Informazione


Riceviamo e volentieri diffondiamo per conoscenza:

Inizio messaggio inoltrato:

Da: "comitatodanilodolci @libero.it
Oggetto: Tavola rotonda: legge tutela degli sloveni in Italia - 15 anni
Data: 17 maggio 2016 17:44:22 CEST



A 15 anni dalla legge di tutela della minoranza slovena:

a che punto siamo?


invito - vabilo


Tavola rotonda

legge 28 del 2001

una tappa fondamentale per la convivenza

Aspettative, pregi e limiti

dopo 15 anni dalla sua promulgazione.


Mercoledì 18 maggio ore 17.45

in via Valdirivo 30, Trieste, II piano

presso la sede dell'Ente italiano per la

conoscenza della lingua e della cultura slovena.


Coordinerà il prof. Jože Pirjevec.

Parteciperanno:

il sen. Fulvio Camerini,

il sen. Milos Budin,

il Presidente regionale SKGZ (Unione Culturale Economica

Slovena) Rudi Pavisc,

il Presidente regionale SSO (Unione delle Organizzazioni

Slovene) Walter Bandelj,

il prof. Samo Pahor,

il sen. Stojan Spetič.


Per ulteriori informazioni contattare:

centroitalosloveno@...

Evento Facebook: Legge di tutela degli Sloveni in Italia – 15 anni dopo


Petnajst let po odobritvi zakona se postavlja vprašanje

pomemben korak za sožitje.

VABILO – INVITO


Okrogla miza o zakonu št. 38 iz leta 2001 pričakovanja, odlike in pomanjkljivosti.

V sredo, 18. maja 2016, ob 17.45 v ulici Valdirivo 30, Trst, II. nadstropje na sedežu Italijanske ustanove za spoznavanje slovenskega jezika in kulture.

Vodil bo prof. Jože Pirjevec.

Sodelovali bodo:

Sen. Fulvio Camerini,

Sen. Miloš Budin,

Deželni Predsednik SKGZ, Rudi Pavšič,

Deželni Predsednik SSO, Walter Bandelj,

Prof. Samo Pahor, sen. Stojan Spetič.

Za nadaljnje informacije



centroitalosloveno@...

Dogodek facebook:

Legge tutela degli Sloveni in Italia – 15 anni dopo


A 15 anni dalla legge sulla tutela della minoranza slovena, tappa fondamentale per una serena convivenza. Da sempre nella nostra città coesistono due comunità linguistiche diverse: la italiana e la slovena; comunità che sono convissute pacificamente per secoli e grazie all’impero asburgico hanno avuto cittadinanza, scuole, commerci, ricchezze. Ma tutti conosciamo gli avvenimenti tragici del secolo scorso, le sofferenza dei cittadini di questa città e gli strascichi ideologici ma soprattutto emotivi che hanno lasciato nella comunità . Ma il nuovo secolo ci presenta sperabilmente un nuovo clima, molti genitori iscrivono i figli alle scuole con lingua di insegnamento slovena, alcune scuole italiane stanno introducendo anche l’insegnamento dello sloveno,il il teatro di via Petronio non è più off limits agli italiani ma offre possibilità culturali diverse agevolate anche dai sottotitoli, da qualche anno studenti delle scuole superiori italiane e slovene si incontrano e parlano insieme della storia della nostra città, e così via. Ci sono insomma nuove sensibilità e grandi aperture da ambedue le parti. A questo ha contribuito senz’altro la legge 38 che nel 2001 è stata emanata nello scorcio finale della legislatura del centrosinistra . Fino a quel momento molte erano state le discussioni. Molte le aspettative, molte le contrapposizioni, ma l’approvazione della legge rappresentò , tra mediazioni e compromessi, un atto dovuto alla comunità slovena, il riconoscimento di quei diritti che. presenti nella Costituzione, pur ricordati in molti atti giuridici non erano ancora normati .La legge così fu salutata con soddisfazione non solo dai cittadini di lingua slovena ma anche da tutti quelli che, sinceramente democratici, auspicavano una convivenza finalmente serena e rispettosa della culture storiche di questa città. Così il Centro Italo-Sloveno e il Comitato Pace Convivenza “Danilo Dolci” hanno organizzato una tavola rotonda Mercoledì 18 alle ore 17.45 per riflettere sui 15 anni trascorsi dall’emanazione e sugli aspetti culturali positivi di questa legge, sui pregi e i suoi limiti. La tavola rotonda si terrà nella sede di via Valdirivo 30 dove, dagli anni ‘70, l’Ente Italiano per la conoscenza della lingua e della cultura slovena cominciò a proporre le lezioni di lingua e cultura slovena agli italiani e dove nel 2001 il senatore Camerini la presentò prima ancora della promulgazione. Coordinata dal prof. Pirjevec vi parteciperanno lo stesso prof. Camerini,il senatore Milos Budin, il Presidente regionale SKGZ Rudi Pavsič, il presidente regionale SSO Walter Bandelj, il prof. Samo Pahor, il senatore Stojan Spetič.

Altre informazioni:

http://www.fiscooggi.it/analisi-e-commenti/articolo/tutela-della-minoranza-slovena-un-percorso-legislativo-e-culturale

http://www.camera.it/parlam/leggi/01038l.htm

http://lexview-int.regione.fvg.it/fontinormative/xml/xmlLex.aspx?anno=2007&legge=26&ART=000&AG1=00&AG2=00&fx=lex




(english / italiano)

Panturchìa / 1
Poverini i Tartari di Crimea!


1) LINKS
2) Le milizie islamiche, alleate con i ceceni, aiutano l'Ucraina nella guerra contro i ribelli (A.E. Kramer – 7 luglio 2015)
3) Ucraina: da una guerra all'altra (F. Poggi, 28 Dicembre 2015)
4) Kiev: guerra al Donbass e regali alla Turchia (F. Poggi, 8 aprile 2016)
5) Scenario jugoslavo per l’Ucraina della junta golpista? (F. Poggi, 9 aprile 2016)
6) Ucraina: bombe al Donbass e onori al Medžlis dei tatari (F. Poggi, 15 maggio 2016)
7) Ucraina: campi di addestramento ISIS a Mariupol (di F. Poggi, 16 maggio 2016)


=== 1: LINKS ===

Altre letture consigliate (in ordine cronologico inverso):

L’isteria antirussa si sposta sulle canzoni (PTV news 16 maggio 2016)

Eurovision Song Contest 2016, vince l’ucraina Jamala con brano antirusso (di Domenico Naso | 15 maggio 2016)
Sono solo canzonette? Nossignore. L’Eurovision Song Contest, il festival europeo della canzone, è molto di più. Lo sapevamo già, ma l’edizione di quest’anno, conclusasi ieri sera a Stoccolma, lo ha dimostrato una volta di più. Ha vinto l’Ucraina con la cantante Jamala e il suo brano 1944. Un testo forte, storicamente e politicamente potentissimo. Nella canzone si parla, infatti, delle deportazioni dei tatari di Crimea ordinate da Stalin in Ucraina... Ma l’Eurovision Song Contest, dicevamo, è anche e soprattutto politica. Così come è alleanze tra paesi vicini o tradizionalmente amici, blocchi interi di nazioni che si votano a vicenda...

Erdogan mostra il dito medio all’Europa (MK Bhadrakumar – Indian Punchline 7 maggio 2016)
L’impatto della mossa del presidente turco Recep Erdogan per sostituire il primo ministro Ahmet Dautoglu, si fa già sentire nelle cancellerie occidentali segnalando lo scenario di un divorzio acrimonioso tra Ankara e l’Unione europea... La decisione di rimuovere Davutoglu è il campanello d’allarme sulla Turchia che prosegue la politica estera che Erdogan ha sempre favorito, il ‘neo-ottomanismo’... 

La Crimea in mano a Kiev, perno del complotto turco-ucraino (di Fabrizio Poggi, 21 marzo 2016)
La dichiarazione congiunta sul rafforzamento della partnership strategica tra Turchia e Ucraina – in particolare: sostegno tecnico militare e missilistico ucraino alla Turchia, creazione di una zona di libero scambio, attrazione di capitali turchi nelle privatizzazioni ucraine, collaborazione energetica e questione della Crimea – sottoscritta ad Ankara da Petro Porošenko e Recep Erdoğan lo scorso 9 marzo, viene da lontano... a ridosso della visita c’erano state le manovre congiunte turco-ucraine nel mar di Marmara, con la fregata ucraina “Ghetman Sagajdačnyj” e la nave appoggio “Balta” che erano poi rientrate a Odessa con un carico d’armi valutato a oltre 800mila $...

La Turchia corre in soccorso dei fascisti ucraini (di Luis Carapinha, da “Avante!”, settimanale del Partito Comunista Portoghese – 19 Marzo 2016)
La Turchia e l'Ucraina si sono impegnate a rafforzare la sicurezza nel Mar Nero e, secondo Poroshenko, Ankara appoggerà Kiev a restaurare la sua giurisdizione sulla Crimea (!). A sua volta, l'Ucraina ha proposto la partecipazione del capitale turco al programma di privatizzazioni su larga scala annunciato per il 2016...

La ripicca di Erdogan contro Putin: la Turchia regala attrezzature militari all’Ucraina (di Eugenio Cipolla, 8.3.2016)
Domani il presidente ucraino Petro Poroshenko si recherà in visita ufficiale in Turchia...

Ucraina. Le mire di Kiev sulla Crimea (di Fabrizio Poggi, 29 Febbraio 2016)
... Gruppi mobili di sabotatori stanno passando dal blocco economico della Crimea (...) al terrore aperto verso gli abitanti della regione di Kherson, confinante a ovest con la penisola, eletta al ruolo di avamposto dal medžlis dei tatari dopo la fuga dalla Crimea. Avamposto in cui il battaglione  musulmano “Noman Čelibidžikhan” (primo Mufti dei musulmani di Crimea, che avversò il potere sovietico) si va rimpinguando per l'afflusso di “gruppi radicali da tutto il mondo” e i lauti sostegni in armi del governo di Ankara. A detta del vice premier della Crimea, Ruslan Bal'bek, nel battaglione ci sarebbero ben pochi tatari e quasi solamente mercenari stranieri, per lo più dell'Isis. Secondo EurAsia Daily, la spina dorsale del battaglione sarebbe composta da islamisti dei “Lupi Grigi” fuggiti dalla Siria, insieme a elementi provenienti dall'Africa settentrionale e da altre parti del mondo...

L'Ucraina tra ricambi ai vertici di governo e necessità della guerra (di Fabrizio Poggi, 16 Febbraio 2016)
... negli ultimi giorni si sono fatte più ricorrenti le voci di una stretta collaborazione tra gruppi terroristici (e anche servizi segreti) turchi e il medžlis dei tatari di Crimea, in maggioranza sunniti-hanafiti. Dopo le passate dichiarazioni su corsi di sabotaggio e campi di addestramento sul territorio ucraino organizzati per il medžlis da istruttori turchi, ora circolano con insistenza indiscrezioni - ne ha parlato ieri LifeNews - sulla preparazione di azioni diversive in Crimea sotto la diretta supervisione dei “Lupi grigi” turchi, implicati anche nell'abbattimento dell'aereo di linea russo A321 sopra l'Egitto nell'ottobre scorso e utilizzati da Erdogan nella repressione dei curdi...

Hundreds of Subversives Speaking Turkish, Arabic Infiltrate Donbass - DPR (Sputnik 31.12.2015)
Around 300 of Turkish- and Arabic-speaking mercenaries arrived in the city of Mariupol under Ukraine's control, the Donetsk People's Republic military reported citing locals...
http://sputniknews.com/europe/20151231/1032556958/turkish-arabic-mercenaries-ukraine.html

Ucraina e Turchia creano la Brigata internazionale musulmana (Reseau Voltaire, 4/8/2015)
Riunitosi presso l’hotel Bilkent di Ankara (Turchia) il 1° agosto 2015, sotto la presidenza congiunta del ministro degli Esteri ucraino Pavlo Klimkin, e del viceprimo ministro turco Numan Kurtulmus, il secondo Congresso mondiale dei Tartari ha accolto più di 200 associazioni...
http://www.voltairenet.org/article188369.html

Cold War Images (GFP 2014/03/12)
... another group drawing attention in the Crimean context are the Crimean Tatars. This 280,000-member Islamic minority also has a Salafist wing, some of whose activists have combat experience from the Syrian conflict. One of the Crimean Tartar leaders was quoted with a prognosis that it should be expected that, at least, a few of those with combat experience will attack the Russian troops in the Crimea in the future. “They say: ‘an enemy has entered our land and we are ready’," he is quoted saying. [Tatars warn Russia risks provoking jihadi backlash in Crimea. www.ft.com 09.03.2014.]...

Si vedano anche:

Il prevedibile piagnisteo di Osservatorio Balcani Caucaso – finanziato dalla Commissione Europea – sui poveri Tartari di Crimea:
Crimea: la Russia contro i tatari (Matteo Zola – 6 maggio 2016)
La magistratura russa ha avviato un'azione contro il Mejlis, organo rappresentativo dei tatari di Crimea. Minoranze e diritti nel post annessione...

I nostri post precedenti sull'intromissione turca nella questione ucraina:
Islamisti servi della NATO, dalla Cecenia all'Ucraina (JUGOINFO 22.7.2016)
Towards A New War Of Crimea (Verso una nuova Guerra di Crimea – JUGOINFO 30.11.2015)

Alle radici delle tendenze regionaliste e micronazionaliste dell'Europa germanica:
EUROPA: UNIONE E DISGREGAZIONE


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Le milizie islamiche, alleate con i ceceni, aiutano l'Ucraina nella guerra contro i ribelli

Andrew E. Kramer – 7 luglio 2015

Mariupol, Ucraina. Vestito con una tuta mimetica,con una folta barba sale e pepe fluente sul petto e un coltello da caccia prominente dalla cintura, l'uomo è una figura temibile nel ristorante quasi deserto. I camerieri si aggiravano con apprensione nei pressi della cucina e cercavano il più possibile che l'uomo che si fa chiamare il Muslim, un ex signore ceceno della guerra, non li chiamasse per chiedere ancora del tè. Anche per uomini induriti da più di un anno di guerra contro i ribelli, l'apparire dei combattenti islamici, per la maggior parte ceceni nelle città di confine, è sempre qualcosa di particolare e per qualche ucraino, essi sono benvenuti.“Ci piace combattere i russi” ha detto il ceceno che si è rifiutato di dire il suo vero nome,”Li abbiamo sempre combattuti”.

Comanda una delle truppe di volontari islamici di circa trenta unità in totale che combattono ora nell'Ucraina dell'est. I battaglioni islamici vengono distribuiti nelle zone più calde che è poi il motivo per cui il ceceno era qui.La guerriglia si sta intensificando vicino a Mariupol, porto strategico e zona industriale che i separatisti hanno a lungo occupato. Monitoraggi dell'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, dicono di aver visto spedizioni notturne quotidiane di equipaggiamento militare russo sulla linea ferroviaria a nord di qui.Isa Munayev ha aiutato a reclutare combattenti musulmani ceceni ed è stato ucciso a febbraio, ha detto un altro leader.

L'esercito ucraino, sbandato e senza fondi, è stato in gran parte inefficace. Così gli ucraini considerano ben accetto anche il sostegno che giunge dai militanti islamici provenienti dalla Cecenia. “Sono su questo fronte da ventiquattro anni a questa parte, dal periodo del crollo dell'Unione Sovietica” ha detto il ceceno.“La guerra per noi non è mai finita. Non abbiamo mai disertato dalla guerra contro la Russia e mai lo faremo”.

I comandanti ucraini temono che i gruppi separatisti progettino di occupare le strade di accesso a Mariupol e di assediare la città che, prima della guerra, aveva una popolazione di circa mezzo milione di abitanti.Per contrastare questo pericolo, il governo ha pensato di fare affidamento su un assortimento di forze paramilitari della destra e sulle milizie islamiche per la sua difesa. Il ceceno comanda il gruppo dello sceicco Mansur, che prende il nome da un figura della resistenza cecena del diciassettesimo secolo. E' subordinato a Pravy Sector, una milizia estremista ucraina. Né il gruppo dello sceicco Mansur né Pravy Sector sono incorporati nella polizia ufficiale o nelle forze militari, e le autorità si rifiutano di dire il numero di ceceni che combattono nell'Ucraina dell'est. Sono tutti volontari. Oltre ad un nemico, questi gruppi non hanno molto in comune con gli ucraini o, per quello che conta, con gli alleati dell'Ucraina in occidente, Stati Uniti compresi. Pravy Sector, per esempio, durante lo scorso anno, ha dato vita a forme di protesta in strada a Kiev, con una mezza dozzina di gruppi nazionalisti marginali come il “Martello Bianco” e il “Tridente” di Stepan Bandera. Un altro, il battaglione Azov è apertamente neonazista e sventola il gancio del lupo, simbolo associato con le SS. Senza affrontare la questione del simbolo nazista, il ceceno ha detto che va d'accordo con i nazionalisti perché, come lui, amano la propria patria e odiano i russi.

Per cercare di rafforzare le abilità delle forze regolari ucraine e ridurre la dipendenza di Kiev da questi paramilitari ai confini della legalità, l'esercito degli Usa sta formando la guardia nazionale ucraina. Agli americani è specificatamente proibito dare dritte ai membri del gruppo di Azov.

Dalla guerra in Afghanistan del 1980, Mosca ha accusato gli Usa di incoraggiare i militanti islamici a combattere la Russia lungo il suo confine più vulnerabile, quello meridionale, una politica che potrebbe abilmente risolvere due problemi, da un lato, contenere la Russia, dall'altro distrarre i militanti dagli Usa. Il leader ceceno R.Kadyrov  ha accusato il governo georgiano filoccidentale di infiltrare radicali islamici nel Caucaso del nord.

In Ucraina, le unità di Dzhokhar Dudayev e Sheikh Mansur, sono per lo più formate da ceceni, ma includono musulmani da altre aree di confine sovietiche come Uzbekistan e Balkars. La terza unità, la “Crimea”, è in prevalenza composta da tatari crimeani. Lungo il fronte, circa sette miglia ad est, le truppe si muovono speditamente in auto civili, e con i fucili AK-47 sparano dai finestrini, mentre l'esercito regolare è collocato in una linea secondaria di trincee di difesa. I ceceni, a detta di tutti, sono soldati di valore. I comandanti ucraini sponsorizzano le loro abilità come cecchini ed esploratori, dicendo che scivolano nella terra di nessuno per pattugliare e fare agguati. I ceceni sono rinomati per le loro imboscate e per i raid. Nell'intervista, il comandante ceceno ha detto che i suoi uomini amavano combattere con poco equipaggiamento protettivo. “Questo è il nostro modo di guardare a lui” ha detto, “Noi crediamo in Dio così non abbiamo bisogno di protezioni”.

Nell'intervista al ristorante bisteccheria, locale preferito frequentato da Pravy Sector,  il ceceno ha detto di avere all'incirca 45 anni, di aver combattuto contro la Russia in entrambe le guerre cecene e di aver visto una buona quantità di violenza. Quando parla di combattere, i suoi occhi diventano scuri e imperscrutabili. Per gli ucraini, la decisione di aprire tranquillamente il fronte a figure come il ceceno, che arrivano qui dall'Europa e dall'Asia centrale,  ha il significato di avere uomini agguerriti al loro fianco. Il ceceno aveva vissuto in Francia e fondato i “battaglioni ceceni” lo scorso autunno con Isa Munayev, un emigrato dalla Cecenia che viveva in Danimarca. Munayev, ha detto il ceceno, aveva ricevuto l'approvazione da membri di alto livello del governo ucraino, ma non c'era niente di scritto, ha detto, aggiungendo che Munayev è stato ucciso in battaglia lo scorso febbraio.

Sebbene religiosi, i gruppi ceceni dell'Ucraina orientale si ritiene aderiscano al ceppo  più estremista del movimento separatista ceceno, secondo E.S., un'esperta internazionale della Cecenia. Le autorità francesi, che conoscono bene l'estremismo islamico, radicato nelle loro comunità di immigrati, hanno arrestato quest'anno due membri del battaglione dello Sceicco Mansur con l'accusa di appartenenza ad un gruppo estremista dello stato islamico, ha detto il ceceno. Quest' ultimo ha negato che i due fossero membri di questo gruppo. “E' utile per l'Europa che combattiamo qui come volontari. Ma non tutti lo capiscono.”

 

Da NYT - Traduzione di Alice L. per CISNU-civg.it



=== 3 ===


Ucraina: da una guerra all'altra

di Fabrizio Poggi, 28 Dicembre 2015

Che l'involuzione ucraina, a partire dal golpe del febbraio 2014, si inserisca nella strategia USA e Nato di accerchiamento delle frontiere russe, ormai nemmeno i media più scopertamente atlantisti si preoccupano di negarlo. Che, in questo quadro, il terrorismo di stato attuato da più di un anno e mezzo dai golpisti di Kiev nei confronti di quella parte di popolazione ucraina che ha deciso di non sottostare alle scelte ultranazionaliste e apertamente fasciste del governo, sia quotidianamente ripetuto dalle più alte istituzioni del paese - anche questo non ha più bisogno di essere dimostrato: i protagonisti stessi ce ne danno testimonianza diretta.

E così, se le vittime civili del Donbass, che si avvicinano ai diecimila morti ufficiali, continuano ad accumularsi anche nei giorni di tregua, la Rada di Kiev non interrompe i propri spettacoli nemmeno in prossimità delle feste di fine anno. Mentre due civili cadevano sotto i proiettili di mortaio nel rione Zajtsevo della città di Gorlovka, nella DNR, i deputati della Rada proseguivano nella loro esternazione della “dialettica parlamentare”, intesa alla maniera degli squadristi che, all'esterno della propria cerchia, massacrano i civili e, all'interno, danno prova di reciproca “tolleranza democratica”. Si va così dall'epiteto di “prostituta”, affibbiato dall'oligarca Kolomojskij all'ex premier Julia Timošenko; a “qui i minorati mentali sono tanti”, con cui il premier Jatsenjuk ha valutato parte dei colleghi parlamentari, dopo esser stato tirato giù dalla tribuna, agguantato per i santissimi; all'orecchio morso da un deputato a un attivista non militare del battaglione neonazista “Azov”; al “cane senza museruola” di cui ancora Kolomojskij ha onorato il governatore yankee di Odessa, Mikhail Saakašvili; e così via, fino ad arrivare all'ultima signorile uscita del leader del Partito Radicale Oleg Ljaško, che ha dato di “bestie” ai altri deputati del Blocco presidenziale. D'altronde, questo è il minimo, per chi legalizza dagli scranni parlamentari il massacro della parte della propria popolazione rea di parlare un'altra lingua: evidentemente, il linguaggio alla Rada, è innalzato oggi a dialetto ufficiale dell'Ucraina “europeista”. Come stupirsi quindi che, nelle zuffe tra ladroni, addirittura il Ministro degli interni Arsen Avakov – quello del bicchier d'acqua tirato in faccia a Mikhail Saakašvili – valuti le possibilità di una “terza majdan”, affidata alle faide tra blocchi oligarchici.

E' questo “parlamento”, dunque, che rinnova e “legalizza” le quotidiane violazioni della tregua nel Donbass. Ieri due civili sono rimasti uccisi sotto i colpi ucraini nel rione di Zajtsevo, alla periferia di Gorlovka, allorché le truppe di Kiev hanno impiegato, “per la prima volta da 10 giorni”, come riferiscono alla DNR, artiglierie pesanti da 152 mm e mortai da da 82 e 120 mm, anche contro il villaggio di Kominternovo. Nella stessa aerea di Kominternovo, alla vigilia erano finiti sotto i tiri di cecchini ucraini anche gli osservatori Osce, della Commissione mista di controllo sul cessate il fuoco e una troupe televisiva di “Rossija-24”. Complessivamente, dalla DNR si sono denunciate una ventina di violazioni al cessate il fuoco da parte ucraina nella sola giornata del 26 dicembre, con l'impiego di mortai pesanti, carri armati e mezzi blindati. Oltre a Kominternovo e Zajtsevo, sarebbero stati colpiti i villaggi di Žabunki, Železnaja Balka, Lozovoe, Staromikhajlovka, Spartak e l'area dell'aeroporto di Donetsk.

Quindi, non appare nulla più che una nota di “cristiana indulgenza” la notizia secondo cui l'ex leader di una delle organizzazioni neonaziste più agguerrite – e più reclamizzate a ovest delle frontiere ucraine – “Pravyj sektor”, Dmitro Jaroš, di voler abbandonare il battaglione per dar vita, insieme a un gruppo di seguaci, a una formazione nazionalista a suo dire “meno radicale”. Parole non più che parole: da tempo gli sponsor occidentali della “democrazia” ucraina hanno cominciato a lamentarsi della poca “presentabilità” dei battaglioni neonazisti; dunque, per continuare a ricevere gli aiuti così necessari, è evidentemente tempo, per essi, di cambiar facciata. “Io e la mia squadra usciamo dal movimento Pravyj sektor”- definito sfacciatamente da Jaroš “di liberazione nazionale” (!) - “che ha esaurito la propria missione. Il nazionalismo deve avviarsi verso una nuova tappa, in opposizione al potere. Cominciamo a costituire un nuovo movimento politico, senza radicalismo e senza demagogia liberale”, ma coevo ai gangli politici e militari governativi. D'altronde, questo è anche un sicuro modo per poter partecipare in forma diretta a tutta quella serie di manovre militari Nato cui nei giorni scorsi Petro Porošenko – cui la Gallup accredita non più del 17% di consensi, contro il 47% di un anno fa - ha dato luce verde con la delibera di ammissione di soldati stranieri sul territorio ucraino nel 2016 per le manovre dell'Alleanza atlantica.

E, sempre sul fronte delle alleanze esterne, uno degli organizzatori del blocco della Crimea, il tataro-ucraino Lenur Isljamov, ha dichiarato che il Ministero della difesa turco sarebbe in procinto di assicurare il proprio aiuto per la formazione di un battaglione volontario per la “riconquista della Crimea”. Primo compito del battaglione, ha detto Isljamov, sarà quello della “difesa dei confini crimeani all'interno stesso della Crimea”; quindi “porteremo colpi in punti nevralgici che solo noi conosciamo” e con l'ausilio di “piccole imbarcazioni attaccheremo le navi che portano merci in Crimea”.

Come ha dichiarato oggi il consigliere presidenziale russo Grigorij Ighnatov, Ankara spinge Kiev a una nuova avventura. Questo fantomatico battaglione tataro-ucraino servirà non solo al blocco della Crimea, ma ad azioni di sabotaggio in territorio russo, soprattutto nella regione di Kherson. Più specificamente, il primo battaglione “Crimea” servirà per assicurare il blocco della penisola; il nuovo, denominato “Noman Čelebidžikhan” (il nazionalista tataro morto nel 1918 combattendo contro il giovane potere sovietico) sarà destinato ad azioni di sabotaggio e al terrorismo ai danni della popolazione della regione di Kherson, come avvenuto anche lo scorso 25 dicembre nel villaggio di Kalančakh.


“Cominciare una guerra era facile; penoso assai terminarla”, vien da ripetere come al tempo delle guerre di Roma contro Giugurta.  


=== 4 ===


Kiev: guerra al Donbass e regali alla Turchia

di Fabrizio Poggi, 8 aprile 2016

Colpi di mortaio e artiglierie ucraine si sono di nuovo abbattuti la notte scorsa sulla periferia di Donetsk, in particolare nell’area di Dokučaevsk, a sud del capoluogo della DNR. La sera precedente, a essere colpito dai tiri ucraini era stato il villaggio di Spartak, a nord di Donetsk. E’ ormai oltre un mese che le forze di Kiev martellano giorno e notte i centri abitati posti lungo la linea di demarcazione con le milizie popolari, in quell’area cuscinetto che, secondo gli accordi del “Minsk-2” del febbraio 2015, dovrebbe essere sgombra da armi pesanti, allontanate a oltre 30 km dal fronte e invece provocatoriamente riportate in linea dalle forze ucraine.

Non ha difficoltà il leader della Repubblica popolare di Donetsk, Aleksandr Zakharčenko, a dichiarare che la soluzione pacifica del conflitto nel Donbass è stata congelata, prima ancora di prendere il via. “Non viene rispettato nemmeno il primo punto degli accordi, quello sul cessate il fuoco”, ha dichiarato Zakharčenko; “gli altri punti, o non vengono osservati, oppure Kiev finge di applicarli. La ragione è semplice: Kiev spera che, prima o poi, riuscirà a risolvere il conflitto con la forza”. Nonostante tutto, ha detto ancora Zakharčenko, la DNR considera tuttora il lavoro del Gruppo di contatto (la cui ultima riunione si è svolta a Minsk lo scorso 6 aprile) “utile e fruttuoso”. Gli accordi del “Minsk-2” (il primo vertice di Minsk si era tenuto nel settembre 2014) sottoscritti dal cosiddetto “quartetto normanno” – Merkel, Hollande, Putin e Porošenko – avrebbe dovuto costituire non solo la road map del processo di pace nel Donbass, bensì un documento giuridico internazionale, nell’ambito del quale si sarebbero dovuti compiere tutti i successivi passi per il superamento della crisi ucraina, secondo un grafico di interventi per tutto il 2015. E invece, la maggior parte di quegli interventi è rimasta sulla carta; oppure, come nel caso delle armi pesanti (carri armati, artiglierie e mortai di calibro superiore ai 100 mm; sistemi lanciarazzi, ecc.), l’iniziale ritiro a debita distanza è stato seguito dal loro ridislocamento, da parte ucraina, in prossimità del fronte.

In più di un’occasione, gli osservatori Osce – il cui numero, da circa 500, dovrebbe essere ora portato a 800 – controllando i depositi di carri e artiglierie ucraini negli alloggiamenti ufficialmente comunicati, lontani dal fronte, non ve li hanno rinvenuti. Anche il punto degli accordi di Minsk sullo scambio di tutti prigionieri, è rimasto sostanzialmente inattuato. Problematica anche l’attuazione dell’accordo sulla ricostruzione di acquedotti, linee elettriche e ferroviarie, strutture economiche del Donbass, danneggiate o distrutte dalla guerra, il primo passo della quale dovrebbe essere lo sminamento delle zone interessate, che sembra procedere con moltissima difficoltà. Ma, alla base del “congelamento” del processo di pace, è sempre il rifiuto di Kiev di aprire un dialogo diretto con le Repubbliche popolari e l’evidente simulazione di addivenire a un accordo sulle elezioni locali nel Donbass e sul suo futuro status politico-istituzionale.

Quanto poco la junta di Kiev sia interessata a qualsiasi soluzione pacifica e miri solo a guadagnar tempo nella questione del Donbass, lo testimonia l’ultimo dei progetti messi a punto per il versante sudorientale dell’Ucraina e che prevede la creazione di un centro autonomo dei tatari di Crimea nella regione di Kherson. Secondo il progetto, quest’ultima si chiamerà d’ora in poi Autonomia nazionale crimeano-tatara e la città stessa di Kherson verrà designata col nome turcofono di Khan-Geray, in onore al sultano che avrebbe liberato la Crimea dall’Orda d’Oro. Secondo Pravda.ru, nella nuova entità si insedieranno circa 200mila turchi-meskhetini; considerando che oggi in Ucraina non vivono più di 10 mila turchi-meskhetini, nota Pravda.ru, “si può parlare di una volontaria svendita di territorio ucraino che verrà così occupato”. Da chi? Ricordando le richieste avanzate da tempo in proposito dal cosiddetto Medžlis dei tatari di Crimea e, più di recente, le richieste di aiuto economico rivolte da Porošenko a Erdoğan, pare che il territorio di Kherson debba andare a garanzia di tali prestiti finanziari e un passo non insignificante sull’espansione turca nella regione. In tale contesto, conclude Pravda.ru e se “il progetto andrà davvero in porto, appare quantomeno ipocrita il duraturo rifiuto di Kiev di concedere l’autonomia al Donbass”, mentre si sta direttamente svendendo a potenze straniere un’altra porzione di territorio ucraino.

A coronare lo stile “democratico europeista” dei golpisti ucraini, un ulteriore episodio sulla strada della “eurointegrazione sui valori della libertà occidentale” perennemente osannati da Kiev: dopo l’assassinio dell’avvocato Jurij Grabovskij, difensore di uno dei due cittadini russi, Aleksand Aleksandrov e Evgenij Erofeev, detenuti in Ucraina dal maggio 2015 con l’accusa di essere esploratori del GRU, l’intelligence militare russa, la notte scorsa è andato a fuoco, a Kiev, lo studio del giudice che presiede il caso, Nikolaj Didyk. Casualmente (?), la nuova seduta del dibattimento avrebbe dovuto tenersi oggi; così che ora la loro detenzione potrà ulteriormente protrarsi. Ma questo non tocca certo le preoccupazioni di Petro Porošenko, oggi più che mai impegnato a districarsi tra le nuove ditte offshore (Agroprodimrex Corp., con base nell’area offshore del Delaware, Agroprodimrex Cyprus Limited, Willenhall Traiding Limited, Fairdrook Enterprises Limited, nell’isola di Man e la panamense Ukrprovinvest Holding Limited.) appartenenti a “Ukrprominvest”, che fa capo al povero Petro e che i media ucraini avrebbero scovato, in aggiunta a quelli recentemente pubblicati dal Dipartim… ops!, dal Consorzio internazionale di giornalismo investigativo. I materiali sarebbero stati recuperati da una causa intentata nel 2003 contro Porošenko, quando questi era all’opposizione dell’allora presidente Leonid Kučma. Un altro macigno che incombe sulla testa del Tantalo ucraino.


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Scenario jugoslavo per l’Ucraina della junta golpista?

di Fabrizio Poggi, 9 aprile 2016

A suo tempo, il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon aveva detto che “l’Ucraina non è uno stato, bensì un circondario amministrativo dell’Urss”. La dichiarazione, a suo modo strabiliante, si spiegava col fatto che l’Ucraina, dalla fine dell’Urss, non aveva ancora proceduto a registrare formalmente all’ONU la demarcazione dei propri confini come stato. Giuridicamente, essendo la Russia riconosciuta quale “erede” dell’Urss, il territorio ucraino farebbe parte della Federazione Russa! Di conseguenza, era anche impossibile denunciare qualcuno di violazione delle frontiere ucraine o qualcun altro di separatismo: tutte accuse che, come è noto, la Kiev golpista rivolge tutt’oggi al suo grande vicino orientale e alle milizie popolari del Donbass. Ma questo accadeva nel 2014.

