http://www.clorofilla.it/articolo.asp?articolo=2575
L'intervista. Embargo, uranio, lazzaretti, miseria, malattie, il ruolo
della Cia e i malcostumi della stampa. Ecco i principali temi affrontati
durante l'incontro con Fulvio Grimaldi a margine della presentazione a
Milano del suo nuovo video-reportage "Chi vivrà Iraq!"
Da Belgrado a Baghdad. La guerra che continua
:: 06/12/2002 11.37.44 , di Babsi Jones
Parrebbe essere sempre la stessa moderna guerra massmediatica, quasi
certamente germinata nei primi anni '90 fra le righe di un ormai
popolare libro bianco della Cia, che candidamente confessava: "Saranno
necessarie azioni belliche volte a garantire agli Stati Uniti l'egemonia
mondiale".
Questa guerra del nuovo millennio debutta nel Golfo all'inizio degli
anni '90, transita attraverso l'implosione jugoslava con tutte le sue
biasimevoli 'forze di pace', raggiunge Belgrado con i bombardamenti Nato
del '99, approda in Afghanistan con toni ieratici ed ora preme
nuovamente intorno all'Iraq, come un cerchio mortale in procinto di
chiudersi.
Le prove generali messe in scena nel Golfo nel 1991 trovarono di fatto
un battesimo in Serbia nel 1999: la si definì 'guerra umanitaria'.
Quell'ossimoro, dopo l'11 settembre, si è rinominato in 'perdurante
libertà': una missione non-stop di gendarmeria mondiale. Parrebbe
esserci un copione, le parentele sono notevoli. Ne parlo a Milano (in
una serata organizzata da Bovisa Verde, Verdi e PRC alla Biblioteca di
via Baldinucci) con Fulvio Grimaldi: giornalista da quarant'anni
'contro', che presenta il suo nuovo reportage-video "Chi vivrà Iraq!".
Coraggioso esperto di questioni di politica internazionale, dall'Irlanda
del Nord al Kurdistan, dal Libano alla Palestina, Grimaldi ha
documentato con particolareggiati reportages ('Serbi da morire', 'Il
popolo invisibile') i bombardamenti sulla Serbia del 1999, e da tempo
segue le vicende irachene.
I temi dell'intervista:
Luoghi barbarici, o così pare
Embargo, ovvero: recisione
L'invenzione del 'maligno'
I frutti marci della Cia
Truffe massmediatiche
I lazzaretti dei popoli di troppo
Codice u238: popoli di troppo
Sullo stesso argomento: Un reportage effettuato in Irak da Fulvio
Grimaldi per Liberazione (ma pubblicato da Arcipelago.org) nella seconda
metà di settembre 2002
http://www.clorofilla.it/articolo.asp?articolo=2575
1. Luoghi barbarici, o così pare
Fulvio, in queste due guerre che analizziamo stasera le somiglianze
abbondano. Cominciamo con una distorsione percettiva: Belgrado e Baghdad
che l'Occidente intende, grazie alla propaganda dei mass media, solo
come luoghi barbarici. In realtà, tu che conosci bene entrambe le
capitali, puoi tracciarne un ritratto ben diverso
Decisamente. Sono due luoghi, Baghdad e Belgrado, di antica e di
altissima civiltà. Quel genere di civiltà che ci mette in imbarazzo e ci
rende nostalgici, perché vi ritroviamo valori e modi di vivere che
abbiamo perduto. Valori che si sono completamente smarriti nel tipo di
vita moderna, che in Occidente è stata imposta dal dominio di certe
culture: quella anglosassone in particolare.
Antichissime civiltà che sopravvivono e sono sentite come presenti in
due popolazioni, quella serba e quella irachena, con una grande
coscienza di sé, niente affatto smarrite né disorientate come invece lo
siamo noi. E sono popolazioni anche molto meno impaurite di quanto lo
siamo noi, per quanto avrebbe validi motivi di esserlo di fronte alle
minacce attuate dall'esterno. Sono popoli consapevoli della propria
ricchezza passata che non hanno rinnegato. Gli iracheni sono la madre di
tutte le civiltà: seimila anni fa, con i Sumeri, laggiù nacquero la
ruota, la scrittura, le note musicali, il primo codice di diritto, le
prime città.
E anche le prime divisioni di classe, simboleggiate dalla famosa torre
di Babele; si parla di 'dispersione dei linguaggi' e la torre di Babele
è invece il simbolo d'una dispersione di gruppi sociali; la prima
divisione di classi che da un lato vede i mercanti, i primi banchieri, i
principi e i politici, e dall'altro lato i più poveri, i contadini, gli
artigiani. Belgrado è la splendida capitale di una nazione meno antica
rispetto all'Iraq, ma ha nel suo modus vivendi una calma consapevole che
sfugge alla frenesia idiota del tempo occidentale.
Nei Balcani i serbi hanno dato vita alla più alta espressione della
civiltà bizantina prima dell'impero ottomano; sono sempre stati il
fulcro in tutto quello che è accaduto in un'area di passaggio e
transizione come i Balcani. Esattamente come gli iracheni, i serbi sono
stati la componente più consapevole di sé e del proprio ruolo storico.
Rispetto ad altri popoli alquanto disponibili al dominio straniero (non
per far loro un torto ma per citare un dato storico, ad esempio, i
bosniaci e gli albanesi, che sostennero gli ottomani; i croati poi
sostennero gli austroungarici e la Germania nazista) i serbi hanno
sempre avuto la volontà di resistere agli imperi e si sono sempre
battuti contro i dominatori e gli invasori. Gli iracheni ed i serbi sono
popoli con una forte e tranquilla coscienza di sé; ricchi di orgoglio
consapevole, ma non arrogante o prevaricatore come può esserlo quello
anglosassone. E' un orgoglio che nasce dalla coscienza di avere una
collocazione storico-geografica ben precisa.
