--- In Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli., "Corrado Scarnato" ha scritto:


Al Direttore responsabile
Giancarlo Mazzuca
del quotidiano il Resto del Carlino

E p. c.
a tutti i mezzi d'informazione
con preghiera di pubblicazione

Egregio Direttore

È apparso sul giornale che Lei dirige, il Resto del Carlino del 13
dicembre 2002 a pagina 30, un articolo scritto da un suo
collaboratore, Lorenzo Previato, in cui afferma che Rifondazione
Comunista avrebbe votato in Consiglio Comunale a Minerbio un ordine
del giorno per intitolare una strada alle vittime delle foibe.
Constatiamo con dispiacere come questa notizia sia del tutto
destituita di fondamento e palesemente falsa, dato che il Partito
della Rifondazione Comunista non è rappresentato nel Consiglio
Comunale di Minerbio.
Con tutto il rispetto per il Signor Romano Masi e la lista che
rappresenta (progetto per Minerbio socialisti democratici), facciamo
presente come egli non sia iscritto a Rifondazione Comunista, non lo
è mai stato, non è neanche simpatizzante e non lo è mai stato. La
lista non appartiene a Rifondazione Comunista e nessun iscritto ne fa
parte.
La invitiamo pertanto a riportare sul Carlino, entro pochi giorni, la
smentita di quanto è stato scritto. Non è sufficiente la correzione di
tiro apparsa sul Carlino del giorno dopo che comunque fa intravedere
la complicità dell'elettorato di Rifondazione Comunista.
Qualora questo invito alla correzione dell'articolo non venisse
tempestivamente ottemperato, considerato il grave danno politico e di
immagine subito dal nostro Partito, considerata inoltre la palese ed
inequivocabile falsità della notizia, ci riserviamo ovviamente di
adire le opportune vie legali.
Inoltre, per salvare l'immagine del partito sulla questione delle
foibe, si chiede di pubblicare integralmente la posizione del PRC
rappresentata da quanto segue:

No alla guerra no alla falsificazione della storia

Le foibe come l'espulsione delle minoranze di lingua italiana da vaste
zone dell'Istria e della Dalmazia rappresentano un dramma storico di
vaste proporzioni, una conseguenza della seconda guerra mondiale, che
ha visto morire milioni di uomini e di donne, vittime della pazzia
umana che si chiama guerra.
Le guerre sono portatrici di odio, rancori, sete di vendetta; le
guerre anche quelle cosiddette umanitarie non risolvono i problemi
anzi li rendono ancora più drammatici. È giusto quindi che il dramma
delle foibe venga studiato e discusso, in maniera seria e
approfondita, senza pregiudizi ideologici o addossando responsabilità
unilaterali, come invece strumentalmente la destra italiana fa da
anni, e non solo, ma anche qualche eminente personaggio della sinistra
si è accodato, certamente oltre che a disfarsi dell'ideologia ci si
vuol disfare anche della storia.
Il fenomeno degli infoibati, e cioè del seppellimento di persone
(fucilate o in altro modo giustiziate) nelle cave carsiche dette foibe
e nelle cave di bauxite ad opera degli insorti guidati dal Movimento
resistenziale sloveno, croato e italiano in Istria e nella Venezia
Giulia, conobbe due periodi e due territori distinti.
Il primo riguarda l'Istria e va dal 9 settembre al 13 ottobre 1943 e
cioè subito dopo l'armistizio firmato da Badoglio, quando quasi tutta
la penisola incuneata fra Trieste e Fiume cadde sotto il controllo
degli insorti, rispettivamente dei partigiani di quella regione e
militari italiani; il secondo periodo va dal 1° maggio alla metà di
giugno 1945 e riguarda le città di Trieste e Gorizia con i rispettivi
territori conquistati ed amministrati per 45 giorni dalle truppe
jugoslave.
Quando terminò la prima guerra mondiale e nell'Istria ex
austro-ungarica sbarcarono le truppe italiane, nella regione
risiedevano più di duecentomila croati e sloveni autoctoni (ne erano
stati registrati 225.423 nell'ultimo censimento austriaco nel 1910) e
cioè più del 60 per cento della popolazione totale. Era una
popolazione, quella slava, composta in prevalenza da contadini; la
popolazione italiana invece era composta da lavoratori dell'industria,
da artigiani, da commercianti e proprietari terrieri presenti più o
meno compattamente nelle cittadine costiere.
Ancor prima della firma del Trattato di Rapallo del 1920 che assegnò
definitivamente l'Istria all'Italia, quando ancora la regione era
soggetta al regime di occupazione militare, la popolazione dell'Istria
si trovò di fronte allo squadrismo italiano in camicia nera,
parzialmente importato da Trieste, che in quella regione si manifestò
con particolare aggressività e ferocia, servendosi non soltanto
dell'olio di ricino e del manganello.

