sé l’ intera società capitalistica. E anche questo per capire la vasta provenienza delle continue ondate russofobiche.

La stessa “Operazione Barbarossa”, l’invasione da parte di Hitler dell’Unione Sovietica, fu, non a caso, la più grande operazione militare della storia, organizzata dal nazifascismo a nome dell’intero occidente capitalistico e antirusso.

E certo è che agli occhi dell’Occidente capitalistico, già pieni d’odio ontologico verso la Russia, la Rivoluzione d’Ottobre rappresentò la ratifica finale della stessa “diversità umana” della Russia e del popolo russo. Scrisse incredibilmente (ma non tanto incredibilmente, a ben vedere) nel 1932 l’economista democratico, John Maynard Keynes che “l’oppressione dittatoriale dei Soviet non era altro che il logico risultato della bestialità della natura russa e di quella giudaica, ora fusesi insieme”, essendo “la crudeltà e la follia della “Nuova Russia” (comunista) del tutto identiche a quelle della “Vecchia Russia” (zarista)”. 

La descrizione delle tante tappe che hanno formato la via crucis alla fine della quale, nell’immaginario collettivo occidentale, è stata crocifissa la Russia e tutta l’Europa dell’Est e sulla quale si è sostanziata la russofobia, potrebbe prendere lo spazio di un lungo libro e, qui, non è il caso di farlo.

Riprendiamo, però, la copertina del “The Economist” già citata, quella in cui appare il viso di Putin con gli occhi iniettati di sangue alla Dracula. Vedremo come ciò non sia affatto casuale. Nel 1987 lo scrittore irlandese Bram Stoker scrive, appunto, il romanzo “Dracula”. Il Vampiro sanguinario uscito dalla penna di Stoker diverrà, attraverso la letteratura, il cinema e l’intera struttura mediatica occidentale, un vero e proprio personaggio mitologico, volto ad incarnare – in modo, insieme, esplicito e inconscio – “l’orrore insito nell’ oscurità – come scriveva lo stesso Stoker- della Transilvania” e, per estensione mitologica, in tutta l’Europa dell’Est ( demonizzazione di un’intera area geografica e storica funzionale alla successiva demonizzazione del “socialismo realizzato” e, oggi, degli immigrati albanesi o rumeni). La cosa singolare, tuttavia, è che il Dracula di Stoker ( e tutti i vampiri successivi della sterminata letteratura e filmografia che si sono ispirati al suo romanzo) – che tutta la letteratura occidentale individua nel personaggio storico del Principe Vlad, della Transilvania – è una totale invenzione letteraria e una terribile mistificazione della storia, dai caratteri platealmente razzisti e colonialisti. In verità – come si studia normalmente in ogni liceo di Bucarest- Dracula, il Principe Vlad Tepes della “tenebrosa” Transilvania, altri non era che un grande intellettuale e un grande rivoluzionario – un insieme di Mazzini e Garibaldi, ma rumeno – che tutta la vita lottò contro l’oppressione dell’impero ottomano, per l’indipendenza, l’unità e la libertà del popolo della Romania. Ma l’imposizione della figura mitologica del Dracula vampiro da parte della cultura colonialista occidentale spiega bene il perché, oggi, il “The Economist” tratteggia Putin con le sembianze del Dracula di Stoker e anche il perché Stalin sia stato trasformato anch’esso in un Dracula sovietico.

E il comunismo come “male assoluto”, nella propaganda occidentale; gli orrori antidemocratici del maccartismo USA; la gigantesca rimozione storica e culturale in relazione al contributo determinante dell’Armata Rossa per la vittoria sul nazifascismo; i manifesti della Democrazia Cristiana del secondo dopoguerra, in cui i bolscevichi mangiavano, letteralmente, i bambini e molti ci credevano; la funzione dell’anticomunismo viscerale nelle vittorie berlusconiane? Non sono anch’esse derivazioni, almeno in buona parte, della stratificazione ideologica della russofobia?

Un dogma reazionario e imperialista – la russofobia- che in questa fase storica e per ragioni palesemente legate agli interessi imperialisti, sembra di nuovo esplodere. Scrive Gennaro Sangiuliano, sul “Sole 24 Ore” ( non sulla Pravda!) del 19 giugno 2016: “ Molte vicende, negli ultimi anni sono state raccontate con una prospettiva molto parziale. L’Occidente definì brutale l’intervento russo in Cecenia; ora che i ceceni si sono dimostrati i più feroci tagliagole che operano in Siria e in Iraq, molti analisti convergono nel ritenere che forse Putin ha evitato l’insorgere di un pericoloso califfato nel Caucaso. Allo stesso modo, va riconsiderata la posizione di Putin che, nel 2003, non volle aderire all’operazione per spodestare Saddam Hussein in Iraq, giudicandola avventata. Così abbiamo urlato per la distruzione di Palmira ma poi è toccato ai russi liberarla, come già fecero con il grande tributo di sangue nella lotta al nazismo”. E prosegue ancora Sangiuliano nello stesso articolo del “Sole 24 Ore”: “L’abbattimento dell’aereo della Malaysia Airlines è stato addossato ai separatisti filorussi, prima ancora delle verifiche degli organismi internazionali. L’intera vicenda Ucraina è stata raccontata secondo lo schema lineare e un po’ banale dell’aggressione russa, senza valutare la memoria di un passato lacerante, le nostalgie filonaziste dell’estremismo ucraino, gli eccessi della classe dirigente locale, gli assetti della geopolitica. Mettan (il già citato autore del libro “Russofobia”, n.d.r.) esamina il referendum in Crimea: “il fatto che il 95% degli abitanti si sia pronunciato a favore dell’Unione con la Russia non ha avuto alcuna importanza”. E pochi hanno ricordato che un analogo referendum si svolse nel gennaio del 1991, con lo stesso risultato”.

Un punto alto del ritorno militante della russofobia è senza dubbio la Risoluzione n° 758 del 4 dicembre 2015, passata alla Camera dei Rappresentanti USA con 411 voti favorevoli e 10 (10!) contrari. Rispetto a questa Risoluzione scrive il “Der Spiegel” ( la rivista tedesca di maggior tiratura, non certo un terribile foglio rivoluzionario) il successivo 12 dicembre: “La Camera dei Rappresentanti ha portato il mondo un passo più vicino alla tragedia. La risoluzione accusa la Russia di scatenare un'aggressione militare contro l'Ucraina, la Georgia e la Moldavia e chiede aiuti militari e di intelligence per l'Ucraina. Il documento chiede agli alleati della NATO, ai partner degli Stati Uniti in Europa e alle nazioni in tutto il mondo «di sospendere ogni forma di cooperazione militare con la Russia e di vietare la vendita al governo russo di materiale militare letale e non letale”. La Camera dei Rappresentanti vuole che l'Ucraina e l’Unione europea frenino l'interazione con la Russia e inaspriscano le sanzioni. Inoltre, si invitano l'Ucraina e l'Unione europea a respingere le forniture energetiche russe. I rappresentanti minacciano direttamente la Federazione russa e la accusano di violare il trattato INF, Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty. Infine, la Camera suggerisce che gli Stati Uniti intensifichino la guerra d'informazione con la Russia. Nel documento si “ invitano il Presidente e il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti a sviluppare una strategia di coordinamento multilaterale per la produzione o comunque la diffusione di notizie e informazioni in lingua russa nei paesi con significative minoranze di lingua russa”. E il “Der Spegel”, nello stesso articolo, ricorda che in un’intervista allo stesso giornale di una settimana prima, ( un’intervista dal titolo eloquente: “Una guerra è l'unica cosa che può salvare un dollaro morente?) il 91 enne Kissinger aveva già evocato il pericolo e la follia di una tale Risoluzione da parte degli USA.

L’intervento USA-UE-NATO in Ucraina che costruisce sul campo, in funzione anti russa, un esercito nazi fascista; la lunga guerra in Afghanistan volta a dislocare basi NATO ai confini russi; le provocazioni anti russe in Cecenia; le sanzioni economiche dell’occidente capitalistico contro Mosca; le ultime provocazioni anti Putin di Trump in Siria; la demonizzazione caricaturale di Putin e l’ enfatico appoggio occidentale ad ogni contestazione interna anti Putin: tutto ci dice che, di nuovo, la russofobia è tornata in campo a servire gli interessi imperialisti. Scrive Sergio Romano sulla sua biografia politica di Putin ( Longanesi editore, 2016) : “L’intervento russo in Siria non sembra aver cambiato, se non in peggio, la percezione della Russia in Occidente

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Iniziative segnalate

* Viterbo, 26 aprile: DRUG GOJKO
Trieste, 27 aprile: LE DUE RESISTENZE DI TRIESTE
* Onna (L'Aquila), fino al 30 aprile: mostra TESTA PER DENTE
* Bologna, venerdì 5 maggio: INTERNAZIONALISMO PARTIGIANO. Sovietici e jugoslavi nella Resistenza in Emilia-Romagna


=== Viterbo, mercoledì 26 aprile 2017

alle ore 18:30 presso la Libreria Etruria, Via Matteotti 67

DRUG GOJKO
La storia di Nello Marignoli, gommista viterbese classe 1923 e partigiano italiano in Jugoslavia, narrata sotto forma di monologo da Pietro Benedetti.
Spettacolo ideato da Giuliano Calisti e Silvio Antonini, consulenza letteraria Antonello Ricci.

altre info sullo spettacolo: https://www.cnj.it/CULTURA/druggojko.htm


=== Trieste, giovedì 27 aprile 2017 

alle ore 18 presso la Casa del Popolo di Sottolongera (via Masaccio 24) 

presentazione del dossier:
LE DUE RESISTENZE DI TRIESTE

Chi ha veramente liberato Trieste dal nazifascismo?
Perché il Partito comunista triestino non faceva parte del CLN giuliano?
Quali rapporti ebbe il CLN giuliano, nazionalista ed anticomunista, con i collaborazionisti triestini?
Cosa accadde al momento dell’insurrezione di Trieste?
E’ vero che gli Jugoslavi arrestarono anche gli antifascisti?
Quali dirigenti del CLN triestino entrarono nella struttura Gladio?

Incontro con l'autrice Claudia Cernigoi, ricercatrice storica


=== Onna (L'Aquila), 22-30 aprile 2017

presso Casa Onna (nuova sede municipale)

esposizione della mostra
TESTA PER DENTE
crimini fascisti in Jugoslavia 1941-1945

orari di apertura
sabato e giorni festivi 11:00-13:00 / 17:00 - 19:30
giorni feriali 17:00 - 19:30
info e visite concordate con gruppi e scolaresche tel. 3466720638

organizzano: IASRIC, ANPI, ANPPIA, Jugocoord Onlus , Diecifebbraio.info, L'Aquilantifa



=== Bologna, venerdì 5 Maggio 2017

dalle ore 17:45 alle ore 20:00 presso la sala Tassinari (Palazzo D'Accursio, Piazza Maggiore 6)

ANPI com. prov. Bologna
Jugocoord Onlus
con la partecipazione di:
Comitato Ucraina Antifascista Bologna
Associazione culturale Russkij Mir (Torino)
Associazione culturale Portico delle Parole / corsi di russo, Bologna

organizzano il convegno:

INTERNAZIONALISMO PARTIGIANO
Sovietici e jugoslavi nella Resistenza in Emilia-Romagna


presiede: Anna Cocchi (ANPI prov. Bologna)

Ermenegildo Bugni "Arno" (partigiano): saluti

Anna Roberti (Ass. Russkij Mir): partigiani sovietici in Italia e in Emilia-Romagna
Ivan Serra (Jugocoord Onlus): sovietici caduti a Casteldebole e Casalecchio
Mirco Carrattieri (Museo della Resistenza di Montefiorino): il battaglione russo nella Repubblica di Montefiorino

Stralci dal video Bello Ciao sul Comandante Pereladov

Andrea Martocchia (Jugocoord Onlus): la presenza jugoslava sul territorio
Jadranka Bentini (ANPI Bologna): Ricordo di Vinka Kitarovic
Franco Sprega (Museo della Resistenza Piacentina): jugoslavi nel Piacentino

Eric Gobetti (storico): I partigiani italiani all'estero

per informazioni e contatti:
Jugocoord Onlus – jugocoord @ tiscali.it / C.P. 13114 (Uff. Roma 4), 00100 Roma
ANPI com. prov. Bologna – info @ anpi-anppia-bo.it / Via San Felice, 25, 40122 Bologna (BO)
scarica la locandina: https://www.cnj.it/INIZIATIVE/volantini/bologna050517.pdf
evento facebook: https://www.facebook.com/events/1617502824943742/




Le nostre prossime iniziative

* Onna (L'Aquila), 22-30 aprile 2017: mostra TESTA PER DENTE
inaugurazione sabato 22 aprile ore 11
* Bologna, martedì 25 Aprile 2017: Jugocoord Onlus a PRATELLO R'ESISTE
* Bologna, venerdì 5 maggio 2017: INTERNAZIONALISMO PARTIGIANO
Sovietici e jugoslavi nella Resistenza in Emilia-Romagna


=== Onna (L'Aquila), 22-30 aprile 2017

presso Casa Onna (nuova sede municipale)

esposizione della mostra
TESTA PER DENTE
crimini fascisti in Jugoslavia 1941-1945

presentazione:
sabato 22 aprile ore 11
interventi:
Giustino Parisse, Andrea Martocchia , Sandi Volk

orari di apertura
sabato e giorni festivi 11:00-13:00 / 17:00 - 19:30
giorni feriali 17:00 - 19:30
info e visite concordate con gruppi e scolaresche tel. 3466720638

organizzano:
IASRIC – Istituto abruzzese per la Storia della Resistenza e dell'Italia Contemporanea
ANPI
ANPPIA
Jugocoord Onlus
Diecifebbraio.info
L'Aquilantifa



=== Bologna, martedì 25 Aprile 2017

Il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS sarà presente con un proprio banchetto martedì 25 Aprile 2017, Festa della Liberazione, in occasione del meeting antifascista Pratello R'Esiste a Bologna. Presso il banchetto, allestito in Via del Pratello all'altezza del civico 23/2, sarà possibile conoscersi, scambiare informazioni e acquistare libri e bandiere.

Il nostro Coordinamento (JUGOCOORD ONLUS) sostiene e collabora con il Comitato Ucraina Antifascista Bologna, impegnato a far conoscere le ragioni della opposizione al regime sciovinista-revanscista russofobo e filonazista instaurato in Ucraina a seguito del colpo di stato del febbraio 2014. In particolare, sarà possibile visitare il banchetto del Comitato Ucraina Antifascista Bologna vicino al nostro in Via del Pratello.


=== Bologna, venerdì 5 Maggio 2017

dalle ore 17:45 alle ore 20:00 presso la sala Tassinari (Palazzo D'Accursio, Piazza Maggiore 6)

ANPI com. prov. Bologna
Jugocoord Onlus
con la partecipazione di:
Comitato Ucraina Antifascista Bologna
Associazione culturale Russkij Mir (Torino)
Associazione culturale Portico delle Parole / corsi di russo, Bologna

organizzano il convegno:

INTERNAZIONALISMO PARTIGIANO
Sovietici e jugoslavi nella Resistenza in Emilia-Romagna


presiede: Anna Cocchi (ANPI prov. Bologna)

Ermenegildo Bugni "Arno" (partigiano): saluti

Anna Roberti (Ass. Russkij Mir): partigiani sovietici in Italia e in Emilia-Romagna
Ivan Serra (Jugocoord Onlus): sovietici caduti a Casteldebole e Casalecchio
Mirco Carrattieri (Museo della Resistenza di Montefiorino): il battaglione russo nella Repubblica di Montefiorino

Stralci dal video Bello Ciao sul Comandante Pereladov

Andrea Martocchia (Jugocoord Onlus): la presenza jugoslava sul territorio
Jadranka Bentini (ANPI Bologna): Ricordo di Vinka Kitarovic
Franco Sprega (Museo della Resistenza Piacentina): jugoslavi nel Piacentino

Eric Gobetti (storico): I partigiani italiani all'estero

per informazioni e contatti:
Jugocoord Onlus – jugocoord @ tiscali.it / C.P. 13114 (Uff. Roma 4), 00100 Roma
ANPI com. prov. Bologna – info @ anpi-anppia-bo.it / Via San Felice, 25, 40122 Bologna (BO)
scarica la locandina: https://www.cnj.it/INIZIATIVE/volantini/bologna050517.pdf
evento facebook: https://www.facebook.com/events/1617502824943742/





... Nel frattempo "Igor il russo" è diventato "Norbert il serbo" – sic, come se "Norbert" fosse un nome serbo! Vale allora la pena ricordare la cronaca dei primi anni Novanta...