Concretamente, quali sono oggi le frontiere ucraine e da chi – legittimamente o meno, non è questa la sede per stabilirlo – sono minacciate, non solo a est? Paradossalmente, si potrebbe dire che è un bene per la stessa Ucraina che al referendum olandese abbia prevalso il “no” al trattato di associazione alla UE; un trattato che, tra le altre cose, prevede la restituzione agli originari proprietari dei beni posseduti prima della espropriazione. Se le varie pretese territoriali su differenti spezzoni di territorio ucraino dovessero venir riconosciute (ma, dovrebbe essere un Tribunale internazionale a farlo, su istanza di entrambe le entità statali), quanto rimarrebbe di quello che è oggi il più esteso stato europeo, coi suoi 604mila kmq? A partire dai territori settentrionali della Rzeczpospolita polacca, della Galizia – regioni di L’vov, Ivano-Frank, Ternopol – e della Volinja – Lutsk e Rovno – o della Slobožanščina russa, a quelli meridionali del Khanato di Crimea e dell’odierno Donbass e poi quelli orientali dell’Oltrecapazia ungherese.

Cerchiamo di dare un po’ di ordine alla cosa. Come scrive Boris Julin su Nakanune.ru, ad esempio, i Paesi baltici hanno già iniziato a restituire le terre ai legittimi eredi dei vecchi proprietari. Se di cancellazione del passato sovietico si tratta – e chi meglio dei golpisti ucraini può dire qualcosa in tal senso! – allora tutto ciò che l’Ucraina ha ricevuto, per dire, a conclusione della Seconda guerra mondiale, come allargamento dei confini dell’Urss, deve essere restituito. Ma si va anche oltre: il media “Wprost”, cercando forse di dare fondamento alle pretese polacche, menziona come “processo naturale di restituzione” il ritorno della Crimea nella Russia, in base allo status della penisola al 28 giugno 1914. In verità, le pretese polacche potrebbero riguardare anche parte della Bielorussia occidentale; ma per il momento la questione appare più urgente riguardo all’Ucraina, nei confronti della quale non si può non porre l’interrogativo: Kiev pretende che il passato sovietico debba essere cancellato e criminalizzato, oppure pensa che le norme previste per l’associazione alla UE valgano per tutti paesi, meno che per essa? Se si aderisce alla UE, è naturale che se ne accettino le norme e, tra queste, l’art.1 della Convenzione del Consiglio d’Europa del 1950 sulla “Difesa della proprietà delle persone fisiche e giuridiche”! In sostanza, si tratterebbe della restituzione della proprietà sulle terre, ma non, verosimilmente, della cessione di territori; ma, una volta avviato il processo, potrebbe esser difficile fermarlo. Appena pochi mesi fa, il direttore dell’Istituto ucraino di analisi politica, Ruslan Bortnik, ricordava come la destra reazionaria al potere in Polonia guardi all’Ucraina occidentale come alla “propria terra primordiale” e se noi, scriveva Bortnik, “considereremo la liberazione dell’Ucraina nel 1944 come un cambio di occupazione, da tedesca a sovietica, allora i polacchi avranno in mano uno strumento politico assolutamente legittimo per pretendere la restituzione delle loro proprietà nell’Ucraina occidentale”.

L’organizzazione polacca “Restitucija kresov” sta già esaminando oltre mille richieste di restituzione da parte di altrettanti cittadini polacchi, le cui proprietà sono finite in territorio ucraino alla fine della guerra. “L’ingresso in UE significa restituzione”, afferma Igor Pykhalov, così che se a Kiev “negano ogni eredità sovietica, ne consegue che l’ucraina detiene illegalmente i propri territori occidentali”. Ma, la Polonia, non intenterà causa a Kiev per qualche edificio appartenuto agli ebrei o emigrati russi: lo farà piuttosto, scrive Elena Ryčkova su Nakanune.ru, “per Galizia, Volinja e Polesie, vale a dire le attuali regioni di L’vov, Ternopol, Ivano-Frank, Rovno” in cui, a detta delle autorità di Varsavia, i polacchi continuano ancor oggi a esser bistrattati da Kiev. Da tempo, il presidente Andrzej Duda sta chiamando i polacchi a tenersi pronti alla battaglia per le restituzioni, anche se, scrive Pykhalov, molti polacchi avrebbero da ridire nel trovarsi in casa gli eredi delle SS ucraine responsabili del “macello della Volinja” e, comunque, sembrano non rinnegare la vecchia visione degli ucraini quali “schiavi delle campagne”. Sensazionale, scrive ancora Ryčkova, la posizione della Camera di commercio austriaca, secondo cui “l’Ucraina, in quanto stato, dovrebbe autoestinguersi a favore della Russia, a esclusione dell’antica regione della Galizia, che 100 anni fa faceva parte dell’Austria-Ungheria”; posizione che fa imbestialire Varsavia, che ne rivendica la proprietà da tempo più antico.

Più a sud invece, il leader del Medžlis dei tatari di Crimea, Mustafa Džemiliev, si dichiara erede dell’ultimo Khan Šakhin Geraj e pretende da Mosca la restituzione della residenza di Bakhčisaraj, quale condizione per il suo riconoscimento della Crimea russa.

Quindi, più a ovest, la questione verte sulle regioni dell’Oltrecarpazia e della Bucovina: la prima, con la città di Užgorod, appartenuta a suo tempo sia all’Ungheria che alla Slovacchia e che conta ancora forti minoranze ungherese e slovacca – caratteristico l’aneddoto, per cui gli abitanti dell’Oltrcarpazia, sentendosi a tal punto ungheresi, usano l’espressione “andare in Ucraina”. Per quanto riguarda la Bucovina, con la regione di Černovitsi, questa è appartenuta alla Romania fino alal fine della guerra e Bucarest ha più volte dichiarato la volontà di “proteggere” le minoranze rumene sia in Bucovina, sia in Bessarabia settentrionale (Moldavia) che meridionale, la cosiddetta “Bessarabia storica” o Budžak, in cui rientra parte della regione di Odessa.

Tirando qualche somma, all’Ucraina sono appartenute storicamente circa 8 regioni della parte centrale del paese e i territori occidentali, inclusa l’Oltrecarpazia, difficilmente potrebbero pretendere a tale titolo. “Ucraina meridionale, Donbass e Crimea”, afferma Vasilij Stojakin su dnepr.ru “appartenuti all’impero russo, furono donati all’Ucraina socialista dall’Urss. Dunque, chi parla di “occupazione russa o sovietica” dovrebbe essere anche pronto alla revisione delle frontiere ucraine a favore delle altre “vittime” di tali occupazioni”.

E Kiev è stata messa in allarme proprio in questi giorni da un’ennesima ondata di separatismo dell’Oltrecarpazia, i cui rappresentanti regionali, sulla base del disegno di legge sulla decentralizzazione – prevista per il Donbass dagli accordi di Minsk – chiedono la concessione dell’autonomia. Ma, si sa che dal progetto, prima ancora di divenire legge, era già scomparso ogni accenno allo “status speciale” o all’autonomia per il Donbass e, per quanto riguarda l’Oltrecarpazia, il governatore Gennadij Moskal (che nel Donbass occupato da Kiev manteneva l’ordine alla maniera di Stepan Bandera) spedito qui dopo le sparatorie dell’estate scorsa tra Pravyj Sektor ed esponenti delle oligarchie mafiose locali a Mukačevo – l’ungherese Munkácz – è pronto a ricorrere all’intervento dei militari per reprimere ogni velleità autonomista. Ma sembra che debba andare coi piedi di piombo, in una regione che riveste caratteristiche specifiche e che, ad esempio, per vicinanze di clan familiari, si differenzia totalmente dalla pur vicinissima Galizia. Già nel dicembre scorso, un centinaio di cittadine e villaggi dell’Oltrecarpazia avevano annunciato l’intenzione di dar vita a un “rione ungherese separato”, con capoluogo la cittadina di Beregovo, pochi chilometri a sudovest di Mukačevo e vicinissima ai confini ungherese e rumeno. L’iniziativa sarebbe stata appoggiata dalla “Unione degli organi frontalieri autonomi”.

In ogni caso, Kiev non è assolutamente intenzionata a venire incontro alle richieste di autonomia, che vengano dall’est o dall’ovest del paese. Nell’ottobre scorso la Bessarabia meridionale, compresa tra l’estuario del Dnestr e il delta del Danubio, minacciava di mettersi sulla strada del Donbass e della divisione da Kiev. I Gagauzi della Moldavia meridionale e i Bessarabi della regione di Odessa avevano proclamato l’intenzione di dar vita a una Repubblica autonoma di Budžak, la Bessarabia Vecchia, la cui capitale dovrebbe essere Belgorod-Dnestrovsk, l’antica fortezza ottomana di Akkerman. Il “presidente” temporaneo della nuova entità, il colonnello cosacco Aleksej Litvinenko, aveva dichiarato di voler riunire nella “Bessarabia meridionale ucraini, bulgari, gagauzi, moldavi, tsigani, ebrei”, dando vita “a organi provvisori di potere” con elezioni presidenziali, sistema finanziario autonomo e proprie forze armate. Il rappresentante bulgaro al parlamento Europeo aveva dichiarato di appoggiare il diritto del Budžak all’autodeterminazione democratica; i maggiori media rumeni, invece, erano tornati ad agitare il tema del recupero dei territori “storicamente rumeni, ingiustamente persi nei secoli XIX e XX a vantaggio dell’Ucraina occidentale” e avevano ammonito il governo a prepararsi per un probabile intervento in Ucraina per “difendere i territori rumeni di Bucovina settentrionale e Bessarabia meridionale”. L’Ucraina, scrivevano i media rumeni, “è uno stato artificiale, non omogeneo, apparso sulle rovine dell’Urss. Forse che, in caso di molto probabili sconvolgimenti interni, lo stato rumeno non dovrebbe intromettersi, a difesa dei rumeni residenti in Bucovina settentrionale, provincia di Herca, Bessarabia settentrionale e meridionale e, perché no, Transnistria?”.

La Bessarabia – gran parte della quale costituisce il territorio dell’odierna Moldavia e la cui parte meridionale fa parte della regione di Odessa – è rimasta sotto il giogo ottomano dalla metà del XVI secolo ed entrò a far parte dell’impero russo nel 1812, a conclusione della guerra russo-turca.

E proprio alla Turchia sembra invece che Kiev si appresti a “donare” parte del proprio territorio, secondo il progetto per la creazione di un centro autonomo dei tatari di Crimea nella regione di Kherson, in cui si insedieranno circa 200mila turchi-meskhetini, con la svendita ad Ankara, di fatto, di una cospicua porzione di territorio ucraino.

Insomma, tra territori in lotta per l’autonomia, regioni aggredite e massacrate per non aver riconosciuto il golpe banderista del 2014, province rivendicate o pretese da stati esteri, e circondari che la junta putschista non esiterebbe a donare ai propri “correligionari” in camicia bruna, Kiev rischia di ritrovarsi veramente a mendicare la carità della UE, avendo come sfondo uno scenario jugoslavo che non dispiacerebbe forse a USA e Nato.



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Ucraina: bombe al Donbass e onori al Medžlis dei tatari

di Fabrizio Poggi, 15 maggio 2016

Dopo il prevedibile nulla di fatto alla riunione del “Quartetto normanno” per gli accordi di Minsk, continuano i martellamenti delle artiglierie ucraine sui villaggi del Donbass, in particolare, Spartak, Dukačaevska e la periferia di Donetsk ma, soprattutto, sui centri di Sakhanka e Avdeevka, mentre ieri un abitante di Dontesk era rimasto ucciso e altri due feriti per lo scoppio di un’auto nel centro della città. In violazione degli accordi sul cessate il fuoco, le truppe di Kiev fanno uso di artiglierie e mortai da 82 e 120 mm.

Particolare intensità è stata registrata ieri nel bombardamento di Sakhanka, nel sud della Repubblica popolare di Donetsk; il fuoco proveniva dalla linea di Širokino in cui, dallo scorso 8 maggio, le truppe regolari sono state sostituite dal battaglione neonazista “Azov”, che ieri ha sparato oltre 170 colpi di mortaio da 82 mm contro il villaggio. Gli osservatori dell’Osce, giunti sul posto qualche ora dopo il bombardamento, sono stati accolti con urla dalla popolazione, che ha qualificato la loro opera come “beffarda”: “Dove eravate mentre sparavano sulle nostre case?”, hanno inveito gli abitanti? La missione, accompagnata dai rappresentanti del coordinamento russo-ucraino per il cessate il fuoco, non ha fatto altro che verificare i crateri delle esplosioni e gli spezzoni di granata rinvenuti in prossimità delle abitazioni. Il rappresentante russo, colonnello Aleksandr Lentsov, ha detto che l’Osce ha registrato la violazione degli accordi di Minsk (che prevedono il ritiro delle artiglierie dalla linea del fronte) da parte ucraina, constatando inoltre come nel villaggio non siano presenti milizie o reparti armati.

Intanto, Kiev sta procedendo a grandi passi alla realizzazione della sezione di “muro” (terrapieni, trincee controcarro, reticolati, torri di osservazione, mezzi di segnalazione, ecc.) alla frontiera tra la Russia e la parte della regione di Lugansk controllata dall’Ucraina: il “vallo europeo” alla cui costruzione era stato dato il via nell’autunno 2014 dall’ex primo ministro Arsenij Jatsenjuk, che definiva l’opera come il contributo ucraino alla difesa dell’Europa dalla “aggressione russa” – un contributo che dovrebbe risucchiare dalle casse ucraine (cioè UE) oltre 300 milioni di $.

In un modo o in un altro, con le cannonate sul Donbass o con i valli e i reticolati, sembra che l’Europa debba esser grata alle forze armate ucraine per aver fermato l’esercito più potente del continente. Perlomeno, questo è ciò di cui si vanta (non ci azzardiamo a dire che lui stesso lo pensi davvero) Petro Porošenko: “Abbiamo fermato l’esercito più grande del continente, liberato due terzi del territorio del Donbass e creato una potente coalizione mondiale”. Non da ora Porošenko decanta la potenza dell’esercito ucraino (i cui effettivi, nonostante le continue elargizioni occidentali, lamentano la perenne carenza di mezzi e le drammatiche condizioni di servizio) che sarebbe in grado non solo di difendere il proprio territorio, ma l’intera Europa.

E’ così che, in alto, qualcuno ha deciso di compensare tanto sforzo ucraino, relegando al terzo posto (nonostante il voto del pubblico) il concorrente russo Sergej Lazarev e assegnando ieri la palma del 61° Eurovision Song Contest di Stoccolma all’ucraina Jamala, per il motivo “1944”. La canzone, a detta della stessa vincitrice – una tatara di Crimea convinta della “ucrainicità” della penisola – avrebbe dovuto raccontare la vicenda dei tatari di Crimea, deportati il 18 maggio del 1944 per aver disertato in massa dall’Armata Rossa ed essersi schierati con le truppe hitleriane.

Secondo le dichiarazioni della stessa Jamala, il suo intento era in realtà quello di parlare della “annessione russa” della Crimea nel 2014; ma ciò, in base al regolamento del Contest, che non consente riferimenti politici, l’avrebbe automaticamente squalificata. Col parlare invece di uno temi più amati delle “rivelazioni” khruščëviane e dalla “storiografia” liberale, Jamala ha messo insieme un cocktail che tace sull’odierno blocco energetico della penisola da parte di Kiev ed esalta il Medžlis dei tatari di Crimea sponsorizzati dalla Turchia, il cui destino storico è perennemente compianto dai manuali occidentali sulle “repressioni di massa staliniane”.

Sulla vicenda del 1944, lo storico statunitense Carr-Furr ha notato come, contrariamente alla vulgata sul “genocidio etnico” dei tatari di Crimea a causa della loro deportazione in Asia centrale, il trasferimento non solo dei circa ventimila giovani maschi filonazisti disertori, ma della popolazione al completo (oltre 210mila persone), consentì a questa non solo di non scomparire, ma di continuare a svilupparsi, così che, al rientro in Crimea, si era addirittura accresciuta.

Ma, le narrazioni storiche cui ci hanno abituati, come si sa, non hanno l’obiettivo di insegnare qualcosa, bensì quello di servire solo gli interessi del momento.


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Ucraina: campi di addestramento ISIS a Mariupol

di Fabrizio Poggi, 16 maggio 2016

Non da oggi le agenzie di informazione scrivono degli interessi comuni, soprattutto nel settore del transito di prodotti energetici, tra Ucraina e Turchia e, inoltre, delle assonanze ideologiche e delle comuni simpatie filonaziste di Ankara e Kiev, del sostegno che la prima fornirebbe alla seconda e della collaborazione tra “Lupi grigi” e altre formazioni fasciste turche al Medžlis dei tatari di Crimea nelle loro ambizioni di “riconquistare” a mano armata la penisola. Non da ora, è di dominio pubblico il sostegno multilaterale di Ankara alle organizzazioni terroristiche che combattono il governo siriano e, in particolar modo, all’Isis. Nel quadro di tale intreccio di legami perversi, il vice Comandante di corpo delle milizie della Repubblica popolare di Donetsk ha dichiarato oggi che l’intelligence militare della DNR avrebbe scoperto, nell’area di Mariupol, controllata dalle forze ucraine, una base di addestramento di terroristi islamisti provenienti da paesi arabi, che operano anche da truppe mercenarie agli ordini di Kiev. Secondo i dati della ricognizione, a condurre l’addestramento dei nuovi adepti sarebbero direttamente alcuni comandanti dell’Isis e la rotazione dei reparti mercenari avverrebbe mensilmente; dopo di che, gli uomini così formati passerebbero direttamente in Medio oriente, attraverso Ucraina e Turchia. A detta di Basurin, l’arrivo di ogni nuovo contingente è contrassegnato dall’intensificarsi degli scontri.

Proprio negli ultimi giorni, tra l’altro, la situazione al fronte si è aggravata sensibilmente. Secondo le milizie, solo le continue e intense piogge delle ultime settimane, avrebbero ritardato l’offensiva su larga scala che Kiev starebbe pianificando da tempo, con l’impiego di mezzi corazzati. Nella zona meridionale del fronte, la ricognizione della DNR ha verificato la presenza di diversi blindati, camion carichi di proiettili per le artiglierie e per i sistemi razzo “Grad”, oltre una decina di cannoni controcarro “Rapira” da 100 mm.

Ancora Eduard Basurin ha dichiarato che la DNR si attende, da qui al prossimo 22 maggio, una serie di gro

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Hilfstruppen gegen Moskau (I)
 
17.05.2016
BERLIN/KIEW/MOSKAU
 
(Eigener Bericht) - Eine Berliner Regierungsberaterin fordert den Ausschluss Russlands aus dem Europarat. Das Vorgehen der russischen Regierung gegen die Krimtataren und das Verbot ihres Medschlis, einer politischen Organisation, machten es in Verbindung mit anderen Maßnahmen "unmöglich, die russische Mitgliedschaft im Europarat weiterhin zu rechtfertigen", heißt es in einer aktuellen Stellungnahme aus der Stiftung Wissenschaft und Politik (SWP). Die Forderung kommt zu einem Zeitpunkt, zu dem die Krimtataren durch die offene Politisierung des Eurovision Song Contest (ESC) europaweit neue Aufmerksamkeit erhalten. Während ihre Deportation im Jahr 1944 die öffentliche Wahrnehmung beherrscht, gerät ihre NS-Kollaboration, die der Deportation vorausging, in den Hintergrund. Wie Historiker konstatieren, stand 1942 "jeder zehnte Tatar auf der Krim unter Waffen" - an der Seite des NS-Reichs. Krimtataren kämpften mit der Wehrmacht gegen die Sowjetunion, taten sich in der berüchtigten "Partisanenbekämpfung" hervor und lieferten jüdische Nachbarn den NS-Schergen aus. Schon in den 1920er Jahren hatten führende Tataren-Funktionäre anlässlich einer Moskauer Siedlungsmaßnahme zugunsten jüdischer Familien eine "Verjudung" ihrer Wohngebiete beklagt. Exil-Krimtataren stellten sich später, im Kalten Krieg, für Destabilisierungsbemühungen des Westens gegen Moskau zur Verfügung. In jener Tradition steht der Medschlis, der unter den Krimtataren selbst heute durchaus umstritten ist.
"Destruktives Verhalten"
In einer aktuellen Stellungnahme fordert Susan Stewart, eine Osteuropa-Expertin der vom Kanzleramt finanzierten Stiftung Wissenschaft und Politik (SWP), den Ausschluss Russlands aus dem Europarat. Wie Stewart behauptet, habe sich Russland immer wieder eines "destruktiven Verhalten[s] in der Parlamentarischen Versammlung" des Europarats schuldig gemacht - etwa, indem es "Koalitionen" mit "Gruppierungen wie den britischen Konservativen" eingegangen sei. Nun komme erstens hinzu, dass das Land im Dezember 2015 ein Gesetz verabschiedet habe, das es dem russischen Verfassungsgericht erlaube, Urteile des Europäischen Gerichtshofs für Menschenrechte (EGMR) "zu ignorieren, wenn diese der Verfassung der Russischen Föderation widersprechen". Zweitens schreite Russland auf der Krim gegen politische Vertreter der Krimtataren ein und habe im April deren "gewählte Vertretung", den Medschlis, "zu einer extremistischen Organisation erklärt und damit verboten". Stewart erklärt: "Diese Kombination macht es unmöglich, die russische Mitgliedschaft im Europarat weiterhin zu rechtfertigen."[1]
Nur im Hintergrund
Die Forderung aus der SWP kommt zu einem Zeitpunkt, zu dem die Krimtataren und ihre Deportation im Jahr 1944 dank einer offenen Politisierung des Eurovision Song Contest (ESC) europaweit neue Aufmerksamkeit erhalten. In den Hintergrund geraten dabei in der öffentlichen Wahrnehmung die krimtatarische NS-Kollaboration und die erfolgreichen Bemühungen des NS-Reichs, die Minderheit für Ziele der deutschen Außenpolitik zu nutzen.
Zehn Prozent unter Waffen
Unmittelbar nach dem Überfall auf die Sowjetunion, verstärkt gegen Ende 1941, als klar wurde, dass der neue Kriegsgegner nicht - wie noch im Vorjahr Frankreich - in einem "Blitzkrieg" besiegt werden konnte, wurden in Berlin Pläne entwickelt, sowjetische Sprachminderheiten ("Volksgruppen") zur NS-Kollaboration zu bewegen und sie für den Kampf gegen Moskau zu nutzen. Dabei gerieten im Auswärtigen Amt, aber auch im Reichsministerium für die besetzten Ostgebiete unter anderem die rund 200.000 Krimtataren ins Visier deutscher Strategen. Befeuert wurden die Überlegungen durch die Hoffnung, mit Hilfe der Krimtataren die offiziell neutrale Türkei in den Krieg ziehen zu können: Ankara verstand sich als Schutzmacht turksprachiger Minderheiten, unter ihnen die tatarische Sprachgruppe auf der Krim. Das Auswärtige Amt stellte erste Kontakte zu türkischen Generälen her, die für Belange der Tataren empfänglich waren, und im Dezember 1941 vermittelte es zwei krimtatarische Exilpolitiker aus der Türkei zur Planung der Kollaboration nach Berlin.[2] Die NS-Führung zögerte zunächst; ursprünglich war vorgesehen, die Bevölkerung der Krim mitsamt den Krimtataren vollständig zu vertreiben, um die Halbinsel unter anderem mit "volksdeutschen" Südtirolern zu besiedeln und sie ins Deutsche Reich einzugliedern. Weil der Krieg jedoch nicht die erwünschten Fortschritte machte, stimmte Adolf Hitler am 2. Januar 1942 der Rekrutierung tatarischer Soldaten für die Wehrmacht und am 18. Januar der Aufstellung eigener Tatarenformationen zu.[3]
Partisanenbekämpfung
Umgehend begann die Einsatzgruppe D, die zuletzt etwa im Dezember 1941 in einem Massaker in Simferopol (Krim) mehr als 13.000 Menschen ermordet hatte - darunter fast 11.000 Juden und über 800 Roma -, krimtatarische Freiwillige für den Krieg gegen die Sowjetunion zu rekrutieren. In über 200 Ortschaften und fünf Kriegsgefangenenlagern gelang es ihr, 9.225 Tataren zum Kampf an der Seite der Wehrmacht zu bewegen. Weitere 1.632 wurden zu "Tataren-Selbstschutzkompanien" formiert und unter Leitung der Einsatzgruppe D in der berüchtigten Partisanenbekämpfung eingesetzt. Im März war die Zahl der Krimtataren, die sich für den Vernichtungskrieg gegen die Sowjetunion zur Verfügung gestellt hatten, laut Angaben des Historikers Manfred Oldenburg auf ungefähr 20.000 gestiegen. Oldenburg resümiert: "Damit stand jeder zehnte Tatar auf der Krim unter Waffen" - auf Seiten des NS-Reichs.[4] Zwar habe es auch Krimtataren gegeben, "die überhaupt kein Interesse an einer Zusammenarbeit mit den Deutschen hatten", und weitere, die als loyale Sowjetbürger von den Okkupanten "genau so unnachgiebig verfolgt wurden wie die übrigen Feindgruppen auf der Krim", konstatiert Oldenburg. Doch seien die Tataren "trotz der gelegentlich auftretenden passiven oder antideutschen Stimmungen" von der Wehrmacht mehrheitlich "als loyale und antibolschewistische Bundesgenossen angesehen" worden; sie hätten sich insbesondere durch "mutigen Einsatz ... im Kampf gegen die Partisanen" hervorgetan.
Vorzugsstellung
Im Gegenzug gegen die Kollaborationsleistungen gestanden die NS-Besatzer den Krimtataren durchaus eine Sonderrolle zu. So seien "tatarische Volksschulen eröffnet, tatarische Zeitungen und Zeitschriften gestattet und ein nationaltatarisches Theater organisiert" worden, berichtet Manfred Oldenburg; rund 50 Moscheen seien wiedereröffnet worden.[5] Bereits Ende 1941 hätten die Krimtataren eigene örtliche Komitees gründen dürfen - "zur Regelung der Schul-, Bildungs-, Religions- und Kulturangelegenheiten". In der Hoffnung auf umfassendere Selbstverwaltung sei "ein Großteil der Tataren bereit" gewesen, "mit den deutschen Besatzungskräften zu kollaborieren". Ebenfalls Ende 1941 begannen die NS-Okkupanten, Personen russischer Abstammung "im großen Umfang aus ihren Stellungen in Verwaltung und Wirtschaft" zu entfernen und sie "durch kollaborierende Krimtataren" zu ersetzen, schreibt Oldenburg. Durch ihre Vorzugsstellung motiviert, hätten die Tataren begonnen, "vor allem auf die Russen herabzusehen", was wiederum rasch "zu Unruhen unter der slawischen Bevölkerung" geführt habe. Gleichzeitig holten Berliner Stellen Krimtataren zu sich ins Reich, um dort einschlägiges Kontakt- und Hilfspersonal zur Verfügung zu haben. So entstand etwa auf Initiative des Reichsministeriums für die besetzten Ostgebiete eine "Krimtatarische Leitstelle". Noch am 17. März 1945 erkannte das Ministerium zudem ein "Krimtatarisches Nationalkomitee" als offizielle Vertretung der Krimtataren an.[6]
"Jüdischer Bolschewismus"
Begünstigt hat die Kollaboration ein offenkundig starker Antisemitismus unter den Krimtataren. Wie aus Berichten hervorgeht, beklagten diese sich bei der Einsatzgruppe D über Maßnahmen der sowjetischen Regierung aus den 1920er Jahren. Moskau hatte 1924 begonnen, Juden aus ukrainischen und belarussischen Gebieten auf der Krim anzusiedeln. Führungsfunktionäre der Krimtataren protestierten dagegen, klagten über eine angebliche "Verjudung" der Halbinsel - und sprachen sich stattdessen für die Ansiedlung von Tataren aus der Türkei sowie aus anderen Staaten aus. "Antisemitische Gefühle" träten "besonders unter den Tataren offen zutage", hieß es in einem internen Bericht der sowjetischen Behörden, die daraufhin begannen, die Ansiedlungsmaßnahmen mit harter Hand durchzusetzen und den antisemitischen Widerstand zu brechen.[7] Für die Zeit ab Ende 1941 hält Oldenburg fest, "dass viele Tataren den Juden in gleicher Weise wie den Bolschewisten Verachtung entgegenbrachten und sie diejenigen Juden, die sich den Ghettoisierungsmaßnahmen und den anschließenden Massenexekutionen hatten entziehen können, fortlaufend bei der Militärverwaltung denunzierten".[8] Krimtatarische Propagandablätter berichteten von 1942 bis 1944 mit Sympathie etwa von Vorträgen, in denen unter Titeln wie "Die Juden sind die Feinde aller Völker" behauptet wurde, Juden seien "blutdurstige Wilde"; es gelte nun, den "totalen Krieg" gegen den "jüdischen Bolschewismus" führen.[9]
Verbrannte Erde
Den von den Krimtataren unterstützten Deutschen fielen auf der Krim bis zur Befreiung der Halbinsel vom NS-Terror mehr als 200.000 sowjetische Soldaten und Partisanen, 20.500 Militär- und 8.000 Zivilgefangene, 38.000 Juden sowie Tausende Roma zum Opfer. Als die Okkupanten abzogen, hinterließen sie verbrannte Erde - und dankten den Krimtataren die Kollaboration, indem sie rund 80 krimtatarische Siedlungen zerstörten und einen Großteil der Bewohner umbrachten.[10]
Die deutschen Bemühungen, die Krimtataren für außenpolitische Ziele einzuspannen, endeten mit der Niederlage im Zweiten Weltkrieg nicht; die Bundesrepublik setzte sie unter veränderten Rahmenbedingungen und in veränderter Form fort. german-foreign-policy.com berichtet in Kürze.

[1] Susan Stewart: Der Europarat sollte auf Russlands Mitgliedschaft verzichten. www.swp-berlin.org 11.05.2016.
[2] Johannes Hürter: Nachrichten aus dem "Zweiten Krimkrieg" (1941/42). Werner Otto von Hentig als Vertreter des Auswärtigen Amts bei der 11. Armee. In: Christian Hartmann, Johannes Hürter, Peter Lieb, Dieter Pohl: Der deutsche Krieg im Osten 1941-1944. Facetten einer Grenzüberschreitung. München 2009. S. 369-391. Hier: S. 382f.
[3] Manfred Oldenburg: Ideologie und militärisches Kalkül. Die Besatzungspolitik der Wehrmacht in der Sowjetunion 1942. Köln/Weimar/Wien 2004. S. 121.
[4] Ebd., S. 122, sowie: Mikhail Tyaglyy: Antisemitic Doctrine in the Tatar Newspaper Azat Kirim (1942-1944). In: Dapim - Studies on the Holocaust 25/1 (2011). S. 161-182.
[5] Manfred Oldenburg: Ideologie und militärisches Kalkül. Die Besatzungspolitik der Wehrmacht in der Sowjetunion 1942. Köln/Weimar/Wien 2004. S. 120.
[6] Halil Burak Sakal: Germany and Turkestanis during the course of the World War II (1941-1945). Ankara 2010.
[7] Mikhail Tyaglyy: Antisemitic Doctrine in the Tatar Newspaper Azat Kirim (1942-1944). In: Dapim - Studies on the Holocaust 25/1 (2011). S. 161-182. Hier: S. 172ff.
[8] Manfred Oldenburg: Ideologie und militärisches Kalkül. Die Besatzungspolitik der Wehrmacht in der Sowjetunion 1942. Köln/Weimar/Wien 2004. S. 121.
[9] Mikhail Tyaglyy: Antisemitic Doctrine in the Tatar Newspaper Azat Kirim (1942-1944). In: Dapim - Studies on the Holocaust 25/1 (2011). S. 161-182. Hier: S. 170.
[10] Erich Später: Der Dritte Weltkrieg (18). In: konkret 6/2014, S. 22f.



