(Nota:
Il termine "Kossovo", con due "s", non esiste ne' in lingua serbocroata ne'=
in
albanese. La regione si chiama "Kosovo", da "Kosovo Polje" che in serbocroa=
to
significa "Campo dei merli". Nella variante albanese si dice "Kosova", ma r=
imane la
radice slava "Kos"="merlo".
Scrivere "Kossovo" significa forzare il lettore italiano a porre l'accento =
sulla seconda
sillaba, secondo l'usanza albanese, conservando tuttavia la "matrice" serbo=
croata. E'
una specie di compromesso "politically correct", molto in voga oggi nei set=
tori
"pacifisti", tra i militari e le ONG che stanno ricolonizzando l'area.
Sotto il Fascismo, quando per la prima volta si colonizzo' la regione nel 1=
941-1943,
l'italianizzazione del nome era completata dalla sostituzione della inizial=
e K, poco
"italiota", con la C: Cossovo. Oggi non si arriva a tanto, ma la distorsion=
e rimane.
I. Slavo)


http://www.resistenze.org/sito/te/po/yu/poyu3f14.htm

Da Osservatorio Balcani

Kossovo multietnico? Missione impossibile

di Tanya Mangalakova da Sofia


Da Lenin a Clinton

Gli albanesi del Kossovo sono perdutamente innamorati degli
americani. Una delle vie principali di Pristina ha rapidamente
cambiato nome. Prima era dedicata a Lenin ora invece all?ex
Presidente USA Bill Clinton. Sempre nella capitale kossovara il
nuovo 'Hotel Vittoria' espone in bella mostra una copia della
Statua della libertà e poco distante vi è la caffetteria Hillary.
Manca solo Monica Lewinsky.
Fedeltà unanime agli americani è stata più volte dimostrata anche
durante la guerra all?Iraq, e sono stati molti i paralleli tra quanto
fatto nel 1999 dalla NATO per garantire la libertà e la democrazia
agli albanesi del Kossovo e quanto fatto negli ultimi mesi da
Bush per spodestare Saddam Hussein . Ed il conflitto in Iraq ha
alzato la tensione anche nei Balcani. Dove agli inizi di aprile
molti media hanno dato risalto all?opinione espressa da Francisco
Veiga, professore presso l?Università di Barcellona, secondo il
quale durante il conflitto in Iraq gli Stati Uniti avrebbero deciso di
appoggiarsi ad un alleato che si era dimostrato fidato nei Balcani
e quindi di favorire la nascita di una 'Grande Albania'. Molti
quotidiani e riviste hanno addirittura pubblicato possibili mappe
geografiche di come potrebbero essere stravolti i confini dei Balcani.
In tutte le strade di Pristina per 5 euro è possibile acquistare
una cartina raffigurante la 'Grande Albania' che arriverebbe quasi
sino a Ni?, comprendendo tutto il sud della Serbia, la Macedonia
occidentale, il Kossovo, l?Albania ed il nord della Grecia.