Da Manolo lo “slavo” a Igor il “russo”: il nemico sulla porta di casa

di Leonardo Casetti, 18 aprile 2017

Qualcuno storcerà il naso come ai tempi della UNO bianca ma ciò che sta accadendo in queste ultime settimane in Emilia presenta alcune analogie con quel periodo dei primi anni 90. E' bene non esser fraintesi: stiamo parlando di alcune analogie perchè allora eravamo agli inizi di un percorso tutto in costruzione della “rivoluzione” del capitale dall'alto che doveva ridefinire ruoli e funzioni dopo il crollo dell'89.
La banda della UNO bianca era composta da poliziotti legati ai servizi segreti militari; una verità provata già dai tempi della controinformazione fatta da Lotta Continua sulla strage dell'Italicus in cui si parla chiaramente dell'esistenza di una struttura terroristica parallela all'interno della polizia.
La Uno bianca si macchiò di decine di omicidi e ferimenti contro obiettivi apparentemente diversi fra di loro: benzinai, tabaccai, passanti e testimoni; inoltre zingari e immigrati senza neanche il pretesto di pochi spiccioli da rapinare.
Il periodo di massima attività si colloca nella delicata fase di transizione dalla prima alla seconda repubblica (anticipata però già dalla fine degli anni'80 da diverse rapine con morti da parte della “banda delle coop”). Siamo in un momento di scontri senza esclusione di colpi fra apparati e servizi segreti legati alla vecchia classe politica (che subisce una sorte di golpe mediatico e giudiziario) e quelli legati ai poteri sovra-nazionali che spingono sull'acceleratore delle “riforme”.
E' proprio in questo periodo che cominciano ad apparire come funghi decine di “serial -killer”, mostri protagonisti di tanti eventi criminali di una ferocia inaudita e sempre come se fossero azioni coordinate fra loro. Ciò che li accomuna sono uno spropositato uso della violenza accompagnati dalla mancanza di moventi plausibili e l'indignazione popolare che riescono a scatenare. Ma su questo e meglio fermarsi perchè andrebbe aperto un altro capitolo .
Fra questi “serial” ce ne ricordiamo uno in particolare di quel periodo che coincide con la disgregazione della Yugoslavia e l'inizio di una guerra di aggressione da parte della NATO. Era il momento in cui si stavano gettando le basi propagandistiche di costruzione del “nemico” : i serbi . I serbi erano i “cattivi” ovunque e comunque. Il mantra della dis-informazione mondiale cominciava la sua inarrestabile nenia. Persino nei fumetti di Dylan Dog i serbi venivano raffigurati mentre uscivano dai tombini di Sarajevo con i denti da vampiro…
Come ai tempi dell'aggressione fascista all'Etiopia in cui la stampa italiana raccontava delle mogli dell'Imperatore che facevano il bagno in tinozze dorate colme di sangue caldo di povere ragazze vergini uccise…
E' proprio in questo momento che entra in scena “Manolo lo slavo” che riesce a fuggire misteriosamente dal carcere di Rimini e si mette a terrorizzare le campagne del Nord Italia vestito con pantaloni mimetici e anfibi . Proprio come Igor il russo…
Usa una 357 magnum per compiere rapine balorde presso case isolate di agricoltori “terminando” le sue vittime ; 9 morti ammazzati. Una volta catturato in Serbia confesserà di essere riuscito a fuggire dal carcere di Rimini grazie a “quelli della UNO bianca”.
(Consigliamo la bellissima inchiesta di Avvenimenti di allora su questa vicenda.)
Questo  evento associato al clima di propaganda guerrafondaia di allora contro i serbi suscitò per diversi mesi la psicosi collettiva su bande di serbi che scorrazzavano anche nella pianura Padana sgozzando e trucidando inermi contadini, così come stavano facendo in Bosnia e Croazia…
Se in quegli anni l'obiettivo era neutralizzare un'ostacolo , neanche piccolo, come poteva esserlo una Yugoslavia unita in quello che era la prospettiva di costruzione e allargamento della UE sotto il rigido controllo NATO oggi la posta in gioco è l'esistenza stessa di un sistema politico, militare ed ideologico e la sua inarrestabile caduta tendenziale del saggio di profitto di fronte a due elementi: la Russia e la Cina niente affatto disposti a rinunciare alla loro quota di capitalismo.
Stiamo attenti a non sottovalutare l'impegno e le forze che lo Stato sta impiegando sugli omicidi del “russo” (che poi russo non è) e delle operazioni in corso con i migliori reparti speciali della contro-guerriglia dell'Esercito Italiano. Non stanno giocando o addestrandosi: questa è vera puzza di guerra. E' lo squillo di tromba per gli addetti ai lavori per qualcosa di “grosso” che è in gestazione. E' un passaggio forzato per una uscita dalla crisi che non può essere né democratica né comprensiva di ragioni altrui. Forse è il momento, per tutti, di fermarsi un attimo e aprire una rapida fase di riflessione per capire seriamente se c'è un pericolo imminente e reale a breve di un conflitto di proporzioni indefinite e se si come possiamo anticipare le prossime mosse del capitale affinchè questo non avvenga ammesso che ciò sia possibile.


Il giorno 05 apr 2017 'Coord. Naz. per la Jugoslavia' ha scritto:


L'ARMATA ROSSA IN AZIONE IN FRAZIONE DI BUDRIO

Il quotidiano slavofobo e anticomunista Il Resto del Carlino non si è fatto sfuggire l'opportunità offerta dalla rapina in una tabaccheria presso Budrio (BO), terminata in tragedia con l'uccisione del proprietario, per ciurlare nel manico con i paginoni dedicati a "LA PISTA DELL'EST", come di rito. 
Il sospettato, un russo nato in Uzbekistan quaranta anni fa, vi è reiteratamente definito "ex soldato dell'Armata Rossa" – addirittura in un titolo a caratteri cubitali sul numero del 4 aprile 2017 a pagina 7. Peccato che l'Armata Rossa abbia cessato di esistere come denominazione formale dal 1946 e non esista più nemmeno per estensione, cioè nel significato di esercito dell'Unione Sovietica, dal 1991, vale a dire quando il sospettato aveva 13 anni.

(a cura di I.S.; su segnalazione di O.M., che ringraziamo)




(srpskohrvatski / castillano / italiano)

Altre note sull'Anniversario dei bombardamenti NATO

1) Bombardamenti N.A.T.O. sulla Jugoslavia: alcune note bibliografiche (Andrea Martocchia)
2) Red de Intelectuales, Artistas y Movimientos Sociales en Defensa de la Humanidad – capítulo Serbia
DECLARACIÓN SOBRE EL INTERVENCIONISMO GLOBAL Y LA AGRESIÓN DE LA OTAN SOBRE YUGOSLAVIA /
ДЕКЛАРАЦИЈA О ГЛОБАЛИСТИЧКОМ ИНТЕРВЕНЦИОНИЗМУ И НАТО АГРЕСИЈИ НА СР ЈУГОСЛАВИЈУ


Si vedano anche:

24 Marzo 1999 - Marzo 2017 : NOI NON DIMENTICHIAMO (di Enrico Vigna e Forum Belgrado Italia, 24 marzo 2017)

Un 24 Marzo, diciotto anni fa (di Gianmarco Pisa, 24 mar 2017)
Ebbero inizio proprio il 24 Marzo, nel 1999, diciotto anni fa, i bombardamenti su Belgrado e sulla Jugoslavia dell’epoca, da parte degli Stati Uniti e della Alleanza Atlantica, la NATO. Fu il primo di 78 giorni di guerra, una guerra che ha rappresentato un vero e proprio “paradigma”...


=== 1 ===

BOMBARDAMENTI N.A.T.O. SULLA JUGOSLAVIA: ALCUNE NOTE BIBLIOGRAFICHE

Il 24 marzo di quest'anno è caduto il 18.mo anniversario dall'inizio dell'attacco della N.A.T.O. contro la Repubblica Federale di Jugoslavia (1999). La ricorrenza continua ad essere celebrata e commentata in Serbia: si svolgono infatti ogni anno cerimonie – soprattutto deposizioni di fiori ai monumenti eretti alle vittime, civili e militari, nelle tante località colpite – e si organizzano conferenze di tema geopolitico e di analisi militare. 

Particolarmente attivo su quest'ultimo fronte è stato in tutti questi anni e continua ad essere il "Forum di Belgrado per un mondo di eguali" (1), organizzazione non governativa presieduta dall'ex Ministro degli Esteri jugoslavo Zivadin Jovanović. Il Forum, nato durante l'ultima presidenza di Milošević per promuovere una rete di collegamenti e solidarietà internazionale attorno al paese subito dopo i bombardamenti, ha prodotto una significativa mole di Atti di tali conferenze ed ha promosso la pubblicazione di alcuni studi e saggi tematici, che dalla fattispecie della aggressione della N.A.T.O., delle sue cause e delle sue conseguenze, estendono la ricerca in altre direzioni contigue: il problema politico-strategico del Kosovo, l'"impazzimento" della politica occidentale e la crisi di identità delle sinistre, la storia militare della Serbia (spec. con riferimento alla I Guerra Mondiale), i rapporti con la N.A.T.O. e la "nuova guerra fredda", la genesi della crisi jugoslava in generale. Su quest'ultimo tema merita di essere segnalato ad esempio il volume del 2016 "Sul carattere delle guerre per la distruzione della Jugoslavia" del prof. Radovan Radinović, generale dell'esercito in pensione (2).
Il Forum di Belgrado si è soprattutto cimentato nella collaborazione a livello internazionale. Il suo presidente Jovanović è diventato un assiduo frequentatore della Cina, dove partecipa a conferenze di geopolitica e macroeconomia e dove rilascia interviste agli organi di stampa principali opportunamente analizzando le trasformazioni in atto verso un mondo multipolare. Da qualche anno, inoltre, il Forum registra l'interessamento e coinvolgimento crescente del mondo russo, segno della nuova fase sotto la presidenza di Putin. È stato costituito a Mosca un "Centro per lo studio della crisi balcanica contemporanea" all'interno dell'Istituto di Studi Slavi della Accademia Russa delle Scienze, animato dalla professoressa Elena Guskova, che con il suo fluente serbocroato assiduamente interviene alle conferenze organizzate dal Forum. Mentre a Belgrado gli interventi della professoressa sono fortemente apprezzati e applauditi dall'uditorio, a Mosca si infittiscono le iniziative editoriali e giornalistiche su questi temi. È di pochi mesi fa, ad esempio, l'uscita di un volume di più autori – "La crisi balcanica" – curato dalla stessa Guskova, contenente contributi di autori serbi e russi (3). 

Quello che però viene lamentato anche in Serbia è la difficoltà a produrre studi specifici sulle conseguenze materiali dei bombardamenti. Dopo le sintesi pubblicate in medias res (cioè già durante quella funesta primavera 1999) o subito dopo (4), non è stato dato seguito con opere di saggistica che potessero fornire un bilancio onnicomprensivo, soprattutto relativamente ai numeri delle vittime sul medio e lungo termine, dovute alle ferite e alle malattie spec. oncologiche. Con il colpo di Stato dell'ottobre 2000, che usufruendo della "manovalanza" di Otpor e affini ha cercato di imporre, con relativo successo, un nuovo corso liberista ed euro-atlantico al paese, è mancata la volontà politica di organizzare i necessari studi epidemiologici, che evidenziassero gli aumenti dei decessi per malattie da stress post-traumatico, spec. cardiovascolari, ma soprattutto per cancro. Ricordiamo che la N.A.T.O. nel '99 ha intenzionalmente colpito depositi di materiali chimici venefici, come il cloruro di vinile monomero delle raffinerie di Pančevo, ed ha cosparso Kosovo, Serbia e Montenegro di uranio depleto, usato per rendere più perforanti i proiettili, con sicuro grave effetto cancerogeno. Sugli aumenti dei decessi esistono pochi articoli sparsi e provvisori, soprattutto in lingua inglese, insufficienti a rendere il quadro definitivo.

In Italia l'interesse per questi argomenti è costantemente e fortemente scemato negli anni, parallelamente al moltiplicarsi delle aggressioni della N.A.T.O. contro i paesi e i popoli "canaglia", che hanno costretto i militanti anti-guerra a disperdere l'attenzione e le informazioni tra troppi scenari diversi; d'altronde, ha pesato e pesa drammaticamente la stessa crisi del movimento contro la guerra, che ha accompagnato la crisi delle sinistre e della politica più in generale. In ambito accademico – contesto che è di per sé in grave crisi per ragioni che esulano dalle tematiche che stiamo affrontando, e su cui non ci soffermiamo – in tutti questi anni sono state prodotte poche tesi e non è stata promossa alcuna attività pubblica a livello istituzionale; a testimonianza di un momento felice dell'impegno e del cimento scientifico che fu, restano i volumi e le iniziative del Comitato Scienziate/i contro la guerra, che però interruppe le attività, per divergenze interne, appena dopo la aggressione all'Iraq (5).

A parte il lavoro scientifico e di saggistica, sui bombardamenti della N.A.T.O. esiste una produzione, meno rilevante, di carattere memorialistico e letterario, prevalentemente segnata dalle prospettive individuali-personali e da una scarsa qualità di scrittura. In lingua italiana sotto questo profilo sono state pubblicate alcune cose interessanti spec. dalle edizioni La Città del Sole di Napoli (6), che comunque non sono focalizzate solamente su quella drammatica primavera, bensì di solito spaziano su archi temporali ben più ampi: si tratta in ogni caso di testimonianze dirette. 
Recentemente siamo venuti a conoscenza della pubblicazione di un romanzo di uno scrittore serbo, tale Saša Stojanović (7), che non abbiamo potuto leggere ma che viene presentato sui siti mainstream di informazione sulla situazione nel sud-est europeo, come Osservatorio Balcani Caucaso, in maniera da rendercelo subito indigesto e sgradito: la difesa dalla aggressione della N.A.T.O. del 1999 è liquidata come una ingiustificata avventura voluta da un "governo che li aveva mandati a uccidere ed essere uccisi" e che "non si prende briga dei suoi uomini". Non è tentata alcuna spiegazione o analisi degli eventi se non "la totale mancanza di senso in quello che accade"... Complimenti! Un simile qualunquismo è un pessimo servizio reso alle vittime: se il romanzo davvero contiene questo, non possiamo che sconsigliarne fortemente l'acquisto.

Andrea Martocchia


(2) Radovan Radinović: "Karakter ratova za razbijanje Jugoslavije". Beograd: Beogradski Forum za svet ravnopravih, 2016 (in cirillico).
(3) Elena Guskova (a cura di): "Balkanska kriza". Moskva: Slovenski institut Ruske akademije nauka (RAN), Centar za izućavanje cabremene balkanske krize, 2016 (ref. in serbocroato ma il libro è in russo).
(4) Ci riferiamo ovviamente innanzitutto ai "Libri bianchi" di fonte governativa ("NATO Crimes in Yugoslavia - Documentary Evidence") e poi alle altre opere edite "a caldo", anche in Italia, delle quali è possibile trovare tutti i riferimenti alla pagina: https://www.cnj.it/24MARZO99/index.htm#biblio
(5) Copia del vecchio sito del Comitato è disponibile all'indirizzo: https://www.cnj.it/scienzaepace/ .
(6) In merito si consiglia di scorrere la pagina https://www.cnj.it/documentazione/bibliografia.htm .
(7) Saša Stojanović: "Var". Ensemble edizioni, 2015 (trad. Anita Vuco).


=== 2 ===

Mreža intelektualaca, umetnika i društvenih pokreta za odbranu čovečanstva


ДЕКЛАРАЦИЈA

О ГЛОБАЛИСТИЧКОМ ИНТЕРВЕНЦИОНИЗМУ И НАТО АГРЕСИЈИ НА СР ЈУГОСЛАВИЈУ

I

Већ три деценије у свету се успоставља и све чешће примењује модел  глобалног интервенционизма. Инструмент који се користи у свим агресијама, од Србије (СР Југославије), Авганистана, Ирака, Либије, до Малија и Сирије, представља НАТО алијанса. Ова стратегија је званично инаугурисана на састанку НАТО-а у Вашингтону 25. априла 1999. године, у време агресије на СРЈ. Са том чињеницом је отпочео двадесет први век и трећи миленијум. 