Hilfstruppen gegen Moskau (II)
 
18.05.2016
BERLIN/KIEW/MOSKAU
 
(Eigener Bericht) - Eine in Russland verbotene, von Berlin jedoch unterstützte Organisation der Krimtataren kündigt die Eröffnung offizieller Vertretungsbüros in Brüssel und Washington an. Wie der Medschlis der Krimtataren mitteilt, will er beide Einrichtungen spätestens im Herbst eröffnen; der Brüsseler Repräsentanz messe er besondere Bedeutung bei. Der Medschlis, der in der westlichen Öffentlichkeit gemeinhin als einzig legitimes Gesamtorgan der Krimtataren dargestellt wird, vertritt tatsächlich nur eine Strömung unter den Krimtataren - eine prowestliche -, während eine zweite - eher prorussische - seine Politik seit Jahren dezidiert ablehnt. Die Spaltung unter den Krimtataren geht auf die letzten Jahre des Kalten Kriegs zurück, als ein jahrzehntelanger Parteigänger des Westens, der spätere Medschlis-Vorsitzende Mustafa Dschemiljew, sich für radikale Autonomieforderungen stark machte und einen scharf antirussischen Kurs einschlug. Als Dschemiljew in den 1960er Jahren in der Sowjetunion begann, für krimtatarische Autonomie zu agitieren, und vom Westen unterstützt wurde, um den sowjetischen Gegner von innen heraus zu schwächen, setzten sich Exil-Krimtataren in der Bundesrepublik für dasselbe Ziel ein - die "nationale Dekomposition Russlands", wie es damals hieß. Zu ihnen gehörte der zentrale krimtatarische Kontaktmann des NS-Reichs, der seine Kollaborationstätigkeit nun in der Bundesrepublik weiterführte und ab den 1950er Jahren auch für CIA-finanzierte Organisationen in München arbeitete.
Unruheherde
Die Bemühungen der Bundesrepublik und weiterer westlicher Staaten, insbesondere der USA, die Krimtataren in der Zeit des Kalten Kriegs für außenpolitische Zwecke zu nutzen, mussten von den Bedingungen ausgehen, die die Kollaboration der Tataren mit den NS-Okkupanten von 1941 bis 1944 geschaffen hatte. In Reaktion auf die Kollaboration [1] hatte die sowjetische Regierung die rund 200.000 Krimtataren im Mai 1944 in die zentralasiatischen Regionen der Sowjetunion, vor allem ins heutige Usbekistan, deportieren lassen - unter gräßlichen Bedingungen: Zahlreiche Krimtataren kamen bei der Deportation oder bald danach ums Leben; zuverlässige Angaben über die Opferzahlen liegen dabei nicht vor. Anfang der 1960er Jahre begannen krimtatarische Aktivisten, ein Recht auf Rückkehr auf die Krim für sich einzufordern; damit verbanden sie das Verlangen nach politischer Autonomie. Letzteres wiederum war für die westlichen Mächte interessant. Noch bis in die 1950er Jahre hatten sie zum Beispiel, um Moskau zu schwächen, ukrainische Nationalisten unterstützt, die mit allen Mitteln dafür kämpften, die Ukraine aus der Sowjetunion herauszubrechen (german-foreign-policy.com berichtete [2]). Das Streben der Krimtataren nach Autonomie schien eine Chance zu bieten, nach der Niederschlagung der Unruhen in der Ukraine durch die sowjetischen Behörden einen weiteren Herd der Instabilität im Innern des gegnerischen Staates zu schüren.
Appelle an den Westen
Eine herausragende Rolle hat in diesem Zusammenhang Mustafa Dschemiljew gespielt, der bis heute eine der wichtigsten Kontaktpersonen der deutschen Außenpolitik unter den Krimtataren ist. Bereits in den Jahren 1961/62 stand er, damals gerade 18 Jahre alt, als einer der Gründer der "Union der Krimtataren-Jugend" in erster Reihe des krimtatarischen Autonomiekampfes, den er verschärfte, nachdem seine Minderheit 1967 in Moskau vom Vorwurf der kollektiven NS-Kollaboration freigesprochen worden war. Mitte der 1970er Jahre ist er der westlichen Öffentlichkeit als Mitkämpfer des sowjetischen Regierungsgegners und Friedensnobelpreisträgers (1975) Andrej Sacharow bekannt geworden; damals machten Berichte über seinen Hungerstreik und über weitere krimtatarische Proteste die Runde. So war Dschemiljew 1974 festgenommen worden, weil er vorhatte, US-Präsident Richard Nixon bei dessen damals kurz bevorstehendem Moskau-Besuch öffentlichkeitswirksam eine Petition zur Lage der Krimtataren zu überreichen - als Appell, Druck auf die sowjetische Regierung auszuüben. 1986 wurde er, zum wiederholten Male in Haft geraten, auf Intervention von US-Präsident Ronald Reagan vorzeitig entlassen. Für die Bemühungen des Westens, einerseits Unruhe in der Sowjetunion zu schüren, andererseits Moskau bei Eintreten der zu erwartenden polizeilich-geheimdienstlichen Gegenwehr auf internationaler Bühne der Repression zu beschuldigen, besaßen Personen wie Dschemiljew eine hohe Bedeutung.
Kontaktmann des NS-Reichs
Dabei haben die westlichen Staaten stets auch versucht, Exil-Krimtataren für ihre Politik zu nutzen - in der Hoffnung, über sie in die Sowjetunion hineinwirken oder sie zumindest für ihre Propaganda einspannen zu können. Zu den einflussreichsten unter den Exil-Krimtataren gehörte der in der Bundesrepublik ansässige Edige Kirimal. Kirimal, 1911 geboren und auf der Krim aufgewachsen, floh Anfang der 1930er Jahre nach Istanbul, wo er Kontakt zu prominenten krimtatarischen Exilpolitikern aufnahm. Ende 1941 gehörte er zu den zwei Exil-Krimtataren, die vom deutschen Botschafter in der Türkei, Franz von Papen, nach Berlin vermittelt wurden, um dort bei der Planung der Kollaboration auf der Krim behilflich zu sein.[3] Kirimal blieb als zentraler Vermittler zwischen dem NS-Regime und den Krimtataren im Reich, führte dort die "Krimtatarische Leitstelle" und wurde kurz vor Kriegsende von seinem vielleicht wichtigsten Berliner Kontaktmann, Gerhard von Mende, zum "Präsidenten" eines "krimtatarischen Nationalkomitees" ernannt [4]. Von Mende arbeitete im Reichsministerium für die besetzten Ostgebiete, zunächst als Leiter des Referats Kaukasien/Turkestan, ab 1943 als Leiter der Führungsgruppe III Fremde Völker; er galt als wohl bedeutendster Stratege einer politischen Nutzung sowjetischer Sprachminderheiten, die er für die NS-Kollaboration zu gewinnen empfahl, um sie als Hilfstruppen für den Kampf gegen Moskau zu verwenden. Nach dem Zweiten Weltkrieg stellte von Mende seine Kenntnisse und seine Netzwerke erneut für den Kampf gegen die Sowjetunion zur Verfügung - diesmal der Bonner Regierung und ihren neuen westlichen Verbündeten.[5]
Nationale Dekomposition
Zu den Personen, mit denen von Mende dabei weiterhin zusammenarbeitete, gehörte der bisherige NS-Kontaktmann Kirimal. Kirimal suchte sich nach dem Zweiten Weltkrieg vor allem als Publizist zu krimtatarischen Themen hervorzutun; seine erste größere Schrift, die er 1952 unter dem Titel "Der nationale Kampf der Krim-Türken" veröffentlichte, promotete von Mende mit einem Vorwort. In einer werbenden Kurzrezension sinnierte Ende 1952 "Der Spiegel", Kirimal rühre "mit seinem Buch an die 'zeitlose' Problematik aller Gegner Rußlands: Wie ist diesem Koloß beizukommen? ... Soll man den 'Moskauer Zentralismus' anerkennen oder die zentrifugalen nationalistischen Kräfte des russischen Raumes fördern?" Kirimal neigte offenkundig der zweiten Lösung zu, ganz wie von Mende. "Kirimals Buch ist von Reichs-Ost-Minister Alfred Rosenbergs Berater, Prof. Gerhard von Mende, eingeleitet", fuhr "Der Spiegel" fort: "Von Mende war (und ist es offenbar geblieben) ein Anhänger der 'nationalen Dekomposition Rußlands', das heißt der Aufteilung des Riesenreichs in eine möglichst große Zahl nationaler Klein-Staaten".[6] Im Sinne dieser Strategie arbeitete von Mendes Schützling Kirimal seit den 1950er Jahren für den CIA-finanzierten Sender "Radio Free Europe" in München, bei dem sich diverse weitere "Volksgruppen"-Aktivisten aus von Mendes Netzwerken tummelten, dann für das ebenfalls CIA-finanzierte Münchner "Institut zur Erforschung der UdSSR" [7], für das er eine Zeitschrift ("Dergi") herausgab. Das antikommunistische Exil, in dessen Kreisen sich Kirimal in München bewegte, umfasste nicht zuletzt ukrainische Faschisten [8] - ein Milieu, mit dem Krimtataren um Dschemiljew jüngst bei der Blockade der Krim erneut kooperierten (german-foreign-policy.com berichtete [9]).
Die Spaltung der Krimtataren
Während Kirimal 1980 starb und den Untergang der Sowjetunion nicht mehr erlebte, konnte Dschemiljew 1989 die offizielle Aufhebung des Rückkehrverbots für die Krimtataren nutzen und sich wieder auf der Halbinsel niederlassen. Auf die damalige Zeit geht eine Spaltung unter den Krimtataren zurück, die bis heute gravierende politische Folgen zeitigt. 1988 gründete einer der bekanntesten Krimtataren-Anführer neben Dschemiljew, Jurij Osmanow, die "Nationale Bewegung der Krimtataren" (NDKT). Während Osmanow und die NDKT sich mit der Rückkehr auf die Krim zufriedengaben und eine gedeihliche Zusammenarbeit mit den anderen Bevölkerungsgruppen dort sowie mit den staatlichen Behörden favorisierten, spaltete sich 1989 unter Mustafa Dschemiljew die radikalere "Organisation der krimtatarischen Nationalbewegung" (OKND) ab.[10] Dschemiljew und die OKND verlangten ausdrücklich völkisch definierte Sonderrechte - eine krimtatarische "Autonomie" - und beriefen, um ihrer Forderung Nachdruck zu verleihen, 1991 auf der Krim einen "Kurultaj" ein, eine krimtatarische Nationalversammlung, die den "Medschlis" wählte, der als krimtatarisches Exekutivorgan firmiert. Während Osmanow und die NDKT - wohl auch wegen des traditionell starken russischen Einflusses auf der Krim - auf gute Beziehungen auch zu Russland nicht verzichten wollten, folgten Dschemiljew und die OKND einem prowestlichen, gegen Moskau gerichteten Kurs. Dschemiljew übernahm 1991 den Vorsitz des Medschlis, Osmanow wurde 1993 unter ungeklärten Umständen ermordet.
Keine Mehrheit mehr
War der Medschlis unter den Krimtataren zu Beginn der 1990er Jahre deutlich populärer als die NDKT, so hat sich dies im Laufe der Zeit geändert. Ende 2010 konstatierten die an der Universität Bremen publizierten "Ukraine-Analysen" einen "sinkende[n] Rückhalt" des Medschlis bei den Krimtataren. "Neue Akteure" seien "auf die politische Bühne getreten", die die "Führungsrolle" des Medschlis nicht mehr befürworteten, hieß es; der Umstand, dass die Organisation ihre "Monopolstellung verloren" habe und "nicht mehr die Unterstützung der Mehrheit der Krimtataren" genieße, werde im Westen "gemeinhin außer Acht gelassen".[11] Die "Ukraine-Analysen" wiesen auf die 2006 aus der NDKT heraus gegründete Partei Milli Firka hin, die "von Anfang an ... eine pro-russische Position" verfochten habe - im Gegensatz zum Medschlis, der sich von der Türkei unterstützen lasse und die Kräfte der Orangenen Revolution gefördert habe. Die Polarisierung unter den Krimtataren hat sich im Laufe der Zeit weiter zugespitzt. Im Mai 2013 - also noch vor dem Beginn der Majdan-Proteste - berichtete die US-amerikanische Jamestown Foundation von kräftig wachsenden Spannungen zwischen den beiden Flügeln.[12]
Strommasten gesprengt
Diese Spannungen sind mit den Majdan-Protesten und der anschließenden Abspaltung der Krim eskaliert. Milli Firka stellte sich gegen die Majdan-Proteste, warb für die Beteiligung am Sezessionsreferendum und befürwortete die Angliederung der Halbinsel an Russland. Der Medschlis unterstützte den Majdan und rief zum Boykott des Referendums auf; Dschemiljew forderte sogar, einen NATO-Einsatz auf der Krim in Betracht zu ziehen.[13] Dschemiljew und der Medschlis kämpfen weiterhin für die Rückgabe der Krim an die Ukraine. Dabei schrecken sie auch vor Gewalt nicht zurück: Im Herbst initiierten Aktivisten aus ihren Reihen gemeinsam mit ukrainischen Faschisten eine Blockade der Krim, in deren Verlauf sie Straßen für den Warentransport sperrten und mit der Sprengung von Strommasten die Stromversorgung auf der Krim lahmlegten; damit fügten sie der Bevölkerung der Krim gravierende Schäden zu (german-foreign-policy.com berichtete [14]). Während die russischen Behörden den Medschlis am 18. April als terroristische Organisation einstuften und ihn deshalb am 26. April verboten, hat die Vereinigung angekündigt, Vertretungsbüros in Washington, "vor allem" aber in Brüssel eröffnen zu wollen [15] - ein deutlicher Hinweis auf ihre Bereitschaft, sich dem Westen noch stärker als bisher als Hilfstrupp gegen Russland andienen zu wollen. german-foreign-policy.com berichtet in Kürze.

[1] S. dazu Hilfstruppen gegen Moskau (I).
[2] S. dazu Zwischen Moskau und Berlin (V).
[3] Johannes Hürter: Nachrichten aus dem "Zweiten Krimkrieg" (1941/42). Werner Otto von Hentig als Vertreter des Auswärtigen Amts bei der 11. Armee. In: Christian Hartmann, Johannes Hürter, Peter Lieb, Dieter Pohl: Der deutsche Krieg im Osten 1941-1944. Facetten einer Grenzüberschreitung. München 2009. S. 369-391. Hier: S. 382f. S. dazu Hilfstruppen gegen Moskau (I).
[4] Ian Johnson: A Mosque in Munich. New York 2010. S. 274f.
[5] S. auch Heimatdienst.
[6] Edige Kirimal: Der nationale Kampf der Krim-Türken. Der Spiegel, 10.12.1952.
[7] Gudrun Hentges: Staat und politische Bildung. Von der "Zentrale für Heimatdienst" zur "Bundeszentrale für politische Bildung". Wiesbaden 2013.
[8] S. dazu Alte, neue Verbündete und Ein Sammelpunkt der OUN.
[9] S. dazu Die Belagerung der Krim (I).
[10] Maximilian von Platen: Die Rückkehr der Krimtataren in ihre historische Heimat. Bundesinstitut für ostwissenschaftliche und internationale Studien: Aktuelle Analysen Nr. 33/1997.
[11] Yuliya Borshchevska: Neue politische Zersplitterung auf der "Insel der Krimtataren". Radikalisierung des politischen Programms? In: Ukraine-Analysen Nr. 84, 14.12.2010. S. 2-5.
[12] Idil P. Izmirli: Growing Sense of Polarization and Escalating Tensions in Crimea Ahead of 69th Anniversary of Crimean Tatar Deportation. www.jamestown.org 17.05.2013.
[13] Dario Thuburn:NATO should intervene in Crimea "before massacre': Tatar leader. uk.news.yahoo.com 13.03.2014.
[14] S. dazu Die Belagerung der Krim (I).
[15] Mejlis representations may open in Brussels, Washington in autumn. www.unian.info 22.04.2016.




San Giorgio Di Nogaro (UD), giovedì 19 maggio 2016
alle ore 21 presso, sala Conferenze di Villa Dora. Piazza Plebiscito - Via Max di Montegnacco

La foiba che non c'è

Conferenza Assemblea Pubblica 
Relatori: Alessandra Kersevan, Claudia Cernigoi, Marco Barone

La foiba che non c'è: strategie e connivenze (con istituzioni e organi di informazione) dei vecchi e nuovi fascismi per denigrare la Resistenza Partigiana e riscrivere la storia a proprio vantaggio e di chi detiene il potere.


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L'Anpi: "La foiba è una montatura, quei morti sono già noti" 

L’Associazione dei partigiani contro le carte di Premariacco: i 42 riesumati sono già pubblici nei nostri libri. Tra i nomi spunta anche quello del partigiano “Nibbio”, decorato della medaglia d’oro 

di Davide Vicedomini, 9 maggio 2016

UDINE. La fossa comune di Rosazzo «è una montatura che si è sgonfiata».
L’Anpi ribatte le accuse dopo che nei giorni scorsi la Lega nazionale aveva svelato il faldone del registro anagrafi di Premariacco.
Nelle carte, infatti, erano spuntati non solo i nomi di 42 morti riesumati nel 1945, ma anche documenti che accusavano degli eccidi i partigiani. «Nel territorio di questo Comune – c’è scritto in una lettera indirizzata dal sindaco di allora – si trovano sparsi nella campagna e sepolte quasi a fior di terra le salme di circa 60 persone in parte sconosciute che furono uccise dai partigiani, perchè ritenute quali spie o collaboratori dei tedeschi»
«Peccato che le uccisioni – precisa l’associazione nazionale dei partigiani attraverso il suo presidente regionale, Elvio Ruffino – siano avvenute in un arco di tempo che va dal 10 ottobre 1943 al 28 aprile 1945, cioè durante l’intera guerra patriottica.
E dei supposti 60 morti, ne risultano riesumati 42, tra i quali 3 cosacchi, 4 tedeschi, 9 rimasti ignoti, 3 della Repubblica sociale, 20 civili e 3 partigiani, tutti nomi, questi, ad eccezione di 3, probabilmente persone residenti, altrove pubblicati tra il 1987 e il 1991, con ricchezza di particolari anagrafici, nell’opera dell’Istituto friulano per la storia del Movimento di liberazione “Caduti, dispersi e vittime civili nei comuni della regione Friuli Venezia Giulia nella seconda Guerra mondiale».
«Errare è umano, perseverare è diabolico – tuona Ruffino contro la Lega nazionale –. Il signor Urizio farebbe bene ad acquistare per evitare ulteriori imprecisioni».
E così tra i nomi uccisi spunta anche quello di Luigino Tandura “Nibbio”, decorato di Medaglia d’Oro e insignito dall’Università di Padova della “Laurea ad Honorem” alla memoria).
Nato a Vittorio Veneto nel 1921, orfano del Capitano degli Arditi Alessandro Tandura (a sua volta insignito della Medaglia d’Oro nella Prima Guerra Mondiale) nel 1942 fu arruolato ed inviato sul fronte russo.
Dal settembre 1943 prese parte alla Lotta di Liberazione nelle file della Resistenza friulana (Brigata “Natisone”, Battaglione “Mazzini”).
Morì partecipando il 28 giugno 1944 ad un’azione contro una colonna tedesca fra Orsaria e Premariacco rimanendo in retroguardia per favorire lo sganciamento dei compagni. Alla sua memoria è stata concessa la Medaglia d’Oro al Valor Militare e l’Università di Padova (ateneo a cui era iscritto) gli conferì la laurea “honoris causa”.
«Per quanto riguarda la “fuorviante e risibile difesa d’ufficio” (come dice Urizio) di Vanni e Sasso – conclude l’Anpi –, questa volta il problema del presidente della Lega nazionale di Gorizia non è più il dilettantismo in campo storico, ma l’amnesia. Infatti nell’articolo dell’11 febbraio 2016 si legge: «Nella cavità naturale, situata nel cuore dei Colli orientali a cavallo tra le province di Udine e Gorizia, sarebbero state gettate nel 1945 tra le duecento e le ottocento persone».
Ad annunciarlo era stato Luca Urizio in occasione del Giorno del Ricordo. Oggi a tre mesi di distanza possiamo dire quegli 800 morti sono una montatura che si è sgonfiata».

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Convegno degli antifascisti sulla foiba di Rosazzo

“La foiba che non c’è: strategie e connivenze dei vecchi e nuovi fascismi per denigrare la Resistenza Partigiana e riscrivere la storia a proprio vantaggio e di chi detiene il potere”, è il tema dell’...

15 maggio 2016

“La foiba che non c’è: strategie e connivenze dei vecchi e nuovi fascismi per denigrare la Resistenza Partigiana e riscrivere la storia a proprio vantaggio e di chi detiene il potere”, è il tema dell’assemblea pubblica organizzata dall’Osservatorio regionale Antifascista Fvg, giovedì 19 alle 21 a Villa Dora di San Giorgio di Nogaro. I relatori di “Resistenza Storica”, Alessandra Kersevan, Claudia Cernigoi e Marco Barone, dibatteranno e «smonteranno» le tesi di Luca Urizio (Lega nazionale) e Ivan Buttignon inerenti la presenza di una foiba a Corno di Rosazzo:
«Sembra che si divertano a riscrivere e ricreare la storia come piace a loro, ma il bello è che gli danno corda». Un tema questo che sta tenendo banco da alcuni mesi e che sta creando non poche polemiche, tanto che l’Osservatorio afferma che «dopo i negazionisti arrivano i creazionisti». (f.a.)

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Sulla squallida "patacca" della non-foiba di Rosazzo si vedano anche gli aggiornamenti precedenti:

FOSSA COMUNE, ESPOSTO DELL’ANPI CONTRO URIZIO (di Davide Vicedomini, 16.4.2016)
Il ricercatore accusato di aver diffuso notizie false. Attacchi al Messaggero Veneto, ma la Procura continua a indagare
SPECIALE AGGIORNAMENTI SULLA FOIBA PERDUTA DI ROCCA BERNARDA (Claudia Cernigoi, 29.3.2016)


FLASHBACKS: 
FOIBE: PROCURA UDINE APRE INDAGINE SU FOSSA COMUNE IN FRIULI (ANSA 18.2.2016)
(ANSA) - UDINE, 18 FEB - La Procura di Udine ha aperto un'indagine sulla possibile presenza di una fossa comune nella zona di Corno di Rosazzo (Udine) dove nel 1945, secondo alcuni documenti emersi nelle scorse settimane, potrebbero essere stati sepolti tra i 200 e gli 800 cadaveri. "Per ora non c'è certezza né che ci sia stato un reato né chi sia l'autore", spiega il Procuratore capo di Udine Antonio De Nicolo che ha avviato un'investigazione preliminare insieme con il Procuratore aggiunto Raffaele Tito "sulla base di alcune notizie di stampa". L'obiettivo della Procura è identificare il sito. Solo all'esito si valuteranno quali altri passi compiere, considerati i numerosi anni trascorsi dai fatti. ''Abbiamo recuperato un'informativa ministeriale, stiamo cercando di acquisire documentazione. C'è qualche accenno fumoso a una precedente indagine di una ventina d'anni fa che verificheremo''.
LA VERITA’ DOCUMENTALE SULLA FOIBA MOBILE DI ROSAZZO
AGGIORNAMENTI PRECEDENTI



(russkij / italiano / srpskohrvatski)

Dan Pobede / День Победы / Giornata della Vittoria

1) Belgrado intitola strade a due ufficiali sovietici che la liberarono / ОСЛОБОДИОЦИМА ВРАЋАЈУ ОТЕТЕ УЛИЦЕ
2) Dan Pobede u Srbiji: linkovi
3) Intervista a Anna Roberti: Il 9 Maggio ricordando i partigiani sovietici caduti in Italia per la liberazione dal nazifascismo


Si veda anche, sui festeggiamenti in Russia:

9 Maggio: si celebra la vittoria sul nazismo (di Fabrizio Poggi, 9.5.2016)
Il 9 maggio la Russia, continuando la tradizione dell’Unione Sovietica, festeggia solennemente la vittoria sulla Germania nazista nella Grande guerra patriottica...
http://contropiano.org/news/internazionale-news/2016/05/09/9-maggio-si-celebra-la-vittoria-sul-nazismo-078880

Парад Победы на Красной Площади 9 мая 2016 года (Россия 24, 9.5.2016)
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=29kcLy37IhY

Victory Day parade on Moscow’s Red Square (RT, 9.5.2016)
PHOTOS: https://www.rt.com/in-vision/342387-victory-day-parade-moscow/


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Belgrado intitola strade a due ufficiali sovietici che la liberarono (di Redazione Contropiano, 10.5.2016)

La municipalità di Belgrado ha annunciato la prossima ridenominazione di due strade cittadine che saranno intitolate a due alti ufficiali sovietici, il maresciallo Fiodor Tolbukhin e il generale Vladimir Zhdanov (nella foto scattata a Belgrado nel 1944), in segno di omaggio e rispetto per il loro contributo nella liberazione di Belgrado dall’occupazione nazista durante la seconda guerra mondiale.
Le strade interessate, riferiscono i media locali, si trovano a Novi Beograd, l’enorme quartiere residenziale al di là del fiume Sava. Strade intitolate a Tolbukhin e Zhdanov già esistevano nel centro della capitale serba ai tempi della Jugoslavia socialista, ma avevano cambiato nome dopo le guerre degli anni novanta e la disgregazione della Federazione jugoslava.

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ОСЛОБОДИОЦИМА ВРАЋАЈУ ОТЕТЕ УЛИЦЕ (Београд – Објављено под Актуелно |  9. маја 2016.)
Правда и истине ипак побеђују! На Дан победе над фашизмом стигла је добра вест из Скупштине Београда да ће херојима из Другог светског рата, ослободиоцима нашег главног града, маршалу Толбухину и генералу Жданову, који су погинули у авионској несрећи на Авали приликом доласка на прославу десетогодишњице слободе, поново бити враћене улице...
http://www.subnor.org.rs/beograd-9

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Прави потез

СЛЕДИТЕ ПРИМЕР БЕОГРАДА!

СУБНОР Србије, традиционална патриотска антифашистичка организација са преко 130.000 чланова и изузетним угледом у низу међународних организација ветерана, са задовољством поздравља најновију намеру Градске скупштине Београда да врати називе улица по именима прослављених ослободилаца из Другог светског рата – маршала Толбухина и генерала Жданова.

Посебно је значајно што се то одлучује у овим мајским данима кад се у прогресивном свету слави 71.годишњица победе над нацистичком окупаторском армадом. Совјетска Црвена армија је хитлеровцима задала коначан ударац у Берлину, а такође је, баш под командом Толбухина и Жаданова, заједно са храбрим борцима наше народноослободилачке и партизанске војске ослобађала део Србије  и главни град. Десет година позније, долазећи на јубиларну прославу слободе Београда, руска делегација је, са двојицом истакнутих војсковођа, настрадала у авионској несрећи на обронцима Авале.

Тиме је судбина маршала и генерала трајно везала за поносни Београд, али су се, на жалост и срамоту, досовске власти грдно огрешиле у реваншистичком трансу одузимајући улице и поништавајући славну прошлост Србије која никад није била на погрешној страни часног човечанства. СУБНОР Србије је указивао и енергично протествовао кад су такви нечасни и штетни потези вучени, указујући каква се опасност по будућност спрема ако се извитоперује истина о Другом светском рату и наша отаџбина гура, због накнадне и накарадне идеологије, у погрешан и губитнички строј.

Поздрављамо иницијативу сваког нашег грађанина, као што је случај са руским херојима. И решеност Градске скупштине Београда да се достојанствено одужи. Чврсто смо уверени да ће истим путем кренути и у осталим местима у Србији, где су се у потоњих десетак година напросто обрачунавали са споменицима и другим симболима времена  које у Европи, али и ван ње, нико од значаја и угледа не ставља под упитник. Србија је храбро и поносно учествовала у сламању хитлеризма, великим доприносом осигурала углед, а тиме и будућност без кривудања.

РЕПУБЛИЧКИ ОДБОР СУБНОР-а СРБИЈЕ


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Dan Pobede u Srbiji: linkovi

МЛАДОСТ КУЈЕ БУДУЋНОСТ (Неготин – Објављено под Актуелно |  12. маја 2016.)
Полагањем венаца и пригодним програмом у централном градском парку у Неготину пред спомен бистама народних хероја у организацији ОО СУБНОР Неготин обележен је Дан победе. Истовремено су овим програмом отворене и „Мајске свечаности Неготина“ поводом Дана општине...

ЧАС ИСТОРИЈЕ ЗА НОВУ ГЕНЕРАЦИЈУ (Врање – Објављено под Актуелно |  12. маја 2016.)
Дан победе у Врању је обележен достојанствено, с том разликом што је главни организатор обележавања ове године био СУБНОР и што је место обележавања, први пут, дислоцирано у оближње село Дубницу, из ког је у партизанима било близу 200 и живот за ослобођење земље дало 22 борца...

ЗЛО НЕ СМЕ ДА СЕ ПОНОВИ (Бор – Објављено под Актуелно |  12. маја 2016.)
Дан победе над фашизмом обележен је у Бору полагањем венаца на Костурницу хероју Црвене армије поручнику Акшајеву испред топионичке капије борског рудника. Венце на споменик палом хероју Црвене армије положили су, са представницима СУБНОР-а Бор, Амбасада Руске федерације у Србији...

ПРАЗНИК У СЛАВУ ПОБЕДНИКА (Шумадија – Објављено под Актуелно |  10. маја 2016.)
Широм Шумадије обележен је празник у славу победе у Другом светском рату. У центру Крагујевца, на гробницу Народних хероја, венце су положиле делегације Војске Србије, Министарства одбране, Скупштине града Крагујевца, СУБНОР-а, Удружења потомака старих ратника 1912 – 1920, Кола српских сестара, Градског одбора СПС и чланови породица погинулих бораца НОВЈ...
ТРАДИЦИЈА СЕ МОРА ЧУВАТИ (Зајечар – Објављено под Актуелно |  10. маја 2016.)
Дан победе над фашизмом 9. мај обележен је у Зајечару полагањем венаца на Костурници, на споменик палим ослободиоцима Зајечара и припадницима совјетске Црвене армије који су погинули у борбама 1944. године. Венце су положили представници делегације амбасада Руске Федерације, Града Зајечара, Команде гарнизона, Полицијске управе, борачких организација, као и учесници и потомци учесника ослободилачких ратова, СУБНОР-а...

ПУТ ЈЕ УВЕК БИО ИСТИ И ПРАВИ (Мајске свечаности – Објављено под Актуелно |  10. маја 2016.)
... Деветог маја, на свечаној академији одржаној у Народном позоришту у Београду поводом Дана победе над фашизмом, у организацији Одбора Владе Републике Србије за неговање традиција...
http://www.subnor.org.rs/majske-svecanosti
ВЕЧНА ЈЕ И НЕСАЛОМИВА СРБИЈА (Мајске свечаности (2) – Објављено под Актуелно |  10. маја 2016.)
На државној свечаности поводом Дана победе над фашизмом у Другом светском рату, у препуној великој дворани Народног позоришту у београду, први говорник био је председник СУБНОР-а Србије Душан Чукић...
http://www.subnor.org.rs/majske-svecanosti-2

БОРБА ЧИСТА КАО СУЗА (Војводина – Објављено под Актуелно |  10. маја 2016.)
У читавој Војводини свечано је обележен Дан победе у Другом светском рату, посебно у Новом Саду, у дворани Дома војске Србије, у којој је одржана свечана академија. О историјском значају велике победе над фашизмом, говорио је потпредседник СУБНОР-а Србије и председник СУБНОР-а АП Војводине Светомир Атанацковић...

УВЕК СМО САМО СВОЈЕ  БРАНИЛИ (Дан победе – Објављено под Актуелно |  9. маја 2016.)
Наша држава, као део победничке антихитлеровске коалиције у Другом светском рату, свечано обележава Девети мај као општи празник борбе са злом фашизма...


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Sui partigiani sovietici in Italia, sul lavoro di Anna Roberti e sulle attività dell’associazione Russkij Mir di Torino si veda anche la documentazione raccolta alla nostra pagina:

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Fianco a fianco. Il 9 Maggio ricordando i partigiani sovietici caduti in Italia per la liberazione dal nazifascismo


A cura di Giacomo Marchetti e Maurizio Vezzosi, 09/05/2016

Furono circa cinquemila i cittadini dell’ex-Unione Sovietica che combatterono al fianco dei partigiani in territorio italiano: di questi oltre quattrocento sacrificarono la propria vita per la Liberazione del nostro paese.
 
Catturati durante l’Operazione Barbarossa, con cui la Germania nazista, l’Italia fascista e i loro alleati aggredirono l’URSS nel 1941, si ritrovarono in Italia con differenti ruoli: come prigionieri, come ausiliari, o come lavoratori dell’apparato bellico del Reich in territorio italiano. Molti di loro riuscirono a fuggire, spesso in maniera rocambolesca, andando ad ingrossare le fila della Resistenza sin dal suo nascere.

Il loro contributo, vista l’esperienza militare acquisita nell’Armata Rossa, e il loro sprezzo del pericolo, fu preziosissimo per l’attività partigiana. Alla luce degli altri partigiani essi incarnavano la prova vivente della possibilità di sconfiggere il nazismo anche in condizioni disperate, come aveva dimostrato la vittoriosa battaglia di Stalingrado.

Nonostante la valenza di questa pagina della nostra storia ed il ricordo conservato nelle zone che ne furono interessate, in un clima di revisionismo sempre più cupo quest’aspetto della Resistenza è stato col tempo rimosso, ed il venire meno dei testimoni diretti di quei fatti, ossia gli italiani che combatterono al fianco dei sovietici, ha contribuito ad indebolirne la presenza tra le maglie della memoria sociale.

Considerando inoltre l’ostilità nei confronti della Federazione Russa e la stigmatizzazione negativa, spesso caricaturale, che ne fa l’Occidente,  si comprende di non poter correre il rischio di consegnare all’oblio una pietra miliare della storia condivisa  dal popolo italiano e dai popoli che di quella che fu l'Unione Sovietica.
Anche quest'anno in occasione del 9 Maggio, l'anniversario della vittoria sovietica sul nazifascismo, l’associazione Russkij Mir di Torino ha celebrato la memoria dei partigiani sovietici sepolti nel Sacrario della Resistenza del Cimitero Monumentale cittadino.

Abbiamo approfittato di questa occasione per intervistare Anna Roberti, storica animatrice dell’associazione Russkij Mir di Torino ed il nipote di Michail Molčanov, – un partigiano siberiano che combatté in Valle d’Aosta – quest'anno presente alle celebrazioni torinesi. Michail Molčanov fece parte della 3ª Brigata Lys, appartenente alla 2ª Divisione Matteotti Valle d'Aosta, la prima banda partigiana attiva nella bassa Valle d’Aosta - Valle del Lys, nota anche come Valle di Gressoney.

Riportiamo in corsivo le domande che abbiamo sottoposto ad entrambi, indicando prima delle loro risposte le rispettive iniziali - A.R. e S.M. -.

Insieme a Marcello Varaldi lei è autrice del documentario “Ruka ob ruku. Fianco a fianco”, documentario che tratta il tema dei partigiani sovietici attivi in Piemonte.
Può darne un sintetico inquadramento?

A.R.: Mauro Galleni, il primo che negli anni Sessanta scrisse della partecipazione dei soldati dell’Armata Rossa alla Resistenza italiana, valutò che in Piemonte essi furono più di settecento ma, ad oggi, un censimento completo non è stato ancora fatto.
Erano dislocati soprattutto nella provincia di Torino - in particolare in Valsusa - , in quelle di Novara e Cuneo, ma anche nell'astigiano, nell'alessandrino e nelle Langhe. Parteciparono alle più importanti azioni, come la battaglia di Gravellona, la difesa della Repubblica dell’Ossola e l’incursione all’Aeronautica di Torino-Collegno dell’agosto 1944 per l’approvvigionamento di armi.
Almeno 60 caddero in combattimento e si distinsero in atti eroici, alcuni furono decorati, come Fedor Poletaev e Pore Mosulišvili, insigniti dallo Stato italiano della Medaglia d'Oro al Valor militare.
Il 25 Aprile 1945 i primi soldati ad entrare nelle città italiane del Nord liberate non furono gli americani, ma i sovietici insieme ai loro compagni.

Con Mario Garofalo ha realizzato il documentario “Nicola Grosa. Moderno Antigone” premio “Memoria storica” al Valsusa Film Festival.
A Grosa ha dedicato anche la sua successiva ricerca: “Dal recupero dei corpi al recupero della memoria. Nicola Grosa e i partigiani sovietici nel Sacrario della Resistenza di Torino”. Perchè?