Le due rive del fiume Ibar

La separazione di Mitrovica  lungo le due rive del fiume Ibar è
indicativa sul futuro dell?intera regione. La parte meridionale della
città è abitata dalla comunità albanese.
Tutte le scritte sono in albanese e le strade brulicano di vita; il
commercio è fervido e tutti gli scambi avvengono oramai in euro.
La parte settentrionale di Mitrovica è invece caratterizzata ancora
da molte case distrutte e bruciate, le scritte sono in serbo e gli
scambi commerciali avvengono in dinari. Non è raro trovare graffiti
del tipo 'Seselj Presidente'. Olivera Milosevic, rappresentante
dell?associazione 'Donne per Mitrovica nord', ci aspetta nei pressi
del ponte che attraversa il fiume Ibar, controllato dal contingente
francese della KFOR. Ci farà da guida nella parte serba della città.
?Questo è il Kossovo multietnico?, ci dice puntando con il dito ad
una decine di case distrutte appartenute un tempo a famiglie Rom.
Sono case che sono state bruciate dagli albanesi per vendetta e
la KFOR non è riuscita a proteggerle adeguatamente.
Nonostante tutto, Olivera ha ancora amici nella parte meridionale
della città con i quali sta percorrendo la lenta strada della
riconciliazione. ?Ma nel caso il Kossovo divenisse indipendente lo
lascerei per sempre?, chiarisce perentoria. I serbi di Kosovska
Mitrovica vivono isolati nella loro parte di città. Possono unicamente
spostarsi verso le altre enclaves serbe oppure verso la Serbia
grazie ad un servizio di autobus. Queste linee di trasporto vengono
denominate 'I corridoi blu'.
Il 4 aprile 2003 migliaia di serbi sono scesi nelle strade a Mitrovica
nord per protesta contro Michael Steiner, a capo dell?UNMIK,
che aveva reso nota la decisione di trasferire alcuni poteri dell?UNMIK
alle autorità locali. Tra gli altri lo slogan ?Per i serbi e non per un
Kossovo indipendente?. Dopo le manifestazioni ho avuto la possibilità
di incontrare Nebojsa Jovic, a capo del Consiglio nazionale per
Mitrovica nord, accusato dalla missione ONU di istigare, negli ultimi
anni, al disordine nei rapporti tra UNMIK e serbi. ?Vedo nel futuro
un Kossovo diviso: una zona serba comprendente Kosovska
Mitrovica, Leposavic, Svecan, Zubin potok, Srpce, Gniljane, Priruzie
e Gracanica. In qualche modo anche parte di Decane e parte della
municipalità di Pec dovranno far parte di quest?Entità?, ha affermato.
Secondo Jovic inoltre i dialoghi sullo status finale dovrebbero essere
tenuti tra Pristina e Belgrado. ?Attualmente Mitrovica è una città
dal duplice aspetto. Il sud di Mitrovica è già etnicamente ripulito. Tra
gli albanesi non vi è alcun desiderio di una vita in comune con i serbi
e di convivenza multietnica? - continua Jovic, che poi chiarisce come
- ?La soluzione non può che essere in una divisione del Kossovo,
magari attraverso una divisione in cantoni senza che avvenga
alcun cambiamento nei confini. La prima cosa alla quale dobbiamo
arrivare è innanzitutto guardarci in faccia con gli altri?. Jovic poi ha
richiesto il rientro di tutti i profughi serbi che hanno lasciato la
regione. ?Solo mille dei serbi che hanno lasciato la regione sono
rientrati. Probabilmente ha avuto occasione di sentire le parole di
Marek Novicki, ombudsman del Kossovo, che ha affermato che la
situazione dei serbi non è affatto diversa da quella degli albanesi
quando hanno lasciato il Paese: tutte le posizioni erano allora in
mano ai serbi, ora sono in mano agli albanesi?.
Nella parte sud della città ho invece incontrato Florije Ibishe,
rappresentante di una organizzazione che riunisce imprenditrici della
città, che, tra l?altro, siede tra i banchi del consiglio municipale di
Mitrovica. Da lei sono venuta a sapere che uno dei principali obiettivi
dell?amministrazione municipale è quello di arrivare a registrare
tutte le attività economiche presenti sul territorio. Ma la divisione tra
le due parti della città è così profonda che per registrare le imprese
economiche femminili avviate nel nord della municipalità occorre che
una rappresentante dell?associazione vi si rechi di persona: in pochi
infatti osano attraversare il ponte sul fiume Ibar se non scortati
dalla KFOR .
Sino ad ora sono stati registrati 300 imprenditori residenti nel
nord di Mitrovica. Florije ha continuato a ripetere due parole chiave
in Kossovo: multietnicità e donatori. Facendo chiaramente capire
come i finanziatori internazionali si aspettino ora di finanziare
progetti di rilancio di attività economiche nelle quali vengano
coinvolti i differenti gruppi etnici. Non sembrano però esserci le
garanzie che questi milioni di dollari non spariscano come l?acqua
nella sabbia.
Imran Avdiiu è proprietaria di una boutique nel centro della città.
Racconta come sia stata obbligata ad abbandonare la propria casa
nella parte serba della città e come ora vi abiti una famiglia serba
originaria di Vustri. Da allora ha visitato un?unica volta la sua casa,
scortata dai militari della KFOR. La storia di Imran palesa le logiche
assurde di questa guerra. Attraversando il paese di Vustri ho infatti
visto molte case albanesi ricostruite e quelle serbe invece ancora
distrutte. Vi è una nuova moschea a Vustri costruita seguendo un
modello pseudo-barocco particolarmente kitch. Il minareto
assomiglia ad un missile. E sulla strada tra Vustri e Pristina vi
sono villaggi abitati esclusivamente da albanesi.
L?affascinante Imran è ottimista sul futuro del Kossovo. ?Sul lungo
periodo le due comunità vivranno nuovamente insieme se riusciremo
a liberarci degli estremisti?. Le chiedo se è a conoscenza di casi
di matrimoni misti. Prima della guerra ve ne era qualcuno e non
era troppo raro che uomini albanesi sposassero donne serbe,
bosniache o turche. ?Anche adesso i giovani potrebbero innamorarsi
ma non vi è semplicemente alcun posto nel quale abbiano la possibilità
di incontrarsi?, sostiene Imran. Tre sarte lavorano nel suo laboratorio
e la sua attività economica ha superato la fase nella quale ci si
concentrava sulla mera sopravvivenza: per questo Imran sta
pensando alla possibilità di espandersi. Avendo visto spesso in
campagna grandi e lussuose ville, chiedo a Imran perché non chieda
dei prestiti a qualche albanese facoltoso. Al posto di rispondere Imran
scoppia in una sonora risata.