In occasione dei miei ripetuti viaggi in Iraq, come m'era accaduto
durante e dopo i bombardamenti in Jugoslavia, quello che mi colpisce è
l'incredibile disponibilità e cordialità della gente: vedere come non
siano affatto sospettosi nei confronti dei forestieri. Né i serbi né gli
iracheni hanno subito il martellamento della diffidenza e della paura
verso 'l'altro', che è poi la tecnica preferita di dominio occidentale.
2. Embargo, ovvero: recisione
Il primo vero e proprio parallelo che incontriamo parlando di Serbia ed
Iraq è alla voce 'embargo'. Alla ex-Jugoslavia fu imposto nel 1991, e
solo recentemente revocato; in Iraq l'embargo dura da dodici lunghi
anni. Quali sono state e quali ancora sono in entrambi i paesi le
conseguenze delle sanzioni?
Catastrofiche. Per parlare della Serbia, resto persuaso che nell'ottobre
2000, quando venne eletto Kostunica e si consegnò Milosevic all'Aja, se
i serbi non avessero dovuto temere un ulteriore e catastrofico
prolungamento dell'embargo con tutte le conseguenze immaginabili
(mancanza di carburante ed elettricità, ad esempio, che rendevano la
vita quotidiana insopportabile e mettevano costantemente a rischio le
strutture sanitarie) non avrebbero fatto la scelta politica che hanno
fatto e di cui, sono convintissimo, sono già pentiti.
Tutti i disordini che si susseguono in Jugoslavia - i sabotaggi, gli
scioperi, le facoltà universitarie occupate dagli studenti - sono il
segno che i serbi hanno compreso quanto quella del 5 ottobre sia stata
una svolta spaventosamente negativa. Per quanto riguarda l'Iraq, le
conseguenze dell'embargo sono indescrivibili.
Se non ci fosse un sistema statale di distribuzione di cibo gratuito con
tessere annonarie (che i rappresentanti dell'Onu stessi, Hans Von
Sponeck e Denis Halliday, hanno definito uno dei più efficienti e dei
meno corrotti al mondo), un sostegno che alimenta con razioni minime di
sopravvivenza l'85% della popolazione irachena, noi oggi saremmo di
fronte a una vera e propria strage: sarebbero ipotizzabili milioni e
milioni di morti.
Embargo, poi, vale la pena ricordarlo, significa isolamento culturale,
di cui entrambi i popoli hanno sofferto enormemente. Embargo significa
non avere contatti con quello che accade altrove. Le scienze, le
lettere, la ricerca. Per un decennio è accaduto molto nel campo della
medicina, dell'astronomia, della fisica, della tecnologia telematica:
eventi dai quali sia i serbi che gli iracheni sono stati letteralmente
tagliati fuori.
Esclusi, rinchiusi in un mondo a parte. Sono ansiosissimi di sapere, gli
iracheni: portar loro riviste specializzate e filmati è un grande dono,
perché significa dar loro un'opportunità di contatto col mondo dal quale
sono stati letteralmente recisi. Lo stesso accadeva in Serbia negli anni
dell'embargo. Ecco, l'embargo è una recisione. Embargo è come vivere
chiusi in un camion blindato, dal quale non è possibile vedere nulla al
di fuori e dentro il quale a nessuno è permesso guardare.
3. L'invenzione del 'maligno'
Mentre l'embargo compie la sua lenta ma inesorabile opera di
devastazione del tessuto sociale ed economico in quelli che tu chiami 'i
popoli di troppo', da parte dell'impero si verifica la creazione a
tavolino del 'cattivo per antonomasia'. In Serbia fu Slobodan Milosevic,
in Iraq è Saddam Hussein. Che genere di icone sono?
Stereotipi. La creazione del 'cattivo per antonomasia' non vede
differenze. Il modulo è sempre quello, collaudato da tempo: si cominciò
ad applicarlo nei confronti di Ho Chi Min, Fidel Castro, Makarios a
Cipro, Jomo Kenyat.
Tutti i leaders anticolonialisti sono stati sistematicamente
satanizzati. Di fronte ad un torto gigantesco commesso - come quello del
dominio coloniale, dello sfruttamento criminale - si deve in qualche
maniera trovare un contraltare, una giustificazione da servire in pasto
all'opinione pubblica. E la giustificazione è la criminalizzazione dei
popoli, in primis dei loro leaders. Di recente una psicologa
statunitense, lo ricordi anche tu, ha sostenuto una tesi di totale
assurdità antiscientifica secondo la quale i serbi sarebbero
congenitamente feroci.
Il modello che si applica nella creazione del cattivo ad hoc - da
Milosevic a Saddam - è ridicolmente simile. Si comincia col definirlo
'dittatore brutale e sanguinario'. Si sostiene che abbia depredato il
popolo accumulando ricchezze e tesori. Gli si fabbrica intorno
un'immagine familiare diabolica: figli scapestrati dediti a donne di
malaffare e macchine sportive; mogli-arpie che sarebbero le vere
responsabili nell'ombra delle ipotetiche malefatte del tiranno
privatamente succube.
Questo cliché della 'donna-sanguisuga' del dittatore ad hoc è servito in
tavola alla società occidentale perché è una società maschilista, che lo
riconosce istintivamente come un'ulteriore segnale di viltà. Stereotipi
ripetuti banalmente per costruire un 'maligno assoluto'. Tu hai fatto
un'osservazione acuta: è la ripetizione d'un copione, e trovo strano che
l'opinione pubblica non si renda conto della serialità e della replica
programmata che caratterizza tutte queste guerre 'moderne'. Saddam e
Milosevic sono stati di certo oppositori della sopraffazione
neocoloniale. Questo li accomuna.
La differenza fra i due può emergere in questi termini: Milosevic, che
persino le sinistre europee chiamavano acriticamente despota e
dittatore, venne democraticamente eletto e sostenuto dal popolo serbo.