A.R.: Nicola Grosa, nato nel 1904 in una famiglia torinese operaia e socialista, era entrato nel Partito Comunista subito dopo la sua fondazione; nel 1922 comandava la I Centuria degli “Arditi del popolo” torinesi e scontò alcuni mesi di reclusione per uno scontro con delle squadre fasciste.
Conosciuto come “Comandante Nicola”, durante la Resistenza divenne uno dei principali promotori della lotta partigiana: fu commissario politico della 46ª  Brigata Garibaldi, successivamente della II Divisione d’Assalto Garibaldi. Nel marzo 1945 fu nominato vice-commissario della III zona (valli di Lanzo e Canavese).
Dopo la Liberazione, per ben quindici anni Grosa fu organizzatore e presidente dell'A.N.P.I. provinciale torinese e responsabile della “Sezione Partigiani” presso l’Ufficio assistenza post-bellica della Prefettura di Torino. Fu altresì consigliere comunale comunista di Torino dal 1951 al 1970, quando dovette ritirarsi per motivi di salute.
L’impresa che gli procurò maggiore fama e riconoscenza fu quella che, per anni e anni, lo vide dedicarsi fisicamente al recupero delle salme dei partigiani (italiani e stranieri) sparsi in piccoli camposanti, in montagna, in pianura, sulle colline, ovunque si fosse combattuto, affinché fossero tumulati nel Campo della Gloria e poi nel nuovo Sacrario della Resistenza del Cimitero Monumentale di Torino.
Si ritiene che in tutto le salme da lui recuperate siano circa novecento.
Per quanto riguarda gli stranieri, dai dati in nostro possesso risultano disseppelliti da Grosa e collocati nel Sacrario della Resistenza un inglese, un tedesco, un austriaco, due francesi, due polacchi, due cecoslovacchi, una decina di jugoslavi e una trentina di sovietici, di cui alcuni conosciuti col solo nome di battaglia. Sono inoltre una sessantina i partigiani completamente ignoti che Grosa disseppellì da varie località del Piemonte e non è escluso che anche alcuni di questi resti appartengano a dei sovietici.
Per quest’opera gli fu conferita nel 1964 la “Stella d’oro garibaldina” e anche un’onorificenza da parte del Governo sovietico.
Nicola Grosa morì nel 1978, provato dai lunghi anni trascorsi a raccogliere, a mani nude, i resti di centinaia di compagni partigiani.

L'associazione Russkij Mir, a Torino, oltre a promuovere dal 2005 la celebrazione del 9 Maggio, come sviluppa la propria attività di ricerca e di ricostruzione storica?

A.R.: L’associazione Russkij Mir di Torino, che ho diretto per 20 anni e di cui ora sono Presidente onorario, fu fondata nel 1946 come Italia-URSS, Associazione italiana per i rapporti culturali con l'Unione Sovietica; si occupa di diffondere la lingua e la cultura russa, delle repubbliche ex-sovietiche e dei paesi dell'Est europeo.
Da alcuni anni porta avanti un importante lavoro di “memoria storica” incentrato sul contributo russo-sovietico alla sconfitta del nazifascismo.
Nel 2003, sessantesimo anniversario della Battaglia di Stalingrado, ha partecipato al Concorso internazionale indetto dalla radio Golos Rossii (La voce della Russia) e dalla città di Volgograd-Stalingrado, vincendo il premio speciale della giuria per i contributi scritti dai suoi soci.
Nel 2004, alla vigilia delle celebrazioni del 60° anniversario della vittoria sul nazifascismo, sentendo nominare quasi esclusivamente lo sbarco in Normandia e il ruolo degli alleati anglo-americani, Russkij Mir ha deciso di impegnarsi in un ambizioso progetto che ricordasse, soprattutto ai giovani, i 30 milioni di morti da parte sovietica e il fatto che per tre anni, dal Giugno 1941 - invasione nazista dell’URSS - al Giugno 1944 - sbarco degli anglo-americani in Normandia -, il fronte orientale fu l’unico a sostenere l’impatto delle forze armate naziste e a tenerle impegnate, contrattaccandole in maniera decisiva nell’estate del 1943.
Altri fatti stavano cadendo nell'oblìo ma era necessario che fossero ricordati:  come il notevole contributo dato dai partigiani sovietici alla lotta di Liberazione in Italia,  così come che fu l’Armata Rossa ad "aprire i cancelli" del lager di Auschwitz,
Tra l'Aprile ed il Maggio 2005, quindi, Russkij Mir ha proposto un complesso programma di iniziative sotto il nome di “Pabièda!/Vittoria!”, con la collaborazione di importanti enti e istituzioni italiane e russe.
Dal 2008 Russkij Mir, in collaborazione con il Museo Diffuso di Torino, ha partecipato al "Giorno della Memoria" presentando filmati storici originali dalle serie di documentari "La Grande Guerra Patriottica" di Roman Karmen, in lingua originale con traduzione simultanea.

Sergej Molčanov, qual'è secondo lei il significato che assume attualmente il 9 Maggio per la popolazione della Federazione Russa, e in che modo vengono ricordati i cittadini dell’allora Unione Sovietica che combatterono nella Resistenza in Europa?

S.M.: Il 9 Maggio è una festa di tutto il popolo: quasi in ogni famiglia c’è stato un caduto durante la Seconda Guerra Mondiale, e per questo non verrà mai meno il loro ricordo, così come questa celebrazione. Il 9 Maggio, oltre alla parata militare, in Russia si svolge la sfilata del cosiddetto “Reggimento Immortale”: tutti i parenti dei caduti sfilano in piazza con la fotografia del loro caro morto durante la guerra.

La vicenda di suo nonno è oltremodo significativa. Fatto prigioniero vicino a Mosca, trasferito successivamente in Italia riuscì a fuggire e ad entrare tra le fila delle brigate partigiane. Tornato in Patria dovette passare anche per i“campi di filtraggio” dove veniva verificata l’attività svolta dai cittadini sovietici che erano stati fatti prigionieri. Qual è attualmente il livello di conoscenza di queste vicende nella Russia attuale?

S.M.: Negli ultimi tempi i documenti del KGB che riguardano la storia di quel periodo vengono dissecretati e perciò storie analoghe a quella di mio nonno vengono conosciute e trovano riflesso in pubblicazioni, libri, film, articoli eccetera grazie al lavoro di giornalisti ed opinionisti.

Lei come percepisce il fenomeno del neofascismo in alcune zone dell’ex-Unione Sovietica come gli stati baltici e l’Ucraina?

S.M.: Ne sono colpito molto sfavorevolmente. Il ritorno del fascismo è un colpo inferto ai più profondi valori umani.

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Per approfondire il tema rimandiamo alle pubblicazioni cartacee - e non - a cui si fa riferimento nell'articolo oltre ad alcuni lavori – ed alle loro bibliografie -  che segnaliamo di seguito.

Il libro che per primo ha trattato sistematicamente l'argomento è I partigiani sovietici nella resistenza italiana di Mauro Galleni, edito nel 1967 dagli Editori Riuniti.

Per un inquadramento generale del fenomeno rimandiamo al libro di Marina Rossi: Soldati dell’Armata Rossa al confine orientale 1941-1945. Con il diario inedito di Grigorij Žiljaev, edito nel 2014 da Leg edizioni, ed in particolare al primo capitolo Partigiani sovietici nelle file della resistenza italiana (1943-1945): uno sguardo di sintesi.

Segnaliamo il libro di Michail Talalay, Dal Caucaso agli Appennini. Gli azerbaigiani nella Resistenza italiana, edito nel 2013 da Sandro Teti Editore e I partigiani sovietici della VI zona ligure, edito nel 1975 per conto dell’Associazione italiana per i rapporti culturali con l'Unione Sovietica.
Rimandiamo infine alla recente intervista di Maurizio Vezzosi all'Ambasciatore della Federazione Russa in Italia Sergej Razov pubblicata da L'Antidiplomatico ed al documentario sul partigiano Vladimir Pereladov  “Bello Ciao” realizzato da Valeria Lovkova.

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Fig. 1 - Michail Molčanov
Fig.2 - La dichiarazione del comando militare su Michail Molčanov





Le Tribunal Pénal International pour l’ex-Yougoslavie: essai de bilan



La question des droits de l’Homme n’a pas cessé d’être présentée comme absolument prioritaire dans les relations internationales. Depuis plusieurs décennies, les Puissances occidentales, quelles que soient leurs pratiques politiques, ont affirmé leur quasi-monopole dans le domaine du discours sur la protection et la promotion des droits de l’Homme. La maltraitance politique, civile, économique, sociale et culturelle des individus est pourtant l’un des plus anciens problèmes de l’Histoire. Il n’a jamais été résolu pleinement.

Cette « politique des droits de l’Homme » ne peut être le résultat d’une subite « prise de conscience » : la Charte des Nations Unies, adoptée « au nom des peuples » et la Déclaration Universelle des Droits de l’Homme ont été très antérieures à la mobilisation occidentale en faveur des droits civils et politiques1.

Il en est de même pour le droit humanitaire, c’est-à-dire sur le droit de la guerre sur lequel le C.I.C.R travaille depuis très longtemps, avec un succès limité. L’intérêt renouvelé et même l’enthousiasme « unanime » qu’il suscite depuis quelques années alors que la Charte a retiré aux États le droit à la guerre, interdisant le recours à la force armée, est aussi source de certaines interrogations, alors que se multiplient les interventions armées. Le droit de la paix semble présenter en Occident moins d’intérêt que l’humanisation de la violence armée !

Mais le « temps court » ne permet pas une évaluation rationnelle. Seul le « temps long » révèle les racines de ces phénomènes politiques. Aussi longtemps que les États-Unis (avec par exemple, le Vietnam et diverses interventions en Amérique du Sud) et les États européens colonisateurs (la France en Indochine, puis en Algérie et en Afrique subsaharienne) se croyaient dans l’obligation de combattre les mouvements de libération nationale et d’émancipation des peuples, la question des droits de l’Homme ne pouvait être soulevée. Dès que les États occidentaux n’ont plus eu à faire face à des opérations répressives d’envergure, l’intérêt politique représenté par les droits de l’Homme s’est imposé. Le « droitdel’hommisme » (formule jugée inacceptable par les partisans de l’ingérence en violation du principe de souveraineté) est devenu une arme utile contre le communisme en exploitant les carences démocratiques de l’URSS et de certains États se réclamant du socialisme. De plus, les États-Unis, dotés de tous les moyens financiers et médiatiques pour s’imposer sans nécessairement recourir à la force armée, ont développé de nouvelles stratégies : le « soft power » était en mesure de perturber les régimes politiques qui lui étaient défavorables au point de les changer !

L’affaiblissement de la Russie post-soviétique durant les années 1990 a créé, de plus, des conditions favorables pour le monde occidental. Les ambiguïtés stratégiques de la Chine, axée avant tout sur ce qui lui permet un développement économique rapide, ont permis aussi l’établissement d’une hégémonie idéologique à l’échelle de la planète faisant du modèle politique occidental un idéal absolu, malgré les conditions très spécifiques de son apparition et de son développement depuis le XVI° siècle.

Le discours officiel des puissances occidentales dans les relations internationales (au Conseil de Sécurité, au Conseil des Droits de l’Homme des Nations Unies, dans les rencontres bi ou multi-latérales) semble faire de la protection des droits de l’Homme et du droit humanitaire, partout dans le monde, une préoccupation privilégiée reléguant au second plan les intérêts économiques ou stratégiques que seuls les États moins développés (sous-entendu « moins démocratiques et moins civilisés ») prendraient en charge !

La réalité est autre. « L’enveloppe » humanitaire recouvre les pratiques politiques les plus traditionnelles. Le monde occidental a la volonté évidente de maintenir sa domination, en organisant un « nouvel ordre du monde » selon ses intérêts, même si seuls les États-Unis le proclament ouvertement.

Son activisme pour imposer la croyance en un « nouvel âge de l’humanitaire » séduit l’opinion la moins élaborée : cet apolitisme militant à la coloration éthique dérange peu d’intérêts et exige peu de sacrifices2.

Cet « humanitaire » est mis en avant lorsqu’il s’agit de combattre un adversaire, en Libye ou en Syrie par exemple. Il s’efface lorsqu’il s’agit de ne pas mettre en cause des alliés, comme l’Arabie Saoudite ou le Qatar intervenant au Bahreïn ou au Yémen, ou comme la Turquie, complaisante avec Daesh, mais membre de l’OTAN.

L’« humanitaire » n’a pas non plus sa place lorsque sont développées des stratégies d’embargo contre des États jugés « voyous » ou « terroristes » ou simplement « non démocratiques » ou « non libéraux » par les États-Unis, qui frappent pourtant essentiellement les populations civiles3.

Les ONG militant pour le respect de cet « humanitaire » comme certains juristes occidentaux ne relèvent ni ces discriminations ni surtout le fait que les droits de l’Homme civils et politiques ne se portent mieux nulle part4, en dépit du climat général qui leur semble favorable. Quant aux droits économiques et sociaux, ils se sont dégradés profondément en raison d’un système économique et financier mondialisé animé par des pouvoirs privés transnationaux de plus en plus concentrés toujours davantage en mesure d’exercer leur hégémonie : les États tendent à se transformer en auxiliaires subordonnés travaillant pour des intérêts très éloignés de l’intérêt général.

Ainsi, aucune institution, fut-elle une juridiction internationale, ne peut être analysée « hors-sol », comme si elle n’était fondée et ne fonctionnait qu’en vertu de « valeurs » transcendantes, extérieures aux rapports de forces et détachée de toute stratégie de puissance.

Le Tribunal Pénal International pour l’ex-Yougoslavie, comme les autres tribunaux ad hoc et la Cour Pénale Internationale créée dans son sillage, sont des juridictions politiques. Or, la justice politique a toujours été au cœur des contradictions de chaque moment historique. Au sein de chaque État comme dans l’ordre international.

Dans l’ordre interne français, par exemple, cette justice a été, selon les périodes historiques, plus répressive ou plus libérale. Au début du XIX° siècle, par exemple, l’infraction politique était jugée avec plus d’indulgence que celle de droit commun. La pratique qui avait précédé et celle qui a suivi a été (ont été) plus rigoureuse(s) : l’adversaire politique a été traité comme un ennemi, ce qui est le cas le plus fréquent.

Dans l’ordre international, il en est de même. Le traitement de l’infraction politique varie d’un État à l’autre et d’une période à l’autre. C’est ainsi, par exemple, que les Conventions d’extradition reconnaissent la relativité du crime politique puisqu’il est possible à un État de refuser à un autre une demande d’extradition en raison d’une appréciation unilatérale de l’acte commis. Lorsque devant un afflux de réfugiés, un État, malgré les Conventions internationales, s’en débarrasse sur un autre sans respect pour la procédure du droit d’asile, il manifeste son indifférence au type d’infraction politique dont la répression entraîne la recherche d’un pays d’accueil.

Par contre, la création d’une série de tribunaux pénaux internationaux ad hoc à partir de 1993, couronnée en 1998 par la fondation de la Cour Pénale Internationale s’inscrit officiellement dans le cadre des efforts politiques et diplomatiques pour en finir avec l’impunité des individus responsables de crimes de masse. Cette justice politique internationale s’est directement inspirée par exemple des conceptions strictement libérales : la compétence de ce TPI ne concerne pas les crimes économiques. La fuite des capitaux, l’évasion et la fraude fiscale, par exemple, ne donnent pas lieu au même volontarisme, bien que ces pratiques rendent ineffectifs les droits économiques et sociaux dans la plupart des pays, privés des moyens pour assurer leur développement.

L’existence même de ces juridictions politiques est ainsi l’expression d’un certain contexte politique propre aux années 1990-2000 au sein du Conseil de Sécurité des Nations Unies comme au niveau de l’ensemble de la société internationale. Ces rapports de forces ont d’ores et déjà évolué depuis quelques années : les conditions qui ont présidé à leur naissance n’existent déjà plus avec la renaissance de la Russie et la place croissante de la Chine dans les relations internationales.

Le Tribunal Pénal International pour l’ex-Yougoslavie est la première juridiction créée depuis Nuremberg en 1945, bien que la Yougoslavie « n’ait pas été au hit parade des horreurs commises depuis un demi-siècle », comme le note le professeur belge Éric David5. Cette création effectuée dans une certaine précipitation et dont la mission est en cours d’achèvement présente les traits caractéristiques des rapports de forces dont elle est le fruit. Un premier bilan peut être dressé.

Le TPY exprime la croyance selon laquelle la juridictionnalisation des conflits permettrait leur règlement, mais la guerre s’est prolongée plusieurs années après sa naissance.

Son mode de fonctionnement révèle que sa revendication de totale indépendance n’est pas réelle : le TPY bénéficie seulement (et il ne pouvait en être autrement) d’une autonomie relative vis-à-vis de l’OTAN, elle-même se voulant bras armé de l’ONU, quitte – si possible – à se substituer à elle.

A l’heure où se développent des trafics internationaux en tous genres (notamment celui des armes et des stupéfiants), ainsi que le terrorisme de Daesh (bénéficiant de la complaisance de certains États), et où se creusent des inégalités sociales abyssales entre les peuples et les classes, la jurisprudence du TPY n’a guère d’autre résultat que de jeter un doute sur la Cour Pénale Internationale, créée dans son sillage.

 

1. La confusion juridique originaire du TPY

 

Dans un langage très diplomatique, le Secrétaire Général des Nations Unies, Kofi Annan observe que « la méthode normalement utilisée pour créer un tribunal international » ne l’a pas été pour le T.P.I, chargé de juger « les personnes présumées responsables de violations graves du droit humanitaire international sur le territoire de l’ex-Yougoslavie depuis 1991 ».

La doctrine juridique occidentale est très partagée sur la « constitutionnalité » de cette juridiction créée par le Conseil de Sécurité de l’ONU au regard de la Charte6. Pour certains, l’article 29 autorise le Conseil de Sécurité à créer des organes subsidiaires nécessaires à l’exercice de ses fonctions ; l’analogie est faite avec la création du Tribunal Administratif des Nations Unies par l’Assemblée Générale de l’ONU7.

Pour d’autres juristes, le Conseil de Sécurité n’est pas fondé en droit à créer un tribunal pénal.

Les arguments sont nombreux. Le Conseil de Sécurité est un organe politique et n’a pas compétence judiciaire. « Son but n’est pas de rétablir la justice, mais de rétablir la paix, ce qui n’est pas nécessairement identique à la justice » (H. Kelsen en 1950). Quarante ans plus tard, en 1991, G. Cohen-Jonathan confirme cette position : « l’organe principal (le Conseil de Sécurité) ne peut attribuer à l’organe subsidiaire qu’il crée plus de compétences qu’il n’en a lui-même » (J. Touscoz. 1993).

A la différence du Tribunal Administratif des Nations Unies, le TPY touche à l’ordre juridico-politique international et à la répartition des compétences entre les États souverains et l’ONU. Un tribunal arbitral, à caractère interétatique, aurait pu permettre au Conseil de Sécurité de mieux exercer ses fonctions. Ce n’est pas le cas d’un Tribunal pénal ayant pour objet de juger des interlocuteurs estimés valables lors de pourparlers de paix précédents. La création d’un mécanisme juridictionnel aurait pu s’inscrire dans la logique du Chapitre VI de la Charte (l’article 33 de la Charte permet au Conseil de Sécurité de rechercher la solution à un différend par la voie « d’un règlement judiciaire »).

Par contre, la voie pénale, invoquée au nom du Chapitre VII (axé sur la répression), n’est plus qu’une dénaturation de la fonction pacifique du Conseil de Sécurité.

La justification par le Chapitre VII est d’autant plus paradoxale que le Conseil de Sécurité n’a pas exercé ses compétences lors de la crise au Kosovo, en faveur de la paix, tout en adoptant des résolutions en 1998 (1160, 1199 et 1203 imposant des obligations de retrait aux Serbes) pour ensuite ne pas réagir à l’intervention militaire de l’OTAN en 1999, réalisée sans autorisation préalable légale.

Cette confusion est aggravée par l’indifférence du Conseil de Sécurité vis-à-vis des principes généraux fondamentaux du droit international (rappelés à l’article 1§1 de la Charte). Le T.P.I s’est vu attribuer compétence pour juger des faits antérieurs à la création ! Le principe de non rétroactivité des incriminations, découlant du principe de légalité des délits et des peines, est balayé ! De plus, ce principe a pris une valeur conventionnelle (article 15-1 du Pacte de 1966 relatif aux droits civils et politiques)8.

Le fait que les actes de violations graves du droit humanitaire aient été définis autrement (notamment par les Conventions de Genève) et soient prohibés par la loi internationale, ne suffit pas. Le droit international ne comportait en 1993, lors de la création du TPY, aucune disposition les punissant.

A l’opposé d’une recherche de la paix, le Conseil de Sécurité en créant le TPY, a soutenu certaines parties belligérantes contre d’autres, sans un respect rigoureux de la présomption d’innocence, de la loyauté des débats, du principe du contradictoire, de la non rétroactivité de la loi pénale, de la séparation des pouvoirs. Les conditions imposées et les objectifs politiques poursuivis par le Conseil de Sécurité et en particulier par le plus puissant de ses membres, les États-Unis, ne pouvaient conduire dans la réalité qu’à une « justice-spectacle » fondamentalement partisane.

 

2. Le T.P.I.Y, un allié stratégique d’une partie belligérante

 

La justice ne peut jouer un rôle pacificateur qu’à la condition d’intervenir dans un milieu très intégré. Il peut s’agir d’un État où les valeurs nationales sont hégémoniques. Il peut s’agir du milieu des affaires où les finalités des opérateurs sont identiques. Dans l’ordre international, très éloigné de la « communauté » dont il fait souvent mention à tort, les conflits inter-étatiques ou les guerres civiles internationalisées par l’ingérence des Puissances, ne peuvent trouver de règlement équitable par la voie juridictionnelle. 

La guerre rend impossible une justice juste. Or, c’est en pleine guerre que le Conseil de Sécurité des Nations Unies (résolution 827 du 25 mai 1993) décide la création du Tribunal Pénal International pour l’ex-Yougoslavie. Au nom de « l’ingérence humanitaire », c’est la procédure la plus courte qui est imposée pour créer cette juridiction et non la voie conventionnelle (qui sera ultérieurement utilisée pour créer la Cour Pénale Internationale) jugée trop lente, sans qu’il soit évident que la Charte des Nations Unies (dont les articles 29 et 41 sont invoqués) soit respectée à cette occasion. Ce n’est pas, en effet, le rétablissement de la paix et la réconciliation entre belligérants yougoslaves qui sont recherchés, raison d’être du Conseil de Sécurité de l’ONU. L’objectif explicite du statut du T.P.Y est la sanction en plein conflit armé des crimes attentatoires au droit humanitaire, ce qui est, en pratique, plus ou moins également partagé dès lors qu’il y a affrontement armé. La création du T.P.Y dont la fonction est la punition des criminels d’une guerre en cours, avant même que les négociations pour rétablir la paix n’aient eu lieu (négociation de Dayton en 1995 et Accord de Paris du 14 décembre 1995.

Pour percevoir toutes les anomalies qui marquent la naissance de cette juridiction il convient de procéder à quelques constats.

La question yougoslave ne s’est posée avec acuité qu’aux lendemains immédiats de la dissolution de l’URSS, lorsque règne un certain consensus politique au Conseil de Sécurité9.

Il n’est pas question de traiter les tensions internes de la Yougoslavie comme relevant de la souveraineté yougoslave. Elles sont rapidement internationalisées et fortement médiatisées pour légitimer les interventions extérieures de toute nature et aboutir à l’implosion du pays en plusieurs micro-Etats. Il n’est pas question non plus de favoriser une solution analogue à celle choisie par l’Afrique du Sud (une Commission de réconciliation) avec un appui des Nations Unies, se référant au Chapitre VI de la Charte. Ce qui est valable pour le bénéfice d’une minorité blanche ainsi « amnistiée » collectivement ne l’est pas pour les Serbes nourris encore de socialisme et de souverainisme10.

Le processus politique occidental a débuté par une vaste campagne d’opinion hostile au régime de Belgrade, présenté comme seul responsable des horreurs de la guerre. En réalité, Belgrade est avant tout coupable de résister au démembrement de la Yougoslavie souhaité par les Puissances occidentales.

Simultanément, le réveil nationaliste est encouragé dans chacun des États membres de la Fédération yougoslave.

L’Allemagne, les États-Unis et le Vatican stimulent la sortie de la Fédération yougoslave de la Slovénie et de la Croatie dont les économies sont plus avancées que celle de la Serbie et dont les forces nationalistes sont inspirées par le « débarrassisme » : les régions les plus pauvres de la Yougoslavie sont un poids qui retarde le développement des plus riches. Les vieux contentieux religieux entre l’Islam et le Christianisme orthodoxe sont rallumés en Bosnie. De plus, les souvenirs des affrontements de la Seconde Guerre mondiale resurgissent.

Les indépendances des États membres, reconnus immédiatement par les États européens et les États-Unis, sont « accompagnées » par le Conseil de Sécurité dès 1992 (résolution 777 du 19 septembre exigeant que la Serbie et le Monténégro « présentent une demande d’adhésion à l’ONU », la Yougoslavie étant considérée comme morte !

Cependant, le processus d’implosion n’est pas achevé. Seront détachées de la nouvelle Fédération le Kosovo et le Monténégro.

La médiatisation des crimes dont Belgrade, le « Mal » incarné, assurée par divers organes comme South Last Service Europe, Tribunal Update, etc. légitime l’idée qu’une « justice juste » doit procéder aux punitions qui s’imposent : le TPY est l’expression du « Bien », c’est-à-dire d’une seule des parties belligérantes.

Aussi, le Tribunal apparaît comme un outil favorisant la mise en place dans la région des Balkans d’un ordre politique nouveau conforme aux valeurs occidentales. C’est le stimulant judiciaire de l’exigence imposée à l’ex-Yougoslavie, comme on a pu le dire de manière parodique, « de faire sa révolution de 1789 sous le contrôle d’Amnesty International », en dehors de toute considération historique et des circonstances nationales spécifiques !

La Procureur du TPY, Del Ponte, s’est exprimée clairement à ce sujet lors d’une conférence à Londres (au siège de la Fondation Goldman Sachs) devant un auditoire d’hommes d’affaires, le 6 octobre 2005 : « Nous nous efforçons de créer un environnement stable et favorable à des investissements privés »11.

 

3. L’autonomie relative du T.P.Y vis-à-vis de l’OTAN et de l’ONU

 

Une juridiction, parce qu’elle est une institution fondée sur un statut, mettant en œuvre des normes et animée par des juristes, n’est jamais le simple bras armé d’une structure politique (État ou organisation internationale).

Dans l’ordre interne, les tribunaux d’exception eux-mêmes établis par les États en difficulté, ne se comportent pas systématiquement comme de simples agents du pouvoir12. Le formalisme juridique, la qualité de juristes des acteurs (juges et défenseurs) sont des obstacles à la pratique répressive radicale souhaitée par les politiques contre les prévenus, c’est-à-dire contre leurs adversaires.

Le TPY, juridiction ad hoc, créé, organisé et composé conformément aux souhaits politiques des États-Unis et de leurs alliés ne bénéficie pas de « l’indépendance » hautement proclamée ni vis-à-vis de l’ONU pour des raisons organiques ni vis-à-vis de l’OTAN pour des raisons fonctionnelles. On ne peut lui reconnaître qu’une autonomie relative vis-à-vis de l’OTAN entrée en guerre contre Belgrade comme vis-à-vis du Conseil de Sécurité des Nations Unies13, qui a multiplié les résolutions concernant la Yougoslavie jusqu’à la fin de la guerre. L’OTAN, par la voix de son porte-parole Janie Shea, se déclare d’ailleurs (17 mai 1999) « organisation armée du Tribunal »14, tout comme diverses ONG essentiellement occidentales, en qualité d’ « amicus curiae ».

Or, ce sont les États membres de l’OTAN qui assurent le financement du tribunal ; c’est l’OTAN, alliance politico-militaire dirigée par les États-Unis qui dans la crise yougoslave s’est autoproclamée protecteur (trice) du droit humanitaire, par une sorte de dédoublement fonctionnel, en dépit de ses actes de guerre contre la Serbie, eux-mêmes attentatoires à ce même droit humanitaire !

Le TPY est aussi la mise en œuvre concrète des courants doctrinaux dominant la pensée juridique américaine. Il exprime en premier lieu « l’obsession » judiciaire des ennemis : le pouvoir judiciaire occupe dans le système des États-Unis une position centrale. Ce phénomène est transposé dans le champ international comme solution à tous les problèmes politiques.

Simultanément, il y a volonté systématique d’échapper à toute contrainte légale internationale15. L’ennemi n’est donc pas un justiciable comme un autre. La doctrine américaine dominante est significative : elle rejette le principe de l’universalité du droit international par la distinction des individus « libéraux et décents » et des « hors la loi agressifs et dangereux16.

Le TPY s’inscrivant plus ou moins dans cette logique, « le » Serbe peut être qualifié de « fasciste » comme le répétaient quelques philosophes français,17 comme B.H. Lévy dont le manichéisme s’est particulièrement affirmé lors de la guerre de Yougoslavie. Les ressortissants des « régimes non libéraux », en l’occurrence les Serbes, ne sont pas fondés à bénéficier des droits équivalents à ceux des seuls régimes légitimes « libéraux démocratiques »18 ou en train de le devenir, comme les États non serbes de l’ex-Yougoslavie19.

Dans l’esprit de la partie belligérante occidentale et de ses alliés croates et bosniaques, le TPY a pour fonction, non de statuer sur tous les crimes commis dans l’ex-Yougoslavie, mais essentiellement de prouver devant l’opinion internationale la justesse du combat mené contre les Serbes, accusés d’être les principaux responsables de la guerre:il n’est pas question de juger les bourreaux de tous les camps puisqu’il n’y a fondamentalement de bourreaux que dans un seul, les victimes étant dans l’autre !

L’adhésion à la Common Law et le rôle central du Procureur20, bien qu’il s’agisse de statuer sur des affaires relevant d’un pays du continent européen21, comme la méthode d’interprétation guidée par les valeurs américaines « supérieures » prétendument transcendantes et favorisant un relâchement des contraintes vis-à-vis des règles juridiques établies, font du TPY un outil juridico-politique essentiellement pro-occidental.

Cette juridiction n’est pas une rupture avec ce que le Tribunal de Tokyo, créé par les États-Unis et chargé en 1945 de juger les criminels de guerre japonais. Le TPY applique ce que l’on peut appeler la « jurisprudence Hiro Hito ». Lors de la capitulation de l’État japonais, dont l’Empereur était un chef d’État de droit divin, il y avait non pas « urgence humanitaire » (le bombardement d’Hiroshima et Nagasaki par l’aviation américaine venait de se produire), mais « nécessité » urgente de protéger tous ceux qui pouvaient être politiquement utiles pour la suite du Japon et de l’Asie, menacés par le communisme. En dépit de sa responsabilité supérieure, l’Empereur a été exclu de la répression, comme ont été exonérés de toute responsabilité pénale les présidents Tudjman et Izetbegovic de Croatie et de Bosnie. Le professeur belge Olivier Corten a raison lorsqu’il note : « il aurait été plus équilibré de poursuivre tous les responsables et pas seulement Milosevic qui n’aurait pas dû être le seul à se retrouver devant le TPY ».

De plus, les modalités de fonctionnement empêchent le TPY de rendre des jugements impartiaux.



(The original article, in English: Germany is the eurozone’s biggest problem - by Martin Wolf


Eurozona tedesca, l’equilibrio impossibile


di Claudio Conti - Martin Wolf *

Pochi hanno il coraggio di indicare la Germania come responsabile di buona parte dei problemi economici – dunque anche sociali e politici – dell’Europa. Diciamo intenzionalmente Europa (un’area continentale) per distinguerla nel modo più netto dall’Unione Europea (un’istituzione quasi-statuale che ne regola in modo differenziale le scelte economiche, così come l’Italia è cosa ben diversa dallo Stato italiano). Confondere i due concetti, come intenzionalmente sono abituati a fare i governanti e i media, non può che provocare la paralisi delle capacità critiche e l’adesione inconsapevole al pensiero mainstream.

L’editoriale di Martin Wolf, sul Financial Times, rompe il tabù con molta più potenza di quanto non abbia fin qui provato a fare, in ambito nazionale, IlSole24Ore, che non a caso non ripubblica immediatamente con grande rilievo.

Una presa di posizione importante per molti motivi, non ultimi quelli di ordine teorico. Per la prima volta o quasi, in un articolo destinato al grande pubblico, si qualifica la dottrina economica dominante nella testa dei dirigenti tedeschi come ordoliberalismo. Una variante del pensiero economico liberista specifica della scuola austro-tedesca e ben riassunta, da Wolf, nella triade un bilancio (quasi) sempre in pareggio, la stabilità dei prezzi (con una preferenza asimmetrica per la deflazione) e la flessibilità dei prezzi.

Una dottrina che enfatizza unilateralmente solo alcune delle caratteristiche strutturali del cosiddetto “libero mercato” e determina comportamenti economico-politici irrealistici. O meglio, convenienti solo per alcuni soggetti del mercato, ma catastrofici per gli altri. Banalmente, questa triade punta alla creazione di un surplus (quello della Germana sfora da anni i parametri di Maastricht senza che nessuno provi ad aprire una “procedura di infrazione” contro Berlino). Il che va benissimo – capitalisticamente parlando – per chi (pochi o uno solo) riesce nell’intento, ma provoca automaticamente un deficit negli altri componenti di una comunità economica relativamente chiusa come l’Unione Europea. È insomma una linea che destabilizza il contesto generale in modo inversamente proporzionale alla stabilità raggiunta dal soggetto più forte.

Ma la sortita di Wolf è importante anche perché smonta, di conseguenza, la vulgata sulle “riforme strutturali” come unica via – “oggettiva” – per migliorare la competitività di un sistema produttivo nazionale. L’unico risultato che possono produrre, ed hanno effettivamente prodotto, è una caduta della domanda interna all’area governata secondo questi criteri (l’intera eurozona), anche al di là delle dimensioni imposte dall’esplodere della crisi del 2008.

Se determinate politiche non possono funzionare – ne abbiamo ormai l’evidenza, all’ottavo anno di crisi – non resta che rovesciare il binocolo: è la Germania il vero problema dell’Eurozona, così come è la Germania il vero dominus dell’Unione Europea. Le stesse distorsioni violente che questa istituzione è andata creando (il caso greco è solo il più drammatico e lampante) sono il frutto obbligato di una distorsione sistematica delle politiche economiche e finanziarie dell’eurozona, tanto più in una situazione generale di crisi sistemica.

Wolf le spiega con grande chiarezza, da un punto di vista liberale ma intelligente. Evita di soffermarsi sulle distorsioni più propriamente ideologiche nascoste nelle pieghe della lingua tedesca (notoriamente la parola Shuld indica sia la colpa che il debito, mentre l’opposto, Gläubige, significa sia credente che creditore, in una spaventosa sovrapposizione di connotazioni etiche per posizioni economiche in fondo temporanee e spesso scambiabili in una economia complessa).

In ogni caso, però, ne vien fuori che le difficoltà e gli interessi di un paese – in realtà di un particolare groviglio di filiere produttive e centrali finanziarie – si sono lentamente trasformati nella regola dominante per tutti gli altri. Senza alcuna ragione scientifica, sul piano economico.

