TITO, STALIN E... TOGLIATTI

Sulla necessita', per l'oggi, del dibattito a proposito del 1948


-------- Original Message --------
Subject: Tito e Stalin
Date: Mon, 24 Dec 2001 13:02:59 +0100
From: "huambo1"

Cari compagni vedo che avete posta una intervista
dibattito Tito Stalin (1) il che fa prevedere 2, 3...
insomma come con Bin Laden a spasso nei Balcani 1
2 3.

Io capisco la necessità di vedere la storia del campo
socialista, non so quanto sia proficuo farlo in questo
momento e in questa situazione, su una lista, non
vorrei che ripigliassimo a scannarsi fra stalinisti
e così via proprio ora in questo momento.

Forse sarebbe più utile nell'interesse di tutti
guardare ai problemi di ora, visto che in guerra
stiamo, alla faccia della costituzione, pure se abbiamo
un paese che, salvo rare eccezioni, non si sente in
guerra per niente.

Credo che questi sarebbero i problemi da affrontare
insomma non girare sempre col collo torto e magari
rivangare pure Cucchi e Magnani. Non mi sembrano queste
le cose prioritarie in questa fase.

Magari è più importante far capire come la sconfitta
della Jugoslavia abbia permesso l'allargamento della
guerra totale e l'imposizione di una pace dura dura dura.

Qui tutto il mondo sta esplodendo dalla Palestina
alla Argentina passando per l'Afganistan e noi parliamo
ancora di Stalin e Tito, di Cucchi e Magnani. (...)

(Vittoria)


===*===


PERCHE' UN DIBATTITO SULLA SPACCATURA DEL 1948, OGGI?

Le perplessita' di Vittoria sulla nostra scelta di iniziare
una serie di approfondimenti sulla spaccatura tra comunisti,
avvenuta nel 1948, sono comprensibili. Si tratta ovviamente
di un argomento molto delicato. Tuttavia, quali sarebbero i
"tempi" ed i "modi" giusti per addentrarsi in questo dibattito,
che in piu' di 50 anni non e' mai stato realmente affrontato?


1. Il trauma irrisolto dei comunisti italiani

Della rottura tra Jugoslavia e Cominform, delle sue cause e
delle sue implicazioni, in Italia si e' parlato pochissimo
in questi decenni. Gia' il movimento di Cucchi e Magnani ebbe
un carattere sostanzialmente testimoniale, e con la morte di
Stalin apparentemente il trauma era superato.

In realta', invece, il trauma non fu superato per niente, e
probabilmente fu proprio l'Italia ed il movimento comunista
italiano a subire le maggiori conseguenze, di carattere
strettamente politico oltreche' ideologico, in seguito a
quella spaccatura.

Infatti con la rottura furono rescissi tanti legami tra comunisti
italiani e comunisti jugoslavi - di ogni nazionalita', compresi
dunque gli jugoslavi di nazionalita' italiana presenti in Slovenia
e Croazia, la cui bandiera e' rimasta in tutti questi decenni il
tricolore bianco, rosso e verde con la stella rossa al centro.
Ma questi legami erano in gran parte i gangli nei quali scorreva
la linfa dell'Italia partigiana, dell'Italia dell'antifascismo
combattente.

I cimiteri, nei quali a centinaia sono sepolti i partigiani
jugoslavi che combatterono sulla penisola italiana - soprattutto
nel centro Italia, ad esempio a Visso nelle Marche - rimasero
da allora spogli e dimenticati. Nella Associazione Nazionale
Partigiani d'Italia (ANPI) ando' affermandosi sempre piu'
una linea "nazionale", politicamente "laica", dimentica dei
rapporti di fratellanza internazionalista con i combattenti
all'estero, dimentica dei partigiani stranieri che combatterono
in Italia e, spesso, dimentica anche dei partigiani italiani
che combatterono all'estero.