Уместо прогресивне мобилизације, човечанству се намећу глобалистички монизам, неоимперијализам и колонијализам, где НАТО преузима освајачку улогу и улогу  заступника интереса мултинационалног капитала и војно-индустријског комплекса глобалне олигархије. Упоредо са порастом броја и обима интервенција, одвија се експанзија НАТО-а према Истоку. Иза сваке НАТО интервенције остајали су стравични призори, жртве, миграције, разарања привреде и културне баштине, девастирана друштва, унутрашњи сукоби, пљачке и неописиве патње људи. Научне дисциплине попут међународног права, историје дипломатије, спољне политике или ратоводства и интелектуални кругови показале су фрапантну инертност за разумевање настајућих интервенционизама, динамичних промена међународних односа и противуречности савремене глобализације, а повремено су и сами стављани у службу обликовања јавног мњења сагласно империјалистичким интересима. 

II

Мрежа интелектуалаца, уметника и друштвених покрета за одбрану човечанства – огранак у Србији, изражава своју забринутост због  гажења успостављених међународних норми, урушавања суверених држава које се опиру наметнутој глобалистичкој матрици, експанзије насиља, тероризма и на тим основама раста антизападног расположења. Зато, желимо учинити доступним основне чињенице о ратним злочинима и тешким повредама међународног права  почињених у периоду од 24. марта до 10. јуна 1999. године од стране НАТО алијансе, пред којом је капитулирао део светских интелектуалаца одричући се жеље за разумевањем карактера, циљева и последица агресије.

III

Агресија НАТО против Србије (СР Југославије), марта 1999. године, предтавља  прекретницу употребе ове војне алијансе у међународним односима. Наметнут је рат независној, сувереној европској држави, на самој граници НАТО зоне, грубим кршењем основних принципа међународног права, а пре свега, Повеље УН и Завршног документа из Хелсинкија. Aгресија je изведена без сагласности и супротно мандату СБ УН, чиме је извршен атентат на темеље саме ОУН и негирање њихове улоге. Наређење америчком генералу Веслију Кларку о нападу на СР Југославију, у то време команданту савезничких снага, дао је генерални секретар НАТО Хавијер Солана, попримивши карактеристике  терористичке кампање усмерене против српског народа и његовог политичког вођства. Такав поступак представља злочин против мира и човечности, који је за последицу имао низ других злочина. Овим преседаном је успостављен  модел интервенционизма који се примењује у свим агресијама ради отимања државне територије , успостављања војних база за даљу експанзију и освајање, за контролу и коришћење стратешких праваца, природних ресурса и главних енергетских токова. Отимањем Косова и Метохије од Србије створени су услови убрзане експанзија САД/НАТО/ЕУ на исток и милитаризацију Европе. Тиме је обесмишљено свако образложење агресије и позивање на „хуманитарне разлоге“ или алтруизам Запада на челу са САД.

Током агресије уз ангажовање 19 чланица НАТО алијансе, убијено је око 3.500, а рањено 12.500 грађана. Од тога, према званичном, објављеном списку, у редовима војске и полиције погинуло је 1.008 бораца, од којих 659 војника и 349 полицајаца. Ракетама и бомбама НАТО оштећено је 25.000 кућа и стамбених зграда и уништено 470 километара путева и 595 километара железничких шина. Оштећено је 14 аеродрома, као и 19 болница, 20 домова здравља, 18 вртића, 69 школа, 176 споменика културе и 44 моста, док је још 38 мостова било потпуно уништено. Потпуно је разорио 7 индустријских и привредних објеката, 11 енергетских постројења, 28 радио и ТВ-репетитора, 29 манастира и 35 цркава. Изведено је 2.300 налета у нападима на 995 објеката по Србији, док је 1.150 борбених авиона испалило скоро 420.000 пројектила укупне масе од 22.000 тона. НАТО је испалио 1.300 крстарећих ракета, бацио 37.000 касетних бомби које су убиле око 200 људи и повредиле још неколико стотина.

 Коришћени су пројектили пуњени осиромашеним уранијумом који трајно угрожава земљиште, воду и ваздух, улази у ланац исхране и изазива далекосежне последице по здравље људи и живих бића уопште. Србија је током бомбардовања засипана и другим отровима а контаминацији су допринела и оштећења индустријских постројења. Дејство загађивача резултирало је чињеницом  да је данас Србија прва у Европи по броју оболелих и умрлих од малигних болести у дечијем узрасту.  Ово је био тихи атомски рат, чије последице ћемо сагледати за 600 година.

 Уништена је једна трећина електроенергетских капацитета у земљи, бомбардоване су две рафинерије нафте, у Панчеву и Новом Саду, а снаге НАТО употребиле су први пут и такозване графитне бомбе нарушавајући функционисање електроенергетског система. НАТО је свесно лишавао снабдевања струјом домаћинства, болнице, породилишта, дечје вртиће, пекаре...

IV

Како се ради о неспорном и грубом кршењу основних норми међународног права, земље чланице НАTO сносе сваку одговорност за ту агресију, укључујући и одговорност за накнаду штете, процењену на износ од преко 100 милијарди САД долара. Одговорни су за коришћење оружја са осиромашеним уранијумом и других недозвољених средстава за масовно уништавање. У вези с тим, сматрамо да Србија има сва права да, пред одговарајућим међународним институцијама, покрене поступак против НАTO пакта и држава чланица, које су учествовале у  агресији, у циљу остваривања права на надокнаду ратне штете, као и појединцима који су били жртве агресије. Тај процес би представљао допринос  демократизацији међународних односа, ојачао улогу Уједињених нација и поштовања принципа суверенитета и равноправности народа.

Мреже за одбрану човечанства – огранак за Србију, очекује подршку својој оцени израженој у овој декларацији, од стране свих независних и слободољубивих удружења и друштвених покрета широм света, као одговор на све облике међународног насиља и кршења међународног и националног права и цивилизацијских тековина. 

Београд 24.фебруар 2017.године

 

                                                                                      ПРЕДСЕДНИК ИО МОЧ

                                                                                           Ратко Крсмановић

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La Red de Intelectuales, Artistas y Movimientos Sociales en Defensa de la Humanidad – capítulo Serbia

 
 

DECLARACIÓN

SOBRE EL INTERVENCIONISMO GLOBAL Y LA AGRESIÓN DE LA OTAN SOBRE YUGOSLAVIA

 

I

Durante tres décadas se aplica el modelo del intervencionismo global. El instrumento usado en todas las agresiones, desde Serbia (ex Yugoslavia), a través de Afghanistán, Iraq, Libia, hasta Mali y Siria, es la OTAN. Esta estrategia fue oficialmente inaugurada en la reunión de la OTAN en Washington, el 25 de abril de 1999, durante el bombardeo de Yugoslavia. Este hecho marcó el inicio del tercer milenio y el siglo XXI.

En vez del progreso, a la humanidad se impone el monismo global, neoimperialismo y colonialismo, donde la OTAN se convierte en un conquistador, defendor de los intereses del capitalismo multinacional y en el complejo militar de la oligarquía global. Junto con el aumento en el número y las proporciones de las intervenciones, se realiza la expansión de la OTAN hacia el Este. Cada intervención de la OTAN fue marcada por las escenas horribles, víctimas, migraciones, la industria y la cultura devastada, sociedad destruida, los conflictos internos, saqueos y el sufrimiento humano inenarrable.

II

La Red de Intelectuales, Artistas y Movimientos Sociales en Defensa de la Humanidad – capítulo Serbia expresa su preocupación por la violación de normas internacionales establecidas, la destrucción de los estados soberanos que se oponen a opresión de la matriz globalista, la expansión de violencia y terrorismo. Por lo tanto queremos hacer disponibles los hechos básicos sobre los crímenes de guerra y las violaciones  graves del derecho internacional, cometidos por la OTAN en el periodo entre 24 de marzo hasta el 10 de junio del 1999, frente la que se entregaron los intelectuales mundiales y renunciaron del deseo para entender el carácter, el objetivo y las consecuencias de la agresión.

III

La agresión de la OTAN contra Serbia en el mes de marzo de 1999 representa un hito histórico en el uso de esta alianza militar en las relaciones internacionales. Violando flagrantemente todos los principios del derecho internacional, y, en primer lugar, la Carta de las Naciones Unidas y el Acta Final de Helsinki, las fuerzas occidentales impusieron la guerra a un estado europeo independiente y soberano que se encontraba en la frontera de la zona de la OTAN. Esta agresión se llevó a cabo sin el consentimiento y en contra del mandato del Consejo de Seguridad de la ONU,  lo cual constituye  un asesinato de los cimientos de la propia ONU, asi como la negación del papel que juega esta organización. El secretario General de la OTAN, Javier Solana, dio la orden para atacar Serbia al general estadounidense, Wesley Clark, quien desempeñó el cargo de Comandante de las Fuerzas Aliadas, convirtiendo esta decisión en una campaña terrorista dirigida contra el pueblo serbio y su liderazgo político. Ese hecho representa un crimen contra la humanidad y la paz, lo cual dio lugar a una serie de otros delitos. Debido a este precedente histórico, fue establecido el modelo intervencionista que se aplica a todas las agresiones que pretenden despojar a los pueblos soberanos de su territorio nacional, y también se hizo posible la creación de bases militares con la finalidad de conquistar, controlar y aprovecharse de los puntos estratégicos importantes, asi como de los recursos naturales y energéticos de dichos pueblos. La violenta e inconstitucional separación de Kosovo y Metohija del territorio serbio creó condiciones para una rápida expansión los EE.UU, la OTAN y la Union Europea hacia el este de Europa y para la militarización del “viejo continente”, por lo cual se hizo imposible justificar dicha agresión por razones “humanitarias o altruistas”.

Durante la agresión que contó con la participación de 19 miembros de la alianza de la OTAN, fueron asesinados alrededor de 3.500 ciudadanos serbios, y hubo más de 12.500 personas heridas. Según los datos oficiales, en las filas del ejército y de la policía murieron 1.008 luchadores, entre los cuales 659 soldados y 349 oficiales de la policía. Las bombas y misiles de la OTAN causaron daño a más de 25.000 casas y edificios, y destruyeron 470 kilómetros de carreteras y 595 kilómetros de vías férreas. Aparte de eso, 14 aeropuertos, 19 hospitales, 20 centros de salud, 18 guarderías infantiles, 69 colegios, 176 monumentos culturales y 44 puentes sufrieron un daño siginicativo, mientras que 38 puentes fueron completamente destruidos en el bombardeo, asi como 7 complejos industriales y comerciales, 11 centrales eléctricas, 28 transmisores de radio y televisión, 29 monasterios y 35 iglesias. Se llevaron a cabo 2.300 ataques contra diferentes instalaciones a lo largo del territorio serbio. Cerca de 1.150 aviones de combate pertenecientes a la OTAN  dispararon  más de 1.300 misiles de crucero y lanzaron 37.000 bombas de racimo que mataron a 200 personas e hirieron a cientos más.

Fueron también utlizados los proyectiles cargados con uranio empobrecido, el cual permanentemente contamina la tierra, el agua y el aire, entrando en la cadena de alimentación y dejando consecuencias de largo alcance para los seres vivos y la salud humana en general. El resultado de esta intoxicación se ve reflejado en el hecho de que hoy en dia Serbia ocupa el ptimer lugar en Europa en el número de pacientes con cáncer y personas fallecidas por enfermedades malignas en la infancia. Esta fue una guerra nuclear silenciosa, cuyas consecuencias se mostrarán en los próximos 600 años.

IV

Dado que se trata de una violación grave e indiscutible del derecho internacional, los países miembros de la OTAN llevan la responsabilidad para esa agresión, incluyendo la indemnización por daños de guerra estimada en más de 100 mil millones de dólares. Son responsables para el uso de armas de uranio empobrecido y otras armas de destrucción masiva ilícitas. En este sentido consideramos que Serbia tiene todo el derecho a, previo a las instituciones internacionales pertinentes, iniciar un procedimiento contra la OTAN y sus países miembros, que participaron en la agresión, con el fin de ejercer el derecho a una indemnización por daños de guerra, así como por las personas que fueron víctimas de la agresión. Ese proceso representaría una contribución a la democratización de las relaciones internacionales y fortalecería el papel de la ONU y el respeto a los principios de la soberanía y la igualdad entre pueblos.

La Red de Intelectuales, Artistas y Movimientos Sociales en Defensa de la Humanidad – capítulo Serbia espera el apoyo, para sus posturas expresadas en esta declaracion, de todas las organizaciones independientes y amantes de la libertad y de los movimientos sociales de todo el mundo, en respuesta a todas las formas de violencia internacional y violaciónes del derecho internacional y nacional y del patrimonio de la civilización.

 

Belgrado, 24 de febrero de 2017

 
Presidente de la RedH-capítulo Serbia
Ratko Krsmanovic




CRONACA DI UNA MANIFESTAZIONE

A proposito del corteo contro la Unione Europea tenuto con successo a Roma il 25 marzo 2017 nonostante la accuratissima "copertura" da parte dei media e del Ministero dell'Interno ("copertura" in senso stretto...) 

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Cosa ci gridano i media? “Tremate lo stesso, cacateve addosso…”

di Alessandro Avvisato, 24 marzo 2017

Sabato previsti settordicimila tra Ostrogoti, Tervingi e Vandali pronti a calare su Roma e porla a ferro et foco…

Giornali e tv mainstream in questi giorni sembrano menestrelli medioevali impegnati nel cantare le epiche gesta di un signorotto un po’ infingardo, che non vince una guerra da secoli e il massimo successo militare che può vantare è la fustigazione pubblica dei sudditi. Naturalmente, se il committente è di così basso lignaggio militare, bisognerà esaltare le virtù guerriere de lo inimico, in modo che la sicura vittoria risalti maggiormente. Il fascino della divisa soccorre il redattore in crisi di fantasia, che si esalta perciò anche per i black bloc. 

Un briciolo di rassegna stampa serve a dare l’idea.

L’oscar della compassione è vinto alla grande da La Stampa, quotidiano di casa Fiat amichevolmente soprannominata dai torinesi doc la busiarda. Titolo raccapricciante: Roma, scatta l’allerta terrorismo, ma fanno più paura i black blocSe si potesse usare la logica, con una frase simile, dovremmo chiedere un Tso urgente per il titolista, perché nessuno può seriamente avere più “paura” di quattro sciamannati di incerta provenienza, abili al massimo in danneggiamenti di poco conto (un bancomat, un’automobile, qualche vetrina, molto fumo e poco arrosto), rispetto a soggetti determinati a seminare il più alto numero di morti possibile.

Ma nel quotidiano diretto da Maurizio Molinari nulla è impossibile. Infatti nel catenaccio ci rivela che “In campo anche Scotland Yard”. E dire che la Gran Bretagna in questo vertice europeo non c’è più (ha vinto la Brexit, le procedure ufficiali partiranno mercoledì prossimo)… 

L’apice dell’ignoranza viene però toccato nel secondo pezzo, dedicato alla “galassia antagonista, timori per i duri del Nord-Est”. Solito elenco di “centri sociali”, No Tav, ecc, e improvvisamente uno scoop: “Un nutrito gruppo è attesa da Venezia: Cacciari e Rivolta più frange anarchiche”. Il Cacciari citato non è infatti un “centro sociale”, ma un noto esponente dell’area Global Project. Ma chissenefrega della qualità dell’informazione, vero? Tanto stiamo soltanto pompando un clima “da paura” per giustificare qualsiasi operazione politica la polizia vorrà mettere in atto…

Non vanno meglio giornali che si pretendono “d’opposizione”, come Il Fatto Quotidianoche nella sua versione online sembra fagocitato dalla sua antica vena manettara: “Trattati di Roma, il corteo di Eurostop e il rischio per la fontana simbolo di Testaccio”Forse pesava il ricordo della Barcaccia di piazza di Spagna, danneggiata da tifosi olandesi in trasferta, ma fa comunque ridere l’immagine dei giornalisti costretti a spremersi il cervello per individuare una bene archeologico importante da “salvare dai barbari”… Più sobria la versione cartacea, che almeno dà conto del messaggio agli abitanti di Testaccio diffuso ieri da Eurostop.

