Esecuzioni, decapitazioni ed altre operazioni propagandistiche
Larry Chin, Freebooter
20 novembre 2004 - Il modello è rimasto costante ed ovvio. Ogni
resoconto di notizie o scandalo che risultassero dannosi per l'agenda
di guerra Bush/angloamericana sono stati seguiti, entro poche ore, da
esecuzioni scioccanti (vere ed inscenate) che vengono attribuite agli
"insorti terroristi", nonostante circostanze discutibili, prove non
verificabili e fonti inaffidabili, come funzionari dei servizi segreti
e militari "innominati".
I responsabili di queste azioni non sono stati identificati e
probabilmente non lo saranno mai, in gran parte grazie ai deliberati
oscuramenti giornalistici dalle zone di guerra degli USA/Pentagono, ed
ai corporate media carichi di disinformazione e controllati da Bush.
Ciò che è chiaro, indifferentemente dall'identità degli esecutori, è
che i risultati hanno beneficiato esclusivamente la macchina bellica
degli USA/amministrazione Bush, mentre hanno completamente indebolito
gli obiettivi politici e di pubbliche relazioni dei movimenti e gruppi
anti-USA/antioccupazione. I metodi utilizzati per il rapimento e
l'assassinio di Margaret Hassan, Nick Berg ed altri corrisponde
accuratamente al profilo delle classiche operazioni occidentali di
intelligence e controinsurrezione.
Margaret Hassan
I resoconti delle carneficine da genocidio, delle atrocità e dei
crimini di guerra che vengono ora commessi dalle forze USA a Fallujah
(v. anche i dispacci di Dahr Jamail dall'Iraq:
http://www.dahrjamailiraq.com/ ) sono stati "ricambiati" da un video
dell'apparente esecuzione di Margaret Hassan, una funzionaria del
soccorso CARE che era amata e rispettata dagli iracheni ed anche dai
non iracheni. Questo atto, imputato agli insorti, ha provocato
risentimento tra gli iracheni verso i combattenti ribelli.
Ma l'omicidio della Hassan èra parte di una operazione
dell'intelligence britannica (
http://www.jihadunspun.com/intheatre_internal.php?article=10
0224&list=/home.php& ) ? Il racconto di un giornalista giordano:
"I britannici hanno cercato di assicurarsi da ogni potenziale
contraccolpo del pubblico e dei loro parlamentari laburisti (nel caso
le cose andassero proprio male) ordinando ai loro agenti in campo in
Iraq di rapire Margaret Hassan, l'operatrice dell'associazione di
beneficenza Care International.
"Il recente comunicato dei mujaahideen ha esposto la politica di
sicurezza britannica ed ha negato ogni coinvolgimento del JTJ nel
rapimento. Il rapimento invierà al pubblico britannico il messaggio che
la resistenza irachena è composta da mostri e pluriomicidi e che non vi
può essere altra risposta che cancellarli dalla faccia della terra,
prolungando dunque il ridispiegamento delle truppe britanniche nella
regione vicina a Baghdad".
Il rapimento e l'esecuzione della Hassan non hanno proprio alcun senso
eccetto quello di un'operazione di intelligence di agenti USA,
britannici o alleati degli USA ( http://www.uruknet.info/?p=6457 ):
"Ma perché la resistenza dovrebbe rapire chi per 25 anni ha fornito
assistenza umanitaria al popolo iracheno? E' possibile che la
resistenza irachena voglia negare assistenza umanitaria al popolo
iracheno? Naturalmente no. In America, i media ufficiali rispondono
tutti i giorni a queste domande: la resistenza irachena è fanatica,
assassina, non è niente altro che una sregolata confederazione di
terroristi, criminali, folli islamici, sadici dementi che fanno saltare
in aria autobombe in piazze di mercato affollate ed uccidono donne e
bambini ed i loro vicini. Comunque, vi è un'altra possibile
spiegazione: il rapimento di Margaret Hassan è parte di un'operazione
antinsurrezione ideata per far apparire malvagia la resistenza e così
rivoltarle contro l'opinione pubblica mondiale".
Per più di 20 anni la stessa Hassan è stata una delle più potenti voci
sulla crisi umanitaria in Iraq. E recentemente è stata una critica
dell'occupazione. In un precedente filmato la Hassan ha invocato che i
britannici se ne vadano dall'Iraq. Era uno svantaggio nelle pubbliche
relazioni.
Il rapimento Torretta-Pari
Nel settembre 2004 vennero rapite in circostanze sospette due giovani
volontarie umanitarie, Simona Torretta and Simona Pari. Di questo sono
stati incolpati gli insorti e/o dei terroristi collegati a Zarqawi (
http://www.atimes.com/atimes/Middle_East/FJ15Ak02.html ) .
Secondo un'inchiesta del britannico Guardian, gli insorti iracheni non
erano dietro il rapimento delle due volontarie italiane
(http://www.islamonline.org/English/News/2004-09/16/article06.shtml ) :
"Il Guardian ha detto che il rapimento di Simona Torretta e Simona Pari
porta il marchio di un'operazione coperta straniera, un tentativo di
screditare l'incessante resistenza irachena contro le forze di
occupazione USA.