Gli stessi storici fascisti, tra i quali spicca l'istriano G.A.
Chiurco, vantandosi delle gesta degli squadristi e glorificandole
nelle loro opere, hanno abbondantemente documentato i misfatti
compiuti dagli assassinii di antifascisti italiani quali Pietro
Benussi a Dignano, Antonio Ive a Rovigno, Francesco Papo a Buie ed
altri, alla distruzione delle Camere del lavoro ed all'incendio delle
Case del popolo, alle sanguinose spedizioni nei villaggi croati e
sloveni della penisola, ecc.
Questi misfatti continuarono sotto altra forma dopo la presa del
potere a Roma da parte di Mussolini
L'avvento del fascismo fu disastroso soprattutto per gli slavi
istriani: furono distrutti e/o aboliti tutti gli enti e associazioni
culturali, sociali e sportivi della popolazione slovena e croata;
sparì ogni segno esteriore della presenza dei croati e sloveni,
vennero abolite le loro scuole di ogni grado, cessarono di uscire i
loro giornali, i libri scritti nelle loro lingue furono considerati
materiale sovversivo; con un decreto del 1927 furono forzosamente
italianizzati i cognomi di famiglia (in alcuni casi il cambio dei
cognomi fu attuato con tale diligenza che due fratelli, o padre e
figlio, ricevettero due cognomi diversi), furono italianizzati anche
i toponimi; migliaia di persone finirono al confino (Tremiti, Ustica,
Ponza, Ventotene, S.Stefano, Portolongone, Lipari, Favignana, ecc.) o
nel migliore dei casi, se dipendenti statali, specialmente ferrovieri
furono trasferiti in altre regioni d'Italia; nelle chiese le messe
poterono essere celebrate soltanto in italiano, le lingue croata e
slovena dovettero sparire perfino dalle lapidi sepolcrali, queste
stesse lingue furono cacciate dai tribunali e dagli altri uffici,
bandite dalla vita quotidiana.

Gli slavi furono discriminati perfino nel servizio militare, finendo
nei cosiddetti "Battaglioni speciali" in Sicilia e Sardegna. Alcune
centinaia di democratici italiani, socialisti, comunisti e cattolici
che lottarono per la difesa dei più elementari diritti delle minoranze
subirono attentati, arresti, processi e lunghi anni di carcere
inflitti dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato. Per gli
slavi il risultato fu la fuga dall'Istria circa 80.000 persone, metà
delle quali trovò rifugio nelle due Americhe e l'altra metà nell'ex
Jugoslavia.
Sul piano ideologico il risultato fu che nella stragrande maggioranza
questi esuli istriani slavi e quelli rimasti si schierarono su due
fronti opposti ma accomunati dall'odio contro il fascismo e l'Italia.
Nella primavera del 41 le truppe italo tedesche attaccano la
Yugoslavia quell'aggressione tra il 6 aprile 1941 e l'inizio di
settembre 1943 fu caratterizzata come documenta lo storico triestino
Teodoro Sala ("L'Espresso", Roma, 19 settembre 1996) non soltanto
dalle brutali annessioni delle Bocche di Cattaro, di larghe fette
della Croazia e di una parte della Slovenia, ma anche da una lunga
serie di crimini di guerra compiuti da speciali reparti di
occupazione, fra i quali si distinsero per ferocia le Camicie Nere,
per ordine dello stesso Mussolini e di alcuni generali: "si giunse
alle scelte più draconiane dei comandi militari italiani", ne
derivarono "rapine, uccisioni, ogni sorta di violenza perpetrata a
danno delle popolazioni".
Decine di migliaia di civili furono deportati nei campi di
concentramento disseminati dall'Albania all'Italia meridionale,
centrale e settentrionale, dall'isola adriatica di Arbe (Rab) fino a
Gonars e Visco nel Friuli, a Chiesanuova e Monigo nel Veneto.