Tu sai, e chi è stato in Serbia negli anni di Milosevic lo sa, che
definirlo 'despota' significa sostenere una grande menzogna. Bastava
vedere quanti organi di stampa indipendenti esistessero, quanti partiti
candidati; bastava vedere come si tenessero regolari elezioni
amministrative e politiche (le maggiori città della Jugoslavia erano
governate dall'opposizione, del resto: Nis, Novi Sad, Kragujevac); le
manifestazioni di protesta erano normalmente consentite e a dire il vero
non si videro mai, in Serbia, le repressioni che poi si sarebbero viste
a Genova. Tanta è la capacità della parola mediatica, da annullare la
constatazione: sarebbe bastato andare in Serbia ed osservare la vita
quotidiana per comprendere che Milosevic non aveva nulla a che spartire
con un dittatore.
La realtà è che le opposizioni in Serbia erano state letteralmente
comprate dagli americani. Gli Usa cominciarono a stanziare, a partire
dalla metà degli anni '90, centinaia di milioni di dollari destinati
alle opposizioni anti-Milosevic. Crearono addirittura un movimento
giovanile di pseudo-sinistra, Otpor. Questo movimento ebbe persino il
riconoscimento come 'forza no-global' dai nostri disobbedienti locali, e
a dire il vero fu un errore storico spaventoso: Otpor era una creazione
della Cia. L'ha dichiarato la Bbc in un lungo reportage, e i leaders
stessi di Otpor l'hanno ammesso. Sconcerta il fatto che vennero
considerati 'colleghi di prospettiva' da un settore del nostro movimento
di protesta. Per quanto riguarda Saddam, invece, non è evidentemente un
governante democratico secondo la nostra definizione di democrazia. E'
un autocrate, in Iraq vige un sistema monopartitico.
In questi paesi che emergono dal sottosviluppo e dal colonialismo c'è
una sola differenza che vale la pena approfondire: la differenza fra
governi autocratici che fanno l'interesse esclusivo delle aristocrazie
governanti (ad esempio, Arabia Saudita, Emirati, Kuwait), e governi
autocratici che invece fanno gli interessi dei loro popoli. Il caso
dell'Iraq appartiene alla seconda categoria: le risorse in Iraq sono
state utilizzate per garantire al popolo sanità ed istruzione gratuita,
ed i mezzi di sostentamento indispensabili. A questi popoli, che
emergono da secoli di totalitarismi ed imperi, non si può domandare che
in trent'anni anni maturino forme di democrazia come le conosciamo noi.
Noi alle spalle abbiamo la Rivoluzione Francese, l'Illuminismo, la
Comune di Parigi, la Rivoluzione Russa .Quello di popoli come l'Iraq è
un altro percorso, che andrebbe riconosciuto nel suo contesto e
rispettato. E' una tendenza tipicamente eurocentrica, e non soltanto
delle destre, questa cecità che porta all'assenza di contestualizzazione.
4. I frutti marci della Cia
Sotto il 'cattivo per antonomasia', in entrambi i paesi fermentano
realtà allarmanti: alla guerra in Serbia ci si arriva 'benedicendo'
l'Uck (esercito di liberazione del Kosovo, ndr), mentre in Iraq ci
stiamo approdando per via d'una 'caccia all'uomo' che risponde al nome
di Bin Laden. Esaminato nell'ottica del copione bellico che torna in
scena, il binomio Uck-Al Qaida è implausibile?
Niente affatto, è plausibile, quasi ovvio. Ci sono i fatti. Al Qaida era
presente prima in Bosnia, poi in Kosovo.
Bin Laden pare avesse un passaporto bosniaco concessogli da Izetbegovic
stesso (l'allora presidente della Bosnia musulmana, ndr), e i suoi
scherani addestrati nei campi afghani - che fossero algerini o sauditi
poco importa - operavano accanto alle milizie musulmane, celebri come
'tagliatori di teste'. E gli istruttori dell'Uck dei primi anni
partivano dai campi di Al Qaida, di differenti nazionalità ma tutti
provenienti dall'Afghanistan.
A dire il vero questi 'signori' non li troviamo solo in Bosnia e in
Kosovo: sono presenti ovunque l'impero americano debba operare in
maniera destabilizzante: in Algeria, in Cecenia, ad esempio. Al Qaida
funzionava e funziona al servizio della Cia. Ovunque la Cia abbia
interesse a destabilizzare Paesi che stanno sulle rotte del petrolio,
eccoli arrivare. Questo è il ruolo di Al Qaida: mai rinnegato, del resto.
5. Truffe massmediatiche
Tutti gli atti del copione, dalla creazione del 'cattivo' su misura
all'occultamento dei legami fra la Cia ed i combattenti di turno, fino
alla produzione di truffe massmediatiche come quelle di Racak in Kosovo,
e persino gli stessi negoziati-farsa (in Serbia, Rambouillet; oggi, le
ispezioni Onu in Iraq) farebbero pensare ad un vero e proprio
allestimento propagandistico
Esattamente. Conosci bene le agenzie di 'pubbliche affairs' che
operavano già in Jugoslavia Come la Ruder&Finn, ad esempio, che è sul
libro-paga del Pentagono e riceve 17 milioni di dollari annui.
Il direttore di Ruder&Finn ha rivendicato, in un'intervista molto
conosciuta, la giustezza di tutta questa serie di invenzioni e di
falsità create a tavolino perché, sosteneva, sono efficaci per
sconfiggere un 'nemico della democrazia' e fare avanzare gli interessi
della civiltà occidentale. Srebrenica, ad esempio, fu uno degli affari
curati da Ruder&Finn in Bosnia.
L'agenzia 'pubblicitaria' fece il suo colpo più grosso, probabilmente,
quando attribuì agli iracheni, al momento dell'invasione del Kuwait nel
'90, il crimine d'aver staccato le prese delle incubatrici nei reparti
neonatali degli ospedali del Kuwait.