"Il quotidiano di vasta divulgazione aggiunge altri sospetti di un
coinvolgimento straniero nell'operazione poiché è stata eseguita
soltanto a pochi metri dalla pesantemente pattugliata Zona Verde senza
nessuna interferenza da parte della polizia irachena o dei militari USA.
"Il Guardian sostiene che le armi utilizzate nell'operazione erano più
sofisticate di quelle usate solitamente dalla resistenza irachena
poiché i rapitori usarono AK-47, fucili e pistole con il silenziatore e
armi da stordimento, mentre i partigiani iracheni usano sempre
Kalashnikov arrugginiti.
"Ancora più sorprendente, secondo il quotidiano britannico, è che i
rapitori indossavano uniformi della Guardia Nazionale irachena e si
presentarono come dipendenti di Iyad Allawi [Primo Ministro iracheno]."
L'esecuzione di Nick Berg
Nella primavera del 2004 Nick Berg è stato "giustiziato" da agenti dei
servizi segreti USA o alleati degli USA per distogliere l'attenzione
dagli scandali delle torture a Abu Ghraib (
http://www.globalresearch.ca/articles/CAR405A.html ).
Vi sono anche abbondanti prove che, sulla base di una dettagliata
analisi de La Voz de Aztlan ( http://www.uruknet.info/?p=2837 ), il
film dell'esecuzione di Nicholas Berg nella primavera del 2004 era una
completa falsificazione ( http://uruknet.info/?colonna=m&p=3081 ) .
Nonostante questa ed altre smentite, la decapitazione di Berg resta una
spaventosa immagine che provoca odio "antiterrorista".
Daniel Pearl
L'uccisione del giornalista Daniel Pearl (
http://www.globalresearch.ca/articles/KUP209A.html ) è stata
analogamente distorta per avvantaggiare la propaganda della "guerra al
terrorismo"e far divampare la collera contro i presunti terroristi di
al Qaeda coinvolti negli attentati dell'11/9.
Proprio come Margaret Hassan era un problema di pubbliche relazioni che
doveva essere soffocato sul nascere, Pearl era un fastidio. Era alla
ricerca di collegamenti tra il terrorismo, i gruppi terroristi ed i
servizi segreti e poco prima di essere assassinato faceva ricerche
sull'ISI Pakistano (in pratica una succursale della CIA).
L'esplosione dell'incubo post 11/9
E' chiaro che la maggior parte, se non tutti, i convenientemente
sincronizzati rapimenti ed esecuzioni, i falsi allarmi terroristici, i
video di Osama Bin Laden, gli arresti di "al Qaeda", il costante rullio
di tamburi su Zarqawi (v. anche qui: http://uruknet.info/?p=3472 ),
sono stati allestiti e sfruttati dalla propaganda bellica
anglo-americana ( http://globalresearch.ca/articles/CHO409D.html ),
calcolata per 1) distrarre dalla verità dell'aggressione unilaterale
anglo-americana, 2) far rivoltare l'opinione pubblica mondiale contro
coloro che resistono alla guerra ed all'occupazione a guida USA e 3)
mantenere la paura, la violenta emozione ed il mito basato sull'odio
del "terrorismo" e del "fanatico nemico esterno".
Allo stesso tempo, ciò che non può essere ignorato è che la reazione
atrocemente violenta da parte delle vittime dell'aggressione a guida
USA si muoverà a spirale fuori controllo, se non è già accaduto. Mentre
l'aggressione a guida USA ha continuato ad intensificarsi essa ha
spinto le sue vittime verso azioni di resistenza ed autoconservazione
sempre più disperate. Di proposito.
Come scrive Mike Ruppert in Crossing the Rubicon (
http://www.fromthewilderness.com/ ): "Persino se non ci fossero stati
[terroristi] prima dell'11/9 (e ce ne erano) gli USA sarebbero andati
in cerca di creare l'ostilità che fiorisce in ogni parte del globo
contro questo paese". Dalla "guerra al terrorismo" ai bombardamenti,
alle invasioni ed occupazioni dell'Afghanistan e dell'Iraq. Dal
massacro di Mazar-I-Sharif alle celle di tortura di Guantanamo Bay ed
Abu Ghraib. Oggi in Iraq i soldati americani uccidono con fanatica sete
di sangue, mostruosamente dimostrato dal quotidiano massacro a
Fallujah, gli assassini nella moschea ( http://www.uruknet.info/?p=7347
) ed i precedenti incidenti come le "uccisioni compassionevoli" di
iracheni innocenti che scaricano un camion della spazzatura (
http://www.sfgate.com/cgi-bin/article.cgi?file=/chronicle/archive/2004/
11/05/MNGC99MHHJ1.DTL ).
In questo mondo da incubo di guerra infinita e crescente e cicli
continui di provocazione e risposta, diventa difficile, se non
impossibile, distinguere la brutalità di aggressori criminali dagli
atti di resistenza a questa aggressione. Proprio come Israele e la
Palestina sono bloccati da decenni in cicli infiniti di violenza
imprevedibile ed incontrollabile, il mondo intero, acceso dalla
polveriera della "guerra al terrorismo" dell'11/9, è preparato per la
stessa cosa.
Questa guerra, e la propaganda che la alimenta, devono essere fermate.
Larry Chin è un giornalista freelance e redattore associato di Online
Journal.