Solo nei lager italiani morirono 11.606 sloveni e croati.
Nel solo lager di Arbe (Yugoslavia) ne morirono 4.000 circa, fra cui
moltissimi vecchi e bambini per denutrizione, stenti, maltrattamenti e
malattie.
A proposito ecco un documento del 15 dicembre 1942, in quella data
l'Alto Commissariato per la Provincia di Lubiana, Emilio Grazioli,
trasmise al Comando dell'XI Corpo d'Armata il rapporto di un medico in
visita al campo di Arbe dove gli internati "presentavano nell'assoluta
totalità i segni più gravi dell'inanizione da fame", sotto quel
rapporto il generale Gastone Gambara scrisse di proprio pugno: "Logico
ed opportuno che campo di concentramento non significhi campo
d'ingrassamento. Individuo malato = individuo che sta tranquillo".

Sempre nel 1942, il 4 agosto, il generale Ruggero inviò un fonogramma
al Comando dell'XI Corpo in cui si parlava di "briganti comunisti
passati per le armi" e "sospetti di favoreggiamento" arrestati, in
una nota scritta a mano il generale Mario Robotti impose; "Chiarire
bene il trattamento dei sospetti, cosa dicono le norme 4C e quelle
successive? Conclusione: si ammazza troppo poco!".

L'ultima frase è sottolineata, il generale Robotti alludeva alle
parole d'ordine riassuntive del generale Mario Roatta, comandante
della II Armata italiana in Slovenia e Croazia (Supersloda) il quale
nel marzo del 1942 aveva diramato una Circolare 3C nella quale si
legge:
"Il trattamento da fare ai ribelli non deve essere sintetizzato dalla
formula dente per dente ma bensì da quella testa per dente".

Una frase che ci fa ricordare l'eccidio di Gramozna Jama in Slovenia
dalla quale furono riesumati nel dopoguerra i resti di centinaia di
civili massacrati durante l'occupazione per ordine delle autorità
militari italiane; furono migliaia i civili falciati dai plotoni di
esecuzione italiani, dalla Slovenia alla "Provincia del Carnaro",
dalla Dalmazia fino alle Bocche di Cattaro e Montenegro senza aver
subito alcun processo, ma in seguito a semplici ordini di generali
dell'esercito, di governatori o di federali e commissari fascisti.
In una lettera spedita al Comando supremo dal generale Roatta in data
8 settembre 1942 (N. 08906) fu proposta la deportazione della
popolazione slovena. "In questo caso scrisse si tratterebbe di
trasferire al completo masse ragguardevoli di popolazione, di
insediarle all'interno del regno e di sostituirle in posto con
popolazione italiana".
Il figlio di Nazario Sauro (l'eroe della Prima guerra mondiale), Italo
Sauro, in un "Appunto per il Duce", nel quale riferisce un suo
colloquio con l'SS Brigade Fuehrer Guenter (v. Bollettino n. 1/aprile
1976 dell'Istituto regionale per la storia del Movimento di
liberazione del Friuli Venezia Giulia), lo informava tra l'altro: "Per
quanto riguarda la lotta contro i partigiani, io avevo proposto il
trasferimento in Germania di tutta la popolazione allogena compresa
tra i 15 e i 45 anni con poche eccezioni", ma i tedeschi dissero di
no.
Dopo L'8 settembre l'Istria insorse e gran parte del territorio fu
liberato dai partigiani italiani e slavi con l'appoggio determinante
di gran parte dell'esercito italiano, che era d'istanza sul
territorio, vogliamo ricordare in questa occasione la divisione
Bergamo, decimata dalle truppe naziste, dopo la resa, il 1 ottobre i
nazisti fucilarono con l'accusa di avere collaborato con i partigiani
di Tito tre generali e 47 ufficiali italiani; la divisione Emilia che
si sacrifico nella difesa di Cattaro, prima di arrendersi ai nazisti
ebbe 597 morti, 1000 ferti furono migliaia i deportati, la divisione
Marche dopo una accanita resistenza si arrese il suo generale Giuseppe
Amico fu fucilato. In tutta la Yugoslavia si combatteva, in Istria i
fascisti italiani appoggiarono militarmente l'offensiva nazista
Istrien che puntava a rioccupare i territori liberati, dopo una
strenua resistenza l'Istria fu rioccupata dalle truppe nazi-fasciste,
13000 furono i morti, migliaia i catturati tra cui moltissimi soldati
e cittadini italiani, pochi di essi fecero ritorno dai campi di
concentramento, decine i villaggi dati alle fiamme.