Alla pari con il “dramma della fontana” c’è forse soltanto il post dal sito della questura di Roma – ripreso anche nell’articolo – che parla di “clima di piena collaborazione” con gli organizzatori accompagnandola però con una foto “da paura”

Lo schema imposto dal ministero dell’interno – mescolare nella stessa notizia il pericolo “terrorismo” e quello dei black bloc – è assunto con entusiasmo anche da Repubblica: “Misure antiterrorismo e l’incubo dei black bloc. Sorvegliati speciali i social”. Nel pezzo, la volenterosa cronista riprende scrupolosamente le veline che parlano di agenti e riprese sui tetti, i tavoli tecnici con le autorità del I Municipio, e a un certo punto viene infilata un’operazione in cui “agenti della Dia hanno smantellato un’organizzazione criminale impegnata nel traffico di esseri umani”. Notizie di un certo interesse, certamente, ma che in questo modo si perde in un “pastone” immondo che neanche all’ufficio stampa della Digos avranno apprezzato…

Andiamo avanti. Da giorni tutti parlano di “200 black bloc in arrivo”. La cifra è stata del resto fatta dalla Questura e nessuno ha ritenuto utile modificarla. Fa eccezione la cronaca romana del Corriere della sera, che ritiene di dover dare un contributo originale alla “fabbrica della paura” sparandola più grossa degli altri: “Sabato in arrivo 800 black bloc”. Attendiamo pazientemente il rilancio di qualcun altro in questa singolare asta della cazzata. E siamo certi che ci sarà…

Qualche nota di merito? Una volta tanto per il manifesto, che si smarca dalla canea e dedica quasi una pagina alla manifestazione di Eurostop: "Sul corteo creato ad arte un clima di paura".

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Due parole sul corteo di sabato

di Carlo Formenti, 26 marzo 2017

Due parole sul corteo contro la Ue indetto da Eurostop ieri a Roma (in attesa di tornare con più calma sull'argomento) . Tutti i media hanno sostenuto la tesi della polizia, secondo cui le cose sono andate bene solo grazie alla loro azione di prevenzione mentre vi sono le prove che esisteva un piano per "devastare la città". 
E' vero, ma quel piano lo avevano studiato loro: il mostruoso schieramento di forze, le ripetute provocazioni (dal "sequestro" di più di cento manifestanti, trattenuti per ore in un centro di identificazione, alla rottura in due spezzoni del corteo alla fine del percorso: al primo dei quali si è cercato di impedire di defluire pacificamente secondo gli accordi, mentre il secondo veniva circondato e bloccato senza che fosse stato lanciato nemmeno un tappo di bottiglia – e solo grazie alla pazienza e all'atteggiamento collaborativo degli organizzatori la situazione si è sbloccata senza incidenti) stanno lì a dimostrare che esisteva una precisa volontà di provocare lo scontro, trasformando gli annunci di sventura che i media avevano lanciato nei giorni precedenti all'evento in una profezia autoavverantesi (centinaia di telecamere ci hanno accompagnato nella speranza di poter documentare il sangue versato e i danni alla città). 
Ciò detto va sottolineato il comportamento ignobile dei media del giorno dopo: a partire dai numeri falsi, per esempio si è parlato di fallimento della mobilitazione, dicendo che i manifestanti erano 2000 o 3000 (con ridicole contraddizioni, tipo che erano stati effettuati duemila controlli e che nel secondo spezzone c'erano duemila facinorosi pronti alla devastazione: insomma duemila carri armati di Mussolini che giravano avanti e indietro ricoprendo tutti i ruoli?) mentre la verità è che il corteo non aveva meno di 8/10.000 persone: tantissime ove si consideri la campagna terroristica di dissuasione e comunque assai di più di quelli dei rachitici cortei pro euro di destra (federalisti) e "sinistra" (Sinistra Italiana e altri). 
Una bellissima giornata di mobilitazione in una città desertificata per creare una vasta area protetta a tutela dei 27 signori racchiusi nel palazzo per firmare una nuova sacra alleanza contro i rispettivi popoli. 

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Manifestazione Eurostop: cronaca di una provocazione non raccolta

di Redazione Contropiano, 27 marzo 2017 / da http://www.perunaltracitta.org – Firenze

Il 25 marzo Roma è stata messa sotto assedio, non dal pericoloso blocco nero – che sempre torna alla ribalta delle testate giornalistiche quando c’è una manifestazione di protesta – ma dalle forze dell’ordine, utilizzate in maniera a dir poco spropositata. Da giorni gran parte dei mass media hanno iniziato una campagna di terrore sul presunto arrivo del terribile blocco nero nella manifestazione di protesta organizzata da Eurostop.

Già al concentramento a Piramide si susseguono voci tra i manifestanti: controlli serratissimi e daspo cittadini dati nella notte, pullman fermati per controlli e manifestanti portati ad un centro di identificazione perché trovati in possesso di “indumenti atti ad occultare l’identità ed impedire l’identificazione”. Felpe, kway e giubbotti, per dirlo fuor di metafora.

Il concentramento inizia ad infoltirsi e tuttavia non parte: l’intervento di Nicoletta Dosio, militante dei Notav arrivata in treno dalla Val di Susa spiega il perché: tre pullman sono stati fermati e – senza che fossero stati trovati effettivi motivi per procedere ad un fermo – più di centocinquanta persone sono state portate in un centro d’identificazione a Tor Cervara. A loro sarà di fatto negato il diritto di manifestare, perché nonostante non ci fosse nessun motivo valido, saranno rilasciati solo dopo la fine della manifestazione.

Si decide di non partire prima che ai manifestanti in stato di fermo sia restituito il diritto di esprimere il dissenso e mentre avvocati e una delegazione di manifestanti, tra cui Nicoletta Dosio e l’europarlamentare Eleonora Forenza, si reca a Tor Cervara, il corteo aspetta di poter partire: attesa, incertezza per quanto stava effettivamente accadendo e per la sorte dei compagni e delle compagne fermate non hanno contribuito certo a distendere il clima.

Quando finalmente il corteo si muove, con due ore di ritardo, attraversa il quartiere di Testaccio: negozi serrati, nessuno in strada e soprattutto ogni strada laterale a quella del percorso del corteo chiusa da agenti in assetto antisommossa: uno schieramento di forze dell’ordine smisurato.

Il corteo tuttavia prosegue senza problemi: molte persone alle finestre registrano, scattano foto, qualcuna applaude e sostiene il corteo, che arriva sul Lungotevere Aventino. È da qui è ancora più chiaro che poliziotti, carabinieri, guardia di finanza sono molti più di quanti si potesse immaginare: dall’altra sponda del Tevere, infatti, c’è un concentramento di agenti, camionette, idranti che assomiglia ad un esercito in attesa, c’è persino qualche gommone della polizia che attraversa il Tevere.

Il corteo arriva senza nessuna tensione dall’interno a Piazza Bocca della verità, ma nessuna uscita dalla piazza è libera: tutte le strade sono sbarrate da polizia in assetto antisommossa. E mentre gli organizzatori cercano di capire in che modo sciogliersi, con una manovra gli agenti chiudono anche la parte della piazza da cui la prima parte dei manifestanti è entrata, spezzando così in due il corteo. Infatti lo spezzone dei movimenti e dei centri sociali era qualche centinaio di metri dietro.

Una provocazione gratuita, ma non nuova (basti pensare a quanto successo durante il corteo dei licenziati Almaviva, sempre a Roma) messa in atto dalla polizia che ha approfittato che i due spezzoni fossero distanti, per provare a separare e caricare l’ultima parte e dare finalmente vita ad copione già scritto – quello dei manifestanti cattivi che devastano la città e della macelleria messicana che ne consegue – che stava tardando a concretizzarsi: gli scontri non ci sono stati, perché nessuno ha raccolto questa vergognosa provocazione anche grazie all’intervento degli organizzatori, che non hanno permesso che il corteo venisse diviso.

Non è servita la campagna mediatica di paura, non sono servite le provocazioni e la presunzione di colpevolezza con cui è stato impedito a centinaia di cittadini di esercitare il proprio diritto a manifestare. Non è servito l’uso delle forze dell’ordine per reprimere il legittimo dissenso: la manifestazione si è conclusa senza che i manifestanti rispondessero alle provocazioni. Con la delusione abbastanza evidente di un altro piccolo esercito presente in piazza, quello dei giornalisti, molti di loro più in attesa dello scoop che seriamente interessato alle motivazioni della manifestazione.

Ed infatti, come spesso accade, la paura degli scontri, le dichiarazioni dei politici contro chi usa la violenza, il tentativo mediatico fallito di dividere la piazza in buoni e cattivi, ha tolto spazio ai contenuti della piazza, al grido di protesta di migliaia di persone che tutte insieme hanno detto no all’Europa dei poteri forti e trasversali, dei muri contro i flussi di migranti, dell’impoverimento della classe lavoratrice, e che chiedono la libera circolazione delle persone, non delle merci.

Celebrare i 60 anni dell’Unione Europea, scrivere una dichiarazione dai toni trionfalistici in cui si celebra la costruzione di “[…] una comunità di pace, libertà, democrazie, diritti umani e governo della legge, un potere economico senza precedenti e un livello impareggiabile di protezione sociale e welfare” e farlo asserragliati in un palazzo, mentre nel resto della città si assiste alla sospensione del diritto di manifestare portandosi con sé un kway in caso di pioggia. Questo è quello che hanno fatto i 27 capi di stato europei e questo significa essere completamente scollati dal paese reale, non ascoltare assolutamente la voce di chi vive sulla propria pelle tutte le ingiustizie e le contraddizioni di un’Europa che nonostante i tentativi di presentarsi pulita, democratica, serena mostra invece le sue storture con i trattati di Dublino che umiliano i migranti, le politiche di austerity che schiacciano lavoratori e cittadini, le politiche di guerra che la rendono complice nei teatri di guerra del mondo.

Noi, insieme alle migliaia che hanno sfilato per le strade di Roma il 25 marzo, sappiamo da che parte stare e siamo solidali con chi è stato trattenuto e identificato solo per voler esercitare il diritto a manifestare il proprio dissenso.

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SI VEDANO ANCHE:

Eurostop, gli «scontri» erano una fake news. Sospeso il diritto di manifestare (Roberto Ciccarelli - su il manifesto del 26.3.2017)
Contro il vertice Ue. Sfila da Testaccio a Bocca della verità il corteo “Eurostop”. Lo spezzone più stigmatizzato circondato a Bocca della Verità in una città militarizzata e deserta. 122 manifestanti provenienti da Piemonte, Nord Est e Marche trattenuti per ore a Tor Cervara. Gli è stato negato il diritto di manifestare...

L’Unione Europea si riarma e ratifica il nucleo duro. Fuori da questa gabbia (di Sergio Cararo, 28 marzo 2017)
... i peggiori black block che Roma ha visto in questi anni sono proprio i capi di stato europei riunitisi in Campidoglio. Le devastazioni e i saccheggi che hanno provocato non hanno paragoni...

Eurostop, quel fattaccio di Tor Cervara (dI Alba Vastano  01/04/2017)
Intervista a Eleonora Forenza (Prc), eurodeputata Gue. Il suo intervento al Cie di Tor Cervara per liberare dal sequestro i manifestanti di Eurostop, provenienti dalla Val Susa e rinchiusi per ore nel centro, solo per “suspicione”...
https://www.lacittafutura.it/interni/eurostop-quel-fattaccio-di-tor-cervara.html
 
I VIDEO:

LIVE: ‘Eurostop’ rally to take place in Rome (RT, 25 mar 2017 – 3h40m)

Manifestazione no euro roma 2017 (la Città Futura, 1 apr 2017)
il 25 marzo si è tenuta una partecipata manifestazione NO EURO. questo breve video racconta in sintesi la giornata...




(italiano / srpskohrvatski / english)

Bashar Al Assad Interviews

1) Bashar al-Assad interview given to Vecernji List / Intervju za Vecernji.hr, 03/04/2017
2) Intervista a Bashar Al Assad su Il Fatto Quotidiano, 14 marzo 2017


Si vedano anche, in ordine cronologico inverso:
Stati Uniti. Il movimento No War convoca una mobilitazione immediata contro la guerra alla Siria (di Redazione Contropiano / Answercoalition.org, 7 aprile 2017)
Ministro esteri siriano nega e condanna utilizzo di armi chimiche (L'Antidiplomatico, 6.4.2017)
Al-Moallem: Syrian Army didn’t and will not use chemical weapons even against terrorists (SANA, 6.4.2017)
Siria. “Elementi per mettere in dubbio la versione ufficiale ce ne sono una montagna” (di Marco Santopadre, 6.4.2017)
A chi giova l’escalation dell’orrore (di Giuseppe Cucchi su La Stampa del 05/04/2017)
<< Ciò che viene in mente è l’episodio delle recenti guerre balcaniche, cioè il bombardamento condotto con bombe di mortaio sul mercato vecchio di Sarajevo, con la strage di civili sunniti. Fu l’episodio che motivò l’intervento aereo della Nato sulle truppe serbe. Ancora anni dopo però permangono fondati dubbi sulla dinamica dell’accaduto, considerato come esistessero indizi secondo i quali i colpi di mortaio sarebbero potuti partire da zone in mano ai bosniaci e non ai serbi. Fuoco amico, dunque? Fuoco amico destinato a provocare l’intervento Nato? L’interrogativo resta aperto... >> [sul tema rimandiamo a: https://www.cnj.it/documentazione/Markale/index.htm ]
Intervistare Assad è sacrosanto, alla faccia dei maestrini del giornalismo (di Fulvio Scaglione – da http://www.linkiesta.it/ – 18 marzo 2017)
http://contropiano.org/interventi/2017/03/18/intervistare-assad-sacrosanto-alla-faccia-dei-maestrini-del-giornalismo-090018
"Questa era una scuola prima che l'opposizione armata anti-Assad la trasformasse in fortino: dentro i fusti agenti tossici" (Lucia Goracci, tg3. Dicembre 2016)
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=EBHmtcDIY9g
Seymour Hersh: Hillary ha dato il via all’invio del gas sarin dalla Libia alla Siria (di Redazione Contropiano / Lantidiplomatico.it, 3 maggio 2016)
Carla del Ponte: "i ribelli siriani hanno usato armi chimiche" (Euronews, 6 mag 2013)
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=7KnbZcZbqtY


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PRESIDENT BASHAR AL-ASSAD INTERVIEW

GIVEN TO VECERNJI LIST 03/04/2017

Question 1: Mr. President, we are already into the sixth year of the Syrian war. After the recent victories achieved by the Syrian Army in Aleppo and Palmyra, and the ongoing reconciliations, is there a glimmer of hope of an end to the Syrian war?

President Assad: Of course, for without hope neither the country, nor the people, nor the state could withstand six years of an extremely ferocious war supported by tens of regional and Western countries, some of the wealthiest and most powerful countries in the world. Without hope, there wouldn’t have been a will. But the question is: how to turn this hope into reality? This has been possible so far through two practical approaches. The first is fighting terrorism, regardless of the different names and categories given to terrorist organizations, and the second is through achieving reconciliations with all those who want to lay down their weapons, return to their normal life, and to the embrace of their country. There has been progress on both fronts: in fighting terrorism and achieving reconciliations. That’s why I say there is more hope now than in the past years.

Question 2: In the negotiations conducted previously in Astana and now in Geneva, most negotiators on the other side belonged to the opposition which upholds Wahhabi, Salafi, and Jihadi thought. Why are you negotiating with these people in the first place? And is there in reality a moderate opposition as described by the media?

President Assad: This is a very important question, because Western officials, most prominently former US President Obama, said that the moderate opposition was an illusion or a fantasy. This is by their admission, they, who supported that opposition and gave it a false moderate cover. So, this moderate opposition does not exist. The opposition which exists is a Jihadi opposition in the perverted sense of Jihad of course. It is also indoctrinated in the perverted sense that does not accept neither dialogue nor a solution except through terrorism.

That is why we cannot, practically, reach any actual result with this part of the opposition. The evidence is that during the Astana negotiations they started their attack on the cities of Damascus and Hama and other parts of Syria, repeating the cycle of terrorism and the killing of innocents.

This opposition, between brackets, because it cannot be called opposition, these terrorists cannot be an opposition and cannot help reach a solution. Apart from that, these terrorist groups are themselves linked to the agendas of foreign countries. They do not belong to a certain current or movement among the Syrian people that seeks political reform or a certain solution, neither before nor during the war. Another part of these groups might look political in the sense that they do not carry arms, but they support terrorism. A third part is linked to the Saudi, Turkish, and Western agenda.