Traduzione italiana: Freebooter
Articolo originale: http://www.uruknet.info/?p=7412
:: L'indirizzo di questa pagina è : www.uruknet.info?p=7534
:: L'indirizzo originale di quest'articolo è :
freebooter.da.ru/
:: Articolo n. 7534 postato il 24-nov-2004 11:24 ECT
---
Carcere duro per stampa e pacifisti
SARA MENAFRA, il manifesto
Legge marziale permanente. La delega approvata al Senato rischia di
mandare in galera gli inviati di guerra, ma anche le Ong e i pacifisti
colpevoli di «collaborare col nemico» e di «nutrirli»
19 novembre 2004 - Non ci saranno solo gli inviati di guerra nel mirino
del codice militare, se la delega per la riforma approvata due giorni
fa al Senato dovesse essere confermata alla Camera. Due giorni fa il
senatore diessino Elvio Fassone, che ha seguito passo passo il testo in
commissione Difesa, spiegava che i giornalisti inviati in territori di
guerra, che «si procurano notizie concernenti la forza, la preparazione
o la difesa militare» e le diffondono, rischiano pene che vanno da
cinque a vent'anni di reclusione. Anche se gli obiettivi erano tutti
puntati sull'ennesimo rimpasto di governo è scoppiato il caso, con
giornalisti e parlamentari su tutte le furie.
A guardarci meglio, però, si scopre che la delega approvata dal Senato,
con 132 voti favorevoli e 45 contrari, ha contenuti parecchio più ampi
e capaci di trasformare il paese in uno stato militarizzato almeno per
tutta la durata delle missioni di Peace keeping in cui siamo coinvolti.
L'idea di fondo della delega n. 2493 è che durante le missioni di
guerra la giustizia militare applichi il Codice militare di guerra così
com'era stato scritto nel 1941, salvo qualche piccola modifica. Durante
i periodi di «conflitto armato» come quelli di Peacekeeping, appunto,
il parlamento decreta lo«Stato di guerra», che non è il «Tempo di
guerra» previsto dalla Costituzione e di fatto mai applicato dal 1945
ad oggi, ma una condizione adatta alle guerre di oggi, in cui si
interviene manu militari senza dichiarare niente a nessuno e che in
pratica attiverebbe comunque il Codice militare di guerra, ovvero la
legge marziale.
Applicare il codice di guerra durante le missioni di Peacekeeping
darebbe un potere enorme ai giudici della magistratura militare, che
oggi hanno invece competenze sempre minori (basti pensare che tutta la
magistratura militare italiana nell'ultimo anno ha prodotto sì e no
1000 sentenze). Ma attiverebbe anche una serie di norme pensate mentre
l'Italia era in guerra, e forse persino quelle pensate nel 1930 dal
Codice Rocco. Il nostro Codice penale, che non è altro quello del
Fascismo riformato, prevede una serie di norme che entrano in vigore in
«Tempo di guerra» e visto che la delega non lo esclude esplicitamente,
potrebbero entrare in vigore anche durante il nuovo «Stato di guerra».
Per dirne uno l'articolo 245 che punisce con la reclusione «da cinque a
quindici anni» «Chiunque tiene intelligenze con lo straniero per
impegnare o per compiere atti diretti a impegnare lo Stato italiano
alla dichiarazione o al mantenimento della neutralità». E se in questa
previsione finissero pure i pacifisti o i social forum che si
riuniscono a livello globale per parlare di pace, magari invitando
anche rappresentanti politici o di governo? Persino le Ong colpevoli di
«Somministrazione al nemico di provviggioni» (art. 248) potrebbero
rischiare la «reclusione non inferiore ai cinque anni». E a voler
essere cattivi, i tranistoppers di due anni fa che bloccavano treni e
navi potrebbero essere imputati di «distruzione o sabotaggio di opere
militari» (art. 253).
«Il buonsenso dice - spiega il senatore Fassone- che una serie di norme
siano adeguate all'oggi o abrogate. Però è anche vero che questa è una
delega a modificare, dunque tutto ciò per cui non c'è un mandato
specifico deve essere lasciato così com'è, e quindi queste norme
potrebbero diventare attuali». E' quello che accadrebbe per gli
articoli 72 e 73 del codice di guerra, quelli che potrebbero spedire in
galera i giornalisti.
Cambierà poco, invece, per i militari impegnati nelle suddette missioni
di Peacekeeping che applicano il codice militare di guerra già da due
anni. Su diretta richiesta della Nato, per la missione «Enduring
freedom» del 2002 l'Italia ha approvato una legge che sottopone i
militari impegnati nelle missioni internazionali al codice militare di
guerra. Grazie a quella legge i quattro elicotteristi di Viterbo, che
la primavera scorsa si sono rifiutati di volare perché i loro mezzi non
erano sufficientemente protetti, sono ancora sotto indagine per
«ammutinamento» e «codardia», anche se circa un mese fa la procura
militare di Roma ha chiesto di archiviare l'inchiesta.