Le istituzioni parallele serbe

In aprile i serbi di Gracanica e Leposavic hanno duramente
protestato contro l?ipotesi di un Kossovo indipendente. Ho
incontrato a Gracanica Rada Traikovic, deputata nell?Assemblea
di Pristina. Sull?entrata di casa sua una targa: ?Centro di
coordinamento del Consiglio nazionale serbo per il Kossovo e
Metohia?. Uno dei pochi luoghi dove ancora si può leggere la
denominazione Kosmet, per riferirsi al Kossovo, definizione
assolutamente non riconosciuta dalla comunità albanese. Rada
Trajkovic afferma immediatamente che la presenza dei serbi
nell?Assemblea di Pristina non è altro che una copertura, un
tentativo di mostrare quella multietnicità che nei fatti assolutamente
non esiste. Assicura poi che nessun serbo della Serbia è a
sostegno di un Kossovo indipendente e che, mentre la comunità
albanese non sembra che vedere l?opzione dell?indipendenza, vi
è più disponibilità al compromesso da parte serba. Tra le varie ipotesi
una sorta di cantonizzazione del Kossovo o la divisione in due Entità
autonome, quella serba naturalmente legata a Belgrado. Rada
Traikovic  non ha nascosto la propria delusione quando le ho chiesto
di descrivermi le istituzioni parallele istituite dai serbi, in particolare=

nel campo dell?educazione e della sanità. ?Sono istituzioni
emergenziali, per salvarci la vita. L?ospedale di Pristina non
ha assunto nemmeno un serbo, gli impiegati degli uffici postali
non parlano serbo, non vi è alcun programma televisivo in serbo.
Non possiamo andare a teatro perché tutti gli spettacoli sono in
albanese e così avviene anche al cinema. I serbi hanno paura anche
ad utilizzare il trasporto pubblico?. Racconta poi come i serbi di
Gracanica abbiano creato tre piccole strutture ospedaliere che
garantiscano un minimo di assistenza medica e come i bambini
frequentino scuole private?.

Un villaggio 'completamente serbo ed ortodosso'

Il villaggio di Strpce è situato sulle pendici del monte Sar, non lontano
da Pristina ed è abitato da serbi. Avvicinandosi, il primo colpo
d?occhio cade sui militari della KFOR e sui loro posti di blocco
all?entrata del paese. I bambini giocano davanti alla scuola dedicata
a 'Jovan Covic'. La vita è ritornata ad un?apparenza di normalità che
si incrina già osservando le targhe della automobili. Ciascuno ne
possiede due. Una con l?abbreviazione KS. Con questa si può viaggiare
in Kossovo, Albania e Macedonia; un?altra con l?abbreviazione della
città kossovara di riferimento. Con questa si può viaggiare dappertutto.
Paradosso simile con i passaporti: con quello rilasciato dall?UNMIK
non si può che rimanere all?interno del Kossovo, con quello Jugoslavo
si può invece muoversi liberamente (naturalmente solo dopo aver
ottenuto i vari visti!).
Due anziani di Strpce mi spiegano come questo sia un villaggio
?esclusivamente serbo ed ortodosso?. ?Anche se mi offrissero
100.000 DM non andrei a Pristina. Mi sposterei solo a Skopje o
Belgrado?, spiega con fervore uno dei due e poi ordina subito
qualcosa da bere.
Gli abitanti di Strpce si sono divisi alle elezioni amministrative
dello scorso anno e sono arrivati a proporre candidati appartenenti
a ben dieci partiti differenti. Questo nonostante la logica
dell?appartenenza etnica avrebbe voluto che i voti serbi non
venissero dispersi, considerando che nella municipalità di Strpce
vivono e quindi votano anche molti albanesi.