A questo si accompagno' l'atteggiamento del Partito Comunista
Italiano. Il PCI nel 1948 ruppe in maniera drastica con la
Jugoslavia, espulse o radio' i suoi membri "meno convinti",
inizio' - soprattutto tramite il leader triestino Vittorio
Vidali - una vera e propria guerra fredda contro i comunisti
titoisti. Ovviamente, lo stesso (anzi: il simmetrico) successe
in Jugoslavia, in particolar modo al confine con l'Italia.
Ma in questa sede e' dell'Italia che bisogna parlare. Se
infatti "ragioni" per quella rottura si possono trovare
nell'una e nell'altra parte - nel Cominform, preoccupato
di questioni di rilevanza strategica, e nella Jugoslavia,
gelosa della propria indipendenza e dei propri ideali -,
la dinamica ed il riflesso di quella rottura per l'Italia
furono di ben altra natura. La adesione automatica di
Togliatti alla posizione cominformista non aveva infatti
ragioni dirette o spiegabili nel nostro paese, e percio' fu
un trauma: segno di una obbedienza aprioristica, determino'
la natura stessa del PCI ed il suo modo di stare nella
scena politica italiana.


2. La questione di Trieste

Nella zona di Trieste si susseguirono i pestaggi tra
comunisti, e questo - si badi bene - proprio mentre fascisti
e nazionalisti italiani organizzavano la "riscossa" che nei
primi anni Cinquanta sanci' la annessione di Trieste
all'Italia.

Le circostanze storiche, la particolarissima situazione
internazionale determinarono in pratica una convergenza
utilitaristica tra nazionalismo italiano e comunismo
italiano. L'atteggiamento di Togliatti rispetto ai fatti di
Trieste, agli scontri causati da fanatici di destra contro
le truppe alleate in favore di "Trieste italiana", fu il
seguente: "Non possiamo lasciare la questione nazionale
appannaggio della destra". Vale a dire: dobbiamo inserirci
nel contendere e fare anche nostra la causa di "Trieste
italiana" - posizione che peraltro contraddiceva nettamente
atteggiamenti e direttive assunte nel periodo bellico.
Usando la nostra speciale posizione di comunisti, che ci
consente di mediare e trattare con gli jugoslavi, ne
trarremo beneficio dal punto di vista della legittimazione
istituzionale e della forza contrattuale in patria.

Tito e la Jugoslavia accettarono di buon grado la mediazione
di Togliatti, e presto abbandonarono ogni rivendicazione su
Trieste - che pure avevano liberato nel 1945 - per il bene,
essenzialmente, della distensione internazionale. Da un certo
punto di vista fu un atto di generosita', poiche' a
Trieste/Trst la popolazione di lingua slava era ed e' una
grande percentuale degli abitanti, soprattutto nei quartieri
popolari, per non parlare di tutte le periferie e dei sobborghi
carsici che sono tuttora di lingua slovena. Inoltre, un
"diritto" su Trieste si poteva attribuire alla Jugoslavia
per ragioni storiche legate alla italianizzazione forzata
degli sloveni (dalla prima guerra mondiale in poi), ed ai
crimini del fascismo, che nel 1941 arrivo' ad occupare persino
Lubiana, incendiando paesi, fucilando in massa i civili,
rinchiudendoli in lager come quello di Rab/Arbe, eccetera.
Infine, una Trieste jugoslava sarebbe stata un ulteriore
tassello nella composizione internazionalistica, pluri-
lingue e multinazionale di quel paese - la Repubblica
Federativa Socialista di Jugoslavia - non fondato sulla
identita' nazionale (come e' invece adesso per gli
statarelli nei quali l'Occidente l'ha voluto smembrare)
ma bensi' sul comune impegno nella costruzione del
progresso civile e morale, nell'Unita' e nella Fratellanza.

Insomma: Trieste poteva essere jugoslava, e non lo fu. In
questo passaggio le scelte di Togliatti furono quelle
determinanti.


3. Sono maturi i tempi per parlarne?

Divisa tra anticomunisti - e quindi antijugoslavi - e
comunisti di tradizione cominformista - e quindi
antijugoslavi - l'Italia in tutti questi decenni e' stata
ostile alla Jugoslavia al cento per cento. Questa ostilita'
fu alimentata dal "carsico" riaffiorare dei traumi della
guerra e del dopoguerra: l'esodo da Istria e Dalmazia (1),
le notizie dei crimini commessi o presunti (2). Essa fu poi
alimentata dalla Guerra Fredda: in questo, la posizione
jugoslava di non-allineamento aiuto' poco, anzi per i
comunisti italiani, filosovietici, non fu di alcun aiuto.