Tra questi problemi, ormai devastanti, c’è una crisi demografica mai vista dai tempi della Guerra die trent’anni (tra il 1618 e il 1648 la popolazione tedesca si ridusse da 18 a 6 milioni, tra guerre, carestie ed epidemie di peste).

Il censimento del 2013 ha rivelato che la popolazione complessiva è diminuita in pochi anni dell’1,9%, restando di poco sopra gli 80 milioni. Nei giorni scorsi, il ministro tedesco dell’Istruzione Johanna Wanka, nel corso di un involontariamente delirante incontro-accordo con la sua omologa Stefania Giannini, ha spiegato che in dieci anni la popolazione tedesca (ovvero quella di origine “indigena”, ndr) si è ridotta del 22%. L’unico settore in cui la produttività è diminuita è quello dei figli”. Sorvoliamo sull’uso disinvolto del termine “produttività” con riferimento alla natalità (non vi sentite un po’ polli in batteria?) e restiamo al merito della faccenda. Tutto il “merito” di questo crollo va alle riforme strutturali avviate da Hartz e dal “socialdemocratico” Schroeder, che hanno varato a più riprese, all’inizio del nuovo millennio, uno schema di rivoluzionamento del mercato del lavoro da cui hanno perso origine poi i vari Jobs Act, in Italia come in Francia. La precarizzazione totale e la “flessibilità” richiesta a ogni singolo lavoratore del “nuovo tipo” è tale da aver reso quasi impossibile progettare una vita di coppia stabile per le nuove generazioni, quindi di mettere al mondo e crescere dei figli in modo responsabile.

Nei prossimi anni si prevede che, passando a miglior vita la boom generation, il numero di tedeschi-tedeschi si ridurrà in media di mezzo milione l’anno, se non di più. E non è detto che i flussi migranti saranno adeguati a sostituirli, perché moriranno sia gli operai che gli ingegneri, e determinate competenze di alto livello non si improvvisano dalla sera alla mattina.

Si capisce dunque la portata simbolica di un episodio altrimenti marginale. Durante l’ormai famosa marcia dei profughi mediorientali attraverso i Balcani, nel bel mezzo di una sosta a Belgrado, tra i disperati camminatori era stato riconosciuto un noto oncologo siriano. Immediatamente le autorità serbe gli avevano offerto un posto di rilievo in un loro ospedale, e uno stipendio commisurato, ovviamente immediatamente accettato dal chirurgo marciatore.

Felici di poter dare un’immagine della Serbia come paese molto più civile e accogliente dei vicini ungheresi, croati, macedoni e sloveni, ne era stata data notizia con una conferenza stampa. Nemmeno 24 ore dopo un aereo tedesco era atterrato a Belgrado e all’ottimo medico era stato proposto un contratto ovviamente molto più redditizio, in Germania. Se preferite la metafora del calcio alla medicina, si vedranno sempre più Rudiger, Boateng, Ozil e meno Muller, Schweinsteiger o Neuer. Il capitalismo distrugge tutto lungo il suo cammino, istituzioni, credenze, abitudini, ed anche i popoli che lo abbracciano con maggiore e teutonico entusiasmo.

Al punto che il creditore-credente si trasforma obbiettivamente nel peggiore dei miscredenti.


È la Germania il più grande problema dell’Eurozona


di Martin Wolf

Perché in Germania prevale una visione della macroeconomia tanto peculiare? E quanto conta questa diversità di vedute?
La risposta alla seconda domanda è che conta tantissimo. La risposta alla prima domanda, in parte, è che la Germania è un Paese creditore. La crisi finanziaria le ha dato un ruolo predominante negli affari dell’Eurozona. È una questione di potere, non di diritto. Gli interessi dei creditori sono importanti, ma sono interessi parziali, non generali.

Le rimostranze recentemente si sono appuntate sulle politiche monetarie della Banca centrale europea, in particolare i tassi di interesse negativi e l’allentamento quantitativo. Wolfgang Schäuble, il ministro dell’Economia tedesco, è arrivato a sostenere che metà della responsabilità per l’ascesa del partito anti-euro Alternativa per la Germania è da addebitarsi alla Bce. Si tratta di un attacco fuori dal comune.
Le critiche alle politiche della Bce sono ad ampio raggio: vengono accusate di consentire agli Stati membri recalcitranti di non fare le riforme, di non essere riuscite a ridurre l’indebitamento, di mettere a rischio la solvibilità delle compagnie assicurative, dei fondi pensione e delle casse di risparmio, di essere riuscite soltanto a tenere l’inflazione poco sopra lo zero e di alimentare l’ostilità verso il progetto europeo. Insomma, l’Eurotower è diventata una seria minaccia per la stabilità.

È un’idea coerente con una visione che è maggioritaria in Germania. Come dice Peter Bofinger, membro eretico del consiglio di esperti economici del Governo tedesco, questa tradizione risale a Walter Eucken, influente padre dell’ordoliberalismo. In questo approccio, le politiche macroeconomiche ideali si compongono di tre elementi: un bilancio (quasi) sempre in pareggio, la stabilità dei prezzi (con una preferenza asimmetrica per la deflazione) e la flessibilità dei prezzi.
Si tratta di un approccio ragionevole per un’economia piccola e aperta. Può funzionare per un Paese più grande, come la Germania, dotato di settori industriali scambiabili altamente competitivi. Ma non può essere esteso all’economia di un continente, qual è l’Eurozona. Le cose che funzionano per la Germania non possono funzionare per un’economia tre volte più grande e molto più chiusa al commercio estero.

Si noti che nell’ultimo trimestre del 2015 la domanda reale nell’Eurozona era del 2 per cento inferiore a quella del primo trimestre del 2008, mentre negli Stati Uniti era del 10 per cento superiore. Le rimostranze tedesche, nella maggior parte dei casi, non tengono conto di questa grave debolezza della domanda. La Bce sta cercando giustamente di impedire che un’economia affetta da debolezza cronica della domanda precipiti in una spirale deflattiva. Come sottolinea il presidente dell’Eurotower, Mario Draghi, i tassi di interesse bassi fissati da Francoforte non sono il problema, semmai «il sintomo» di un’insufficiente domanda di investimenti.

La storia dell’economia tedesca dalle riforme del mercato di lavoro di inizio anni 2000 a oggi dimostra che è molto improbabile che le «riforme strutturali» riescano a risolvere questo problema. Il dato macroeconomico più significativo della Germania è che il Paese non riesce ad assorbire quasi un terzo dei suoi risparmi nazionali, nonostante il bassissimo livello dei tassi di interesse. Nel 2000, prima delle riforme – che ridussero il costo del lavoro e i redditi dei lavoratori – le grandi aziende tedesche investivano una quota molto maggiore dei loro utili non distribuiti. Ora è l’inverso. Con le famiglie in eccedenza e il Governo in pareggio, è emersa puntualmente un’enorme eccedenza con l’estero.

Perché altri dovrebbero riuscire a fare un uso produttivo dei risparmi che i tedeschi non riescono a utilizzare? Perché le riforme strutturali in altri Paesi, come raccomandato dalla Germania, dovrebbero generare quell’impennata degli investimenti che manca in patria? E soprattutto perché ci si dovrebbe attendere un calo dell’indebitamento quando la domanda e la crescita complessiva sono così deboli nell’Eurozona in generale?
Quello che è successo è che l’Eurozona si è trasformata in una Germania più debole. Secondo le stime, la bilancia delle partite correnti della zona euro fra il 2008 e il 2016 si è spostata verso il surplus nella misura di quasi il 5 per cento del prodotto interno lordo. Ogni Stato membro, secondo le previsioni, sarà in pareggio o in attivo nel saldo con l’estero. L’Eurozona dipende dalla disponibilità di altri a perseguire quella spesa e quell’indebitamento che l’Eurozona stessa al momento rifugge. 

Il problema è che anche il resto del mondo segue la via della prudenza. La Bce ha adottato tassi reali (e nominali) negativi perché il risparmio supplementare al momento vale pochissimo. E anche perché ha imparato la lezione dei disastrosi risultati prodotti dall’aumento dei tassi operato nel 2011. La politica di allentamento adottata a partire dal 2012 ha prodotto quantomeno una ripresa rilevante, anche se inadeguata: la domanda reale è cresciuta del 4 per cento rispetto al minimo toccato nel primo trimestre del 2013, e l’inflazione di fondo, anche se è soltanto all’1 per cento circa, finalmente si è stabilizzata. Questo non è un fallimento, è un successo.

È inevitabile che politiche di questo tipo siano poco apprezzate nei Paesi creditori. Ma sostenere che il pericolo risieda in una politica monetaria eccessivamente accomodante significa non tenere conto dei pericoli rappresentanti da una politica monetaria eccessivamente rigida. Significa dare per scontato che la deflazione non rappresenterebbe un problema, quando invece farebbe aumentare l’indebitamento reale, comprometterebbe la flessibilità dei salari reali e limiterebbe perfino l’efficacia della politica monetaria, perché sarebbe molto più complicato generare tassi di interesse reali negativi, alla bisogna. Una spirale deflattiva rappresenterebbe una minaccia molto più seria dei tassi di interesse negativi.

Soprattutto, l’euro è destinato all’insuccesso se verrà gestito solo nell’interesse dei Paesi creditori. Le politiche dell’Eurozona devono essere equilibrate. La determinazione della Bce a evitare l’inflazione è un elemento importante in tal senso. Un altro è la volontà di raggiungere una domanda più equilibrata a livello nazionale: la presenza di un’enorme carenza di domanda (rispetto all’offerta aggregata) nell’economia più grande dell’Eurozona costituisce un problema serio; la procedura Ue per squilibri eccessivi dovrebbe essere molto più critica verso i surplus tedeschi.
Le idee e gli interessi della Germania hanno un’enorme importanza per la zona euro. Ma non devono decidere qualsiasi cosa. Se i tedeschi pensano che questo sottragga irrimediabilmente legittimità al progetto europeo, dovrebbero esercitare la loro opzione d’uscita. Farlo comporterebbe anche prepararsi a una grande instabilità nel breve termine. Ma fintanto che il Paese rimarrà nell’euro, dovrà accettare il fatto che la Bce ha un compito da svolgere. Se quest’ultima vi riuscirà, non sarà sufficiente a far funzionare bene l’euro, ma darà indubbiamente un contributo fondamentale in tal senso.

Copyright The Financial Times Limited 2016
(Traduzione di Fabio Galimberti)

12 maggio 2016



Iniziative segnalate per 9 Maggio e dintornI

* Sarnano (AP) 8/5: MARCIA IN MEMORIA DI DECIO FILIPPONI E DEI PARTIGIANI DI PIOBBICO
* Napoli 8/5: IL REGGIMENTO IMMORTALE
* Venezia 8/5: IL REGGIMENTO IMMORTALE
* Torino 9/5: COMMEMORAZIONE DEI PARTIGIANI SOVIETICI
* Milano 9/5: COMMEMORAZIONE DELL'ANNIVERSARIO DELLA VITTORIA NELLA GRANDE GUERRA PATRIOTTICA
* Spoleto (PG) 9/5: PROIEZIONE FILM "STALINGRAD"
* Gherush92 Committee for Human Rights: 9 MAGGIO GIORNATA DELLA VITTORIA // POPOLI INGRATI E SENZA MEMORIA ... IL MEMORIALE ITALIANO, CON LA SUA FALCE E MARTELLO, RITORNI AD AUSCHWITZ!


=== Sarnano (AP), domenica 8 maggio 2016
con partenza alle ore 9.30 dalla abbazia di Piobbico

MARCIA IN MEMORIA DI DECIO FILIPPONI E DEI PARTIGIANI DI PIOBBICO

Per l’ottava edizione della “Manifestazione in memoria di Decio Filipponi e i partigiani di Piobbico”, in programma domenica 8 maggio, ritorniamo al programma di un'unica giornata e al percorso dei sentieri di montagna delle passate stagioni, ripercorrendo il sentiero della memoria che, partendo dall’Abbazia e passando da Giampereto e Cese, si snoda immergendosi nelle macchie a ridosso della valle dei tre salti per raggiungere successivamente Piobbico. 

Quest’anno faremo brevissime deviazioni all’interno della piccola frazione montana, e dopo la commemorazione presso la ex scuola elementare, faremo ritorno a piedi all’Abbazia con un’altro piccolo sentiero che giungerà alle spalle del piccolo cimitero adiacente.  

Al pranzo sui prati farà seguito la presentazione del libro “Il barbiere zoppo – 1969, una ragazza e la scoperta della Resistenza”. Gino Marchitelli, scrittore, elettricista antagonista, compagno dell’Anpi e autore del libro, ci racconterà del misterioso viaggio di una giovane alla ricerca delle sue radici; “Un romanzo avvincente, ricco di pathos e intensità emotiva […] che svela fondamentali verità sul ventennio e sugli orrori del regime nazifascista, attraverso gli occhi veri, puri e ingenui di ragazze e ragazzi in dialogo tra generazioni.” (http://www.peacelink.it/pace/a/41831.html)

“Se vorrete conoscere la Resistenza e una scrittura che non la tradisce narrandola, e se la volete proporre ad altri, questo è il libro che vi serve”. (Lidia Menapace).

Il tutto con l’accompagnamento musicale di canti della resistenza eseguiti dalle compagne e dai compagni del ‘Coro 24 marzo’ dell’Anpi intercomunale 24 marzo.

Programma:

Ore 9.30  
Ritrovo presso l’Abbazia di Piobbico
Ore 10  
Partenza camminata
Ore 12  
Commemorazione presso la ex scuola elementare di Piobbico
Ore 13  
Pranzo sui prati presso l’Abbazia di Piobbico
Ore 14.30  
Presentazione del libro “Il barbiere zoppo – 1969, una ragazza e la scoperta della Resistenza” a cura di Gino Marchitelli con l’accompagnamento musicale del ‘coro 24marzo’

Info:
email: anpisarnano @ gmail.com
Pagina Fan Facebook https://www.facebook.com/anpi.sarnano/



=== Napoli, domenica 8 maggio 2016
dalle ore 10:00 in Piazza Vittoria

IL REGGIMENTO IMMORTALE

In occasione della giornata della Vittoria sui Fascisti, il Movimento delle Donne Ucraine Antifasciste di Napoli propone una marcia commemorativa analoga a quella che si tiene in altre città del mondo. Proponiamo di costituire il “Reggimento Immortale”. Così è chiamata un'azione civile su larga scala in memoria dei veterani della Seconda Guerra Mondiale, dei lavoratori nelle retrovie e dei prigionieri dei campi di concentramento. Il giorno scelto per la marcia del “Reggimento Immortale” è il Giorno della Vittoria sovietica sulla Germania nazista, il 9 maggio.

Ogni partecipante può portare la foto o oggetti ricordo di un parente che abbia partecipato nella Seconda Guerra Mondiale alla sconfitta del nazifascismo. Per costituire un Regimento che non muore mai.



=== Venezia, domenica 8 maggio 2016
dalle ore 15 di fronte alla Stazione ferroviaria di Santa Lucia

IL REGGIMENTO IMMORTALE

Il 9 maggio è la festa della vittoria del bene contro il male, è la festa della vittoria contro il nazismo.
L'associazione Nova Harmonia invita a ricordare tutti coloro che hanno contribuito in Italia, in Europa e in Russia dando la loro vita per la pace.



=== Torino, lunedì 9 maggio 2016
alle ore 10:00 dal piazzale del Cimitero Monumentale, corso Novara 135
verso il Campo della Gloria – Sacrario della Resistenza

COMMEMORAZIONE DEI PARTIGIANI SOVIETICI

a cura della Ass. Culturale Russkij Mir - www.russkijmir.org


=== Milano, lunedì 9 maggio 2016
alle ore 10:30 presso il Cimitero Maggiore

(fonte: Gherush92)

ANNIVERSARIO DELLA VITTORIA 
NELLA GRANDE GUERRA PATRIOTTICA
Cimitero Maggiore, Milano
Lunedi, 09/05/2016 ore 10.30

 
Invito alle celebrazioni del 70° anniversario della Vittoria nella grande guerra patriottica che ha visto la conquista della pace grazie all’eroismo di tanti uomini e donne  sovietici, tra i quali si annoverano anche molti patrioti armeni.

L’attacco a sorpresa del 21 giugno 1941, denominato “Piano Barbarossa”, travolse la resistenza sovietica,ma fu anche l’epopea della Resistenza e del sacrificio dei popoli dell’URSS. La “Grande Guerra Patria”fu condotta sotto la spinta di un acceso amor di patria e con un eccezionale sacrificio. Il trasferimento delle fabbriche e dei comandi al di là del Volga, il coraggio e la volontà dei combattenti di tutte le etnie dell’URSS, permise  il passaggio dalla difensiva all’offensiva. Simbolo di tale realtà fu la storica vittoria di Stalingrado e con le battaglie  dell’autunno 1944 fu portata a termine la liberazione di tutto il territorio dell’URSS. La partecipazione dell’Armenia Sovietica fu immediata e sostenuta da forti motivazioni: oltre alla determinazione a resistere al nazismo si aggiungeva il fatto che  gli armeni avevano subito il genocidio del 1915 perpetrato dai Giovani Turchi alleati della Germania. L’Armenia ha inviato in guerra 600.000 uomini, 5 divisioni di fanteria, 4 marescialli, 60 generali. Fra i personaggi che più si sono distinti vi sono gli armeni del Nagorno Karabagh: Il maresciallo HOVANNES BAGHRAMIAN , il comandante in capo di truppe corazzate, HAMAZASP BABAJANYAN, il comandante di compagnia, ordine della Stella Rossa, RUBEN BAGIRYAN.Circa 300.000 militari armeni, sono deceduti nella difesa dell’Unione Sovietica.

Ma gli armeni hanno combattuto il nazismo anche all’estero, fuori dai confini dell’URSS. In Francia divenne ed è tuttora famosa la vicenda dell’Affiche Rouge (il Manifesto Rosso) che ha tappezzato l’intera Parigi in occasione dell’esecuzione di 23 resistenti del gruppo Franchi Tiratori Partigiani- Mano d’opera Immigrata (FTP-MOI) detto Gruppo Manouchian , comandato da Missak Manouchian che in 18 mesi compiono 229 azioni contro i nazisti occupanti, fra le quali famosa l’uccisione del generale SS Julius Ritter. Del gruppo facevano parte, oltre agli armeni, spagnoli, ungheresi, italiani, polacchi, francesi ed ebrei. Arrestati e condannati a morte nel 1944, furono fucilati nel forte Mont Valerien, mentre l’unica donna del gruppo viene decapitata a Stoccarda. Missak Manouchian invia alla moglie prima dell’esecuzione una lettera che servirà di ispirazione al poeta Louis Aragon, un’indimenticabile poesia cantata poi da Leo Ferè. Il regista Robert Guediguian narra le vicende dell’Affiche Rouge nel film “L’Arme du crime”, tradotto e proiettato anche in Italia. Nel 20esimo arrondissement di Parigi una via porta il nome “Rue Du Groupe Manouchian”. 

Pietro Kuciukian
Consolato onorario della Repubblica d’ Armenia
Milano


=== Spoleto (PG), lunedì 9 maggio 2016
alle ore 21 alla libreria Aurora, via dell'Anfiteatro 12

9 maggio festa della vittoria
PROIEZIONE FILM STALINGRAD

Il 9 maggio di quest’anno rappresentano la storica ricorrenza del 71° anniversario della resa della Germania nazista e della vittoria antifascista dei popoli. Una vittoria a cui l’Unione Sovietica e i comunisti hanno dato un contributo essenziale. Per questa ricorrenza, che si celebra a pochi giorni dalla data della nostra liberazione nazionale dal fascismo l'AURORA ha messo in cantiere un' iniziativa di informazione con del materiale propagandistico per ripristinare la verità storica e combattere contro il revisionismo. Ricordiamo il grande contributo dell’URSS e dei comunisti alla liberazione dei popoli, rigettiamo il revisionismo e ogni tentativo di equiparazione! 

Alle ore 21:00 proiezione del film "STALINGRAD" 

Film : 
Stalingrad (Сталингра́д) è un film del 2013 diretto da Fedor Bondarchuk, con protagonista Thomas Kretschmann.
È il primo film russo prodotto completamente con la tecnologia del 3D, ed anche il primo film non statunitense che adotta il formato IMAX.
Il film è stato selezionato per concorrere alla selezione finale per la scelta dei candidati all'Oscar del 2014 nella categoria Miglior film straniero.
La pellicola è stata presentata fuori concorso all'ottava edizione del Festival Internazionale del Film di Roma.



=== Gherush92 Committee for Human Rights

Inizio messaggio inoltrato:

Da: "gherush92 @ gmail.com
Oggetto: 9 MAGGIO GIORNATA DELLA VITTORIA
Data: 4 maggio 2016 17:05:12 CEST


IL  9 MAGGIO GIORNATA DELLA VITTORIA
RICORDIAMO L’ARMATA ROSSA 

 

Il 9 maggio si celebra l'anniversario della Giornata della Vittoria, Den' Pobedy,  in memoria della capitolazione della Germania nazista e dei suoi alleati, fra cui l'Italia, durante la Seconda Guerra Mondiale. L'Armata Rossa dei Lavoratori e dei Contadini, guidata da Stalin con la collaborazione di capaci generali, svolse una funzione decisiva sconfiggendo in quattro anni di violente e sanguinose battaglie la grande maggioranza delle forze della Wehrmacht, concludendo vittoriosamente il conflitto.

Da allora sono trascorsi molti decenni, ma molti ancora ignorano che la liberazione dell’Europa dal nazifascismo e dai campi di sterminio è avvenuta grazie al sacrificio di quasi trenta milioni di sovietici fra soldati dell’Armata Rossa, partigiani e civili. Molti ancora ignorano che i campi di sterminio di Auschwitz, Treblinka, Belzec, Majdanek, Sobibor, e molti altri lager nazisti, furono liberati dai soldati sovietici e che gran parte dei sopravvissuti alla Shoà deve la sua sopravvivenza all'Armata Rossa. 

Già nei decenni del dopoguerra e della guerra fredda le preoccupazioni per il presente hanno prevalso e che i liberatori degli ebrei sopravvissuti fossero soldati sovietici è passato sotto silenzio. Gli effetti degradanti del revisionismo storico tendono ancora ad esaltare esclusivamente il ruolo dell’esercito degli alleati ad occidente, a scapito del ruolo centrale assunto dall’Armata Rossa nella lotta al nazismo, dalla valorosa battaglia per la difesa di Stalingrado fino alla liberazione di Berlino. 

Ma, a maggior ragione oggi che l'Unione Sovietica ha da tempo cessato di esistere, è nostro dovere ricordare ed esprimere gratitudine ai liberatori, molti dei quali sono ancora vivi e meritano riconoscenza. Sono Russi, Ucraini, Bielorussi, Tartari, Kazaki, Armeni, Georgiani, Azerbagiani, Uzbechi, Tadzhiks, Turkmeni, Kirghisi, Careliani, Cabardini/Balcari, Ossetani, Daghestan, Ciuvasci, Mordvini, Baschiri, Calmucchi, Udmurti, Mari, Komi, Buriati, Moldavi, Lettoni, Estoni, Lituani, Cinesi, Mongoli, Poli, e tanti altri ancora. Fra di loro c’erano anche Ebrei.
 
Un altro, non meno rilevante, aspetto del nostro debito verso l’Armata Rossa è la partecipazione su larga scala di soldati ebrei nella seconda guerra.  Più di mezzo milione di cittadini sovietici ebrei ha servito nell'Armata Rossa durante il conflitto mondiale dando un contributo alla vittoria, pari a quasi l’ottanta per cento degli ebrei in età lavorativa in Unione Sovietica. E’ un tasso di reclutamento senza precedenti fra le nazionalità sovietiche. Circa centottantamila sono caduti in battaglia per la Patria; oltre quarantamila  sono membri delle unità partigiane; quasi un terzo di loro volontari. Gli ebrei dell’Armata Rossa, donne e uomini, hanno combattuto contro l’ideologia antisemita di Hitler, per  la sopravvivenza del loro popolo e per la madrepatria. Questi ebrei, grazie alla loro forte identità, sia ebraica che patriottica, scelsero di combattere i nazisti, assassini delle loro famiglie e delle loro comunità ed invasori della loro patria. 

Anche questi combattenti ebrei, che eroicamente hanno combattuto sotto il simbolo dell’Armata Rossa, che liberarono altri prigionieri, in clandestinità e gli internati nei campi di concentramento, sono stati in gran parte dimenticati, persino da parte ebraica.  Così, mentre i combattenti del ghetto di Varsavia o della Brigata Ebraica sono stati e sono, a ragione, oggetto di grande attenzione, gli ebrei dell’Armata Rossa raramente sono stati onorati.   

Nel Giorno della Vittoria commemoriamo la liberazione e ricordiamo soprattutto  che nell’alleanza di un coacervo di diversi popoli, uniti sotto la bandiera dell’Armata Rossa, è nata una prodigiosa resistenza al nazifascismo che costituisce un unicum nella storia e che senza l’Armata Rossa, matrice di ogni resistenza europea, non ci sarebbe stata vittoria contro il nazifascismo. 

Eterna riconoscenza  ai soldati dell’Armata per il loro sacrificio e la loro umanità.

Gherush92 Committee for Human Rights

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Gherush92 Committee for Human Rights  

POPOLI INGRATI E SENZA MEMORIA 
OVVERO VERSO UN NUOVO FASCISMO

Agli eroi dell’Armata Rossa caduti in battaglia gloria e memoria eterna!  Il Memoriale Italiano, con la sua falce e martello, ritorni ad Auschwitz!

La vittoria sovietica sul fronte orientale, di gran lunga il più duraturo, vasto e sanguinoso del secondo conflitto mondiale, mette fine al piano di espansione nazifascista e al programma razzista di sterminio dei popoli slavi, degli ebrei, dei roma, dei sinti, dei prigionieri di guerra, degli omosessuali e dei disabili e alla persecuzione di ogni opposizione politica.

A fronte di questi noti funesti avvenimenti e alle coraggiose gesta di chi vi si oppose, assistiamo oggi in Europa a percorsi diversi di rivisitazione e rielaborazione della memoria, che si distinguono per un differente uso politico della storia. Alcuni restano un ammonimento contro il nazifascismo, altri sconfinano nel revisionismo o nel negazionismo altri ancora, come il caso dell’Italia, nell’ignoranza e nell’oblio.

Così in Germania, tragico teatro finale del conflitto mondiale, i memoriali sovietici, intatti e curati con diligenza, restano, nonostante tutto, un feroce ricordo ed un monito perenne contro il passato nazista. A Berlino suonano come un obbligo le parole sul Memoriale ai Caduti Sovietici nel Parco di Treptower, dove riposano 5000 soldati dell’Armata Rossa: “Ora tutti ricorderanno che il popolo sovietico con il suo altruismo ha combattuto e salvato la civiltà europea dai criminali fascisti. Questa è stata una grande conquista del popolo sovietico verso la storia dell’umanità.”  Sono un’ode alla responsabilità le parole incise sul Memoriale di Guerra Sovietico in Schönholzer Heide: “Alla memoria eterna degli eroi. …  Copriti la testa! Qui sono i soldati sovietici eroi della grande Guerra dal 1941-45, deposti all’eterno riposo … Una grata umanità non dimenticherà mai le loro gesta coraggiose.”Tuonano indelebili le parole di Stalin scolpite sul Red Army Memorial: La forza dell'Armata Rossa risiede nel fatto che essa non nutre e non può nutrire alcun odio razziale contro altri popoli e quindi neppure contro il popolo tedesco; essa è educata nello spirito dell'eguaglianza di tutti i popoli e di tutte le razze, nello spirito del rispetto dei diritti degli altri popoli.”

Così anche  Londra con il  Soviet War Memorial che commemora il sacrificio di 27 milioni di vite tra civili e forze armate dell’Unione Sovietica che hanno combattuto con gli alleati contro il nazifascismo.

Così anche a Netanya in  Israele con il Monumento all’Armata Rossa che, con le parole di Peres, “è un’opportunità per ringraziare l’Armata Rossa. Se non avesse sconfitto il mostro nazista senza dubbio non saremmo qui oggi … Nella seconda guerra mondiale l’Armata Rossa ha impedito al mondo di arrendersi”.

Così anche a Zhangjiakou in Cina, il Memoriale ai caduti delle forze alleate sovietico-mongole ricorda: “La nostra liberazione …  non può essere separata dal sangue versato dai martiri sovietici della Mongolia; … eternamente commemoriamo il grande contributo da parte delle forze alleate Soviet-mongoli alla causa della liberazione del nostro paese.”

Ben altrimenti, nei paesi dell’ex Unione Sovietica i memoriali all’Armata Rossa sono divenuti impropriamente simbolo del comunismo reale e sono teatro ed oggetto di ingiusti e irrispettosi scontri politici. Così, ad esempio, a Budapest, in Ungheria, il Memoriale per l’Armata Rossa, in Piazza della Libertà, è l’ultimo monumento sovietico rimasto  e, ripetutamente deturpato, crea grandi polemiche. A Praga, il Monumento ai Carristi Sovietici,  che commemora la liberazione della Cecoslovacchia, è oggetto di polemiche e di ripetuti tentativi di rimozione del carro armato che, per molti, oggi rappresenta il simbolo dell’occupazione sovietica comunista. A Sofia, in Bulgaria, il Monumento all’Armata Sovietica con l’iscrizione, “Per i  liberatori dell’armata sovietica da parte del grato popolo bulgaro”, nel 2011 è  imbrattato da un gruppo di artisti anonimi che ha trasformato i soldati in fumetti della cultura popolare americana, con la scritta: "Al passo coi tempi".  Così a Taallin in Estonia, il Memoriale all’Armata Rossa è rimosso dalle autorità nel 2007 e una manifestazione in sua difesa provoca feriti, arresti e un morto. Così a Varna in  Bulgaria il Parco monumentale all’amicizia Bulgaro-Sovietica con l’iscrizione “Amici per i secoli dei secoli”,  è in stato di abbandono e degrado. Così a Varsavia il Memoriale all’Armata Rossa è rimosso dalle autorità polacche.

Ancora diverso il caso dell’Italia, ex paese fascista ed invasore dell’Unione Sovietica, dove revisionismo e negazionismo si accettano con silenziosa indifferenza e finiscono nell’oblio, mancando nel nostro popolo la diffusa consapevolezza che la liberazione dal nazifascismo e dai campi di sterminio sia avvenuta grazie al sacrificio degli uomini dell’Armata Rossa. Nei decenni del dopoguerra e della guerra fredda le preoccupazioni per il presente hanno prevalso e che i principali liberatori dal nazifascismo fossero soldati sovietici dell’Armata Rossa è sottaciuto, persino dimenticato. 

La recente rimozione del Memoriale Italiano dal Blocco 21 di Auschwitz è un esempio di questo tanto squallido quanto ignorante e dimentico atteggiamento. Lo spostamento  non è dipeso, come qualcuno scioccamente ci vuol far credere, dal presunto scarso valore pedagogico-educativo dell’opera d’arte, non al passo dei tempi e poco esplicativa. Il Memoriale è stato rimosso per la presenza del simbolo della falce e martello. Qui la questione pedagogica è irrilevante tanto quanto la battaglia intrapresa da qualcuno contro o in difesa dell’opera d’arte. Quell’opera che, in ossequio ai reazionari,  qualcun altro ha rinominato il memoriale viaggiante, vale proprio per il contenuto che esprimono i simboli rappresentati del comunismo, che ritraggono, inequivocabilmente, i liberatori dal nazifascismo che oggi si vogliono dimenticare. Per questo l’opera vale, per questo viene rimossa, per questo va ricollocata ad Auschwitz.

Il silenzioso trasferimento del Memoriale nella periferia di una città qualunque, che avviene con l’imperdonabile complicità dell’attuale Governo Italiano, (di sinistra ?), e con il consenso dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e dell’Associazione Nazionale Ex Deportati, ha reso a tutti evidente che quello di Auschwitz, con i simboli unici ed insostituibili dell’antifascismo, in effetti, non era il Memoriale italiano,  e che il Governo non lo ha protetto sì per vigliacca indifferenza, ma anche perché il popolo italiano, senza memoria,  non lo ha difeso, non lo ha ricordato, non lo ha persino riconosciuto.

Oggi in Europa assistiamo, impotenti, alla continuazione di razzismo e antisemitismo, di revisionismo e negazionismo o, peggio, di oblio nei luoghi della Memoria, fenomeni questi che si possono combattere proprio con quell’esperienze di resistenza e lotta che i simboli che si vanno cancellando rappresentano. I luoghi della memoria, inclusi i lager nazisti, con interventi che mirano a distorcere o cancellare eventi e risultati della liberazione dell’Europa, vengono inglobati in aree urbane, trasformati in giardini, rimossi, dimenticati. Anche l’Italia,  in modo che appare incomprensibile se non per stare, con vanagloria, in carriera per i voti, o al passo con i tempi o per obbedire a indicazioni estranee, contribuisce a spazzare via la memoria dell’antifascismo e accetta di spostare il Memoriale da Auschwitz, proprio come gli altri Memoriali all’Armata Rossa che vengono deturpati o rimossi dalle piazze di Cracovia o di Budapest.

Bisogna fermare vecchi e nuovi tentativi revisionisti ricordando che nell’alleanza di un coacervo di diversi popoli, uniti sotto la bandiera dell’Armata Rossa, è nata una prodigiosa resistenza al nazifascismo che costituisce un unicum nella storia; e che senza l’Armata Rossa, matrice di ogni resistenza europea, non ci sarebbe stata la vittoria contro il nazifascismo, e non ci sarebbero stati sopravvissuti ebrei e rom in Europa.

Chiediamo con  forza, vorremmo dire intimiamo, al Governo Italiano, all’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e all’Associazione Nazionale ex Deportati  di adoperarsi per ricollocare immediatamente il Memoriale nel Blocco 21 e perché l’intero campo di sterminio di Auschwitz sia dedicato al suo unico liberatore, l’Armata Rossa. 


Delfina Piu e Valentina Sereni
Gherush92 Committee for Human Rights 

gherush92@...




"nA More Con AMore"
4a edizione! (anno 2016)



“NA MORE CON AMORE” vuol dire “al mare con amore” e non ci stancheremo mai di riscriverlo! Ed anche la prossima estate intendiamo ripeterci. Sulla sabbia, tra gli scogli e le onde, al sole, al sale ed attraverso il vento, per nuovi momenti di vacanza. Ma non ci piace farlo da soli, ci piacciono i bambini, ma tanto e quindi desideriamo tornarci con loro. Per vincere anche un po’ della tristezza, dei silenzi e del dramma che talvolta il mare tormentato si porta dentro, per quest’umanità impazzita, irrispettosa, a cui magari ricordare che ci sono anche tante cose belle, di cui lo stesso mare potrà conservare, speriamo, memoria. 