E' stata poi provata essere un'invenzione architettata da Ruder&Finn, e
l'infermiera piangente che aveva in video denunciato la tragedia di
questi neonati morti per colpa di un gesto criminale iracheno è
risultata essere la figlia dell'ambasciatore del Kuwait a Washington. Lo
scenario era un ospedale americano allestito affinché avesse l'apparenza
un ospedale in Kuwait...
6. I lazzaretti dei popoli di troppo
Ecco, gli ospedali ci offrono un ulteriore punto di sviluppo del copione
bellico. A Belgrado fu ripetutamente violata la convenzione di Ginevra
sganciando bombe sul reparto di neonatologia; e le notizie che giungono
dagli ospedali iracheni, come quello di Al Mansur, sono terrificanti
Quello che ho registrato e testimoniato è stato anche accertato da tutti
gli esperti dell'Onu che si sono occupati della situazione sanitaria
irachena e che si sono regolarmente dimessi in segno di protesta contro
l'embargo (Hans Von Sponeck, Denis Halliday).
Tutti lavoravano in progetti Onu di sostegno alla popolazione irachena e
se ne sono andati dicendo che era in atto un vero e proprio genocidio.
La mortalità infantile in Iraq a causa dell'uranio e dell'embargo è
quadruplicata; la leucemia infantile è decuplicata; la leucemia, che
nelle società industrializzate occidentali ha un indice di letalità dal
20 al 40% dei casi, in Iraq sono al 100%. In pratica, i bambini
leucemici che entrano negli ospedali di Bassora e di Baghdad non ne
escono più.
Lo stesso vale per quelli che entrano con la dissenteria, e la
dissenteria è l'altra tragica malattia che colpisce la popolazione
infantile. La condizione sanitaria in Iraq è, come l'hai definita tu,
terrificante.
7. Codice u238: popoli di troppo
Come abbiamo visto, l'apparato bellico rincorre un protocollo preciso
per mettersi in movimento. Per primo viene l'embargo. Poi, le pasquinate
diplomatiche, Rambouillet ed ispezioni, falliscono come annunciato.
Infine si bombarda. Ed è a questo punto che la trama funesta che
accomuna la Serbia all'Iraq si perfeziona e si condensa un codice: u238,
uranio impoverito
Io credo che questa sia una delle essenziali motivazioni di tutte le
guerre dell'imperialismo: danneggiare i paesi in modo definitivo. Uno
dei miei reportages in video, che tu ricordavi prima, s'intitolava
'Popoli di troppo', ed è un titolo tragicamente azzeccato.
Si tratta davvero di popoli in eccesso, che non servono. Perché sono nel
posto sbagliato al momento sbagliato; gli iracheni, ad esempio, stanno
seduti sui più grandi giacimenti di petrolio del mondo; i serbi stanno
nel punto nevralgico della geografia balcanica, quel percorsi che tutte
le materie prime debbono percorrere; sono popoli di troppo e non solo
vengono sconfitti -a quello scopo ecco le bombe-, ma è la devastazione
dell'ecosistema che è di lunghissima durata e che è concepita per
liquidarli. Il debutto di queste armi nucleari striscianti è proprio
nella guerra del Golfo; la guerra in Vietnam era stata una guerra
chimica, di defoglianti, come ricordiamo.
La vera prima guerra nucleare, da Hiroshima in poi, è quella irachena.
Era chiaro che l'opinione pubblica non avrebbe facilmente accettato
un'altra bomba come quella sganciata ad Hiroshima: hanno pensato bene di
trasformarla in una guerra strisciante ma non meno radioattiva. Lo scopo
è chiaro: togliere di mezzo le popolazioni compromettendo le base stessa
della vita.
In Iraq, dopo 10 anni di contaminazione da uranio, il cervello dei
neonati è in media di due centimetri più piccolo di quelli che nascevano
prima della guerra, e la statura dell'iracheno medio è calata di
altrettanti due centimetri. Si tratta proprio di minare i popoli nella
salute, attraverso la contaminazione delle principali risorse, e
l'embargo altro non fa che aggravare la situazione, vista la mancanza
assoluta di terapie: in pratica, il sistema affinché un popolo vada
lentamente ed inesorabilmente estinguendosi.
In Iraq non c'è nulla che non sia contaminato. Un recente documento
de-secretato del Pentagono rivela gli obiettivi dei bombardamenti
sull'Iraq del '91. Erano tutti obiettivi in correlazione con le risorse
primarie per la vita: centrali elettriche, centrali idriche.
Lo stesso accadde in Serbia, come ricordi, dove la situazione ambientale
a causa ai bombardamenti Nato è allarmante. In Iraq, grazie alla
distruzione di infrastrutture di base come le centrali idriche, e
l'impossibilità di ripararle a causa dell'embargo, si muore come mosche:
per l'acqua contaminata, ad esempio. I sistemi di depurazione vengono
proibiti dall'embargo come sappiamo perché potrebbe trattarsi di
eventuali 'dual use'.
Per questo annientamento dei 'popoli di troppo' si creano le premesse
attraverso la prima fase -i bombardamenti- che è la più rumorosa e che
sollecita maggiore partecipazione emotiva dell'opinione pubblica; ma la
guerra di lunghissima durata e senza attori in prima linea comincia in
seguito, e vede estinguersi un popolo, fisicamente ed intellettualmente.
Sai, Wilson, che era presidente degli Stati Uniti nel 1918 disse:
"l'embargo è un sistema eccellente per liberarsi di popoli in eccesso,
perché è un metodo silenzioso, efficiente e letale".
Come nelle grandi guerre del medioevo, del resto: accerchiare una città
e ridurla allo stremo per fame, sete e peste. E ancora di questo si
tratta oggi, da Belgrado a Baghdad il copione è invariato.