Nel 2002 furono in pochi a stracciarsi le vesti, visto che si parlava
di militari. Per fortuna questa volta che l'estensione della legge
marziale rischia di spedire in carcere fino a vent'anni pure i
giornalisti, ad arrabbiarsi sono già in parecchi. Oltre al senatore
Fassone, ieri ha protestato contro la legge anche la deputata Elettra
Deiana di Rifondazione comunista e membro della commissione Difesa
della Camera secondo cui « Siamo di fronte ad una vera e propria
decostituzionalizzazione di fatto dell'articolo 11 della Costituzione
(quello che garantisce la libertà di stampa ndr)». Secondo Deiana siamo
di fronte all'«introduzione della legge marziale «senza garanzie né
procedurali né politiche ma a totale discrezionalità del potere
politico-militari e con la possibilità dell'estensione della stessa
legge marziale anche in ambiti personali».
Durissimo pure il commento di Domenico Leggiero dell'Osservatorio per
la tutela del personale civile e militare: «L'idea di fondo è la
separazione definitiva delle forze armate dal resto dello stato
italiano. Se la delega sarà approvata avremo due stati, uno militare e
uno civile, nello stesso paese».
MIMMO CANDITO
«E' la fine del nostro lavoro»
TOMMASO DI FRANCESCO, il manifesto
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/20-Novembre-2004/
art43.html
Parla l'inviato: «Vince la guerra sulla libertà di stampa»
19 novembre 2004 - Sulla riforma del Codice penale militare approvata
già in prima lettura al Senato, che mette di fatto a rischio carcere
ogni «rivelazione» sulle missioni di pace, abbiamo rivolto alcune
domande a Mimmo Càndito, tra i più importanti inviati speciali,
commentatore di politica internazionale, corrispondente da quasi tutte
le ultime guerre e una delle firme di prestigio de La Stampa.
Come giudichi questa «riforma» che espande il codice militare di guerra
anche alle missioni di pace?
Credo che rientri all'interno di quel processo di militarizzazione
della politica che si sta sempre più estendendo, prendendo come modello
evidentemente le logiche che operano agli interno degli Stati uniti, al
rapporto subordinato fra società e potere militare che si va sempre più
estendendo in ogni parte del mondo. Io ricordo sempre quello che hanno
scritto i due colonnelli cinesi Ghao Yang e Bang Sansuy che hanno
scritto un libro decisivo, Guerra senza fine, dove dicono
sostanzialmente che il baratro che un tempo divideva il territorio
della guerra da quello della non guerra ormai è pressoché colmato. La
guerra sta occupando anche i territori che prima non gli appartenevano:
è il processo di militarizzazione della politica. Ora estendere il
codice militare anche alle missioni di pace è sicuramente un
cambiamento culturale impressionante.
Per effetto di queste decisioni diventano operativi gli articoli 72/73
del Codice penale militare sulla «illecita raccolta pubblicazione e
diffusione di notizie militari»...
Non più di alcuni mesi fa un collega venne inquisito dalle parti di
Nassiriya perché aveva pubblicato delle informazioni e ancora non si
era all'interno di questa logica. Ci possiamo immaginare una volta che
questa diventi istituzione giuridica quali siano i rischi connessi .
Cioè che tutto venga sostanzialmente affidato alla discrezionalità con
la quale un comandante militare potrà decidere se quello che noi stiamo
cercando di pubblicare rientra all'interno di questa normativa. Addio
libero esercizio del nostro lavoro.
Già, che fine fa il nostro lavoro? Perché si dice in questi articoli
che è punito con la reclusione militare da due a dieci anni «chiunque
si procura notizie concernenti la forza, la preparazione o la difesa
militare, la dislocazione o i movimenti delle forze armate, il loro
stato sanitario, la disciplina o le operazioni militari e ogni altra
notizie che non essendo segreta ha tuttavia carattere riservato». Se
poi le notizie raccolte vengono diffuse gli anni di carcere passano da
un minimo di cinque ad un massimo di venti...
Che il nostro lavoro lo andiamo a fare in carcere. No bisogna opporsi
fermissimamente a questo non soltanto per quello che riguarda la
definizione giuridica della norma ma per l'atteggiamento culturale che
comporta. Perché trasporta il nostro lavoro all'interno di un processo
del quale il controllo militare finisce per essere l'unica forma
possibile di confronto e di dialettica. Io mi rifiuto di immaginare che
la mia attività possa essere sottoposta al giudizio discrezionale di un
comandante che decide se mandarmi in tribunale o meno, farmi processare
o meno. Questo elimina qualsiasi esercizio libero e discrezionale della
mia personale attività giornalistica, cioè della libertà di
informazione. E' un atto gravissimo perché sposta su un terreno diverso
quello che è stato finora l'esercizio dell'attività giornalistica. Che
a quel punto non è più un libero esercizio d'informazione che riguarda
la società civile e che nasce all'interno di una società civile ma
viene collocata all'interno della logica strettamente militare. E' come
se ci venisse messa addosso la divisa militare, esattamente come
durante la I e la II guerra mondiale.
I giornalisti diventerebbero tutti embedded o sarebbero in difficoltà
perfino loro?
Non si salvano nemmeno gli embedded. Tutto infatti è affidato alla
discrezionalità di chi dice: tu stai infrangendo una norma del codice
militare. Si ritorna a Lord Cadrington, comandante militare nel 1854
nella guerra di Crimea, che decise per la prima volta il principio
della censura militare sulle notizie, di fronte al fatto che il Times
aveva inviato sul posto William Russel, il primo corrispondente di
guerra moderno che aveva cominciato a raccontare le miserie di quel
conflitto. Siamo tornati 150 anni indietro.