Magliette e radicali

A Kossovo Polje sono pochi i serbi rimasti. Hanno comunque un
loro locale dove domina, su di una parete, una fotografia di Slobodan
Milosevic. E? lì che ho incontrato Nebojsa, originario di Lipljan.
Quest?ultimo immediatamente, all?inizio dell?intervista, ha tolto il
maglione per mostrarmi una maglietta con la scritta 'Eroe serbo'
ed il ritratto di Radovan Karadzic. Vi sono solo 300 serbi che
vivono nella vicina Pristina e la maggior parte di loro sono anziani.
Nebojsa subito si scaglia non contro gli albanesi originari del
Kossovo ma contro quelli originari dell?Albania. ?Il Kossovo è
una terra sacra ai serbi. Gli albanesi sono dei codardi. Se si ritirasse
la KFOR in 24 ore l?esercito jugoslavo sarebbe in grado di
riprendere possesso di queste terre e risolvere la questione.
Adesso siamo sull?uno pari ma un?altra guerra cambierà la
situazione?, annuncia in modo funesto Nebojsa.

I processi ai Generali

Una questione calda in Kossovo sono i processi agli ex comandanti
dell?Esercito di liberazione nazionale del Kossovo (UCK). Il
portavoce del partito di Hasmin Thaci, Fatmir Limaj, tra gli 'eroi'
della guerra di liberazione del Kossovo è stato arrestato e
trasferito all?Aja. Assieme a lui altri ex-comandanti dell?UCK
come Hairadin Bala, Isak Misliu and Agim Murtezi. Il generale Fabio
Mini, della KFOR, ha dichiarato recentemente che il Tribunale dell?Aja
ha richiesto l?estradizione di dieci ex comandanti dell?UCK, alcuni
dei quali hanno creato propri partiti. Questo a Pristina è stato
inteso come un messaggio parecchio esplicito che i prossimi a
volare all?Aja potrebbero essere Hashim Thaqi, presidente del PDK,
Ramush Haradinaj, presidente dell?AKK e Agim Cheku ora a capo
dei Kosovo Protection Corps.
Ho incontrato Hashim Thaqi  il quattro aprile scorso. Prima di
raggiungere la sede del suo partito abbiamo incrociato una folla di
albanesi che protestava richiedendo il rilascio dei membri dell?UCK
reclusi all?Aja. Ho iniziato la mia intervista chiedendo della
dichiarazione, sostenuta da molti membri dell?Assemblea
kossovara, di un Kossovo indipendente. Ma Hashim Taqhi ha evitato
di rispondere alla maggior parte delle mie domande ed ha
controbattuto con risposte molto brevi e standard. Alla mia
domanda in merito al rientro dei profughi serbi ha risposto
affermando che sono già 8.000 quelli che hanno fatto ritorno
in Kossovo. Gli ho inoltre ricordato che durante una visita a Sofia,
risalente a qualche anno fa, aveva affermato che il Kossovo aspirava
ad una rapida democratizzazione ma per ora versava nel caos e
nelle mani della criminalità organizzata. Gli ho chiesto come il
crimine organizzato può essere combattuto. Ma Thaqi ha negato
di aver affermato quanto io ho riportato, ha anzi iniziato ad
innervosirsi e, dopo une breve occhiata al suo responsabile per
le pubbliche relazioni, si è accomiatato affermando di aver alcuni
appuntamenti che non potevano essere rimandati. Prima che
lasciasse la stanza gli ho posto un?ultima breve domanda ed
ho disteso sul tavolo una cartina della 'Grande Albania',
comperata in strada a Pristina. ?Ma ovunque anche nelle strade
di Sofia si può trovare una cartina della ?Grande Bulgaria??,
il suo commento. ?Ma non ad ogni angolo? rispondo io
riferendogli poi delle mie interviste ad alcuni studenti dell?Università
di Pristina che si sono detti pronti a sacrificare il proprio sangue
per una 'Grande Albania' e faccio notare come cartine di questo
tipo certo non aiutino a stemperare la tensione. Ma da lui nessun
altro commento. Gli ho chiesto poi cosa pensasse dell?estradizione
all?Aja del portavoce del suo partito, Fatmir Limaj. ?Questioni
come queste devono essere di competenza del Governo del
Kossovo?, ha risposto lui prima di lasciare definitivamente la stanza.

