(for the english text see:
Kosovo: Minorities are prisoners in their home
http://web.amnesty.org/library/print/ENGEUR700142003 )

* Un nostro commento segue in fondo *


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Subject: Rapporto di Amnesty International sul Kosovo/Kosova:
"Minoranze prigioniere a casa propria"
Date: Tue, 29 Apr 2003 22:32:48 +0200
From: "Ufficio Stampa Amnesty " <press@...>
To: balcani@..., news@...


Gent.mi tutti,

vi trasmettiamo il comunicato stampa della Sezione Italiana di
Amnesty International:


Rapporto di Amnesty International sul Kosovo/Kosova: "Minoranze
prigioniere a casa propria"



Grazie per la cortese attenzione

Per ulteriori informazioni, approfondimenti ed interviste:

Ufficio Stampa
Amnesty International
Tel. 06 44.90.224
cell. 348-6974361
e-mail: press@...




ALLA CORTESE ATTENZIONE DEL CAPO-REDATTORE ESTERI


COMUNICATO STAMPA
CS 67-2003


RAPPORTO DI AMNESTY INTERNATIONAL SUL KOSOVO/KOSOVA: "MINORANZE
PRIGIONIERE IN CASA PROPRIA"


A quasi quattro anni dalla fine della guerra, le minoranze del
Kosovo/Kosova (*) sono ancora a rischio di subire uccisioni ed
attacchi a sfondo etnico: è quanto ha denunciato oggi Amnesty
International, presentando un nuovo rapporto dal titolo "Prigionieri
nelle nostre case".

Il rapporto descrive come le minoranze in Kosovo/Kosova non abbiano
modo di ottenere giustizia per gli atti di violenza e le minacce alla
propria integrità fisica e psicologica da loro subiti. L'impunità per
questi abusi dei diritti umani costituisce un effettivo impedimento
alla libertà di movimento e una limitazione al godimento dei diritti
fondamentali, come quelli al lavoro, alla salute e all'istruzione.

"Fino a quando questi diritti non potranno essere garantiti, i
rifugiati e i profughi interni che si trovano all'estero o in altre
zone della Serbia-Montenegro non saranno in grado di rientrare nelle
proprie terre" - ha osservato Amnesty International. "Ora che si sta
discutendo sul futuro dell'Iraq, la comunità internazionale deve tener
presente le lezioni del passato e assicurare l'adozione di misure
efficaci per proteggere i diritti umani dei gruppi vulnerabili e
assicurare che non vi sarà alcuna impunità per gli autori degli abusi
dei diritti umani".

Nel suo rapporto, Amnesty International afferma che l'amministrazione
internazionale del Kosovo/Kosova si è trovata impreparata ai massicci
abusi dei diritti umani contro le minoranze, seguiti al rapido rientro
della comunità albanese. Sebbene gli atti di violenza contro le
minoranze siano sensibilmente diminuiti rispetto ai mesi
immediatamente successivi alla fine della guerra, essi continuano
tuttavia ad avere luogo.

Il fatto che in larga parte i reati a sfondo etnico restino impuniti
rafforza la sensazione che i loro autori rimarranno liberi di compiere
ulteriori attacchi e contribuisce ad alimentare un clima di paura.
L'impunità per gli abusi presenti e passati nega alle minoranze del
Kosovo/Kosova i diritti fondamentali garantiti dalle leggi nazionali e
dalle norme del diritto internazionale applicabili in questo
territorio.

"Le quotidiane intimidazioni subite da serbi, bosniaci, gorani, rom,
ashkali ed egiziani (**) limitano la loro libertà di movimento. Il
timore di avventurarsi fuori dalle enclavi monoetniche rafforza la
percezione di prigionia e di esclusione e nega alle minoranze il
godimento dei fondamentali diritti umani" - ha aggiunto Amnesty
International.
"L'impossibilità di avere accesso a cure mediche adeguate ha
determinato un aumento dei tassi di mortalità e delle malattie
all'interno dei gruppi minoritari. In alcune zone, questi non hanno
accesso alle medicine di base".

Nei casi di emergenza, i pazienti devono rivolgersi alla Kfor (la
forza multinazionale a guida Nato presente in Kosovo/Kosova) o recarsi
a un posto di blocco della Kfor e attendere di essere scortati a un
ospedale: spesso questi ritardi hanno conseguenze fatali.