(fine)
L'intervista. Embargo, uranio, lazzaretti, miseria, malattie, il ruolo
della Cia e i malcostumi della stampa. Ecco i principali temi affrontati
durante l'incontro con Fulvio Grimaldi a margine della presentazione a
Milano del suo nuovo video-reportage "Chi vivrà Iraq!"
Da Belgrado a Baghdad. La guerra che continua
:: 06/12/2002 11.37.44 , di Babsi Jones
Parrebbe essere sempre la stessa moderna guerra massmediatica, quasi
certamente germinata nei primi anni '90 fra le righe di un ormai
popolare libro bianco della Cia, che candidamente confessava: "Saranno
necessarie azioni belliche volte a garantire agli Stati Uniti l'egemonia
mondiale".
Questa guerra del nuovo millennio debutta nel Golfo all'inizio degli
anni '90, transita attraverso l'implosione jugoslava con tutte le sue
biasimevoli 'forze di pace', raggiunge Belgrado con i bombardamenti Nato
del '99, approda in Afghanistan con toni ieratici ed ora preme
nuovamente intorno all'Iraq, come un cerchio mortale in procinto di
chiudersi.
Le prove generali messe in scena nel Golfo nel 1991 trovarono di fatto
un battesimo in Serbia nel 1999: la si definì 'guerra umanitaria'.
Quell'ossimoro, dopo l'11 settembre, si è rinominato in 'perdurante
libertà': una missione non-stop di gendarmeria mondiale. Parrebbe
esserci un copione, le parentele sono notevoli. Ne parlo a Milano (in
una serata organizzata da Bovisa Verde, Verdi e PRC alla Biblioteca di
via Baldinucci) con Fulvio Grimaldi: giornalista da quarant'anni
'contro', che presenta il suo nuovo reportage-video "Chi vivrà Iraq!".
Coraggioso esperto di questioni di politica internazionale, dall'Irlanda
del Nord al Kurdistan, dal Libano alla Palestina, Grimaldi ha
documentato con particolareggiati reportages ('Serbi da morire', 'Il
popolo invisibile') i bombardamenti sulla Serbia del 1999, e da tempo
segue le vicende irachene.
I temi dell'intervista:
Luoghi barbarici, o così pare
Embargo, ovvero: recisione
L'invenzione del 'maligno'
I frutti marci della Cia
Truffe massmediatiche
I lazzaretti dei popoli di troppo
Codice u238: popoli di troppo
Sullo stesso argomento: Un reportage effettuato in Irak da Fulvio
Grimaldi per Liberazione (ma pubblicato da Arcipelago.org) nella seconda
metà di settembre 2002
http://www.clorofilla.it/articolo.asp?articolo=2575
1. Luoghi barbarici, o così pare
Fulvio, in queste due guerre che analizziamo stasera le somiglianze
abbondano. Cominciamo con una distorsione percettiva: Belgrado e Baghdad
che l'Occidente intende, grazie alla propaganda dei mass media, solo
come luoghi barbarici. In realtà, tu che conosci bene entrambe le
capitali, puoi tracciarne un ritratto ben diverso
Decisamente. Sono due luoghi, Baghdad e Belgrado, di antica e di
altissima civiltà. Quel genere di civiltà che ci mette in imbarazzo e ci
rende nostalgici, perché vi ritroviamo valori e modi di vivere che
abbiamo perduto. Valori che si sono completamente smarriti nel tipo di
vita moderna, che in Occidente è stata imposta dal dominio di certe
culture: quella anglosassone in particolare.
Antichissime civiltà che sopravvivono e sono sentite come presenti in
due popolazioni, quella serba e quella irachena, con una grande
coscienza di sé, niente affatto smarrite né disorientate come invece lo
siamo noi. E sono popolazioni anche molto meno impaurite di quanto lo
siamo noi, per quanto avrebbe validi motivi di esserlo di fronte alle
minacce attuate dall'esterno. Sono popoli consapevoli della propria
ricchezza passata che non hanno rinnegato. Gli iracheni sono la madre di
tutte le civiltà: seimila anni fa, con i Sumeri, laggiù nacquero la
ruota, la scrittura, le note musicali, il primo codice di diritto, le
prime città.
E anche le prime divisioni di classe, simboleggiate dalla famosa torre
di Babele; si parla di 'dispersione dei linguaggi' e la torre di Babele
è invece il simbolo d'una dispersione di gruppi sociali; la prima
divisione di classi che da un lato vede i mercanti, i primi banchieri, i
principi e i politici, e dall'altro lato i più poveri, i contadini, gli
artigiani. Belgrado è la splendida capitale di una nazione meno antica
rispetto all'Iraq, ma ha nel suo modus vivendi una calma consapevole che
sfugge alla frenesia idiota del tempo occidentale.
Nei Balcani i serbi hanno dato vita alla più alta espressione della
civiltà bizantina prima dell'impero ottomano; sono sempre stati il
fulcro in tutto quello che è accaduto in un'area di passaggio e
transizione come i Balcani. Esattamente come gli iracheni, i serbi sono
stati la componente più consapevole di sé e del proprio ruolo storico.
Rispetto ad altri popoli alquanto disponibili al dominio straniero (non
per far loro un torto ma per citare un dato storico, ad esempio, i
bosniaci e gli albanesi, che sostennero gli ottomani; i croati poi
sostennero gli austroungarici e la Germania nazista) i serbi hanno
sempre avuto la volontà di resistere agli imperi e si sono sempre
battuti contro i dominatori e gli invasori. Gli iracheni ed i serbi sono
popoli con una forte e tranquilla coscienza di sé; ricchi di orgoglio
consapevole, ma non arrogante o prevaricatore come può esserlo quello
anglosassone. E' un orgoglio che nasce dalla coscienza di avere una
collocazione storico-geografica ben precisa.