Question 3: Why are you negotiating with them?

President Assad: We do that because, in the beginning, many people did not believe that these groups do not want to lay down their weapons and move towards political action. We went in order to prove to all those who have doubts about this that these groups cannot engage in politics, and that they are terrorist groups at heart and will remain so to the end.

Question 4: The world has declared war on terrorism. Do you believe that declaration and in what they are doing today, and can we say that it’s only Syria that is fighting terrorism today?

President Assad: The world that declared war consists practically of Western countries which themselves support terrorism. Most countries of the world are against terrorism. They do not declare that, but they have been practically cooperating with us in one way or another during the war, and before the war, because terrorism did not start only with the war on Syria. Terrorism has always existed in the world and has become more widespread as a result of the different wars in the Middle East. But the Western countries which declared war on terrorism still support it up till now. They do not fight it. It is used only in name for domestic consumption. The fact of the matter is that they use terrorism as a card to achieve different political agendas, even when this terrorism backfires and claims victims in their own countries. But they do not acknowledge this fact.

As to who is fighting terrorism in Syria, it is basically the Syrian Arab Army. This is not only a claim because there are facts on the ground which prove it. The Syrian Arab Army has been able to make these achievements in fighting terrorists thanks, in the first place, to the Syrian fighters’ will, and thanks to popular support. Without popular support, it is not possible to achieve such victories. However, there has been verystrong support from our allies, whether it was Iran, Russia, or Hezbollah from Lebanon.

Question 5: Does the Syrian Army represent all sects, ethnicities and minorities in Syria?

President Assad: Of course, that is self-evident. An army that represents part of the Syrian people cannot win in a war taking place throughout Syria. That is self-evident, regardless of how it is portrayed in the West. At the beginning of the war, the terms used by the terrorists themselves or in the media hostile to Syria in the West and in our region, wanted to portray the war as taking place between sects. This image was widespread in the West. Had this been real, Syria would have been partitioned from the first months of the war. It wouldn’t have withstood for six years as a unified people. It is true that the terrorists control some areas, but the parts controlled by the Syrian state include all parts of the spectrum of the Syrian people. More importantly, they have some of the terrorists’ families and people who fled from terrorist-controlled areas to state-controlled areas. If this Syrian Army, and behind it the Syrian government, do not represent all the Syrian people, it wouldn’t have been possible to see this unified picture of the Syrian people.

Question 6: Mr. President, there is a question I have to ask: if there has been security cooperation between the Syrian government and the European states, would have we avoided the terrorist operations which have reached France, Belgium, etc.? I ask this question because after the terrorist operations in Paris, the former head of French intelligence said that you have provided them with names and documents about terrorists, and they refused to accept them. Did they really refuse to accept them? And had there been cooperation, would have we been able to avoid these terrorist operations?

President Assad: No, he was probably speaking about cooperation before the war, because after the beginning of the war and the French position in support of the terrorists, Syria stopped security cooperation with those countries, because there cannot be security cooperation and political hostility at the same time. There should be political agreement, on the one hand, and agreement in other areas, including security, on the other.

As to whether it would have been possible to prevent such attacks in Europe through this security cooperation, in normal circumstances, the answer would be yes. But under current circumstances, the answer is no, because Europe, or a number of European countries, support terrorists on a large scale, send to Syria tens of thousands of terrorists, or support them directly and indirectly, logistically, with arms, money, political cover, and everything. When you reach this stage of supporting terrorists – and here we are talking about tens of thousands and maybe hundreds of thousands in Syria and neighboring areas – security cooperation becomes of limited effectiveness in such a case. Security cooperation focuses on tens or hundreds of individuals, but cannot be effective when there are tens of thousands and hundreds of thousands of terrorists.

If Europe wants to protect itself at this stage, it should first stop supporting terrorists in Syria. Assuming that we wanted to cooperate with them, no results can be achieved in these circumstances. We will not do that, of course, when they support terrorism. They should stop supporting terrorists immediately in any shape or form.

Question 7: Mr. President, I would like to go back to Croatia. In 2009, you visited the Croatian capital Zagreb and met Croatian officials. At that time, I read a statement by Your Excellency in which you said that Croatia is a friendly country and the Croatian people is a brotherly people, etc. Do you still consider the Croatian people a friend of Syria, particularly after the scandal related to arms shipments from Croatia to Washington, and then to Saudi Arabia and Jordan, which ultimately fell in the hands of the terrorists?

President Assad: Certainly. The Croatian people is friendly people, and our relations are decades old. We are talking about a relationship which has lasted for generations and is still going on. We do not hold the Croatian people responsible for errors made by their governments.

More importantly, if we try to monitor the public opinion in Croatia in relation to what’s going on in Syria, we’ll find that in comparison with other countries, this public opinion has been, throughout the war in general, closer to understanding what is going on in Syria than many other European peoples. Had this relationship and this friendship not been a genuine one, it would have been difficult for the Croatian people to understand what’s going on in Syria.

That’s why I would like to stress that what happened concerning the arms shipment that reached the terrorists was one of the ‘achievements’ of the former Croatian government, perhaps for financial interests, or maybe for political interests in the form of giving in to pressure exerted by other big Western powers. But, in any way, they sold the interests and principles of the Croatian people in return for petrodollars, or in the service of the narrow political interests of those officials.

Question 8: Is it possible to restore political and diplomatic relations, and probably economic relations, for Croatia has many interests in Syria?

President Assad: Of course, this is certainly possible, but this depends on the political orientations of the existing governments. If there have been policy mistakes, particularly those made by previous governments, it is very easy for future governments, or the existing one, to repair these policies. We ask these governments for nothing except thinking first of their peoples’ interests, and second of the international law which is based primarily on the sovereignty of other countries and non-intervention in their internal affairs. We have never, throughout our history and since relations started between us and Croatia now and former Yugoslavia in the past, carried out any hostile act against these countries. We have always considered them friends. What is the justification for a government to send weapons to terrorists in Syria to be used in killing innocent Syrians. I don’t think there is a justification for this; and we hope that the present government does not accept this.

Question 9: There is a large number of Jihadis or terrorists who came from the Balkans. Do you have information about their numbers?

President Assad: There is no accurate information, because of the existence of our Turkish neighbor led by the criminal Erdogan who creates all the circumstances necessary to support and strengthen the presence of those terrorists in Syria. This does not allow us to control the borders, and consequently does not allow for accurate statistics about the number of terrorists who go in and out. But the issue is not about the nationalities of these terrorists, because you know that terrorists look at the whole world as a single arena. They care neither about the national dimension nor about political borders. So, the danger to your country, or to Europe in general, does not come only from European terrorist. It is true that a European can be more dangerous because he knows the region in detail; but he will come accompanied by other terrorists from other countries, terrorists who share the same doctrine, aspirations, and ideas, in order to carry out terrorist acts in those countries. So, when we talk about the number of terrorists in Syria, we are certainly talking about hundreds of thousands, at least more than a hundred thousand. Of course, they come and go, and some of them are killed in battle; but this is our estimate of the numbers.

Question 10: Mr. President, average people in Europe or the world ask about the causes of this attack on Syria and the attempts to bring Your Excellency down. And everybody talks about the reform which you have introduced. What’s the reason behind the calls for bringing you down?

President Assad: The reason is old, simple, and clear. Those Western countries, led by the United States, in partnership mainly with Britain and France, and unfortunately some European countries which did not have a colonial history, do not accept independent states and do not accept peer relations. They want satellite states which implement their policies.

Of course, we are not against common interests with other states, with any state. Big states have interests around the world and we, as a state, have interests in our region. We are not a superpower, but when we work, based on interests, with those states, the interests should be joint interests. They want us to act for their interests against ours. That’s why we have always been in a state of struggle with these states over our interests. For instance, we want the peace process, while they want submission instead of peace. They want us to have peace without rights, which is not reasonable. They want us to give up our sovereignty, to abandon our rights which are acknowledged by international law, Security Council resolutions, and the numerous votes at United Nations for the return of our lands. These are mere examples. There are many similar issues over which they consider Syria too independent a state. That’s why they thought that waging war on Syria and replacing the current government with a client government would make it easier and better to achieve their narrow interests.

Question 11: Had you accepted peace, or submission as you put it, would what is happening to Syria today had happened?

President Assad: In order to talk about something realistic, I would give you an example. We were asked to side with the West, with the United States in particular, in 2003, in its war against Iraq. We knew that the Iraq war was a series of events aiming at partitioning the region, and we knew very well that the conferences which were held before the war in order to define the future of post-war Iraq, all discussed a future sectarian Iraq, and not a unified Iraq.

So, we knew that what was happening in Iraq will be carried over to Syria and to the whole region. Had we taken part in such a project at that time, the situation in Syria would have been much worse than if we had refused to do so. That’s why I used to say that the price for rejection or resistance is much less than the price of submission and surrender. I said this many times in the past, and the events in Syria came to prove this argument. What helped Syria to stand fast today is that it is unified. Had we gone along with the sectarian project, following the Iraqi or Lebanese model, as the Americans wanted us to do then, we would have been a country torn by a real civil war. Civil war would have been a reality, not merely a term used to describe what’s going on.

Question 12: Why do the Gulf states pay money and support terrorists to bring the government down in Syria?

President Assad: Most Gulf states are satellite states which do not dare say no. Some of them say: “We support you but cannot say so publicly. We wish you victory in your war and hope you’ll be able to preserve a united Syria and to defeat terrorists,” but in public they say something different, because they are submissive to the Western will. Most Gulf states, if not all of them, were created by the British at a certain stage and handed over to the Americans at a later stage. That’s why we cannot make a judgment on why they say something or why they say the opposite.

Question 13: They talk about creating federalism in Syria. Is that possible? And do you accept the creation of federalism in Syria?

President Assad: Federalism is a national issue; and whether it should or should not happen depends on the constitution. And the constitution needs a popular vote. That’s why we cannot, as a government, say that we accept or not accept federalism. The government and the executive authority express the will of the people. However, I can give you the general view in Syria. The majority of Syrians do not accept federalism because it is an introduction to partition. There is no justification for federalism, for the Syrians have been living together, in the same structure, without any problems for decades and centuries, even before the existence of the Syrian state, even during and before the Ottoman state. There are no historical wars between the components of the Syrian people to justify the assertion that these sects or religions or ethnicities cannot live with each other. So, the issue of federalism is made-up with the objective of reaching a situation similar to that of Iraq. In that case they use this or that part of the state, which is supposed to be a strong state, in order to produce a weak state, a weak government, a weak people, and a weak homeland.

Question 14: Turkey sent troops and has a military existence in Syria. Why do you think?

President Assad: Because Erdogan had pinned all his hopes on the terrorists achieving victories until the battle of Aleppo happened. For him, it was a decisive battle considering the political, economic, geographical, and logistical importance of Aleppo. The terrorists’ failure to keep their positions in the city of Aleppo as a result of popular rejection on the part of the population of the city and the governorate, and as a result of the achievements made by the Syrian army, caused Erdogan to interfere directly at least to secure a place at the political table when the time comes for talking about the future of Syria.

He also wanted to give al-Nusra and Al Qaeda terrorists a facelift after he was exposed worldwide as being very close to them, in every sense of the word. He wanted to give them other names, to make them shave their beards and assume the appearance of moderates, to return things to the way they were at the beginning of the crisis, and as I said to secure a role for Turkey in finding a solution in Syria through the terrorists in their new form.

Question 15: There is the same issue with American troops which are in the country and help the Kurds now. Do you consider them occupation forces?

President Assad: Of course. Any intervention, even the existence of any individual soldier, without the permission of the Syrian government, is an invasion in every sense of the word. And any intervention, from the air or otherwise, is also an illegitimate intervention and an aggression on Syria.

Question 16: Why is America here? What are the reasons in your opinion, Mr. President?

President Assad: In general terms, the American policy is based on creating chaos in different parts of the world and creating conflicts among states. This is not new. It has been going on for decades, but in different forms. Through these conflicts, it secures a foothold through the contradictions and through its proxies who are already there but were able to become prominent because of the new circumstances. And then it takes part in bargaining in order to secure its interests in that region. This is an old American policy.

Question 17: How do you see the election of Trump as President of the United States? And can you cooperate with him, particularly after recent statements on the part of the new American administration which said that the Syrian people determine the fate of the President. Do you think there is a change in the American policy?

President Assad: First, concerning the different statements about whether the President should remain or leave, and since the first statement made during the Obama administration, which has been repeated by the political parrots in Europe, we have never paid any attention to it and never commented on it because it does not concern us. This is a Syrian issue related to the Syrian people. That’s why all that has been said on the subject is simply thrown in the rubbish bin. So, any similar statement, with or against, made now by any state, is not acceptable now, because this is not an American or a European issue, nor is it the concern of any other individual outside Syria.

As to our evaluation of the new American administration, and despite the fact that it is still in its early days, we have learned something important since relations were resumed between Syria and the United States in 1974, when former American President Richard Nixon visited us. We learned not to bet on a good administration. We always say which is a bad administration and which is worse. We do not say which is good and which is better or which is bad and which is good.

What we see in America now are endless conflicts: conflicts inside the administration and conflicts outside the administration with the administration. That’s why we see only one thing in this administration, regardless of the statements which seem to be better than those of other administrations. Since they sent troops to Syria without coordination and without a request from the legitimate Syrian government, it means that this administration, like other administrations, does not want stability to be restored in Syria.

Question 18: Mr. President, Syria has been subject recently to continuing Israeli aggression. What is the objective behind that? And are you concerned about the possibility of a Syrian-Israeli war?

President Assad: Concern about a war is unrealistic, because the reality is that we are living this war. But as for calling it a Syrian-Israeli war, you can assume in any case that these terrorists are fighting for Israel. Even if they are not a regular Israeli army, they are still fighting for Israel. And Israel shares the objectives with Turkey, the United States, France, Britain, Saudi Arabia, Qatar, and other states. They all share the same objective. It is a war that has taken a new form and uses new instruments. Practically, our victory over the terrorists is a victory over all those states put together. That’s why Israel is doing its best to support these terrorists in every place the Syrian Army advances. They attack in one way or another in order to provide support to the terrorists and in order to stall the momentum of the Syrian Arab Army in facing them.

Question 19: Recently, many European parliamentarians started to flock on Syria, some publicly and some secretly. Does this mean that something has happened or does this imply a change in the European policy towards Syria? Have they understood that you were right?

President Assad: The European policy has not actually changed, because the European officials have gone too far with their lies; and now if they want to make a U-turn, the European public opinion will tell them: you were lying to us. All of what you said was not true. That’s why they have persisted in their lies but with a few modifications from time to time. They have reproduced the same product using different packaging in order to deceive their customers, i.e. the European public opinion. The Western public opinion has changed, first because those lies cannot go on for six years while belied by the facts.

Second, thanks to the social media, it has become difficult for the corporate media linked to the political machines in the West to control the ins and outs of information and data throughout the world.

Third, this happened as a result of the huge migration waves towards Europe and the terrorist acts which hit a number of European states, particularly France. These different events have made the Western citizen ask questions about the reality of what’s going on.

What has changed in Europe today is that the public opinion knows very well that the corporate media and the politicians are lying. But the public opinion does not know the full truth, it knows only part of the truth and is seeking out the truth of what is happening in Syria, what happened in Libya, and what’s happening in Yemen today, and is asking questions about the relationship between the officials in their countries and the petrodollars in the Gulf states, and other questions.

Question 20: You said recently that 2017 will see the end of the war in Syria. Do you still believe that the war in Syria will end this year?

President Assad: No, I did not say this literally. I said several times that without Western intervention, we can end this war and all its ramifications in a few months, i.e. in less than a year. That was in 2016, and was interpreted that the war was at an end and that the next year will see the end of the war.

Of course, things are moving in a better direction, as I said, not in the interest of the terrorists but in the interest of the Syrian people, but war is unpredictable, especially that the countries which have supported the terrorists are doing their absolute best to protect them, first because the defeat of the terrorists means a political defeat for them in their countries, and second because exhausting Syria is one of the major tasks they have been trying to accomplish through the terrorists and through war. So, even if Syria was able to come out of this war, they want the bottom line price to be Syria’s exhaustion and fatigue so that Syria will have energy only to feed and rebuild itself and forget all the other issues surrounding it in terms of its rights and duties in relation to the different countries in our region. In other words, they want Syria to be unable to play any active, valuable, or weighty role in the region.