Riproponiamo l’iniziativa di ospitalità estiva con i bambini della regione jugoslava del Kosovo, in particolare con gli studenti della Scuola Primaria "Sveti Sava", provenienti da famiglie serbe residenti nel villaggio di Jasenovik, nella municipalità di Novo Brdo. Le associazioni di volontariato “Non bombe ma solo caramelle Onlus” e “Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia Onlus” ci aiuteranno in tutto ciò, insieme ad altri, amici e conoscenti preziosi e sensibili a queste iniziative.
Accoglieremo 9 ospiti, nuovi bambini di età compresa tra i 10 ed i 12 anni, che saranno accompagnati dalla loro insegnante Valentina Ristić, partecipe di passate edizioni. Il soggiorno dei ragazzi è previsto per fine agosto/settembre, sempre nella località di mare Santa Severa (provincia di Roma), dove verrà messa a disposizione a titolo volontario una struttura privata adeguata. I bambini potranno svolgere attività balneare e culturale nell’ambito di un programma di visite sul territorio e su Roma. Parteciperanno all’iniziativa minori che non presentano gravi problemi di salute e sono quindi idonei a sostenere il viaggio ed il soggiorno previsto.

Ricordiamo che il villaggio di Jasenovik e la sua piccola scuola rappresentano una realtà con non più di 150 abitanti, che vivono ancora oggi spesso ai limiti della povertà e della sussistenza, con un marcato isolamento territoriale e tra difficoltà istituzionali. Condizioni che derivano da un percorso storico molto travagliato, fatto di ingerenze internazionali, di bombe e continue strumentalizzazioni politico-religiose. Nonostante una preesistente e resistente multiculturalità laica, che abbiamo conosciuto personalmente, queste aree risultano purtroppo sempre più minate da nazionalismo insano e derive estremiste, risultando contesti fertili anche per l’arruolamento e l’addestramento del terrorismo globale, in quanto il Kosovo è terra di passaggio strategica nei Balcani. Diciassette anni di presenza NATO non hanno, a nostro parere, migliorato la situazione. L’Unione Europea si sta espandendo ad est, ma non sappiamo se e quanto ne potrà beneficiare la popolazione di questi luoghi, che vivono una situazione di perenne transitorietà e di strani compromessi, tra l’espansionismo euro-atlantico ed il colonialismo economico-finanziario arabo-saudita.

L’iniziativa pertanto, anche in virtù dei positivi riscontri della scorsa esperienza, sarà finalizzata in parte alla ricreazione dei ragazzi ed in parte allo scambio sociale e culturale. L’auspicio resta quello della nascita di relazioni tra comunità, la reciproca conoscenza, il superamento dei luoghi comuni sgraditi al vivere sociale. Sperando ciò possa in qualche modo contribuire alla serenità dei ragazzi e servire da stimolo per la loro vita in una realtà difficile, che ci proponiamo sempre di far conoscere secondo una rappresentazione più vera, più onesta e dignitosa per loro e non più comoda per noi e per le nostre coscienze.

Abbiamo stimato un costo per l’iniziativa pari a circa 2.300 euro (costo edizione 2014: 2.103 euro). Dipenderà soprattutto dalle spese di viaggio, ancora da definire. Non abbiamo residui dall’edizione del 2015, ma CNJ onlus devolverà l’intero fondo 5X1000 sul reddito 2012. Con l’aiuto e la partecipazione di volontari, potremo assicurare anche il vitto per il periodo a costi contenutissimi. Abbiamo però bisogno di raccogliere ulteriori fondi e quindi, per chi può e vuole, è possibile sottoscrivere per l’iniziativa utilizzando le seguenti coordinate:

CONTO BANCOPOSTA n. 88411681 intestato a JUGOCOORD ONLUS, Roma
(IBAN:  IT 40 U 07601 03200 000088411681)
causale: erogazione liberale per iniziativa Na more con amore


Per qualsiasi informazione in più o chiarimenti sulle modalità di sottoscrizione:

Samantha Mengarelli, e-mail:  n a m o r e c o n a m o r e @ g m a i l . c o m

Vi aggiorneremo sul programma e sugli sviluppi dell’iniziativa. Grazie per l’attenzione e un caro saluto


Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - onlus

Non Bombe ma Solo Caramelle - onlus



(auf deutsch: Streit um die Russland-Sanktionen

Si vedano anche i post sullo stesso argomento:
Germania russofoba e Ucraina tedesca
Russofobia



Dispute over Sanctions on Russia (I)
 

2016/05/02

BERLIN/MOSCOW
 
(Own report) - In the debate about eventually halting the EU's sanctions on Russia, demands to extend the measures to affect "millions of Russian citizens" are being raised in Berlin. Under no circumstances should the sanctions be lifted, according to an article in the current issue of the foreign policy periodical, "Internationale Politik." They should rather be reinforced and, for example, supplemented by "banning visas for all Russian civil servants." That is the only way the force "the Russian middle class" into a wide-ranging "protest movement" to overthrow the government. The article's author had alleged, already last year, that Russia would only make political progress, "when its laws will be installed from the outside." Whereas some specialists on Russia are agitating against easing any of the sanctions, the German government is heightening tensions between Berlin and Moscow, by announcing that the Bundeswehr is currently considering assuming the command of the NATO battalions stationed in Lithuania. In spite of the Chancellor's allegations to the contrary, this would de facto be in breach of the 1997 NATO-Russia Founding Act, which, in turn, means further escalation of the conflict between the West and Russia.
"Inexcusably Gentle"
Vladislav Inozemtsev, currently Director of Moscow's "Center for Post-Industrial Studies," and who, last year, had been a "Berthold Beitz Fellow" at the "Robert Bosch Center for Central and Eastern Europe, Russia, and Central Asia" of the German Council on Foreign Relations (DGAP), is calling for a dramatic reinforcement of EU Sanctions against Russia. In his article in the current issue of the DGAP journal "Internationale Politik," the leading foreign policy publication of the German establishment, Inozemtsev alleges that the EU's sanctions against Russia are "inexcusably gentle ..., in comparison with those applied to Iran or North Korea." This must be changed. Because the EU's business with Russia has dramatically slumped over the past few years, "the Europeans could increase pressure on Moscow without fearing major economic damage to themselves," writes Inozemtsev. Russia could hardly survive "similarly broad" sanctions, such as the EU's punitive measures applied to Iran or even North Korea. "Putin probably would not even last a year. ... This is why I advocate taking a more confrontational course and dramatically raise the pressure on the rulers."[1]
Sanctions against Millions
In his article in "Internationale Politik," Inozemtsev, who is currently also a non-resident Senior Fellow at Washington's "Atlantic Council," made concrete proposals for reinforcing the sanctions. For example, the punitive measures should "only be lifted, if Ukraine regains its full sovereignty over the regions currently under the control of the rebels" - a demand that would implicitly result in the nullification of the Minsk Ceasefire Agreements. Inozemtsev also insists that banks in EU member nations be obligated "to divest their portfolio investments in Russia." In addition, the EU should adopt a memorandum "stipulating that EU member states should reduce their imports of Russian gas by 10 to 20 percent annually." Brussels could forbid Russian citizens "to establish enterprises within the EU;" it could "cancel their rights to dispose of bank accounts with more than 10,000 Euros deposit capital," or rule "that, for example, Russian-owned real estate must be sold by January 1, 2018." "A visa ban on all Russian civil servants" could be considered. In principle, the sanctions should be "designed in such a way that they affect millions of Russian citizens." This is the only way "the Russian middle class" can be wedged into a broad "protest movement" to overthrow the government.[2]
"Win the Second Cold War"
Recently Inozemtsev has been cropping up in foreign policy circles with outright appeals to overthrow of the Russian government. In 2012, when he was asked about the situation in Russia, he confirmed that "the majority of the population is satisfied, they have never lived as normally as they do now." "In essence, Russia is a free country." Therefore, in its relations with Moscow Berlin should "concentrate on its economic interests."[3] However, last year, he advocated a radical disavowal of his previous pleas in favor of economic cooperation, demanding that the West should "mobilize the necessary resources to win the second cold war." Draconian boycott measures could be considered as one of the means. "Much more attention" should be paid to those who oppose the brutal escalation policy - Inozemtsev refers to them using the slur à la mode, "Putin-Versteher" (Putin apologists). "It is absolutely necessary to run thorough checks on the financial interests of such groups and their business ties to Russia." Any organization that receives support from the Russian state or Russian citizens should be labelled “aggressor’s agent.” According to Inozemtsev, "Russia will become a 'normal' country only when its laws will be installed from the outside."[4] This is an open appeal for the West to subjugate Russia in colonial style.
Bundeswehr to Lithuania
While Inozemtsev and other experts on Russia are campaigning against loosening or even lifting the sanctions against Russia within the German political establishment, Berlin's announcements of new militarization measures are fueling tensions with Moscow. Last Friday, Angela Merkel confirmed that the government is considering sending German soldiers to Lithuania to command a NATO battalion. This would be an aspect of the deployment of new western battalions in Poland and the Baltic countries, as was decided by the western war alliance in February and would intensify military pressure on Russia. The Bundeswehr has already taken a leading role in the establishment of a NATO-"spearhead" in East and Southeast Europe.[5] It has also significantly increased German personnel in the Multinational Corps Northeast in Szczecin, Poland, which plays a leading role in NATO maneuvers and operations in Eastern Europe. The Bundeswehr has also been heavily involved in combat exercises in Poland and the Baltic countries.[6] Should the German military also assume leading roles in the establishment of NATO battalions in Lithuania, Berlin would continue to play a decisive role in establishing a western military front in Eastern and Southeastern Europe targeting Moscow.
The End of the Founding Act
If troops are stationed, it would mean, de facto, the breach of the 1997 NATO - Russia Founding Act., The Founding Act stipulates - albeit in less precise wording - that NATO will not "station combat troops on a permanent basis" [7] east of the traditional cold war territory of the alliance. Berlin contends that German troops being assigned to Lithuania would not be in violation of the Founding Act text, if the soldiers are "rotated," in other words, constantly exchanged, rather than "permanently stationed." However, this cannot hide the fact that the NATO battalions, due to be stationed in all of the Baltic states, will constitute a composite "permanent stationing." With this move, Berlin could be dealing a fatal blow to the long-since teetering NATO - Russia Founding Act. The consequences would be a further erosion of the relations between western countries and Moscow. The danger of an uncontrollable escalation would, thereby, be further increased.
Apparent Contradictions
Parallel to the escalation policy, pressure to reduce or even phase out the sanctions is growing in several EU countries - including Germany. german-foreign-policy.com will report tomorrow Tuesday.
[1], [2] Vladislav Inozemtsev: Zeit für eine moralische Entscheidung. In: Internationale Politik Mai/Juni 2016, S. 20-25.
[3] Ex-Medwedew-Berater Inosemzew: "Russland können Sie als Demokratie vergessen". www.spiegel.de 23.11.2012.
[4] Vladislav L. Inozemtsev: Russia of 2010s: How to Live with It and How to Outlive It. DGAPkompakt Nr. 7, June 2015. See To Win the Second Cold War.
[5] See 21st Century Warfare (I)21st Century Warfare (II) and Message to the World.
[6] Berlin bereit zur Stärkung der Ostflanke. Frankfurter Allgemeine Zeitung 30.04.2016.
[7] Grundakte über Gegenseitige Beziehungen, Zusammenarbeit und Sicherheit zwischen der Nordatlantikvertrags-Organisation und der Russischen Föderation. www.nato.int.



Dispute over Sanctions on Russia (II)
 

2016/05/03

BERLIN/MOSCOW
 
(Own report) - German business circles and proxy foreign policy organizations are campaigning to have the sanctions against Russia lifted. More than two-thirds of the people in Germany are in favor of lifting sanctions, reports Koerber Foundation (Hamburg) based on a current opinion poll. More than four-fifths want close cooperation with Russia, and 95 percent consider a rapprochement in the next few years to either be "important" or "very important." The Koerber Foundation, an influential organization in the field of foreign policy, has, for years, been engaged in developing cooperation between Germany and Russia. The hope of an early lifting of sanctions was also the subject of the 4th East Forum Berlin, an economic forum with top-rank participants, held in mid-April, at which a state secretary of the Ministry of Foreign Affairs spoke in favor of new contacts between the EU and the Moscow-initiated Eurasian Economic Union (EAEU). The objective is the creation of a common "economic space from Lisbon to Vladivostok." The initiatives taken in Germany are being met with approval in several EU countries, including Italy and Austria.
Growing Discontent
Demands to abandon the sanctions policy against Moscow have been growing louder in various EU member countries, such as Italy, for which Russia is one of its most important business partners. Already in mid-March, the foreign ministers of Italy and Hungary had opposed an automatic prolongation of the sanctions without a debate. Following talks in Moscow in early April, the President of Austria, Heinz Fischer, announced he was also working toward halting the punitive measures.[1] Last week, France's National Assembly passed a plea to end the sanctions.[2] Anger is also apparent in Greece. Moreover, resistance is growing within German business circles, who, if the sanctions are soon lifted, hope for a new start of their business with Eastern Europe. Exports to Russia have plummeted from an annual volume of 39 billion Euros to less that 22 billion, since 2012 alone. If sanctions are lifted, German companies are counting on being able to redeem at least part of these losses.
From Lisbon to Vladivostok
Similar views were recently expressed at the "East Forum Berlin," convened by the German Committee on Eastern European Economic Relations (OA) together with the Metro Group and Italy's UniCredit, for the fourth time in the German capital. More than 400 participants - including the recently fired Ukrainian Minister of Finances, Natalie Jaresko, and Russia's First Deputy Minister of Economic Development, Alexey Likhachev - discussed the development of an "economic space extending from Lisbon to Vladivostok." In a survey of 180 participants of this top-rank forum, more than 80 percent clearly favored negotiations between the EU and the Moscow-led Eurasian Economic Union (EAEU) on the establishment of a common "economic space."[3] They found sympathetic listeners. In his "East Forum," opening speech, State Secretary in Germany's Ministry of Foreign Affairs, Stephan Steinlein, confirmed that the German government supports "contacts between the EU and the Eurasian Economic Union." "Technical standards, trade rules, cross-border infrastructure and simplified exchange procedures" should be discussed.[4] Sanctions against Russia was another important issue discussed at the East Forum. Thirty five percent of those surveyed predicted an end to the sanctions in the course of this year, while 27 percent predicted 2017. Only slightly more than a third thought the sanctions would last longer than 2017.
A New Start Required
Last week, Hamburg's Koerber Foundation, one of Germany's foreign policy organizations, which has promoted closer cooperation between Germany and Russia for years, took a stand. "Dialogue and understanding" between the two countries have, "for decades, been an important element of our work," declared the foundation. Currently, "with its focus on 'Russia in Europe,' the Koerber Foundation devotes itself to the rejuvenation of an open, critical, and constructive dialogue between Russia and its European neighbors."[5] Within this framework, the organization convokes a "German-Russian International Dialogue" twice annually, in which experts and politicians of the two countries can discuss "questions of European security and EU-Russia relations in a confidential atmosphere" in Moscow or Berlin."[6] The Koerber Foundation reached the conclusion after its most recent meeting, which took place December 5, 2015 in Moscow, that "the EU-Russian relations require a new start." In this sense, "future dialogue should focus on interests and explore against this backdrop the possibilities for cooperation." "Economic issues" are "an area of common interests that provide specific opportunities for cooperation."
Desired Rapprochement
To underline its quest, the Koerber Foundation has just recently published the results of a representative survey conducted on its behalf in both Germany and Russia by TNS Infratest in late February and early March. The survey shows that two years after escalation of the Ukrainian conflict, a significant estrangement between the populations of the two countries can be noticed. 48% of the Germans perceive Russia as a "threat," only 50% believe - emphatically - that Russia belongs to "Europe." More than half of the German population considers the EU's policy toward Russia as "appropriate." However, when asked which country Germany should work more closely with, 81% of those 1000 Germans, participating in the survey, opted for Russia - in second place behind France (89%) and far ahead of the USA (59%). In Russia, 62% of the respondents chose Germany as their favorite cooperation partner (ahead of China and France with 61% each). 69% of the Germans favor lifting the sanctions on Russia. And lastly, 95% believe that it is "important" or "very important" that Germany and Russia develop closer relations over the next few years.[7]
The Benefit of Cooperation
A first step toward rapprochement was actually accomplished on April 20, with the NATO-Russia Council's first meeting in two years - promoted particularly by the German government. After the meeting, NATO Secretary General Jens Stoltenberg spoke of "profound and persistent disagreements." But he also confirmed that the dialog would be continued.[8] Berlin therefore succeeded in reviving the dialog between Moscow and the western war alliance. At the same time, the German chancellor has announced a de facto permanent deployment of German soldiers - as part of a NATO battalion - in Lithuania. This would be a breach of the NATO-Russia Founding Act and would further escalate the conflict between the West and Russia.[9] Russian protests against this deployment would, more than likely, be easier to placate within a NATO-Russia Council than in the absence of an established framework for dialog - a tactical advantage for a highly profitable economic cooperation.
For more information on the subject of sanctions against Russian see: Dispute over Sanctions on Russia (I).
[1] Russland-Sanktionen: Fischer "loyal" zu EU-Linie. diepresse.com 06.04.2016.
[2] L'Assemblée nationale demande la levée des sanctions contre la Russie. www.latribune.fr 28.04.2016.
[3] 4. east forum Berlin mit Rekordbeteiligung. www.ost-ausschuss.de 19.04.2016.
[4] Keynote von Staatssekretär Stephan Steinlein bei der Eröffnung des 4. east forum Berlin am 18.04.2016.
[5] Annäherung oder Abschottung? Ergebnisse einer repräsentativen Umfrage von TNS Infratest. Hamburg 2016.
[6] Russland und die EU: Zusammenarbeit in Zeiten der Krise. Körber-Stiftung Internationale Politik, März 2016.
[7] Annäherung oder Abschottung? Ergebnisse einer repräsentativen Umfrage von TNS Infratest. Hamburg 2016.
[8] "Tiefgreifende und andauernde Differenzen". Frankfurter Allgemeine Zeitung 21.04.2016.
[9] See Dispute over Sanctions on Russia (I).





I “Giorni maledetti” dell’Ucraina golpista (1)

di Fabrizio Poggi, 20.4.2016

Diario di una giovane ucraina da Majdan a oggi

Komsomolskaja Pravda sta pubblicando da alcuni giorni a puntate il diario di una giovane ucraina in cui questa, sotto il titolo “Giorni maledetti”, racconta gli avvenimenti nel paese, a partire dalla fine del 2013, fino a oggi.

Con molto azzardo KP (che non pubblica il nome della donna, “per non metterla in difficoltà”) paragona questi “Giorni maledetti” dell’Ucraina odierna a quelli descritti, pure in forma di diario, da Ivan Bunin nel 1918 e ’19, dal suo punto di vista di nemico della Rivoluzione d’Ottobre, che collaborò con l’esercito bianco nel sud della Russia, prima di fuggire in Francia.

I moderni “Giorni maledetti” non compiono analisi classiste della società ucraina, trascurano qualsiasi riferimento alle mire internazionali che hanno portato al golpe fascista del 2014 e che stanno tuttora orientando le scelte di Kiev e, soprattutto, in essi le cannonate e i bombardamenti sul Donbass risuonano appena, quel tanto che basta a spaventare i kievliani quando la guerra bussa alle porte di casa sotto forma di cartolina precetto.

Alcuni lettori di KP mettono addirittura in dubbio l’autenticità di questo “diario”. Un lettore di Ufa se ne dice impressionato ma, chiede, “non si sarebbe potuto trovare un documento simile per la nostra provincia russa: sull’aumento dei prezzi, sugli espedienti della gente per sopravvivere alla crisi, su disoccupazione, sull’immiserimento dei pensionati e l’arricchimento degli alti funzionari, sugli arbitrii di polizia e procure?”. Uno di Novosibirsk, invece, scrive che “per 20 anni in Ucraina è stata condotta una derussificazione di massa; la gioventù è stata educata su “Moskaly passati al coltello” e “morte ai nemici”, slogan ripetuti dai tantissimi collaborazionisti fuggiti al seguito dei nazisti e rientrati nel 1991, che negano il ruolo di boia di OUN-UNA-UNSO. E’ cresciuta così una generazione di assassini, che ora nel Donbass scrivono sui proiettili d’artiglieria “Crepate, bestie”, mirando a scuole, ospedali, asili, ecc. Se non sosterremo coloro che in Ucraina sono davvero nostri fratelli, per il nostro tradimento pagheranno i nostri nipoti e pronipoti”.

In sostanza, tutto il diario è estremamente soggettivo, a tratti “egoistico”, “aristocratico” e a più riprese parla di “psicosi collettiva” nel descrivere i comportamenti di molta parte della popolazione di Kiev, soprattutto nei mesi a cavallo di majdan, tra dicembre 2013 e febbraio 2014. Ciononostante, ci sembra che le sue pagine siano interessanti dal punto di vista della vita quotidiana a Kiev e della condizione materiale della popolazione ucraina, velocemente aggravatasi proprio a partire da quella “rivoluzione per l’Europa”. Ma queste pagine sono anche istruttive, in particolar modo, per certa stampa nostrana che, a due anni di distanza dal golpe, continua a parlare di una “rivoluzione” che avrebbe portato la “democrazia” e il “benessere” al popolo ucraino.

Tra parentesi e in corsivo le rare note nostre, il testo è il prodotto di una nostra sintesi di quello originale.

 

Majdan

Novembre 2013: Per la prima volta sono andata in majdan; per curiosità. Quanto odio per la Russia e Putin… Ho avuto paura. Gridano “Europa, Europa, Gloria all’Ucraina”. Una gigantografia di Julia Martire (Timošenko) e bandiere dell’UPA. Una presa di potere anticostituzionale, ecco ciò che accade nel paese; agli ucraini piace; e invece è proprio questo che mi spaventa. A una donna che dice che i suoi parenti a L’vov non permetteranno che il presidente Janukovič rifiuti l’accordo di associazione all’Europa, chiedo “Che cosa cambia? Loro già così sono da tanti anni in Europa: badanti, inservienti, mantenute…”. La televisione dice che in majdan è tutto tranquillo; nemmeno una parola sull’autobus ribaltato ieri dai giovani eurointegratori.

Dicembre: “il mostro si dispiega”. Autentici pogrom, dappertutto; oppure un unico immenso pogrom. Da due giorni, o forse più, penso: è possibile che i tipici gesti nazisti riaffiorino dalla memoria genetica degli ucraini, i cui antenati rimasero nei territori occupati e combatterono contro l’Armata Rossa? Oggi ero di turno (la protagonista del diario, costretta a lasciare il lavoro giornalistico, è tornata a esercitare la professione di medico sportivo) all’incontro di hokey con una squadra bielorussa; i nostri giocatori gridavano “Gloria all’Ucraina. Agli eroi gloria”: ai bielorussi non è piaciuto affatto (erano gli slogan dei banderisti al soldo delle SS, mentre un terzo della popolazione bielorussa morì sotto l’occupazione nazista). E’ evidente una psicosi collettiva di metà del paese; l’abbattimento della statua di Lenin e la testa portata in majdan, ecco, questo mi ha fatto ribollire. Nel 1941, prima di Babij Jar (l’enorme fossato a nordovest di Kiev in cui SS e milizie ucraine massacrarono più di 100.000 tra ebrei, rom, prigionieri sovietici) anche i fascisti abbatterono il monumento a Lenin e risero molto; non sto a ricordare cosa ne sia stato poi dei fascisti. Ridatemi la mia Kiev; andate a combattere a L’vov, Kolomija, Rovno, Jaremče; i kievliani non vi obbligano a usare la lingua russa e allora perché la majdan occidentale vuole imporre le proprie scelte a tutta l’Ucraina? Da dove viene tanta sozzura? E dove sono le persone normali? Che cosa stanno facendo? Perché tacciono?

Gennaio 2014: l’Ucraina si sta trasformando nella Cecenia degli anni ’90. Hanno costruito una catapulta e lanciano pietre e bottiglie molotov. Alla milizia è tuttora proibito opporre resistenza. Questa non è una rivoluzione, è un pogrom nazionalista, un ritorno alle tenebre infernali del medioevo. Gruppi di contadini in corteo. Anche la giardiniera del nostro condominio vuole andare a majdan: l’amministrazione è in ritardo con lo stipendio, mentre a majdan distribuiscono soldi e mangiare ogni giorno.

Febbraio: Culmine del sabba. Al grido di “Sieg Heil! Rudolf Hess! Hitlerjugend SS!” gli attivisti di majdan bastonano le persone. Nel 1941 mio bisnonno fu fucilato insieme a tanti ebrei a Glukhov: li aveva traditi la locale “Polizei” ucraina. Oggi gli ebrei che prendono parte al sabba dicono “Janukovič ci toglie gli affari, ora noi usiamo i banderisti per abbatterlo e poi andiamo a pulirci le mani”; davvero i i soldi vi sono più cari della memoria dei vostri avi, delle tombe su cui sputate mettendovi sotto le insegne banderiste? Gente, non farete in tempo a lavarvi le mani.

 

La catastrofe

Primo giorno della nuova era: E’ successo. Oggi hanno seppellito gli insorti uccisi. E’ passato il catafalco e sopra stavano quelli di Pravyj Sektor coi fucili… Canale 5 ha annunciato le dimissioni di Janukovič e loro sono esplosi in urla selvagge, si sono scordati dei funerali, si complimentavano l’un l’altro, tutti felici e contenti. Nei quartieri dormitorio di Kiev girano drappelli che pretendono dalle persone soldi per la rivoluzione; tolgono anelli e orecchini alle donne. Oggi ho parlato con un ufficiale del Berkut: è stanco, non ne può più; dice che avrebbero potuto controllare tutto, in fretta e senza tanti sforzi; i Berkut capiscono di essere stati traditi, sono diventati ostaggio della situazione.

In un rione di Kiev c’è una piccola macelleria; il proprietario, un ebreo, produceva da solo insaccati e carne, vendeva a credito. Gli hanno ricoperto interamente il negozio di svastiche e buttato all’aria la merce.

Secondo giorno: A Rovno un combattente è entrato al Consiglio municipale col kalašnikov; ho visto in TV le facce dei funzionari; impressionante; sono sicura che adotteranno le decisioni “giuste”. Con il pretesto di “esigenze rivoluzionarie” hanno svaligiato l’abitazione dell’ex vice speaker della Rada. Il presidente di Svoboda, Tjagnibok, ha proposto che sui documenti dei russi venga apposto il timbro “non cittadino ucraino”. Nelle strade svastiche dappertutto, scritte “moskaly passati al coltello” (moskaly è l’appellativo spregiativo per russi), gli ebrei d’ora in poi saranno giudei, ecc. Una catastrofe non di oggi; dura da 23 anni: questo è il suo culmine.

Marzo: La Crimea ha preso il largo, mordetevi le mani!

Primo giorno: Ora ci dicono che ucraini e russi non sono affatto fratelli. Un professore di Kiev spiega che Genghis Khan era in realtà il cosacco Bogdan e gli studenti ci credono. Ieri i popi uniati hanno predicato il pieno e definitivo annientamento della Russia e dei russi, in quanto paese e popolo diavoli. Timošenko ha scritto a Taras Ševčenko (grande poeta e nazionalista ucraino del XIX secolo): “Salute a te Taras! Oggi, in questo glorioso giorno di primavera, possiamo dire di aver adempiuto la tua volontà, il tuo comandamento”. Dio, salvami da questi mezzo idioti! Alle fermate degli autobus graffiti di svastiche e kalašnikov. Ho nostalgia di Janukovič: su questo sfondo di schizofrenia egli mi appare responsabile e adeguato.

Secondo giorno: l’oscuramento dei canali russi è una misura repressiva, soprattutto nei confronti degli anziani. Alcuni dicono “Volevamo solo cambiare in meglio la nostra vita. Pensavamo: in tre settimane risolviamo tutto. E invece ne è venuta fuori questa melma. Chi l’avrebbe immaginato…”.

Continua…




I “Giorni maledetti” dell’Ucraina golpista (2)

di Fabrizio Poggi, 22 aprile 2016

Diario di una giovane ucraina da Majdan a oggi

Donbass

Aprile: siamo in ansia – se l’est si stacca e va con la Russia (in aprile iniziarono le operazioni contro il Donbass), con chi rimaniamo noi a Kiev?

Maggio: 9 maggio (anniversario della vittoria sul nazismo) a Kiev grandina; a est “Grandine” (i razzi Grad). Ci sono uomini che urlano “Vado nel Donbass e li faccio a pezzi, li prendo a fucilate, quei katsapi-traditori”. Vado al policlinico. Anche lì un uomo sui sessant’anni urla “Che li bombardino quei katsapi!” (katsapi è un termine ancora più spregiativo di moskaly per indicare i russi: più o meno corrisponde a caprone, che è l’appellativo più offensivo nel linguaggio carcerario russo). Una donna invece grida al telefono “Dimmi: viaggiano i treni da Donetsk? Assicuratene e vieni via oggi stesso”. Non sono assolutamente staliniana, ma mi rincresce che non ci sia più un paese unico, l’Urss e il male di alcuni non riguardi anche gli altri.

Giugno: giornate infami; persino non maledette, ma semplicemente infami. Una 50enne al fitness club “Li sterminiamo quei terroristi di Donetsk; facciamo piazza pulita, come in Europa. Ora abbiamo un buon governo”. I politologi di Kiev definiscono gli 8 milioni di russi d’Ucraina “merda che sbuca da tutte le fessure, che va pulita e eliminata” e così fanno. (Nota di Komsomolskaja Pravda: i russi in Ucraina sono diminuiti: al censimento sovietico del 1989 si dichiaravano russi 11,36 milioni; già nel 2001 erano 8,33 milioni: la propaganda e le agevolazioni accordate negli studi e nel lavoro ai giovani che sceglievano la nazionalità ucraina hanno fatto breccia).

A due cantanti che si esibiscono in Russia, hanno dato alle fiamme due ristoranti e un appartamento; sui muri dell’ambasciata russa semidistrutta, corone funebri e parole irripetibili. Per tutta la mattina chiedo a qualcuno di commentare gli avvenimenti a est. Dicono “è spiacevole uccidere i civili”, ma qualcuno deve farlo. E’ il prezzo della guerra! Sono sconvolta.

Agosto: pazzia giallo-turchina. Kiev è piena di soldati: ragazzi gracili e verdognoli; sull’uniforme è cucito il gruppo sanguigno. Li stanno ingannando: non garantiranno loro nemmeno le trasfusioni. I figli dei miei vicini di casa saranno richiamati alle armi: ma quale spedizione punitiva! sono vittime della pazzia. In città, ragazze in shorts e bikini raccolgono fondi per il battaglione “Ajdar”; nelle strade sempre più ragazze in nero: è chiaro chi siano. Tutto è dipinto di giallo-turchino: capitelli, ponti, spazi gioco e alberi secolari. Appare tutto come in un dispensario psichiatrico. Gioventù patriottica in città: “la Guardia nazionale uccide a Donetsk e Lugansk. Che guerra è? A chi serve? Io non voglio partire”. Nessuno vuole partire.

Il fondo

Settembre: gli studenti di Ivano-Frank bruciano il fantoccio di Putin e gli insegnanti dirigono il coro. Hanno portato nudo in piazza il futuro deputato Gavriljuk, perché con un’accetta ha mandato in rianimazione un diciottenne richiamato alle armi. Di Gavriljuk oggi è piena l’Ucraina: beoni, aggressivi, scaltri; ecco, ora lui è in politica.

 

La foschia di majdan si dissipa

Ottobre: Hanno smesso di gridare “Gloria all’Ucraina”. Vasilij, il mio antennista, guarda i canali ucraini; sua moglie, originaria di Ivanovo (300 km a nordest di Mosca) guarda quelli russi e poi se li raccontano. Hanno convinto Vasilij che i russi non siano slavi e dunque vuol capire cosa sia sua moglie. Invece la mia vicina esige proprio da me che la Russia ceda all’Ucraina la regione di Voronež. Sono uscita sul balcone: ho sentito 6 volte il nome di Putin; una volta hanno detto “Che Putin ci conquisti al più presto!”. L’operazione per dividerci non pare aver successo.

14 ottobre: anniversario dell’UPA, la loro festa. Juščenko aveva attribuito il titolo di eroi a Bandera e Šukevič; Porošenko ha istituito la festa ufficiale di stato in loro onore. Per curiosità sono andata a veder la loro marcia. Gridavano “Gloria all’Ucraina”. Poco distante degli anziani giocavano a scacchi come se nulla fosse. Dai racconti del mio anziano vicino so come dietro alle mitragliatrici che falciavano gli ebrei a Babij Jar ci fossero gli ucraini, in uniforme nera con il distintivo giallo del tridente; i tedeschi si limitavano a gridare “Feuer, Feuer”. La metà dei giovani, ragazzi e ragazze, che incontro in strada portano la maglietta con quel tridente. Una specie di reincarnazione degli assassini.

Kiev è diventata un’enorme mercato delle pulci; si vende di tutto: libri, vasi, servizi, bicchieri, vecchie pellicce, mantelle, abiti dei mariti morti, quadri, ferri da stiro, posacenere (secondo le statistiche, il tenore di vita della popolazione è precipitato da +16% reale nel 2010, con 1.529 grvne di reddito medio ufficiale, a -22% nel 2015, con 2.590 grivne di reddito ufficiale). Di regola, il 1 ottobre si accendono i riscaldamenti negli ospedali; la Russia ha chiuso il gas all’Ucraina; i pazienti congelano, per non parlare dei bambini. Jatsenjuk dice che accenderà i termosifoni solo a gennaio.

Ho notato che a ogni balcone c’è una parabola, a volte anche due. Chi vogliono ingannare con il divieto dei canali russi? Ho saputo che qui da noi c’è un club hokeystico giovanile che si chiama “Berkut”, diretto da oltre un anno da un allenatore professionista di Mosca: vanno orgogliosi del nome del club e non intendono cambiarlo. Tra l’altro, gli hokeysti hanno smesso di gridare “Gloria all’Ucraina – agli eroi gloria”, come l’anno scorso. Secondo testimoni, in Crimea molte donne possono infine permettersi di mangiare carne e di comprarsi qualche vestito, mentre gli uomini girano con le magliette con l’immagine di Putin e la scritta “A chi non piaccio, è libero di spararsi”. E qui: come si fa a vivere, a lavorare? L’infermiera Nadia oggi mi ha detto, in perfetto russo con un leggerissimo accento ucraino, che a quelli come me “bisogna schiacciare la testa vuota sul muro”, perché io sarei contro l’Ucraina.