In occasione dei miei ripetuti viaggi in Iraq, come m'era accaduto
durante e dopo i bombardamenti in Jugoslavia, quello che mi colpisce è
l'incredibile disponibilità e cordialità della gente: vedere come non
siano affatto sospettosi nei confronti dei forestieri. Né i serbi né gli
iracheni hanno subito il martellamento della diffidenza e della paura
verso 'l'altro', che è poi la tecnica preferita di dominio occidentale.
2. Embargo, ovvero: recisione
Il primo vero e proprio parallelo che incontriamo parlando di Serbia ed
Iraq è alla voce 'embargo'. Alla ex-Jugoslavia fu imposto nel 1991, e
solo recentemente revocato; in Iraq l'embargo dura da dodici lunghi
anni. Quali sono state e quali ancora sono in entrambi i paesi le
conseguenze delle sanzioni?
Catastrofiche. Per parlare della Serbia, resto persuaso che nell'ottobre
2000, quando venne eletto Kostunica e si consegnò Milosevic all'Aja, se
i serbi non avessero dovuto temere un ulteriore e catastrofico
prolungamento dell'embargo con tutte le conseguenze immaginabili
(mancanza di carburante ed elettricità, ad esempio, che rendevano la
vita quotidiana insopportabile e mettevano costantemente a rischio le
strutture sanitarie) non avrebbero fatto la scelta politica che hanno
fatto e di cui, sono convintissimo, sono già pentiti.
Tutti i disordini che si susseguono in Jugoslavia - i sabotaggi, gli
scioperi, le facoltà universitarie occupate dagli studenti - sono il
segno che i serbi hanno compreso quanto quella del 5 ottobre sia stata
una svolta spaventosamente negativa. Per quanto riguarda l'Iraq, le
conseguenze dell'embargo sono indescrivibili.
Se non ci fosse un sistema statale di distribuzione di cibo gratuito con
tessere annonarie (che i rappresentanti dell'Onu stessi, Hans Von
Sponeck e Denis Halliday, hanno definito uno dei più efficienti e dei
meno corrotti al mondo), un sostegno che alimenta con razioni minime di
sopravvivenza l'85% della popolazione irachena, noi oggi saremmo di
fronte a una vera e propria strage: sarebbero ipotizzabili milioni e
milioni di morti.
Embargo, poi, vale la pena ricordarlo, significa isolamento culturale,
di cui entrambi i popoli hanno sofferto enormemente. Embargo significa
non avere contatti con quello che accade altrove. Le scienze, le
lettere, la ricerca. Per un decennio è accaduto molto nel campo della
medicina, dell'astronomia, della fisica, della tecnologia telematica:
eventi dai quali sia i serbi che gli iracheni sono stati letteralmente
tagliati fuori.
Esclusi, rinchiusi in un mondo a parte. Sono ansiosissimi di sapere, gli
iracheni: portar loro riviste specializzate e filmati è un grande dono,
perché significa dar loro un'opportunità di contatto col mondo dal quale
sono stati letteralmente recisi. Lo stesso accadeva in Serbia negli anni
dell'embargo. Ecco, l'embargo è una recisione. Embargo è come vivere
chiusi in un camion blindato, dal quale non è possibile vedere nulla al
di fuori e dentro il quale a nessuno è permesso guardare.
3. L'invenzione del 'maligno'
Mentre l'embargo compie la sua lenta ma inesorabile opera di
devastazione del tessuto sociale ed economico in quelli che tu chiami 'i
popoli di troppo', da parte dell'impero si verifica la creazione a
tavolino del 'cattivo per antonomasia'. In Serbia fu Slobodan Milosevic,
in Iraq è Saddam Hussein. Che genere di icone sono?
Stereotipi. La creazione del 'cattivo per antonomasia' non vede
differenze. Il modulo è sempre quello, collaudato da tempo: si cominciò
ad applicarlo nei confronti di Ho Chi Min, Fidel Castro, Makarios a
Cipro, Jomo Kenyat.
Tutti i leaders anticolonialisti sono stati sistematicamente
satanizzati. Di fronte ad un torto gigantesco commesso - come quello del
dominio coloniale, dello sfruttamento criminale - si deve in qualche
maniera trovare un contraltare, una giustificazione da servire in pasto
all'opinione pubblica. E la giustificazione è la criminalizzazione dei
popoli, in primis dei loro leaders. Di recente una psicologa
statunitense, lo ricordi anche tu, ha sostenuto una tesi di totale
assurdità antiscientifica secondo la quale i serbi sarebbero
congenitamente feroci.
Il modello che si applica nella creazione del cattivo ad hoc - da
Milosevic a Saddam - è ridicolmente simile. Si comincia col definirlo
'dittatore brutale e sanguinario'. Si sostiene che abbia depredato il
popolo accumulando ricchezze e tesori. Gli si fabbrica intorno
un'immagine familiare diabolica: figli scapestrati dediti a donne di
malaffare e macchine sportive; mogli-arpie che sarebbero le vere
responsabili nell'ombra delle ipotetiche malefatte del tiranno
privatamente succube.
Questo cliché della 'donna-sanguisuga' del dittatore ad hoc è servito in
tavola alla società occidentale perché è una società maschilista, che lo
riconosce istintivamente come un'ulteriore segnale di viltà. Stereotipi
ripetuti banalmente per costruire un 'maligno assoluto'. Tu hai fatto
un'osservazione acuta: è la ripetizione d'un copione, e trovo strano che
l'opinione pubblica non si renda conto della serialità e della replica
programmata che caratterizza tutte queste guerre 'moderne'. Saddam e
Milosevic sono stati di certo oppositori della sopraffazione
neocoloniale. Questo li accomuna.
La differenza fra i due può emergere in questi termini: Milosevic, che
persino le sinistre europee chiamavano acriticamente despota e
dittatore, venne democraticamente eletto e sostenuto dal popolo serbo.