Journalist: Are you confident of the victory of the Syrian-Russian-Iranian alliance?

President Assad: As I said a while ago, we have a great hope which is becoming greater; and this hope is built on confidence, for without confidence there wouldn’t be any hope. In any case, we do not have any other option except victory. If we do not win this war, it means that Syria will be deleted from the map. We have no choice in facing this war, and that’s why we are confident, we are persistent and we are determined.

Journalist: Thank you very much, Mr. President.

President Assad: Thank you. 


--- HRVATSKOSRPSKI:


Al-Assad: Europa se neće zaštititi od terorista jer ih podržava 

Hrvati su bolje od ostalih Europljana shvatili što se događa u Siriji i nisu krivi za pogreške svojih vlada


AUTOR: Hassan Haidar Diab, Objava: 6.4.2017

Punih osam mjeseci čekali smo odobrenje za intervju sa sirijskim predsjednikom Basharom Al-Assadom, iz novinarskog kuta gledano, nedvojbeno najtraženijim svjetskim čelnikom.

No ni nakon odobrenja nije sve išlo glatko. Morali smo obaviti niz telefonskih razgovora i poslati mnoštvo e-mailova prije odlaska u Siriju. Procedura oko autorizacije intervjua izuzetno je komplicirana. Kako su nam objasnili, većina bi novinara iz odgovora predsjednika Bashara Al-Assada izvukla samo ono što im je odgovaralo i tako bi iskrivili odgovore i teze. U Damasku smo, prije intervjua, boravili tri dana te dogovarali posljednje detalje. Na sam dan intervjua još nismo znali gdje ćemo razgovarati s predsjednikom s obzirom na to da smo se naslušali raznih priča i nagađanja o tome gdje se Assad zaista nalazi. Stigavši u dvorište njegova ureda u Damasku, očekivali smo da je to tek početna stanica gdje će nas dočekati garda koja će nas odvesti tko zna kamo kako bismo se susreli s Assadom. Izlazeći iz automobila, doživjeli smo šok – predsjednik Assad je stajao na vratima i čekao nas.

“Dobar dan, Hassane, dobro došli u Damask. Nadam se da se niste previše umorili”, obratio nam se predsjednik pružajući ruku. Uzvratili smo mu pozdrav i zahvalili osobno i uime redakcije Večernjeg lista što nam je pristao dati intervju. Nakon razmjene kurtoaznih riječi, počeli smo razgovor, koji je trajao pola sata. Tijekom cijelog intervjua predsjednik Bashar Al-Assad djelovao je smireno, staloženo i samouvjereno. Iako su vani odjekivale snažne detonacije, na njih je bio potpuno imun. Nijednom gestom nije pokazao da je zabrinut. Na sva pitanja odgovarao je smireno, temeljito i argumentirano iako ih nije tražio unaprijed. Kako nas je dočekao, tako nas je i ispratio – srdačno, ljubazno, i sa željama za zdravlje i dug život.

Šesta godina rata

Već je šesta godina od početka sirijskog rata. Nakon nedavnih trijumfa sirijske vojske u Alepu i Palmiri te početka procesa pomirenja, postoji li tračak nade da će se okončati rat u Siriji?

Naravno, jer bez nade ni zemlja, ni ljudi, ni država ne bi mogli izdržati šest godina okrutnog rata, koji podržava desetak regionalnih i zapadnih zemalja. A među njima su i neke od najbogatijih i najsnažnijih zemalja svijeta. Ali, sada je pitanje kako tu nadu pretvoriti u stvarnost? To je do sada bilo moguće zahvaljujući dvama pristupima. Prvi je borba protiv terorizma, a drugi postizanje pomirenja sa svima koji žele položiti oružje, vratiti se svojim normalnim životima i zagrljaju svoje zemlje. Bilo je napretka na oba područja, i u suzbijanju terorizma i u postizanju pomirenja. Zato kažem da sada postoji više nade nego proteklih godina.

U pregovorima koji su ranije vođeni u Astani i sada u Ženevi većina oporbenih pregovarača podržava razmišljanja vahabita, salafista i džihadista. Zašto pregovarate s tim ljudima? I postoji li u stvarnosti neka umjerena oporba?

To je vrlo važno pitanje jer su zapadni dužnosnici, a najnaglašenije bivši američki predsjednik Obama, rekli da je umjerena oporba iluzija ili fantazija. To su, dakle, rekli oni koji su poslije podržavali tu oporbu i dali joj lažni umjereni privid. Umjerena oporba ne postoji, postoji samo džihadistička oporba, naravno u iskrivljenom smislu džihada. Ona ne prihvaća ni dijalog ni rješenje, osim putem terorizma. Zbog toga mi praktično i ne možemo postići nikakav stvarni rezultat s njima. Dokaz za to je to da su oni, tijekom pregovora u Astani, započeli napad na Damask, Hamu i druge dijelove Sirije, obnavljajući terorizam i ubijajući nevine ljude. Ti teroristi ne mogu biti oporba i ne mogu pomoći u postizanju rješenja. Osim toga, te terorističke grupe povezane su s programima djelovanja stranih država. Oni ne pripadaju nekoj struji ili pokretu u sirijskom narodu koji traže političku reformu ili određeno rješenje, nisu to činili ni prije, a ne čine ni tijekom rata. Neki dijelovi tih grupa mogu izgledati politički, u smislu da ne nose oružje, ali podržavaju terorizam, dok su neki povezani sa saudijskim, turskim i zapadnjačkim programima djelovanja.

Uski politički interesi

Zašto onda pregovarate s njima?

Zato što u početku mnogi nisu vjerovali da te grupe ne žele položiti oružje i okrenuti se političkom djelovanju. Mi smo počeli pregovore želeći dokazati svima koji su sumnjali da se te grupe ne mogu uključiti u politiku i da će do kraja ostati terorističke.

Svijet je objavio rat terorizmu. Vjerujete li u tu objavu i u ono što svijet danas čini?

Svijet koji je objavio rat terorizmu praktično se sastoji od zapadnih zemalja koje i same podržavaju terorizam. Većina je zemalja u svijetu protiv terorizma. One to ne objavljuju, ali su u praksi surađivale s nama na razne načine tijekom rata i prije rata. Jer terorizam nije započeo s ratom u Siriji, on je uvijek postojao u svijetu i proširio se kao rezultat različitih sukoba na Bliskom istoku. Međutim, zapadne zemlje koje su objavile rat terorizmu još uvijek ga podržavaju. One ga ne suzbijaju, a terorizam koriste samo kao izraz za domaću javnost. Činjenica je da oni koriste terorizam kao platformu za različite političke programe djelovanja, čak i onda kada im se taj terorizam obije o glavu i izazove žrtve u njihovim zemljama. Ali oni to ne priznaju. Protiv terorizma u Siriji u osnovi se bori samo sirijska arapska vojska. Ovo nije floskula, činjenice na terenu to dokazuju. Sirijska arapska vojska bila je u stanju postići uspjehe u borbi protiv terorizma zahvaljujući, u prvom redu, volji sirijskih boraca i podršci naroda. Naravno, postojala je i vrlo snažna podrška naših saveznika Irana, Rusije i Hezbollaha iz Libanona.

Predstavlja li sirijska vojska sve sekte, etnicitete i manjine u Siriji?

Pa to je očito! Vojska koja bi predstavljala samo dio sirijskog naroda ne bi mogla pobijediti u ratu koji se događa u cijeloj Siriji. Bez obzira na to kako se to predstavlja na Zapadu. Na samom početku rata i teroristi i neprijateljski raspoloženi zapadni mediji, kao i oni u našoj regiji, željeli su predstaviti ovaj rat kao sektaški. Ta je slika bila jako raširena na Zapadu. Da je ona bila istinita, Sirija bi bila podijeljena već prvih mjeseci rata. Sirijci ne bi izdržali šest godina kao jedinstven narod. Istina je da teroristi kontroliraju neka područja, ali dijelovi koje kontrolira sirijska država uključuju sve spektre sirijskog naroda. Kad ta sirijska vojska i iza nje sirijska vlada ne bi predstavljale cjelokupan sirijski narod, ne bi bilo moguće vidjeti tu jedinstvenu sliku sirijskog naroda.

Da je postojala sigurnosna suradnja između sirijske vlade i europskih država, bismo li mogli izbjeći teroristička djelovanja koja su zahvatila Francusku, Belgiju...? Postavljam ovo pitanje jer je nakon terorističkih napada u Parizu bivši čelnik francuskih obavještajnih službi rekao da ste im dostavili imena i dokumentaciju o teroristima, ali da su ih oni odbili prihvatiti. Jesu li ih zbilja odbili prihvatiti? I, bismo li mi, da je postojala suradnja, bili u stanju izbjeći te terorističke činove?

Ne, on je vjerojatno govorio o suradnji prije rata jer nakon početka rata i francuske pozicije podržavanja terorista Sirija je obustavila sigurnosnu suradnju s tom zemljom. Ne možete imati sigurnosnu suradnju i političko neprijateljstvo u isto vrijeme. Trebao bi postojati politički sporazum s jedne strane, i sporazum na drugim područjima, uključujući sigurnost. Što se tiče pitanja bi li bilo moguće spriječiti te napade u Europi kroz jednu takvu sigurnosnu suradnju, u normalnim okolnostima odgovor bi bio da. Ali u današnjim okolnostima odgovor je ne jer Europa, ili brojne europske zemlje koje podržavaju teroriste, u velikoj mjeri šalju u Siriju desetke tisuća terorista ili ih podržavaju direktno i indirektno, logistički, oružjem, novcem, političkim pokrićem i svim drugim sredstvima. Kad dostignete taj stupanj podržavanja terorista – a mi ovdje govorimo o desecima tisuća, a možda i o stotinama tisuća u Siriji i susjednim područjima – u tom slučaju sigurnosna suradnja poprima ograničenu učinkovitost. Sigurnosna se suradnja fokusira na desetke ili stotine pojedinaca, ali ne može biti učinkovita kada postoje deseci i stotine tisuća terorista. Ako se Europa želi zaštititi u ovoj fazi, prvi korak bio bi prestanak podrške teroristima u Siriji. Uz pretpostavku da bismo htjeli surađivati s njima, u ovim okolnostima se ne mogu postići nikakvi rezultati. Mi to, naravno, nećemo učiniti sve dok oni podržavaju terorizam. Oni trebaju odmah prestati podržavati teroriste.

Godine 2009. posjetili ste Zagreb i sreli se s hrvatskim dužnosnicima. U to vrijeme sam pročitao vašu izjavu u kojoj ste rekli da je Hrvatska prijateljska zemlja, da je hrvatski narod bratski narod. Smatrate li još uvijek hrvatski narod prijateljem Sirije, posebno nakon isporuke oružja iz Hrvatske u Washington, a onda u Saudijsku Arabiju i Jordan, koje je na kraju palo u ruke terorista?

Svakako. Hrvatski narod je prijateljski narod i naši odnosi traju desetljećima. Govorimo o odnosu koji je trajao generacijama i još uvijek traje. Ne smatramo hrvatski narod odgovornim za pogreške koje su učinile njihove vlade. Što je još važnije, ako pokušamo pratiti javno mnijenje u Hrvatskoj u odnosu na ono što se događa u Siriji, ustanovit ćemo da je – u usporedbi s drugim zemljama – to javno mnijenje bilo, općenito tijekom rata, bliže razumijevanju onoga što se događa u Siriji nego kod mnogih drugih europskih naroda. Da taj odnos i to prijateljstvo nisu bili iskreni, hrvatskom narodu bilo bi teško razumjeti što se događa u Siriji. Zbog toga bih želio naglasiti da je ono što se dogodilo u vezi s isporukom oružja koje je došlo do terorista bilo jedno od “postignuća” prethodne hrvatske Vlade, možda zbog financijskih ili političkih interesa, možda je to bilo popuštanje pod pritiskom drugih velikih zapadnih sila. Ali, bilo kako bilo, oni su prodali interese i principe hrvatskog naroda u zamjenu za petrodolare ili za uske političke interese tih dužnosnika.

Zapad želi satelitske države

Je li moguće obnoviti političke i diplomatske, a možda i ekonomske odnose, jer Hrvatska ima brojne interese u Siriji?

Naravno, svakako je moguće, ali to ovisi o političkoj usmjerenosti postojećih vlada. Ako su postojale pogreške u politici, posebno one koje su počinile prethodne vlade, vrlo je lako za buduće vlade ili za ovu postojeću obnoviti te odnose. Mi od tih vlada ne tražimo ništa drugo nego da najprije misle o interesima svojeg naroda, a zatim na međunarodno pravo koje se ponajprije zasniva na suverenosti drugih zemalja i nemiješanju u njihove unutarnje poslove. Mi nismo nikada, tijekom cijele naše povijesti otkad su započeli odnosi između nas i Hrvatske sada, a bivše Jugoslavije u prošlosti, izveli nikakav neprijateljski čin protiv tih zemalja. Uvijek smo ih smatrali prijateljima. Kakvo opravdanje ima vlada da pošalje oružje teroristima u Siriji koje će se koristiti za ubijanje nedužnih Sirijaca? Mislim da nema opravdanja za to i nadamo se da sadašnja vlada to ne prihvaća.

Postoji velik broj džihadista i terorista koji su došli s Balkana. Imate li informaciju o njihovu broju?

Nemamo točnih informacija zbog našeg turskog susjeda pod vodstvom kriminalca Erdoğana, koji podržava jačanje prisutnosti tih terorista u Siriji. To nam onemogućuje kontrolu granica i posljedično nam ne omogućuje točnu statistiku o broju terorista koji ulaze i izlaze iz zemlje. Ali glavno pitanje nije pitanje nacionalnosti tih terorista, jer znate da teroristi gledaju na cijeli svijet kao na jedinstvenu arenu. Oni ne vode računa ni o nacionalnoj dimenziji ni o političkim granicama. Tako da opasnost za vašu zemlju ili za Europu općenito ne dolazi samo od europskih terorista. Istina je da neki Europljanin može biti opasniji jer poznaje vašu regiju u detalje, ali njega će pratiti i drugi teroristi iz drugih zemalja, teroristi koji dijele istu doktrinu, aspiracije i ideje, u namjeri da izvedu napade. Zato, kada govorimo o broju terorista u Siriji, svakako govorimo o stotinama tisuća ili barem o više od stotinu tisuća. Naravno, oni dolaze i odlaze, a neki od njih budu i ubijeni u borbi.

Prosječni se ljudi pitaju o uzrocima napada na Siriju i pokušajima vašeg svrgavanja. Koji razlozi stoje iza toga?

Razlog je star, jednostavan i jasan. Te zapadne zemlje, predvođene Sjedinjenim Američkim Državama, u partnerstvu s uglavnom Velikom Britanijom i Francuskom, a na žalost i nekim europskim zemljama koje nemaju kolonijalnu povijest, ne prihvaćaju nezavisne države i ne prihvaćaju ravnopravne odnose. Oni žele satelitske države koje provode njihove politike. Velike države imaju interese po cijelom svijetu, a mi imamo interese u našem okruženju. Nismo supersila, ali kada djelujemo s drugim državama, interesi trebaju biti zajednički. No oni žele da djelujemo za njihove interese protiv naših. Zbog toga smo uvijek bili u sukobu s tim zemljama. Na primjer, mi želimo mirovni proces, dok oni žele pokornost umjesto mira. Oni žele da imamo mir bez prava, što nije razumno. Oni žele da se odreknemo svoje suverenosti, da odustanemo od svojih prava koja su priznata međunarodnim pravom, rezolucijama Vijeća sigurnosti i brojnom potporom u Ujedinjenim nacijama za povrat naših područja. Postoji mnogo pitanja zbog kojih smatraju da je Sirija kao država previše nezavisna. Zbog toga su mislili da bi im vođenje rata u Siriji i zamjena sadašnje vlade klijentelističkom olakšalo stvari i omogućilo postizanje njihovih uskih interesa.

Cijena otpora i podložnosti

Da ste prihvatili mir ili pokornost, kako ste rekli, bi li se dogodilo ovo što se danas događa u Siriji?