Mi hanno dato un volantino con l’immagine di Putin tracciata in nero e la scritta “Noi, semplici credenti della setta di Geova, dichiariamo che Putin è Satana. Venite alla nostra riunione. Insieme salveremo l’Ucraina”. Poi era spiegato il perché della guerra in Ucraina: “le persone hanno scordato i comandamenti. Bevono, rubano, si drogano, fornicano e tutto questo l’hanno imparato da Putin”. I tempi e le leggende non cambiano. Negli anni ’30 i tedeschi sostenevano che Cristo era un autentico ariano. Nel XXI secolo è diventato ucraino. Ho gettato via dal guardaroba ogni capo di colore bruno. Un’anziana sul taxi collettivo: “Come posso pagare 2.400 grivne per le medicine, se ne ricevo 1.600?”. (1.500 grivne è considerato il minimo di sopravvivenza. Secondo i dati dell’Istituto ucraino di demografia e ricerche sociali, il 33% degli ucraini si trova oggi oltre il limite di povertà, contro il 22% del 2013).

Sono andata in negozio per una nuova giacca. La proprietaria mi ha detto che l’attività sta fallendo e lei se ne va a cercar di lavorare in Russia. Ieri notte alla stazione, mentre aspettavo conoscenti, ho visto molti mezzi-barboni, uomini e donne, che dormivano sulle sedie; la milizia non li manda via, perché non hanno dove andare: che mostri morali bisogna essere per dire alla gente di Lugansk che lavora a Kiev, che “lo stipendio glielo paghi Janukovič oppure si tolgano di mezzo”. Ma qui la metà della gente la pensa davvero così.

Continua…


http://contropiano.org/news/internazionale-news/2016/04/24/giorni-maledetti-ucraina-golpista-3-078249


I “Giorni maledetti” dell’Ucraina golpista (3)

di Fabrizio Poggi, 24.4.2016

Diario di una giovane ucraina da majdan a oggi

Mobilitazione totale

Dicembre: Il respiro pesante degli anni ’90. Dal 1 dicembre non ci saranno più né treni né autobus da Kiev per il Donbass. Tutti sono scioccati alla notizia. Le ragazze ucraine dicono addio in massa all’innocenza; fu così anche nel 1941.

Un professore della facoltà di Giornalismo all’Università di Kiev dice “Gli slavi siamo noi. A ogni immondizia come i moschiti (altro appellativo spregiativo per indicare i russi) gli facciamo la festa, li trasformiamo in schiavi e poi li vendiamo ai cinesi”. In allenamento, un puck da hokey colpisce al petto un ragazzo; accorrono tre cardiologi vestiti da babbo natale; gli fanno le domande in ucraino e lui, in russo, risponde che non capisce; loro di nuovo in ucraino. Solo alla fine hanno cominciato a parlargli normalmente; ho chiesto loro perché avessero fatto così: “istruzioni”, hanno detto. Non hanno compassione per nessuno.

La gente compra le ossa al posto della carne, surrogati caseari invece del formaggio, verdure. Siamo alla povertà. Gli anni ’90 ci soffiano sul viso col loro respiro pesante. Ed è giunto il momento di comprare lampade a petrolio: a turno, tolgono la luce a rioni. Non capisco come facciano al teatro dell’operetta a gridare “Gloria all’Ucraina; agli eroi gloria”. Leggo le notizie: “Alla Rada suprema, durante la riunione del Comitato per la lotta alla corruzione, hanno rubato il tablet alla giornalista Anna Pisarenko”; commento del Ministro degli interni: “Anche tra i deputati ci sono delle persone disoneste”, per il resto, tutto bene! Il buffo è che riunendo alla Rada degenerati, cosacchi, prostitute, malati mentali e ladri vari, sono convinti che qualcosa dipenda dal governo: ma sono già 23 anni che nulla dipende dal governo. Prendiamo Kličko: lui, il sindaco di Kiev, ha trascorso il difficile e freddo autunno sul mar Morto; in Germania faceva troppo freddo. E Kiev è piena di immondizia, debiti, mezzi di trasporto non riscaldati e problemi nei condomini. Eppure ci avevano avvertito, come sarebbe stato un sindaco pugile.

In clandestinità; ora c’è come una parola d’ordine: ti offrono un cioccolatino Rošen (delle fabbriche di Porošenko) e ti dicono “lo prenda insieme al caffè”; se rispondi “da un po’ di tempo non mangio cioccolatini Rošen”, allora la conversazione ha inizio. Se invece lo accetti, silenzio.

Gennaio 2015: Ho deciso di camminare un po’ prima di andare a dormire. Nel rione dormitorio, chioschi di ogni tipo, scatole ribaltate su cui esporre la merce, “cucce per cani” in cui si vendono alcolici; lugubri uomini ubriachi e donne che fumano con strane bottiglie in mano, che parlano in uno strano miscuglio di russo e dialetto di L’vov. In centro è tutto chiuso.

Negli ospedali e policlinici di Kiev, infermiere, chirurghi, anestesiologi, rianimatori, traumatologi hanno cominciato a ricevere le cartoline precetto. Al ginnasio di mia figlia l’hanno già ricevuta anche i ragazzi che faranno 18 anni solo in primavera. Uno shock.

L’umore della gente di Kiev: “Non bisognava agire così con il Donbass”. E’ tutto un sussurrare su Mariupol, anche se in modi diversi. C’è chi vede caccia russi in cielo; c’è chi va in cerca di rifugi antiaerei. Anch’io mi sveglio con la sensazione che stiano per iniziare a bombardarci. E’ tempo che mi rivolga allo psichiatra.

Il padre della mia amica era nato a Gorlovka; era architetto e aveva costruito mezza Donetsk, tutta Gorlovka. Ha avuto così tanti premi per il suo lavoro. E’ morto di recente; mentre stava morendo non faceva che chiedere alla figlia “Lena, hanno bombardato anche tutto quello che avevo fatto io?”. Che avete da piangere, donne ucraine? Un anno fa non piangevate.

Secondo anno di pazzia

Febbraio 2015: Il giorno della loro vittoria. Teppa di majdan, drogati, bottegai, sono parificati ai veterani della Guerra patriottica; scusate, non ho parole. Come è triste Kiev. Almeno fate un’altra rivoluzione, altrimenti non ci sono che fiori appassiti e quelli nuovi per Nemtsov (Boris Nemtsov, il dissidente russo ucciso a Mosca nella notte tra il 27 e il 28 febbraio 2015. Sono noti i legami tra Nemtsov e i “rivoluzionari” ucraini:  aveva partecipato alla “rivoluzione arancione” a Kiev nel 2004 ed era stato consigliere di Viktor Juščenko. Alla marcia a Mosca nel primo anniversario dell’uccisione hanno partecipato anche rappresentanti dei battaglioni neonazisti ucraini). Una mia conoscente è originaria di un villaggio fuori Kiev; dice che anche là sono arrivate le cartoline precetto, ma tutti gli uomini o sono fuggiti oppure sono disposti a farsi arrestare pur di non partire. Per la guerra partono gli imbrogliati, i “Losers” hollywoodiani e i patrioti coi soldi. Tutti sanno che è una mattanza. Il fatto curioso è che il 60% dei disertori proviene dall’Ucraina occidentale. Un anno fa erano venuti a Kiev a gridare “moskaly passati al coltello”: li avevano pagati bene. Sugli autobus vedo sempre più diciottenni richiamati: fa male guardarli. Anche due allenatori del nostro club sono stati richiamati: hanno dato loro un vecchio giubbotto antiproiettile, uniforme, kalašnikov e torcia; il resto, per non meno di mille dollari, se lo devono comprare: con un salario di 3mila grivne, cioè 100 $. Un altro, che si era fatto tutta la majdan, vuole scappare a Tjumen (uno dei maggiori centri petroliferi della Siberia) dove lo ha invitato un club minorile di hokey. Un vicino, agente di polizia, ha fatto scorta di tutto – fiammiferi, olio, sale, farina – e poi ha detto che aspetta Putin a braccia aperte, o forse scapperà in Russia con la famiglia. L’unico canale russo ufficialmente permesso, “Dožd” (tv dell’opposizione russa) trasmette discorsi di Khodorkovskij contro la Russia.

A Krivoj Rog hanno distrutto il monumento a Karl Liebknecht: avranno almeno saputo chi fosse stato? Da più di un anno mi tormenta la stessa domanda de “I giorni dei Turbin” (piece teatrale dell’ucraino Mikhail Bulgakov tratto dal suo romanzo “La guardia bianca”, sugli ufficiali bianchi durante la guerra civile) a proposito della lingua ucraina che nemmeno gli ucraini amano: “Chi ha terrorizzato la popolazione russa con questa lingua vile che non esiste al mondo?”.

Marzo: Ci minaccia la fame. I prezzi nei negozi vengono esposti in base al corso del dollaro; spesso li cambiano tre volte al giorno. La gente guarda e va via senza comprare nulla (l’inflazione è stata del 25% nel 2014; del 43% nel 2015. Da gennaio 2016 sono aumentate del 25% le tariffe energetiche, l’acqua del 15%, i prodotti alimentari dal 5 al 10%); ieri al supermarket le persone si uccidevano per comprare a 18 grivne tutto lo zucchero disponibile. Oggi costa già 27 grivne. Una donna: “E chi lo sapeva che non ci avrebbero preso in Europa? Noi ci credevamo. Dovevano dirci la verità”. Quante ce ne saranno di ottuse così? I limoni marci si vendono a 10 grivne; quelli normali a 49. Il ricamo meno caro costa al mercato 1.500 grivne, cioè la metà di un buono stipendio. Kiev è piena di smobilitati in carrozzella: uomini mutilati con le fasce insanguinate; si incontrano dappertutto…

 Che c’è di nuovo?

Aprile: Cinque anni sotto le bandiere rosse. Sulle strade fuori Kiev uomini trasandati vendono succo di betulla, travasandolo in enormi e sudice brocche. Nei tronchi degli alberi sono conficcati accette e coltelli… le betulle stanno seccando: è tutto così doloroso e preoccupante. Oggi sono stata al meeting dei veterani sotto il monumento a Nikolaj Vatutin (il generale sovietico ucciso nel 1944 a Kiev da un gruppo dell’UPA – nota di KP) e le donne piangono; i veterani nascondono le decorazioni e i nastri di San Giorgio (simbolo della vittoria sul nazismo); oggi per quelle bandiere rosse sotto cui hanno combattuto tutta la guerra, ti danno cinque anni di galera. Ho chiesto: “dove sono i vostri figli, nipoti, pronipoti? Perché non sono qui con voi?”; mi hanno risposto: “Non li abbiamo voluti: temiamo per loro”.

Maggio: alla vigilia del 9 maggio hanno detto ai kievliani di starsene a casa, dato che la Guerra Patriottica non fu la guerra dell’Ucraina; l’Ucraina fu vittima del totalitarismo. Ma sono sicura che la gente andrà ugualmente. Sono andata a vedere. Sul viale della Gloria avevano cominciato a distribuire i nastri di San Giorgio; poi Pravyj Sektor ha provocato tafferugli e così hanno smesso di distribuirli. Kiev è inondata di mimetiche; incredibile, si celebra il Giorno della Vittoria sotto controllo degli eredi dei collaborazionisti! La gente marcia in silenzio, senza bandiere né simboli. Secondo le indagini demoscopiche, il 70% degli ucraini era contrario alla desovietizzazione e all’abolizione della dizione di Grande guerra patriottica. Ma ha vinto la democrazia! Nella notte la teppa ha divelto la lapide a Georgij Žukov.

Dopo che il gas è aumentato di sei volte, hanno preso il volo i prezzi dei multicooker; qualcuno dice che ora accenderà un fuoco in giardino per cucinare. La nipote di una mia conoscente, sei anni, è tornata dall’asilo e ha detto “Uccideremo tutti i russi. Aspetto solo crescere un po’”; la nonna le ha chiesto da chi lo avesse udito e la bambina “Tutti, genitori, maestra, anche noi si gridava così”.

Estate: Il giorno della marmotta. Nel 2013 e nel 2014 scrivevano “Abbasso la banda”; ora scrivono “Abbasso tutti” e cominciano a raccogliere firme per le dimissioni di Porošenko. Oggi la mia estetista mi ha raccontato che quelli di Pravyj Sektor, che ha il quartier generale qui vicino, ogni mattina raccolgono i contributi dai bottegai: a chi non paga bruciano il negozio.

Giugno: la rada vuol proibire la parola “Russia”; è una decisione coraggiosa, soprattutto in vista del default. Ieri a una riunione hanno ordinato ai giornalisti di istruire il pubblico su come preparare in casa zucchero, conserve e farina. Ai militari spediti a fare la guerra nel Donbass hanno tolto ogni agevolazione sociale: chi vorrà andare in guerra? In TV hanno mostrato un concorso di tatuaggi; ha vinto un uomo col tridente disegnato sul petto e poi sotto “Alla Moscovia!” e ancora più giù “Gloria agli eroi”. Gli hanno chiesto come mai non sia a est a far la guerra: ha risposto “E che, vi sembro stupido?”; sì, stupido, però furbo.

continua…


I “Giorni maledetti” dell’Ucraina golpista (4)

di Fabrizio Poggi, 30 aprile 2016

Diario di una giovane ucraina da majdan a oggi

Canaglia prokatsapy

Luglio-Agosto: Hanno lasciato il giornale nella cassetta postale. L’ennesimo grugno disgustoso di un candidato chiama all’ennesimo rovesciamento del governo. Nessuno prende il giornale: le pagine sono sparpagliate fuori dell’ascensore. Dicono che non sia rimasto più nulla dell’Ucraina. Sono rimaste solo le persone buone, di talento, intelligenti e, spesso, profondamente infelici, stanche degli inganni. All’uscita della metropolitana allungano loro il giornale “Banderisti”: essi voltano la faccia disgustati. Siamo andati con gli amici a fare al bagno al laghetto; sulla riva ci sono due coppie in costume da bagno. I ragazzi hanno tatuate sulle spalle svastiche e aquile: chiaro che arrivano dalla zona ATO (Anti Terrorističeskaja Operatsija). Presto inizia la scuola, ma sugli scaffali ci sono solo quaderni con l’immagine di Bandera; libri di testo senza Bandera o il “golodomor” (la carestia che tra il 1932 e ’33 sconvolse molte regioni dell’Urss, tra cui l’Ucraina, ma che i bandersti continuano a qualificare come “genocidio pianificato” da parte di Mosca) : solo questo chiedeva il Donbass, davvero non lo si poteva concedere, invece di trattarli con disprezzo e imporre loro la Galizia in tutte le salse? Oggi non ci sarebbe nessuna guerra.

Settembre: è iniziata la majdan comunale. Solo in Ucraina è possibile vedere ministri che lanciano lacrimogeni, agitano bastoni e i loro sottoposti tirano granate. Interessante: chi distribuirà le pentole sotto il palazzo del governo? Nel 2014, il deputato Ljaško distribuiva bastoni direttamente dalla propria jeep. L’ho visto coi miei occhi. La majdan comunale deve portare mestoli e pentole. Quest’anno non ci saranno altre mobilitazioni per l’esercito, tranne i coscritti. Tornano a Kiev giovani ucraini stanchi e abbattuti. Si danno a bere dappertutto e dicono di esser stati abbandonati, senza lavoro. Hanno combattuto contro la propria gente, mentre il presidente apriva nuovi negozi di dolci. Il governo obbliga tutti i neuropatologi a occuparsi della riabilitazione dei reduci dall’ATO. Per i più gravi ci sono già diagnosi non neurologiche, ma psichiche gravi; essi si definiscono assassini, vedono sangue nel letto e si vedono affogare nel sangue; urlano di notte. Ma ai medici è vietato diagnosticare l’invalidità; al massimo tossicodipendenza, alcolismo, alterazione cerebrale, contusioni.

Ottobre: il 29 settembre 1941 cominciarono le prime fucilazioni a Babij Jar. Domani Porošenko e Jatsenjuk porteranno le corone di fiori; l’ex presidente Leonid Kravčuk farà pentimento di fronte agli ebrei vittime dell’olocausto e chiamerà a uccidere i russi. Non è un manicomio? Ho visto una ragazzetta con la stella di David cucita; gli stessi ebrei oggi portano i simboli dei nazionalisti ucraini, i loro assassini. La caduta dell’Ucraina nel nazionalismo estremo purtroppo non è uno spiacevole episodio, ma una grave e profonda riformattazione della società, che ha di fronte ancora molte notti di San Bartolomeo. Ci sono le elezioni; in un seggio hanno appeso i ritratti di Putin e Medvedev. Accorrono i poliziotti in cerca dei malvagi separatisti. Medici e infermieri del mio policlinico o non sono andati a votare, oppure hanno annullato la scheda.

Decomunistizzazione

Novembre: 9 novembre – oggi è la giornata della lotta a fascismo, antisemitismo e xenofobia. Alla vigilia, a Lutsk (capoluogo della Volinja, la regione a forte minoranza ebrea e polacca che nel 1941-’43 subì le stragi più feroci da parte dei filonazisti dell’UPA) hanno imbrattato con vernice rossa e nera (i colori dell’UPA) la lapide a ricordo delle vittime dell’olocausto. Nella vicina regione di Rovno hanno dato fuoco alla chiesa ortodossa fedele al patriarcato moscovita dopo averla derubata di tutto: agivano così i nazisti con le sinagoghe negli anni ’30 e ’40. E’ arrivata una conoscente da Mariupol: seppelliscono senza piastrine di riconoscimento i morti nell’operazione ATO; sotto terra squillano i cellulari: apocalisse ucraina. Presto a Kiev la prospettiva “Flotta aerea” verrà ridenominata “Stepan Bandera”. Quando i tedeschi occuparono la città nel 1941, per prima cosa rinominarono strade e piazze, affiggendo targhe in tedesco. Lancio un’idea ai decomunistizzatori: interrare il patriarcato nemico, costruito dai cani-comunistoidi e utilizzarlo come bunker e deposito di armi per la guerra contro Russia e Crimea. Darne le chiavi a Jaroš (all’epoca, ancora leader di Pravyj Sektor). Hanno smantellato le lapidi ai generali Malinovskij e Žmačenko; hanno rotto il bassorilievo a Lunačarskij (Ministro dell’istruzione nel primo governo sovietico nel 1917 e fino al 1929). Nel centro di Kiev celebrano la giornata del “golodomor”; poco distante, saccheggiano gli uffici di Rinat Akhmetov (considerato il più ricco magnate d’Ucraina).

Harakiri politico

Dicembre: folla al museo “Taras Ševčenko” di Kiev per la mostra “Donbass: come era prima della guerra”; le persone sono scioccate: davvero era così? Per tanti anni hanno raccontato loro che là vivono dei deficienti e che bisogna “circondare il Donbass col filo spinato”. E’ comparsa una nuova organizzazione, il “Movimento di destra”, con il simbolo del battaglione “Azov”, lo Schwarze Sonne: arruolano gente per la lotta contro “l’oppressione giudeo-moskaly”. L’Ucraina ha fatto harakiri politico sotto gli occhi di tutti, spruzzando sangue sugli astanti. I pensionati sono alla fame. Assoluta atrofia della popolazione. Nelle case solo poche luci: la gente fa economia. Depressione dappertutto. Sono andata a pagare le spese condominiali: ci ammazzano. Da 25 anni non vedevo un tale odio per il governo. La gente vuole il ritorno di Janukovič: è ridicolo, anche se triste. Nel centro di Kiev hanno addobbato un abete a forma di cioccolatino “Rošen”, con palline dorate quale simbolo di gioia e felicità. Tutt’intorno, giacciono barboni; le persone passano e fanno selfie. Hanno approvato il bilancio per il Natale cattolico: roba da annichilire i cittadini. Kievliani, abituatevi ai panini con la margarina. L’economia tedesca è cresciuta nella margarina. Buon Natale, cittadini.

Il ciuffo cosacco non è più di moda

Gennaio-Febbraio 2016: Sono andata a vedere la fiaccolata dei banderisti: ragazzi, per ora non chiamo nessuno in Ucraina; per ora non ce n’è bisogno. Hanno suonato alla porta due reclamisti; alla mia richiesta di parlare in russo, hanno risposto che non lo sanno; io ho detto che non so l’ucraino e ho richiuso la porta. Non venitemi a dire che mi comporto da stupida: chiamano la mia madrelingua “gergo da bestia-kotsapy” e io dovrei sorridere? No ragazzi, non porgo l’altra guancia.

Sono tutta raggiante di dignità (il colpo di stato del 2014 è detto ufficialmente “Rivoluzione della dignità” – nota di Komsomolskaja Pravda). E’ arrivata la bolletta del riscaldamento: per un appartamento mediocre in un quartiere dormitorio, 1.154 grivne; per l’insieme delle tariffe condominiali, 7.000: quasi tre miei stipendi. La gente in massa rifiuta di pagare; aspettano le autorità con schioppi e lupare. Molti mettono i riduttori ai termosifoni, preferendo congelare, ma il governo intende vietarlo per legge. A Kiev le donne indossano tutte gli stessi paltò e cappelli sintetici e portano borse cinesi. Gli occhi spenti, gli angoli delle labbra e degli occhi abbassati. La vita è davvero scesa al livello più basso. Per quanto riguarda gli uomini, dicono che sia crollata la richiesta del ciuffo alla cosacca: nel 2014 lo portava la metà degli uomini.

Fine




(deutsch / français / english / italiano)

Germania russofoba e Ucraina tedesca

0) LINKS
1) Streit um die Russland-Sanktionen / I-II (GFP, Mai 2016)
2) Sicherheitskreise: Bis zu 50.000 Tote (08.02.2015)
3) Eine deutsche Karriere als Kriegstreiberin und antirussische Hetzerin: Marie-Luise Beck


=== 0: LINKS ===

=== Veranstaltungen / Iniziative:

Robert Charvin: FAUT-IL DÉTESTER LA RUSSIE ? Nouveau livre des éditions Investig'Action
Pour organiser débats ou interviews, contacter: relations@...
VIDEO: Regarder la présentation vidéo (1’): https://www.youtube.com/watch?v=PNAifAYfHg0

Hannes Hofbauer: FEINDBILD RUSSLAND. Geschichte einer Dämonisierung
ProMedia Verlag – ISBN 978-3-85371-401-0, br., 304 Seiten, 19,90 Euro
Buchvorstellung! Wann und Wo? am Dienstag, 10. Mai 2016 um 19.30 Uhr
im Saalbau Bornheim, Clubraum 1, Arnsburger Str. 24, 60385 Frankfurt am Main
Näheres zum Buch unter: http://www.mediashop.at/typolight/index.php/buecher/items/hannes-hofbauer---feindbild-russland


=== Weiterzulesen / Altre letture consigliate, in ordine cronologico inverso:

Referendums as Tyranny (Referendum in the Netherlands on EU Ukraine Association Agreement – GFP 6/4/2016)
The possibility of invalidating the will of the majority is being considered, in view of today's EU referendum in the Netherlands, where the population will vote on the EU's Association Agreement with Ukraine. According to polls, the opponents of the agreement were still in the lead. This is even more significant, because the referendum's initiators see the referendum also as a vote against the EU and the EU oriented elites, who seem to be losing influence over public opinion also in the Netherlands. A subsequent referendum on the Euro, for example, cannot be ruled out. The EU Commission President's patronizing interventions in the Dutch debate, no longer have an effect. Proponents of the EU's association agreement are, therefore, using anti-Russia sentiments and threat scenarios to try to reach their goals, warning that a "No" would strengthen "Putin." The CDU-affiliated Konrad Adenauer Foundation points out that the referendum is non-binding and could be ignored by the government in The Hague. A negative outcome of the referendum could also possibly be nullified with a "technical solution." German media are debating the very principle of national referendums on EU issues, calling them a "minority tyranny."...
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58928
Referenden als Tyrannei (Niederlande stimmen über EU-Assoziierung der Ukraine ab – GFP 6/4/2016)
Ueberlegungen zu einer etwaigen Aushebelung des demokratischen Mehrheitswillens begleiten das heutige EU-Referendum in den Niederlanden. Dort stimmt die Bevoelkerung an diesem Mittwoch ueber das EU-Assoziierungsabkommen mit der Ukraine ab. Umfragen sahen bis zuletzt die Gegner des Vertrags klar vorn. Dies wiegt umso schwerer, als die Initiatoren das Referendum auch als Votum gegen die EU und die EU-orientierten Eliten begreifen, denen die Meinungskontrolle auch in den Niederlanden zu entgleiten beginnt. Ein spaeteres Referendum etwa ueber den Euro wird nicht ausgeschlossen. Goennerhafte Interventionen des EU-Kommissionspraesidenten in die niederlaendische Debatte verfangen nicht mehr; ersatzweise bemuehen sich Befuerworter des EU-Assoziierungsabkommens, antirussische Ressentiments sowie Bedrohungsszenarien zur Durchsetzung ihrer Ziele zu nutzen: Wer gegen das Abkommen stimme, staerke "Putin", heisst es. Die CDU-nahe Konrad-Adenauer-Stiftung weist darauf hin, dass das Referendum nicht bindend ist und von der Regierung in Den Haag ignoriert werden kann. Auch sei es moeglich, ein Negativ-Resultat des Referendums durch eine "technische Loesung" zu ueberwinden. Deutsche Medien stellen nationale Referenden ueber EU-Themen prinzipiell zur Debatte; es handle sich, heisst es, um eine "Tyrannei der Minderheit"...
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59339

The West's Two-Pronged Strategy (II) (Propaganda war against Russia) (GFP 2016/03/11)
BERLIN/MOSCOW (Own report) - Berlin is mobilizing universities and intelligence services to evaluate Russian influence in Germany and Europe, while expanding its counter-propaganda. Whereas, the German government is creating its own German Institute for the Study of Russia and Eastern Europe, to serve as the "point of contact" for its future policy, the German Council on Foreign Relations (DGAP) is calling for future research efforts on Russia to include the "disclosure of Russian networks, the flow of Russian finances and its economic relations within the EU." Universities and other academic institutions, which officially are non-political bodies, should be included in these efforts. While the DGAP is moving forward and striving to promote the analysis of Russian influence in other European countries, the German government has tasked the Federal Intelligence Service (BND) with "investigating" whether Moscow is, in any way, interfering in German political debates. Counter-measures are being considered, it was reported. For example, the German-language edition of Brussels' "Disinformation Review," which makes an analysis of the media for "pro-Kremlin disinformation," will soon be published...
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58924

Die westliche Doppelstrategie (I) (Stimmungsumschwung in Brüssel bezügl. Russland-Sanktionen) (GFP 9.3.2016)
... In einer Umfrage äußerten unlängst nur noch zwölf Prozent der befragten Unternehmer Verständnis für die Weiterführung der Sanktionen...
The West's Two-Pronged Strategy (I) (Change of tune regarding sanctions against Russia) (GFP 9.3.2016)
... A recent survey among German entrepreneurs has revealed that only twelve percent of the respondents are in favor of maintaining sanctions...
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58923

La Germania si "annette" l'Ucraina (da PTV news 1 marzo 2016)
VIDEO: https://youtu.be/aWgU6BiNYU8?t=6m5s

Crisis in Kiev (GFP 2016/02/17)
KIEV/BERLIN (Own report) - A serious government crisis is shaking up a pro-western Ukraine. Yesterday, Prime Minister Arseniy Yatsenyuk barely survived a no-confidence vote, after President Petro Poroshenko urged him to resign. Hundreds had assembled in front of the parliament building to protest against his policies, which are impoverishing large sectors of the population. Lately, people have been particularly upset over the hike in gas prices - making, for many, heating throughout the icy Ukrainian winter an expensive luxury. Berlin and Washington are worried that the country will no longer be controllable, due to the disastrous economic situation and the dramatic loss of popularity of the President and government. Western powers have therefore begun to call on Kiev to get serious about fighting corruption. Spectacular resignations of several ministers and the deputy general prosecutor have provided greater urgency to this demand and accentuated the government crisis over the past few months and the last few days, with no solution in sight. The formation of a "government of technocrats" under a longtime western diplomat is in discussion, in other words, Kiev would be placed directly under western control...
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58918
Krise in Kiew (GFP 17.2.2016)
Eine schwere Regierungskrise erschüttert die prowestlich gewendete Ukraine. Ministerpräsident Arsenij Jazenjuk hat am gestrigen Dienstag mit knapper Not ein Misstrauensvotum überstanden, nachdem Staatspräsident Petro Poroschenko ihn zum Rücktritt aufgefordert hatte. Vor dem Parlament demonstrierten Hunderte gegen seine Politik, die weite Teile der Bevölkerung in die Verelendung treibt; besonderen Unmut erregte zuletzt die Verteuerung von Erdgas, die das Heizen im bitter kalten ukrainischen Winter für viele zum kostspieligen Luxus macht. Die katastrophale wirtschaftliche Lage, die von einem dramatischen Popularitätsverlust des Staatspräsidenten und der Regierung begleitet wird, ruft in Berlin und Washington Sorgen um die Kontrollierbarkeit des Landes hervor. Die westlichen Mächte sind daher dazu übergegangen, von Kiew einen entschlossenen Kampf gegen die Korruption zu fordern. Spektakuläre Rücktritte mehrerer Minister und eines stellvertretenden Generalstaatsanwalts haben der Forderung in den vergangenen Wochen und Tagen neuen Schub verliehen und die Regierungskrise angeheizt. Eine Lösung ist nicht in Sicht. Diskutiert wird die Einsetzung einer "Technokratenregierung" unter einer langjährigen westlichen Diplomatin - also der direkte Zugriff des Westens auf die Macht in Kiew...
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59310

Business with Obstacles (Berlin and the sanctions against Russia – GFP 2016/02/03)
BERLIN/MOSCOW/KIEV (Own report) - Berlin is taking steps to possibly end sanctions against Russia. Tomorrow, almost one year after the signing of the Minsk II Agreement - whose full implementation is still considered as a prerequisite for ending the sanctions - the Bavarian Prime Minster, Horst Seehofer is expected to arrive in Moscow for talks on promoting the renewal of German-Russian business relations. Seehofer can build on decades of Bavarian-Russian cooperation. His visit to Moscow is closely coordinated with Germany's federal government. The EU and NATO are also involved in Berlin's cooperation efforts. Monday, Chancellor Angela Merkel also increased pressure on Ukraine's President, Petro Poroshenko to finally obtain approval from Kiev's parliament for the constitutional amendment providing Eastern Ukraine's special status, as agreed upon in the Minsk II Agreement. Until now, nationalists and fascists have prevented this measure...
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58914
Geschäfte mit Hürden (Berlin zielt auf Ende der Russland-Sanktionen – GFP 03.02.2016)
BERLIN/MOSKAU/KIEW (Eigener Bericht) - Berlin unternimmt Schritte zur Vorbereitung auf ein mögliches Ende der Russland-Sanktionen. Rund ein Jahr nach der Einigung auf das zweite Minsker Abkommen, dessen komplette Umsetzung nach wie vor als Voraussetzung für die Einstellung der Strafmaßnahmen gilt, wird am morgigen Donnerstag der bayerische Ministerpräsident Horst Seehofer zu Gesprächen in Moskau erwartet. Dort will er den Wiederausbau der deutsch-russischen Wirtschaftsbeziehungen vorantreiben. Seehofers Besuch, der an eine seit Jahrzehnten gepflegte bayerisch-russische Zusammenarbeit anknüpfen kann, ist eng mit der Bundesregierung abgestimmt. In die Berliner Kooperationsbemühungen sind auch EU und NATO eingebunden. Ergänzend hat Bundeskanzlerin Angela Merkel am Montag den Druck auf den ukrainischen Präsidenten Petro Poroschenko erhöht, die im zweiten Minsker Abkommen festgelegte Verfassungsänderung, die der Ostukraine einen Sonderstatus sichern soll, endlich durch das Parlament in Kiew bestätigen zu lassen. Dies scheitert bislang vor allem am Widerstand von Nationalisten und Faschisten...
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59300

Die Folgen der "Befreiung" (Extreme Armut und Protestpotenzial in der Ukraine - GFP 15.12.2015)
Fast zwei Jahre nach dem von Berlin unterstützten Umsturz in Kiew ziehen Experten eine gleich in mehrfacher Hinsicht verheerende Bilanz der Entwicklung in der Ukraine. Das belegen aktuelle Studien in den an der Universität Bremen publizierten "Ukraine-Analysen". Demnach ist die Wirtschaft des prowestlich gewendeten Landes katastrophal eingebrochen und droht aufgrund der politischen Unwägbarkeiten noch weiter abzustürzen. Die Krise hat zu einem Rückgang der Reallöhne um mehr als 30 Prozent geführt; die Preise für Lebensmittel sind im laufenden Jahr um 34 Prozent gestiegen, die Wohnkosten haben sich seit der Unterstellung des Landes unter westliche Dominanz verdoppelt. Ein Drittel der Ukrainer kann sich die notwendigen Nahrungsmittel nicht mehr leisten; lediglich der Konsum von Brot und Kartoffeln bleibt annähernd konstant. Gleichzeitig dauern Nepotismus und Korruption auch unter der neuen Regierung an und drohen breite Proteste hervorzurufen. Weniger als ein Drittel der Bevölkerung äußert noch "Vertrauen" gegenüber Staatspräsident Petro Poroschenko; seine "Vertrauensbalance", die statistische Differenz zwischen Zustimmung und Ablehnung, liegt noch unter derjenigen für Staatspräsident Wiktor Janukowitsch im Dezember 2013. Die "Vertrauensbalance" für Regierung und Parlament hat sogar ein - unter Janukowitsch nie gekanntes - Langzeittief erreicht...
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59274

Kontrollmission in Kiew (Ukraine-Gipfel – GFP 1.10.2015)
Vor dem heutigen Ukraine-Gipfel in Paris erhöht Berlin den Druck auf die ukrainischen Oligarchen. "Der Einfluss der Oligarchen auf Staat und Regierungshandeln" in Kiew müsse "signifikant eingeschränkt" werden, heißt es in einem aktuellen Papier aus der CDU/CSU-Bundestagsfraktion. Berlin sehe sich "verpflichtet", die "lückenlose Kontrolle" entsprechender Schritte zur "Transformation der Ukraine" einzufordern. Am gestrigen Donnerstag sind sechs Staatssekretäre und zwei Abteilungsleiter aus acht Bundesministerien nach Kiew aufgebrochen, um dort zwei Tage lang die "Vertiefung der Zusammenarbeit" zu planen, insbesondere aber "den Stand der Umsetzung der Reformen" in Augenschein zu nehmen. Hintergrund ist der drohende ökonomische Zusammenbruch der Ukraine, der in Berlin nicht zuletzt den Machenschaften der Oligarchen angelastet wird; er wäre ein schwerer Schlag für das deutsche Polit-Establishment. Darüber hinaus bemüht sich die Bundesregierung, auf dem heutigen Ukraine-Gipfel die äußere Stabilisierung des Landes mit Hilfe des Minsk II-Abkommens voranzutreiben. Dies soll auf lange Sicht auch den Wiederausbau der Wirtschaftsbeziehungen mit Russland und den erneuten Aufschwung des deutschen Ost-Geschäfts ermöglichen...