Tu sai, e chi è stato in Serbia negli anni di Milosevic lo sa, che
definirlo 'despota' significa sostenere una grande menzogna. Bastava
vedere quanti organi di stampa indipendenti esistessero, quanti partiti
candidati; bastava vedere come si tenessero regolari elezioni
amministrative e politiche (le maggiori città della Jugoslavia erano
governate dall'opposizione, del resto: Nis, Novi Sad, Kragujevac); le
manifestazioni di protesta erano normalmente consentite e a dire il vero
non si videro mai, in Serbia, le repressioni che poi si sarebbero viste
a Genova. Tanta è la capacità della parola mediatica, da annullare la
constatazione: sarebbe bastato andare in Serbia ed osservare la vita
quotidiana per comprendere che Milosevic non aveva nulla a che spartire
con un dittatore.
La realtà è che le opposizioni in Serbia erano state letteralmente
comprate dagli americani. Gli Usa cominciarono a stanziare, a partire
dalla metà degli anni '90, centinaia di milioni di dollari destinati
alle opposizioni anti-Milosevic. Crearono addirittura un movimento
giovanile di pseudo-sinistra, Otpor. Questo movimento ebbe persino il
riconoscimento come 'forza no-global' dai nostri disobbedienti locali, e
a dire il vero fu un errore storico spaventoso: Otpor era una creazione
della Cia. L'ha dichiarato la Bbc in un lungo reportage, e i leaders
stessi di Otpor l'hanno ammesso. Sconcerta il fatto che vennero
considerati 'colleghi di prospettiva' da un settore del nostro movimento
di protesta. Per quanto riguarda Saddam, invece, non è evidentemente un
governante democratico secondo la nostra definizione di democrazia. E'
un autocrate, in Iraq vige un sistema monopartitico.
In questi paesi che emergono dal sottosviluppo e dal colonialismo c'è
una sola differenza che vale la pena approfondire: la differenza fra
governi autocratici che fanno l'interesse esclusivo delle aristocrazie
governanti (ad esempio, Arabia Saudita, Emirati, Kuwait), e governi
autocratici che invece fanno gli interessi dei loro popoli. Il caso
dell'Iraq appartiene alla seconda categoria: le risorse in Iraq sono
state utilizzate per garantire al popolo sanità ed istruzione gratuita,
ed i mezzi di sostentamento indispensabili. A questi popoli, che
emergono da secoli di totalitarismi ed imperi, non si può domandare che
in trent'anni anni maturino forme di democrazia come le conosciamo noi.
Noi alle spalle abbiamo la Rivoluzione Francese, l'Illuminismo, la
Comune di Parigi, la Rivoluzione Russa .Quello di popoli come l'Iraq è
un altro percorso, che andrebbe riconosciuto nel suo contesto e
rispettato. E' una tendenza tipicamente eurocentrica, e non soltanto
delle destre, questa cecità che porta all'assenza di contestualizzazione.
4. I frutti marci della Cia
Sotto il 'cattivo per antonomasia', in entrambi i paesi fermentano
realtà allarmanti: alla guerra in Serbia ci si arriva 'benedicendo'
l'Uck (esercito di liberazione del Kosovo, ndr), mentre in Iraq ci
stiamo approdando per via d'una 'caccia all'uomo' che risponde al nome
di Bin Laden. Esaminato nell'ottica del copione bellico che torna in
scena, il binomio Uck-Al Qaida è implausibile?
Niente affatto, è plausibile, quasi ovvio. Ci sono i fatti. Al Qaida era
presente prima in Bosnia, poi in Kosovo.
Bin Laden pare avesse un passaporto bosniaco concessogli da Izetbegovic
stesso (l'allora presidente della Bosnia musulmana, ndr), e i suoi
scherani addestrati nei campi afghani - che fossero algerini o sauditi
poco importa - operavano accanto alle milizie musulmane, celebri come
'tagliatori di teste'. E gli istruttori dell'Uck dei primi anni
partivano dai campi di Al Qaida, di differenti nazionalità ma tutti
provenienti dall'Afghanistan.
A dire il vero questi 'signori' non li troviamo solo in Bosnia e in
Kosovo: sono presenti ovunque l'impero americano debba operare in
maniera destabilizzante: in Algeria, in Cecenia, ad esempio. Al Qaida
funzionava e funziona al servizio della Cia. Ovunque la Cia abbia
interesse a destabilizzare Paesi che stanno sulle rotte del petrolio,
eccoli arrivare. Questo è il ruolo di Al Qaida: mai rinnegato, del resto.
5. Truffe massmediatiche
Tutti gli atti del copione, dalla creazione del 'cattivo' su misura
all'occultamento dei legami fra la Cia ed i combattenti di turno, fino
alla produzione di truffe massmediatiche come quelle di Racak in Kosovo,
e persino gli stessi negoziati-farsa (in Serbia, Rambouillet; oggi, le
ispezioni Onu in Iraq) farebbero pensare ad un vero e proprio
allestimento propagandistico
Esattamente. Conosci bene le agenzie di 'pubbliche affairs' che
operavano già in Jugoslavia Come la Ruder&Finn, ad esempio, che è sul
libro-paga del Pentagono e riceve 17 milioni di dollari annui.
Il direttore di Ruder&Finn ha rivendicato, in un'intervista molto
conosciuta, la giustezza di tutta questa serie di invenzioni e di
falsità create a tavolino perché, sosteneva, sono efficaci per
sconfiggere un 'nemico della democrazia' e fare avanzare gli interessi
della civiltà occidentale. Srebrenica, ad esempio, fu uno degli affari
curati da Ruder&Finn in Bosnia.
L'agenzia 'pubblicitaria' fece il suo colpo più grosso, probabilmente,
quando attribuì agli iracheni, al momento dell'invasione del Kuwait nel
'90, il crimine d'aver staccato le prese delle incubatrici nei reparti
neonatali degli ospedali del Kuwait.