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:: Articolo n. 7443 postato il 21-nov-2004 01:59 ECT
Larry Chin, Freebooter
20 novembre 2004 - Il modello è rimasto costante ed ovvio. Ogni
resoconto di notizie o scandalo che risultassero dannosi per l'agenda
di guerra Bush/angloamericana sono stati seguiti, entro poche ore, da
esecuzioni scioccanti (vere ed inscenate) che vengono attribuite agli
"insorti terroristi", nonostante circostanze discutibili, prove non
verificabili e fonti inaffidabili, come funzionari dei servizi segreti
e militari "innominati".
I responsabili di queste azioni non sono stati identificati e
probabilmente non lo saranno mai, in gran parte grazie ai deliberati
oscuramenti giornalistici dalle zone di guerra degli USA/Pentagono, ed
ai corporate media carichi di disinformazione e controllati da Bush.
Ciò che è chiaro, indifferentemente dall'identità degli esecutori, è
che i risultati hanno beneficiato esclusivamente la macchina bellica
degli USA/amministrazione Bush, mentre hanno completamente indebolito
gli obiettivi politici e di pubbliche relazioni dei movimenti e gruppi
anti-USA/antioccupazione. I metodi utilizzati per il rapimento e
l'assassinio di Margaret Hassan, Nick Berg ed altri corrisponde
accuratamente al profilo delle classiche operazioni occidentali di
intelligence e controinsurrezione.
Margaret Hassan
I resoconti delle carneficine da genocidio, delle atrocità e dei
crimini di guerra che vengono ora commessi dalle forze USA a Fallujah
(v. anche i dispacci di Dahr Jamail dall'Iraq:
http://www.dahrjamailiraq.com/ ) sono stati "ricambiati" da un video
dell'apparente esecuzione di Margaret Hassan, una funzionaria del
soccorso CARE che era amata e rispettata dagli iracheni ed anche dai
non iracheni. Questo atto, imputato agli insorti, ha provocato
risentimento tra gli iracheni verso i combattenti ribelli.
Ma l'omicidio della Hassan èra parte di una operazione
dell'intelligence britannica (
http://www.jihadunspun.com/intheatre_internal.php?article=10
0224&list=/home.php& ) ? Il racconto di un giornalista giordano:
"I britannici hanno cercato di assicurarsi da ogni potenziale
contraccolpo del pubblico e dei loro parlamentari laburisti (nel caso
le cose andassero proprio male) ordinando ai loro agenti in campo in
Iraq di rapire Margaret Hassan, l'operatrice dell'associazione di
beneficenza Care International.
"Il recente comunicato dei mujaahideen ha esposto la politica di
sicurezza britannica ed ha negato ogni coinvolgimento del JTJ nel
rapimento. Il rapimento invierà al pubblico britannico il messaggio che
la resistenza irachena è composta da mostri e pluriomicidi e che non vi
può essere altra risposta che cancellarli dalla faccia della terra,
prolungando dunque il ridispiegamento delle truppe britanniche nella
regione vicina a Baghdad".
Il rapimento e l'esecuzione della Hassan non hanno proprio alcun senso
eccetto quello di un'operazione di intelligence di agenti USA,
britannici o alleati degli USA ( http://www.uruknet.info/?p=6457 ):
"Ma perché la resistenza dovrebbe rapire chi per 25 anni ha fornito
assistenza umanitaria al popolo iracheno? E' possibile che la
resistenza irachena voglia negare assistenza umanitaria al popolo
iracheno? Naturalmente no. In America, i media ufficiali rispondono
tutti i giorni a queste domande: la resistenza irachena è fanatica,
assassina, non è niente altro che una sregolata confederazione di
terroristi, criminali, folli islamici, sadici dementi che fanno saltare
in aria autobombe in piazze di mercato affollate ed uccidono donne e
bambini ed i loro vicini. Comunque, vi è un'altra possibile
spiegazione: il rapimento di Margaret Hassan è parte di un'operazione
antinsurrezione ideata per far apparire malvagia la resistenza e così
rivoltarle contro l'opinione pubblica mondiale".
Per più di 20 anni la stessa Hassan è stata una delle più potenti voci
sulla crisi umanitaria in Iraq. E recentemente è stata una critica
dell'occupazione. In un precedente filmato la Hassan ha invocato che i
britannici se ne vadano dall'Iraq. Era uno svantaggio nelle pubbliche
relazioni.
Il rapimento Torretta-Pari
Nel settembre 2004 vennero rapite in circostanze sospette due giovani
volontarie umanitarie, Simona Torretta and Simona Pari. Di questo sono
stati incolpati gli insorti e/o dei terroristi collegati a Zarqawi (
http://www.atimes.com/atimes/Middle_East/FJ15Ak02.html ) .
Secondo un'inchiesta del britannico Guardian, gli insorti iracheni non
erano dietro il rapimento delle due volontarie italiane
(http://www.islamonline.org/English/News/2004-09/16/article06.shtml ) :
"Il Guardian ha detto che il rapimento di Simona Torretta e Simona Pari
porta il marchio di un'operazione coperta straniera, un tentativo di
screditare l'incessante resistenza irachena contro le forze di
occupazione USA.