Dat ću vam jedan primjer. Od nas je zatraženo da stanemo uz Zapad, posebno SAD, 2003. godine u njihovu ratu protiv Iraka. Znali smo da je rat u Iraku početak niza događaja radi podjele regije. Na svim konferencijama koje su se održavale prije rata, u namjeri da se odredi budućnost poslijeratnog Iraka, raspravljalo se o budućnosti sektaškog, a ne jedinstvenog Iraka. Dakle, znali smo da će se ono što se događa u Iraku preseliti u Siriju i na cijelu regiju. Da smo tada sudjelovali, situacija u Siriji bila bi danas puno gora nego nakon što smo to odbili učiniti. Zbog toga sam običavao govoriti da je cijena otpora puno manja nego cijena podložnosti. To sam rekao puno puta u prošlosti, a kasniji događaji u Siriji to su i dokazali. Ono što je pomoglo Siriji da danas čvrsto stoji jest to što je ona ujedinjena. Da smo pristali na sektaški projekt, bili bismo zemlja rastrgana pravim građanskim ratom. Građanski rat bio bi stvarnost, a ne samo pojam koji se koristi za opis onoga što se zbiva.

Zašto zaljevske zemlje plaćaju novcem i podržavaju teroriste kako bi svrgnule vladu u Siriji?

Većina zaljevskih država satelitske su države koje se ne usude reći ne. Neke od njih kažu: “Mi vas podržavamo, ali to ne možemo javno reći. Želimo vam pobjedu u ratu i nadamo se da ćete biti u stanju sačuvati jedinstvenu Siriju i pobijediti teroriste.” Ali u javnosti govore nešto drugo jer su podložni zapadnjačkoj volji. Većinu zaljevskih država, ako ne i sve, u određenoj fazi stvorili su Britanci, a poslije su predane Amerikancima.

Prihvaćate li ideju federalizma u Siriji o kojoj se u posljednje vrijeme dosta govori?

Federalizam je nacionalno pitanje, a treba li se dogoditi ili ne, ovisi o ustroju. A za ustroj je potreban glas naroda, a vlada i izvršna tijela izražavaju volju naroda. Ipak, većina Sirijaca n

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L'ARMATA ROSSA IN AZIONE IN FRAZIONE DI BUDRIO

Il quotidiano slavofobo e anticomunista Il Resto del Carlino non si è fatto sfuggire l'opportunità offerta dalla rapina in una tabaccheria presso Budrio (BO), terminata in tragedia con l'uccisione del proprietario, per ciurlare nel manico con i paginoni dedicati a "LA PISTA DELL'EST", come di rito. 
Il sospettato, un russo nato in Uzbekistan quaranta anni fa, vi è reiteratamente definito "ex soldato dell'Armata Rossa" – addirittura in un titolo a caratteri cubitali sul numero del 4 aprile 2017 a pagina 7. Peccato che l'Armata Rossa abbia cessato di esistere come denominazione formale dal 1946 e non esista più nemmeno per estensione, cioè nel significato di esercito dell'Unione Sovietica, dal 1991, vale a dire quando il sospettato aveva 13 anni.

(a cura di I.S.; su segnalazione di O.M., che ringraziamo)


(srpskohrvatski / français / english / deutsch / italiano)

DICHIARAZIONE SULLA LINGUA COMUNE

1) DEKLARACIJU O ZAJEDNIČKOM JEZIKU. Serbo-croato-bosniaco-montenegrino, lingua "unica e policentrica" (2017)
2) Retour de la polémique : parle-t-on croate ou serbo-croate en Croatie ? (Per Jacobsen, H-Alter / CdB, jan 2011)
3) Die Zungen des Balkans in der Europäischen Union (Wolf Oschlies, EM 12-06 · 28.12.2006)
4) Ima li istorijskog osnova za crnogorski jezik? (Mileta Vojinović, 1971)
 

Si veda anche la nostra pagina dedicata alla disputa linguistica:

SRPSKOHRVATSKI JE JEDINI JEZIK / IL SERBOCROATO È UN'UNICA LINGUA

Si vedano inoltre, in ordine cronologico:

Bosanski jezik - državni ili nacionalni  (RFE, 14. februar/veljača, 1999)
DŽEVAD JAHIĆ i MIRJANA VLAISAVLJEVIĆ. Moderator: Omer KARABEG. Danas razgovaramo o tome, kakav je status bosanskog jezika u Bosni i Hercegovini...

L’Académie croate adopte une nouvelle déclaration très politique sur la langue (Davor Butković, Jutarnji List / CdB, feb. 2005)
L’Académie croate des Sciences et des Arts (HAZU) vient d’adopter une nouvelle déclaration sur la langue croate. Pour Jutarnji List, cet acte anachronique s’inscrit dans le cadre de la campagne de l’extrême droite contre le Premier ministre Ivo Sanader et les perspectives d’intégration européenne du pays...
http://www.balkans.eu.org/article5186.html

Muslim region adopts a 'new' language: Bosnian (by Nicholas Wood, NYT 18.2.2005)
Now the southwestern region of Serbia known as Sandzak is following suit. As of this month, pupils here may study a dialect of Bosnian. Textbooks emphasize expressions and vocabulary particular to the region...

Sandjak : guerre des langues dans les écoles de Novi Pazar (A. Rizvanović et J. Kruševijanin, IWPR / CdB, feb. 2005)
Parlez-vous « bosnien » ? Désormais, cette langue sera enseignée dans les écoles de Novi Pazar, car les habitants bosniaques de la région refusent de parler le serbe. Les experts estiment cependant que les nouveaux manuels scolaires ont été réalisés sans aucune rigueur scientifique...
http://www.balkans.eu.org/article5098.html
Language Battle Divides Schools (By A. Rizvanovic, IWPR 2 Aug 05)
Plans to introduce Bosnian language classes in schools have angered Serb nationalists [SIC] and leave most locals puzzled...
https://iwpr.net/global-voices/language-battle-divides-schools

Diplomatie : quand les USA réhabilitent la langue « serbo-croate » (Vijesti / CdB, 13 février 2011)
Le bosniaque, le croate, le monténégrin et le serbe ne sont que des « dialectes d’une même langue »... Telle est du moins la conclusion d’une inspection des ambassades américaines dans la région, qui note l’inter-compréhensibilité entre ces langues, et invite à donner une formation linguistique commune à tous les diplomates qui partiront en poste, à Zagreb aussi bien qu’à Sarajevo, Podgorica ou Belgrade...
Pulizia linguistica nella ex Jugoslavia: Guerre nazionaliste al serbo-croato (8 marzo 2017)
L’intervento di Andrea Marcolongo a un incontro in Trentino, nell’ambito del Festival delle lingue di Rovereto, denuncia i paradossi del purismo strumentale

Što piše u Deklaraciji o zajedničkom jeziku Hrvata, Srba, Bošnjaka i Crnogoraca (Karmela Devčić, 28.03.2017.)
U četvrtak će u Sarajevu biti predstavljena Deklaracija o zajedničkom jeziku, dokument koji je, kako se moglo i očekivati, uzbudio duhove, i već, i prije no što je službeno objavljen, podijelo javnost na pro et contra skupine...


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Serbo-croato-bosniaco-montenegrino, lingua "unica e policentrica" 

di Francesco Martino di OBCT per il GR di Radio Capodistria, 30 marzo 2017

Presentata a Sarajevo la “Dichiarazione sull'unitarietà” della lingua parlata in Croazia, Serbia, Bosnia-Erzegovina e Montenegro, sottoscritta da più di 200 linguisti ed intellettuali dei quattro paesi ex-jugoslavi.
Le quattro lingue parlate in Croazia, Serbia, Bosnia-Erzegovina e Montenegro, e definite “serbo-croato” o “croato-serbo” fino allo smembramento della Federazione jugoslava , dal punto di vista linguistico rappresentano un'unica lingua, unitaria anche se “policentrica”.
Questa la tesi della “Dichiarazione sull'unitarietà della lingua” presentata oggi a Sarajevo e frutto del lavoro e di duecento linguisti, intellettuali e figure pubbliche di spicco dei quattro paesi interessati.
Secondo gli autori, le differenze di lessico e ortografia nelle varie versioni della “lingua unica” che si parla nello spazio ex-jugoslavo, sono state esagerate ed utilizzate dalle ideologie nazionaliste che hanno contribuito allo sfascio della Jugoslavia e alla nascita di vari stati indipendenti sulle rovine della federazione di Tito.
“Un narcisismo delle piccole sfumature” che ha avuto conseguenze pesanti, dalla ghettizzazione dei “diversi” sulla base di differenze nell'uso della lingua, al blocco del normale sviluppo letterario e stilistico della “lingua contesa”. Ma anche sbocchi comici e paradossali, come la sottotitotolazione di film già totalmente comprensibili al pubblico interessato.
Vista la sensibilità dell'argomento nel contesto ex-jugoslavo, la “Dichiarazione” ha provocato polemiche soprattutto in Croazia, il paese che - più di altri – ha posto l'“unicità e diversità” del croato come pilastro della propria identità culturale e statuale.
Interpellato a riguardo, il premier croato Andrej Plenković si è limitato a rispondere piccato: “Il croato è una lingua ufficiale dell'Ue, e questa dichiarazione è solo un'iniziativa informale che non merita lo sforzo di una replica”.



DEKLARACIJA O ZAJEDNIČKOM JEZIKU

U proteklih godinu dana su u Podgorici (nekadašnjem Titogradu), Splitu, Beogradu i Sarajevu održane konferencije na kojima je, kroz otvoreni dijalog lingvista i drugih stručnjaka, javno tematizovano pitanje postojanja četiri „politička“ jezika u Bosni i Hercegovini, Crnoj Gori, Hrvatskoj i Srbiji. „Uprkos željenoj i ostvarenoj emancipaciji te formalnom postojanju četiri standarda, identitetsko-jezičke strasti nisu se smirile, a preskriptivizam, zanesenost jezičkim imperijalizmom, teze o 'pedesetogodišnjem jezičkom ropstvu' i čitav dijapazon pogrešnih interpretacija i dalje traju.“, navodi se u obrazloženju. Projekat je zaokružen donošenjem dokumenta pod nazivom DEKLARACIJA O ZAJEDNIČKOM JEZIKU, a cilj je jednostavan – prevazilaženje nepotrebnih poteškoća u raznim segmentima društva, naročito u školama.

Nazivati jezik ZAJEDNIČKIM već ima svoju potvrdu u praksi i nije ga potrebno posebno priznavati. DEKLARACIJA, bez dvoumljenja, nudi adekvatnu alternativu totalnoj jezičkoj konfuziji koja nas prati još od početka 90-ih, ona nije nametanje, već, naprotiv, dobrodošlo rješenje. Pri tome je najmanje važno kako se taj (ZAJEDNIČKI) jezik zove.

Apsolutno svjesni činjenice da se ovim želi pokrenuti proces normalizacije odnosa među narodima na prostoru nekadašnje Jugoslavije, a jedan od sastavnih i neizostavnih dijelova tog procesa svakako jeste jezik, mi, članovi Udruženja „Naša Jugoslavija“, Saveza Jugoslovena, Zajednice Jugoslovena u Njemačkoj, podržavamo ovu inicijativu, pridružujemo se potpisnicima i pozivamo Vas da učinite isto.


Koordinacija
Udruženja „Naša Jugoslavija“, 
Saveza Jugoslovena i
Zajednice Jugoslovena u Njemačkoj


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Suočeni s negativnim društvenim, kulturnim i ekonomskim posljedicama političkih manipulacija jezikom i aktualnih jezičnih politika u Bosni i Hercegovini, Crnoj Gori, Hrvatskoj i Srbiji, mi, doljepotpisani, donosimo

DEKLARACIJU O ZAJEDNIČKOM JEZIKU


Na pitanje da li se u Bosni i Hercegovini, Crnoj Gori, Hrvatskoj i Srbiji upotrebljava zajednički jezik – odgovor je potvrdan. 
Riječ je o zajedničkom standardnom jeziku policentričnog tipa – odnosno o jeziku kojim govori više naroda u više država s prepoznatljivim varijantama – kakvi su njemački, engleski, arapski, francuski, španjolski, portugalski i mnogi drugi. Tu činjenicu potvrđuju štokavica kao zajednička dijalekatska osnovica standardnog jezika, omjer istoga spram različitoga u jeziku i posljedična međusobna razumljivost.
Korištenje četiri naziva za standardne varijante – bosanski, crnogorski, hrvatski i srpski – ne znači da su to i četiri različita jezika. 
Inzistiranje na malom broju postojećih razlika te nasilnom razdvajanju četiri standardne varijante dovodi do niza negativnih društvenih, kulturnih i političkih pojava, poput korištenja jezika kao argumenta za segregaciju djece u nekim višenacionalnim sredinama, nepotrebnih ”prevođenja” u administrativnoj upotrebi ili medijima, izmišljanja razlika gdje one ne postoje, birokratskih prisila, kao i cenzure (te nužno auto-cenzure), u kojima se jezično izražavanje nameće kao kriterij etno-nacionalne pripadnosti i sredstvo dokazivanja političke lojalnosti.
Mi, potpisnici ove Deklaracije, smatramo da 
  • činjenica postojanja zajedničkog policentričnog jezika ne dovodi u pitanje individualno pravo na iskazivanje pripadnosti različitim narodima, regijama ili državama;
  • svaka država, nacija, etno-nacionalna ili regionalna zajednica može slobodno i samostalno kodificirati svoju varijantu zajedničkog jezika;
  • sve četiri trenutno postojeće standardne varijante ravnopravne su i ne može se jedna od njih smatrati jezikom, a druge varijantama tog jezika;
  • policentrična standardizacija je demokratski oblik standardizacije najbliži stvarnoj upotrebi jezika;
  • činjenica da se radi o zajedničkom policentričnom standardnom jeziku ostavlja mogućnost svakom korisniku da ga imenuje kako želi;
  • između standardnih varijanti policentričnog jezika postoje razlike u jezičnim i kulturnim tradicijama i praksama, upotrebi pisma, rječničkom blagu kao i na ostalim jezičnim razinama, što mogu pokazati i različite standardne varijante zajedničkog jezika na kojima će ova Deklaracija biti objavljena i korištena;
  • standardne, dijalekatske i individualne razlike ne opravdavaju nasilno institucionalno razdvajanje, već naprotiv, doprinose ogromnom bogatstvu zajedničkog jezika.

 

Stoga, mi, potpisnici ove Deklaracije, pozivamo na
  • ukidanje svih oblika jezične segregacije i jezične diskriminacije u obrazovnim i javnim ustanovama;
  • zaustavljanje represivnih, nepotrebnih i po govornike štetnih praksi razdvajanja jezika; 
  • prestanak rigidnog definiranja standardnih varijanti; 
  • izbjegavanje nepotrebnih, besmislenih i skupih ”prevođenja” u sudskoj i administrativnoj praksi kao i sredstvima javnog informiranja;
  • slobodu individualnog izbora i uvažavanje jezičnih raznovrsnosti;
  • jezičnu slobodu u književnosti, umjetnosti i medijima;
  • slobodu dijalekatske i regionalne upotrebe; 
  • i, konačno, slobodu ”miješanja”, uzajamnu otvorenost te prožimanje različitih oblika i izričaja zajedničkog jezika na sveopću korist svih njegovih govornika.




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H-alter


Retour de la polémique : parle-t-on croate ou serbo-croate en Croatie ?


Traduit par Ursula Burger-Oesh

Publié dans la presse : 27 janvier 2011
Mise en ligne : vendredi 4 février 2011
Le débat fait à nouveau rage en Croatie. Après la publication d’un ouvrage de la très réputée linguiste Snježana Kordić qui réaffirme que le serbe et le croate ne sont que deux variantes d’une même langue, le pays est déchiré entre partisans et opposants à cette thèse. Les nationalistes hurlent même à un « complot international contre l’indépendance de la Croatie »...

Par Per Jacobsen


Depuis l’implosion de la Yougoslavie et la proclamation de l’indépendance croate en 1990, la politique officielle de Zagreb soutenait que l’ancienne langue commune, le serbo-croate, n’existait plus, le croate représentant une langue à part. Depuis l’indépendance, une campagne bien ficelée a eu pour but de convaincre les pays étrangers que le serbe et le croate étaient deux langues différentes, pratiquement incompréhensibles l’une de l’autre.

Que cette campagne ait porté ses fruits est démontré par le fait que beaucoup de personnes vivant à l’étranger se sont senties invitées, malgré leurs piètres connaissances en la matière, à affirmer avec beaucoup de détermination que le régime communiste en Yougoslavie avait interdit la langue croate et bloqué son libre développement.

Deux langues, vraiment ?