E' stata poi provata essere un'invenzione architettata da Ruder&Finn, e
l'infermiera piangente che aveva in video denunciato la tragedia di
questi neonati morti per colpa di un gesto criminale iracheno è
risultata essere la figlia dell'ambasciatore del Kuwait a Washington. Lo
scenario era un ospedale americano allestito affinché avesse l'apparenza
un ospedale in Kuwait...
6. I lazzaretti dei popoli di troppo
Ecco, gli ospedali ci offrono un ulteriore punto di sviluppo del copione
bellico. A Belgrado fu ripetutamente violata la convenzione di Ginevra
sganciando bombe sul reparto di neonatologia; e le notizie che giungono
dagli ospedali iracheni, come quello di Al Mansur, sono terrificanti
Quello che ho registrato e testimoniato è stato anche accertato da tutti
gli esperti dell'Onu che si sono occupati della situazione sanitaria
irachena e che si sono regolarmente dimessi in segno di protesta contro
l'embargo (Hans Von Sponeck, Denis Halliday).
Tutti lavoravano in progetti Onu di sostegno alla popolazione irachena e
se ne sono andati dicendo che era in atto un vero e proprio genocidio.
La mortalità infantile in Iraq a causa dell'uranio e dell'embargo è
quadruplicata; la leucemia infantile è decuplicata; la leucemia, che
nelle società industrializzate occidentali ha un indice di letalità dal
20 al 40% dei casi, in Iraq sono al 100%. In pratica, i bambini
leucemici che entrano negli ospedali di Bassora e di Baghdad non ne
escono più.
Lo stesso vale per quelli che entrano con la dissenteria, e la
dissenteria è l'altra tragica malattia che colpisce la popolazione
infantile. La condizione sanitaria in Iraq è, come l'hai definita tu,
terrificante.
7. Codice u238: popoli di troppo
Come abbiamo visto, l'apparato bellico rincorre un protocollo preciso
per mettersi in movimento. Per primo viene l'embargo. Poi, le pasquinate
diplomatiche, Rambouillet ed ispezioni, falliscono come annunciato.
Infine si bombarda. Ed è a questo punto che la trama funesta che
accomuna la Serbia all'Iraq si perfeziona e si condensa un codice: u238,
uranio impoverito
Io credo che questa sia una delle essenziali motivazioni di tutte le
guerre dell'imperialismo: danneggiare i paesi in modo definitivo. Uno
dei miei reportages in video, che tu ricordavi prima, s'intitolava
'Popoli di troppo', ed è un titolo tragicamente azzeccato.
Si tratta davvero di popoli in eccesso, che non servono. Perché sono nel
posto sbagliato al momento sbagliato; gli iracheni, ad esempio, stanno
seduti sui più grandi giacimenti di petrolio del mondo; i serbi stanno
nel punto nevralgico della geografia balcanica, quel percorsi che tutte
le materie prime debbono percorrere; sono popoli di troppo e non solo
vengono sconfitti -a quello scopo ecco le bombe-, ma è la devastazione
dell'ecosistema che è di lunghissima durata e che è concepita per
liquidarli. Il debutto di queste armi nucleari striscianti è proprio
nella guerra del Golfo; la guerra in Vietnam era stata una guerra
chimica, di defoglianti, come ricordiamo.
La vera prima guerra nucleare, da Hiroshima in poi, è quella irachena.
Era chiaro che l'opinione pubblica non avrebbe facilmente accettato
un'altra bomba come quella sganciata ad Hiroshima: hanno pensato bene di
trasformarla in una guerra strisciante ma non meno radioattiva. Lo scopo
è chiaro: togliere di mezzo le popolazioni compromettendo le base stessa
della vita.
In Iraq, dopo 10 anni di contaminazione da uranio, il cervello dei
neonati è in media di due centimetri più piccolo di quelli che nascevano
prima della guerra, e la statura dell'iracheno medio è calata di
altrettanti due centimetri. Si tratta proprio di minare i popoli nella
salute, attraverso la contaminazione delle principali risorse, e
l'embargo altro non fa che aggravare la situazione, vista la mancanza
assoluta di terapie: in pratica, il sistema affinché un popolo vada
lentamente ed inesorabilmente estinguendosi.
In Iraq non c'è nulla che non sia contaminato. Un recente documento
de-secretato del Pentagono rivela gli obiettivi dei bombardamenti
sull'Iraq del '91. Erano tutti obiettivi in correlazione con le risorse
primarie per la vita: centrali elettriche, centrali idriche.
Lo stesso accadde in Serbia, come ricordi, dove la situazione ambientale
a causa ai bombardamenti Nato è allarmante. In Iraq, grazie alla
distruzione di infrastrutture di base come le centrali idriche, e
l'impossibilità di ripararle a causa dell'embargo, si muore come mosche:
per l'acqua contaminata, ad esempio. I sistemi di depurazione vengono
proibiti dall'embargo come sappiamo perché potrebbe trattarsi di
eventuali 'dual use'.
Per questo annientamento dei 'popoli di troppo' si creano le premesse
attraverso la prima fase -i bombardamenti- che è la più rumorosa e che
sollecita maggiore partecipazione emotiva dell'opinione pubblica; ma la
guerra di lunghissima durata e senza attori in prima linea comincia in
seguito, e vede estinguersi un popolo, fisicamente ed intellettualmente.
Sai, Wilson, che era presidente degli Stati Uniti nel 1918 disse:
"l'embargo è un sistema eccellente per liberarsi di popoli in eccesso,
perché è un metodo silenzioso, efficiente e letale".
Come nelle grandi guerre del medioevo, del resto: accerchiare una città
e ridurla allo stremo per fame, sete e peste. E ancora di questo si
tratta oggi, da Belgrado a Baghdad il copione è invariato.
(fine)