"Il quotidiano di vasta divulgazione aggiunge altri sospetti di un
coinvolgimento straniero nell'operazione poiché è stata eseguita
soltanto a pochi metri dalla pesantemente pattugliata Zona Verde senza
nessuna interferenza da parte della polizia irachena o dei militari USA.
"Il Guardian sostiene che le armi utilizzate nell'operazione erano più
sofisticate di quelle usate solitamente dalla resistenza irachena
poiché i rapitori usarono AK-47, fucili e pistole con il silenziatore e
armi da stordimento, mentre i partigiani iracheni usano sempre
Kalashnikov arrugginiti.
"Ancora più sorprendente, secondo il quotidiano britannico, è che i
rapitori indossavano uniformi della Guardia Nazionale irachena e si
presentarono come dipendenti di Iyad Allawi [Primo Ministro iracheno]."
L'esecuzione di Nick Berg
Nella primavera del 2004 Nick Berg è stato "giustiziato" da agenti dei
servizi segreti USA o alleati degli USA per distogliere l'attenzione
dagli scandali delle torture a Abu Ghraib (
http://www.globalresearch.ca/articles/CAR405A.html ).
Vi sono anche abbondanti prove che, sulla base di una dettagliata
analisi de La Voz de Aztlan ( http://www.uruknet.info/?p=2837 ), il
film dell'esecuzione di Nicholas Berg nella primavera del 2004 era una
completa falsificazione ( http://uruknet.info/?colonna=m&p=3081 ) .
Nonostante questa ed altre smentite, la decapitazione di Berg resta una
spaventosa immagine che provoca odio "antiterrorista".
Daniel Pearl
L'uccisione del giornalista Daniel Pearl (
http://www.globalresearch.ca/articles/KUP209A.html ) è stata
analogamente distorta per avvantaggiare la propaganda della "guerra al
terrorismo"e far divampare la collera contro i presunti terroristi di
al Qaeda coinvolti negli attentati dell'11/9.
Proprio come Margaret Hassan era un problema di pubbliche relazioni che
doveva essere soffocato sul nascere, Pearl era un fastidio. Era alla
ricerca di collegamenti tra il terrorismo, i gruppi terroristi ed i
servizi segreti e poco prima di essere assassinato faceva ricerche
sull'ISI Pakistano (in pratica una succursale della CIA).
L'esplosione dell'incubo post 11/9
E' chiaro che la maggior parte, se non tutti, i convenientemente
sincronizzati rapimenti ed esecuzioni, i falsi allarmi terroristici, i
video di Osama Bin Laden, gli arresti di "al Qaeda", il costante rullio
di tamburi su Zarqawi (v. anche qui: http://uruknet.info/?p=3472 ),
sono stati allestiti e sfruttati dalla propaganda bellica
anglo-americana ( http://globalresearch.ca/articles/CHO409D.html ),
calcolata per 1) distrarre dalla verità dell'aggressione unilaterale
anglo-americana, 2) far rivoltare l'opinione pubblica mondiale contro
coloro che resistono alla guerra ed all'occupazione a guida USA e 3)
mantenere la paura, la violenta emozione ed il mito basato sull'odio
del "terrorismo" e del "fanatico nemico esterno".
Allo stesso tempo, ciò che non può essere ignorato è che la reazione
atrocemente violenta da parte delle vittime dell'aggressione a guida
USA si muoverà a spirale fuori controllo, se non è già accaduto. Mentre
l'aggressione a guida USA ha continuato ad intensificarsi essa ha
spinto le sue vittime verso azioni di resistenza ed autoconservazione
sempre più disperate. Di proposito.
Come scrive Mike Ruppert in Crossing the Rubicon (
http://www.fromthewilderness.com/ ): "Persino se non ci fossero stati
[terroristi] prima dell'11/9 (e ce ne erano) gli USA sarebbero andati
in cerca di creare l'ostilità che fiorisce in ogni parte del globo
contro questo paese". Dalla "guerra al terrorismo" ai bombardamenti,
alle invasioni ed occupazioni dell'Afghanistan e dell'Iraq. Dal
massacro di Mazar-I-Sharif alle celle di tortura di Guantanamo Bay ed
Abu Ghraib. Oggi in Iraq i soldati americani uccidono con fanatica sete
di sangue, mostruosamente dimostrato dal quotidiano massacro a
Fallujah, gli assassini nella moschea ( http://www.uruknet.info/?p=7347
) ed i precedenti incidenti come le "uccisioni compassionevoli" di
iracheni innocenti che scaricano un camion della spazzatura (
http://www.sfgate.com/cgi-bin/article.cgi?file=/chronicle/archive/2004/
11/05/MNGC99MHHJ1.DTL ).
In questo mondo da incubo di guerra infinita e crescente e cicli
continui di provocazione e risposta, diventa difficile, se non
impossibile, distinguere la brutalità di aggressori criminali dagli
atti di resistenza a questa aggressione. Proprio come Israele e la
Palestina sono bloccati da decenni in cicli infiniti di violenza
imprevedibile ed incontrollabile, il mondo intero, acceso dalla
polveriera della "guerra al terrorismo" dell'11/9, è preparato per la
stessa cosa.