L’éminente linguistique croate comme l’élite intellectuelle ont soutenu cette posture et ont avancé de nombreux arguments ingénieux pour démontrer que le serbe et le croate étaient deux langues différentes. Ce grand projet a eu comme objectif d’éloigner la langue croate le plus loin possible de la norme commune, norme qui avait pourtant été choisie dans la première partie du XIXe siècle par les Croates eux-mêmes pour renforcer la création de leur État-nation.

De fait, les patriotes croates ont choisi dans les années 1830 un dialecte commun. Ce dialecte a été standardisé et décrit dans les grammaires et dictionnaires, aussi bien en Croatie qu’en Serbie. Depuis lors, et jusqu’à la dissolution de la Yougoslavie, le serbo-croate a été reconnu comme langue-standard commune aux Serbes, Croates, Bosniens et Monténégrins. Mais avec la création de nouveaux pays indépendants, la construction des nouveaux États-nations passait aussi par la langue, qu’il fallait nouvelle et indépendante.

Bien évidemment, la langue ne peut changer en un claquement de doigts, sur un diktat venu d’en haut. On ne peut pas modifier la langue et en faire quelque chose d’autre de ce qu’elle est et de ce qu’elle a toujours été. Car la langue a sa propre composition, ses structures phonologiques, morphologiques et syntaxique ; elle ne change que lentement. C’est pour cela que le dictionnaire et le bon usage (pravopis) croate représentent l’unique champ sur lequel les innovateurs de la langue croate puissent avoir une emprise.

Des années durant, une sorte de « novlangue » à la George Orwell a été promue en Croatie, avec des règles très strictes sur ce qui est une utilisation correcte et incorrecte de la langue. Les mots et les phrases serbes, qui ont également pris racine en Croatie, sont devenus définitivement obsolètes. Les médias et maisons d’édition croates embauchent de soi-disant lecteurs, qui en réalité fonctionnent comme censeurs. Leur tâche consiste à bloquer des « mauvais » mots, afin que les serbismes ne passent pas.

De leur côté, les journaux ouvraient des concours pour récompenser celui qui inventerait le meilleur mot croate. Il y a même eu des tentatives de criminalisation de l’utilisation de mots non-croates, suivant à peu près la même recette utilisée dans l’Italie de Mussolini, l’Allemagne nazie et la Croatie fasciste, au cours de la Seconde Guerre mondiale. Tout cela à cause de l’idée illusoire selon laquelle les frontières linguistiques et nationales doivent coïncider et que, sans langue propre, la Croatie n’aurait pas d’identité propre.

Ce que tout le monde savait déjà

Dans cet océan de linguistique partiale et nationaliste, un seul, mais vaste, ouvrage essaie de mettre fin à l’illusion d’une Croatie linguistiquement pure et suscite un torrent de réactions dans le pays. Snježana Kordić, l’auteur du livreLa langue et le nationalisme, est sans doute la linguiste croate la plus connue à l’étranger. Elle enseigne depuis quinze ans dans plusieurs universités allemandes et est l’auteur d’une liste imposante d’ouvrages.

Dans une suite d’articles déjà publiés, Snježana Kordić a affirmé ce que tout le monde savait déjà, à savoir que les Serbes, les Croates, les Bosniaques et les Monténégrins parlent des variantes différentes d’une même langue. Dans son livre, elle démontre que la thèse selon laquelle les frontières linguistiques et nationales coïncideraient est fausse. Elle donne des preuves pour prouver que le serbo-croate est une langue polycentrique tout comme l’anglais, l’allemand, l’espagnol et tant d’autres. Elle critique ses homologues croates pour leur manque frappant de connaissances en linguistique contemporaine et en les méthodes sociolinguistiques les plus simples.

Snježana Kordić s’est longuement penchée sur la problématique de la censure linguistique mise en place en Croatie. Elle accuse les linguistes et les intellectuels croates de céder à la pression des politiciens et autres groupes nationalistes. Des années durant, la polémique avec ses collègues était sans conséquence, car menée dans le cadre de revues spécialisées. Or, son nouveau livre a eu l’effet d’une bombe, qui a mobilisé les cercles nationalistes.

« Un complot contre la Croatie »

Une association privée qui répond au nom de Conseil culturel croate a porté plainte contre le ministère de la Culture pour avoir accordé son soutien financier à la publication de cet ouvrage. Selon cette association, le ministère aurait commis une infraction à la Constitution du pays qui établit le croate comme la langue officielle du pays. La même association affirme également que le ministère n’a pas à financer un livre qui affirme que les Serbes et les Croates parlent une seule et même langue.

De même, le livre en question serait une menace pour l’indépendance croate et représenterait une insulte au peuple croate, ainsi qu’une attaque à l’identité nationale croate. Au sein de l’association, on pense également - chose pas si étonnante dans cette région de l’Europe - que le livre fait partie d’un complot contre la Croatie. Son président a récemment affirmé que « En Croatie les collaborateurs de ce complot étant connus, ceux d’Allemagne et d’ailleurs seront démasqués ». Selon lui, « les pistes mènent à La Haye, Londres et Bruxelles ».

Qui sont les « ennemis de la Croatie » ?

Les nationalistes croates voient des ennemis intérieurs et extérieurs partout. Parmi eux, le Tribunal de La Haye pour l’ex-Yougoslavie, qui non seulement juge les criminels de guerre croates, mais de plus engage, malgré les désapprobations de la Croatie officielle, des interprètes et traducteurs de toute la région linguistique serbo-croate et publie ses documents soit dans la variante serbe, soit dans la variante croate, en reconnaissant ainsi de fait la langue serbo-croate comme étant la langue de travail du tribunal, et par conséquent une langue unique.

Bruxelles est désigné comme étant l’ennemi de la Croatie parce que les nationalistes croient percevoir des signes clairs qu’une fois la Serbie et la Croatie intégrées à l’Union européenne, Belgrade refusera la demande de la Croatie de reconnaître le croate comme langue à part entière. Et de ce fait, la nation, dont le plus grand espoir est d’avoir sa langue propre, connaîtra un échec sans précédent.

L’actualité de ce sujet sensible a placé le livre La langue et le nationalisme au cœur du débat. La Croatie est partagée en deux clans : lest pour Snježana Kordić et les contre. De nombreux commentaires sont publiés dans la presse, ainsi que sur Internet. Des meetings et des manifestations sont organisées contre le livre. Snježana Kordić a accordé énormément d’interviews aux journaux et hebdomadaires indépendants. Son ouvrage spécialisé est presque unbestseller et dû être retiré pour répondre à la demande. Il semblerait que la majorité des gens s’intéressent à la langue, et ceci d’une façon qui apparemment ne suit pas les lignes directrices dictées par le pouvoir.

Une rhétorique nationaliste usée jusqu’à la corde

Vu sous cet angle, l’amertume et les frustrations causées par le livre de Snježana Kordić sont compréhensibles. On dirait que peu de choses ont changé depuis que Dubravka Ugrešić, Slavenka Drakulić et d’autres intellectuels ont été forcés à l’exil dans les années 1990, pour s’être opposé au nationalisme xénophobe de l’ère Tuđman.

La rhétorique utilisée contre ce livre est la même que jadis. Mais, il s’est avéré que Snježana Kordić n’était pas la seule à penser ainsi. Sur les blogs, nombreux sont les simples citoyens qui ont, peut-être pour la première fois, exposé publiquement leurs réflexions sur la thèse selon laquelle ils ne comprendraient soi-disant pas leurs voisins de Serbie et Bosnie. Beaucoup d’hommes de lettres et intellectuels renommés ont affiché leur soutien à Snježana Kordić. Ils voient cette cabale comme une chasse aux sorcières.

Parmi ses soutiens en Croatie, connus de Hrvoje Hitrec [1] et son Conseil culturel croate, figure aussi l’auteur croate probablement le plus traduit à l’étranger : Miljenko Jergović. Toute cette affaire jette sans doute une lumière honteuse sur l’élite politique et intellectuelle croate. En effet, que penser d’une société dont l’indépendance et l’existence peuvent être mises en danger par un livre ? Surtout que, comme l’avait fait remarquer l’un des participants au débat, Snježana Kordić n’a rien fait d’autre que redécouvrir l’eau tiède...


Cet article est initialement paru le 21 janvier 2011 dans le magasine Kristeligt Dagblad de Conpenhague, sous le titre « La lutte pour la langue est une lutte pour l’identité nationale ».


[1] écrivain croate proche de Franjo Tudjman dont il fut le ministre de l’information. Homme très à droite, Il est connu pour son euroscepticsime




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SPRACHEN
Die Zungen des Balkans in der Europäischen Union
Mit Rumänien und Bulgarien kommen zwei Balkanländer in die EU, die auch eine Erweiterung des Sprachraums der Union darstellen. Die kyrillische Schrift hält Einzug in die Brüsseler Bürokratie und die Brüsseler Politik. Zeit, sich mit dem Serbischen, dem Bulgarischen, dem Rumänischen, dem Makedonischen, dem Slowenischen und dem Kroatischen – falls es das gibt - endlich einmal näher zu befassen.
Von Wolf Oschlies
EM 12-06 · 28.12.2006

as Jahr 2006 hat uns auf dem Balkan einmal mehr einen Staat beschert: Montenegro, 13.812 Quadratkilometer, 620.000 Einwohner. Also etwas kleiner als das Bundesland Schleswig-Holstein und fast genau so bevölkert wie das Bundesland Bremen. Aber um Größe und Bevölkerungszahl geht es auf dem Balkan nicht, sondern es geht um Identitäten und Sprachen. 

Montenegro war in den späten 1990-er Jahren Liebling der internationalen Gemeinschaft, da diese sonst nichts gegen den Belgrader Diktator Slobodan Miloševic in der Hand hatte. Wäre es nach den Montenegrinern gegangen, dann hätte diese für sie so einträgliche Situation ewig bestehen können, weswegen sie auch nie die Opposition gegen Miloševic unterstützt haben. Denn sie wussten, wenn die siegt, dann interessiert sich niemand mehr für sie, aber viele werden sich an Montenegros Rolle bei Schmuggel und anderen mediterranen Gaunereien erinnern. Da erschien die Eigenstaatlichkeit als der goldene Weg, und den hat das Land konsequent beschritten – von der Einführung der D-Mark als nationale Währung im Jahr 2000 bis zur Unabhängigkeitserklärung im Juni 2006.

Land hinter Gottes Rücken

Rechtlich ist Montenegro ein vollgültiger Staat, seinem Wesen nach jedoch eine jener Balkan-Karikaturen, über die in der deutschen Publizistik bereits vor 90 Jahren abfällig geurteilt wurde: Staaten werden von Nationen gebildet, die im Besitz aller Attribute sind, die eine Nation nun einmal ausmachen – gemeinsame Sprache, Identität, Geschichte, Territorium etc. Auf dem Balkan schaffen oder verlangen ethnische Gruppen eigene Staaten – in der Hoffnung, mit der Schubkraft der Eigenstaatlichkeit endlich zu der Nation zu werden, die sie nie waren oder sein können.

Montenegriner hat es seit dem späten Mittelalter gegeben, allerdings nur als Teil des serbischen Ethnikums. Sie sind und bleiben Serben – die sich von anderen Serben nur dadurch unterscheiden, dass sie in 400 Jahren osmanischer Fremdherrschaft nie völlig erobert wurden. Wo die Osmanen nicht hinreiten konnten, dort ließen sie sich auch nicht sehen, und so konnte das „Land der schwarzen Berge“ (wie der italienische Landesname Montenegro bzw. der slavische Crna Gora in deutscher Übersetzung heißt) in relativer Unabhängigkeit leben. Bei den Serben war für Montenegro auch der ironische Begriff Zemlja Bogu za ledima im Umlauf: Land hinter Gottes Rücken.

Alles eine Verwandtschaft

Eine montenegrinische Identität, geschweige denn eine montenegrinische Sprache hat sich nie herausgebildet – im Gegenteil: Der montenegrinische Fürst-Bischof Petar Njegoš (1813-1851) machte sich 1847 in seinem Gedicht „Pozdrav rodu iz Beca“ (Wiener Gruß an die Landsleute) über gewisse dialektale Unterschiede bei den Serben lustig: „Lipo, ljepo, lepo, lijepo – listici su jednoga cvijeta“. Was deutsch etwa so wiederzugeben wäre: „Schön, scheen, scheun – sind doch Blätter derselben Blume“. Eben dieser souveräne Umgang mit Sprache hat Njegoš befähigt, zu einem der größten Dichter der Serben zu werden, dessen Versepos „Gorski vijenac“ (Der Bergkranz) zum Pantheon der südslavischen Literatur gehört.

Heute erscheint in der montenegrinischen Hauptstadt Podgorica ein Literaturblatt „in montenegrinischer Sprache“, von der niemand sagen kann, was sie ist. Angeblich hat das Montenegrinische zwei Buchstaben mehr als das Serbische, die auch niemand kennt. Und derselbe Krampf herrscht in allen Bereichen, in denen Montenegriner die Einmaligkeit ihrer Nation und Nationalkultur belegen wollen. Selbst eine eigene Kirche haben sie und berufen sich auf kirchliche Autokephalie in der Vergangenheit, was bestenfalls halbrichtig ist: Die Serbische Orthodoxe Kirche bestand bis 1921 aus vier oder fünf autokephalen Kirchen, darunter auch eine montenegrinische, die sich dann freiwillig zu der einen serbischen Kirche vereinigten. Bei einem Vortrag in Bonn sagte 1997 der damalige Präsident, spätere Premierminister Montenegros, dass fast alle „Montenegriner Verwandtschaftsbeziehungen ersten Grades zu Serbien“ hätten – später wurde er der härteste Verfechter montenegrinischer Eigenstaatlichkeit, da nur diese ihn, den Haupt-„Paten“ des mediterranen Zigarettenschmuggels, vor italienischen Strafverfolgern retten kann.

Das deutsche Beispiel

Diese ethno-linguale Gemengelage auf dem Balkan hat Deutschen manchmal gefallen, da sie in Deutschland ähnlich bestand: Die Deutschen sind keine Nation, die sich im Grad ihrer Binnenkohäsion mit Franzosen, Engländern, Russen vergleichen könnte – es gab nie ein deutsches Paris, London, Sank Petersburg. Was es bei Deutschen gab, war ein Ensemble von verwandten Stämmen auf der Basis einer gemeinsamen Sprache, wobei jeder Stamm sein eigenes Zentrum als Kristallisationspunkt seiner kreativen Energien besaß: Weimar bei den Thüringern, Dresden bei den Sachsen, München bei den Bayern etc.

So ähnlich stellten sich Deutsche vor 100, 200 Jahren die Südslaven vor. Sie alle sind „ein einziges Volk von der nämlichen Sprache“, urteilte 1829 Leopold von Ranke und knapp 100 Jahre später schrieb der deutsche Reichstagsabgeordnete und Balkankenner Hermann Wendel: „Serben, Kroaten und alle anderen sind ein Volk. Wenn sie es nicht sind, sind die Deutschen auch keins“. Diese Auffassung teilten auch die Südslaven. Im März 1850 schlossen Serben und Kroaten in Wien einen „Schriftsprachenvertrag“, der mit den Worten begann: „Wir sehen ein, dass ein Volk eine Literatur und Sprache braucht“, letztere nach deutschem oder italienischem Vorbild, wo man auch keine künstliche Gemeinsprache erfand, sondern einen Dialekt zur gemeinsamen Hoch- und Standardsprache erhob.

Natürlich hat die romantische deutsche Auffassung von der ethnischen und lingualen Einheit aller Südslaven nie ganz zugetroffen, und inzwischen musste ganz Europa schmerzlich erfahren, wie recht Milovan Djilas hatte, als er grimmig urteilte: „Wenn man auf dem Balkan über Sprachen diskutiert, werden auch schon Messer gewetzt!“

Sprache in Theorie und balkanischer Praxis

Die politisch motivierte Sprachendifferenzierung ist Gradmesser schwindender ethnischer Toleranz: Ethnische Spannungen kündigen sich an und vertiefen sich durch rückläufige sprachliche Toleranz. Wir haben es also mit einem politisch konfliktträchtigen Thema zu tun, was zu theoretischer Klärung zwingt:

Sprache ist menschlich (aber wohl nicht immer human). 
Sie ist ein Zeichensystem (das regional nur für den inner circle gilt).
o  Sie ist ein Medium des Gedankenaustauschs (wenn man denn den Dialog will).
o

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