Germany: Anti-war activists protest during Merkel-Poroshenko meeting (Ruptly TV, 24 ago 2015)
Anti-war activists protested outside the German Chancellery where German Chancellor and French President Francois Hollande met with Ukrainian President Petro Poroshenko, in Berlin, Monday, to discuss the military conflict in east Ukraine and the Minsk agreements...
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=_pEIoqyUpHU

Ein Misstrauensreferendum (Armut und faschistische Offensiven in der Ukraine – GFP 24/7/2015)
Im Berliner Polit-Establishment wird der Ruf nach einer Ausweitung der Unterstützungszahlungen an die Ukraine laut. Das Land stehe ökonomisch am Abgrund und benötige "insbesondere finanzielle Hilfen", heißt es in einem Beitrag in der aktuellen Ausgabe des Fachblattes "Internationale Politik". "Wichtig" sei es auch, "eine rege Tätigkeit von Auslandsinvestoren in der Ukraine" zu fördern, heißt es in einem zweiten Beitrag, der "die Voraussetzungen für den Erfolg" einer "echten Reformierung" in der prowestlich gewendeten Ukraine deutlich "verbessert" nennt. Tatsächlich kann sich der ukrainische Staatspräsident, ein Oligarch, der aktuell die Zustimmung von gerade einmal 13 Prozent der Bevölkerung genießt, zur Zeit nur mit Mühe gegen faschistische Putschbestrebungen an der Macht halten. Der Führer der faschistischen Organisation "Rechter Sektor" hat soeben eine landesweite Agitation zum Sturz der Regierung angekündigt. Die politische Zuspitzung erfolgt in einer Situation, in der weite Teile der Bevölkerung dramatisch verarmen und die Preise für Strom, Wasser und vor allem für Erdgas für Privathaushalte um dreistellige Raten in die Höhe schießen. Keine eineinhalb Jahre nach dem von Berlin unterstützten Umsturz ist die Lage in der Ukraine desolat...
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59168

Steinmeier and the Oligarchs (Germany and Ukraine – GFP 1.6.2015)
KIEW/DNEPROPETROVSK/BERLIN (Own report) - Berlin is increasing pressure on Kiev that it enforces the cease-fire in eastern Ukraine. Observers consider the continuation of the civil war to be perilous. On the one hand, they see the risk of loosing even more territory to eastern Ukrainian insurgents, while on the other, it is unclear how the country's total economic collapse can be avoided without ending the hostilities. Therefore, on the weekend, German Foreign Minister Steinmeier traveled not only to Kiev, but also to Dnepropetrovsk, the town of oligarch Ihor Kolomoyskyi. Even though Kolomoyskyi has recently stepped down as governor, he still wields significant influence over the - in some cases - fascist militias, which refuse a cease-fire. To put pressure on the fascists, who had helped execute the February 2014 Kiev coup, but are uncontrollable in the civil war, Berlin must make a deal with Ukrainian oligarchs. These same oligarchs had been the focus of the protests at the Maidan. Several times last year, Foreign Minister Steinmeier held personal consultations with powerful oligarchs - including President Poroshenko - or politicians directly dependent on them. The Ukrainian oligarchy has emerged unscathed from last year's upheavals...
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58850
ORIG.: Steinmeier und die Oligarchen (Steinmeier in Kiew und Dnipropetrowsk)

Fortdauernde Integrationskonkurrenz (Gipfel der "Östlichen Partnerschaft" – GFP 21.05.2015)
Mit dem heute in Riga beginnenden Gipfel der "Östlichen Partnerschaft" setzt die Europäische Union ihren Machtkampf gegen Russland in Osteuropa fort...

Widerspenstige Kollaborateure (Konflikt zwischen Regierung und Milizen in der Ukraine eskaliert – GFP 4.5.2015)
In der Ukraine eskaliert der Konflikt zwischen der von Berlin protegierten Kiewer Regierung und den faschistischen Milizen im Osten des Landes. Waren die Milizen und ihre Vorläufer auf dem Majdan aus deutscher Perspektive noch nützlich, um zunächst Präsident Janukowitsch zu stürzen und danach die ostukrainischen Aufständischen zu bekämpfen, so drohen sie nun den von der Bundesregierung verlangten Waffenstillstand endgültig zu brechen. Aus deutscher Sicht gilt dies als derzeit nachteilig, weil bei einem neuen Aufflammen der Kämpfe weitere Gebietsverluste der Kiewer Regierung befürchtet werden. Zudem ist nicht ersichtlich, wie ein totaler Zusammenbruch der ukrainischen Wirtschaft bei fortdauerndem Bürgerkrieg verhindert werden kann. Während deutsche Diplomaten deswegen auf eine Einhaltung des Waffenstillstands dringen, werben deutsche Ökonomen für den Wiederaufbau der ukrainischen Wirtschaft ohne die abtrünnigen Gebiete um Donezk und Luhansk. Ein Verzicht auf die beiden Regionen entlaste den Staatsetat, erklärt die "Deutsche Beratergruppe Ukraine", die die Kiewer Regierung seit Jahren in Wirtschaftsfragen instruiert. Eine Einstellung des Bürgerkriegs gilt außerdem als Voraussetzung dafür, dass die deutsche Wirtschaft ihre Aktivitäten in der Ukraine und eventuell auch in Russland wieder intensivieren kann...

Mit deutschen Steuergeldern: Adenauer-Stiftung mischt in der Ukraine kräftig mit (Deutsche Wirtschafts Nachrichten  03.05.15)
Vitali Klitschko gilt als politischer Ziehsohn der Konrad-Adenauer-Stiftung. Die CDU-nahe Organisation spielte beim Sturz der Regierung Janukowitsch eine Schlüsselrolle. Finanziert wird die Adenauer-Stiftung größtenteils durch den Steuerzahler. Über die Zuteilung der Mittel entscheidet der Bundestag. Was genau mit den Steuergeldern der Deutschen in der Ukraine geschieht, ist nicht klar...
http://deutsche-wirtschafts-nachrichten.de/2015/05/03/mit-deutschen-steuergeldern-adenauer-stiftung-mischt-in-der-ukraine-kraeftig-mit/

Faschisten als Vorbild (Ukraine-Konflikt – GFP 14.4.2015)
Mit einem Außenministertreffen zum Ukraine-Konflikt hat die Bundesregierung am gestrigen Abend die Umsetzung des Minsker Abkommens voranzubringen versucht. Während Kiew und die NATO den Aufständischen im Donbass und Russland die Schuld an Verstößen gegen den Waffenstillstand geben, behindert die von Berlin protegierte Regierung der Ukraine den Friedensprozess, schränkt zudem die Meinungsfreiheit im Inland massiv ein und verschärft die Zensur. Laut Berichten etwa der OSZE setzen ukrainische Einheiten ihre Offensiven im Osten des Landes trotz des Waffenstillstands fort. Gleichzeitig verbietet das Parlament jegliche Form öffentlichen Eintretens für kommunistische Organisationen und das Zeigen kommunistischer Symbole. Organisationen von NS-Kollaborateuren und ihren Nachfolger sind von keinem Verbot betroffen; im Gegenteil: Angehörige faschistischer Verbände erhalten hochrangige Posten in den ukrainischen Repressionsapparaten. Der Geheimdienstchef kündigt das Anknüpfen an Methoden faschistischer NS-Kollaborateure aus der Zeit des Zweiten Weltkriegs an. Zudem werden Filme verboten, die ein positives Bild des russischen oder des sowjetischen Staats oder ihrer Angestellten vermitteln. Der staatlich verordnete Russland-Hass lässt neue Abspaltungsbewegungen in der russischsprachigen Bevölkerung der prowestlich gewendeten Ukraine nicht mehr ausgeschlossen erscheinen...
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59090

L’Ucraina e il silenzio tedesco (Rassegna Est, 12 aprile 2015)
Nomine controverse e riforme mancate: Angela Merkel bacchetta Mosca, ma su Kiev preferisce non pronunciarsi...
https://rassegnaest.com/2015/04/12/lucraina-e-il-silenzio-tedesco/

Moving West (New NATO cooperation with Ukraine – GFP 10.4.2015)
The Prime Minister of Ukraine has announced a new cooperation accord with NATO, under the terms of which Kiev will also intensify its cooperation with the transatlantic combat alliance in the domains of military intelligence and espionage. This announcement was made as NATO began initiating a large-scale deployment of military instructors in Ukraine. Ukraine is simultaneously transforming its arms industry production to meet NATO standards, which will permanently integrate that country into the structures of western arms producers. Experts are warning of exuberant corruption in Ukraine's arms industry. A long-time notorious leader of fascist organizations has been appointed "advisor" to Ukraine's Chiefs of Staff, just as the in part fascist-oriented volunteer battalions are being integrated into the ranks of the country's regular armed forces. They too will benefit from NATO's training and arming measures...
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58837
Der Weg nach Westen (NATO intensiviert Kooperation mit der Ukraine – GFP 10.4.2015)

Die Zeit der Waffen (Konflikt mit Russland – GFP 15.03.2015)
Neue NATO-Manöver und westliche Aufrüstungsschritte gegen Russland begleiten jüngste Warnungen prominenter Politiker vor einem neuen "heißen Krieg". Es sei "nicht völlig ausgeschlossen", dass es zu einem Waffengang zwischen dem Westen und Russland komme, warnt Ex-Bundeskanzler Helmut Schmidt. Die Folgen eines solchen Krieges gegen eine Atommacht wären unabsehbar. Dennoch setzt die NATO ihre aktuellen Manöver fort - im Schwarzen Meer, im Baltikum, jenseits des Polarkreises und in Polen. NATO-Staaten schicken mehrere hundert Militärberater in die Ukraine; umfangreiche Lieferungen von Kriegsgerät an Kiew werden fortgesetzt. Auch in Deutschland werden erneut Forderungen nach einer umfassenden Aufrüstung der ukrainischen Streitkräfte laut. Mit der Militarisierung des Konflikts mit Russland geht eine Umstrukturierung im Auswärtigen Amt einher: Die Abteilung für Aufrüstung wird beträchtlich verkleinert und mit einer anderen Abteilung verschmolzen; eine neue Krisenabteilung wird aufgebaut. Russland trägt dem westlichen Waffengerassel Rechnung und ist vergangene Woche aus dem KSE-Vertrag, der der Aufrüstung in Europa Schranken setzen sollte, ausgestiegen. Experten warnen vor einer weiteren Eskalation...
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59077

Over 100 Germans Fighting Alongside Militias in Eastern Ukraine (Andrei Stenin, 15.03.2015)
http://sputniknews.com/europe/20150315/1019509208.html
Warum Deutsche für Putin in der Ukraine sterben (Von Dirk Banse, Michael Ginsburg, Uwe Müller, André Eichhofer, Julia Smirnova - 15/3/2015)
Rund 100 Bundesbürger kämpfen für die Rebellen in der Ostukraine...
http://www.welt.de/politik/deutschland/article138427424/Warum-Deutsche-fuer-Putin-in-der-Ukraine-sterben.html

Gefährliche Propaganda (Bundesregierung kritisiert NATO-Propaganda – GFP 9/3/2015)
BERLIN/WASHINGTON (Eigener Bericht) - Das Bundeskanzleramt wirft dem Oberbefehlshaber der NATO in Europa, Philip M. Breedlove, "gefährliche Propaganda" vor. Das berichtet "Der Spiegel" in seiner aktuellen Ausgabe. Demnach stellt Breedlove der Bundesregierung zufolge die militärischen Aktivitäten Russlands in der Ostukraine völlig überzogen dar; er behaupte etwa, russische Panzer und Raketenwerfer in der Ukraine wahrgenommen zu haben, die der Bundesnachrichtendienst (BND) auf seinen eigenen Satellitenbildern nicht habe erkennen und über die er selbst von den verbündeten US-Diensten nichts habe erfahren können. Auch Breedloves Zahlenangaben über russische Truppen an der Grenze zur Ukraine seien weit übertrieben gewesen. Derlei Propagandatechniken hat auch die Bundesrepublik immer wieder angewandt, exemplarisch im Jugoslawien-Krieg des Jahres 1999. Die Regierungs-Kritik an Breedlove, über die "Der Spiegel" berichtet, ist dabei Ausdruck strategischer Differenzen zwischen Washington und Berlin: Das deutsche Bemühen um eine "Doppelstrategie" gegen Russland nach dem Vorbild des westlichen Vorgehens im Kalten Krieg ist mit einer ungezügelten Aggressionspolitik, wie sie ein Flügel des US-Establishments vertritt, nicht wirklich vereinbar. Breedlove, den die Berliner Vorwürfe treffen, ist ein Vertreter dieses Flügels...
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59072
Dangerous Propaganda (NATO propaganda against Russia – GFP 9/3/2015)
BERLIN/WASHINGTON (Own report) - The German news magazine "Der Spiegel" reported in its latest edition that the German chancellery is accusing NATO's Supreme Allied Commander Europe, General Philip Breedlove, of making "dangerous propaganda." According to the German government, Breedlove is completely exaggerating Russia's military activities in Eastern Ukraine. He claims having detected Russian military equipment, including tanks and air defense systems in Ukraine. Germany's foreign intelligence agency BND, however, could neither detect these in their own satellite imagery nor acquire
adequate information from its allied US intelligence services. Breedlove has also completely exaggerated the number of Russian troops at the Ukrainian border. However, the German government has also repeatedly used this type of propaganda, for example during the aggression against Yugoslavia in 1999. The German government's criticism of Breedlove, reported by "Der Spiegel," reflects the strategic differences between Washington and Berlin. Germany's "dual strategy" approach toward Russia, taken from the West's cold war strategy, is incompatible with the policy of unbridled aggression, championed by the war hawk wing of the US establishment. Breedlove, who is now being criticized by Germany, is a representative of this group...
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58832

Mit allen Konsequenzen (Warnung vor weiterem Zerfall der Ukraine - GFP 03.03.2015)
KIEW/BERLIN (Eigener Bericht) - In Berlin werden Warnungen vor einem Totalkollaps der Ukraine und Forderungen nach einer Aufnahme des Landes in die EU, eventuell auch in die NATO laut. Wolle man verhindern, dass "in der Nachbarschaft der EU auf Dauer ein schwacher oder zerfallender Staat mit allen ... Konsequenzen" entstehe, dann komme man um "eine EU-Integration der Ukraine mit allen finanziellen und politischen" Folgen nicht herum, erklärt ein Osteuropa-Experte von der Deutschen Gesellschaft für Auswärtige Politik (DGAP). Hintergrund ist neben der katastrophalen wirtschaftlichen Lage des Landes - die Währung ist abgestürzt, Armut grassiert, der Monats-Mindestlohn liegt inzwischen unter 40 Euro - auch der desolate Zustand der ukrainischen Streitkräfte, der jegliche Hoffnung auf einen militärischen Sieg im Bürgerkrieg in nächster Zukunft illusionär erscheinen lässt. Zudem scheint eine Spaltung der militärischen Kräfte nicht ausgeschlossen: Jüngst haben die Führer von 17 Freiwilligenbataillonen einen eigenen Generalstab gegründet und sich damit der Kiewer Kontrolle ein weiteres Stück entzogen...
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59068

Germany: Protesters give 'fascist' Yatsenyuk a hostile welcome to Berlin (RT, 8 gen 2015)
Around 50 people protested against Ukrainian Prime Minister Arseniy Yatsenyuk outside the Federal Chancellery building in Berlin, Thursday. Yatsenyuk arrived at the Chancellery for talks with German Chancellor Angela Merkel, and was heckled as his convoy passed the protesters...
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=OUtOD6_gU9I

L’imperialismo UE all’assalto dell’Ucraina (di Valerij Kulikov, analista politico, esclusiva per la rivista on-line New Eastern Outlook, 17.12.2013)
... L’Ucraina anche, con le sue risorse naturali, con terreni agricoli importanti e 46 milioni di abitanti, risulta essere di grande interesse per l’Europa, in primis per la Germania, in quanto obiettivo allettante per installare imprese tedesche che potrebbero produrre prodotti a prezzi più competitivi che in Cina. Un interesse che è stato più volte sottolineato dallo storico tentativo di occupare il territorio durante la Prima e la Seconda Guerra Mondiale...
http://albainformazione.com/2013/12/19/limperialismo-ue-allassalto-dellucraina/


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http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59357

Streit um die Russland-Sanktionen (I)
 
02.05.2016

BERLIN/MOSKAU
 
(Eigener Bericht) - In der Debatte um eine etwaige Einstellung der EU-Russland-Sanktionen werden in Berlin Forderungen nach einer Ausweitung der Maßnahmen auf "Millionen russischer Staatsbürger" laut. Die Sanktionen dürften keinesfalls aufgehoben werden, heißt es in einem Beitrag in der aktuellen Ausgabe der Fachzeitschrift "Internationale Politik". Es gelte stattdessen, sie massiv zu verschärfen und beispielsweise um "Visaverbote für alle russischen Staatsbediensteten" zu ergänzen. Nur so könne man "die russische Mittelklasse" in eine breite "Protestbewegung" zum Sturz der Regierung hineinzwingen. Der Autor des Beitrags hat bereits im vergangenen Jahr behauptet, Russland werde nur dann politische Fortschritte erzielen, "wenn seine Gesetze von außen installiert werden". Während einige Russland-Spezialisten gegen jegliche Linderung der Sanktionen agitieren, erhöht die Bundesregierung die Spannungen zwischen Berlin und Moskau - mit der Mitteilung, man prüfe zur Zeit die Übernahme der Führung eines in Litauen stationierten NATO-Bataillons durch die Bundeswehr. Entgegen anderslautenden Behauptungen der Kanzlerin wäre damit der faktische Bruch der NATO-Russland-Grundakte aus dem Jahr 1997 verbunden; das wiederum liefe auf eine neue Eskalation des Konflikts zwischen dem Westen und Russland hinaus.
"Unverzeihlich sanft"
Eine dramatische Verschärfung der EU-Sanktionen gegen Russland fordert Wladislaw Inosemzew, Direktor des "Center for Post-Industrial Studies" in Moskau und im vergangenen Jahr als "Berthold Beitz Fellow" am "Robert-Bosch-Zentrum für Mittel- und Osteuropa, Russland und Zentralasien" der Deutschen Gesellschaft für Auswärtige Politik (DGAP) aktiv. Wie Inosemzew in der aktuellen Ausgabe der DGAP-Zeitschrift "Internationale Politik", des führenden Außenpolitik-Fachblattes des deutschen Establishments, behauptet, seien die Russland-Sanktionen der EU "unverzeihlich sanft ..., verglichen mit denen gegenüber dem Iran oder Nordkorea". Dies müsse sich ändern. Weil das Russland-Geschäft der EU in den vergangenen Jahren massiv eingebrochen sei, "könnten die Europäer ohne Angst vor übergroßem wirtschaftlichen Schaden für sie selbst den Druck auf Moskau erhöhen", schreibt Inosemzew. Russland könne Sanktionen, die "ähnlich breit angelegt" seien wie die EU-Strafmaßnahmen gegen Iran oder gar Nordkorea, kaum überstehen: "Vermutlich würde Putin nicht einmal ein Jahr durchhalten. ... Daher plädiere ich für einen konfrontativeren Kurs und dafür, den Druck auf die Führung dramatisch zu erhöhen."[1]
Sanktionen gegen Millionen
Inosemzew, der gegenwärtig auch als Non-Resident Senior Fellow am Washingtoner "Atlantic Council" tätig ist, präsentiert in der "Internationalen Politik" konkrete Vorschläge für eine Verschärfung der Sanktionen. So sollten die Strafmaßnahmen "erst beendet werden, wenn die Ukraine vollständige Souveränität über die von den Rebellen kontrollierten Gebiete wiedererlangt hat" - eine Forderung, die implizit die Aufkündigung der Minsker Waffenstillstandsvereinbarungen zur Folge hätte. Inosemzew verlangt zudem, Banken aus den EU-Staaten zu verpflichten, "sich von Portfolio-Investments in Russland zu trennen". Darüber hinaus solle die EU ein Memorandum verabschieden, "wonach die EU-Staaten Jahr für Jahr 10 bis 20 Prozent weniger russisches Gas importieren". Brüssel könne russischen Staatsbürgern untersagen, "innerhalb der EU Unternehmen zu gründen"; es könne ihnen "die Verfügungsgewalt über Bankkonten mit mehr als 10.000 Euro Einlagekapital entziehen" oder beschließen, "dass zum Beispiel Immobilien in russischer Hand bis zum 1. Januar 2018 veräußert werden" müssten. In Betracht zu ziehen seien "Visaverbote für alle russischen Staatsbediensteten". Prinzipiell sollten die Sanktionen "so ausgestaltet sein, dass sie Millionen russischer Staatsbürger treffen". Nur so lasse sich "die russische Mittelklasse" in eine breite "Protestbewegung" zum Sturz der Regierung hineinzwingen.[2]
"Den zweiten Kalten Krieg gewinnen"
Inosemzew tritt in außenpolitischen Fachkreisen seit einiger Zeit mit offenen Aufrufen zum Sturz der russischen Regierung hervor. Noch 2012 hatte er, zur Lage in Russland befragt, bestätigt: "Die Mehrheit der Bevölkerung ist zufrieden, sie hat noch nie so normal gelebt wie jetzt." "Russland ist im Kern ein freies Land." Berlin solle sich deshalb gegenüber Moskau "auf seine wirtschaftlichen Interessen konzentrieren".[3] Im vergangenen Jahr forderte er nun in einer radikalen Abkehr von seinem früheren Plädoyer zur ökonomischen Kooperation, der Westen müsse "die notwendigen Ressourcen mobilisieren, um den zweiten Kalten Krieg zu gewinnen". Als Mittel dazu kämen drakonische Boykottmaßnahmen in Betracht. Ergänzend müsse man Gegnern einer brutalen Eskalationspolitik, die Inosemzew mit der modischen Beleidigung "Putin-Versteher" versah, "mehr Aufmerksamkeit widmen"; es sei "absolut nötig, die finanziellen Interessen" solcher Kräfte "und ihre geschäftlichen Bindungen an Russland" strikt offenzulegen. Jegliche Organisation, die von staatlichen Stellen in Russland oder auch nur von russischen Bürgern unterstützt werde, solle offiziell als "Agent des Aggressors" gebrandmarkt werden. "Russland wird nur ein 'normales' Land werden, wenn seine Gesetze von außen installiert werden", erklärte Inosemzew [4] - ein offener Appell an den Westen, sich den russischen Staat gleichsam im Kolonialstil zu unterwerfen.
Bundeswehr nach Litauen
Während Inosemzew und andere Russland-Spezialisten im deutschen Polit-Establishment energisch Stimmung gegen eine Abschwächung oder gar eine Aufhebung der Russland-Sanktionen machen, verschärfen jetzt auch aktuelle deutsche Militarisierungs-Ankündigungen die Spannungen zwischen Berlin und Moskau. Wie Bundeskanzlerin Angela Merkel am Freitag bestätigte, prüft die Bundesregierung zur Zeit die Entsendung deutscher Soldaten nach Litauen, wo sie ein NATO-Bataillon führen sollen. Die Maßnahme wäre Teil der Stationierung neuer westlicher Bataillone in Polen und in den baltischen Staaten, wie sie im Februar vom westlichen Kriegsbündnis beschlossen worden ist. Dies würde den militärischen Druck auf Russland erheblich erhöhen. Die Bundeswehr hatte sich bereits führend am Aufbau der NATO-"Speerspitze" in Ost- und Südosteuropa beteiligt [5] und das deutsche Personal im Multinationalen Korps Nordost im polnischen Szczecin, das wichtige Führungsfunktionen bei NATO-Manövern und -Operationen in Osteuropa ausübt, deutlich aufgestockt; außerdem hatte sie sich stark an Kriegsübungen in Polen und in den baltischen Staaten beteiligt.[6] Sollten deutsche Militärs Führungsfunktionen beim Aufbau eines NATO-Bataillons in Litauen übernehmen, dann hätte Berlin auch weiterhin eine bestimmende Rolle beim Aufbau der gegen Moskau gerichteten westlichen Militärfront in Ost- und Südosteuropa inne.
Das Ende der Grundakte
Käme es zu der Stationierung, dann wäre dies faktisch ein Bruch der NATO-Russland-Grundakte aus dem Jahr 1997. Die Grundakte sieht - in einer wenig präzisen Formulierung - vor, dass die NATO östlich ihres angestammten Bündnisgebiets aus der Zeit des Kalten Kriegs nicht "substantielle Kampftruppen dauerhaft stationiert".[7] In Berlin heißt es, man werde den Wortlaut der Grundakte dadurch einhalten, dass die nach Litauen abkommandierten deutschen Soldaten "rotierten", also immer wieder ausgewechselt und nicht "dauerhaft stationiert" würden. Dies kann allerdings nicht darüber hinwegtäuschen, dass die NATO-Bataillone, die in sämtlichen baltischen Staaten angesiedelt werden sollen, als Ganze dort eben doch "dauerhaft stationiert" sein werden. Damit versetzte Berlin der ohnehin schon längst brüchig gewordenen NATO-Russland-Grundakte einen womöglich finalen Schlag. Die Folge wäre eine weitere Erosion der Beziehungen zwischen den westlichen Staaten und Moskau; die Gefahr einer unkontrollierbaren Eskalation nähme ein weiteres Stück zu.
Scheinbare Widersprüche
Parallel zu der Eskalationspolitik nimmt in mehreren EU-Staaten - auch in Deutschland - der Druck zu, die Sanktionen abzuschwächen oder ganz aufzuheben. german-foreign-policy.com berichtet am morgigen Dienstag.
[1], [2] Vladislav Inozemtsev: Zeit für eine moralische Entscheidung. In: Internationale Politik Mai/Juni 2016, S. 20-25.
[3] Ex-Medwedew-Berater Inosemzew: "Russland können Sie als Demokratie vergessen". www.spiegel.de 23.11.2012.
[4] Vladislav L. Inozemtsev: Russia of 2010s: How to Live with It and How to Outlive It. DGAPkompakt Nr. 7, June 2015. S. dazu Sieg im zweiten Kalten Krieg.
[5] S. dazu Kriegsführung im 21. Jahrhundert (I)Kriegsführung im 21. Jahrhundert (II) und Botschaft an die Weltöffentlichkeit.
[6] Berlin bereit zur Stärkung der Ostflanke. Frankfurter Allgemeine Zeitung 30.04.2016.
[7] Grundakte über Gegenseitige Beziehungen, Zusammenarbeit und Sicherheit zwischen der Nordatlantikvertrags-Organisation und der Russischen Föderation. www.nato.int.


http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59358

Streit um die Russland-Sanktionen (II)
 
03.05.2016

BERLIN/MOSKAU
 
(Eigener Bericht) - Deutsche Wirtschaftskreise und Vorfeldorganisationen der Berliner Außenpolitik dringen auf eine Aufhebung der Russland-Sanktionen. Mehr als zwei Drittel der Deutschen sprächen sich dafür aus, die Sanktionen zu beenden, berichtet die Hamburger Körber-Stiftung unter Berufung auf eine aktuelle Umfrage; mehr als vier Fünftel wünschten zudem eine engere Kooperation mit Russland, 95 Prozent hielten eine Annäherung in den nächsten Jahren für "wichtig" oder "sehr wichtig". Die Körber-Stiftung, eine auf dem Feld der Außenpolitik durchaus einflussreiche Organisation, bemüht sich seit Jahren um den Ausbau der Kooperation zwischen Deutschland und Russland. Die Hoffnung auf ein baldiges Ende der Sanktionen war zudem Gegenstand beim 4. east forum Berlin, einem prominent besetzten Wirtschaftsforum, auf dem sich Mitte April ein Staatssekretär im Auswärtigen Amt für neue Kontakte zwischen der EU und der von Moskau geführten Eurasischen Wirtschaftsunion aussprach. Ziel ist ein einheitlicher "Wirtschaftsraum von Lissabon bis Wladiwostok". Die Vorstöße in Deutschland treffen auf ein zustimmendes Echo in mehreren EU-Staaten, darunter Italien und Österreich.
Wachsender Unmut
Die Forderungen nach einer Abkehr von der Sanktionspolitik gegenüber Moskau werden seit geraumer Zeit in mehreren EU-Staaten lauter - etwa in Italien, das Russland zu seinen wichtigsten Wirtschaftspartnern zählt. Bereits Mitte März hatten sich die Außenminister Italiens und Ungarns dagegen ausgesprochen, die Sanktionen weiterhin ohne jegliche Debatte automatisch zu verlängern. Anfang April teilte der österreichische Bundespräsident Heinz Fischer nach Gesprächen in Moskau mit, er arbeite ebenfalls auf eine Beendigung der Strafmaßnahmen hin.[1] In Frankreich hat in der vergangenen Woche die Nationalversammlung für eine Aufhebung der Strafmaßnahmen plädiert.[2] Auch aus Griechenland ist Unmut zu vernehmen. Wachsender Widerstand kommt nicht zuletzt aus Kreisen der deutschen Wirtschaft, die sich von einem baldigen Ende der Sanktionen einen neuen Aufschwung ihres Ostgeschäfts erhofft: Seit 2012 sind allein die Exporte nach Russland von einem Jahresvolumen von 38 Milliarden Euro auf weniger als 22 Milliarden Euro eingebrochen; entfallen die Sanktionen, rechnen deutsche Unternehmen damit, wenigstens einen Teil ihrer Verluste wieder wettmachen zu können.
Von Lissabon bis Wladiwostok
Entsprechende Stellungnahmen waren zuletzt beispielsweise auf dem "east forum Berlin" zu vernehmen, das der Ost-Ausschuss der Deutschen Wirtschaft Mitte April gemeinsam mit der Metro Group und der italienischen UniCredit zum vierten Mal in der deutschen Hauptstadt durchführte. Mehr als 400 Personen, darunter die kürzlich entlassene Finanzministerin der Ukraine, Natalie Jaresko, und Alexej Lichatschew, Russlands Erster Vize-Minister für wirtschaftliche Entwicklung, diskutierten dort über den Aufbau eines "Wirtschaftsraums von Lissabon bis Wladiwostok". Bei einer Umfrage unter rund 180 Teilnehmern der hochkarätig besetzten Veranstaltung sprachen sich mehr als 80 Prozent klar für Verhandlungen zwischen der EU und der von Moskau geführten Eurasischen Wirtschaftsunion über die Gründung eines gemeinsamen "Wirtschaftsraums" aus.[3] Sie fanden Gehör: In einer Rede zur Eröffnung des "east forums" bekräftigte der Staatssekretär im Auswärtigen Amt Stephan Steinlein, die Bundesregierung trete "für Kontakte zwischen EU und Eurasischer Wirtschaftsunion" ein. Es solle "über technische Standards, Handelsregeln, grenzübergreifende Infrastruktur und eine vereinfachte Abwicklung im Austausch gesprochen" werden.[4] Auch die Russland-Sanktionen waren auf dem east forum ein wichtiges Thema. 35 Prozent der Befragten sagten, sie rechneten mit einem Ende der Strafmaßnahmen noch in diesem Jahr, während 27 Prozent dies für 2017 annahmen; nur etwas mehr als ein Drittel ging von einer Sanktionsdauer über das Jahr 2017 hinaus aus.
Neuanfang nötig
In der vergangenen Woche hat sich nun auch die Hamburger Körber-Stiftung zu Wort gemeldet. Sie gehört zu denjenigen deutschen Außenpolitik-Organisationen, die sich schon seit Jahren um eine engere Kooperation zwischen Deutschland und Russland bemühen. "Dialog und Verständigung" zwischen beiden Ländern seien "seit Jahrzehnten ein wichtiger Bestandteil ihrer Arbeit", erklärt die Stiftung; derzeit widme sie sich "mit ihrem Fokusthema 'Russland in Europa' der Wiederbelebung eines offenen, kritischen und konstruktiven Dialogs zwischen Russland und seinen europäischen Nachbarn".[5] In diesem Rahmen führt die Organisation zweimal im Jahr einen "German-Russian International Dialogue" durch, bei dem Experten und Politiker beider Länder in Moskau oder in Berlin "in vertraulicher Atmosphäre über Fragen europäischer Sicherheit und der Beziehungen zwischen Russland und der EU" diskutieren.[6] Das jüngste Treffen, das am 5. Dezember 2015 in Moskau stattfand, kam der Körber-Stiftung zufolge zu dem Ergebnis: "Die europäisch-russischen Beziehungen erfordern einen Neuanfang." Dabei solle man sich "auf den Austausch über Interessen konzentrieren und auf dieser Basis Möglichkeiten der Zusammenarbeit ausloten". "Gemeinsame Interessen und konkrete Kooperationsmöglichkeiten" gebe es nicht zuletzt "in wirtschaftlichen Fragen".
Annäherung gewünscht
Ihrem Anliegen verleiht die Körber-Stiftung nun mit der Veröffentlichung der Ergebnisse einer repräsentativen Umfrage Nachdruck, die TNS Infratest Ende Februar und Anfang März in ihrem Auftrag sowohl in Deutschland als auch in Russland durchgeführt hat. Demnach ist zwar über zwei Jahre nach der Eskalation des Ukraine-Konflikts eine beträchtliche Entfremdung zwischen den Bevölkerungen beider Länder festzustellen. So empfinden 48 Prozent aller Deutschen Russland als "bedrohliches Land"; nur 50 Prozent sind der Ansicht, Russland gehöre - im emphatischen Sinne - zu "Europa". Auch hält mehr als die Hälfte der deutschen Bevölkerung die Politik der EU gegenüber Russland für "angemessen". Dennoch steht auf der Liste der Länder, mit denen die Bundesrepublik nach Auffassung der 1.000 Befragten enger zusammenarbeiten soll, Russland mit 81 Prozent auf Platz zwei - nach Frankreich (89 Prozent), deutlich vor den USA (59 Prozent). Dies entspricht dem Umfrageergebnis in Russland, dem zufolge Deutschland mit 62 Prozent die Liste der Wunsch-Kooperationspartner der russischen Bevölkerung anführt (vor China und Frankreich mit je 61 Prozent). Darüber hinaus sprechen sich 69 Prozent der Deutschen dafür aus, die Russland-Sanktionen aufzuheben. 95 Prozent halten es schließlich sogar für "wichtig" oder für "sehr wichtig", dass Deutschland und Russland sich in den kommenden Jahren politisch wieder annähern.[7]

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