Questa guerra, e la propaganda che la alimenta, devono essere fermate.
Larry Chin è un giornalista freelance e redattore associato di Online
Journal.
Traduzione italiana: Freebooter
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Carcere duro per stampa e pacifisti
SARA MENAFRA, il manifesto
Legge marziale permanente. La delega approvata al Senato rischia di
mandare in galera gli inviati di guerra, ma anche le Ong e i pacifisti
colpevoli di «collaborare col nemico» e di «nutrirli»
19 novembre 2004 - Non ci saranno solo gli inviati di guerra nel mirino
del codice militare, se la delega per la riforma approvata due giorni
fa al Senato dovesse essere confermata alla Camera. Due giorni fa il
senatore diessino Elvio Fassone, che ha seguito passo passo il testo in
commissione Difesa, spiegava che i giornalisti inviati in territori di
guerra, che «si procurano notizie concernenti la forza, la preparazione
o la difesa militare» e le diffondono, rischiano pene che vanno da
cinque a vent'anni di reclusione. Anche se gli obiettivi erano tutti
puntati sull'ennesimo rimpasto di governo è scoppiato il caso, con
giornalisti e parlamentari su tutte le furie.
A guardarci meglio, però, si scopre che la delega approvata dal Senato,
con 132 voti favorevoli e 45 contrari, ha contenuti parecchio più ampi
e capaci di trasformare il paese in uno stato militarizzato almeno per
tutta la durata delle missioni di Peace keeping in cui siamo coinvolti.
L'idea di fondo della delega n. 2493 è che durante le missioni di
guerra la giustizia militare applichi il Codice militare di guerra così
com'era stato scritto nel 1941, salvo qualche piccola modifica. Durante
i periodi di «conflitto armato» come quelli di Peacekeeping, appunto,
il parlamento decreta lo«Stato di guerra», che non è il «Tempo di
guerra» previsto dalla Costituzione e di fatto mai applicato dal 1945
ad oggi, ma una condizione adatta alle guerre di oggi, in cui si
interviene manu militari senza dichiarare niente a nessuno e che in
pratica attiverebbe comunque il Codice militare di guerra, ovvero la
legge marziale.
Applicare il codice di guerra durante le missioni di Peacekeeping
darebbe un potere enorme ai giudici della magistratura militare, che
oggi hanno invece competenze sempre minori (basti pensare che tutta la
magistratura militare italiana nell'ultimo anno ha prodotto sì e no
1000 sentenze). Ma attiverebbe anche una serie di norme pensate mentre
l'Italia era in guerra, e forse persino quelle pensate nel 1930 dal
Codice Rocco. Il nostro Codice penale, che non è altro quello del
Fascismo riformato, prevede una serie di norme che entrano in vigore in
«Tempo di guerra» e visto che la delega non lo esclude esplicitamente,
potrebbero entrare in vigore anche durante il nuovo «Stato di guerra».
Per dirne uno l'articolo 245 che punisce con la reclusione «da cinque a
quindici anni» «Chiunque tiene intelligenze con lo straniero per
impegnare o per compiere atti diretti a impegnare lo Stato italiano
alla dichiarazione o al mantenimento della neutralità». E se in questa
previsione finissero pure i pacifisti o i social forum che si
riuniscono a livello globale per parlare di pace, magari invitando
anche rappresentanti politici o di governo? Persino le Ong colpevoli di
«Somministrazione al nemico di provviggioni» (art. 248) potrebbero
rischiare la «reclusione non inferiore ai cinque anni». E a voler
essere cattivi, i tranistoppers di due anni fa che bloccavano treni e
navi potrebbero essere imputati di «distruzione o sabotaggio di opere
militari» (art. 253).
«Il buonsenso dice - spiega il senatore Fassone- che una serie di norme
siano adeguate all'oggi o abrogate. Però è anche vero che questa è una
delega a modificare, dunque tutto ciò per cui non c'è un mandato
specifico deve essere lasciato così com'è, e quindi queste norme
potrebbero diventare attuali». E' quello che accadrebbe per gli
articoli 72 e 73 del codice di guerra, quelli che potrebbero spedire in
galera i giornalisti.
Cambierà poco, invece, per i militari impegnati nelle suddette missioni
di Peacekeeping che applicano il codice militare di guerra già da due
anni. Su diretta richiesta della Nato, per la missione «Enduring
freedom» del 2002 l'Italia ha approvato una legge che sottopone i
militari impegnati nelle missioni internazionali al codice militare di
guerra. Grazie a quella legge i quattro elicotteristi di Viterbo, che
la primavera scorsa si sono rifiutati di volare perché i loro mezzi non
erano sufficientemente protetti, sono ancora sotto indagine per
«ammutinamento» e «codardia», anche se circa un mese fa la procura
militare di Roma ha chiesto di archiviare l'inchiesta.
Nel 2002 furono in pochi a stracciarsi le vesti, visto che si parlava
di militari. Per fortuna questa volta che l'estensione della legge
marziale rischia di spedire in carcere fino a vent'anni pure i
giornalisti, ad arrabbiarsi sono già in parecchi. Oltre al senatore
Fassone, ieri ha protestato contro la legge anche la deputata Elettra
Deiana di Rifondazione comunista e membro della commissione Difesa
della Camera secondo cui « Siamo di fronte ad una vera e propria
decostituzionalizzazione di fatto dell'articolo 11 della Costituzione
(quello che garantisce la libertà di stampa ndr)». Secondo Deiana siamo
di fronte all'«introduzione della legge marziale «senza garanzie né
procedurali né politiche ma a totale discrezionalità del potere
politico-militari e con la possibilità dell'estensione della stessa
legge marziale anche in ambiti personali».