Prizren, la democrazia senza l?elettricità

Il panorama di Prizren è costellato di moschee e minareti, chiese
cattoliche ed ortodosse, ma può difficilmente essere definita
multietnica. Ho intervistato tre profughi serbi attualmente residenti
presso il monastero ortodosso intitolato a Cirillo e Metodio. Tra loro
una coppia mista. ?Siamo obbligati a vivere qui, non sono stato in
grado di trovare alcun altro posto?, dichiara Zekir Morian, albanese,
sposato con Ruza Banovic, serba. Entrambi desiderano emigrare in
Australia ma stanno aspettando i visti di ingresso. ?Grazie a Dio non
abbiamo bambini? - afferma Zekir - ?altrimenti con i 24 euro al
mese che riceviamo dall?assistenza sociale non saremmo
assolutamente in grado di mantenerli?. Nel monastero risiedono
anche alcuni anziani.
Le loro pensioni non superano i 28 euro. ?Di chi la colpa?? chiedo.
?I politici se ne riempiono le tasche?, brontola Olga. ?Mio marito è
morto, mia figlia soffre di epilessia e siamo qui prigionieri?.
Tutte le chiese ortodosse a Prizren sono controllate da veicoli
armati della KFOR. Nel centro città, nei pressi della moschea più
antica, vi è la chiesa di San Giorgio, eretta nel 1856 e che, sino
al 1999, ha ospitato l?episcopato di Ras-Prizren. Le icone da
tutto il Kossovo sono state raccolte qui. ?Vi sono solo 63 serbi
a Prizren dei quali solo 20 sono persone in grado di lavorare
e di guadagnarsi da vivere. Nel 1999 i serbi della municipalità
erano 12.000?, racconta padre Alexander. ?Quattro anni sono
passati dalla fine della guerra ed ancora nessuno è rientrato.
Non ho nessun posto dove andare. A volte vado a Belgrado a
visitare la mia famiglia. Sono andato solo quattro volte a vedere
casa mia, naturalmente rinchiuso i un blindato della KFOR?,
ricorda il prete.
Prizren sembra ospitare due mondi paralleli. Mentre i serbi
sono isolati e depressi e vivono con il pensiero che non vi è
alcuna prospettiva per il futuro, l?altra parte della città è riempita
dall?energia degli albanesi che vivono come se la guerra non vi
fosse mai stata. I negozi sono pieni, la vita continua. In un caffè
ho incontrato Yulzime e Kimete, appartenenti alla diaspora
causata dalla repressione seguita alle proteste studentesche nel
1981 e fuggite in Germania. ?Siamo stati rifugiati politici?,
chiarisce subito una delle due donne. Chiedo loro se ritengono
possibile un?unificazione di Kossovo e Macedonia occidentale.
?Perché no? Non vi è alcun problema tra di noi. Non vogliamo
sottomettere un popolo straniero. Vogliamo solo che il popolo
albanese si possa riunire e possa avere la propria terra. Si, vogliamo
riunirci ma non in quella che la propaganda serba chiama
?Grande Albania??.
Di fronte all?ufficio postale incontro un gruppo di anziani albanesi
che ricordano gli alti stipendi percepiti in passato. ?Ed ora ci
troviamo in una pseudo-democrazia dopo che tutto ciò che è stato
progettato da Tito è fallito?, afferma uno di loro, originario di
Opae, una municipalità dove vivono albanesi insieme ai gorani
(slavi convertiti all?Islam).
Le città, ma anche le campagne, è sottoposta a rigidi tagli dell?energia
elettrica. Una sera, mentre mi dirigevo verso un Internet caffè, la
corrente è stata tagliata ed il ?panorama acustico? era caratterizzato
quasi esclusivamente dal rumore dei generatori. ?Che democrazia
può esserci senza elettricità??, si chiedeva un giovane albanese
assunto da una piccola radio locale dove infine ero riuscita a
controllare la mia posta elettronica.