il manifesto - 04 Dicembre 2003

«Vittime delle armi all'uranio»

Uno studio rivela: metalli pesanti nei soldati italiani impegnati in
Bosnia e Kosovo
ANGELO MASTRANDREA
ROMA

Mercurio, antimonio, zirconio, tungsteno, piombo, titanio, acciaio,
cobalto. Sono loro i responsabili di tumori, linfomi, malformazioni
genetiche e aborti spontanei che stanno colpendo militari e civili
impegnati in zone di guerra come la Bosnia e il Kosovo. E l'uranio? Non
c'è materialmente ma è ugualmente responsabile, in quanto queste
sostanze trovate nei linfonodi come nei polmoni o nello sperma dei
malati si liberano nell'aria solo ad altissime temperature, «3 mila
gradi centigradi» come spiega la dottoressa Antonietta Gatti
dell'università di Modena, che ha curato un progetto europeo nel quale
sono stati esaminati diversi soldati impegnati nei Balcani e in seguito
ammalatisi. Dunque sono state con ogni probabilità respirate o ingerite
attraverso il cibo in seguito a bombardamenti con proiettili all'uranio
impoverito o al tungsteno, gli unici capaci di raggiungere queste
temperature. I risultati dello studio, illustrati ieri a Montecitorio,
ribaltano le conclusioni della commissione Mandelli, istituita
dall'allora ministro Mattarella, che per la verità nella terza e ultima
relazione raccomandava ulteriori indagini, e riaprono la questione
dell'inquinamento postbellico nei Balcani, ma anche in altre zone di
guerra come la Somalia, l'Afghanistan e l'Iraq. Inquinamento
fondamentalmente da metalli pesanti, di cui stanno facendo le spese i
militari impiegati, ultimo in ordine di tempo il generale Fernando
Termentini, impegnato in particolare con l'ong Intersos nello
sminamento nei Balcani come in Afghanistan. Ma soprattutto le
popolazioni civili, come testimonia un reportage sulla Bosnia di
Sigfrido Ranucci trasmesso ieri mattina da Rainews24 e Rai3, «Vittime
di pace», che mostra come molti bambini nati con malformazioni o malati
di tumori e linfomi siano inviati a curarsi anche in Italia e come nei
dintorni di Sarajevo siano aumentati in maniera consistente i casi di
linfoma di Hodgkin. I motivi li spiega la dottoressa Gatti: «L'aerosol
respirato, così come ciò che si mangia, finisce nel sangue e da qui nel
fegato e in altri organi, dove i metalli pesanti, non biodegradabili,
si depositano. I linfonodi possono essere considerati un po' la
spazzatura dell'organismo, per cui accumulano più particelle e sono
maggiormente a rischio».

Solo in Bosnia, nel `95 sono stati sparati 10.800 proiettili
anticarro, ognuno dei quali con un rivestimento di 300 grammi di uranio
impoverito, e 13 missili Tomahawk, si sospetta con diversi chili di
uranio visto che nei dintorni del cratere è stata riscontrata una certa
radioattività. Solo ad Hadzici, alla periferia di Sarajevo, sono stati
sparati 3.400 proiettili, e in cinque anni i tumori sono aumentati del
70 per cento. Dei militari tornati dai Balcani, dal `95 in poi, se ne
sono ammalati 263, 23 dei quali sono morti. Il padre del caporal
maggiore Luca Sepe, tornato dal Kosovo con un linfoma e la cui ragazza
ha avuto un aborto spontaneo, denuncia l'assenza dello stato «che non
ha alcun rispetto per questi drammi». Salvatore Antonacci, un figlio
sottufficiale in Bosnia morto per tumore, racconta: «Il 4 novembre del
2000 ho scritto una lettera al procuratore militare di Roma Intelisano.
Non ho ancora ricevuto una risposta». E ancora: «Non chiediamo
risarcimenti. Vogliamo che i nostri figli vengano ricordati come i
morti di Nassiriya».

Uno schieramento trasversale che va dal leghista Eduard Ballaman,
questore della Camera, al senatore di Rifondazione Luigi Malabarba,
passando per l'ex generale e senatore diessino Lorenzo Forcieri, ora
chiede l'istituzione di una commissione parlamentare d'inchiesta,
sostenuto dall'Osservatorio creato dal maresciallo Domenico Leggiero
per raccogliere materiale e assistere anche legalmente le vittime. «In
Italia c'è una catena di depistaggi e di omertà vergognosa che fa
letteralmente a pugni con la retorica patriottarda sui nostri "ragazzi
eroi"», dice Malabarba, che accusa il ministero della Difesa di
rifiutarsi di «fornire al Parlamento i dati sui militari italiani
ammalati di leucemia dopo le missioni di guerra». Per questo o si
istituisce immediatamente una commissione d'inchiesta oppure «Martino
si dimetta».