Durissimo pure il commento di Domenico Leggiero dell'Osservatorio per
la tutela del personale civile e militare: «L'idea di fondo è la
separazione definitiva delle forze armate dal resto dello stato
italiano. Se la delega sarà approvata avremo due stati, uno militare e
uno civile, nello stesso paese».
MIMMO CANDITO
«E' la fine del nostro lavoro»
TOMMASO DI FRANCESCO, il manifesto
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/20-Novembre-2004/
art43.html
Parla l'inviato: «Vince la guerra sulla libertà di stampa»
19 novembre 2004 - Sulla riforma del Codice penale militare approvata
già in prima lettura al Senato, che mette di fatto a rischio carcere
ogni «rivelazione» sulle missioni di pace, abbiamo rivolto alcune
domande a Mimmo Càndito, tra i più importanti inviati speciali,
commentatore di politica internazionale, corrispondente da quasi tutte
le ultime guerre e una delle firme di prestigio de La Stampa.
Come giudichi questa «riforma» che espande il codice militare di guerra
anche alle missioni di pace?
Credo che rientri all'interno di quel processo di militarizzazione
della politica che si sta sempre più estendendo, prendendo come modello
evidentemente le logiche che operano agli interno degli Stati uniti, al
rapporto subordinato fra società e potere militare che si va sempre più
estendendo in ogni parte del mondo. Io ricordo sempre quello che hanno
scritto i due colonnelli cinesi Ghao Yang e Bang Sansuy che hanno
scritto un libro decisivo, Guerra senza fine, dove dicono
sostanzialmente che il baratro che un tempo divideva il territorio
della guerra da quello della non guerra ormai è pressoché colmato. La
guerra sta occupando anche i territori che prima non gli appartenevano:
è il processo di militarizzazione della politica. Ora estendere il
codice militare anche alle missioni di pace è sicuramente un
cambiamento culturale impressionante.
Per effetto di queste decisioni diventano operativi gli articoli 72/73
del Codice penale militare sulla «illecita raccolta pubblicazione e
diffusione di notizie militari»...
Non più di alcuni mesi fa un collega venne inquisito dalle parti di
Nassiriya perché aveva pubblicato delle informazioni e ancora non si
era all'interno di questa logica. Ci possiamo immaginare una volta che
questa diventi istituzione giuridica quali siano i rischi connessi .
Cioè che tutto venga sostanzialmente affidato alla discrezionalità con
la quale un comandante militare potrà decidere se quello che noi stiamo
cercando di pubblicare rientra all'interno di questa normativa. Addio
libero esercizio del nostro lavoro.
Già, che fine fa il nostro lavoro? Perché si dice in questi articoli
che è punito con la reclusione militare da due a dieci anni «chiunque
si procura notizie concernenti la forza, la preparazione o la difesa
militare, la dislocazione o i movimenti delle forze armate, il loro
stato sanitario, la disciplina o le operazioni militari e ogni altra
notizie che non essendo segreta ha tuttavia carattere riservato». Se
poi le notizie raccolte vengono diffuse gli anni di carcere passano da
un minimo di cinque ad un massimo di venti...
Che il nostro lavoro lo andiamo a fare in carcere. No bisogna opporsi
fermissimamente a questo non soltanto per quello che riguarda la
definizione giuridica della norma ma per l'atteggiamento culturale che
comporta. Perché trasporta il nostro lavoro all'interno di un processo
del quale il controllo militare finisce per essere l'unica forma
possibile di confronto e di dialettica. Io mi rifiuto di immaginare che
la mia attività possa essere sottoposta al giudizio discrezionale di un
comandante che decide se mandarmi in tribunale o meno, farmi processare
o meno. Questo elimina qualsiasi esercizio libero e discrezionale della
mia personale attività giornalistica, cioè della libertà di
informazione. E' un atto gravissimo perché sposta su un terreno diverso
quello che è stato finora l'esercizio dell'attività giornalistica. Che
a quel punto non è più un libero esercizio d'informazione che riguarda
la società civile e che nasce all'interno di una società civile ma
viene collocata all'interno della logica strettamente militare. E' come
se ci venisse messa addosso la divisa militare, esattamente come
durante la I e la II guerra mondiale.
I giornalisti diventerebbero tutti embedded o sarebbero in difficoltà
perfino loro?
Non si salvano nemmeno gli embedded. Tutto infatti è affidato alla
discrezionalità di chi dice: tu stai infrangendo una norma del codice
militare. Si ritorna a Lord Cadrington, comandante militare nel 1854
nella guerra di Crimea, che decise per la prima volta il principio
della censura militare sulle notizie, di fronte al fatto che il Times
aveva inviato sul posto William Russel, il primo corrispondente di
guerra moderno che aveva cominciato a raccontare le miserie di quel
conflitto. Siamo tornati 150 anni indietro.
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