E' proprio da questa ostilita' generalizzata, da questo
atteggiamento preciso dei comunisti italiani dal 1948 in poi,
che ha origine anche la assoluta mancanza di comprensione
della guerra fratricida scatenatasi nel 1991.

Nelle file del PCI, infatti, sedevano (e siedono ancora oggi
nelle file di vari gruppi parlamentari) quei personaggi -
qualcuno persino di origine giuliana, slovena, istriana,
eccetera - che curarono i rapporti internazionali
del PCI e dunque ben conoscono vicende, persone, luoghi,
tendenze e problematiche politiche dell'area jugoslava -
per non parlare dell'insieme dei paesi socialisti, e del
loro crollo. Ebbene: dove sono state tutte queste persone,
in questi anni? (3)

Dove sono i partigiani che avrebbero potuto raccontarci la
Guerra di Liberazione in Jugoslavia, il nazifascismo in quelle
terre e la questione delle nazionalita'? Perche' nessuno ha dato
la parola a chi conosceva divisioni e problemi dei comunisti
jugoslavi? Perche' nessuno ha chiesto la opinione dei
comunisti jugoslavi sullo sfascio del loro paese?

Dalla questione di Trieste in poi, si puo' dire che
sia stato il PCI a "garantire" il sistema istituzionale
del nostro paese. Questo nonostante il gioco sporco,
sporchissimo, della controparte. Non e' questa la sede
per esprimere valutazioni in merito, tantomeno con il
senno di poi. Quello che preme sottolineare e' che
l'atteggiamento tenuto nei confronti dei vicini di casa
jugoslavi in questi decenni ha qualcosa, anzi ha molto a
che fare con questa cieca fedelta' del PCI al sistema
repubblicano, con la incapacita' di parlare della "guerra
civile strisciante" pure in corso: stragi, poteri occulti,
e cosi' via. Fino al recente passaggio alla "Seconda
Repubblica" presidenzialista, di piduista memoria, ed alla
svolta bellica e neocoloniale del nostro paese, svolta della
quale le "sinistre di governo" portano una responsabilita'
totale ed indiscutibile.


4. Il dibattito

Persino a prescindere, dunque, dall'interesse storico delle
testimonianze sulla spaccatura tra Tito e Stalin, ed a
prescindere dalle implicazioni internazionali e geo-politiche
di quelle vicende, lo scambio iniziato su questa lista
potrebbe essere utile ad agevolare una "psicanalisi"
collettiva dei comunisti italiani. Essendo state superate
le condizioni storiche in cui si generarono quelle
contraddizioni tra comunisti di vario orientamento, si puo'
oggi arrivare, tra chi ancora si dice comunista, ad una sintesi
condivisa nell'interpretazione di quella storia. Si badi bene: non
della storia jugoslava nel suo complesso, ne' della guerra fredda
o dei movimenti comunisti che hanno animato il pianeta in tanti
decenni, ma di *questa* specifica vicenda della spaccatura del
1948, e dei sui riflessi per la Jugoslavia, per l'Italia, e per
i reciproci rapporti.

Questa "psicanalisi", per le ragioni di cui sopra, e' in particolar
modo utile per i comunisti italiani, oggi - nonostante il mutamento
radicale della situazione - ancora in cerca di una narrazione
propria, e condivisa, della loro stessa storia.
Pure la attuale in-capacita' dialettica dei comunisti di ogni
appartenenza, e tante continue spaccature di natura effimera,
specialmente in ambito extraparlamentare, derivano in gran parte
dalla non abitudine a contestualizzare le vicende legate alla propria
attivita' ed alle proprie scelte, a non inquadrarle nel fluire
degli eventi, a non usare cioe' l'analisi scientifica, materialista-
storica e materialista-dialettica, autoimprigionandosi cosi' in
posizioni, "frasi", cristallizzate, di natura sostanzialmente
idealistica (4). Dalle analisi "cristallizzate" sarebbe invece
ora di passare alle analisi "cristalline", superando rimozioni e
sensi di colpa che non hanno ragioni, ed impegnandosi finalmente
nel serio approfondimento, e nella lotta conseguente.