All'interno delle enclavi monoetniche vi è una grande difficoltà di
reperire insegnanti qualificati. Per i bambini che vivono al di fuori
di queste enclavi, andare a scuola spesso significa un viaggio di
diversi chilometri sotto scorta della Kfor. Ad esempio, venti bambini
serbi di Pristina/PrishtinÞ devono recarsi sotto scorta della Kfor a
una scuola elementare di Llapje Selo/LlaplasellÞ, a otto chilometri di
distanza.
Un'insegnante delle elementari di Prizren viene presa ogni lunedì
mattina dalla Kfor e accompagnata nel villaggio in cui lavora, dove
rimane fino al venerdì, quando sempre sotto scorta viene
riaccompagnata a casa.

L'impiego è a sua volta sottoposto a forti restrizioni. Si calcola che
fino al 90% dei serbi e dei rom siano ufficialmente disoccupati. Nel
giugno 1999 tutti i serbi sono stati licenziati dalle industrie
statali e dai servizi pubblici.

In base alla risoluzione 1244/99 del Consiglio di Sicurezza, la Unmik
(la polizia civile delle Nazioni Unite) ha la responsabilità di
proteggere e promuovere i diritti umani. Amnesty International chiede
alla Unmik e all'Istituzione provvisoria di autogoverno di affrontare
seriamente il problema dell'impunità e prendere misure adeguate a
proteggere i diritti delle minoranze che già vivono in Kosovo/Kosova.
Queste misure serviranno a garantire alle minoranze che vivono
all'estero o in altre zone della Serbia-Montenegro l'esercizio del
proprio diritto a tornare in Kosovo/Kosova in condizioni di sicurezza
e dignità.

Mentre la possibilità di rientrare continua a dipendere dalla presenza
della Kfor, Amnesty International chiede alla comunità internazionale
di assicurare che nessun membro dei gruppi minoritari sia fatto
rientrare con la forza in Kosovo/Kosova.

(*) Tutti i nomi di luogo contenuti in questo comunicato sono scritti
in lingua serba e in lingua albanese.
(**) I gorani sono slavi musulmani. Gli ashkari e gli egiziani sono
albanofoni musulmani e si considerano gruppi distinti dai rom

FINE DEL COMUNICATO
Roma, 29 aprile 2003


Il rapporto in lingua inglese, Kosovo/Kosova - "Prisoners on our own
homes", è reperibile sul sito www.amnesty.org

Per ulteriori informazioni, approfondimenti ed interviste:
Amnesty International - Ufficio stampa
Tel. 06 44.90.224, cell. 348-6974361, e-mail: press@...


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Nostro commento:

Riceviamo e restiamo sconcertati alla lettura di questo comunicato di
Amnesty International. Per svariati motivi.
Il motivo principale risiede nel fatto che il comunicato giunge
veramente fuori tempo massimo, quando "tutti i polli sono scappati dal
pollaio", per dirla con un proverbio. Letteralmente, sono piu' di tre
anni che la stragrande maggioranza dei cittadini appartenenti alle
cosiddette "minoranze etniche" sono scappati dal Kosovo-Metohija (oggi
protettorato NATO) trasferendosi soprattutto in altre zone della
Serbia. Il comunicato non fa menzione dell'entita' di questo flusso di
profughi (almeno 300mila persone!) ne' chiarisce quale debba essere il
loro futuro.
Nel comunicato si dice pero': "Amnesty International chiede alla
comunità internazionale di assicurare che nessun membro dei gruppi
minoritari sia fatto rientrare con la forza in Kosovo/Kosova"... "Con
la forza" sono scappati, e "con la forza" gli estremisti pan-albanesi
ne impediscono il rientro - dunque che cosa sta effettivamente
chiedendo Amnesty International alla "comunita' internazionale"?

E chi e' la "comunita' internazionale"? Quella che alleandosi con
l'UCK ha trasformato il Kosovo-Metohija in un inferno, da almeno
cinque anni, alimentando l'esplosione del terrorismo secessionista?

Per avere una idea di quell'inferno suggeriamo caldamente di non
fermarsi al comunicato di Amnesty International, e di visionare
piuttosto il documentario "I dannati del Kosovo" (piu' sotto le
indicazioni su come procurarselo). Dal canto nostro, non ci rimane che
ricordare che pochi anni fa in Kosovo-Metohija ed in tutta la
Jugoslavia non c'erano "minoranze etniche" ma solamente cittadini con
gli stessi diritti e doveri, appartenenti semmai a diversi gruppi
nazionali garantiti dal punto di vista linguistico e culturale. La
"comunita' internazionale" ha voluto distruggere tutto cio', facendo
leva sui secessionismi. Dunque, chiamare essa a proteggere oggi gli
abitanti significa chiamare la volpe a fare la guardia al pollaio.

(a cura di AM per il CNJ)