Andremmo troppo lontano se volessimo citare altri documenti,
centinaia, che ci mostrano il volto feroce dell'Italia monarchica e
fascista in Istria e nei territori jugoslavi annessi o occupati nella
seconda guerra mondiale.
Gli stupri, i saccheggi e gli incendi di villaggi si ripetevano in
ogni azione di rastrellamento. Una documentazione di questi crimini la
si può trovare nel libro "Bono Taliano" (Italiani in Jugoslavia
1941-43 - La Pietra, Milano, 1977), nel volume "La dittatura fascista"
di Autori vari (Teti, Milano, 1984) ed altri.
Alla luce di questi fatti, dunque, vanno visti gli avvenimenti
successivi.
Il regime fascista fu un regime caratterizzato da un violento spirito
antislavo, che per un ventennio fece di tutto per distruggere
culturalmente e non solo, le popolazioni croate e slovene con leggi
liberticide, deportazioni di massa, tribunali speciali, condanne a
morte.
E poi nel 41 aggredì la Yugoslavia instaurando un regime di
occupazione durissimo che poco ebbe da invidiare a quello che l'Italia
avrebbe subito dopo l'8 settembre 43.
Regio esercito e camice nere si resero responsabili di veri e propri
crimini di guerra: fucilazioni di massa, incendi di villaggi, stupri,
furti; a tutto ciò va aggiunto il tentativo degli alti comandi di
strumentalizzare le tensioni interetniche tra i diversi popoli
iugoslavi.
In questo senso, delle foibe e delle espulsioni di massa deve essere
considerato corresponsabile il regime monarchico-fascista, con la sua
politica imperiale e aggressiva.
Quando si parla di foibe, si deve avere il coraggio di dire tutto
questo.
Se c'è una questione di cui la repubblica italiana deve farsi carico è
semmai, il non avere mai fatto entrare nella propria coscienza
collettiva i crimini di guerra di cui l'Italia si è macchiata in
Yugoslavia e non solo; e il non avere mai processato alti ufficiali e
gerarchi del regime che emanarono ordini criminali.
E' da tempo che uomini politici di diversi schieramenti e
intellettuali, fanno di tutta un'erba un fascio, fascisti partigiani
tutti sullo stesso piano, c'è chi parla di questi fascisti assassini
come di giovani che fecero scelte sbagliate, che lo fecero per l'onore
della patria, che lo fecero in buona fede.
Che i repubblichini servi dei nazisti, autori dei massacri,
torturatori e aguzzini con simboli di morte ben espliciti sulle
uniformi e sui loro gagliardetti, erano in buona fede e servito la
patria, è un'offesa per tutti quelli che hanno pagato con la vita la
costruzione della democrazia nel nostro paese e in Europa.
Questa verità storica e questa memoria intendiamo difendere senza
cedimenti, non per un pugno di voti, ma per impedire che delle
mistificazioni, dettate da opportunismo politico diventino il nuovo
fondamento della nuova memoria collettiva degli italiani.

Granarolo, lì 14-12-2002

Partito della Rifondazione Comunista
Circolo Granarolo-Minerbio