Italo Slavo, Roma, 29/12/2001


NOTE:

(1) Le ragioni dell'esodo furono molteplici, ma sicuramente esso
non fu dovuto ad una ostilita' di carattere nazionalitario: da
una parte, il moto migratorio dalle campagne alle citta' in
quell'epoca era generalizzato, e comporto' ad esempio anche la
emigrazione di triestini ed istriani verso citta' industriali
piu' grandi, ed anche verso l'estero; dall'altra, si sovrapposero
ragioni di carattere politico-ideologico (anticomunismo, accuse
di collaborazionismo, eccetera) che poco avevano a che vedere
con la identita' nazionale, tanto e' vero che in quel periodo
Trieste pullulava di esuli sloveni, croati e serbi legati
ai movimenti fascisti e nazisti delle loro terre.

(2) Durante la Seconda Guerra Mondiale, dopo l'8 settembre,
Trieste ed il suo entroterra divennero parte della regione del
Terzo Reich denominata "Adriatisches Kuestenland". In questa
regione il collaborazionismo - di ogni "etnia" - si rese
responsabile di crimini facilmente immaginabili. La risposta
a tutto questo, da parte dei partigiani, fu quella necessaria
ed adeguata (cioe' anche cruenta, talvolta) ed occasionalmente
sconfino' nella vendetta. A ben vedere, le vendette contro i
nazifascisti causarono assai meno lutti nella regione giuliana
di quanto nello stesso periodo non successe, ad esempio, in
Piemonte od in Emilia-Romagna. Eppure, per le ragioni legate
alla guerra fredda ed alla ostilita' antijugoslava presente
in Italia, sui media italiani la questione delle "foibe"
assunse per la pubblica opinione italiana connotati abnormi,
legandosi alle operazioni di guerra psicologica dei servizi
segreti, alle azioni della Gladio e della Decima Mas. Questa
campagna riprese particolare enfasi dopo il 1991 come forma
di pressione su Slovenia e Croazia (cfr. C. Cernigoi, "Operazione
Foibe a Trieste", ed. KappaVu, Udine 1997). Si noti per inciso
che, mentre la campagna sulle "foibe" - peraltro iniziata gia'
sulla stampa dell'Adriatisches Kuestenland come mezzo di
propaganda - arriva a lambire persino l'insegnamento nelle
scuole dell'obbligo, nella stessa Italia vengono regolarmente
sottaciuti gli episodi relativi ai crimini di guerra italiani
in Slovenia ed in tutti i Balcani, e raramente si parla di
quanto successe nel campo di concentramento nazista della
Risiera, proprio dentro la citta' di Trieste. Anche per questa
mancata conoscenza dei crimini di guerra italiani durante la II
Guerra Mondiale, il PCI ed i suoi eredi portano gravi
responsabilita' di carattere, culturale, politico e civile.

(3) Forti delle loro conoscenze e delle loro frequentazioni,
in Italia ed in Jugoslavia, questi personaggi si sono
messi a lavorare oppure sono stati in vario modo utilizzati
dal sistema della informazione: nella RAI, ne "l'Unita'",
nelle Fondazioni ed in varie strutture universitarie, ma
anche nelle piccole radio o nelle iniziative del pacifismo
e dell'associazionismo. Sono questi che hanno costruito, o
almeno avvalorato, la "chiave di lettura" prevalente della
guerra fratricida come guerra etnica, o guerra di aggressione
serba, o guerra per la autodeterminazione dei tizi oppure
dei caii - mai e poi mai dei sempronii!
Sono questi i personaggi che "fanno" materialmente, oggi, la
diplomazia italiana in quelle terre, e che mediano percio'
anche la riconquista coloniale delle risorse di quei popoli.

(4) Tanto per citare qualche esempio di questa usanza nel
frasario e nel discorso politico: "Un altro mondo e' possibile"
(si, ma come?), "La guerra e' stata illegale" (si, ma chi e'
oggi il "depositario" della legalita'?), "La crisi dell'Urss si
e' originata con il revisionismo" (si, ma perche' e' nato il
revisionismo?), "In Jugoslavia vigeva un sistema di mercato,
percio' non era un paese socialista" (e come mai il grande
capitale internazionale, anziche' comparsela, l'ha voluta
squartare?).


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